Anna e Amedeo - La Recherche
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Anna e Amedeo - La Recherche
Anna e Amedeo Q Il ritratto di due anime Marzia Margherita Dati “Dalla felicità io non guarisco” Anna Achmatova Questo mio lavoro ha origine da ciò che la visione e la suggestione del segno artistico ha evocato negli strati più profondi del mio animo. Inoltre, leggendo l’unica testimonianza giunta sino a noi, di quello che fu un incontro straordinario tra due grandi genialità del Novecento, Amedeo Modigliani e Anna Achmatova, ho lasciato correre la mia immaginazione e sulla base delle suggestioni ed emozioni che ho provato, ho riscritto questa storia. L’incontro tra Modigliani e Achmatova ha da sempre incuriosito ed attirato l’interesse di critici e di scrittori, forse anche perché la loro storia essendo poco documentata, è avvolta in un alone di mistero. C’è addirittura chi sostiene che in realtà tra i due ci fosse soltanto una grande amicizia e niente di più. Io, invece, concordo con coloro che pensano che in realtà tra i due ci sia stata una forte passione d’amore, passione bruciata in un tempo brevissimo. Mi occupo di arte e letteratura russa da diversi anni e nel mio lavoro di ricerca spesso utilizzo materiali reali e documenti d’archivio che mi permettono di analizzare, confrontare e convalidare ipotesi. Quando ho deciso di “rileggere” questa storia che inizialmente ho scritto soltanto per essere recitata, accompagnata dalla straordinaria musica di Igor Stravinskij, il materiale a mia disposizione era ben poco ed era lo stesso che, chi mi ha preceduto, aveva già utilizzato: l’unico disegno sopravissuto che Modigliani aveva fatto ad Achmatova, la serie delle Cariatidi, in particolare la Mademoiselle Grain de Café, in cui è facile rintracciare la poetessa russa e la memoria lasciata da Anna che condensa in poche pagine questo incontro. Ho letto e riletto il testo anche in lingua originale, e più lo leggo, mi sembra di ritrovare l’Amore, nel senso vero della parola, ovvero la fusione perfetta di fisicità e di intelletto, quell’Amore che come in altri casi nella storia della letteratura, si è preservato nell’opera d’arte e nel testo scritto e ci è stato consegnato a noi . E anche in questo caso ritengo che l’opera d’arte e il testo siano un simbolo, inteso come rappresentazione visibile dell’invisibile, dove la realtà non è semplicemente un insieme di fatti concreti, di sostanze che esistono di per sé e sono indipendenti da chi ne fa esperienza, ma è creata dall’attività cognitiva dell’uomo che gli dà forma e ne organizza la molteplicità. 71 Del resto l’essere umano altro non è che una sorta di soggetto simbolico che è in grado di costruire tanti tipi di realtà quanti sono i diversi sistemi simbolici che utilizza nell’analizzarla. Dei simboli e del rapporto tra i segni, se ne è occupato tutto il pensiero filosofico occidentale, fino ad arrivare al fondatore della semiotica, Charles Sanders Pierce, e della semiologia Ferdinand de Saussure: sulla loro scia molti altri ancora, tra cui spicca Umberto Eco. Non è questo il contesto per un’analisi di tipo semiotico e semiologico approfondita che mi porterebbe ovviamente su strade di altro tipo. Tuttavia ritengo che per una migliore comprensione della suggestione che ha impresso in me il segno artistico e grafico farei riferimento a Natale Spineto1 che citando a sua volta Dionigi l’Aeropagita2 afferma che “la verità può essere trasmessa [...] in maniera logica oppure simbolica. Il simbolo enuncia l’inadeguatezza del dato o dell’immagine ad esprimere il sacro e nello stesso tempo si dimostra quale il mezzo più opportuno per rivelarlo, perché il vero è invisibile, illimitato, inattingibile”. Tutto quanto esposto sin d’ora si va ad unire ad un altro elemento molto importante: Amedeo era toscano, la sua città era Livorno, una città che sebbene io sia carrarese è per me abbastanza vicina per legami di parentela, e c’è poi la Russia, che si incarna perfettamente in Anna, questo paese che amo tantissimo, a cui dedico da vent’anni il mio studio. Nell’identificarmi spesso io stessa in queste due culture, ho ritrovato in Anna e in Amedeo l’incontro perfetto tra l’Italia e la Russia, due mondi apparentemente così lontani, ma in realtà così vicini, che si sono fusi mirabilmente nel brevissimo spazio di pochi attimi dando origine a una sintesi rara. Natale Spineto, I simboli nella storia dell’uomo; Jaca Book, Milano, 2002, p.7. Dionigi l’Areopagita, giudice dell’areopago che, secondo gli Atti degli apostoli (17,22), fu convertito alla Cristianità dalla preghiera dell’apostolo Paolo. Viene a lui attribuito il Corpus Dionysianum, scritti di natura mistica, in cui l’autore spiega utilizzando il linguaggio neoplatonico le idee teologiche e mistiche cristiane. 