Scenari dei legami fraterni

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Scenari dei legami fraterni
Scenari dei legami fraterni
a cura di
Laura Mori
Le Lettere
I
Lo sviluppo delle relazioni fraterne visto
attraverso l’Infant Observation
Laura Mori, Elisabetta Fattirolli, Linda Root Fortini
1. La metodologia di Esther Bick1
La psicoanalisi si è interessata, fin dai suoi esordi, della nascita, del
neonato e del suo sviluppo successivo, utilizzando soprattutto la
ricostruzione a posteriori (après coup), derivante dai trattamenti
psicoanalitici di pazienti adulti e solo successivamente di bambini di varia età e di adolescenti. Freud ritenne molto importante integrare i dati sullo sviluppo infantile così ottenuti con quelli derivanti dalle osservazioni dirette sulla vita sessuale dei bambini invitando allievi e amici a raccoglierle a partire dai propri figli. Ad
esempio nella Prefazione del 1920 ai Tre saggi sulla teoria sessuale scrive: «…se gli uomini sapessero imparare dall’osservazione
diretta dei bambini, questi tre saggi avrebbero potuto benissimo
non essere scritti» (Freud, 1905, p. 449). Le discussioni del mercoledì sera si facevano spesso molto appassionate intorno a questo tema producendo una ricca messe di informazioni e congetture di cui forse ancora non è stata valutata appieno l’importanza. «È verosimile che l’osservazione dei propri figli da parte dei
primi psicoanalisti sia stata oggetto di una massa di documenti
ben più importante che però finora non sono stati ritrovati» (C. e
P. Geissmann, 1992, p. 25; cfr. anche B. Gelli, 1992).
In seguito, con lo sviluppo e la diffusione della psicoanalisi
infantile, l’osservazione diretta del bambino è stata sempre più
praticata e c’è stato un flusso costante di ricerche sullo sviluppo
e sul funzionamento psichico infantile. Gli studi osservativi in
1
Questo paragrafo si basa su un precedente lavoro di L. Mori, Mezzo secolo di
Infant Observation (1948-2002), «Medicina & Storia», 7, a. IV, 2004.
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ambito psicoanalitico sono stati utilizzati in maniera sempre più
sistematizzata e complessa per l’esplorazione della vita affettiva
e relazionale del bambino e per definirne i percorsi di sviluppo.
L’osservazione diretta del bambino nella famiglia, dalla nascita fino ai due anni, più spesso definita Infant Observation, è stato e continua tuttora a essere uno strumento privilegiato per
esplorare gli albori della vita psichica e delle prime relazioni. Sono passati poco più di sessanta anni da quando questa metodologia venne introdotta da Esther Bick, esattamente nel 1948, nel
corso di formazione per psicoterapeuti infantili della Tavistock
Clinic di Londra. Questa pratica fu adottata in seguito dall’Istituto di Psicoanalisi di Londra, che a partire dal 1960 ha istituito
un corso d’Infant Observation nel proprio training e da allora ha
avuto una diffusione internazionale: in molti stati europei, nel
Sudamerica, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia.
La metodologia di Esther Bick consiste nel recarsi a osservare, una volta alla settimana per un’ora, lo sviluppo di un neonato all’interno del suo nucleo familiare, dalla nascita ai due anni di
età. Durante le visite non bisogna prendere appunti, l’osservatore deve invece stendere immediatamente dopo un resoconto, annotando quanto osservato, cercando di non tralasciare nessun
particolare. Il materiale prodotto verrà poi letto, discusso ed elaborato nel corso di seminari settimanali in un piccolo gruppo
(non più di dieci persone) composto da un conduttore specializzato (psicoanalista o psicoterapeuta con esperienza personale di
Infant Observation) e dagli altri osservatori.
Il metodo si articola quindi in tre tempi fondamentali:
– l’osservazione del bambino in famiglia;
– i successivi resoconti scritti delle osservazioni;
– i seminari di supervisione in piccolo gruppo,
secondo una sequenza che porta l’osservazione da una fase di notazione a un livello di prime inferenze, e successivamente alla formazione di costrutti, che danno significato ai vari momenti fino
a una comprensione dinamica delle interazioni.
Esther Bick ha trasmesso il suo metodo soprattutto attraverso la conduzione di gruppi di Infant Observation e la supervisione individuale. Nel suo conciso ma essenziale articolo Note sull’osservazione del lattante nell’addestramento psicoanalitico viene
affermato che l’osservatore deve assumere un ruolo che gli permetta di partecipare alla situazione emotiva che si ingenera nel
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rapporto madre-bambino; per far questo egli deve essere partecipante ma non deve interferire attivamente nella situazione, attraverso un qualsiasi tipo di azione propositiva e diretta. In particolare non deve dare consigli o esprimere approvazione o disapprovazione, e deve lasciare che la madre lo inserisca a suo modo nella struttura familiare, senza farsi trascinare in ruoli che esulano dal suo essere osservatore. La regola dell’astensione dall’azione permette all’osservatore di assumere un atteggiamento
interno di tipo psicoanalitico paragonabile a quello stato di “attenzione fluttuante” raccomandato da Freud. Attraverso di esso
l’osservatore ha la possibilità di recepire tutte le informazioni che
derivano dalla situazione, sia di natura comportamentale che
emotiva. «Il vero scopo dell’osservazione di un bebè […] è prima di tutto di imparare veramente a osservare, a non utilizzare
dei clichés, a non saltare alle conclusioni, a imparare a vedere le
cose in modo del tutto diverso, poiché un bambino non è mai
uguale ad un altro. […] tutto dipende dallo sviluppo del bebè
nella relazione con la sua mamma»: queste le raccomandazioni
che la Bick faceva ai futuri osservatori, ricorda Michel Haag
(Haag, 2002, p. 197). E Jeanne Magagna racconta le domande
molto dettagliate che la Bick le rivolgeva sui movimenti corporei,
le posture, le espressioni del viso chiedendole di mimarle accuratamente per capirne il significato e ricorda che essa voleva:
«[…] conoscere ogni più piccolo dettaglio dell’osservazione in
modo che ognuno potesse rivivere con chiarezza l’esperienza dei
rapporti tra il neonato e i genitori. Cercava di ricreare lo spazio
fisico, la natura dei vocalizzi del bambino e della madre, la qualità che aveva il contenimento con gli occhi, con le braccia della
mamma, e la comprensione dei genitori» (Magagna, 2002, p. 75).
