Leone UrLante - Copetti Antiquari

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Leone UrLante - Copetti Antiquari
Isabella Reale
Leone Urlante
Mirko Basaldella
Copetti Antiquari
“Il tema martiniano e classico della Chimera, del Leone, ne è uscito trasformato
non più in mostro di ctonia patente potenza, come nelle sculture di Mirko a metà
degli anni Trenta, ma in mostro arcano e magico, in inquietante presenza ieratica,
ricondotto dalla lontananza sconfinata dei tempi (che tuttavia furono colti e storici
…) ad una nuovissima aggressività magico-sacrale: di barbarica icasticità, e al
tempo stessa di raffinatissima eleganza di decoratività di insinuazione magica;
ricondotto dico nel nostro tempo, che è storico, e che tende ad escludere magia e
libertà fabulistica, ad escludere il legame sotterraneo con quel fondo di primordiale
potenza che echeggia invece terrifico nel Leone urlante”
Enrico Crispolti, I Balsaldella, Casamassima Ed., Udine 1984
Isabella Reale
Leone Urlante
Mirko Basaldella
Mirko Basaldella (Udine, 2 settembre 1910 - Cambridge - Mass., 24 novembre 1969)
Leone urlante, 1957
Bronzo, cm. 96,5x76,2x33,2
Esemplare unico
Esp.:
New York, Mirko. Exhibition of recent bronze Sculptures, Catherine Viviano Gallery, 13 maggio-15 giugno 1957; Cambridge,
Drawings and Sculptures by Mirko, Fogg Art Museum, Harvard University, 16 aprile-17 maggio 1958, n. 23.
Bibl.:
Mirko, Exhibition of recent bronze Sculptures , cat. d. mostra, con un’introduzione dell’artista, ed. Catherine Viviano Gallery,
New York 1957, n. 1, ( ripr. in copertina); Mirko, Leone urlante, in “Vogue”, Sept. 1, 1957, p. 259; H. Kramer, Month in Review:
exhibition at the Viviano gallery, in “Arts”, vol. 31 n. 9, New York, giugno, p. 45 (ripr.); ripr. in “Interiors” January 1958, p. 76;
ripr. in “Arts and Architectures”, January 1958, p. 27; E. Crispolti, La scultura di Mirko, ed. Bora, Bologna 1974, p. 160, fig.
143 (ripr. bn.); G. Appella, I. Reale, Mirko, cat. d. mostra, De Luca ed. Roma, 2007, p. 226 (ripr. bn.)
Leone urlante
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Il Leone urlante è il bronzo scelto per la copertina del catalogo della prima personale di Mirko allestita dalla
gallerista Catherine Viviano nella sua sede a New York, tra maggio e giugno del 1957. Si tratta di una mostra composta da trentanove sculture con la quale di fatto ha inizio il periodo “americano” dell’artista, ovvero il trasferimento
negli USA, su invito dell’architetto catalano Josep Lluìs Sert, per dirigere il Design Workshop dell’Istituto di Architettura presso la Harvard University di Cambridge. La nuova frontiera dell’arte americana si era palesata per Mirko
e Afro Basaldella già dal 1938, a partire dalle mostre promosse oltreoceano dalla Galleria della Cometa, ma è Catherine Viviano la vera interprete e promotrice dell’arte italiana contemporanea attraverso la sua galleria aperta nei
primi mesi del 1950 a New York. Nel maggio dello stesso anno viene allestita infatti la prima personale dedicata ad
Afro dalla Viviano, vero trampolino di lancio sulla scena artistica americana e come noto, proprio a partire di questo
primo prolungato soggiorno, la sua pittura evolverà rapidamente sollecitata dal nuovo orizzonte dell’espressionismo astratto e dell’action painting. Alla presenza tra gli artisti della galleria dei due fratelli si aggiungerà più tardi, nel
1961, anche la personale dedicata al maggiore dei tre Basaldella, Dino: di fatto l’apparire da protagonisti su questa
importante ribalta internazionale, solleciterà per la loro individuale esperienza nuovi obiettivi e nuovi termini di
confronto con il rapido evolversi della ricerca in atto, e nello stesso 1957 Mirko e Afro saranno anche accomunati
dall’esperienza didattica, essendo invitato quest’ultimo, in qualità di painter in residence, a insegnare al Mills College
di Oakland per l’anno accademico 1957-1958.
