Roulette fiscale in Cassazione - Associazione Nazionale Tributaristi

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Roulette fiscale in Cassazione - Il Sole 24 ORE
Roulette fiscale in Cassazione
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Antonio Criscione
MILANO
Dopo la Corte di cassazione a giudicare resta solo Dio, dice celiando un esperto di diritto tributario. E su un giudice
che viene appena prima di Dio incombono responsabilità e tentazioni notevoli. Se il giudice diventa imprevedibile, le
conseguenze possono essere pesanti. Proporzionate a questo quadro sono le reazioni di molti professionisti e
accademici su alcuni interventi della Cassazione in materia tributaria che finiscono per creare sconcerto. Questa
situazione perdura da qualche anno e non si vedono segnali di miglioramento. Non solo: oggi si registrano nuove
levate di scudi di dottrina e mondo professionale. In particolare su due filoni (anche se gli aspetti dubbi sono tanti
come dimostra in via sintetica il tabellone riportato accanto): l'abuso di diritto e la questione della deducibilità dei
compensi agli amministratori negata da un'ordinanza dello scorso agosto (la 18702/2010) che, peraltro, è stata
ridimensionata dall'amministrazione nella risposta a un'interrogazione parlamentare.
Il parere degli esperti
Per imprese e contribuenti, dunque, sempre più spesso affrontare il giudizio di Cassazione viene vissuto come una
sorta di terno al lotto. Con un giudizio che avviene a distanza di anni dai fatti e porta la Cassazione ad affermare
principi generali rispetto a singoli casi: la conseguenza è che gli errori di qualcuno possono essere pagati da molti.
Spiega Cesare Glendi, emerito di diritto societario e civile a Parma e tra gli autori delle norme che governano il
contenzioso: «Si nota una concezione errata del processo tributario in cui il giudice non si limita ad annullare o
meno un atto del fisco, ma si sostituisce ai poteri dell'amministrazione. In questo modo la Corte diventa
incontrollabile».
Anche Pasquale Russo, ordinario di diritto tributario a Firenze, afferma: «La situazione è sempre molto
preoccupante. Per esempio la rilevabilità d'ufficio dell'abuso di diritto in ogni fase del processo indica che vengono
misconosciuti i fondamenti del processo tributario. Così come nel caso dell'ordinanza dei compensi agli
amministratori». Il problema, per Russo, è che «la Cassazione è un giudice professionale ma non specializzato.
Molti componenti della sezione tributaria non hanno maturato un'esperienza nella giustizia fiscale prima di arrivare
in Cassazione, come invece avviene per il civile e il penale».
Nell'ordinanza 11082/2010, con cui si rimette il condono delle vecchie liti alla Corte Ue, la Corte sottolinea invece,
che la Cassazione è in realtà il primo giudice professionale e non onorario che si occupa delle cause tributarie.
Sembra quasi voler dire che non si può chiudere la causa senza l'intervento di un magistrato di professione. Con il
paradosso di avere, da un lato, un giudice (la Cassazione), come afferma Russo, professionale ma non
specializzato, e, dall'altro, come rileva la Cassazione, un giudice (le commissioni tributarie) specializzato ma non
professionale.
Le proposte
Per Roberto Lunelli, vice presidente dell'associazione nazionale tributaristi (Anti), «se prima ai professionisti
capitava di essere preoccupati per l'imprevedibilità dei verdetti di primo e secondo grado, ora anche la Cassazione
è un'incognita». E come rimedio ricorda una posizione condivisa nell'associazione: creare un giudice professionale
almeno nel secondo grado e per la Cassazione scegliere un giudice con specifiche competenze tecniche «e non
giudici – afferma – magari autorevoli in altri settori, ma senza competenze specifiche». E Glendi (che era stato parte
nel procedimento sui compensi agli amministratori, ma sul tema osserva un esemplare silenzio) ribadisce la validità
della sua idea di una Cassazione "specifica" per la materia tributaria, con proprie sezioni unite, anche per ridurre il
contenzioso.
Michele Cantillo, che è stato il primo presidente della Sezione tributaria, riconosce: «Alcune sentenze non sono
condivisibili, come quelle sull'abuso e sui compensi agli amministratori, anche perché hanno un inquietante risvolto
processuale, in quanto si arriva a una decisione senza un contraddittorio sul punto». Per Cantillo, però, «non si può
trarre da queste sentenze un giudizio di disvalore sull'operato della sezione tributaria, che sopporta circa un terzo
del carico di lavoro dell'intera Corte. E oltretutto è caratterizzata da un ricambio forse troppo accelerato».
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La mappa dei casi più controversi
L'abuso del diritto
L'abuso di diritto è il principio per cui possono essere censurati anche comportamenti formalmente corretti che
tuttavia appaiono finalizzati esclusivamente a ridurre le imposte. La Cassazione prima ha ritenuto elusivi solo i
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03/10/2010
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comportamenti che sono definiti tali dalla legge, poi (nel 2005) che, anche in assenza di strumenti anti-abuso, il
giudice deve considerare nulle le operazioni effettuate al solo scopo di ottenere un risparmio d'imposta. Nel 2006 il
fondamento dell'abuso è stato rinvenuto nell'ordinamento comunitario e limitatamente all'Iva; nel 2008 una clausola
generale "non scritta" per contrastare l'abuso è stata trovata in Costituzione
Amministratori e compensi
La questione posta è stata nel senso di chiedere se l'amministrazione può sindacare l'entità dei compensi degli
amministratori se risultantio antieconomici e quindi ne può limitare la deducibilità. Di recente, l'ordinanza
18072/2010, della Cassazione ha ritenuto del tutto indeducibili i compensi, almeno con riferimento alla disciplina
vigente fino al 31 dicembre 2003, perché l'amministratore può essere paragonato all'imprenditore individuale.
