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N otiziario
Scuoia e stampa nel Risorgimento
Per iniziativa del Centro studi Car­
lo Trabucco, si è svolto a Torino, il
3-4-5 dicembre 1987, un convegno
nazionale su “Scuola e stampa nel
Risorgimento. Giornali e riviste per
l’educazione prima dell’Unità” . Se
obiettivo primario del Centro tori­
nese è quello di promuovere e svol­
gere “ricerche su aspetti, problemi e
figure del movimento cattolico con
particolare attenzione alla realtà
piemontese ed al giornalismo loca­
le”, come risulta dalla serie di
“Quaderni”, è peraltro ormai prassi
del Centro stesso organizzare un
convegno annuale, che, pur focaliz­
zando temi di interesse locale, si
propone tuttavia di approfondirli in
ambito ed in prospettiva non solo
regionali, ma nazionali ed anche in­
ternazionali.
Il tema del convegno del dicem­
bre scorso, sul quale qui si intende
riferire, da un lato corrispondeva
agli interessi specifici del Centro,
dall’altro era motivato dalla recente
ricorrenza dei centocinquanta anni
della pubblicazione a Torino delle
Letture popolari di Lorenzo Vale­
rio, apparse nel 1836: tappa fondamentale della presa di coscienza del­
la centralità della educazione popo­
lare nell’Ottocento in genere e nel
Risorgimento in particolare.
Scopo esplicito del convegno era
l’approfondimento
dell’apporto
della “pubblicistica educativa, vei­
colo di modelli culturali e pedagogi­
ci, strumento di comunicazione del­
le esperienze straniere e. di rinnova­
mento didattico, luogo di discussio­
ne politica” . Senza dimenticare che
ripercorrere le vicende della stampa
per la scuola significa anche rico­
struire, attraverso ricerche condotte
nella realtà sociale, politica ed edu­
cativa degli stati preunitari, una
parte della storia risorgimentale ita­
liana.
Dalle varie relazioni è emerso un
quadro, se non completo, indubbia­
mente significativo della stampa
educativa per la scuola nei principa­
li stati preunitari: il Regno di Sarde­
gna, l’Italia sotto il dominio au­
striaco, il Granducato di Toscana e
10 Stato Pontificio.' Purtroppo per
11 Regno delle due Sicilie è venuta a
mancare la prevista relazione di
Mascilli-Migliorini:
“Stampa
e
scuola a Napoli nel 1848-1849” .
I lavori, aperti da Francesco Tra­
niello, presidente del Carlo Trabuc­
co, sono stati introdotti con la rela­
zione Questione scolastica e Risor­
gimento di Giuseppe Talamo, che
ha suggerito interessanti spunti di
riflessione.
Se esisteva in genere una marcata
sensibilità per l’educazione popola­
re — ha ricordato Talamo — non
mancavano gli avversari, come Mo­
naldo Leopardi e la “Voce della ve­
rità” di Roma, che individuavano
nella istruzione popolare una possi­
bile sorgente di disordini. A Napoli
e in Sicilia, nel periodo postnapo­
leonico si ribadì l’importanza della
istruzione primaria: tale sensibilità
era eredità della politica di Giusep­
pe Bonaparte e di Gioacchino Mu­
rai, che avevano reso obbligatoria
la scuola elementare. Tra i periodici
che si occupavano del problema, gli
“Annali universali di Statistica” di
Milano (dal 1830), capovolgendo il
principio reazionario, istruzio­
ne = eversione, sostenevano al con­
trario la necessità di una istruzione
di base (istruzione si, ma non trop­
pa!), in quanto pilastro della socie­
tà e garanzia dalla minaccia della ri­
voluzione; per il “Giornale di Sici­
lia” (dal 1848) invece solo l’istruzio­
ne poteva essere garanzia di libertà.