In questo modo «l’Infant Observation permette di andare in
profondità nella comprensione di un neonato come persona, soggetto, in varie situazioni del tutto quotidiane della vita (in braccio alla sua mamma, insieme a lei, senza di lei, col papà, con fratelli e sorelle ecc.). Emerge un mondo di vita che non è raggiungibile con i metodi osservativi della psicologia evolutiva» (p. 21),
scrive Dina Vallino nell’introduzione al libro Essere neonati elaborato a partire dal ricco archivio di protocolli osservativi raccolti dall’autrice nella sua ventennale esperienza di conduzione di
gruppi di Infant Observation.
“Osservare” come cresce un bambino nella famiglia signifi-
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ca quindi imparare a stare all’interno di una particolare atmosfera emotiva (Vallino), osservare una relazione dinamica, un processo relazionale molto complesso e difficilmente imbrigliabile
in categorizzazioni definite e immodificabili. Attraverso i tre tempi in cui si svolge l’Infant Observation l’osservatore può imparare ad avvicinarsi al mondo psichico primitivo, a comprendere la
comunicazione non-verbale, a capire come si manifesta il mondo
interno più elementare e profondo della “persona” bambino; in
che modo viene facilitato e disturbato dai genitori l’inizio della
sua vita mentale. «La metodologia dell’Infant Observation, per
quella particolarità insita in essa del mettere in evidenza gli eventi mentali in corso con i tempi e i setting per “vederli e poi pensarli” […] rende possibile una qualità di scoperte che sono insight emozionali per l’osservatore…» (Ferrara Mori, 2007, p. 12).
A queste finalità vanno aggiunte quelle più specificamente
formative e trasformative: l’osservatore è egli stesso coinvolto da
sollecitazioni emotive che deve imparare a controllare, elaborare e trasformare; in particolare l’allievo psicoanalista o psicoterapeuta ha la possibilità di imparare a utilizzare il proprio controtransfert come modalità di partecipazione empatica e profonda. Gina Ferrara Mori in occasione del Primo colloquio europeo
sull’osservazione del bebè, a proposito delle forme e dei livelli di
cambiamento che si possono verificare negli osservatori a seguito di questa esperienza, ha descritto il passaggio dall’osservareguardare con gli occhi a una capacità di «osservare dentro di sé,
con la propria mente», peculiare del metodo psicoanalitico.
Anche se l’Infant Observation non è uno strumento terapeutico, il contatto con l’atteggiamento dell’osservatore, rispettoso
ma attento e interessato a tutto quello che succede, può avere un
effetto indirettamente terapeutico per la famiglia in cui ha luogo
l’osservazione nel senso di risvegliare la capacità di attenzione, la
rêverie della madre e di favorire possibilità di cambiamento (cfr.
ad esempio, più oltre la storia osservativa della famiglia di Nino).
2. Approfondimenti e scoperte
L’osservatore coglie l’impatto dell’arrivo del nuovo bambino non
solo sui genitori ma anche sugli eventuali fratellini o sorelline,
l’unicità in cui si articola e si sviluppa nel tempo l’adattamento di
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ogni membro della famiglia al nuovo arrivato e in particolare il
cambiamento di identità e di posto che questo comporta. «L’osservazione in famiglia consente all’osservatore, e al gruppo che
l’accompagna, di venire in contatto in modo imprevedibile con
l’evoluzione oppure la degradazione della fraternità dei bambini, in rapporto al comportamento degli adulti» (Vallino, 2009, p.
107, corsivo nostro).
Le ricerche con l’Infant Observation sul legame fraterno hanno ribadito l’importanza del ruolo dei genitori (Vallino e Macciò
2004, Vallino 2009) e dell’atteggiamento, soprattutto materno,
riguardo alla condivisione del suo spazio mentale da parte dei figli (Cooper e Magagna, 2005)2.
Molto è stato scritto sui vissuti dei primogeniti, che si trovano ad essere spodestati3 (Mitchell) dalla loro posizione di figli
unici. Esther Bick ha sottolineato il fatto che non è solo con la gelosia che il primogenito deve fare i conti. Quando percepisce che
c’è un nuovo bambino dentro la madre, o vede il neonato in braccio ai genitori o li vede occuparsi di lui, il bambino più grande
può sentire che il neonato gli ha sottratto il senso della sua identità come “bambino piccolo”, in un momento in cui non è ancora certo della sua nuova identità di “più grande”, di fratello maggiore, che non deve essere identico al piccolo o identico al padre
per essere amato (cfr. Magagna, 1987, p. 30).
