l`ultima parola alla cassazione

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l`ultima parola alla cassazione
La Repubblica - Venerdì, 18 marzo 1988
In 346 pagine, i giudici della Suprema Corte spiegano perché hanno definitivamente assolto il
presentatore e Califano
L'ULTIMA PAROLA ALLA CASSAZIONE
"Contro Tortora i pentiti mentirono" Le chiamate di correità non erano corredate da prove
attendibili Uno degli accusatori parlò dello showman solo quando erano usciti i nomi dei
camorristi
di FRANCO SCOTTONI
ROMA Erano infondate le accuse dei camorristi Pandico, Barra e Melluso contro Enzo Tortora e il
cantante Franco Califano perché non corredate da elementi probatori attendibili. E' questo l'aspetto più
importante della motivazione, depositata ieri, della sentenza che la Cassazione pronunciò il 13 giugno
dello scorso anno, con la quale furono rese definitive le assoluzioni dei due noti personaggi dello
spettacolo, accusati dalla magistratura di Napoli di associazione per delinquere di stampo camorristico
e di spaccio di sostanze stupefacenti. La motivazione di 346 pagine, firmata dal presidente Roberto
Modigliani e redatta dal giudice relatore Vincenzo Serianni, analizza la sentenza emessa dalla Corte di
Appello di Napoli che assolse con formula piena Tortora e altri imputati già condannati in primo grado.
Contro quella sentenza era stato proposto il ricorso in Cassazione da parte della pubblica accusa che,
tra l' altro, sostenne trattarsi di una esasperata concezione di nuove frontiere del garantismo. Nelle 100
pagine del documento della Suprema Corte dedicate a Tortora viene riconosciuta valida e fondata la
decisione di assolvere l'imputato. Le chiamate di correità dei presunti pentiti Giovanni Pandico, Gianni
Melluso e Pasquale Barra erano infondate. Barra parlò di Tortora al suo quattordicesimo interrogatorio
e solamente dopo che Pandico aveva fatto pubblicamente la lista dei camorristi. Melluso invece
sostenne di aver visto il presentatore in uno studio di un avvocato milanese mentre consegnava una
valigia piena di denaro, presenti il banchiere Roberto Calvi e Francesco Pazienza che all'epoca indicata
non si conoscevano. Anche la testimonianza del pittore Margutti é risultata, secondo la Suprema Corte,
priva di riscontri probatori. In questo quadro, il documento della Cassazione precisa che la motivazione
della sentenza di assoluzione dell'imputato della Corte di appello di Napoli é immune dai vizi
denunciati nel ricorso della pubblica accusa, giacché essa presenta i caratteri fondamentali ed essenziali
di validità e correttezza nel senso della sua aderenza alle risultanze probatorie valutate e interpretate
secondo le regole logiche ed il metodo che presiedono all'accertamento della prova. Per quanto
riguarda l'impugnazione delle varie assoluzioni da parte del procuratore generale Olivares, la Suprema
Corte osserva che le censure del ricorrente si risolvono in critiche di mero fatto che, oltre a non essere
proponibili in questa sede, giacché i giudici di secondo grado hanno fornito una spiegazione adeguata e
persuasiva delle ragioni della conclusione alla quale sono pervenuti, sono anche parziali perché isolano
tale aspetto della dichiarazione del chiamante in correità di Melluso dal contesto delle altre risultanze
processuali, nel quale necessariamente si colloca, sotto il profilo del metodo della valutazione della
prova, per l'intima connessione tra esse. Il riferimento riguarda l'episodio della fotografia che Melluso,
denominato Gianni il bello e maggiore accusatore del noto presentatore, avrebbe detto di aver
conservato perché lo ritraeva proprio con Enzo Tortora, fotografia che avrebbe poi distrutto.
Interessanti le considerazioni sulle chiamate in correità di camorristi già condannati e che recitano il
ruolo di pentiti. Si afferma nella motivazione: Nella valutazione dell'attendibilità delle proposizioni
accusatorie, l'accertamento dei motivi sottostanti alla chiamata di correità o alla falsa accusa costituisce
uno solo degli elementi sui quali deve fondarsi il giudizio ed assume valore marginale se il giudice di
merito dimostra con congrue argomentazioni e logicamente corrette, l' inattendibilità di tali chiamate di
correo o l'infondatezza delle accuse quando queste concernono circostanze e fatti specifici dei quali é
possibile verificare la consistenza o quando tale verifica sfocia in accertamenti negativi. In conclusione
la Cassazione pur esaminando i risultati raggiunti dalla Corte di Appello di Napoli al termine del
processo di secondo grado avanza dei dubbi sull'operato dei magistrati di primo grado o di quelli della
fase istruttoria che hanno dato come probanti le affermazioni dei presunti pentiti pur non avendo
raggiunto riscontri per considerare fondate le chiamate di correo. A questo proposito e per quanto
riguarda la sentenza di secondo grado nella motivazione della Cassazione si precisa che la Corte di
merito é pervenuta al convincimento dell'inattendibilità delle chiamate di correità, non già sulla base di
una aprioristica e riduttiva concezione della chiamata di correo, ma attraverso un'analisi approfondita
ed esauriente, in tutti i suoi passaggi, e una lucida disamina delle dichiarazioni fatte nelle varie fasi del
giudizio, rapportate e valutate anche in relazione alle altre acquisizioni processuali, in un giudizio di
sintesi che comprende sia gli elementi favorevoli sia quelli contrari agli imputati. Riferendosi a Enzo
Tortora, la Cassazione afferma che l'assoluzione dall'accusa di appartenere alla nuova camorra
organizzata sia stata ampiamente motivata dalla Corte di Appello di Napoli e viene dato atto di aver
giustificato la propria decisione con correttezza nel senso dell'aderenza alle risultanze probatorie,
valutate e interpretate secondo le regole logiche e il metodo che presiedono all'apprezzamento della
prova. Nell'ultima parte della motivazione, la Cassazione analizza, punto per punto, le altre vicende che
hanno caratterizzato il processo, a partire da quelle che l'hanno indotta a ordinare la celebrazione di un
nuovo processo per nove imputati, tra i quali il difensore di Cutolo, l'avvocato Francesco Cangemi.
C’é, infine, da rilevare che nel primo troncone di presunti camorristi rinviati a giudizio figuravano,
oltre a Tortora e Califano, altri 241 imputati, nei confronti dei quali numerosissime sono state le
assoluzioni in appello e in Cassazione. In un altro troncone, la Corte di appello ha invece condannato
21 imputati che erano stati assolti in primo grado perché le affermazioni dei dissociati sono risultate
validamente sostenute da accertamenti e riscontri probatori.