La relazione di Giorgio Chiosso
(Università di Lecce), Educazione
del popolo nei giornali piemontesi
ci ha presentato un Piemonte in età
carloalbertina (ma anche successi­
va) vivace nel campo delle riviste
per la scuola. Il 10 giugno 1845
usciva,presso Paravia, il primo fa­
scicolo de “L’Educatore primario” ,
espressione della scuola aportiana
(redattori erano in gran parte allievi
degli Aporti) e prima rivista pie­
montese realizzata per la scuola e
per i maestri, segno del riformismo
scolastico del periodo carloalbertino. Trasformatosi nell’“Educato­
re” (1847-1848), questo periodico
perfezionò ulteriormente la sua
proposta educativa. Contrario al
naturalismo rousseauiano ed alle
pedagogie egualitarie del socialismo
utopistico, si fece promotore, attra­
verso gli apporti di Rosmini (unità
dell’educazione), dell’Aporti (uni­
versalità dell’educazione) e dello
svizzero Giraud (metodo materno:
la madre come modello educativo),
di riforme scolastiche graduali: po­
tenziamento dell’istruzione elemen­
170
tare e popolare, istruzione tecnica e
professionale,
ammodernamento
della didattica e preparazione dei
maestri, laicizzazione del sistema
scolastico. La rivista fu inoltre un
vero laboratorio per la riforma della
scuola: Berti e Rayneri, redattori
delle due riviste, collaborarono alla
stesura della legge Boncompagni del
1848; ma anche la legge Casati del
1859 è frutto di quelle idee. Dal suo
ceppo nacquero la Società d ’istru­
zione e d’educazione e diverse rivi­
ste: il “Giornale della Società d’i­
struzione e d’educazione” (18491854), la “Rivista delle Università e
dei Collegi” (1852-1854), [’“Istitu­
tore” (1852-1893) di Domenico Ber­
ti e Giovanni Lanza (da non confon­
dere con il politico omonimo), che
ebbe una grande importanza sul pia­
no professionale come guida didat­
tica per i maestri, fu espressione del
moderatismo e dello spiritualismo
cattolico e influì sulla formazione
dei maestri e sulla scuola elemen­
tare.
La vicacità piemontese contrasta
con la relativa povertà della stampa
per la scuola a Milano e in Lombar­
dia. È la conclusione cui è giunta
Daniela Maldini (Università di Tori­
no) nella sua relazione Scuola, inse­
gnanti e programmi nei fogli scola­
stici di Milano. Infatti nella Lom­
bardia austriaca, mentre si nutriva
notevole interesse nei confronti del
problema educativo e si disponeva
di una vasta pubblicistica rivolta al­
la gioventù (ad esempio “Il Giove­
dì”), alle famiglie (ad esempio “Fio­
rellini morali”), furono soltanto due
le riviste per la scuola: “L’Educato­
re” (1850-1853), poi “Eucatore lom­
bardo”, e la “Rivista ginnasiale”
(1854...), versione italiana del
“Giornale dei ginnasi” di Vienna.
Lo scarto tra il dibattito educativo e
quello scolastico va addebitato, se­
condo la relatrice, alla situazione
politica lombarda: la scuola elemen­
tare aveva una solida tradizione e
struttura gerarchica; il governo au­
striaco imponeva i propri libri tra­
dotti in italiano. Tuttavia, nono­
stante le apparenze, anche il sistema
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scolastico austriaco-lombardo sof­
friva di gravi difetti: metodo inade­
guato, povertà di contenuti, impre­
parazione dei maestri. Risultato:
molta scuola (almeno ufficialmen­
te), poca alfabetizzazione. Queste
lacune furono sistematicamente de­
nunciate dall’“Educatore” . Le rivi­
ste lombarde, contrariamente a
quelle piemontesi, non influirono
sulla politica scolastica austriaca, ri­
gidamente centralizzata e conserva­
trice.