La mostra di Mirko ha un forte impatto sulla critica americana e un notevole successo di vendite, e il bronzo,
fuso in esemplare unico, entra subito in una collezione privata americana facendo poi la sua comparsa solo a esposizioni oltreoceano: Hilton Kramer recensendo la mostra sulla rivista Arts, sottolinea:“Tutto ciò che esce dalle mani di
Mirko rimane certamente nell’orbita del gusto classico. Non c’è mai un dettaglio grezzo o un contorno rigido, mai un’espressione
così intensa che non possa essere pazientemente piegata alle esigenze della maniera classica. Così che i richiami del passato non
sono in alcun modo ignorati anche quando l’immagine umana ha dato adito a un simbolismo più differenziato”. È dunque il
richiamo alla classicità ciò che balza agli occhi in queste opere, orientando il fare di Mirko in un rapporto stretto con il
passato, come sottolinea il critico, in netto contrasto con
le tendenze in atto sulla scena americana, avvertendo
però come tale orientamento non vada frainteso con un
ossequio servile e sottomesso alla maniera classica.
Il rapporto con l’Antico nei termini di una personale interpretazione alla luce della propria realtà esistenziale è di fatto uno dei nuclei immaginifici portanti
la poetica di Mirko durante tutto l’arco della sua opera,
anche nel momento dell’abbandono della figurazione e
fin nei passaggi più sperimentali: è il suo naturale riferimento nei termini di un immaginario collettivo che affonda le sue matrici nel concetto dell’archetipo, appreso
alla scuola di Arturo Martini, di cui l’artista udinese fu
allievo e stretto collaboratore. A un’intera generazione
di scultori italiani l’ esempio della plastica martiniana
e del suo rifarsi all’arte etrusca, arcaica, di fatto si pone
nei termini non di accademia ne’ di archeologismo, ma
di pura spinta immaginifica, pescando con sensibilità
individuale nel grande alveo della cultura del passato.
Copertina catalogo mostra alla Catherine Viviano
Gallery New York 1957
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Leone urlante
Il tema scelto, il leone urlante, è un esempio emblematico di come la lezione di Arturo Martini abbia fecondato la naturale vocazione plastica di Mirko, essendo filiato dai suoi potenti leoni bronzei di Monterosso
presentati alla Quadriennale romana del 1935, versione
barbara, irsuta e violenta dell’iconografia classica della
Chimera, modellata da Martini anche nella prediletta ter-
racotta per plasmarla più viva e presente nel suo improvviso girarsi a fauci spalancate.
Alla mostra personale allestita presso la galleria romana della Cometa nel gennaio del 1936, Mirko risponde
alla sollecitazione del maestro presentando due Chimere,
poi acquisite dalla stessa proprietaria della galleria, Mimì
Pecci Blunt, cariche della stessa tensione espressionista che
agita le filiforme e scavate figure di adolescenti in mostra,
e che ha le sue leve più visionarie nell’esperienza plastica
della Scuola Romana: scarnificate e con i muscoli a fior di
pelle, urlanti e inarcate, mentre un serpente si divincola
sotto le loro possenti zampe, incarnano l’esaltazione immaginativa, dando vita attraverso la mitografia a uno dei
demoni dell’inferno di Mirko.
Ancora una volta infatti, di fronte alle opere presentate alla personale della Cometa, ritroviamo agire non
già l’influenza di Martini, ma la sua lezione più feconda,
la sua metodologia di approccio alla forma intesa come
scavo interiore e modellazione per spinta dall’interno
della materia. Dei e demoni lasciano il posto ora a nudi
adolescenti allungati e come scarnificati nella loro sofferta
anatomia, certo archetipici, come nel Narciso disteso e avvitato su se stesso, o nel Ragazzo con pesce, sorta di Tobiolo
in piedi, dal passo instabile, che non corrispondono più
a una visione contemplativa, ideale, lirica o anche a tratti
ironica e divertita, e certo anche drammatica, come quella
nelle corde della scultura martiniana. A questa si è ormai
sovrapposta una diversa sensibilità, più sofferta, nervosa,
ben esemplificata dalla figura del giovane che spoglia, il
Neofita, che mette in scena l’atteggiamento iniziatico della
nuova generazione, quel desiderio di un battesimo, inteso
come una nuova colta immersione nel passato.
Mirko Basaldella, Chimera urlante, 1935. Bronzo, cm. 76 h.
Collezione. Pecci-Blunt, Roma.
