prove in materia di lavoro: i verbali ispettivi e la confessione
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prove in materia di lavoro: i verbali ispettivi e la confessione
PROVE IN MATERIA DI LAVORO: I VERBALI ISPETTIVI E LA CONFESSIONE STRAGIUDIZIALE Premessa Nel nostro ordinamento giuridico vige il principio che l’onere di provare un fatto, che è alla base di una richiesta giudiziaria, ricade su colui che invoca lo stesso a sostegno del proprio diritto. La norma fondamentale in materia è contenuta nell’art. 2697 c.c. alla cui stregua: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”. Per mezzo di prova si intende qualsiasi cosa o qualsiasi fatto capace di consentire al Giudice di valutare la corrispondenza al vero delle versioni date dalle parti in causa in relazione all’oggetto della stessa. I mezzi di prova si distinguono in due categorie: le prove precostituite o documentali (atto pubblico, scrittura privata), perché esistenti prima della lite, e prove costituende , quali le testimonianze, le presunzioni, le confessioni, il giuramento, che si formano durante il processo. L’ispezione del lavoro, attivata ora da una pluralità di organi di vigilanza, ha come fonte di prova nella stesura dei relativi verbali di contestazione di illeciti penali, amministrativi, civili e fiscali le dichiarazioni scritte dai verbalizzanti e firmate dai lavoratori. Sul tema si pongono diversi problemi e i principali sono quelli relativi al valore probante delle interviste ai lavoratori e del verbale stesso (come confessione stragiudiziale). Esaminiamo le due problematiche. Nozione di confessione stragiudiziale Ai sensi dell’art. 2735 c.c. “ la confessione stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale. Se è fatta a un terzo o se contenuta in un testamento è liberamente apprezzata dal Giudice (art. 116 c.p.c.). La confessione stragiudiziale non può provarsi per testimoni se verte su un oggetto per il quale la prova testimoniale non è ammessa dalla legge (art. 2721, art. 2722)”. Giurisprudenza sulle dichiarazioni rese agli ispettori Interessante si presenta, come sempre, l’esame della Giurisprudenza che si è formata sul tema. La dichiarazione di fatti a sé sfavorevoli che un imprenditore renda ad ispettore del lavoro, nell’esercizio dei suoi compiti di polizia amministrativa o giudiziaria, non costituisce confessione stragiudiziale, con piena efficacia probatoria nei rapporti con i dipendenti dell’imprenditore medesimo, sia perché detto ispettore agisce quale organo della pubblica amministrazione e quindi non in rappresentanza di interessi privati, sia perché lo specifico scopo della dichiarazione finalizzata all’inchiesta che svolge il funzionario esclude la configurabilità dell’animus confitendi. Tale dichiarazione, pertanto, fornisce una prova liberamente apprezzabile, ancorché il suo particolare valore di attestazione di verità, proveniente direttamente dalla parte, imponga al giudice del merito, che intenda disattenderla, di dare adeguata motivazione (Cass. 24 marzo 1977, n. 1146). La denuncia all’Enpals, da parte dell’imprenditore, del personale occupato e della retribuzione giornaliera corrisposta, pur non essendo di per sé decisiva al fine della dimostrazione di un rapporto di lavoro subordinato, può tuttavia allo stesso fine, essere liberamente apprezzata dal Giudice del merito, nei confronti dell’Inps, ai sensi della 2° parte del comma 1 dell’art. 2735 (Cass. 3 luglio 1981, n. 4327). Le dichiarazioni rese agli organi della polizia giudiziaria, ancorché non vincolanti in sede civile, costituiscono confessione stragiudiziale fatta ad un terzo, che il Giudice ha il potere dovere di apprezzare liberamente (Cass. 16 agosto 2000 n. 10825). I verbali della polizia giudiziaria fanno fede fino a querela di falso a norma dell’art. 2700 per quanto attiene alle dichiarazioni delle parti che il pubblico ufficiale, riproducendole nel verbale, attesta come rese in sua presenza, mentre resta affidata alla libera valutazione del Giudice di merito l’intrinseca veridicità di dette dichiarazioni, anche quando concretino per il loro contenuto, una confessione stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2735, comma 1 (Cass. 14 febbraio 1997, n. 1384). La confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte e può essere quindi liberamente apprezzata dal Giudice. (Cass. 14 dicembre 2001, n. 8748). La confessione stragiudiziale fatta a terzi non può valere come prova piena, essendo suscettibile di vario e libero apprezzamento del giudice del merito nel contesto delle risultanze istruttorie acquisite (Cass. 4 marzo 1991, n. 2231) ed essa, in ogni caso, deve avere ad oggetto fatti e non giudizi o definizioni giuridiche (in particolare, per quanto riguarda la prova del rapporto di società, essa deve attenere all’esistenza degli elementi essenziali del rapporto stesso e non alla generica sussistenza della società (Cass. 25 maggio 1983, n. 3591). La confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non costituisce una prova legale, come la confessione giudiziale e stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta, e tuttavia non è valutabile alla stregua di un mero indizio, idoneo a fondare unicamente una presunzione ovvero ad integrare una prova manchevole, essendo, in realtà un mezzo di prova diretta, su cui il Giudice può basare anche in via esclusiva, il proprio convincimento in esito al libero apprezzamento (Cass. 11 aprile 2000 n. 4608). Il potere discrezionale attribuito al Giudice del merito di utilizzare la confessione fatta al terzo come prova piena non lo esonera dal verificare alla luce degli altri elementi di fatto acquisiti se in essa siano presenti i requisiti essenziali indicati nell’art. 2730 (nella specie, con riferimento alle circostanze in cui la dichiarazione era stata resa, oltre che al suo oggetto, da riferire necessariamente a fatti obiettivi e non alla quantificazione giuridica di un rapporto), perché soltanto in caso di esito positivo di tale indagine il Giudice può fondare il suo convincimento sulla dichiarazione stessa e il suo giudizio si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione.(Cass. 7 dicembre 1991, n. 13201). In caso di una confessione stragiudiziale fatta ad un terzo il Giudice del merito deve svolgere una indagine particolarmente penetrante circa la sussistenza dell’animus confitendi e, nell’esercizio della sua facoltà di valutare liberamente la confessione, deve dare una giustificazione della soluzione adottata spiegando le ragioni del suo convincimento (Cass. 7 novembre 1987, n. 8245). Il giudizio sull’esistenza o meno degli elementi costitutivi della confessione si sottrae al sindacato di legittimità, se sorretto da congrua e logica motivazione, mentre il successivo libero apprezzamento sull’utilizzabilità della confessione al terzo, come piena prova prevalente sulle altre, ha natura sostanzialmente discrezionale (Cass. 4 marzo 1991, n. 2231). Giurisprudenza sui verbali I verbali redatti dagli ispettori del lavoro o comunque dai funzionari degli enti previdenziali fanno fede fino a querela di falso ai sensi dell’art. 2700 solo relativamente alla loro provenienza dal sottoscrittore alle dichiarazioni a lui rese ed altri fatti che egli attesti come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese da terzi o in seguito ad altre indagini i verbali, per la loro natura di atto pubblico, hanno un’attendibilità che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (Cass. 3 febbraio 1996 n. 916). A norma dell’art. 3, comma 1, d.l. 12 settembre 1983, n. 463 i funzionari ispettivi degli istituti previdenziali esercitano gli stessi poteri degli ispettori del lavoro in materia di polizia amministrativa, quando vigilano sull’osservanza, da parte degli imprenditori delle leggi sulla tutela del lavoro e della previdenza ed assistenza obbligatoria (in particolare, in materia di sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente di lavoro e in materia di adempimento o esatto adempimento dei versamenti contributivi), oppure quando svolgono funzioni di polizia giudiziaria nel corso delle prime indagini dopo aver ricevuto notizie di reati in materia previdenziale o di lavoro. Ne consegue che i verbali e le attestazioni provenienti dai funzionari ispettivi degli istituti previdenziali ed assistenziali possono far fede fino a querela di falso soltanto della loro provenienza dal pubblico ufficiale che li ha sottoscritti, del contenuto delle dichiarazioni e di altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o di quanto egli stesso dichiara di aver compiuto in riferimento alle attività di polizia amministrativa o giudiziaria al medesimo attribuite (Cass. 2 ottobre 2002 n. 14158). I verbali redatti da pubblico ufficiale incaricato di ispezioni circa l’adempimento degli obblighi contributivi, mentre fanno piena prova, fino a querela di falso, dei fatti che lo stesso pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, non hanno invece alcun valore precostituito, neanche di presunzione semplice, riguardo alla altre circostanze in detti verbali indicate o riferite, sicché il materiale raccolto dal verbalizzante deve passare al vaglio del Giudice, il quale non può esimersi dalla valutazione complessiva di tutte le risultanze probatorie, offerte anche dai suddetti verbali e può valutare nel suo libero e prudente apprezzamento (ex art. 116 c.p.c.) l’importanza da conferire a dette circostanze per determinare l’eventuale rilevanza delle stesse ai fini probatori, senza però potere attribuire ad esse il valore di un vero e proprio accertamento in punto di fatto dal quale conseguirebbe inammissibilmente l’onere a carico della parte che l’Ente previdenziale ritiene obbligata di fornire la prova della insussistenza dei fatti a lei contestati. Ne consegue che ben può la valutazione del complesso delle risultanze probatorie operata direttamente dal Giudice risultare in contrasto con quanto indicato nell’accertamento ispettivo. (la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in presenza di verbali ispettivi che qualificano 501 lavoratori come figuranti, per i quali sussiste l’obbligo assicurativo- aveva ricondotto sulla base delle acquisizioni probatorie, l’attività da questi svolta a quella di “comparse” esente dal suddetto obbligo (Cass. 10 dicembre 2002 n. 17555). Verbali di accertamento di violazioni amministrative Altro argomento interessante ai fini della difesa dell’incolpato è la conoscenza, ai fini della prova, del valore dei verbali di accertamento delle violazioni contestate sotto il profilo amministrativo (vedi ad es. quelle relative all’occupazione irregolare di lavoratori). Nel giudizio di opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione irrogativa della sanzione amministrativa , il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela (Cass. 21 settembre 2006 n. 20441). Nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione che irroga una sanzione amministrativa l’attitudine probatoria propria del verbale di accertamento dell’infrazione non è estensibile al mero verbale di contestazione con il quale cioè l’amministrazione si limiti a significare al presunto trasgressore l’addebito della violazione sulla base di un verbale di accertamento precedentemente redatto (Cass. 28 agosto 2006 n. 18630). Nel giudizio di opposizione avverso le ordinanze ingiunzioni irrogative di sanzioni amministrative, il verbale di accertamento fa fede fino a querela di falso quanto ai fatti in esso attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza ( e descritti senza margini di apprezzamento ) e quanto alla provenienza dell’atto dal pubblico ufficiale stesso (risultando, per converso prive di efficacia probatoria privilegiata le mere valutazioni del verbalizzante), senza che ciò contrasti con il disposto dell’art. 6 lett. B) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, riguardando tale norma la questione (affatto diversa) del diritto di disporre del tempo e del modo di preparare la difesa (Cass. 18 aprile 1998, n. 3939). Claudio Milocco (consulente del lavoro)