1 2 72 A Anna Achmatova è senza dubbio una tra le più grandi poetesse russe del Novecento. Corteggiata e ammirata da tutti, Anna si contraddistingueva per il suo talento poetico, per la straordinaria bellezza e per la naturale eleganza che contribuirono a fare di lei una figura di spicco nel mondo culturale e artistico della Pietroburgo imperiale a cavallo tra i due secoli. E proprio la magica Pietroburgo di A. Puskin1 fece da sfondo ai suoi spensierati anni giovanili, anni pieni di speranze per l’avvenire, di energia, di grande vitalità; poi anche lei venne travolta dagli avvenimenti che si susseguirono in Russia: la Rivoluzione, le amare disillusioni, la repressione, il terrore staliniano. A differenza di molti intellettuali, suoi amici, che scelsero la via dell’esilio o l’altra via sicuramente più radicale e risolutiva, il suicidio, Anna decise di rimanere nella sua Russia con la piena consapevolezza delle conseguenze che avrebbe subito. Il suo primo marito Nikolaj Gumilev2 fu arrestato e fucilato nel 1921, accusato di aver preso parte a un complotto monarchico, e il figlio Lev, solo perché portava il cognome del padre venne arrestato il 10 marzo del 1938, anche se in realtà venne accusato di voler rovesciare il regime attraverso l’assassinio di dirigenti politici. Lev fu condannato a dieci anni di prigionia in un campo e ad altri quattro anni di privazione dei diritti civili con la conseguente confisca di tutti i beni. E sarà proprio Anna, con un gesto di grande coraggio a rivolgersi a Stalin in persona per chiedergli di restituirle il secondo marito che a sua volta era stato arrestato, e il figlio. Giudicata troppo lirica e intimista, poco incline a seguire i dettami imposti dalla letteratura del socialismo reale, la sua poesia fu praticamente bandita a Aleksandr Sergheevic Puskin (1799-1837), il più grande poeta russo, genio incontrastato nel panorama letterario russo. 2 Anna Achmatova ebbe tre mariti, il primo fu il poeta Nikolaj Gumilev dal quale ebbe il figlio Lev e da cui divorziò nel 1918. Successivamente sposò l’assiriologo Vladimir Silejko e poi lo storico dell’arte Nikolj Punin 1 73 tal punto che le fu impedito di pubblicare dal 1925 al 1958. Nonostante ciò, la sua fama e il rispetto per la sua figura così piena di dignità e la sua capacità di sopportare ogni limitazione con coraggio, crescevano sempre più, il grande pubblico non l’abbandonò mai e il dolore e la sua tragedia personale divennero una cosa sola con la Russia. Fu soltanto durante gli ultimi anni di vita, che l’Achmatova venne “riabilitata” e le fu nuovamente tributata la fama e il successo, negati per tanti e lunghi anni. Il suo legame con l’Italia fu fortissimo, prima della Rivoluzione, nel 1912, visitò Genova, Pisa, Firenze, Bologna, Padova e Venezia, soltanto nel 1964 – dopo aver ottenuto il permesso di recarsi all’estero, per la prima volta dopo la Rivoluzione – Anna fu a Roma, oltre che in Sicilia dove ricevette il premio Etna-Taormina. Quando morì ebbe un funerale di Stato e la bara fu seguita da un enorme corteo che voleva mostrare gratitudine ad una figura esemplare che aveva saputo esprimere i sentimenti di tutto un popolo nei momenti più difficili di una storia personale e collettiva. Cinquant’anni dopo l’incontro con Modigliani, Anna scriverà la monografia “Amedeo Modigliani” dove parla del geniale amico che le aveva fatto e regalato 16 ritratti. Tutti, tranne uno, furono smarriti nella tempesta della rivoluzione russa e delle guerre. L’unico sopravvissuto con la dedica, era per Anna un bene prezioso, che conservò gelosamente nella valigetta dove custodiva tutto ciò che le era rimasto. La poetessa consegnò personalmente il testo originale, che fa parte delle “Memorie”, a Giancarlo Vigorelli, che nella traduzione di A. M. Ripellino, lo pubblicò in esclusiva mondiale su “L’Europa Letteraria” (n. 27, Roma, marzo 1964)3. La figura di Modigliani occupa moltissimo spazio nell’opera poetica di Anna. Anche Achmatova lo ha – importantissimo – nell’opera di Modigliani, soprattutto nel famoso “Période nègre”. Anna Achmatova e Amedeo Modigliani si erano incontrati per la prima volta a Parigi nel 1910. La Parigi degli artisti, dei Salon d’Automne, la Parigi russa così seducente e affascinante, crocevia artistico di tutti gli intellettuali europei e non solo, favorì sicuramente il loro incontro. Proprio in quell’anno nella capitale francese era giunto da San Pietroburgo Igor Stravinskij4. Era venuto al seguito dei Balletti Russi, la famosa compagnia dell’impresario Serghej Diaghilev5 che aveva portato in Europa occidentale la musica, i coreografi e i danzatori russi. In quello stesso anno Djaghilev aveva commissionato a Stravinskij il primo balletto L’Uccello di Fuoco che venne rap- Per il presente lavoro è stato utilizzato il testo tradotto da A.M.Ripellino. Igor Stravinskij (1882-1971) 5 Serghej Djaghilev (1872-1929), impresario teatrale russo, organizzatore e direttore artistico dei famosi Ballets Russes, da cui presero il via le carriere artistiche di importanti ballerini e coreografi. 3 4 74 presentato il 20 giugno del 1910. Poi Stravinskij compose la seconda partitura per Diaghilev, l’originalissimo Petruska, che venne rappresentato il 13 giugno 1911. E’ cosi che Anna, attraverso la limpidezza della sua prosa ci trasmette l’atmosfera che si respirava a Parigi in quegli anni: “Ciò che era allora Parigi, già all’inizio degli Anni Venti veniva chiamato “Vieux Paris et Paris avant guerre”. Numerose ancora prosperavano le carrozze con le loro bettoline “Au rendez-vous des cochers” ed erano ancora vivi quei miei giovani contemporanei che presto sarebbero periti sulla Marna e presso Verdun. Tutti gli artisti di avanguardia, tranne Modigliani, erano riconosciuti. Picasso era altrettanto famoso di quanto lo è oggi, ma chissà perché si diceva sempre “Picasso e Braque”. Ida Rubinstein recitava Salomè, i “Balletts Russes” di Diaghilev (Stravinskij, Nizínskij, Pàvlova, Bakst, Karsàvina) erano diventati una tradizione elegante. Adesso ci è chiaro che il destino di Stravinskij non è rimasto inchiodato al Dieci; la sua opera è divenuta la