Relazioni Internazionali

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Relazioni Internazionali
ISPI
ISTITUTO PER GLI STUDI
DI POLITICA INTERNAZIONALE
Relazioni Internazionali
Anno VII - n. 1 - Gennaio / Marzo 2000
"Da più di settant'anni l'ISPI costituisce uno dei grandi centri europei di ricerca e di analisi
della vita internazionale. In tutto questo tempo la sua attività è stata affiancata dalla rivista
"Relazioni Internazionali" che, al pari della sua biblioteca, è stata un punto di riferimento per
diplomatici, ricercatori, studiosi e giornalisti italiani e stranieri.
"Relazioni Internazionali" ha avuto negli anni molte trasformazioni, nel contenuto, nella grafica
e nel formato, adattandosi via via ai mutamenti sia degli scenari internazionali, sia dei mezzi e
delle tecniche di comunicazione. Il suo valore è stato prioritariamente documentario quando le
fonti d'informazione su ciò che avveniva nel mondo erano scarse, o difficili da raggiungere o
manipolate. Ha assolto poi sempre più una funzione di sollecitazione e di commento e in
questa veste è giunta sino ad oggi.
"L'ISPI sente ora l'esigenza di allargare la diffusione dell'informazione e del commento sulle
tendenze che si manifestano nella vita internazionale, sui grandi temi contemporanei che sono
politici, ma anche economici, finanziari, sociali, etici o giuridici, sui temi cioè della dimensione
internazionale dei problemi della società di oggi. Assieme all'Istituto Affari Internazionali di
Roma, la rivista "Foreign Policy" di Washington e l'editrice "La Stampa" di Torino, l'ISPI
presenterà una realizzazione editoriale congiunta, la rivista bimestrale "Global FP" di cui uscirà
prossimamente il primo numero.
"Relazioni Internazionali" non perde tuttavia la sua funzione. Essa sarà con cadenza trimestrale
come periodico diretto a presentare in primo luogo produzione di ricerca dell'ISPI nonché a
diffondere le conoscenze dell'attività seminariale e di formazione dell'istituto. Si configura
quindi come quello che il mondo anglosassone chiama un "house organ" distribuito a tutti i
principali interlocutori dell'istituto, sia nella sua forma stampata che, tra breve, su internet.
Sono certo che "Relazioni Internazionali" continuerà a essere una integrazione necessaria e
apprezzata della vita e del pensiero dell'ISPI anche in questa fase di rapida evoluzione ed
espansione della sua attività.
Con questo augurio sono lieto di presentare "Relazioni Internazionali", in una veste ancora una
volta rinnovata, ai suoi lettori."
Boris Biancheri, Presidente ISPI
I COLLOQUIA INTERNAZIONALI
Abdelaziz Bouteflika all'ISPI
Un nome di grande peso politico internazionale viene ad aggiungersi al gruppo dei relatori che
nell'ultimo anno e mezzo hanno partecipato ai Colloquia organizzati dall'Ispi. Si tratta di
Abdelaziz Bouteflika, presidente della Repubblica d'Algeria, che il 17 novembre scorso in
occasione della sua prima visita ufficiale in Italia, è intervenuto nella Sala da Ballo di Palazzo
Clerici con un discorso sull'evoluzione della situazione politica ed economica algerina.
Bouteflika si è soffermato particolarmente sul processo di pacificazione in atto nel Paese e sul
ripristino delle condizioni di sicurezza per gli stranieri. In particolare il Presidente ha
sottolineato la volontà di superare il vecchio modello di un'economia algerina basata sul
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petrolio, e la scelta di puntare a una crescente apertura agli scambi internazionali.
Alla conclusione della conferenza Bouteflika si è intrattenuto in un lungo colloquio informale
con alcuni dei maggiori rappresentanti della business community milanese e italiana presenti
per l'occasione.
I Colloquia dell'anno 1999 si sono conclusi il 1° dicembre scorso con l'intervento di Sadako
Ogata, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che ha sviluppato il tema "The
humanitarian frontlines: new challenges of refugee works".
Il ciclo di incontri "I Colloquia Internazionali dell'ISPI" è patrocinato dalla Camera di
Commercio di Milano e dalla Rappresentanza a Milano della Commissione Europea. Nel suo
primo anno di attività questa iniziativa, inaugurata dal Presidente Lamberto Dini, ha permesso
di ospitare in ISPI prestigiose personalità italiane e straniere attive sulla scena internazionale
tra cui: Mario Monti, Emma Bonino, Carlo Maria Martini, Tommaso Padoa Schioppa.
