La bilateralità possibile - Camera del Lavoro Metropolitana di Milano

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La bilateralità possibile - Camera del Lavoro Metropolitana di Milano
La bilateralità possibile
Incontro di approfondimento
Milano, 29 ottobre 2013
Introduzione di Ivana Brunato
Segreteria della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano
Ho il compito di una breve introduzione.
Circa 2 anni fa, sempre in condivisione con Bentivegna, e sempre in questa sala (l’argomento non
ha ancora assunto la possibilità di avere platee ampie) abbiamo promosso un primo
appuntamento dedicato al sistema della bilateralità.
Anche in quell’occasione, siamo stati supportati da elementi di conoscenza grazie al nostro Istituto
di ricerche economiche e sociali e abbiamo avuto la possibilità di un confronto di libero da
pregiudizi su un argomento che porta sicuramente con se opportunità e rischi. Ringrazio Salvo
Leonardi che dell’Ires è ricercatore e autorevole esperto in materia, di aver accettato di presentare
l’aggiornamento del suo lavoro.
Il nostro orientamento, se lo posso sintetizzare, è di fare in modo che prevalgano le opportunità,
pur consapevoli che proprio i mutamenti che sono in corso nella gestione della cosa pubblica in
materia di diritti universali (istruzione, sanità, previdenza, indennità di disoccupazione per citarne
solo alcuni) rischiano di esporre il sistema della bilateralità a sollecitazioni che non gli competono.
Per questo la Cgil, in previsione del suo congresso che si terrà fra pochi mesi, ha deciso di dedicare
un’attenzione particolare alle proposte che possono essere fatte su questa materia e noi come
Camera del Lavoro di Milano abbiamo pensato di contribuire a questo percorso con questa
occasione di confronto invitando, oltre alle nostre categorie, gli ospiti che vedete qui al tavolo:
Il prof. Lelio DeMichelis, sociologo dell’Università dell’Insubria
Marisa Ballabio, responsabile dell’area lavoro e previdenza di Assolombarda
Daniela Cerutti. Vice segretario dell’Unione del Commercio di Milano
Elena Lattuada della segreteria Nazionale della Cgil
e Graziano Gorla segretario generale della Camera del Lavoro, che dopo un breve saluto ci dovrà
lasciare.
La bussola per la CGIL rimane collegata alla capacità delle parti sociali di costruzione di una
bilateralità di emanazione contrattuale (o da accordi interconfederali) e non sostitutiva di diritti
universali. Nella nostra storia repubblicana, è stato proprio il sindacato in alcune situazioni a
chiedere che materie frutto di accordo tra le parti diventassero legge, per estendere delle garanzie
generali necessarie per l’affermazione di diritti che precedentemente non esistevano. Però come
vedremo da quello che ci verrà meglio illustrato da Leonardi, il legislatore nell’ultimo decennio, e
di recente con la legge 92/2012, è entrato a gamba tesa più volte, assegnando compiti nuovi al
sistema bilaterale in materia di ammortizzatori sociali, di certificazione dei rapporti di lavoro, di
mercato del lavoro, di sostegno al reddito con l’uso dei fondi interprofessionali, solo per citarne
alcuni e senza che a monte ci fosse un processo di confronto e una condivisione tra le parti sociali.
Ci lasciamo alle spalle anche la stagione degli accordi separati, dove l’esclusione della nostra
organizzazione, che conta essere la più rappresentativa tra i lavoratori,era sistematica.
In effetti dicevo delle opportunità, che a mio modo di vedere, possono sorgere quando si decide di
convogliare notevoli risorse economiche che provengono da lavoratori e imprese con la finalità di
restituirle con prestazioni utili per i soggetti che contribuiscono a versare e la condivisione tra le
parti sociali diventa un valore in più che ha portato ad una legislazione di supporto, così è stato per
-
la sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, e la gestione dei rischi;
-
la formazione professionale e i fondi interprofessionali
-
la previdenza complementare
-
le provvidenze di alcuni settori merceologici come l’agricoltura e l’edilizia
per citare i più conosciuti.
Allora perché è necessario interrogarsi se, a fronte di una situazione così variegata che ha
comportato nel giro di pochi anni il moltiplicarsi di enti bilaterali sempre più piccoli, di fondi
interprofessionali parcellizzati,
c’è un altro modo di procedere che abbia alla base un
ragionamento logico che cerchi di dare risposte anche ai cambiamenti che sono in atto, e che la
crisi ha reso ancor più trasparenti per la loro gracilità.
Ad esempio: il settore dell’artigianato ha dimostrato come un sistema bilaterale può essere messo
a dura prova quando l’economia entra in crisi; cosa diversa è l’esperienza del commercio, ma
proprio le attività di formazione, le risorse a disposizione e le prestazioni che eroga questo settore
sono un punto di forza.
Tutti i giorni ci sentiamo menzionare che vi è un mercato del lavoro duale. Chi è considerato
privilegiato perché ha un trama di tutele che sono il frutto di decenni di contrattazione e chi
invece è escluso (se ne contano oltre 4 milioni) perché la natura del rapporto di lavoro che viene
instaurato non è ricompreso nelle tutele esistenti.
La Cgil ha presentato una riforma degli ammortizzatori sociali, che semplifico per brevità, chiedeva
un po’ a tutti i settori di versare, copiando ciò che ha già funzionato nel settore industriale nel
modello della cassa integrazione ordinaria e straordinaria, per essere in grado di dare una garanzia
maggiore a lavoratori e imprese proprio nei periodi di non lavoro.
In questo senso ci sembra che i fondi di solidarietà previsti dalla legge Fornero, non tengano conto
di questa buona prassi e che rischiano di frammentare ulteriormente ciò che invece andrebbe
visto nella sua unicità.
Ecco noi, nel pensare ad una bilateralità possibile, dobbiamo essere inclusivi e restituire il senso
alle parole. Accertarci che i diritti universali siano salvaguardati, fa parte della nostra “mission”
come direbbe qualcuno; lottare perché questo avvenga idem; evitare di fare la parte di quelli che
mettono la testa sotto la sabbia, aggiungo io, è per noi un dovere.
Proviamo allora a vedere cosa possiamo fare, ognuno per la parte che gli compete:
-
le categorie nel rinnovo dei loro contratti, alcune di loro lo hanno già fatto altre si
accingono a farlo, prendendo ad esempio proprio il modello edili e agricoltura laddove
erogano prestazioni anche a chi attualmente vive un rapporto “continuativamente
precario” con il settore;
-
le voci delle provvidenze e di welfare da ricondursi a criteri e parametri che siano in
armonia con quanto previsto nel sistema universale pubblico;
-
tendere ad accorpare più segmenti merceologici, per fare massa critica, ed avere risorse
mutualistiche sufficienti per erogare prestazioni dignitose e utili;
-
separare gli ambiti decisionali e di indirizzo da quelli di gestione, e su quest’ultima puntare
alla maggior efficienza con il minor costo;
-
valutare sempre l’economicità di quello che viene proposto tenendo fermo che l’obiettivo
è erogare il massimo di prestazioni alla platea dei lavoratori e lavoratrici;
-
rendere trasparente (come già oggi lo è in modo certificato per la previdenza integrativa)
tutto l’iter amministrativo correlato.
