sussulto laico - Diocesi di Como

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sussulto laico - Diocesi di Como
Cultura
Box Office
Sabato, 3 marzo 2012
L’ultimo libro di Pietro Citati
Sussulto laico
Una selezione di pellicole da vedere
al cinema, insieme, in famiglia,
Lo scrittore e giornalista affronta il tema dei nuovi miti moderni,
per divertirsi e riflettere
con alcuni passaggi dedicati al cristianesimo a tratti commoventi.
rubrica a cura di MARIA CARLA ZIZOLFI
L’amore che resta
Di Gus Van Sant (Stati Uniti 2011, 91 min.)
con Henry Hopper, Mia Wasikowska.
Enoch ha lasciato il liceo, s’infila nei funerali
degli altri e ha come amico immaginario Hiroshi,
un pilota kamikaze. A una cerimonia il ragazzo
incontra Annabel, malata di cancro e con pochi
mesi da vivere. Deciso a rendere indimenticabile
il tempo che resta, Enoch si apre alla vita e
all’amore. Presentata al Festival di Cannes, dal
regista di “Milk” e “Paranoid Park” una commedia
delicata che tratta in modo mai superficiale temi
importanti come la morte, la vita e la malattia.
emotivi anonimi
Di Jean-Pierre Améris (Francia/Belgio 2010,
80 min.) con Benoit Poelvoorde,
Isabelle Carré.
Cosa succede se un uomo e una donna
condividono una passione? Si innamorano.
Questo succede a Jean-René, capo di una piccola
fabbrica di cioccolato, e Angélique, pasticcera
di talento. Ma se entrambi sono emotivi
patologici, come potranno confessarsi i reciproci
sentimenti? Piccola sorpresa del cinema francese
contemporaneo, il film è una favola dolce, piena
di humor, fuori dai clichés delle commedie romantiche.
una separazione
Di Asghar Farhadi (Iran 2011, 123 min.)
con Leila Hatami, Shahab Hosseini.
Nader e Simin stanno per divorziare perchè il
marito non vuole espatriare per non abbandonare
il padre malato di Alzheimer. Simin lascia la casa
e il marito per curare il padre assume una donna,
incinta e che lavora all’insaputa del marito. A
causa di una lite con Nader, la donna cade e
perde il bambino. Orso d’oro a Berlino e Oscar
come miglior film straniero, un dramma familiare
che apre una finestra sull’Iran contemporaneo. Un
film importante e prezioso, da vedere.
this must be the place
Di Paolo Sorrentino (Italia/Francia/Irlanda
2011, 118 min.) con Sean Penn,
Frances McDormand, David Byrne.
Cheyenne è un’ ex rockstar. A 50 anni veste
ancora “dark”, vive a Berlino e si mantiene
grazie alle royalties. Finché la morte del padre,
col quale non parlava da tempo, lo getta sulle
strade americane alla ricerca di una vendetta. In
concorso a Cannes, Sorrentino stupisce alla sua
prima prova americana con una storia originale,
densa di significati, che gli permette di esprimere
appieno il suo immaginario onirico e un po’ folle.
le idi di marzo
Di George Clooney (Usa 2011, 98 min.) con Ryan
Gosling, George Clooney, Evan Rachel Wood.
Clooney torna alla regia per un dramma politico
ambientato nei giorni che precedono le elezioni
primarie (immaginarie) nel Partito Democratico.
Protagonisti, Clooney nei panni di un candidato
alle elezioni e Gosling in quelli di un segretario
di partito giovane e idealista, destinato a
rimanere schiacciato dagli ingranaggi della lotta
di partito. Uno spaccato realistico e spietato del
mondo della politica americana, pieno di ritmo e
tensione, splendidamente recitato.
i pinguini di mr. popper
Di Mark Waters (Stati Uniti 2011, 95 min.)
con Jim Carrey, Carla Gugino, Angela Lansbury.
La vita di un uomo d’affari cinico e arrivista (Jim
Carrey) comincia a cambiare quando il padre,
esploratore dell’Antartide, muore lasciandogli in
eredità un gruppo di pinguini e costringendolo a
rivoluzionare la propria esistenza.
Ispirato al classico per l’infanzia di Florence e
Richard Atwater, è una commedia esilarante senza
troppe pretese, adatta anche ai più piccini, con
un Jim Carrey in forma smagliante.
“D
obbiamo richiedere soltanto il pane
che ci è indispensabile: nient’altro; il
‘pane della nostra ristrettezza’ come
dice la versione siriaca del Padre nostro. I Vangeli
ricordano di continuo che l’uomo è una creatura
effimera, fragile, passeggera, il quale dipende dalle
cose che lo circondano e dal paesaggio che Dio gli
crea intorno”. Parola di Pietro Citati, uno dei più
importanti giornalisti culturali italiani, collaboratore
del “Corriere della sera” e di “Repubblica”, che nel
suo recente “Elogio del pomodoro” (non sorprenda
il titolo: l’ortaggio in questione è il simbolo di
un’età più semplice e per questo felice) edito da
Mondadori (266 pagine) analizza di nuovo i miti.