suprema espressione musicale dello spirito del Ventesimo secolo (...). L’apertura dei nuovi boulevards attraverso il corpo vivo di Parigi (se ne veda la descrizione in Zola), non era ancora del tutto conclusa (Boulevard Raspail).Werner, un amico di Edison, mostrandomi alla Taverne du Panthéon due tavolini, mi disse: “Ecco i vostri socialdemocratici: qui i bolscevichi e là i menscevichi”. Con alterno successo le donne tentavano di portare ora“jupes-culottes”, ora “jupes entravées”, quasi fasciando le gambe. I versi languivano nell’abbandono, e si acquistavano solo per le vignette di pittori più o meno famosi. Già allora io capivo che la pittura parigina aveva divorato la poesia francese. René Ghil propugnava “la poesia scientifica”e i cosiddetti scolari di questo maestro gli facevano visita di malavoglia. Un operaio italiano rubò la Gioconda di Leonardo, per riportarla in patria.. (...) “A quel tempo i primi aeroplani, (Gumiliòv: su pesanti macchine rombanti / penetrare le nubi tempestose...) leggeri e simili, com’è noto, a scansie, volteggiavano sopra la mia rugginosa e sbilenca coetanea Torre Eiffel, (1889). Essa rassomigliava, ai miei occhi, a un gigantesco candeliere, dimenticato da un colosso in mezzo a una capitale di nani. ma tutto ciò ha qualcosa di gulliveriano. …e intorno imperversava il cubismo da poco vincitore, il cubismo che restò estraneo a Modigliani Marc Chagall aveva già portato a Parigi la sua magica Vitebsk e per i viali di Parigi camminava, giovane sconosciuto, astro non ancora sorto, Charlie Chaplin,(il Grande Muto ancora eloquentemente taceva).6 Ma come si conobbero l’Achmatova e Modigliani? Chi era Achmatova pri- Anna Achmatova. I miei incontri con Modigliani, in Maiolino, Enzo, Modigliani vivo. Testimonianze inedite e rare. Fògola Editore (Torino, 1981) pp. 155-156-157. 6 75 ma che incontrasse il grande artista italiano? E Modigliani cosa faceva a Parigi? Anche Anna come Amedeo era nata sul mare, precisamente a Bolshoj Fontan, nei pressi di Odessa nel 1889. E Odessa, come Livorno era ed è un importantissimo porto. Anna fece appena in tempo a vedere il mare che la sua la famiglia si trasferì prima a Pavlovsk, poi nel 1905 a Zarskoje Selo, il villaggio degli zar, a pochi chilometri da Pietroburgo, residenza estiva della corte imperiale e sede del Liceo che ebbe tra i suoi allievi anche Puskin. Alla sola età di cinque anni Anna parlava già il francese, a undici aveva scritto la prima poesia. Ne scrisse moltissime ancora soprattutto da giovane studentessa presso il Liceo femAnna Achmatova minile e quando manifestò l’intenzione di pubblicarle decise di sottoporle al giudizio del suo severo padre, il quale, senza esitare, la definì poetessa decadente suggerendole di scegliere un altro nome, uno pseudonimo per esempio, per non offrire l’onorato nome di famiglia alla curiosità dei giornali. Anna non ci pensò due volte. Anna si chiamava, infatti, Anna Andreevna Gorenko e la sua famiglia vantava origini illustri: si diceva che discendesse dal grande khan tartaro Achmat che nel 1480 aveva lanciato l’ultima grande offensiva dell’Orda d’Oro contro i Principi di Mosca e che fu ucciso nella sua tenda da un pugnale russo ma da mano tartara. Ad Anna spesso piaceva dire quasi con civetteria che tra i suoi antenati vi era anche il leggendario Gengis Khan, detto fatto Anna Andreevna Gorenko divenne Anna Achmatova. Anna, fin da bambina, nascondeva un segreto di cui il suo primo marito Nikolaj Gumilev ne verrà subito a conoscenza tanto che la chiamerà spesso nei suoi versi koldun’ja, cioè strega. Pochi sapevano che era una chiaroveggente, che leggeva il pensiero altrui, avendo pure visioni premonitrici. Non a caso era nata il 23 giugno nella notte di San Giovanni, o come si festeggiava nel mondo slavo pagano “la notte di Ivan Kupala”, notte in cui si risvegliavano le streghe e le rusalki dai corsi d’acqua della Russia, notte di magie e di incantesimi. La tradizione vuole che in quelle ore le potenze sia del bene che del male siano talmente forti che la Chiesa Ortodossa avesse istituito speciali riti di purificazione. 76 Queste superstizioni conservavano la loro forza anche tra l’intellighenzia e all’Achmatova piaceva avere poteri pericolosi. Nei suoi versi Anna chiamerà spesso se stessa rusalka e sonnambula. La sua amichetta di Zarskoje Selo la ricorda in una notte di plenilunio mentre cammina in un vestito bianco sul tetto di casa. Un’altra amica la ricorda come nuotava nelle acque scure dei laghetti e stagni e cosi la descrive “era sottile e flessuosa come una verghetta di salice e nuotava bene come una vera e propria rusalka”. 7 E così la giovane strega e rusalka vagava per le vie e i parchi di Zarskoje Selo. Il Villaggio degli zar, in effetti, dove ancora oggi domina – con i suoi colori bianco azzurro e le fiabesche cupole dorate – la residenza estiva di Caterina, era un mondo molto particolare: a pochi chilometri da Pietroburgo, immersa nel verde e nei corsi d’acqua, era il luogo preferito, per riparasi dalla calura estiva dell’aristocrazia e nobiltà pietroburghese. Nel 1905 i genitori di Anna si separarono e la giovinetta insieme alla madre e ai fratelli si trasferì sul Mar Nero poi a Kiev, dove terminò il ginnasio e s’iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dei Corsi Femminili Superiori. Si trasferì di nuovo a Pietroburgo per frequentare i corsi superiori femminili di Raev. Fu nell’anno 1910 che decise di sposare Nikolaj Gumilev8. L’elegante