Già prendere decisioni su questi punti presuppone un grande impegno sindacale. Come
promesso sono stata breve e non rubo altri minuti, rimandandovi ai materiali che sono stati
preparati. Ma soprattutto contiamo sul confronto di merito di questa mattina, che può dare
un’idea di ciò che si può prefigurare su materie cosi importanti per il futuro.
Cgil e Bilateralità
Milano, 29 ottobre 2013
Intervento di
Lelio Demichelis
Sociologo, Università dell’Insubria
Enti bilaterali, organizzazione del lavoro e sistema di welfare. Vorrei provare
a dare una interpretazione particolare – anche se necessariamente semplificata
per questioni di tempo - dei processi di trasformazione che hanno interessano
questi mondi in questi ultimi decenni.
Parto dal lavoro e dall’idea di bilateralità quale strumento di erogazione di
determinate prestazioni attraverso un coinvolgimento diretto delle due parti in
causa, diciamo – usando una terminologia del passato ma ancora attualissima
– del capitale e del lavoro.
Che un tempo erano parti contrapposte, con obiettivi diversi. Anche se per
tutto il Novecento, in Europa, hanno stipulato tra loro una sorta di matrimonio
di interesse, fortificato – ha scritto Zygmunt Bauman – dalla reciprocità della
loro dipendenza, ovvero “la sopravvivenza dei lavoratori dipendeva dall’avere
un lavoro; la riproduzione del capitale dipendeva dalla capacità di assumere
manodopera”. Anche se il termine matrimonio appare decisamente forte ed
eccessivo, così come il collegato fin che morte non vi separi, tuttavia l’orizzonte
temporale era a lungo termine. E comunque, il conflitto sindacale ed
economico – ma anche per diritti democratici da portare nell’impresa e per
diritti sociali da accrescere nell’intera società - non impediva, anzi chiedeva
poi l’accordo tra le parti, anche se la lotta era dura e faticosa. Matrimonio di
interesse, ovvero quella forma matrimoniale in cui non ci si mette insieme per
amore, ma appunto per interesse. Oggi siamo passati ad una sorta di convivenza
occasionale tra capitale e lavoro a causa (sempre Bauman) dell’assenteismo
proprietario, con un capitale libero di muoversi dove vuole (delocalizzando ed
esternalizzando), ma soprattutto non più legato al medio-lungo termine e ad
un rapporto forte e di responsabilità sociale con i luoghi (pensiamo ad
Adriano Olivetti). Convivenza occasionale, o se si preferisce una guerra di posizione
del capitale contro il lavoro. Un lavoro – da stabile che era – che è diventato
una sorta di lavoro campeggio (ancora Bauman), gestito dalle imprese nella forma
del just in time, come se le persone fossero mezzi di produzione da usare
quando servono e da buttare quando non servono più. Il matrimonio di interesse
si è sciolto perché il capitale può fare a meno del lavoro, l’interesse non è più
reciproco.
Dal secondo dopoguerra alla fine degli anni ‘70, sono stati i gloriosi trent’anni
di quello che il sociologo tedesco Wolfgang Streek ha definito (in Tempo
guadagnato), come democratizzazione del capitalismo. Diritti sociali da accrescere,
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democrazia da portare nei luoghi di lavoro, re-distribuzione dei redditi in
nome della giustizia sociale e sostegno al ceto medio, scolarizzazione di
massa, consumismo e benessere, ascensori sociali in piena attività. Ovvero:
stato sociale e insieme la contrattazione collettiva, con lo stato come soggetto
attivo delle relazioni industriali. Poi, dalla seconda crisi petrolifera del 1979,
con Margaret Thatcher e Ronald Reagan ma con una premessa nel Cile di
Pinochet, rovesciamento di queste politiche – di democrazia sociale, quindi di
democrazia sostanziale – e passaggio o ritorno al neoliberismo.
La società non esiste, diceva Margaret Thatcher, esistono solo gli individui. E Guido
Carli denunciava i troppi lacci e lacciuoli che frenavano l’impresa italiana.
Ognuno deve fare da sé: questo è stato il mantra di una nuova pedagogia
sociale fatta di edonismo, narcisismo, solipsismo, critica feroce allo stato
sociale e ai diritti conquistati e al sindacato come freno all’innovazione e alla
libertà del capitale con una forte promessa di liberazione dalla pesantezza della
società fordista; e quello che un tempo era lo scopo dell’esistenza – cercare di
essere se stessi - è diventato poco alla volta un dover essere imprenditori di se stessi,
imbarbarimento di quello che era un concetto alto e virtuoso di vita. Questo
mentre lo stato e la società diventavano sistema-paese, impresa-paese, infine
società-rete, in nome di una industrializzazione e finanziarizzazione dell’intera
società.
Da allora è stata una progressiva e crescente azione politica di
deregolamentazione dei mercati della finanza e del lavoro e di riduzione dello
stato sociale, accusato di ogni possibile nefandezza. In parte vero (troppi
sprechi e troppe inefficienze), in gran parte invece falso e frutto di una
deliberata azione ideologica. Il capitale – ancora Streek – non accettava più di
essere democratizzato. E voleva riprendersi la sua libertà. Complici la
globalizzazione e la rete, il lavoro e la sua organizzazione sono stati rovesciati
come un guanto.
E questa è la realtà con cui ci confrontiamo ogni giorno, tra società del rischio di
Beck, modernità liquida di Bauman, trasformazione del lavoro e dei lavoratori in
merce secondo Gallino, insicurezza e oggi anche impoverimento generalizzati,
competizione esasperata tra pezzi della globalizzazione e tra lavoratori.
L’impresa è stata sciolta dai lacci e lacciuoli che la legavano e ne impedivano lo
sviluppo ma i lacci e i lacciuoli sono stati messi attorno alla vita dei lavoratori,
precari, insicuri ma doverosamente flessibili. Ma c’è un paradosso, o un
processo opposto ma complementare rispetto a quello sommariamente
tratteggiato sopra, ovvero il tentativo da parte del capitale di trasformare quel
matrimonio di interesse – che sembrava scomparso dalla scena delle relazioni
industriali – e ora questa convivenza occasionale (che comunque deve restare
occasionale), in un autentico matrimonio d’amore tra capitale e lavoro, tra
lavoratore e impresa, tra sindacato e interesse nazionale, tra diritti sociali a cui
rinunciare per accrescere la competitività e la coesione nazionale da sostenere per
subire docilmente le politiche di austerità imposte dal neoliberismo europeo.
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Da qui le retoriche insistite sulla idea di complicità virtuosa che il sindacato deve
avere nei confronti dell’impresa e degli interessi economici (l’ex ministro
Sacconi, ma anche parte del sindacato e della sinistra) – ma non il contrario.
O le retoriche altrettanto insistite e accresciute sull’impresa come comunità di
lavoro – e la comunità è chiusa in se stessa, non ammette diversità, dentro si sta
insieme tra uguali che si identificano con la comunità, condividendo gli stessi
valori, introiettandoli per condivisione e incorporazione. Mentre (e a contrario) è
l’impresa che dovrebbe essere costruita sul modello di società e la società
ritrovare la propria essenza aperta e virtuosamente conflittuale tra idee e
progetti diversi (una essenza quindi opposta a quella di comunità), perché in
una società possono e devono convivere mondi diversi, contrapposti, che
dialogano e si confrontano, che trovano poi un modo per essere in-comune
(concetto diverso da comunità) tra diversi, senza rinunciare alla propria
diversità pur accettando di fare cose insieme. Fare comunità – nell’impresa
come nella collettività – significa invece la morte della differenza e della
diversità, significa doversi omologare ad una unica dimensione di senso. Quella
dell’impresa, dell’economia, dei mercati.