Non più quelli di Odisseo e Orfeo, però, ma quelli
della nostra epoca. Più che miti sembrano piuttosto
tic, coazioni a ripetere, dettate dai grandi cartelli
che dominano il mercato, esibizioni di chiacchiere a perdere, relitti di parole un tempo dotate di senso
e di sacralità. La Grecia d’oggi potrebbe essere il giusto correlativo delle mitologie trattate da questi
brevi saggi che vanno dagli anni Novanta del secolo scorso fino ai giorni nostri. La madre di tutti i miti
d’Occidente e la culla della democrazia rappresentativa è ormai solo un vuoto a perdere, da riempire
attraverso numeri da macelleria sociale. La tristezza –e la sensazione che la grande stampa si sia adeguata
culturalmente al suono dei termini che annunciano la povertà effettiva per chi ha lavorato una vita che ne deriva è palpabile. I nuovi miti sono parole senza necessità, manifestazioni di vuoto e cattura di
attenzione fine a se stessa. Bisogna vendere il prodotto non attraverso l’informazione e la cultura, ma con
un divertimento truculento da cupio dissolvi. Il laico Citati ha però un sussulto. Quando affronta il grande
mistero (perché a questo punto tale sembra a molti) del volontariato e del sacrificio di sé per l’altro il suo
tono muta. Per esempio quando parla dell’associazione Medici con l’Africa, che opera da sessant’anni
senza clamori avvalendosi di aiuti economici spontanei richiamando, è Citati che lo nota, le parole dei
Vangeli, soprattutto quel “dacci oggi il nostro pane quotidiano” che è un insegnamento di vita e una cura
contro lo stress del domani. Ma non solo: l’autore dedica un capitolo al cristianesimo, e lo fa con molto
rispetto e con l’attenzione di chi ha una lunga abitudine al confronto con gli abissi del sacro. Ci sono dei
passi toccanti, come quello sulla dimensione divina del mendicante, che fa della mancanza (che è la
verità secondo Platone) la sua realtà fondamentale, con grave scandalo di chi all’accumulazione ha eretto
vitelli d’oro; o il passo sulla vita pulsante della creazione, seguendo Paolo nella Lettera ai Romani: “Non
dobbiamo dimenticare le parole di Paolo. Cristo non è il sovrano di un mondo esclusivamente umano,
dove noi, a nostra volta, siamo i dominatori della creazione. Cristo regna sugli alberi, gli animali, i fiori, i
mari, i pesci, gli uccelli. (…) Leggiamo i Padri della Chiesa, i testi del Rinascimento e della Controriforma
cattolica. Allora l’incarnazione e la resurrezione di Cristo, senza le quali il cristianesimo non potrebbe
esistere, erano le chiavi di un immenso edificio cosmico”. Citati affronta anche altri miti, quelli della
politica di ieri, come la divinizzazione di Stalin durante la stagione dei pestilenziali processi ai vecchi
compagni di lotta, e quelli di un presente italiano in cui i politici sovraesposti mediaticamente, sotto
gli occhi di bambini e adolescenti, per i quali dovrebbero rappresentare dei modelli, fanno a gara a chi
offende di più e meglio. Si ha la sensazione che Citati abbia qualche speranza in meno rispetto al passato
e che, ancora una volta (Dostoevskij docet), la bellezza sola possa salvare il mondo. Di cultura un Paese
potrebbe vivere. Se solo l’idea di economia non fosse quella di un moloch che divora i suoi adoratori, ma
non tutti: solo quelli che non ce la fanno, quelli che hanno dato e non sono più utili. (M.T.)
Nella Notte degli Oscar
Il trionfo di
The Artist
N
on ci sono state sorprese:
film favorito uguale film
vincitore. Lo strabiliante
cammino di “The Artist” – che
dal Festival di Cannes in poi
ha praticamente vinto tutto
quello che c’era da vincere
(Globes, Bafta, Cesar, etc...) –
raggiunge la sua apoteosi con
i cinque pesantissimi Oscar
portati a casa nella notte: film,
regia, attore protagonista,
colonna sonora e costumi.
Un trionfo annunciato, come
detto. Ma è anche meritato?
Qui entriamo nel campo delle
opinioni personali, ma alcune
considerazioni possono aiutare
a valutare meglio il valore di
questo successo. Evidente
intanto l’impatto, anche
mediatico, dell’operazione
(onore a Langmann e ai
fratelli Weinstein per averci
scommesso). C’era qualcosa
di estremamente audace, forse
addirittura spocchioso, nell’aver
immaginato e proposto, in
piena era digitale, stereoscopia,
estesica, un’opera
realizzata alla maniera
di quasi cent’anni fa:
una pellicola girata
in 22 fotogrammi al
secondo, accelerata in
post-produzione, per
restituire al pubblico di
oggi il dinamismo dei vecchi film
degli anni ‘20; la riscoperta delle
didascalie e la scoperta di quante
possibilità espressive fossero
insite nel loro abbinamento alle
immagini; il recupero del gesto,
del volto, della mimica, alla
loro pienezza semantica, alla
qualità di segni autosufficienti.
Nel mettere in scena il dramma
di un attore di grande successo
travolto dall’avvento del sonoro,
“The Artist” non dice nulla che
non sia stato raccontato già –
“Cantando sotto la pioggia”
di Stanley Donen e “Viale del
tramonto” di Billy Wilder sono
due autorevoli precedenti – ma
il punto è proprio questo, la
capacità di ribadire in forme
tecnologicamente antiquate
(ma di una contraffazione tutta
nuova, diversa da quella digitale)
la natura artificiosa e ripetitiva
del cinema, il meccanismo
autogenerativo, la vocazione
a fare e disfare se stesso
continuamente. Hazanavicious
(regia) & co. hanno realizzato
un perfetto calco del passato
che ha la malizia – nell’impasto
spudorato di falsificazione e
riciclaggio – del gusto postmoderno. Forse, in un anno
d’oro come questo, c’erano film
più belli di “The Artist”, nessuno
però come il vincitore ha saputo
restituire in forme raffinate e
popolari, la specificità di un’arte
che non ha mai riguardato solo
quello che vediamo, ma come
viviamo. (Daniele Armone)
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