poeta, con le sue impeccabili divise bianche di ufficiale zarista, si era innamorato pazzamente di lei fin dal primo momento che la vide a Zarskoje Selo, dove si era venuto a stabilire con la famiglia nel 1903, dopo diversi anni passati a Tbilisi (Georgia). Fu amore a prima vista da parte sua, invece pare che Anna lo rifiutasse molte volte. L’atteggiamento di Anna nei confronti di Gumilev era sempre stato abbastanza confuso. Nel 1907 scriveva a S. Stein: “Mi sposerò con il mio amico d’infanzia Nikolaj Stepanovic Gumilev. Lui mi ama già da tre anni ed io credo che il mio destino sia di essere sua moglie. Se lo amo veramente non so…”9. Nonostante questa confessione nel 1908 Anna rifiuta per l’ennesima volta la proposta di matrimonio, allora Gumilev ormai rassegnato se ne andò a Parigi dove, tra le varie cose, pubblicherà sulla rivista “Sirius” una poesia di Anna. Tornò a Zarskoje Selo l’anno dopo e chiesta nuovamente la mano di Anna, questa volta lei accettò. Che cosa fosse cambiato in Anna non c’è dato saperlo, forse era diventato più interessante ai suoi occhi? Forse si era veramente innamorata di lui? Certamente ad Anna non mancavano i corteggiatori, il fatto è che il 25 aprile del 1910 lei 7 Nosik, Boris, Anna i Amedeo, istorija tainoj ljubvi Achmatovoj I Modigliani. Vagrius ed. (Mosca, 2005) pp19-20. 8 Nikolaj Gumilev (1886-1921), fondatore della Corporazione dei poeti, da cui prese vita il movimento acmeista. 9 Op.cit. p.27. 77 e Gumilev si sposarono a Kiev nella cattedrale Nikolskij, lungo le rive del fiume Dnepr. Nessun membro della famiglia di Anna si presentò: i Gorenko ritenevano che questo matrimonio fosse un grave errore. Subito dopo le nozze i coniugi partirono per la luna di miele, ma dove potevano andare due giovani poeti russi se non a Parigi? E così fu. Ed è proprio a Parigi che la attenderà il primo incontro con Amedeo che Anna non conosceva e di cui non aveva sentito minimamente parlare. All’inizio di giugno del 1910 era possibile incontrare gli sposi Gumilev per le strade di Parigi. Ci sembra quasi di vederli uscire la mattina dopo la colazione, allegri e desiderosi di Tessera ferroviaria di Anna Achmatova andare a visitare le meraviglie che la città offriva. Anna era particolarmente felice perché vedeva per la prima volta la capitale francese e sentiva parlare con una scioltezza naturale la lingua di cui aveva sempre amato la poesia. Visitarono la Tour Eiffel, passeggiarono lungo i Grand Boulevard, ammirarono le eleganze delle donne parigine, la Parigi delle piazze piene di verde e dei vicoli acciottolati con le fiaschetterie. E ancora visitarono i musei, la città medievale di Cluny e il Quartiere latino, che Gumilev amava molto. E in una Parigi bellissima ed elegante ancora ignara dei disastri che porterà di lì a poco la Grande Guerra, tutti guardavano Anna che colpiva per la bellezza aristocratica e per la classe. Anna, in effetti, era considerata una delle più belle donne del suo tempo, si vociferava che di lei si fosse perfino innamorato a suo tempo anche lo zar Nicola II. Alta, magra, con lunghe gambe, braccia sottili, un viso illuminato da occhi sensibili e acuti, un naso aquilino che aveva affascinato i suoi ritrattisti, era l’immagine della femminilità, affascinante, dominante e misteriosa. E quest’alone di mistero talvolta si accentuava ancor più quando in lei si fondevano per chissà quali strane alchimie il suo essere chiaroveggente, rusalka, strega e poetessa allo stesso tempo e così agli occhi dei passanti appariva come una misteriosa aristocratica giunta da chissà quale misterioso paese. Passeggiando per la città e godendo delle meraviglie che si presentavano davanti al suo sguardo, Anna era assolutamente ignara che a breve avrebbe 78 incontrato Amedeo Modigliani. Anche la vita di Amedeo, come quella di Anna era una vera e propria leggenda. Modigliani sosteneva che la vita doveva essere vissuta fino in fondo, senza inutili sacrifici, incurante degli ostacoli, ma con una ben chiara meta, talvolta anche con dolore, al fine di salvare il proprio sogno. Anche lui come Anna era un chiaroveggente e di questo pochi ne erano a conoscenza e di tale dote particolare ne fa riferimento esplicito la stessa Anna nella sua memoria: “Ora capisco, che in me soprattutto lo aveva colpito la mia facoltà di indovinare i pensieri, di vedere i sogni altrui, e varie inezie, alle quali erano già abituati coloro che mi conoscevano da tempo. Ripeteva sempre: “On communique”. Spesso diceva:“Il n’y a que vous pour réaliser cela””.10 Scoprì probabilmente di avere questi doti in età precoce, infatti all’età di soli quattordici anni a causa di un terribile delirio dovuto ad una febbre tifoidea, Amedeo rimase in sospeso tra la vita e la morte per diverso tempo. Proprio durante la convalescenza frequentò l’atelier del pittore livornese Guglielmo Micheli, dove conobbe Oscar Ghiglia. E’ in questo periodo che scoprì la bohème, il tabacco, le donne e soprattutto lo spiritismo. I suoi contemporanei ce lo descrivono come un ragazzo bellissimo e affascinante, come possiamo leggere nella testimonianza lasciataci dal suo primo mecenate Paul Alexandre11: ““Modigliani affascinava fin dal primo istante” “Nonostante la bassa statura (era alto meno di un metro e sessanta), era molto bello e aveva un gran successo con le donne”; “ Era un aristocratico nato” (…) “Modigliani aveva il gusto del rischio. Egli pensava che non bisogna aver paura di rischiare la