Oggi abbiamo questa deriva verso la comunità sia nella macro-società che nella
micro-società chiamata impresa. Una trasformazione del lavorare nel collaborare
con l’apparato, rinunciando il lavoratore alla propria identità e alla propria
diversità di vita e di senso e di progetto rispetto all’impresa. Tanto che oggi si
dice che il capitale, meglio: il tecno-capitalismo sta mettendo al lavoro la vita intera
delle persone (quando lavorano o quando cercano lavoro). Qualcosa che in
realtà parte da lontano, nell’impresa taylorista dove il lavorare doveva essere
appunto un collaborare cordiale (Taylor) tra lavoratori e direzione; che si sviluppa
nella fabbrica toyotista, intesa appunto come una comunità di lavoro, dove alla
disciplina della fabbrica fordista si sostituisce l’egemonia dell’impresa (scrive
Marco Revelli) giocata dal senso di appartenenza, facendo dell’appartenenza
all’impresa l’unica soggettività possibile, mentre ai lavoratori viene offerta una
apparenza di autonomia e di responsabilizzazione ma solo se coerente con
l’organizzazione d’impresa. Per passare poi alla rete, dove le retoriche del
collaborare e del condividere ma soprattutto nell’integrarsi nell’apparato di lavoro
raggiungono livelli mai raggiunti prima (il dover essere connessi) e nasconde una
nuova modalità di organizzazione eteronoma del lavoro – per non parlare
delle brand community nel marketing e alla logica di comunità sottesa a quelli che
impropriamente sono definiti come social network e che sempre più sono
macchine per fare soldi.
Il tutto, mentre cresce sempre più quello che Carlo Formenti chiama il
taylorismo digitale. O l’assimilazione/equiparazione, come la definisco io, della
rete alla catena di montaggio – i modi di organizzazione sono infatti
sostanzialmente identici, basati su individualizzazione e suddivisione da un lato
e totalizzazione delle parti prima suddivise nell’insieme dell’apparato. Mescolato
con una overdose di flessibilità che diventa precarietà, ma che si vorrebbe
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aumentare ancora, il mercato del lavoro italiano non essendo ancora
sufficientemente flessibile.
Dunque: da un lato flessibilità e precarizzazione, insicurezza di lavoro e di
vita, incertezza sul futuro delle persone, impoverimento, dis-unione europea
invece di unione (l’effetto delle politiche di austerità), l’abbandonare tutti a se
stessi invece di aiutare; e dall’altro, mentre lo stato sociale viene fatto
collassare su se stesso, offerta di comunità, di olismo d’impresa e di mercato,
comunità di lavoro, comunità nazionale, matrimonio d’amore tra lavoratori e
imprese, tra lavoratori e mercato. E il modo con cui quello che chiamo tecnocapitalismo cerca di ridurre quanto più possibile il conflitto – sua antichissima
aspirazione: dal produrre utilità e docilità già nelle prime manifatture, come
ricorda Michel Foucault a uno dei sei zeri del modello Toyota - cercando di
produrre omologazione, condivisione e di fatto identificazione, facendo
credere che la vecchia alienazione non esista più.
Mentre la promessa neoliberista di più libertà individuale - ciascuno libero di
fare e di essere ciò che vuole grazie a meno stato e più mercato – si è tradotta
in un falso individualismo (separazione, isolamento) e in un aumento delle
disuguaglianze sociali in tutta Europa, evidenziato da quello che si chiama
l’indice di Gini (Germania compresa). Ma ben sappiamo che al crescere delle
disuguaglianze diminuisce la libertà. Un processo perverso, di regresso, di
ritorno al passato. Qualcuno l’ha chiamata lotta di classe al contrario, processo
accentuatosi con questa ultima crisi - se è vero che in America il 93% degli
aumenti di reddito generati dal 2010 sono andati a vantaggio solo dell’1% dei
privilegiati.
E allora, gli Enti bilaterali rientrano in questa logica di collaborazione
crescente, in questo ricercato matrimonio d’amore tra capitale e lavoro, tra mondi
che un tempo avevano obiettivi diversi mentre ora ne dovrebbero averne uno
unico e comune? Oppure sono una modalità nuova in cui si realizza il vecchio
matrimonio di interesse, qualcosa di non strutturale ma di contingente, che
accompagna ma che non sostituisce il ruolo dello stato e del welfare, dando
anzi un ruolo nuovo, quasi di cogestione, alle parti sociali? Oppure, e ancora,
è una sorta di privatizzazione dei diritti sociali – se non di loro sostanziale
riduzione, sulla scia delle politiche neoliberiste di questi ultimi trent’anni? E
soprattutto, cosa sta diventando il sindacato? Con gli Enti bilaterali – la
domanda è volutamente provocatoria - non sta forse contribuendo a far morire
lo stato sociale e con esso anche la democrazia sociale?
E dunque, lo stato sociale. Potremmo tornare al New Deal di Roosevelt –
applicato all’America dopo la crisi del 1929 - ma preferisco ri-andare a
William Beveridge e al suo Piano nell’Inghilterra del 1942. Le sue proposte
erano semplici e insieme radicali: l’introduzione di un sistema previdenziale
unificato e obbligatorio per tutti, capace di coprire i periodi di interruzione o
di perdita del guadagno; un sistema sanitario articolato e coerente di servizi
socio-sanitari gratuiti e aperti a tutti; soprattutto la realizzazione della piena
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occupazione. Beveridge era un liberale, non un marxista. E non gli piaceva il
termine welfare, perché considerava, da buon liberale che l’indipendenza e
l’autonomia dei cittadini fossero obiettivi fondamentali da perseguire. Però
considerava essenziali e necessari il contratto collettivo di lavoro e le politiche
di re-distribuzione dei redditi arrivando a sostenere, lui appunto liberale, che
la piena occupazione è realizzabile anche lasciando la gestione dell’industria
prevalentemente nella mani private, ma aggiungendo però che se “l’esperienza e
la logica dimostrassero che l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di
produzione è necessaria per assicurare la piena occupazione, questa abolizione
dovrebbe essere intrapresa”. E aggiungendo che il mercato del lavoro dovrebbe
essere sempre un mercato favorevole al venditore anziché al compratore, cioè
al lavoratore e non all’impresa.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, questo modello di stato sociale si è
esteso a tutta l’Europa, anche se con gradazioni diverse. E stato sociale,
democrazia sociale, cioè diritti sociali crescenti sono stati gli obiettivi condivisi di
gran parte dello spettro politico, anche se sono stati il frutto di anni di lotte e
di battaglie anche dure, per una vera cittadinanza. Nella convinzione che
dopo i diritti civili e politici, alle persone fosse necessario garantire anche i
diritti sociali (istruzione, salute, lavoro, reddito, uguaglianza dei punti di
partenza).
Perché solo i diritti sociali permettono a quelli civili e politici di essere veri e
sostanziali, non solo de jure ma anche de facto. Perché non esiste solo la libertà di
poter fare ciò che si vuole, ma serve anche la libertà da (dal bisogno, dalla
disuguaglianza, dall’insicurezza), per poter poi affermare anche una libertà per.