Il successo riscontrato, anche in termini di pubblico, permetterà lo svolgimento di nuovi
incontri durante tutto il 2000 (per informazioni: 02-863313269)
ROUND TABLE
Le nuove guerre e il ruolo dei mass media.
Quando l'informazione è parte in causa del conflitto
Biancheri. Il tema delle nuove guerre è di grandissima attualità e in questo forum organizzato
dall'Ispi cercheremo di affrontarlo da due diverse angolazioni: il punto di vista dell'opinione
pubblica da un lato e la visuale degli studiosi che conoscono lo stato attuale della disciplina
delle relazioni internazionali dall'altro. Le nuove guerre di cui ci occupiamo sono conflitti che si
differenziano dal passato per la loro finalità, in quanto si propongono di tutelare gli individui,
facendone dei soggetti della realtà internazionale. L'altro grande elemento di novità consiste
nel fatto che l'opinione pubblica e i media non sono soltanto i testimoni di questa
trasformazione e di questo sviluppo ma ne sono in qualche modo all'origine, al punto che i
governi sono spesso stati portati su posizioni di intervento più per l'impulso dell'opinione
pubblica e per la pressione dei media che per decisioni politiche autonome. Su questo tema
ascolteremo le valutazioni degli interpreti dell'opinione pubblica e dei media che abbiamo
intorno a questo tavolo.
Magnaschi. La guerra in quest'ultimo secolo ha cambiato natura. Nella prima guerra mondiale
i civili deceduti a causa del conflitto erano stati il 10% del totale e la loro morte poteva essere
vista come una conseguenza collaterale e non prevista dell'azione bellica. Nella seconda guerra
mondiale la percentuale dei civili sul totale dei caduti era salita al 60%. Si calcola infine che
nella guerra serbo-kosovara il 95% delle morti sia stato registrato tra i civili. Se ne potrebbe
concludere che per salvarsi in una guerra occorre fare il militare. Il secondo aspetto di novità
riguarda il grande peso assunto dalla documentazione e dalla testimonianza della guerra.
Generali e politici se potessero scegliere, non vorrebbero testimoni sui teatri di guerra.
Margaret Thatcher condusse la guerra delle Falkland in totale assenza di testimoni, dandoci
l'illusione di un minuetto. All'opposto nel caso della guerra del Vietnam gli osservatori sono
concordi nell'affermare che gli Stati Uniti non persero la guerra sul campo di battaglia ma in
televisione, poiché divenne intollerabile per i cittadini vedersi servire insieme all'hamburger
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dell'ora di pranzo qualche morto bruciato di napalm. Oggi infatti i giornalisti dei paesi liberi
sono persone che cercano di capire e di far capire quel che sta succedendo e a differenza dei
cronisti bellici del passato non parteggiano per l'esercito della propria nazione d'origine.
Remondino. Nella mia esperienza professionale non mi è mai sembrato che la voce di chi si
trovava direttamente sul teatro di guerra abbia trovato molto ascolto, quindi non credo che i
media siano in grado di indirizzare l'opinione pubblica. La mia impressione è che chi gestisce le
grandi linee politiche che determinano la guerra e la pace è anche in grado di gestire i media e
di conseguenza l'opinione pubblica. E' un'opinione molto pessimistica ma credo veritiera. Del
resto il vero problema per chi si trova in situazione di guerra è l'impossibilità di verifica della
fonte. Difficile per esempio, durante la guerra del Kossovo, denunciare le bugie di fonte Nato
mentre era in qualche modo più agevole denunciare la manipolazione delle notizie date dai
mezzi di informazione di Milosevic. La situazione di guerra è la condizione peggiore per il
giornalista il cui obbligo fondamentale, quello del riscontro delle notizie, viene meno. Come ha
dichiarato il viceresponsabile dell'Osce, un ex generale italiano, "oggi le guerre si combattono
su due fronti, quello militare e quello dei media. E ogni generale che voglia condurre con
successo la finalità di una guerra, sia essa d'aggressione, di difesa, umanitaria, etica, deve,
così come manovra i tank, le forze aeree, la fanteria, regolare anche la comunicazione, che fa
parte delle forze in campo e fa parte della condotta della strategia moderna". Di fronte a
dichiarazioni di questo tenore noi giornalisti rischiamo di trovarci arruolati nostro malgrado. Ma
questo è legittimo in termini di democrazia sostanziale?