Altra situazione ancora nel Vene­
to asburgico; il panorama scolastico
veneto ci è stato descritto da Mirella
Chiaranda (Università di Padova)
nella relazione: Educazione e co­
scienza civile nell’“Istitutore" di
Giovanni Codemo. La rivista fu
pubblicata a Venezia negli anni
1836-1837 e poi negli anni 18511866. Caratteristiche del foglio fu­
rono l’ispirazione rosminiana (non
una collaborazione diretta del Ro­
smini) con la insistenza sull’unità
dell’opera educativa; la collabora­
zione dei maestri con loro scritti;
preoccupazione fondamentale era
l’educazione popolare, nella quale si
affermava il ruolo determinante del­
la famiglia oltre che la centralità ba­
silare della religione cattolica.
Altro tassello nel mosaico della
stampa scolastica nellTtalia preuni­
taria è costituito dal Granducato di
Toscana, dominato dalla personali­
tà di Raffaello Lambruschini e dalla
sua rivista, “La Guida dell’Educa­
tore” (1836-1845), su cui ha riferito
Angelo Gaudio (Livorno) nella rela­
zione La Guida dell’Educatore di
Raffaello Lambruschini.
Prima rivista pedagogica italiana,
la “Guida” nacque dall’incontro
della sensibilità educativa del Lam­
bruschini con l’intenzione del Viesseux di continuare l’esperienza della
soppressa “Antologia” . Il principio
ispiratore della pedagogia del Lam­
bruschini era il fanciullo considera­
to come protagonista dell’opera
educativa, anzi educatore di se stes­
so, attraverso il metodo della per­
suasione, con ricorso solo straordi­
nario a premi e castighi. Convinto
della pratica necessità di un’educa­
zione extrafamiliare e critico verso i
collegi nati dalla Controriforma,
elaborò un progetto di collegio-mo­
dello, dove le norme morali fossero
interiorizzate. Fu sostenitore, infi­
ne, della istruzione in lingua mater­
na ed assertore della necessaria pro­
fessionalità dei maestri.
L’ultima relazione del convegno è
stata quella di Roberto Sani (Ro­
ma): / periodici scolastico-educativi
e il dibattito sull’istruzione nello
Stato Pontificio. Due i periodici
presi in esame: “L ’Artigianello” e
“L’Educatore” . Il primo (18451848), fondato e diretto da Ottone
Gigli, era destinato agli allievi delle
Scuole Notturne per gli Artigiani,
fondate a Roma nel 1819, e di fatto
usato come testo. Vi apportò il suo
contributo significativo Ferrante
Aporti. Questi in realtà non godeva
buona stampa presso le autorità
pontificie: il S. Uffizio nel 1837 ave­
va proibito l’istituzione degli Asili
Infantili nei territori pontifici. Al fi­
ne di superare tale proibizione con­
dusse una battaglia l’altro periodi­
co, “L ’Educatore” , pubblicato nel
1847, cioè nel fervore politico segui­
to all’elezione di Pio IX. Il primo
asilo fu fondato nel 1848. L’impe­
gno del periodico si esplicò in altre
due direzioni: la formazione didatti­
ca e pedagogica dei maestri primari
pontifici e lo svecchiamento della
cultura pedagogico-scolastica attra­
verso la diffusione dei nuovi orien­
tamenti introdotti dall’Aporti, dal
Lambruschini e dal Girard.
Dal panorama delineato dalle cin­
que relazioni scaturiscono immedia­
tamente alcune considerazioni: la
notevole varietà delle situazioni lo­
cali e della stampa scolastico-educa­
tiva, pur nella convergenza su temi
di fondo: educazione popolare e
scuola.
I poli più vivaci paiono essere sta­
ti il Piemonte, attorno all’Aporti ed
ai suoi allievi, e la Toscana, attorno
al Lambruschini. Anche il Rosmini
ha costituito un punto di riferimen­
to ideale, soprattutto per il Piemon­
te e il Veneto. Per quanto concerne
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l’apertura alle novità provenienti
d’oltralpe, va sottolineato il grande
influsso esercitato dal pedagogista
svizzero, il francescano Grégoire
Girard. Infine, le circostanze politi­
che fecero sì che nell’immediato so­
lo le riviste piemontesi abbiano in­
fluito sulla legislazione scolastica, la
legge Boncompagni (1848) prima e
la legge Casati (1859) poi.