Sono concetti oggi dimenticati, eppure essenziali perché una democrazia sia
tale e lo sia de facto e non solo de jure.
Perché la democrazia è radicale e sociale oppure non è.
Eppure, lo smantellamento dello stato sociale prosegue senza sosta. Uno
smantellamento apparentemente condiviso da destra (che fa il suo lavoro
politico) e da sinistra (che invece non fa il suo lavoro politico, facendo quello
dell’avversario). Partendo dal presupposto che lo stato sociale – quello
universalistico, pubblico – avrebbe oggi costi non più sostenibili; che la curva
demografica non permetterebbe di garantire una pensione ai giovani; che il
mercato sarebbe più efficiente del pubblico. Che non è giusto avere uno stato
sociale che si occupa di ciascuno, dalla culla alla bara.
In realtà, lo stato sociale non è morto, ma viene fatto morire per ragioni
ideologiche e non economiche. Ideologiche e non esistenziali (dare più libertà
di scelta agli individui). Oggi, esiste una ricchezza finanziaria gigantesca che
gira liberamente per il mondo, giocando a produrre denaro per mezzo di
denaro. E allora pensare di continuare a sostenere i sistemi di welfare
prendendo risorse dal lavoro (in crisi) e non dalla rendita (in crescita ulteriore,
anche dopo il 2007) è una scelta politica, ideologica ma non di razionalità
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economica (per non parlare dell’evasione fiscale e degli F35). Senza
dimenticare che la spesa sociale dello stato è in Italia al 25% del pil, mentre in
Germania è al 27% e in Francia a quasi il 30%. Come è una scelta politica
quella imposta dalle politiche di austerità europee, che tagliano ovunque solo
la spesa sociale e non altre forme di spesa e di spreco. Con il paradosso, tutto
europeo, di tagliare la spesa sociale in tempi di crisi, quando invece andrebbe
aumentata. Un autentico nichilismo europeo, o meglio neoliberista: che sta
uccidendo il sogno europeo e che sta portando a niente lo stato sociale e forse
la stessa democrazia europea, favorendo la nascita e ora il radicamento di
populismi, qualunquismi, antieuropeismi.
L’Europa sta vivendo da sei anni un dramma politico: avere 27 milioni di
disoccupati e non fare nulla per loro, confidando in una ripresa che dovrebbe
nascere dalla adozione di politiche di austerità che invece accentuano la crisi
(sono pro-cicliche invece che anti-cicliche), creano ulteriore disoccupazione e
non riducono ma semmai aumentano il debito pubblico: un errore clamoroso.
Anche il Fondo monetario se ne è accorto. Ma non l’Europa. Ostinatamente
nichilista. Ostinatamente neoliberista.
E allora, Enti bilaterali e stato sociale. Ragionare sullo stato sociale significa
sgombrare il campo da questi pre-giudizi ideologici che fanno dire che lo
stato sociale deve morire. Invece: non deve morire e non è morto, come
vorrebbe Mario Draghi – perché se muore, muore anche la democrazia come
la conosciamo e se riduciamo i diritti sociali (che una volta acquisiti devono
essere considerati come indisponibili e universali – al pari di quelli politici e civili)
vengono meno (è matematico, quasi algoritmico) anche i diritti civili e politici ma può rinascere sulla base di una nuova idea e più forte di stato sociale.
Soprattutto oggi, con questa crisi.
E dunque.
Stato sociale (nazionale o meglio ancora europeo) e non welfare sociale, perché la
sussidiarietà è la negazione dell’universalismo. Stato sociale basato su una legge
uguale per tutti (la Costituzione e le leggi che dovrebbero esserne
l’applicazione) e non su contratti, che sono parziali e che inoltre – essendo
qualcosa comunque di natura privatistica – non possono interessare o gestire
diritti che sono appunto universali e universalistici. Per cui i contratti possono
migliorare l’applicabilità di quanto definito dal welfare state ma non derogare o
sostituirsi al welfare universalistico. Inconcepibile poi un welfare legato al
territorio, per le stesse ragioni e perché se non devono esserci gabbie salariali
neppure devono esserci gabbie sociali.
Certo, gli Enti bilaterali possono avere un ruolo importante. Ma forse si
possono cercare altre strade, stabilizzare i rapporti di lavoro, semplificare le
troppe atipicità contrattuali, razionalizzare il welfare state senza aggiungere
nuovi organismi di welfare. Certo, gli Enti bilaterali hanno il vantaggio della
pariteticità e della condivisione e della partecipazione. Ma per fare cosa? Se è
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solo la gestione dell’esistente e la sostituzione di servizi che sarebbero di
pertinenza del pubblico, perché non razionalizzare il welfare pubblico? Di più:
accettare questa logica sostitutiva/integrativa del welfare state non diventa di
fatto una accettazione della sua eutanasia? Compito di un sindacato è quello di
gestire l’esistente e di farlo al meglio; o è anche quello di provare a cambiare
in meglio ciò che esiste (e lo stesso discorso potrebbe valere anche per la
parte imprenditoriale)? Ha senso passare da un welfare state ad un welfare
contrattuale, di categoria o aziendale? E come impedire che il welfare aziendale
somigli al vecchio paternalismo imprenditoriale? Come è possibile immaginare
diritti sociali e di cittadinanza allo stesso tempo universali e territorializzati? E
se il welfare e i diritti sociali sono assimilabili alla nuova categoria dei beni
comuni, può un Ente solo bilaterale governarli come bene comune?
Sono domande che mi faccio e che vi faccio sapendo che anche voi ve le siete
fatte, consapevoli che siamo dentro ad un processo di trasformazione di cui
sappiamo il punto di partenza – la volontà di un certo sistema di potere di
demolire lo stato sociale - ma non quello di arrivo.
Ma le mie domande nascono da una riflessione più profonda, che potrebbe
persino prescindere dagli Enti bilaterali, ovvero: siamo davvero coscienti del
fatto che la morte del welfare state non è una esigenza economica ma una scelta
politica? Che un sistema di diritti sociali non è solo un sistema di prestazioni e di
servizi ma è la sostanza stessa della democrazia? Siamo consapevoli che
dunque il modello può solo essere universalistico e che deve essere sostenuto
andando a tassare la ricchezza là dove si trova, tanta e per di più anche
largamente speculativa? – e vale ricordare che secondo la Banca dei
regolamenti internazionali la quota di crediti ad alto rischio concessi dalle
banche nel 2013 è pari al 45% del totale, ovvero il 10% in più rispetto al 2008;
e che la proposta di tassare le transazioni finanziarie (Tobin tax) si sta
arenando nel silenzio generale nella palude europea, di quell’Europa che allo
stesso tempo marcia a tappe forzate nella de-costruzione del suo stato sociale.
Ma anche il sindacato – e parlo al sindacato perché nella crisi italiana è uno
dei soggetti che mi sono oggi più vicini - deve tornare ad essere in primo
luogo e appunto soggetto politico e sociale, soggetto di azione e di cambiamento, di
proposta e di modernizzazione ma oggi soprattutto di rottura con le politiche adottate
fino ad ora dall’Europa e di proposta di politiche nuove; e non soggetto solo o
prevalentemente concertativo, gestionale, pragmatico, partecipativo. Perché
non si tratta di integrare o di surrogare il welfare malato esistente, ma di recuperare
il senso autentico del welfare. Tanto più necessario e tanto più universalistico
quanto più crescono insicurezza, incertezza, impoverimento, rischio
individuale. Come farlo è scritto in Costituzione. Basta applicarla - e non solo
riformarla (o controriformarla).