vita per renderla grande. Insieme a un’acuta intolleranza per la vita mediocre, c’era in lui la pretesa dei privilegi dei principi”; “ E che aveva una passione esclusiva per la sua arte. Neanche parlarne di abbandonare anche per un solo istante, per dei compiti che ai suoi occhi apparivano sordidi, ciò che era la sua stessa ragione d’essere”; “Possedeva già radicata in sé, la certezza del proprio valore. Sapeva di essere un iniziatore , non un epigono””. Modigliani aveva lasciato la sua Livorno giungendo a Parigi nel 1906 all’età di soli ventidue anni. Chissà cosa avrà significato per lui, come del resto per molti altri giovani artisti del suo tempo, abbandonare la propria terra, i propri affetti, andare lontano da tutti e da tutto. Ma era forte e quel senso di forza gli derivava probabilmente dalle battaglie che aveva condotto contro la malattia e contro la morte. Parigi era allora per tutti gli inquieti, gli sradicati e anche per i veri profeti e per schiere di illusi e di velleitari, il vero luogo d’approdo per cercare il cata- Op. cit. P. 149 Modigliani, Amedeo, L’angelo dal volto severo. Catalogo della Mostra, Milano, Palazzo Reale 21 marzo-6 luglio 2003, Skira edizioni, Milano 2003, pag 12 -13. 10 11 79 lizzatore della propria, vera o presunta vocazione. Parigi, la città del sogno, nella quale ogni genio sregolato, ritenuto tale in patria, nella sua città, un pazzo da segnare a dito, si poteva finalmente sentire a suo agio in mezzo a tanti altri, ritenuti anch’essi folli, pur nel pieno esercizio d’ogni eventuale sua follia o stravaganza. A Parigi c’era Cézanne, che morì l’anno stesso dell’arrivo di Amedeo. C’erano Matisse e Picasso. C’era Soutine che farà parte del cerchio delle sue amicizie più intime. C’era lo scultore Brancusi. C’erano anche Utrillo e Diego Riviera. L’anno dell’incontro con Anna, Amedeo aveva esposto con successo sei opere al Salon des Indépendants, tra cui spicca il Amedeo Modigliani, 1915 Violoncellista e venne segnalato entusiasticamente dal critico Alexandre. Questo è il periodo in cui Modigliani lavora ancora contemporaneamente alla scultura e alla pittura. Successivamente a partire dal 1911 avrà inizio la produzione famosa nota con il nome di Cariatidi,12 tra cui, in una, la famosa Mademoiselle Grain de Café13, sembra abbia tratto ispirazione dalla stessa Anna che probabilmente posò per lui. Di questa passione per l’arte africana e per la scultura ce ne parla la stessa Anna nella sua memoria: “A quel tempo si occupava di scultura, lavorando in un cortiletto vicino allo studio (nel deserto vicolo si udiva il battito del suo martellino), in aspetto operaio. Le pareti del suo studio erano tappezzate di ritratti di inverosimile lunghezza (se ben rammento dal pavimento al soffitto). Non ne ho mai visto riproduzioni: sono sopravvissute? Egli chiamava la sua scultura “la chose”: fu esposta mi pare agli Indipéndants, nel 1911. Mi pregò di venirla a vedere, ma alla mostra non mi avvicinò, perché non era sola, ma con amici. Nell’epoca delle mie grandi perdite, è scomparsa anche la fotografia che mi aveva donato di questa “sua cosa”. Il periodo cosiddetto delle Cariatidi si colloca dal 1911 al 1913, Modigliani era particolarmente affascinato dall’arte etrusca, ma anche dall’arte negra, molto in voga quando arriva a Parigi. Le numerose cariatidi dipinte da Modigliani a partire dal 1910 sono studi preparatori per sculture: ne esegue due a figura intera, le altre due sono solo teste. Tra il 1911 e il 1913 dipinge una dozzina circa di oli di grande formato, studi approfonditi di sculture che sogna di realizzare. 13 Olio su tela 72,5x50 cm conservato a Dusseldorf, Kunstsammlung, Nordrehein Westfalen. 12 80 A quel tempo Modigliani s’infervorava per l’Egitto. Mi conduceva al Louvre a visitare il reparto egiziano, assicurandomi che “tout le reste” non meritasse attenzione. Disegnò la mia testa con gli addobbi delle regine egiziane e pareva del tutto ammaliato dalla grande arte dell’Egitto. E’ chiaro, l’Egitto fu la sua ultima infatuazione. Presto sarebbe divenuto cosi originale da non richiamare più nulla alla mente di chi ne gurada le tele. Questo periodo di Modigliani viene ora chiamato “période nègre”. Diceva “Les bijoux doivent être sauvages” riferendosi alle mie perle africane, e mi ritrasse con quella collana.”14 Con la larga giacca di velluto alla maremmana, un foulard rosso al collo e un cappello a larghe falde, Modigliani si era ben introdotto nella vita di Montmartre. Modì trascorreva le sue giornate dipingendo e partecipando alle discussioni sull’arte nei vari café. Amedeo Modigliani, Testa di La Parigi artistica era quella dei café, dei bistrot Cariatide (part.) e dei cabaret, dove c’erano accesissime discussioni sull’arte, sulla poesia e sulla musica, riunendo gli “spiriti nuovi” del XX secolo. In particolare al café La Rotonde di Montparnasse si ritrovavano artisti e poeti, scultori, pittori, attrici, calorosamente accolti dal proprietario Victor Libion. La Rotonde con i suoi illustri ospiti, con la musica e le sue voci diventerà il palcoscenico del primo incontro tra Anna e Amedeo. Era tardo pomeriggio. Il giorno s’involava velocemente verso il tramonto che a breve avrebbe pennellato con i suoi colori rosso-arancio tutta Parigi. Era una calda serata di giugno . Quel giorno Amedeo aveva lavorato molto e come di consueto intorno alle sei uscì dal suo studio e si diresse a La Rotonde. Indossava la solita giacca con la sciarpa rossa e teneva in mano un blocco notes azzurro. Il Café non era ancora affollato a quell’ora. Entrò, si guardò intorno, poi si andò a sedere ad un tavolino. Era solo. I suoi amici come di consueto sarebbero arrivati più tardi. Amedeo cominciò a disegnare. Interrompeva qua e là il suo lavoro sorseggiando del vino che gli era stato portato al tavolo dal cameriere. 