Queste, infine, le conclusioni trat­
te dal professor Traniello al termine
dei lavori.
Per quanto riguarda il rapporto
con il Risorgimento, assunto dal
convegno come categoria cronologi­
ca, è emerso che nelle riviste scola­
stiche non esisteva l’obiettivo o an­
che solo la preoccupazione di co­
struire uno stato unitario. Di fatto
però l’attività scolastica, promossa
dalle riviste, fu un notevole fattore
di costruzione della nazione, ad
esempio a livello della diffusione
della lingua italiana.
Altro aspetto emergente: in quegli
anni all’istruzione scolastica si attri­
buiva non solo uno scopo culturale,
ma educativo, di cui inoltre il fatto­
re religioso costituiva la base e l’ani­
ma. Non si concepiva insomma l’o­
pera educativa separata dalla for­
mazione religiosa. Espressione em­
blematica di questa concezione pe­
dagogica fu don Bosco, al quale pe­
raltro nel convegno mai si è fatto
cenno.
La preoccupazione costante della
stampa per la scuola presa in esame
era l’istruzione-educazione popola­
re. Va da sé che il modo in cui si
pensava l’educazione popolare di­
pendeva dal concetto di popolo. Per
questo non stupisce più di tanto
l’opposizione dei reazionari alla dif­
fusione dell’istruzione popolare, in
quanto la consideravano potenzial­
mente eversiva. D’altra parte anche
i moderati avanzavano riserve: pur
considerando l’istruzione di base un
fattore di stabilità sociale, pensava­
no che essa dovesse essere limitata e
controllata. Altra ragione che pote­
va far considerare pericolosa l’istru­
zione popolare (poca o molta che
fosse) era questa: la scuola poteva
costituire un nuovo ambiente di so­
cializzazione, visto come alternativo
alla famiglia e alla Chiesa.
Ed infine perché non domandarsi
— ha concluso Traniello — se l’im­
porsi del problema-scuola in quegli
anni risorgimentali non rappresen­
tasse una grande innovazione, indi­
cativa di un profondo mutamento
delle relazioni sociali?
Giuseppe Tuninetti
Belzec, Sobibor, Treblinka come
campi di sterminio immediato
Prima di entrare nel merito dei te­
mi trattati nel corso del convegno
“Belzec, Sobibor, Treblinka come
campi di sterminio immediato” , te­
nutosi a Lublino, Polonia, dal 25 al
27 agosto 1987, vale la pena di met­
tere in rilievo come ad organizzarlo
siano concorse più istituzioni, tra
loro anche assai differenti: la Com­
missione centrale per la ricostruzio­
ne dei crimini nazisti in Polonia Istituto per la memoria nazionale, la
Commissione per la prima e la se­
conda guerra mondiale del Comita­
to di scienze storiche dell’Accade­
mia polacca delle scienze, l’Univer­
sità Maria Curie-Sklodowska di Lu­
blino, ed infine il Consiglio statuni­
tense per la memoria dell’Olocau­
sto. Che su un tema come lo stermi­
nio degli ebrei dell’Europa orienta­
le, ad un tempo evento di colossale
peso storico e fonte di radicale dub­
bio etico sul moderno, si impegnino
strutture diverse, portatrici di impo­
stazioni spesso divergenti ma co­
munque disposte al confronto, è av­
venimento di per sé di grande im­
portanza.