Il sindacato torni insomma a fare il sindacato rivendicativo, propositivo,
innovativo. Lottando per tenere stretti i diritti sociali. E per accrescerli.
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LA BILATERALITA’ NEL TERZIARIO
Relazione Dr.ssa Daniela Ceruti
Vice segretario generale Confcommercio Milano
La bilateralità in tutti i settori di attività è definita quale luogo di
incontro tra le Parti Sociali che va oltre le funzioni strettamente
istituzionali e contrattuali.
La bilateralità potrebbe essere quindi definita come “cabina di regia
del lavoro”, un laboratorio dove si svolgono le nuove relazioni sindacali e
dove si sviluppano nuove politiche di welfare.
Per valutare l’attuale contesto occorre considerare che:
• la fase di crisi economica ed occupazionale che stiamo vivendo ha
portato allo sgretolamento del Welfare State, sostituito in parte –
anche a livello normativo – dalla bilateralità (si vedano i fondi di
previdenza complementare integrativa e di assistenza sanitaria);
• gli enti bilaterali quindi passano da una posizione di confine ad
essere protagonisti;
• se nel passato venivano considerati un’esperienza residuale da tenere
confinata in particolari settori caratterizzati da una forte precarietà
(es. edili) oggi la situazione è cambiata e sempre più settori creano
sistemi di bilateralità.
Nel Terziario un grosso merito deve essere riconosciuto alla rete
degli enti e alla loro presenza sul territorio.
La prova dell’importanza della territorialità consiste nell’aver potuto
anticipare gli effetti della crisi e nell’aver trovato idonee soluzioni che
hanno evitato lo scontro sociale soprattutto grazie all’attitudine al
confronto.
Aver sviluppato la bilateralità significa aver avuto la capacità di
migliorare un sistema di relazioni sindacali in un settore, come quello del
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Terziario, caratterizzato da un dato occupazionale molto polverizzato - la
maggior parte dei lavoratori sono assunti in aziende ad di sotto dei 10
dipendenti - e molto diversificato nei settori rappresentati (commercio
all’ingrosso e al dettaglio, piccola, media e grande distribuzione, servizi
alle imprese e alle persone etc.).
Grazie alla bilateralità si è così potuto stipulare nel 2008 il Patto per
lo sviluppo del Terziario che ha permesso di affrontare la grave situazione
di crisi del settore attraverso percorsi negoziali cha hanno avuto come
obiettivo quello di salvaguardare l’occupazione ed il patrimonio della
professionalità.
Agli enti bilaterali territoriali le Parti contrattuali hanno affidato
importanti compiti individuati dal contratto nazionale di lavoro, mentre
l’Ente Bilaterale Nazionale dovrà diventare un’importante raccordo tra
tutta la bilateralità territoriale, garantendo standard omogenei di
prestazioni di welfare.
Un’altra importante “mission” della bilateralità è la formazione
continua.
Nonostante la legge di Stabilità abbia previsto che, nelle ipotesi in
cui le risorse stanziate per gli ammortizzatori sociali in deroga fossero
risultate insufficienti, si potesse utilizzare il 50% delle somme destinate ai
Fondi Interprofessionali, rischiando di paralizzare uno strumento di
politica attiva a disposizione delle imprese, le politiche attive del lavoro
devono diventare il principale mezzo per contrastare la crisi
occupazionale.
Infatti, la mancanza di competenze specifiche ed attuali, ad esempio
nel mondo dei servizi, può diventare un ostacolo ai fini della
ricollocazione o della crescita professionale dei lavoratori.
Parallelamente vanno valorizzati gli strumenti di orientamento al lavoro,
che agevolino i percorsi di ingresso nel mercato del lavoro dei giovani o di
chi ha perso il posto di lavoro.
2
Occorre mettere in campo iniziative che efficacemente aiutino
l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, promuovendo il raccordo tra i
servizi pubblici (Centri per l’Impiego) e i servizi privati (società di
somministrazione, enti accreditati).
Altro tema di sviluppo della bilateralità è la sicurezza sul lavoro, che
nel settore del Terziario è regolamentata con un Accordo Interconfederale
stipulato precedentemente la riforma introdotta dal Decreto Legislativo n.
81/2008.
I compiti assegnati dal legislatore alla bilateralità sono centrali nel
sistema di prevenzione introdotto nel 2008. L’attività di collaborazione che
gli enti erogatori devono instaurare con gli enti bilaterali competenti
costituisce un’importante attività da sviluppare al fine di migliorare la
qualità del lavoro e la consapevolezza dei lavoratori e delle imprese
rispetto alla prevenzione degli infortuni.
La cogenza delle norme contrattuali è un altro tema da affrontare. Se
la bilateralità si deve far carico di parti importanti del rapporto di lavoro e
delle problematiche sociali - come la formazione, l’assistenza sanitaria
integrativa, il sostegno al reddito ecc. - servono anche regole certe ed
esigibili da tutti coloro che applicano il CCNL.
La questione della validità erga omnes dei contratti collettivi deve
essere riportata al centro dell’iniziativa delle Parti, soprattutto in questo
periodo dove sono stati sottoscritti contratti “pirata” che hanno abbassato i
livelli di tutela e creato situazioni di dumping e di concorrenza sleale tra le
imprese, con particolare riferimento al costo del lavoro.
Vengono sempre più spesso stipulati contratti direttamente tra
soggetti non rappresentativi che creano sistemi bilaterali ed utilizzano
denominazioni simili a quelli da noi costituiti, creando disorientamento e
fraintendimenti tra le imprese e i loro consulenti.
3
Le norme contrattuali devono essere, quindi, osservate da tutti coloro
che applicano il contratto collettivo anche per fatti concludenti e non
possono essere disattese o stravolte con deroghe arbitrarie.
Il concetto di obbligatorietà e unicità delle norme contrattuali deve
essere ribadito e rafforzato nell’ambito del rinnovo del contratto del
Terziario.
La bilateralità deve tradursi in pochi, ma chiari obiettivi che tengano
conto della grave difficoltà del momento. I costi del welfare contrattuale,
per esempio, è salario diversamente reso, in termini di servizi ed in termini
di tutele, conseguentemente, diventa basilare l’applicazione integrale del
contratto collettivo nazionale.
L’autorevolezza della bilateralità è anche demandata ad un più
avanzato sistema di relazioni sindacali che deve essere sviluppato sia a
livello nazionale, sia a livello territoriale e sia a livello aziendale.
La sottoscrizione dell’Accordo sulla Governance della bilateralità
del 2009 ha permesso la crescita di un modello che è stato di esempio per
altri settori dell’economia italiana. Tale Accordo è stato inspiegabilmente
disdettato dalle OO.SS. Resta tuttavia indispensabile, in occasione del
rinnovo del CCNL Terziario, raggiungere sul punto una nuova intesa che
fissi regole certe ed esigibili sul funzionamento degli Enti, in particolare:
sulla snellezza degli organi e sulla “qualità” dei componenti, sul rapporto
tra costi e benefici, sui costi di gestione, sulla trasparenza, sui bilanci, sulle
certificazioni, sull’aggregazione territoriale di “piccoli” enti improduttivi
ecc.