Ostellino. La guerra è diventata un fenomeno così complesso, sia dal punto di vista
tecnologico, sia dal punto di vista politico, per cui i giornalisti spesso o non sono in grado di
riferire quello che sta accadendo oppure pur assistendo agli eventi non sono in grado di capire
che cosa stia realmente accadendo. E quindi c'è una doppia sudditanza da parte del
corrispondente di guerra. C'è una sudditanza di tipo tecnologico e c'è una sudditanza di tipo
politico. La sudditanza di tipo tecnologico l'abbiamo vista durante la guerra del Golfo con la
totale dipendenza dalla televisione quale fonte informativa. La sudditanza di tipo politico nasce
invece dalla contraddizione tra il diritto di ingerenza di carattere umanitario e le ragioni di
natura geostrategica. I motivi per i quali la Nato è intervenuta sulla Serbia erano veramente
soltanto di carattere umanitario? E allora perché non interveniamo anche adesso, visto che gli
albanesi stanno facendo la stesso politica di pulizia etnica a danno dei serbi? Forse perché le
vere ragioni di quell'intervento non erano affatto di natura umanitaria o non erano soltanto di
natura umanitaria ma erano anche di natura geostrategica. Ma una guerra di natura
geostrategica la si vende male nel mondo contemporaneo e allora il diritto di ingerenza per
ragioni umanitarie diventa una giustificazione politica, il dito dietro il quale si nascondono le
ragioni di carattere geostrategico. E sotto questo profilo perché la stampa e i media finiscono
col diventare sudditi della politica? Lo diventano per una ragione molto semplice. Perché nel
mondo complesso in cui viviamo ci sono tutta una serie di variabili che la stampa non è in
grado di controllare, perché non le conosce. E allora il rischio da parte dei giornalisti è quello di
trasmettere delle veline, dei semplici comunicati stampa.
Biancheri. Lo stesso sentimento di frustrazione che Ostellino descrive è capitato di provarlo a
me quando pur trovandomi in una situazione di partecipazione diretta agli "arcana imperii"
avvertivo la frustrazione di non poter controllare l'opinione pubblica e i media che la
governano. E questo perché in alcune delle guerre che si sono combattute dopo la caduta del
Muro l'opinione pubblica ha avuto un ruolo decisivo. Penso in particolare alla Somalia dove se
non vi fosse stata la Cnn a riferire sullo stato di catastrofe delle popolazioni somale non vi
sarebbe stato intervento militare diretto. Mentre nel caso della guerra in Kossovo direi che
l'opinione pubblica non è stata all'origine dell'intervento militare ma ne è stata testimone e
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spesso anche testimone riluttante. L'unica conclusione che mi sento di trarre è che mentre un
tempo le guerre risalivano a un'unica fonte decisionale, sostanzialmente i governi, adesso vi è
una interrelazione continua per cui le responsabilità sono molto difficili da dividere, talvolta
sono i governi a pesare maggiormamente sulle decisioni, talvolta l'opinione pubblica.
Bruni. I giornalisti in relazione alle nuove guerre in prevalenza si sono dichiarati vittime,
vittime delle difficoltà tecnologiche, vittime della politica e di decisioni che talvolta risultano
persino inconfessabili. Ma vi sono due questioni che vorrei sottoporre più direttamente
all'attenzione. E' vero o non è vero che l'opinione pubblica soprattutto là dove in modo magari
casuale incontra l'immagine televisiva, finisce per determinare attraverso un meccanismo che
non possiamo non chiamare democratico una pressione verso l'intervento militare? Le funzioni
dei media a mio avviso sono principalmente tre. Una consiste nell'individuare, nell'anticipare i
momenti di tensione e di crisi che possono dare origine a situazioni politico-militari che
richiedono un intervento con un lavoro di indagine a freddo, di scavo su notizie che ancora non
fanno spettacolo. Poi, quando la crisi precipita, riportare nel modo più corretto gli eventi. E
infine seguire le conseguenze dell'intervento bellico per valutarne le conseguenze sul piano
politico, sociale, economico.
E allora la seconda domanda è questa: in che misura i media hanno la forza e la volontà di fare
due delle tre cose che ho detto e che non sono state menzionate, vale a dire andare alla
ricerca, quando ancora non paga sul piano dello spettacolo e dell'immagine, di quello che può
succedere e poi mostrarci anche a distanza di mesi le conseguenze prodotte da un intervento?