Commentando varie sequenze osservative su coppie fraterne
Vallino e Macciò (2004) descrivono così la situazione emotiva del
maggiore: «In realtà […] la gelosia appare come un condensato
del sentimento del maggiore di essere trascurato e di sentirsi inesistente. In questa veste di “cavaliere inesistente”, il figlio maggiore si affiderà alla propria aggressività, perché la provocatorietà e
l’aggressività divengono segni di “esistenza”. È su questo punto che
l’intervento dei genitori si fa centrale» (Vallino e Macciò, 2004,
pp. 173-4, corsivo nostro)4. Questi due autori osservano anche
2
Cfr. anche il classico lavoro di M. Harris, Towards learning from experience in
infancy and childhood, in Collected papers of Martha Harris and Esther Bick, a cura
di M. Harris Williams, Clunie Press, Perthshire 1987, pp. 164-178).
3
«Il bambino più grande non è semplicemente spodestato, ma per un certo periodo non ha più un posto: qualcun altro è ciò che lui/lei era» (Mitchell, 2003, p. 47).
4
Vallino e Macciò (1996, 2004), che ritengono necessaria, in tutti i gruppi e
quindi anche in quello dei fratelli, un’esigenza di eguaglianza, sottolineano l’im-
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che «La storia dei fratellini e delle sorelline vista con l’Infant Observation è satura di rivalità e gelosie. Ma non soltanto: appare
con dovizia di particolari che la “turbolenza fraterna” renderebbe la vita familiare dei bambini piccoli soltanto movimentata e
bellicosa se la solidarietà fraterna, che permette di affrontare il
confronto, non si facesse spazio attraverso l’esigenza di giustizia
e l’identificazione egualitaria» (2004, pp. 169-170). Pensando al legame fraterno nel quadro della teoria freudiana delle identificazioni, questi due autori osservano che «l’altro, il fratello o la sorella si pone come oggetto di identificazione proiettiva e come
soggetto di identificazione introiettiva, cosicché la disponibilità di
base di ognuno non è soltanto rivolta a esprimere conflitto, gelosia, rivalità, ma si avvale di un processo di apprendimento dall’esperienza emotiva dell’altro, mediato dalle identificazioni» (cfr.
più oltre la storia di una bambina con due mamme).
Il secondogenito e gli altri dopo di lui si trovano fin dall’inizio in un mondo più “affollato”, in cui devono condividere da
subito la madre con altri bambini, a volte molto intrusivi ed esigenti. In questi casi si può avere una situazione di trauma: «Questo può sopravvenire dopo la nascita se la sorella o il fratello lo
spaventa, gli fa male, oppure lo disturba con pervicacia nella sua
relazione amorosa fusionale con la mamma o il papà. Se il primogenito è violento nei confronti del neonato questi può esserne traumatizzato. Ma dalle osservazioni in famiglia […] appaiono anche situazioni in cui la fraternità è instaurata subito, dato
che il maggiore è frenato dai genitori nella sua rivalità e aiutato a
sviluppare un’identificazione fraterna. Così il minore è salvaguardato dal trauma fraterno»5 (Vallino e Macciò, 2008, p. 161).
portanza del ruolo dell’identificazione nel paradigma fraterno freudiano, e definiscono l’identificazione fraterna come egualitaria e reciproca: «per complesso fraterno dobbiamo intendere, in Freud, non soltanto il sentimento della rivalità fraterna, ma un vero e proprio insieme di sentimenti anche contrapposti tra loro, denominabili: rivalità fraterna, senso di giustizia, identificazione, sentimento del dovere, amore fraterno» (2004, p. 160). Il senso egualitario osservato dai due autori rimanda al codice fraterno di cui aveva parlato F. Fornari (1981), un codice fondato
su presupposti paritari. L’identificazione fraterna, nella sua funzione di legare il
gruppo, può sorreggere anche comportamenti inquietanti come sono quelli che ruotano intorno al conformismo e alla mentalità di massa.
5
«Fondando la sua teoria sull’osservazione in famiglia, Bick sviluppa una concettualizzazione che ha una portata innovatrice rispetto al concetto di “trauma in-
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Cooper e Magagna (2005) assegnano una grande importanza
al modo in cui l’atteggiamento e il comportamento del fratello
maggiore può parzialmente determinare lo sviluppo e la personalità del nuovo nato, in particolare al bisogno del più piccolo di
essere visto, di incontrare la “scintilla negli occhi”, oltre che dalla madre (Kohut, 1971) e dal padre, anche dal maggiore, sia che
si senta compreso, amato e valorizzato sia che si senta incompreso, odiato e svalutato. Questo bisogno di riconoscimento ha un
ruolo fondamentale nella genesi dell’autostima e, laddove manchi,
costituisce un potenziale “trauma fraterno” minacciando il “senso di esistere” del bambino (Vallino e Macciò, 2006, 2008). «Cosa succede quando la madre partecipa all’interesse gioioso dell’ultimo nato mentre, allo stesso tempo, il fratello maggiore protesta per i sentimenti d’amore che il piccolo riceve dalla madre e
prova sentimenti ostili verso di lui? E cosa accade quando un genitore non corrisponde all’interesse gioioso dell’ultimo nato oppure la comunicazione di un tale interesse viene continuamente
interrotta dallo sguardo ostile del fratello maggiore?»: queste le
domande che si sono poste Cooper e Magagna (2005, p. 22).