Spetta all’intelligenza politica e alla capacità di progettare per il
futuro delle Parti, adottare le strategie di sostegno più opportune affinché
l’originalità e la funzionalità dei nostri enti bilaterali possano progredire e
svilupparsi.
4
Ciò potrà avvenire se i valori ispiratori e le soluzioni tecniche
diverranno patrimonio riconosciuto e condiviso da tutte le aziende e
lavoratori che operano nei settori da noi rappresentati.
5
La bilateralità possibile
Bilateralità e welfare contrattuale
nel sistema italiano delle relazioni
industriali
Salvo Leonardi – Resp. Area Relazioni Industriali
Ass. “B. Trentin-ISF-IRES”
Camera del Lavoro di Milano
29 ottobre 2013
La crisi del welfare state come scenario
Decentramento e differenziazione funzionale: quale “ricalibratura”?
funzionale:
pluralizzazione degli ambiti di intervento e dei soggetti erogatori (welfare mix,
pubblico/privato; multi-pilastro)
istituzionale:
dal welfare state (“primo welfare”) al welfare society (“secondo welfare”;
“VOW”); ai corpi intermedi (famiglie, parti sociali), al mercato (privatizzazione;
terzo settore), agli individui (attivazione; volontariato):
dal welfare state al welfare regions (federalismo; welfare locale),
equiparazione legge-contratto nel sistema delle fonti (delegificazione;
sussidiarietà); partecipazione dal basso (democrazia deliberativa)
economico:
“cut without paste” approccio delle riforme italiane ed erosione della spesa
sociale pubblica (“retrenchement”)
dalla spesa sociale all’auto-finanziamento su base mutualistica (fondi
categoriali) o unilaterale aziendale (RSI)
De-universalizzazione vs. polarizzazione territoriale/categoriale/aziendale?
Sindacato, welfare e mercato del lavoro:
fra vecchi e nuovi ambiti di intervento
Gestione sindacale (quasi-)monopolistica:
Closed-shop dei peasi anglosassoni (in passato)
L’Histadrut israeliano (dalla sanità nazionale, al collocamento, alla
disoccupazione)
I fondi pensione e sanitari nelle big corporation americane (Chrysler/Veba)
“Sistema Ghent” e fondi sindacali assicurativi disoccupazione (B, S, DK, SF)
Gestione tripartita (con l’attore pubblico):
Comitati Economici e Sociali (NL, B, P, E, I)
Comitati misti di controllo (sicurezza, prezzi/tariffe, immigrazione, sommerso…)
Gestione bilaterale/paritetica: voluntary occupational welfare (VOW)
Le storiche società di mutuo soccorso (prima del welfare state)
Il modello “casse edili”: disoccupazione, anzianità e salute/sicurezza (I; D; A)
Formazione professionale/continua; previdenza integrativa (F, I, B, E, P, AT,
DK, SE, IRL)
Partenariato sociale austriaco; Cogestione tedesca
“Paritarisme” francese (disoccupazione, previdenza integrativa, proud’hommes)
“Bilateralità” italiana (welfare occupazionale e contrattuale)
Cosa sono gli enti bilaterali?
Un sottosistema del “sistema” delle r.i.
Soggetti giuridici; “enti di fatto” (ex art. 36 c.c.)
Paritetici
Autofinanziati
Sedi stabili, specializzate e “privilegiate” di
confronto fra le parti sociali
Approccio di stampo partecipativo
con realizzazioni molto diversificate per funzioni
e fra settori e/o territori (non c’è un unico
modello)
Salvo Leonardi
IRES-CGIL
Finalità della bilateralità
Studio, monitoraggio e confronto permanente su prospettive settoriali,
mercato del lavoro, pari opportunità, salute e sicurezza, risoluzione
controversie, “fasce deboli”; la lotta al sommerso (tutti i CCNL)
Integrare/ricalibrare il welfare statuale (previdenza; sanità; formazione;
sostegno al reddito)
Rendere effettivi diritti altrimenti non facilmente esigibili a causa
dell’elevata frammentazione di imprese e rapporti di lavoro (edilizia;
agricoltura; turismo; somministrazione).
Integrare/surrogare istituti e procedure della rappresentanza e della
negoziazione collettiva in settori sindacalmente fragili
Certificazione qualificazione dei contratti di lavoro atipici,
rinunzie e transazioni ex art. 2113 c.c. (Legge “Biagi”
Biagi”: D.lgs. 276/03)
Intermediazione nell’incontro fra domanda e offerta di lavoro
Tipologie, scopi e livelli
Per ambiti:
- Intersettoriali (es.: artigiani; fondi per la formazione)
- Settoriali (es: edili; assicurativi; terziario; turismo; agroindustria, etc.)
- Aziendali (es.: ultimo CCNL dei chimici; alcuni fondi sanitari
integrativi)
Per scopo:
Multi-scopo (es.: enti dell’artigianato; casse extra legem
agricoltura)
Mono-scopo (es.: fondi formazione professionale; sostegno al
reddito)
Per livello:
Nazionale (fondi per la previdenza, la formazione, il sostegno al
reddito)
Territoriale: regionale (artigiani; turismo) e/o provinciale
(terziario; edili; agricoli; turismo), sub-provinciale (artigianato;
turismo), a seconda del perimetro del 2° livello contrattuale
Settori (fino ad oggi)
Settori ad alta
frammentazione delle
imprese e del lavoro
Edilizia
Agricoltura
Artigianato
Turismo
Terziario
Settori “ricchi” e ben
sindacalizzati ma privi di
ammortizzatori
sociali
(CIG; mobilità)
Ex monopoli e
public utilities (L.
662/96): poste,
elettrici, Fs, Alitalia,
ecc.
Credito/assicurazioni
Tutti gli altri
(L.92/2012)
Salvo Leonardi
IRES-CGIL
Bilateralità e CCNL
CCNL
Data
Bilateralità
Interinali
13/5/09
FSR/EBIREF (2005); uso risorse della FP; una tantum 1.300.000
Industria alimentare
22/9/09 e
2012
EBS; dal 2011gestione di servizi/attività in tema di welfare contrattuale, maternità. Attivazione
misure integrazione reddito dei lavoratori
Panificazione
2/12/09
Realizzare attività bilaterali per sostegno o integrazione al reddito dei lavoratori
Chimica
18/12/09
e 2012
Fondo bilaterale aziendale per il sostegno al reddito durante periodi di crisi/CIG/contratti di
solidatrietà; finanziato con modalità e importo stabiliti a livello aziendale (50-50).
Welfarechim (2008)
Metalmeccanici
(separato)
15/12/09
FSR dal 2012, per periodi prolungati di CIG, per i lavoratori che vi aderiscono volontariamente
Artigiani
15/12/09
Prestazione estese anche ai non aderenti all’EB;
diritto contrattuale economico-mormativo (2010)
Bancari e Assicurativi
2009 e
2012
Fondo di solidarietà sostegno al reddito e ricollocazione lavoratori esposti a perdita del lavoro
Agricoli
25/5/10
Ente Bilaterale Agricolo Nazionale e Casse extra legem territoriali; prestazioni sanitarie
integrative, di sostegno al reddito e altri servizi in tema di welfare
Turismo
9/7/2010
FSR che affianca l’EBT, finanziato con lo 0,25%, non obbligatorio per chi versa già per CIGS e
mobilità. Integra la DS al 20%
I CCNL Terziario
Ente bilaterale
Previdenza complementare
Sanità integrativa
Formazione
professionale
Terziario Confcommercio
EBINTER
FONTE
EST
FORTE
Quadri Confcommer.