La Chimera riappare clamorosamente d’imperio tra
le sculture che compongono la sala personale di Mirko alla
XVII Biennale veneziana, affiancandosi a nuove creature
fantastiche quali il Leone di Damasco e al nuovo corso della
sua scultura rappresentato dalle ricerche più astratte, derivanti dalla meditazione strutturale e dal dialogo tra pieno
e vuoto elaborato a livello monumentale dalla Cancellata
per le fosse Ardeatine: si tratta di un dualismo sconcertante
per la critica, che sottolinea da una parte i richiami della
cultura e la rilettura di antiche civiltà, dalla Cina al Messico, dall’altra le sollecitazioni dell’avanguardia, dal cubismo al surrealismo.
Ora è l’Oriente il nuovo confine dell’immaginazione di Mirko, un oriente che si traduce in misteriose
calligrafie rituali che percorrono la pelle dell’animale, la
cui struttura appare volumetricamente semplificata dalla
squadratura cubista. Sottolinea nel 1979 Carlo Ludovico
Mirko Basaldella, Chimera,1954. Bronzo, cm. 84x70x40.
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma.
Leone urlante
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Ragghianti, nella presentazione del catalogo della mostra “La Fondazione Mirko per Firenze”:
“Non sono state le oggettività archeologiche verificate nel viaggio in Siria e in
Giordania negli anni 1952 e
’53 a determinare un orientamento di Mirko verso la
protostoria mediterranea e
per essa verso civiltà visive
affini, orientamento preesistente perché dettato dalle
esigenze mitiche e primordialiste già in atto nella
prima giovinezza”, specificando come sia “la sensitività pronta ed emotiva di
un artista” a determinare
tale scelta stilistica innescata da una “tendenza
spontanea e per coltivato
esercizio”.
Sempre sulla questione interviene Enrico
Crispolti, nella monografia dedicata a I Basaldella, del 1984, specificando che Chimera e Leone di Damasco rappresentano un “orientalismo
mitico, non storicistico: un Oriente spaziante dalla Mesopotamia alla Cina, al Messico e ad altre culture precolombiane. Il tema
martiniano e classico della Chimera, del Leone, ne è uscito trasformato non più in mostro di ctonia patente potenza, come nelle
sculture di Mirko a metà degli anni Trenta, ma in mostro arcano e magico, in inquietante presenza ieratica, ricondotto dalla lontananza sconfinata dei tempi (che tuttavia furono colti e storici …) ad una nuovissima aggressività magico-sacrale: di barbarica
icasticità, e al tempo stessa di raffinatissima eleganza di decoratività di insinuazione magica; ricondotto dico nel nostro tempo,
che è storico, e che tende ad escludere magia e libertà fabulistica, ad escludere il legame sotterraneo con quel fondo di primordiale
potenza che echeggia invece terrifico nel Leone urlante (Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino) del 1957, per esempio (esposto
con altre sculture di questo gruppo, e alcuni Totem, nell’importante personale di Mirko alla Viviano Gallery)”, indicazione
questa peraltro, come vedremo, non esatta essendo l’opera qui esaminata diversa da quella acquisita nel 1971 dal
museo torinese.
Mirko Basaldella Leone urlante II, 1958. Bronzo, cm 94x77x44.
Fondazione Mirko Firenze.
Nel volgersi a simboli desunti dalla rilettura delle culture cosiddette primitive agli occhi di un occidentale,
Mirko dunque esprime un interesse che va oltre l’esotismo, il preziosismo, la ricerca del diverso, sia questo proveniente da Africa, Oceania o America, cercando in verità la dimensione animistica della scultura: una nuova dimensione caratterizza la sua statuaria, ed è quella dell’idolo.
Anche le inequivocabili matrici martiniane del suo immaginario si sono dunque trasformate ben presto da
un’ispirazione mitica, oltre i tempi della storia fino all’esplorazione dell’essere primordiale, che non è solo nel suo caso
un’occasione nuova di confronto con una cultura nuova, ma anche esplorazione dell’essere primordiale inconscio:
Mirko sembra far suo quel concetto di continuo “ritorno” alle origini dell’arte, quell’eterno presente indagato dagli
studi di Sigfried Giedion, legato da amicizia e stima con l’artista. Questo dialogo aperto con la storia, mediato attraverso la conoscenza di culture diverse, e che in parallelo indaga nei propri impulsi emozionali, è l’altro modo di Mirko
di riflettere sulle origini del fare artistico rispetto all’abbandono all’istintualità rituale, alle sbandate irrazionalistiche
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Leone urlante
dell’informale estremo di
un Wols o di Pollock, ovvero alla nuova frontiera
dell’arte americana alla
quale questo Leone urlante dunque si affaccia.