I figli più piccoli possono avere un bisogno più forte del riconoscimento e dell’attenzione dei più grandi proprio perché
gravati dal confronto schiacciante con loro: qualsiasi cosa tentino di fare, i maggiori, evolutivamente più avanzati, riescono per
forza a farla meglio6. Il minore può sentirsi sempre e soltanto
“una pallida ombra” del maggiore con vari esiti: invidia e rivalità intense e distruttive, bruciante vergogna per la propria incapacità, subalternità e attaccamento sadomasochistico al maggiore, spinta alla ribellione e all’originalità a tutti i costi…
fantile” scoperto sulla base di osservazioni cliniche. Tale concezione, che potremmo
definire “microscopica”, ci facilita nello scoprire i “piccoli traumi” dell’esistenza infantile. I micro-traumi, infatti, sono dovuti non a violenza attiva contro il lattante,
bensì a disinteresse, sordità, omissione di soccorso, insomma a un comportamento
passivo, a un non fare della madre, talvolta incapace di intervenire nel rapporto tra
i figli. È riguardo a tali micro-traumi che si situano le nostre riflessioni sulla violenza potenziale del rapporto fraterno, violenza che può divenire per il neonato/a e il
fratellino e la sorellina fonte di indicibile disagio» (Vallino e Macciò, 2008, p. 158).
6
Situazione, questa, che si può drammaticamente invertire nel caso di fratelli
maggiori con un qualche tipo di disabilità o malattia: i minori sono spesso forzati a
diventare a qualche livello “custodi” dei loro fratelli, eccessivamente responsabilizzati e ipermaturi (v. capitolo di Valeria Coppola).
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Nelle famiglie con più figli, questi creano tra di loro triangoli che sono indipendenti dai triangoli edipici parentali. Il
triangolo edipico fraterno (Sharpe e Rosenblatt, 1994) è una costellazione relazionale che coinvolge tre fratelli o due fratelli e
un genitore; è distinto, anche se per certi versi simile, dalle dinamiche della triade edipica tra un figlio e i suoi genitori. Questi triangoli possono esercitare una potente influenza sullo sviluppo psichico del bambino.
Secondo Cooper le relazioni triangolari avvertono il bambino che la madre non è esclusivamente tutta per lui (2005).
Possono essere costellazioni più intense di quelle edipiche
parentali in quanto tra fratelli c’è maggiore facilità ad agire i propri desideri, sia ostili che di amore. C’è anche un minore bisogno
di superarli. Anzi, a volte, proprio a causa della ferita narcisistica all’auto-stima che può risultare dalla conflittualità fraterna,
sembra che ci sia un forte investimento a continuare la “lotta”
piuttosto che a rinunciare. Quindi il conflitto fraterno non è solo differente dal conflitto edipico con i genitori ma la sua risoluzione è spesso più difficile; soprattutto nei casi di una costellazione triangolare tra due fratelli e un genitore che è il rivale rispetto alla relazione fraterna.
3. L’osservazione di tre famiglie
Per illustrare come la metodologia osservativa di Esther Bick possa costituire un valido strumento di indagine e di descrizione di
come l’arrivo di un nuovo fratellino o di una nuova sorellina modifica e trasforma gli equilibri familiari abbiamo scelto di presentare la storia di tre famiglie. Esse contengono ampi stralci dei
resoconti osservativi, e sono una ricostruzione retrospettiva, a distanza di tempo, di tre diverse esperienze osservative. Due di esse
(Un bambino viene spodestato e Una bambina con due “mamme”)
sono rielaborazioni del materiale osservativo e delle discussioni
in gruppo da parte di Linda Root Fortini, conduttrice di gruppi
di Infant Observation effettuati nell’ambito del training formativo della Scuola di Specializzazione in psicoterapia psicoanalitica
dell’AFPP. La storia Finalmente è arrivato il maschio!, di Elisabetta Fattirolli, è invece una rielaborazione della propria esperienza di osservatrice nell’ambito del training presso la Scuola di
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Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’AIPPI.
Queste tre storie, diverse per numero, età e genere dei figli,
mostrano il cambiamento e l’evoluzione nell’arco di tempo di
due anni, degli equilibri pre-esistenti nel sistema famiglia a seguito della nascita del nuovo bambino/a. La nostra riflessione si
è concentrata non tanto sul bambino osservato, quanto piuttosto
su come, nelle tre diverse famiglie, è stata accolta dai genitori e
dai fratelli la nascita del neonato, sulle turbolenze che questo ha
creato nei bambini e nei genitori, su come sono stati gestiti i conflitti e sulle capacità e le risorse dei genitori e dei figli.
Verrà descritto:
– il ruolo determinante dei genitori, in particolare della madre, nel gestire la qualità delle relazioni fraterne. L’attenzione è focalizzata sulle riorganizzazioni necessarie all’interno della famiglia e nel mondo interno di ciascun membro per fare posto al nuovo nato e su come le esperienze relazionali interiorizzate dei genitori con i propri fratelli incidano sulla loro capacità di aiutare i figli ad accettare la
nascita del nuovo bambino e a modulare i conflitti;
– il diverso rapporto e comportamento dei vari figli;
– il bisogno di trovare/ritrovare un posto all’interno della fratria, il cambiamento di status e di posizione nel gruppo dei
figli, mettendo in luce come ogni bambino reagisca alla nascita di un fratello in modo diverso in base al sesso, all’età,
alla posizione nella fratria e al fatto di essere o meno oggetto di un investimento identificatorio da parte di esperienze infantili non elaborate dei genitori;
– il formarsi e l’articolarsi delle relazioni all’interno della fratria (triangolazioni, allineamenti ecc.) e come esse possono
contribuire alla formazione dell’identità dei figli;
– il valore dell’esperienza fraterna come spinta evolutiva;
– l’unicità, la complessità e l’imprevedibilità dell’evoluzione
nel tempo della fenomenologia dei rapporti familiari nelle
tre storie considerate.