QUADRIFOR
Terziario
Confesercenti
EBNTER
FONTE
ASTER
FONTER
Cooperazione
EBINCOOP
PREVICOOPER
COOPERSALUTE
FONCOOP
Turismo
Confcommer.
EBNT
Tursimo Confesercenti
EBN
Tursimo Confindustria
EBIT
Pulimento
Confcommercio
EBINAS
Colf e badanti
EBINCOLF
Multiservizi PMI e Coop
ONBSI
FONDAPI e
COOPERLAVORO
Studi Professionali
EBIPRO
FONTE (ex Previprof)
CADIPROF
Farmacie Assofarma
EBINFAS
Portieri
EBINPROF
Cassa Portieri
Cassa Portieri
Vigilanza
EBINVIP
Proprietari di fabbricati
EBINPROF
Terme
EBITERME
Agenti e rappresentanti
QUAS
FAST
FONTE (ex Marco Polo)
ASTER
FONTER
FONTUR
FONDIMPRESA
PREVIAMBIENTE
Cassa Colf
FOONCOOP
FASIV
ENASARCO
FONDO PROFESSIONI
Fonti normative:
contrattazione ma non solo
Il contratto collettivo
come fonte primaria di
regolazione ed indirizzo
Legislazione di sostegno
e di tipo premiale, per
favorire la
regolarizzazione
normativa, contrattuale e
contributiva di rapporti di
lavoro particolarmente a
rischio (lotta al sommerso)
Il modello premiale della legislazione
di sostegno agli EE.BB.
Applicazione non
integrale del CCNL ma
delle sole parti normative
ed economiche, ad
esclusione della parte
obbligatoria (relativa agli
EE.BB.)
Agevolazioni fiscali e
contributive; contratti di
solidarietà
(es.: artigianato)
Riduzione premio
(es.: edilizia)
Accesso agli appalti
pubblici e privati;
Certificazione regolarità
contributiva
(edilizia ma non solo: es.
turismo)
Natura giuridica ed estensione soggettiva
del vincolo di versamento contributivo
Tesi del “pubblicistica”
Tesi “privatistica”
• Onere, non obbligo
• Origine contrattuale degli EEBB
Obbligo, non onere (L. 92/12)
• Interventismo legislativo (D.lgs.
276/03; L. 2/09; L. 92/12)
• Autonomia delle parti sul se,
dove e come istituire gli enti
• Estensione efficacia: decreto
ministeriale / regolamento / controllo
gestione / fondo residuale
• Separazione parte
• Sede e gestione: INPS
obbligatoria/normativa
(giurisprudenza; Circ. Min.)
• Cura di interessi pubblici costituzionali
(art. 38 Cost.)
• Rispetto libertà sindacale
negativa
• Carattere unitario del CCNL:
• Bilateralità “consolidata”
(L.92) o “pura” (Liso)
• Contrattualizzazione dei diritti
• Reato di appropriazione indebita datore
inadempiente; peculato
• Bilateralità “spuria” (Liso),
“qualificata” (Faioli)
La “contrattualizzazione” delle prestazioni
bilaterali
Le prestazioni sono sempre più spesso considerate indispensabili a
completare il trattamento economico e normativo (A.I.
artigianato 2009).
Sono cioè un diritto contrattuale, “irrinunciabile e inderogabile”
di ogni singolo lavoratore. “Parte integrante” dei minimi retributivi.
Dell’omissione del versamento risponde il datore, con eventuale
risarcimento (CCNL terziario; agricoltura)
“La bilateralità (..) è un sistema che coinvolge tutte le imprese –
aderenti e non aderenti – alle associazioni di categoria firmatarie
(Accordo artigianato 2009)
Il datore che non versa all’EB eroga direttamente al lavoratore la quota
dovuta: 25€ lordi mensili in artigianato, 13€ in agricoltura, 0,20%
paga base+contingenza nel turismo, 0,10% nel terziario, dove l’una
tantum di 30€ annui equivale e sostituisce l’aumento contrattuale
Come si finanziano gli EE.BB.?
Non confondere fra loro:
Contributi, che transitano dagli EE.BB. (accantonamenti per
ferie, 13^, sostegno al reddito, formazione, quote sindacali),
spesso in convenzione con l’INPS per la riscossione
-
-l’azienda
che ometta il versamento all’E.B. è tenuta a
effettualro a favore del lavoratore quale elemento distinto
della retribuzione
Quote associative, per il finanziamento associativo degli
EE.BB, definite liberamente dalla contrattazione, con quote
eventuali stornate alle parti sociali.
-
-L’azienda
è libera di non associarsi e dunque di non pagare
quote associative agli EE.BB. che sono emanazione
funzionale della contrattazione nella sua parte “obbligatoria”
-
La governance
Statuti e Regolamenti: a livello nazionale e
decentrato
Assemblea dei soci / Consiglio direttivo / Presidente
/ Collegio dei revisori dei conti
Risorse, parametri, controlli: comitato bilateralità e
linee guida del terziario (Accordo 2009)
1) “la specializzazione e razionalizzazione del sistema della
bilateralità, ottimizzando la gestione” (75/25);
2) eliminare le attività non caratteristiche e improprie e le
duplicazioni”
Ambiti funzionali della bilateralità
1.
Mutualizzazione di obblighi retributivi derivanti
da legge e CCNL (13^; ferie; anzianità aziendale;
certificazione contributiva; lotta al lavoro nero)
2.
Sostegno al reddito e “ammortizzatori fai da te”
3.
Sanità integrativa e “welfare contrattuale”,
(categoriale, locale e aziendale)
4.
Formazione professionale (e politiche del MdL)
5.
Rappresentanza e relazioni sindacali a livello
territoriale
1) Mutualizzazione di obblighi
retributivi derivanti da legge e CCNL
trattamento economico per ferie e 13^ (Edilizia)
anzianità professionale (Edilizia)
certificazione della regolarità contributiva (Edilizia)
malattia (Cassa portieri)
erogazione del Tfr (ENPAIA agricoltura)
Salvo Leonardi
IRES-CGIL
2) Sostegno al reddito e
“ammortizzatori fai da te”
Contrattazione “tappabuchi” della “Flex-Insecurity” italiana
Rivisitazione del modello mutualistico di assicurazione sociale
Funzione sostitutiva o integrativa per quei settori sprovvisti di cassa
integrazione e soggetti a stagionalità (artigiananto; creditoassicurazioni, poste, trasporto, elettrici; interinali; turismo; terziario)
La legge n. 92/2012 (Riforma Fornero): universalizzazione vs. neomutualismo
Settorializzazione (corporativa?) dell’intervento
Esaurimento scorte per CIG in deroga
Salvo Leonardi
IRES-CGIL
I Fondi di solidarietà bilaterali
Art. 3, Legge n. 92/2012
FSB (“obbligatori”)
Per cosa? A) Finalità primaria: “in costanza di rapporto (..) assicurare adeguate forme di
sostegno al reddito” a chi escluso da normativa integrazione salariale. Stesse causali
integrazione salariale; B) Finalità ulteriori: tutela per cessazione rapporto, agevolazioni
esodo, formazione/riconversione. Contributo datoriale straordinario
Dove? “settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale (..) “in
Chi? Associazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale/ INPS
Come? Accordo settoriale o intersettoriale (classe dimensionale; aliquota)/ decreto-
Quando? A regime entro il 2016. Accordo entro sei mesi, poi un anno (max 18/7/2013),
Quanto? Contribuzione ordinaria: 2/3 (datori) + 1/3 (lavoratori). Min. 0,30%. Quale
aliquota per quale tasso di sostituzione?
relazione alle imprese che occupano mediamente più di quindici dipendenti”.