14 Op.Cit. pp. 150-151. 81 Parigi. Amedeo Modigliani, Pablo Picasso e André Salmon Ogni tanto alzava gli occhi alla ricerca di qualcosa che lo potesse ispirare. E proprio mentre si guardava intorno, a un certo punto lo sguardo s’incrociò con un altro. Gli apparve una giovane donna, mai vista prima. “Chissà da dove viene?” si domandò, con il cuore che cominciò a battere velocemente. Del resto Amedeo era particolarmente sensibile al fascino delle belle donne, e subito pensò “Che strano, le donne vengono così raramente a quest’ora in questo locale”. Anche lei rimase come trafitta da quello sguardo che non resse, abbassò immediatamente gli occhi, chissà, forse per pudore. Amedeo si alzò istintivamente e le si andò a sedere davanti. Anna era sola. Proprio qualche minuto prima, davanti all’entrata de La Rotonde, Gumilev aveva incontrato una sua vecchia conoscenza di Parigi e si era fermato a chiacchierare; Anna, stanca per la lunga camminata, gli aveva detto che lo avrebbe aspettato all’interno. Era curiosa di vedere questo Café famoso, frequentato anche da molti esuli politici russi che in quel periodo vivevano a Parigi. Appena entrata, Anna aveva notato da subito quell’uomo, bello, interessante e con la sciarpa rossa. Ancora dopo tanti anni lei continuerà a raccontare di questo istante, e ogni volta lo faceva in modo diverso, rilevando sempre che Amedeo non assomigliava a nessun altro uomo al mondo. “Penso che sia un ebreo e com’è interessante!” pensò Anna tra se e sé. E Amedeo “Che interessante francese!”. Mai e poi mai Amedeo avrebbe pensato che Anna fosse russa. Fu lei a cominciare a parlare, in francese, naturalmente: “Come potete lavorare in questo inferno?” E lui prontamente rispose: “Sì, avete proprio indovinato. Questo è un inferno. Il mio paese è l’Italia, dove si respira ovunque l’arte. La mia città natale è Livorno. La mia felicità e la mia salute non sono qui, sono rimaste là. Ma dipingere è più forte e soffro, sono infelice ma lavoro. Solo a Parigi mi è possibile lavorare, anche se qui la vita è dura”. Anna aggiunse: “Anch’io vengo da molto lontano, sono russa e scrivo versi”. In quel preciso istante Anna aveva come dimenticato per quale motivo, si trovasse a Parigi, che era in luna di miele e che era con suo marito, non aggiunse altro, infatti. Era come se quell’incontro avesse catalizzato verso di sé tutte le 82 loro esistenze e allo stesso tempo avesse riempito di un’energia straordinaria lo spazio circostante, annullando tutta la realtà intorno. All’improvviso Amedeo tracciò una linea sul suo blocco che le mostrò. Anna rimase sconvolta e all’improvviso sentì qualcosa di talmente forte che come presa da una paura improvvisa, si alzò di scatto per andarsene. Dalle porte di vetro intarsiato di fiori di mille colori si poteva scorgere la sagoma di Gumilev che stava ancora parlando animatamente con il suo amico parigino. Amedeo la afferrò per un braccio e le chiese di fermarsi ancora un attimo e di lasciargli l’indirizzo. Se solo Gumilev fosse entrato in quel momento e avesse assistito alla scena, probabilmente, la loro storia avrebbe avuto un seguito diverso. Anna, sorpresa dalla richiesta, rispose: “Ve lo porterò, tornerò ancora” e uscì. Anna convinse Gumilev a continuare la passeggiata. Con la scusa banalissima di aver lasciato il suo scialle la sera prima su una sedia del Café, Anna tornò il giorno dopo a La Rotonde alla stessa ora con la speranza di rivederlo. Per chissà quale strano motivo del destino, anche questa volta Gumilev la aspettò fuori. E Amedeo era lì, come se la stesse aspettando: Anna gli porse velocemente un foglietto accartocciato e ingiallito e fuggì via prima di essere vista. La luna di miele finì, i coniugi Gumilev fecero ritorno in Russia e Anna lasciando la Francia portò con sé la speranza e il desiderio di rivedere il bel giovane toscano che l’aveva ritratta sul suo blocco. Amedeo, il cui volto le era rimasto impresso come un’immagine indelebile nella memoria, le scrisse tutto l’inverno lettere folli piene di frasi d’amore. L’anno dopo, esattamente all’inizio dell’estate, Anna decise di tornare a Parigi. Questa volta da sola. Anna giunse a Parigi esattamente un anno dopo all’inizio dell’estate. Alloggiò sulla riva sinistra della Senna, in Rue Bonaparte, non lontano dal Boulevard St. Germain. Sarebbe molto interessante conoscere i dettagli di questo viaggio, purtroppo non c’è dato saperlo, le informazioni si sono perdute probabilmente nella tragedia delle guerre e in quella personale della stessa Anna. Probabilmente fu lo stesso Gumilev a pagarle il viaggio e Amedeo a trovarle l’alloggio. In effetti, la casa in cui alloggiò era vicino a Montparnasse e all’Impasse Falguière dove l’artista aveva il suo laboratorio. E’ assolutamente ignoto cosa sapesse e cosa pensasse Gumilev di quel viaggio e chi dei russi che vivevano a Parigi vide Anna insieme a Modigliani. Amedeo arrivò con un’ora di anticipo alla stazione e quando la vide scendere dal treno la trovò ancora più bella di quando l’aveva vista esattamente un anno prima a La Rotonde; non notò nemmeno i segni della