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3.1. La famiglia di Mirko: un bambino viene spodestato7
In questa osservazione viene descritto lo sviluppo di Mirko, il
terzogenito di una famiglia composta da madre, padre, un fratello di sette anni e una sorella di quattro e mezzo. Verso circa la
metà dell’osservazione, quando Mirko ha nove mesi, la madre
annuncia di aspettare il quarto figlio. La rilettura del materiale osservativo ha permesso di evidenziare alcuni aspetti fondamentali delle dinamiche relazionali di questa famiglia nell’intento di
comprendere gli affetti fraterni in status nascendi. Seguiamo lo
sviluppo della relazione madre-bambino e le sue influenze reciproche sugli altri figli. Vengono descritte le diverse costellazioni
relazionali triangolari osservando le interazioni fraterne che contribuiscono alla formazione dell’identità di Mirko.
Il primo incontro ci introduce subito nell’atmosfera emotiva e nell’ambiente mentale delle interazioni di una famiglia, di estrazione
sociale medio-bassa, che abita in un piccolo paese di campagna.
La loro casa è un po’ isolata, lontana da quella dei loro familiari
e, pur essendo di proprietà, ancora poco arredata. La coppia genitoriale è unita e accogliente nei confronti dell’osservatrice.
È presente la famiglia al completo. Il padre aveva chiesto di partecipare per cui l’orario dell’incontro viene fissato nel tardo pomeriggio.
È lui che apre la porta, ancora in abito da lavoro. È un uomo alto e
magro; ha un atteggiamento affettuoso e protettivo. La madre (trentadue anni), da alcuni anni casalinga per la crisi di lavoro, sembra appesantita da un grande pancione; ha le occhiaie ma uno sguardo vivo
e luminoso.
Lapo, di sette anni, accovacciato sul divano, non sembra notare l’osservatrice. Sta a una certa distanza poi si alza e senza dire niente va
in cucina. Elena, di quattro anni e mezzo, sta seduta sul divano accanto alla madre a cui si appoggia con tutto il suo corpo. Mostra un
certo interesse per l’osservatrice. Appena il padre e la sorellina vanno per pochi istanti in bagno, Lapo si avvicina silenziosamente, si siede sul divano e abbraccia la madre che gli sorride.
Quando tutta la famiglia è riunita la madre invita i bambini a salu-
7
Si ringrazia Fiorella Monti che ha consentito di utilizzare il suo materiale osservativo.
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tare e a dire i loro nomi. I figli rimangono in salotto anche se la madre chiede loro di andare in camera. Il padre sta in piedi ad ascoltare
la moglie che ha tanta voglia di parlare; accenna con un po’ di ansia
ai problemi di asma e di allergie della figlia, che è, come lei, una “figlia di mezzo” che da piccola soffriva pure lei di asma e di allergie. La
madre sembra identificarsi nella figlia femmina con una parte sofferente di sé.
Fa poi un confronto tra le due esperienze precedenti di parto: con Lapo è stata «un’estasi» mentre con Elena è stato tutto molto difficile:
il travaglio era lunghissimo e la bambina pesava un chilo più del fratello. Ricorda con preoccupazione che in seguito ebbe un lungo periodo di tristezza durato per un anno. Aggiunge «speriamo che vada
meglio». In ospedale le avevano detto in modo scherzoso che se avesse voluto fare dei bambini piccoli di peso avrebbe dovuto sposarsi con
un uomo più piccolo. La madre cerca lo sguardo del marito e la coppia ride insieme.
Racconta che il marito è stato sempre presente al parto. «Non lo ho
fatto mai andare fuori… dopo ci ho pensato: quattordici ore senza
uscire è tanto». Il padre aggiunge che ogni tanto usciva perché c’erano il fratello e la sorella della madre che si preoccupavano: «volevo dire a loro come stava andando».
Il giorno seguente tutta la famiglia accompagnerà la madre in ospedale a fare l’ecografia. L’ultima volta l’ha fatta in un ambulatorio locale e avevano sbagliato. Le è stato detto che le misure del cervello
erano troppo grandi. «Siamo stati tanto preoccupati», una frase che ripete varie volte.
I genitori scherzano con i figli sul voler sapere o no il sesso del nascituro. La madre riferisce che Lapo lo vuol sapere perché se è maschio
il padre gli ha promesso che può scegliere il nome. Elena è come la
madre: loro non vogliono sapere il sesso del nuovo bambino prima
della nascita. Allora il padre rivolgendosi al figlio dice, «facciamo che
te lo dico se è maschio e a Elena e alla mamma non si dice niente».
In questa famiglia sembra prevalere un’organizzazione basata sui
ruoli tradizionali che i genitori trasmettono ai figli. C’è anche la
necessità di fare “economia” rispetto ai bisogni dei membri familiari nel senso che conta soprattutto l’essenziale.
Il padre è un importante sostegno per la famiglia anche se è
poco presente durante il giorno. La madre, pur consapevole di
chiedere troppo al marito, non esita a chiamarlo in causa quando ha bisogno di aiuto.
Ella è al centro dell’attenzione dei due figli che cominciano
a misurarsi in modo diverso con il prossimo evento della nascita
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di Mirko. Chiede ai figli di spostarsi in camera ma loro rimangono in salotto. Nonostante ciò la madre parla di sé senza remore
comunicando la sua paura di partorire e di dover stare male come l’ultima volta quando è nata Elena.
A Mirko, in questo momento vicino al parto, manca uno spazio nella mente della madre, spazio troppo occupato dalle esperienze precedenti della nascita dei due primi figli.