Per Mirko l’artista
risponde solo a se stesso, alla propria pulsione
psichica ed emozionale
stimolata di un immaginario condiviso, cioè
in sostanza colto, codificato, che però si pone
al di sopra di ogni ricercato formalismo e dei
richiami del tecnicismo,
termini di cui peraltro
ha sempre dimostrato chiara padronanza e
limpida consapevolezza.
Ma per inseguire l’arte
soprattutto bisogna saper comunicare la pulsione profonda del lato
Mirko Basaldella, , Leone Urlante, 1956. Bronzo, cm. 93x78x42.
poetico che, rispetto alle
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino.
contingenze dell’attualità, delle correnti, delle contrapposizioni vigenti nell’arte italiana tra realismo e astrazione” è altra cosa-come scrisse
di proprio pugno in una rara dichirazione di poetica- legato a motivi più profondi e remoti, mossi da impulsi dell’essere
primordiale inconscio”.
Ed eccoci dunque davanti al bronzo di Mirko, a questo leone simboleggiante il trionfo della luce solare sulle
forze ctonie, sotterranee, rappresentate dal serpente, a indicarci l’eterno principio della luce che trionfa e calpesta le
tenebre, un principio calato per l’eternità in una splendida fusione in bronzo a cera persa, che della materia conserva il calore magmatico mostrandoci anche, affiorante sulla pelle, il colore dell’oro, e, a tratti, anche parti sbiancate
quasi fossero appena uscite dallo stampo in gesso. Si tratta di un bronzo che appare come fosse appena uscito dalla
fonderia, dalle stesse mani dell’artista che sappiamo, curava personalmente tutto il processo di fusione applicandosi
in raffinate ricerche alchemiche sulla patina come qui si evidenzia, nell’alternarsi di parti lucide e parti ossidate, in
modo mirabile.
Leone urlante Primo, dunque, e unico: a questo straordinario esemplare poi si aggiunsero due versioni rielaborate in alcuni dettagli, uno intitolato dallo stesso artista Leone urlante Secondo, è un bronzo conservato tra le collezioni
della Galleria d’Arte Moderna di Torino, l’altro, il terzo, registrato tra le opere della cosiddetta Fondazione Mirko
già destinata a Firenze, il cui gesso si conserva tra le opere donate nel 2001 dalla nipote dell’artista Vera Zariski, alla
Galleria d’Arte Moderna di Udine.
Isabella Reale
Leone urlante
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mirko basaldella
(Udine, 1910 - Cambridge, 1969)
Secondogenito dopo Dino e
prima di Afro di Leo, alla scomparsa
del padre per cause di guerra nel 1918
insieme ai fratelli viene mandato presso un collegio protestante a Venezia
dove frequenta la scuola media e l’istituto d’arte.
Espone per la prima volta a
Udine nel 1928 in una mostra dal titolo “Scuola Friulana d’Avanguardia”,
insieme ai fratelli, a Modotto e Filipponi, in un clima di rivolta generazionale. Dopo un breve rientro a Udine
entra a bottega da Arturo Martini che
segue a Monza e a Milano.
Nel 1934 si trasferisce a Roma
dove stringe sodalizio artistico con Corrado Cagli del quale più tardi sposerà
la sorella Serena. Espone alla Galleria
Sabatello a Roma insieme ai conterranei
Modotto, Grassi e Pittino come “Gruppo friulano d’avanguardia”.
Nel 1935 partecipa alla II Quadriennale romana – dove espone anche nel 1939, 1956, 1960 e 1965, 1966
e nel 1936 alla Biennale di Venezia,
anno che vede la sua prima personale alla Galleria della Cometa a Roma
e due anni dopo, con i disegni, alla
corrispondente sede di New York. In
questo periodo, alla frequentazione di
Martini e alla conseguente suggestioSilvio Maria Buiatti, Ritratto di Mirko, 1929.
ne di un arcaismo rivissuto però alla
luce di una propria realtà esistenziale,
si aggiunge la cultura artistica della Scuola Romana: le iniziali filiformi e ieratiche immagini giovanili si agitano e si
avvitano nello spazio mosse da una vena espressionista come in Narciso (1934 – 1935) in Ragazzo che uccide il serpente
(1935 – 1936), accanto alle quali va ricordata una fertile attività disegnativi con la tecnica del monotipo ovvero del
disegno a olio “alla rovescia” già adottata da Cagli.