Pocar. Credo che per i media esista in qualche modo il problema di trovare una giustificazione
alla guerra, in un ordine internazionale che a partire dal secondo conflitto mondiale è basato
sul rifiuto di guerre non motivate. La legittima difesa può non essere una ragione sufficiente
perché i casi come la guerra del Kossovo o la guerra con l'Irak non possono essere visti come
esempi di legittima difesa, anche se in quest'ultimo caso c'era l'aggressione al Kuwait. Le
stesse Nazioni Unite hanno dovuto giustificare queste guerre e lo hanno fatto con
un'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Ma abbiano situazioni in cui l'autorizzazione del
Consiglio di Sicurezza non c'è e allora è stata portata a dottrina l'idea che l'intervento
umanitario giustifica in qualche modo la guerra. Io vorrei chiedere se questo elemento viene
usato dai media per distinguere la guerra giusta dalla guerra ingiusta.
Martinelli. L'immagine idealizzata della democrazia è quella di una sorta di circuito virtuoso in
cui cittadini bene informati da giornalisti onesti e che sanno fare bene il proprio mestiere,
attraverso la vita pubblica influenzano le decisioni dei loro governanti democraticamente eletti.
Questo è il modello virtuoso. Ma esiste anche una variante viziosa e caricaturale di questo
modello, in cui vi sono leader che seppure democraticamente eletti, riescono a influenzare e a
manipolare le opinioni dei cittadini per mezzo di giornalisti più o meno compiacenti, privi della
capacità di ribellarsi. Noi qui abbiamo avuto interventi che oscillavano tra i due modelli. A me
sembra che la questione sia più complicata. Per quanto abili siano i governanti, vi sono una
serie di conseguenze inattese dei loro comportamenti per cui questi hanno sì l'idea di
influenzare l'opinione pubblica ma spesso con atti che si ritorcono contro le loro intenzioni
originali. Inoltre non si deve dimenticare che i grandi network televisivi sono anche delle
imprese e che il fine primario della Cnn è di avere audience, perché vende audience. E allora
perché la Cnn dovrebbe avere interesse a fornire immagini troppo manipolate? E concludo con
un'osservazione sul mestiere di giornalista. Come in tutte le professioni ci sono buoni
giornalisti e cattivi giornalisti, persone che vogliono verificare le notizie, che lottano per
difendere i propri spazi di autonomia, e persone che invece si adattano all'esistente e rischiano
di diventare megafoni di volontà altrui. In estrema sintesi la mia convinzione è che il modo di
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fare il giornalista conta ancora molto, e su questo punto vorrei ascoltare l'opinione degli
interessati.
Magnaschi. Il professor Bruni ha notato nei nostri interventi la sensazione che ci sentiamo
vittima di condizionamenti quando parliamo di guerra. Ma un giornalista sufficientemente
autorevole è relativamente autonomo da questi condizionamenti. Alla domanda se è vero che
le guerre nascono dall'opinione pubblica risponderei che all'origine, fin dal 1914 vi è sempre
stato un peso molto forte dell'opinione pubblica, basta ricordare il peso dei proclami di
Marinetti, o le attrici che vestite del tricolore indicavano la direzione di Trieste, o le imprese di
D'Annunzio. Adesso gli strumenti sono diversi e quindi anche i media, soprattutto i media
televisivi possono fungere da cassa di risonanza. Il professor Pocar dice che i media cercano di
dare una giustificazione della guerra anche se le guerre appaiono sempre meno giustificabili
salvo che sul piano della legittima difesa. Questo è vero ma il compito degli analisti e dei
giornalisti è proprio quello di andare a ricercare le cause delle guerre e di spiegarle. Del resto
l'idea delle guerre umanitarie mi sembra un ossimoro a disposizione di generali, diplomatici e
politici che assomiglia al ghiacciaio in fiamme di Cime Abissali; quando non si riesce a spiegare
una cosa si inventa un gioco di parole, sperando che vada a conclusione. Nell'intervento del
professor Martinelli c'era l'elogio del grigio e l'elogio della professionalità. Ma se è vero che la
Cnn è un'impresa che deve fare profitti è evidente che Cnn deve presentare gli eventi in modo
che possano interessare soprattutto il pubblico americano. E' fatale che non esista
un'obiettività giornalistica assoluta.