Le preoccupazioni materne sono comunque intervallate da
scambi affettuosi e scherzosi con il marito. Ad un certo momento la coppia genitoriale, mettendo i figli al centro della loro attenzione, si allinea verticalmente con i figli a secondo l’identità
sessuale: il padre con Lapo, la madre con Elena. Il padre ponendosi come un modello per Lapo gli dà il compito e la responsabilità di scegliere un nome maschile per il nuovo bambino mentre la madre è d’accordo con la figlia nel non voler sapere il sesso del bambino prima della nascita.
Solo alla fine dell’incontro l’osservatrice si accorge che non le
è stato chiesto niente del suo lavoro. Pur sentendosi pienamente
accettata da questa famiglia così “affollata” di persone, di eventi e di preoccupazioni, si sente come lasciata a se stessa, come se
dovesse cercare da sola un suo spazio nell’ambiente familiare: come sarà costretto a fare Mirko (un vissuto controtransferale premonitore?).
Un bambino che “non dà problemi”
Mirko nasce all’inizio della primavera e pesa 3 chili e 8 grammi.
La prima osservazione avviene dodici giorni dopo il parto. La madre
racconta subito che, diversamente dal secondo parto, questo è andato bene, non è stato lungo né doloroso; è durato due ore. «Mi hanno
dato solo sette punti mentre per Elena ne ho avuto ventitré». Specifica che è stato il bambino a nascere da solo: «io non facevo quasi
niente, è stato lui a spingere; è nato senza disturbare troppo» comunicando così il suo sollievo di aver superato il parto per la terza volta
grazie all’aiuto del neonato stesso. Sembra che le preoccupazioni della madre abbiano avuto un effetto sui tempi e modi del parto.
Dalla camera si sentono dei suoni un po’ lamentosi allora la madre
dice che è presto ma va a prendere Mirko per farlo vedere all’osservatrice. Si china sulla culla, accarezza il piccino sulla testa, lo alza e tenendolo nel cavo del braccio sinistro in posizione quasi verticale rivolto verso l’osservatrice, gli dice affettuosamente mentre lo bacia
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sulla testina, «fatti vedere». Mirko non si lamenta più, sta con gli occhi socchiusi e a tratti li apre con qualche difficoltà; il viso è allungato e poco paffuto. La madre spiega che appena nato aveva il naso chiuso che gli creava problemi anche per l’apertura degli occhi. Ci è voluto un lavaggio alle narici e tanti starnuti prima di poter liberare il naso dall’intasamento perinatale.
Poi la madre riprende a fare confronti tra i suoi figli aggiungendo che
Mirko ha il singhiozzo come avevano loro perché non facevano il ruttino subito. Riferisce che Lapo e Elena si meravigliano che Mirko sia
così piccolo e lo stanno a guardare a lungo. Secondo la madre Elena
è la più gelosa. I genitori cercano di farla sentire importante dicendole
che adesso è lei la donnina di casa ma non è facile: è «bizzosa e ostinata» e, a volte, la madre gliele dà. Lapo, invece, è «introverso, ritroso
ma ragionevole». Ad esempio quando si lamenta perché i suoi compagni hanno più cose di lui, lei gli spiega che devono ancora pagare
la casa e che gli altri bambini «hanno un padre che sta di meno con
loro».
Il breve racconto che fa la madre del suo terzo parto dà l’impressione che sia stato Mirko da solo ad affrontare lo sforzo di nascere e di adattarsi al nuovo ambiente extra-uterino, quasi rischiando di soffocare a causa di una difficoltà respiratoria. Così
Mirko sembra guadagnarsi il titolo di bambino “discreto”.
Le osservazioni si svolgono regolarmente alle dieci di mattina: orario scelto dalla madre perché non ci sono gli altri due figli. Dice che l’osservatrice è l’unica persona che viene a farle visite a casa trasmettendo così un profondo senso di solitudine e
un’esplicita richiesta di compagnia. Sembra aver bisogno di una
persona tutta per sé.
Più in là l’osservatrice coglierà nella madre l’atteggiamento di
fondo di fare affidamento nella provvidenza, come a pensare a un
contenimento a matrioska, dai bambini nella pancia della madre,
al contenimento paterno, alla famiglia allargata, alla comunità
parrocchiale.
Secondo il gruppo di discussione gli apprezzamenti della madre sulle visite domiciliari potevano portare ad una richiesta all’osservatrice di diventare una figura ausiliaria per una madre
troppo affaticata, ma così non è accaduto perché nella famiglia
c’era una grande attenzione a dare a ognuno un proprio posto,
pur nelle difficoltà della scarsità di spazio.
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L’allattamento al seno: un bambino “intasato”
Mirko, a venticinque giorni dalla nascita, continua ad avere un po’ di
difficoltà a prendere il latte a causa del nasino ancora intasato e di una
irritazione degli occhi che rimangono spesso semichiusi. Il suo pianto ha una tonalità sommessa. La madre, tenera e affettuosa, alza il piccolo per farlo vedere all’osservatrice sottolineando che, quando gli altri bambini sono a casa, non lo può fare per non suscitare gelosie.
Mette il bambino in posizione di allattamento al seno sinistro, si scopre e mette il capezzolo in bocca al bambino dicendo che è pigro. Mirko tiene saldamente con la mano il mignolo e l’anulare della madre,
si aggrappa alle bretelle del reggiseno: guarda fisso il viso della madre.
Ciuccia un po’ poi si ferma. Dice la madre con una certa ansia che fa
spesso così addormentandosi senza aver mangiato a sufficienza. Lo
mette al seno destro. Dopo qualche lamento Mirko si riattacca e succhia lentamente come se non avesse fame.