stanchezza sul volto, dovuti al lungo viaggio. Lui, invece, agli occhi di Anna apparve cambiato: “Presto fede a coloro che lo descrivono diversamente da come io lo conobbi. Ed ecco perché. Anzitutto 83 io potei conoscere solo un aspetto della sua natura (quello splendente): ero soltanto un’estranea, una straniera, una donna ventenne probabilmente non molto comprensiva; e poi io stessa notai in lui un gran cambiamento, quando ci incontrammo nel 1911. Si era come offuscato e smagrito”.15 E così ebbe inizio quella storia che Anna porterà sempre con sé nel cuore e, negli anni terribili, contrassegnati da dolori e privazioni, il ricordo di Amedeo la aiuterà a sopravvivere.. Due anime giovani, di una sensibilità superiore, due artisti che trovano il loro pieno completamento fisico e spirituale, che così raramente s’incontra. L’intensità di questi attimi, immortalati nel segno grafico e artistico, hanno sconfitto il tempo e ci sono stati consegnati intatti e sicuramente vivranno in eterno. Per entrambe era importante vivere più intensamente possibile questo momento, non cosa sarebbe stato il dopo. “Probabilmente io e lui non capivamo una cosa essenziale: che tutto ciò che stava accadendo era preistoria della nostra vita: molto corta la sua , la mia molto lunga. Il soffio dell’arte non aveva ancora incenerito, né trasformato queste due esistenze: doveva essere un’ora luminosa, leggera, antelucana. Ma, com’è noto, il futuro proietta la sua ombra molto prima di entrare, bussava alla finestra, si nascondeva dietro i lampioni, intersecava sogni e metteva spavento, con la terribile Parigi di Baudelaire, che ci stava accanto, chissà dove in agguato. E tutto ciò che v’era di divino in Amedeo sfavillava soltanto attraverso uno strato di tenebre. Aveva la testa di Antinoo ed occhi dalle scintille d’oro, - non assomigliava assolutamente a nessuno al mondo. La sua voce mi è rimasta per sempre nella memoria. Lo sapevo povero, tanto che non si capiva di cosa vivesse,- come artista, nemmeno un’ombra di riconoscimento”. E così trascorsero questi momenti indimenticabili Anna e Amedeo: “Abitava allora (nel 1911) all’Impasse Falguière. Era indigente a tal punto che al giardino del Lussemburgo noi sedevamo sempre su una panchina, e non, come usava, su seggiole a pagamento. Non si lagnava affatto né della miseria del tutto palese né dell’altrettanto palese disconoscimento. Solo una volta nel 1911 disse che nell’inverno precedente aveva avuto tali disagi, da non poter nemmeno pensare a ciò che gli era più caro. Mi pareva attorniato da un anello compatto di solitudine. Non ricordo che salutasse qualcuno al giardino del Lussemburgo e al Quartiere Latino, dove tutti più o meno si conoscevano. Non udii da lui nemmeno un nome di conoscente, di amico o pittore, da lui non udii nemmeno uno scherzo. Non una volta lo vidi ubriaco, e non emanava sentore di vino. È evidente che cominciò a bere più tardi, ma l’hascisc già compariva nelle sue narrazioni. Non aveva allora palesemente una compagna di vita. Non raccontava mai novelle (come , ahimè, tutti fanno) sui suoi invaghimenti di prima. Con me non soleva parlare di 15 Op.cit. p. 149 84 cose terrene.. La sua cortesia era conseguenza, non dell’educazione domestica, ma della sublimità del suo spirito”.16 Amedeo fece da guida ad Anna a Parigi: “Mi portava a vedere le vieux Paris derrière le Panthéon, di notte, alla luce lunare. Conosceva bene la città, eppure una volta ci smarrimmo. Disse: “J’ai oublié qu’il y a un ‘île au milieu [L’île St Louis]. Fu lui a mostrarmi l’autentica Parigi”.17 E mentre passeggiavano amavano recitare poesie: “Nella pioggerella (frequenti sono le piogge a Parigi), Modigliani andava con un enorme, decrepito ombrello nero. Sotto questo ombrello sedevamo talvolta su una panchina al giardino del Lussemburgo, cadeva una tiepida pioggia d’estate, accanto a noi sonnecchiava “le vieux palais à l’italienne”, e a due voci recitavamo Verlaine, che ciascuno di noi ricordava a memoria, felici di ricordare gli stessi passaggi.(...) Gli anziani ci indicavano per qual viale del giardino del Lussemburgo andasse, con uno stuolo di ammiratori , Verlaine, recandosi dal “suo caffè”, dove ogni giorno teneva cattedra, nel “suo ristorante” a pranzare. Ma nel 1911 per questo viale passava, non più Verlaine, bensì un alto signore dalla finanziera impeccabile, col cilindro e il nastrino della Legion d’honneur,- e i vicini bisbigliavano: “Henri de Régnier”. Per noi due questo nome non aveva alcun suono particolare. Di Anatole France, Modigliani (come, del resto, anche altri parigini colti), non voleva nemmeno sentir parlare. Si rallegrava che anch’io non lo amassi. E Verlaine, al Giardino del Lussemburgo, esisteva soltanto in aspetto di monumento, un monumento inaugurato quell’anno. Di Hugo, Modigliani disse semplicemente: “Mais, madame, Hugo c’est déclamatoire”. (...) Modigliani si rammaricava molto di non poter capire i miei versi e sospettava che vi si celassero chissà che miracoli, mentre erano solo i primi timidi tentativi.