Remondino. Il generale Carlo Ciani ha affermato che ogni guerra che nasce per ragioni di
realpolitik deve essere ammantata di idealpolitik. Oggi l'opinione pubblica va convinta che ci
debba essere comunque una motivazione alta. Ma io come corrispondente prima del Tg 1 e poi
della Rai nel suo complesso ho trascorso 4 anni a Sarajevo raccontando in tutti i modi possibili
la tragedia che stava avvenendo; ma finché non si è determinato un preciso passaggio di
politica internazionale l'opinione pubblica mondiale ha subito quei massacri per 4 anni, li ha
metabolizzati, li ha digeriti. Poi quando di colpo si decide che è quello un fatto centrale della
politica internazionale io non sono convinto che questa decisione avvenga per effetto delle
cronache di guerra che i pochi corrispondenti presenti sul campo inviano alle rispettive testate.
Alla domanda del professor Bruni sul seguito che viene dato ai conflitti il problema è che il
meccanismo editoriale è esasperato dalla concorrenza televisiva che spesso determina una
rincorsa all'audience verso il basso. Io comunque ritengo che le decisioni di intervento che poi
mobilizzano l'attenzione delle grandi reti televisive e dei mass-media siano prese altrove.
Ostellino. La professionalità del singolo giornalista è molto importante ma è anche vero che è
il sistema informativo nel suo complesso che deve dare delle risposte al di là delle risposte
facili e apparenti. E a mio avviso il mondo dei media non è in grado di fissare autonomamente
la propria agenda, non è in grado di individuare la priorità delle notizie da dare e finisce di
volta in volta per essere il megafono della magistratura, dei sindacati, del governo, dei
movimenti. Il giornalista non è in grado di rimanere sul fatto, proprio perché la notizia
successiva fissa l'agenda e il sistema informativo brucia immediatamente quelle stesse
informazioni che ha appena sollevato. Quindi tra il circolo virtuoso di cui parla Martinelli e il
circolo vizioso che egli denuncia io temo che nella società della massificazione tenda
inevitabilmente a prevalere il circuito vizioso, ma non perché il mercato sia un male in sé ma
perché il mercato deve essere regolato e il mercato informativo italiano non è sufficientemente
regolato e tende a penalizzare il consumatore, anziché a premiarlo.
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ATLANTE
ARGENTINA
Dopo un decennio caratterizzato da un contesto macroeconomico alquanto instabile, per la
presenza di elevata inflazione, elevato debito pubblico e indebitamento estero, e per un tasso
di crescita della produzione stagnante, durante gli anni Novanta l'Argentina ha sperimentato un
periodo di ripresa sia dal punto di vista della stabilità politica che dal punto di vista dello
sviluppo economico.
Questo miglioramento è stato ottenuto principalmente grazie all'implementazione del "Piano di
Convertibilità", varato nel 1991 dal Ministro Cavallo e caratterizzato dall’ancoraggio del peso
argentino al dollaro americano in un rapporto 1:1. L'effetto di questo piano è stato quello di
ottenere la stabilizzazione dei prezzi e del tasso di inflazione che, combinata con il vasto piano
di privatizzazioni e con l'apertura degli scambi con l'estero, ha contribuito in maniera
determinante a sostenere l'economia del paese ed in particolare la ripresa del settore
produttivo.
Superata la crisi del Messico del 1994, l'Argentina ha risentito della crisi asiatica del 1997 che
ha causato un rallentamento del tasso di crescita del PIL, rallentamento acuito dalla crisi della
Russia del 1998. Nonostante le sfavorevoli condizioni internazionali l'Argentina ha comunque
mostrato, nel 1998, buone performance in termini di tassi di crescita del PIL.
L'attuale contesto politico
Il 1999 è stato senza dubbio dominato dalle elezioni presidenziali del 24 Ottobre, anche perché
l'attuale costituzione vietava al Presidente Carlos Menem di ricandidarsi. I potenziali candidati
erano Eduardo Duhalde, per il Partido Justicialista, alla cui leadership è Carlos Menem, e
Fernando de la Rua, per l'Alianza por el Trabajo, principale partito all'opposizione.
Il 24 Ottobre Fernando De la Rúa si è imposto al primo turno della competizione elettorale,
essendosi aggiudicato più del 45% dei voti, e da novembre assumerà i pieni poteri in qualità di
nuovo Presidente della Repubblica Argentina.