A un mese e tre giorni l’osservatrice annota che non gioca con il
seno che sembra servire solo per nutrire, e che ci sono intensi ma
brevi scambi amorevoli tra la mamma e Mirko.
A due mesi e mezzo, quando ormai è stata pienamente superata la difficoltà di respirare, Mirko in collo alla madre appare più
attivo: avvicina il proprio viso a quello di lei e sorride gorgheggiando come se parlasse. Tiene lo sguardo incollato al viso materno.
A cinque mesi Mirko prende il viso della madre con le mani e
si guardano con dolcezza e intensità.
Mirko cerca continuamente lo sguardo della madre con i suoi
sorrisi e vocalizzi ma questa appare spesso affaticata con la mente sovraccarica dei numerosi compiti di accudimento di un gruppo di bambini. La madre dice di aver il pensiero fisso che Mirko
possa ammalarsi come gli altri due anche se riconosce che, fin
dalla nascita, è stato un bambino che “non dà problemi”.
Lo svezzamento
Il passaggio al latte artificiale avviene a tre mesi e mezzo perché
quello materno non è sufficiente. La madre dice che è successo
così anche per gli altri due figli. Vuol forse rassicurarsi che sta
trattando i tre figli in modo uguale e senza preferenze? Per Mirko comunque l’allontanamento fisico dal corpo della madre appare un’esperienza dolorosa. Il bambino deve adattarsi alla somministrazione del biberon che è frontale mentre sta sull’infant seat.
LO SVILUPPO DELLE RELAZIONI FRATERNE
59
Secondo l’osservatrice Mirko adesso è alla ricerca di maggiore
contatto sensoriale: visivo e sonoro.
Con lo svezzamento Mirko perde tonicità corporea. Pur mantenendo un’espressione del viso vivace, il corpo diventa “floppy”. L’osservatrice lo descrive come un “pupazzo di stoffa” a cui
sembra mancare un punto di appoggio. Il tronco del corpo appare “poco rinforzato” e il bambino tende a rannicchiarsi, a ripiegarsi su se stesso e a non rivolgersi verso l’esterno: una risposta fisica che indica una difficoltà psicologica di lottare per il suo
posto in famiglia? La madre lo ha portato dalla pediatra che ha
segnalato una certa pigrizia nel comportamento motorio del bambino, attribuibile al fatto che Mirko recepisce ed è in questo modo reattivo allo stato emotivo materno.
Con l’inverno arriva la nebbia e il freddo e c’è un’atmosfera
familiare pesante. Stanno tutti chiusi in casa per via delle continue malattie dei bambini: Lapo ha un’otite dolorosa e Elena un
attacco di asma. Mirko è sempre raffreddato e ogni tanto ha la
febbre alta; continua a crescere poco. Da ora in poi per tutto l’inverno Mirko avrà una bronchite cronica.
La madre racconta che ha dovuto “salvare” Mirko dagli attacchi di gelosia dei fratelli, più nascosti quelli di Lapo e più espliciti quelli di Elena. Lapo tende a stare in disparte e poi, all’improvviso, arriva e fa un dispetto al fratellino; Elena vuole essere
al centro dell’attenzione della madre con richieste continue e
vuole stare fisicamente attaccata al suo corpo. La madre si sente
sovraccarica di ansie e fatiche.
Interazioni fraterne
Ci sono poche osservazioni su Mirko insieme ai fratelli. Una volta, quando Mirko ha quattro mesi e 9 giorni, Elena è a casa perché l’asilo è chiuso. Madre e figlia hanno una pettinatura nuova
e uguale.
Mentre la madre sta mettendo Mirko prono sulle sue ginocchia per
mettergli un bavaglino, Elena si avvicina lentamente e morde il pannolino del fratello. La madre, che vuole portare il bambino dalla pediatra nel pomeriggio, sembra non aver notato il gesto. Ora Mirko,
sdraiato sul divano accanto alla madre, si spinge avanti e indietro
come se cercasse qualcosa. La madre dice che vuole togliersi i calzini e mettere in bocca i piedini. Infatti il bambino riesce a tirare il
60
SCENARI DEI LEGAMI FRATERNI
calzino fino a toglierselo e la madre, prendendolo in collo, lo riempie di baci.
Elena cerca subito l’attenzione dell’osservatrice e la madre le propone
di fare dei disegni. La bambina si avvia verso la camera ma non trovando la carta da disegno, torna e chiede aiuto alla madre la quale si
alza lasciando Mirko sdraiato sul divano accanto all’osservatrice. Tornano insieme con la carta e Elena va in cucina a disegnare. La madre
riprende il bimbo sulle sue ginocchia. Mentre lo bacia e lo accarezza,
ogni tanto loda Elena e racconta cosa fa all’asilo. Mirko appare beato
e mette il suo viso vicino a quello della madre che dice a voce bassa
guardando verso la cucina che lo mangerebbe di baci e di morsi.