(...) Più d’ogni altra cosa noi parlavamo insieme di poesia. Sapevamo entrambi molti versi francesi: Verlaine, Laforgue, Mallarmé, Baudelaire. Non mi recitò mai Dante. Forse perché io non conoscevo ancora a quel tempo la lingua italiana”.18 Anna andava spesso da Amedeo e posava per lui: “Mi regalò i disegni che mi fece a casa sua. Erano sedici. Andarono perduti nella mia dimora di Zàrskoe Selò nei primi anni della rivoluzione. Ne è rimasto solo uno, in cui purtroppo si presagiscono meno che negli altri i suoi “futuri nudi”...19 Le loro giornate scorrevano via leggere nella Parigi calda di inizio estate. “Una volta, probabilmente per esserci male accordati, recatami da Modigliani, non lo trovai a casa; decisi di aspettare qualche minuto. Avevo in mano un 16 17 18 19 Op.cit, Op.cit. Op.cit, Op.cit. p.150 p.151 pp151,152, 156 p.156 85 fascio di rose rosse:la finestra sopra il portone chiuso dello studio era aperta. Non sapendo che fare, cominciai a buttar dentro lo studio quei fiori ad uno ad uno. Poi, non vedendolo venire me ne andai. Quando ci incontrammo, egli espresse il suo stupore che io fossi riuscita ad entrare nella camera, di cui lui aveva la chiave. Gli spiegai. Disse: “ Non può essere , erano disposti cosi bene… A Modigliani piaceva vagare di notte per Parigi e spesso, all’udire i suoi passi nel sonnacchioso silenzio della via, levatami dallo scrittoio, mi avvicinavo al davanzale, osservando attraverso le persiane la sua ombra che indugiava sotto le mie finestre.”20 E’ notte, la strada è deserta, c’è soltanto la luna, che con i suoi raggi opalini si insinua tra i palazzi e avvolge in un’aurea fiabesca e magica i due giovani artisti. Anna e Amedeo stanno rincorrendosi, forse hanno bevuto un po’ troppo, lei si nasconde nell’atrio di un portone, lui la cerca e appena trovata l’avvolge tra le sue braccia. Lei come in una danza, si lascia andare in un caschè. Amedeo la soffoca di baci. Poi, ebbri d’amore, per mano escono e corrono verso casa. Salgono di corsa le scale, dalla via si sentono le loro risa. Dalla finestra, senza tende, si vede proiettata dalla luce di una candela la loro ombra sul muro della stanza. Non si riescono a distinguere i due corpi. Il buio avvolge adesso la stanza. E arrivò anche il momento dell’addio, della loro ultima passeggiata, del loro ultimo incontro, l’ultima notte. E’ Anna ad andare da lui quella notte. Non c’è più la felicità e l’allegria dei giorni precedenti. Tutto adesso è molto triste, non ha senso promettersi che un giorno si sarebbero rivisti perché entrambi sapevano con certezza che non sarebbe stato possibile. Quell’autunno Anna, tornata a Zarskoje Selo scriverà “Il canto dell’ultimo incontro”, versi che in quel periodo divennero i più alla moda a Pietroburgo. Così debole il petto intirizziva, ma i miei passi erano lievi. Nella mano destra infilai Il guanto della sinistra. Parevano molti i gradini, ma io sapevo che erano tre soli! Un bisbiglio autunnale tra gli aceri Supplicò:“Muori con me!” 20 Op.cit. 152,153 86 Sono ingannato dalla mia sorte Squallida, volubile, maligna”. Risposi:“Mio caro, mio caro! Io pure. Morrò con te…” Questo è il canto dell’ultimo incontro. Volsi lo sguardo sulla casa buia. Soltanto nella camera ardevano candele D’una fiamma indifferentemente gialla. E poi ci furono le lacrime. La stazione, l’ultima conversazione, l’ultimo abbraccio. Amedeo l’accompagnò per l’addio. Lei gli aveva però chiesto di andarsene, non voleva che Amedeo la vedesse partire. E cosi Anna fece ritorno in Russia. Amedeo morirà nove anni più tardi, il 24 gennaio del 1920. Anna ebbe notizia della sua morte qualche tempo dopo: “All’inizio della NEP, quando io facevo parte della Direzione dell’Unione degli Scrittori, ci si riuniva nello studio di Aleksandr Nikolaevic Tichonov (Leningrado, Mochovaja 36, Casa Editrice della Letteratura Universale). Si ripresero allora i rapporti postali con l’estero, e Tichonov riceveva molti libri e riviste stranieri. Durante una seduta qualcuno mi diede il numero di una rivista francese di pittura. Aprii: una foto di Modigliani…Una croce…Un lungo articolo-necrologio, dal quale appresi che era un grande pittore del ventesimo secolo (ricordo che vi veniva paragonato a Botticelli), che su di lui esistevano già delle biografie in inglese e in italiano. Poi negli anni trenta mi parlò molto di lui Erenburg, che gli dedicò dei versi nel libro Liriche delle vigilie, e che lo aveva conosciuto a Parigi più tardi di me. Lessi di Modigliani anche nel libro di Carco, Da Montmartre al Quartiere Latino, e in un romanzo feuiletton, in cui l’autore lo metteva accanto a Utrillo. Posso affermare con sicurezza che questa figura non è affatto simile all’Amedeo del dieci-undici e che ciò che di lui ha fatto l’autore concerne la categoria degli espedienti vietati. Da noi lo conoscono, adesso, tutti coloro che si interessano di arte contemporanea. E all’estero, è cosi famoso che gli han consacrato, purtroppo , il film Montparnasse 19.”21 Anna, esattamente un anno prima di morire e ben cinquantaquattro anni dopo il loro ultimo addio, tornerà a Parigi e andrà vedere quella casa dove lei e Amedeo erano stati felici. Chissà cosa provò nel rivedere quella quella finestra…… Era il 1965. Anna Achmatova morirà a Domodedovo, nei dintorni di Mosca, il 5 marzo 1966. 21 Op.cit. p.158 87 Bibliografia Achmatova , Anna, Amedeo Modigliani ed altri scritti, a cura di Eridano Bazzarelli, SE Edizioni, Milano 2004. Achmatova, Anna, Poema senza eroe e altre poesie. Traduzione di Carlo Riccio. Giulio Einaudi Editore, Torino 1966. Achmatova, Anna, Sobranie Sochinenii, v shesti tomakh, a cura di A. M. Smirnova et al., 6 vol (Mosca 1998-2001). AA.VV. Storia della Letteratura Russa, Vol I, II e III Giulio Einaudi Editore, Torino, 1989. Bartolini, Luigi, Modì, Edizioni del Cavallino, Venezia, 1938. 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