In questo senso il tema del conve­
gno, giustamente focalizzato in pri­
ma istanza sui tre Vernichtungslager
(campi di sterminio immediato) di
Belzec, Sobibor, Treblinka, com­
prendeva in realtà temi assai più
ampi, dalle condizioni dei polacchi e
degli ebrei polacchi sotto l’occupa­
zione nazista ai rapporti fra orga­
nizzazioni di resistenza polacche ed
171
organizzazioni di resistenza ebrai­
che, fino ad alludere — inevitabil­
mente — al nodo storico rappresen­
tato dai rapporti fra ebrei e popola­
zioni dell’Europa orientale prima,
durante e dopo la seconda guerra
mondiale (questione recentemente
toccata anche dal film Shoah di
Claude Lanzmann).
Nella prima giornata le relazioni
hanno teso a fornire quadri genera­
li: C. Madajczyk (Accademia polac­
ca delle scienze) ha ricostruito la po­
litica nazista verso gli ebrei nel corso
della seconda guerra mondiale; M.
Berenbaum (Università di Georgetown, Usa) ha discusso sulla specifi­
cità dell’Olocausto nella storia dei
massacri di cui l’umanità si è resa
colpevole (tema quanto mai attua­
le!); L.Kubicki (Accademia polacca
delle scienze) ha analizzato da un
punto di vista giuridico il concetto
di genocidio comparandolo con al­
tre forme di sterminio attuate dai
nazisti nella Polonia occupata. La
situazione degli ebrei in Polonia pri­
ma della seconda guerra mondiale è
stata tratteggiata da J. Tomaszewski (Università di Varsavia), che ha
altresì delineato il processo di an­
nientamento dell’intelligencija po­
lacca messo in atto, dopo l’invasio­
ne, dai nazisti i quali — contempo­
raneamente — trasformavano in lavoratori-schiavi gran parte del po­
polo. Successivamente I. Arad
(Centro di documentazione Yad Vashem, Israele) ha analizzato minu­
ziosamente VAktion Reinhard, l’al­
lucinante pogrom scatenato nei ter­
ritori orientali occupati dai nazisti
dopo l’attentato, opera della resi­
stenza cecoslovacca, in cui morì
Reinhard Heydrich, Reichsprotektor di Boemia e Moravia (27 giugno
1942). Nel corso Ae\VAktion Rein­
hard furono assassinati più di due
milioni di ebrei ed oltre centosettan­
tamila zingari; centro del massacro
fu il governatorato generale (i terri­
tori polacchi non annessi direttamente al terzo Reich ma governati
come una colonia) e strumento, ol­
tre ai tre campi già citati, la “fabbrica
della morte” di nome Majdanek (alla
172
periferia di Lublino). Tra i quadri
dirigenti Ss responsabili dell’opera­
zione un ruolo essenziale fu giocato
da Odilo Globocnik, già impegnato
durante gli anni precedenti nell’ope­
razione Euthanasie, detta anche A le­
ttori T 4 (essa consisteva nell’elimi­
nazione fisica di handicappati, ma­
lati di mente, invalidi ecc.); dopo
VAktion Reinhard Globocnik fu in­
viato, assieme ad altri ufficiali Ss
con cui da tempo lavorava (Wirth,
Stangl, Oberhauser), nell’Italia or­
mai occupata dalle armi naziste: lo
ritroviamo nelle vesti di organizza­
tore della deportazione e dello ster­
minio anche nel nostro paese, pres­
so il comando Ss di Verona ed alla
Risiera di S. Sabbia. Sulla sua figu­
ra e sul suo ruolo si è in particolare
soffermato, nel corso dei lavori, Z.
iMankowski (Università di Lublino).
R. Hillberg (Università del Ver­
mont, Usa) ha preso in esame l’or­
ganizzazione della deportazione nel­
la Polonia e verso la Polonia, tema
toccato anche dalla relazione di J.