Ogni tanto Elena riappare in salotto chiedendo un consiglio riguardo
al suo disegno come se volesse vedere cosa sta succedendo. Quando lo
ha finito mostra il disegno alla madre e all’osservatrice. Poi ci scrive il
proprio nome intervallando lo sguardo nella direzione del fratellino
con un’aria sospettosa. Chiede di essere presa in braccio dalla madre
che propone alla figlia di fare altri disegni. Anche se la bambina acconsente passa accanto al fratellino con un pennarello in mano che gli
sventola minacciosamente sopra la testa. La madre velocemente allontana Mirko dicendo a Elena di stare attenta. Circa due mesi dopo,
quando Mirko ha sei mesi e 27 giorni, l’osservatrice trova la madre
seduta sul divano con Mirko sulle gambe, entrambi sono rivolti verso
la porta di ingresso. Improvvisamente Elena irrompe nella stanza prendendo tutti di sorpresa. La madre ride ma Mirko appare un po’ spaventato. Elena dice che il fratellino vuole andare in collo all’osservatrice poi chiede alla madre di tenerlo lei. Al rifiuto della madre, scende dal divano, va a prendere un libro e si siede per terra…
Quando la madre si rivolge a Elena per dirle di non stare in terra, Mirko, disteso sul corpo della madre, comincia a scivolare da una parte
inquietandosi. Ad un tratto scopre un bottone sul vestito della madre
e si aggrappa come per tornare su all’altezza dello sguardo materno. La
madre dice che si fa capire e che vuol stare in braccio e gli dà baci stringendolo vicina a sé. Di nuovo Mirko sorride e fa dei vocalizzi.
I primi gesti aggressivi di Mirko alternano lo sforzo di reggere la
sua posizione e tenere il proprio posto con la paura di scomparire, di “scivolare via”.
Le osservazioni delle interazioni tra i due fratelli maschi sono ancora più rare. Mirko che ha appena un anno di vita:
sta seduto sul divano tra la madre e Lapo e, mentre cerca di scartare
un regalo, la madre e Lapo si divertono e lo incoraggiano. Appena
aperta la scatola Lapo prende in mano il nuovo gioco che è una ta-
Indice
Prefazione di Fiorella Monti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p.
7
LA COMPLESSITÀ DEI LEGAMI FRATERNI
Introduzione di Laura Mori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Fratelli e sorelle: così simili e così diversi . . . . . . . . . .
2. Un posto nella mente dei genitori . . . . . . . . . . . . . . .
3. Vivere con fratelli e/o sorelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Un posto nella famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5. Emozioni e affetti nella fratria . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6. Presentazione e scopo del libro . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
»
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PRIMA PARTE – NELLA CLINICA E NELLA RICERCA
PSICOLOGICA
I. LO SVILUPPO DELLE RELAZIONI FRATERNE
VISTO ATTRAVERSO L’INFANT OBSERVATION
di Laura Mori, Elisabetta Fattirolli, Linda Root
Fortini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45
1. La metodologia di Esther Bick . . . . . . . . . . . . . . . . . » 45
2. Approfondimenti e scoperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 48
3. L’osservazione di tre famiglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 52
3.1. La famiglia di Mirko: un bambino viene spodestato » 54
3.2. La famiglia di Nino: “Finalmente è nato il
maschio!” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3. La famiglia di Chiara: una bambina con “due”
mamme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 67
» 86
238
INDICE
II. ESSERE FRATELLI, VEDERSI FRATELLI
di Giuliana Pinto, Serena Lecce . . . . . . . . . . . . . . . . p. 97
1. Lo studio della relazione fraterna da un punto di vista
psicologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 97
2. Uno sguardo congiunto sulla scena fraterna . . . . . . . . » 99
3. Dimmelo con figure tue… . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 101
4. Disegnare relazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 104
5. Relazione fraterna e relazione gemellare: una ricerca
con i disegni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6. Una guida per lo sguardo: il sistema di codifica . . . . .
6.1. Cosa vuol dire disegnare una relazione?
Esempi e indicatori grafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7. Analisi dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8. Commenti e conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 106
» 107
» 108
» 116
» 117
III. VIVERE IL LUTTO TRA FRATELLI E SORELLE
ALLA MORTE DI UN GENITORE
di Lucia Caligiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 123
1. L’esperienza del progetto A.L.B.A. . . . . . . . . . . . . . . » 124
2. Le possibili reazioni della fratria alla perdita . . . . . . . » 132
3. Legami fraterni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 134
3.1. La relazione Cooperativa Supportiva . . . . . . . . . » 135
3.2. Relazione Cooperativa-Anarchica . . . . . . . . . . . . » 138
3.3. Relazione conflittuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 140
4. Riconoscere il lutto e la fraternità in età adulta . . . . . . » 144
5. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 147
IV. L’ADOLESCENZA CON UN SIBLING DIVERSAMENTE ABILE
di Valeria Coppola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
1. Relazioni, vissuti, emozioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
2. Segnali da un mondo sommerso . . . . . . . . . . . . . . . . »
3. Il gruppo terapeutico omogeneo . . . . . . . . . . . . . . . . »
4. Specificità e singolarità in età adolescenziale . . . . . . . »
5. Le mie esperienze di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
5.1. Formazione e avvio del gruppo . . . . . . . . . . . . . . »
5.2. Il percorso del gruppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
6. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
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239
INDICE
SECONDA PARTE – NEL CINEMA, NELLA LETTERATURA
E NELLA PITTURA
I. UN PERCORSO PITTORICO NELLE DINAMICHE RELAZIONALI
TRA MADRE E FIGLI
di Linda Root Fortini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p.187
II. IL DIVENIRE DEI LEGAMI FRATERNI NELL’ETÀ ADULTA
E OLTRE
di Laura Mori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 201
1. I rapporti fraterni lungo il ciclo vitale . . . . . . . . . » 201
2. Incidenti critici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 204
3. Ritrovare un bene prezioso . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 207
4. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 213
III. UN INTRECCIO TRA RIVALITÀ FRATERNA E DRAMMA
EDIPICO
di Linda Root Forini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. Tra biografia e romanzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Il sospetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. L’invidia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Il crollo dell’idealizzazione della madre . . . . . . . .
5. La rivalità tra fratelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6. La rottura dei legami familiari . . . . . . . . . . . . . . .
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Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 225
Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 236