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Leone urlante
Verso la fine degli anni Trenta tale dinamismo plastico si placa nella ricerca di nuove eleganze formali desunte
dalla scultura toscana quattrocentesca come in Davide ( 1937 – 1938, Roma, Galleria Nazionale d’arte Moderna) o in
preziosi bassorilievi. Mentre si moltiplicano le sue partecipazioni a mostre sia di scultura che di disegno, nel 1937
insieme a Cagli e Afro è a Parigi, nel 1938 realizza placchette a sbalzo per un mobile di casa Cavazzini a Udine, le
cui pareti sono decorate da Afro con un intervento di Cagli; si tratta di una tra le prime testimonianze di in crescente
interesse per l’arte orafa. Nello stesso anno realizza la sua prima opera monumentale, una Madonna in pietra collocata IN VIA Cavalieri a Rodi, dove anche Afro è attivo nel campo del moralismo. Nel 1939 insieme ad Afro espone
alla Galleria della Zecca di Torino e alla galleria di Genova a Genova, e con una personale alla galleria di Roma, dove
ritorna nel 1942. Nel 1940 partecipa alla VII Triennale di Milano, nonché alla VIII, IX, X, XI edizione.
Tra il 1940 e il 1942 realizza un altorilievo in marmo per il palazzo Assistenza Sociale all’EUR a Roma: lungo
questi anni Quaranta, sperimentando tecniche artistiche ed i più ingenui ed insoliti materiali, si stacca dalla figurazione per accostarsi all’esperienza cubista e avviare nuove ricerche strutturali e materiche, con forme a intreccio
policrome – riproposte anche nella parallela produzione pittorica – pur conservando nei soggetti suggestioni fabulistiche desunte sempre dal mito. Tale produzione viene presentata in varie personali negli USA, alla Knoedler
Gallery e alla Catherine Viviano Gallery di New York, e raggiunge uno dei suoi vertici nella “cancellata” in bronzo
di 3 metri per 6, che chiude il Mausoleo delle Fosse Ardeatine a Roma, per il quale realizza anche i due cancelli minori, concepiti come monumenti rilievi “a giorno”. Sempre su scala monumentale modella e dipinge tra il 1951 e il
1952 il “Soffitto” della sala delle assemblee generali, del palazzo della FAO a Roma, corredato da vetrate policrome
e da una balaustra in cemento mosaicato, in una chiave fantascientifica di grande esuberanza decorativa; del 1954 è
la Croce per il Monumento ai caduti per la libertà a Mathausen, superficie intagliata e inflessa secondo una ricerca
sviluppata in questi anni i cui esiti vengono presentati nella sala personale alla Biennale di Venezia del 1954 , accanto
a figurazioni totemiche quali chimere e leoni o alle steli scavate e decorate – un esempio delle quali e la Fontanain
piazza Brin a La Spezia (1955 – 1956) in cemento e mosaico – tutte forme nate da suggestioni arcaizzanti e magico
– rituali, desunte dall’accostamento ad antiche civiltà orientali e pre – colombiane.
Del 1955 sono due altorilievi in mosaico con figure allegoriche per una filiale della Banca Nazionale del Lavoro a Roma anno in cui partecipa alla mostrs Documentata a Kassel – dove ritorna nel 1959 alla II edizione – e vince
il premio internazionale alla III Biennale di San Paolo del Brasile – partecipandovi anche nel 1965 – mentre nel 1957
ottiene analogo riconoscimento a Carara e nel 1959 dall’Accademia Nazionale dei Lincei a Roma, quindi nel 1966
dalla Quadriennale romana.
Dal 1957 dirige il Design Worshop alla Harvard University a Cambridge alternando soggiorni estivi a Roma a
Forte dei Marmi. La sua ricerca plastica e pittorica continua fino alla fine a dipanarsi in molteplici direzioni, tra echi figurativi di suggestione totemica e forme astratte, attingendo dall’immaginario collettivo nuovi idoli, maschere, stregoni, a
interpretare emozioni e incubi, sempre sperimentando tecniche antiche – come la cera persa – e nuovissime, e materiali
anche di recupero, come i legni policromi, con alto grado di preziosità nell’esecuzione, nelle patine come nel dettaglio.
Del 1962 – 1963 è L’iniziazione per l’Università di Urbana (Illinios), una delle numerose sculture monumentali
installate negli USA, dove, durante uno dei suoi lunghi soggiorni, l’artista finisce la sua esistenza terrena a seguito
di un improvviso malore.
Leone urlante
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La Tipografica srl. Basaldella di Campoformido (Ud)
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