Marszalek (Università di Lublino),
il quale ha poi discusso dell’immagi­
ne della deportazione come appare
nei rapporti della resistenza polac­
ca. Da segnalare come egli abbia ci­
tato un trasporto di prigionieri ita­
liani giunto a Treblinka nell’inverno
1943-44 (si tratta, come lo studioso
mi ha confermato, di Treblinka I, il
cosiddetto “Vecchio campo”, con­
cepito all’inizio come campo di la­
voro coatto e liberato dai sovietici il
25 luglio 1944. Il vero e proprio
campo di sterminio immediato fu il
vicino Treblinka II, smantellato do­
po la rivolta del 2 agosto 1943). Le
modalità di attuazione della “solu­
zione finale” nei territori del gover­
natorato generale sono state esposte
da S. Biernacki (Commissione cen­
trale per la ricostruzione dei crimini
nazisti in Polonia) e le figure dei co­
mandanti dei campi sono state ana­
lizzate nella dettagliata relazione di
W. Dressen (Repubblica Federale
Tedesca).
Impossibile in poche righe dar ra­
gione del dibattito; vale però la pena
di citare almeno l’intervento di Ar­
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turo Sandauer, non foss’altro per il
personaggio: ebreo polacco organiz­
zatore di gruppi di resistenza ebrai­
ci, sfuggito fortunosamente alla cat­
tura, rifugiatosi in Urss si arruola
nelle forze polacche di liberazione e
partecipa alla liberazione di Lubli­
no, dove verrà insediato l’omonimo
governo provvisorio; si dedica poi
alla ricerca diventando uno studioso
di fama. Il problema che egli ha po­
sto è, per riprendere le sue parole,
quello di “non polonizzare eccessi­
vamente gli ebrei sterminati dai na­
zisti”; in altri termini è il complesso
problema dei rapporti fra resistenza
ebraica e organizzazioni clandestine
polacche (Armia Krajova, naziona­
lista e maggioritaria, e Armia Ludova, comunista e minoritaria, in rap­
porti in genere tutt’altro che buoni
fra loro) a emergere in modo aper­
to, con tutte le implicazioni a cui già
prima accennavo.
Alcune delle questioni poste da
Sandauer hanno costituito l’oggetto
delle relazioni della terza giornata
del convegno (della seconda diremo
poi); S. Lewandowska (Accademia
polacca delle scienze) ha preso in
esame le rivolte dei campi di annien­
tamento, di cui le principali e più
note avvennero a Treblinka e Sobibor; C. Feig (Università della Cali­
fornia) ha descritto i tentativi nazisti
di cancellare le tracce della “soluzio­
ne finale” dopo la chiusura dei Ver­
nichtungslager; si è entrati nel vivo
del dibattito con i contributi di K.
Dunin Wasowicz (Accademia polac­
ca delle scienze), R. Sakowska (Isti­
tuto storico ebraico, Polonia), T.
Precarova (Polonia), i quali hanno
in vario modo affrontato il proble­
ma dello sterminio degli ebrei nel
contesto della situazione polacca del
tempo ed in rapporto con gli atteg­
giamenti della popolazione polacca.
Ancora una volta il problema del­
l’antisemitismo come terreno di col­
tura del razzismo nazista e della
conseguente Shoah è tornato in pri­
mo piano.
Le reazioni del governo polacco
in esilio e dei governi dell’alleanza
antifascista alle notizie, via via più
precise, della “soluzione finale” so­
no state esaminate da L. Gerson
(Università del Connecticut), men­
tre S. Spector (Centro di documen­
tazione Yad Vashem, Israele) ha
analizzato le reazioni allo sterminio
degli ebrei della Volinia, regione do­
ve l’annientamento ha rappresenta­
to un vero e propri etnocidio, can­
cellando con molte migliaia di esseri
umani una cultura, una storia, un’i­
dentità collettiva. Di essa il frutto
terminale sono le memorie della
Shoah: diari, memorie, ricordi dei
sopravvissuti. Ne ha parlato 1. Gutman (Centro di documentazione
Yad Vashem, Israele). L’ultima re­
lazione, di S. Kania (Commissione
centrale per la ricostruzione dei cri­
mini nazisti in Polonia), ha trattato
dei procedimenti penali contro i
membri dell’apparato di sterminio
messo in opera dal terzo Reich.