Gestione (comitato tripartito) con bilancio in pareggio / sostenibilità su 8 anni.
Prestazioni = Disponibilità. Modifiche aliquote / importo prestazioni
regolamento ministeriale / gestione presso INPS
per stipulare gli accordi istituitivi (settoriali o quadro?)
FSBA (“alternativi”)
“possono” essere istituiti “con le medesime modalità” anche nei settori e nelle classi di
ampiezza già coperti dalla normativa in materia di integrazioni salariali (es.:
artigianato); adeguamento statuti. Aliquota min. 0,20%
FSBR (“residuali“)
se non siano stati stipulati, entro il 31/10/2013, accordi collettivi. Presso l’INPS che
stabilisce con decreto l’aliquota contributiva.
3) “Welfare contrattuale” e locale
previdenza integrativa (tutti)
assistenza sanitaria integrativa (chimici, edili,
artigiani, interinali, commercio, bancari-assicurativi,
alimentaristi, agricoli)
maternità (interinali), premi natalità e asili nido
(commercio); conciliazione (alimentaristi)
infortuni che si protraggono oltre la fine della missione;
permanenti; morte (interinali; alimentaristi)
non autosufficienza e long term care (assicuraz.banche);
congedi parentali e figli malati o disabili (commercio)
accesso al micro-credito; mobilità (interinali)
borse di studio per i figli (edili, artigiani)
sportelli territoriali di consulenza specializzati
contrattazione sociale territoriale (Spi, FP, Cdl)
3. Welfare aziendale
Survey IRES/Univ. Ancona sul welfare aziendale nelle grandi imprese (anno 2012)
% Aziende con almeno un intervento di welfare
% Aziende con almeno un intervento di welfare (escl. pensioni
complementari)
Aziende classificate per n. di interventi di welfare (massimo 10)
- nessuno
- uno
- due/tre
- almeno quattro
- Totale
95,2%
83,0%
4,8%
15,1%
43,3%
36,8%
100%
Interventi di welfare nelle aziende di grandi dimensioni (>500)
21
Casi (famosi) e prestazioni
buoni pasto; agevolazioni trasporti, telelavoro
nidi aziendali/ludoteche (Tod’s, Fiat Mirafiori, Vodafone Pozzuoli, PP.AA.,
Poste, Eni, Intesa Sanpaolo, Generali, Luxottica, Gucci, Camst Coop, GD,
Rcs); figli in ufficio (ErgonixArt); misure di conciliazione (Ministeri; Prov.
Trento).
polizze sanitarie aziendali (Intesa San Paolo; San Benedetto; Barilla;
Luxottica; Tetra Pak); assistenza pediatrica (Edison)
Cassa Vita (Barilla); Long term care (imprese assicuratrici)
azioni gratuite; carrello della spesa (Luxottica); sconti supermercato
(Camst), sulla bolletta (Eni, Enel; Edison), sulle operazioni bancarie
(Adecco)
spese scolastiche per i figli (Corepla; San Benedetto); rimborso libri
(Luxottica) e borse di studio (Eni, Enel, GD); borse di studio universitarie
(Camst Coop); campus estivi con corsi di lingua (Edison)
prestiti ai soci/dipendenti per necessità (Camst)
convenzioni con agenzie di viaggi (Adecco); vacanza premio anzianità (San
Benedetto)
sostegno per i familiari anziani (Politecnico di Torino), badante aziendale
(Tetra Pak, Bracco)
agevolazioni per trasporto lavoratori disabili (GD)
voucher lavanderie (Binari Sonori)
4) Formazione professionale
Gli enti bilaterali territoriali e nazionali si sono occupati molto di:
Analisi dei fabbisogni formativi
Gestione regionale dell’apprendistato
Co-finanziamento dei costi aziendali (ristorno)
Coordinamento e informazione
I Fondi interprofessionali art. 118, L. 338/2000
Sono “la realtà più solida, diffusa e omogenea di bilateralità”
Una delle poche vere leve per migliorare la produttività
Sono 11; 22 se si aggiungano anche quelli esterni al sistema Cgil, Cisl, Uil
Finanziati con le risorse dello 0,30% del monte salari (L.845/78 ), uguali per
tutti
Compito: valutare / finanziare piani formativi aziendali, territoriali e settoriali
Le aziende che versano, aprono un conto a cui poi attingono, presentando
piani
Potrebbero confluire nei nuovi fondi di solidarietà bilaterali, dopo la legge
92, ma le parti sociali si oppongono
5) Bilateralità e relazioni sindacali
territoriali
Bilataralità e contrattazione: un rapporto biunivoco con
qualche rischio di ‘alternatività’
La raccolta regolare e costante delle iscrizioni e delle quote
associative anche nei cantieri e nelle PMI
Il Fondo per la rappresentanza sindacale (Frs)
dell’artigianato; i rappresentanti sindacali di bacino (Rsb)
La salute e sicurezza, dalla 626 al d.lgs. 81
I limiti del sindacato italiano oggi
a) lo scarto fra un forte potere sociale acquisito e mantenuto e risultati
– generalmente modesti – dal punto di vista della condizione
lavorativa (salari, precarietà e lavoro sommerso, composizione della
spesa sociale, investimenti nella formazione);
b) una crisi senza precedenti del sistema delle relazioni industriali:
accordi separati e regole incerte su rappresentanza e contrattazione
(riflessi sulla bilateralità)
c) una marginalizzazione inedita a cui le costringe il nuovo quadro della
governance euro-nazionale (riforme 2011-12), laddove – sia pure in
chiave anti-Cgil – neppure il governo Berlusconi aveva così
scopertamente eluso il ruolo della concertazione/dialogo sociale;
d) l’aggravamento delle divergenze tattiche e strategiche fra le
organizzazioni sindacali riguardo alla fase, ma più in generale al
modello di sindacato che si vuole conseguire (l’approccio Cisl)
Welfare e bilateralità: quale modello sociale
La ricalibratura dissimulata
“1° welfare” (o pubblico) – “spuntato”, sempre più minimo
“2° welfare” (o privato) – in espansione, agevolato fiscalmente
•
Extra-statuale e auto-gestito
•
Occupazionale / categoriale / locale /aziendale (dualismi)
•
Statuale in ultima istanza (residuale)
•
Condizionalità: bisogno/attivazione/disponibilità
Bilateralità
Sostitutiva / surrogatoria
del welfare pubblico;
Decentramento welfare vs.
Decentramento contrattuale
Per un nuovo welfare state
•
Primato del pubblico
•
Modello universalistico
•
Con più risorse
•
Più blanda condizionalità
Bilateralità
Primato del welfare pubblico e del CCNL
Evitare nuovi dualismi insider/outsider
Proposta CGIL riforma AA.SS
2 pilastri pubblici: DS e CIG.
Bilateralità integrativa