Sull'entità dei compensi vi sono stati orientamenti altalenanti sia pro contribuente (nel senso che l'ufficio non ha il
potere di valutare la congruità dei compensi: Cassazione, 6599/2002; 121155/2005, 2008/28595) sia in senso
favorevole al fisco (Cassazione 1915/2008)
Il quesito formalizzato
L'articolo 366 bis del Codice di procedura civile, prima della sua abrogazione (dal 4 luglio 2009), ha previsto che il
ricorso per Cassazione per violazione di legge a pena di inammissibilità dovesse contenere un quesito di diritto.
Nulla veniva previsto per il vizio di motivazione. La Corte ha esteso (Sezioni Unite 20603/2007) il quesito di diritto, a
pena di inammissibilità, al vizio di motivazione (non previsto per legge) e poi ha anche precisato come il quesito
(sempre a pena di ammissibilità) dovesse essere postulato (Cassazione 16002/2007) nonostante nulla venisse
previsto al riguardo. Con legge 69/2009 il quesito di diritto è stato abrogato ma per le cause precedenti la
Cassazione continua a pretenderli
La decadenza sbilanciata
La questione riguarda la possibilità del giudice di rilevare d'ufficio la decadenza oppure se si debba aspettare un
input di parte. La Corte di cassazione (1605/2008) ritiene di poter rilevare d'ufficio una decadenza commessa dal
privato (che travolge, per esempio, un diritto di credito perché non richiesto in tempo), anche se tale decadenza non
sia stata eccepita dall'ente impositore né in primo né in secondo grado. Se la decadenza l'ha commessa l'ente
impositore, invece, si richiede che il privato eccepisca la decadenza sin dal primo grado (sentenza 11521/2004).
L'impostazione dovrebbe essere rivisitata alla luce dell'articolo 111, comma 2 della Costituzione secondo il quale
ogni processo si svolge in condizione di parità davanti a giudice terzo e imparziale
Presunzioni più semplici
In base all'articolo 39 del Dpr 600/73 l'ufficio può rettificare la dichiarazione del contribuente sulla base di
presunzioni semplici purché gravi precise e concordanti. Negli anni la Corte ha ritenuto che anche un indizio
particolarmente significativo (nonostante la norma usasse il plurale) integrasse di per sé stesso la gravità,
precisione e concordanza richiesta per operare la rettifica ribaltando l'onere probatorio in capo al contribuente (tra le
altre Cassazione 25184/2008, 25610/2006). Per questo l'amministrazione finanziaria, sempre più di frequente, sulla
base di un solo elemento anomalo rettifica la dichiarazione del contribuente
La ristretta base azionaria
A seguito dell'accertamento di maggiori ricavi (o costi fittizi) in capo a una Srl a ristretta base azionaria, questi
vengono addebitati dal Fisco anche ai soci pro quota presumendo una fittizia distribuzione. La giurisprudenza della
Corte di cassazione è stata altalenante. Pur non essendo mancate pronunce favorevoli al contribuente anche
recenti, l'orientamento della Cassazione sembra, però, ormai consolidato (Cassazione 13338/2009) nell'ammettere
la legittimità di questo accertamento in capo ai soci a condizione che sia dimostrata la ristretta base azionaria e la
disponibilità finanziaria conseguente a illeciti (per esempio vendite in nero e costi con fatture false)
I documenti e i terzi
Nelle indagini bancarie nei confronti non del contribuente verificato, ma di terzi, si pone il problema del valore degli
elementi rilevati nei riguardi di terzi, in particolare se l'onere probatorio incomba sull'ufficio o sul contribuente. Si
sono alternate sentenze pro contribuente e pro fisco. L'orientamento prevalente sembra quello secondo cui
nell'esercizio dei poteri di rettifica e accertamento, l'ufficio può utilizzare dati ed elementi risultanti da depositi o conti
correnti intestati a terzi e presumere l'esistenza di imponibili non assoggettati a tassazione ove sia dimostrato
(dall'ufficio) che il contribuente ne è l'effettivo possessore per interposta persona (Cassazione, sentenza
17387/2010)
Il controllo fuori dalla sede
Per accedere nei luoghi in cui non viene svolta l'attività commerciale e professionale l'amministrazione necessita
dell'autorizzazione del giudice motivata da gravi indizi di violazioni. In caso di accesso eseguito anche in assenza di
gravi indizi, la Cassazione ha alcune volte aderito alla tesi dell'ufficio secondo cui in assenza di gravi indizi e di
accesso eseguito comunque è perseguibile il funzionario che ha effettuato l'accesso ma l'accertamento è legittimo e
valido in quanto non viene esplicitamente prevista la sanzione della nullità (per tutte 8344/2001 ma anche
3851/2001). Con l'intervento delle Sezioni unite (16424/2002) è stata sancita la nullità dell'accertamento (sentenze
26454/2008, 16904/1998). Restano però comportamenti difformi
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