Dicevo prima delle polemiche sul
rapporto fra resistenza polacca e re­
sistenza ebraica e più in generale fra
polacchi ed ebrei; inutile nasconder­
si che al di sotto stanno differenti
opzioni politico-ideologiche: gli stu­
diosi polacchi hanno spesso teso a
esaltare, in un’ottica di resistenza
nazionale, le azioni di solidarietà
che invece gli storici israeliani, pro­
pensi a enfatizzare la linea dei grup­
pi sionisti attivi nell’ebraismo polac­
co, spesso minimizzano o di cui ne­
gano l’esistenza. D’altra parte il fat­
to che la documentazione sia fram­
mentata e non sempre del tutto ac­
cessibile favorisce nei ricercatori la
deleteria abitudine alla coltivazione
di orti separati. Da questo punto di
vista mi pare di grandissimo interes­
se la proposta, avanzata nelle con­
clusioni dal prof. Madajczyk e ac­
cettata da tutti i presenti, di costitui­
re un gruppo di lavoro composto da
studiosi israeliani, americani e po­
lacchi che svolga una ricerca compa­
rata a partire da tutti gli archivi esi­
stenti, di cui dovrà essere garantita
l’apertura agli studiosi.
Un’ultima osservazione: non si
può parlare di questo convegno sen­
za tener conto che una parte dei re­
latori erano, loro stessi, ebrei po-
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lacchi originari della regione di Lu­
blino, sfuggiti alla potenza di morte
del Terzo Reich e poi — quasi tutti
— approdati lontano, negli Stati
Uniti o in Israele. Immagine di una
diaspora moderna e del disastro
epocale prodotto, nel cuore dell’Eu­
ropa, dal nazismo. In questo senso
la seconda giornata del convegno,
dedicata alla visita al campo di Maj-
danek ed alla località di Belzec (non
rimane più nessuna traccia del cam­
po, distrutto dagli stessi nazisti;
sul luogo sono ora stati eretti mo­
numenti in ricordo), è stata — al­
meno per me — essenziale. Solo
osservando quel territorio, quei
paesi dove gli ebrei erano una con­
siderevole parte della popolazione
e dove non ne rimane che una picco­
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lissima minoranza (gli ebrei rap­
presentavano in Polonia, negli an­
ni trenta, circa il dieci per cento
degli abitanti, ora sono meno del­
l’uno per cento) ho potuto capire,
sul serio, ciò di cui si andava discu­
tendo nell’aula magna dell’Univer­
sità di Lublino.
Brunello Mantelli
MOVIMENTO OPERAIO
E SOCIALISTA
Sommario del n. 1,1988
Saggi
Marco Grispigni, "Il Messaggero" e la “febbre" edilizia a Roma (1881-1888)', Francesca Romana
Koch, Il “buon mercato": utile e religione in una confraternita romana di fine Ottocento.
Fonti
Corrado Malandrino, Il Fondo Silvio Trentin del Centro Studi Piero Gobetti di Torino: Laura Manetti, Un
avvocato per te riforme. I Brandeis Papers dell'Università di Louisville, Kentucky.
Note e discussioni
Antonello Venturi, Un altro passato che non passa? Storia e perestrojka sotto Gorbacèv: Ferdinando
Fasce, La new labor history di DavidMontgomery: un seminario e un libro.
Storia contemporanea oggi: una discussione
Massimo Legnani, Orientamenti storiografici e consumo di storia; Mariuccia Salvati, Oltre il "disagio"
di una generazione: Nicola Tranfaglia, Per una nuova associazione di storici: Jean Louis Robert, Una
radiografia del "Mouvement social", 1960-1986: Renato Monteleone, “Movimento operaio e sociali­
sta ", 1955-1986: linee e variazioni di tendenza.
Schede
Rassegna delle riviste straniere
Notiziario
Libri ricevuti