Il partito che guiderà la nuova maggioranza di governo è l’Alianza por el Trabajo, la Justicia y
la Producion (ALIANZA), formato in vista della competizione elettorale del 1999 da Union
Civica Radical (UCR) e dal Frente del Pais Solidario (FREPASO), che continuano comunque a
operare in maniera autonoma in molte aree. L’UCR, una volta il maggior partito all’opposizione,
è il più vecchio partito politico del paese e ha sempre rappresentato gli interessi della classe
media. Il FREPASO è invece sorto nel 1994 dall’unione tra ex peronisti e politici di centrosinistra. ALIANZA è riuscita ad aggiudicarsi, oltre alla presidenza della repubblica, la
maggioranza relativa dei seggi alla camera e la vittoria in tre delle sei provincie in cui si votava
per l’elezione del governatore (Mendoza, Entre Rios, Chubut).
Nonostante la sconfitta nella corsa alla presidenza, il Partido Justicialista (PJ) detiene tuttora
un notevole potere. I peronisti mantengono, infatti, la maggioranza assoluta dei seggi al
Senato fino al 2001, anno in cui si procederà all’elezione di tutto il senato, e conservano
tuttora il controllo di 15 province su 24, della corte costituzionale, dei principali sindacati,
nonché una notevole influenza sul potere giudiziario. Significativa è anche la netta vittoria
ottenuta dal peronista Carlos Ruckauf, vice-presidente di Menem, nella provincia di Buenos
Aires, vero e proprio fulcro economico e amministrativo del paese.
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La sconfitta di Duhalde alle presidenziali sembra essere più frutto più di problemi interni al PJ,
che non di una reale volontà del paese di voltare pagina. L’influenza del carisma di Menem è
indiscutibilmente tuttora ancora molto rilevante, come testimoniano anche le dichiarazioni di
De la Rúa volte a rassicurare il Paese che continuerà nelle politiche di risanamento avviate dal
governo uscente. L’appoggio fornito da Menem a Duhalde è stato tiepido e tardivo. Fino al
mese di maggio Menem ha di fatto sondato la possibilità di ricandidarsi per la terza volta
consecutiva e in seguito si è più preoccupato di consolidarsi nel ruolo di futuro leader
dell’opposizione, che non di sostenere il candidato del suo partito. Probabilmente l’atto che ha
definitivamente sancito la sconfitta di Duhalde, che se fosse riuscito ad accedere al
ballottaggio, avrebbe potuto probabilmente contare sull’appoggio di Cavallo, è stato l’annuncio
pubblico della candidatura di Menem alle presidenziali del 2003.
L'attuale contesto economico
Dal punto di vista economico, la scena è stata dominata dalle tensioni causate dalla
svalutazione della moneta brasiliana (gennaio del 1999), che hanno suscitato perplessità sulla
possibile tenuta dell’economia argentina. La prima reazione dei mercati internazionali è stato
un brusco aumento del premio al rischio paese e del tasso di interesse; allo stesso tempo, la
crescita del PIL ha subìto un certo rallentamento. A fine aprile molte delle preoccupazioni erano
già rientrate, anche grazie alla momentanea ripresa del Brasile, sostenuta dal nuovo
finanziamento da parte del FMI.
Risulta comunque evidente dai dati che il paese sta attraversando un periodo di recessione.
Infatti, il tasso di crescita del PIL si è ridotto del 3% nel primo trimestre del 1999, a causa di
un declino nei consumi privati, negli investimenti e nelle esportazioni di beni e servizi. Secondo
stime ufficiali, il PIL dovrebbe aver subito una contrazione pari al 4% durante il secondo
trimestre del 1999. Ci sono vari fattori responsabili di questa recessione. Oltre alla crisi
brasiliana che ha comportato una riduzione dell'export argentino verso il Brasile, vi è la
diminuzione del tasso di crescita del commercio mondiale ed il più elevato costo dei
finanziamenti esterni. La situazione è stata poi aggravata dall'incertezza dovuta alla scadenza
elettorale, che ha provocato una parziale paralisi nei processi decisionali del Governo ed una
maggiore predisposizione delle famiglie a posporre le decisioni di consumo e di investimento.
Ulteriori problemi sono stati causati da misure di ritorsione commerciale verificatesi nel corso
dell'anno tra i due principali partner del Mercosur, il Mercado Comun del Sur, costituitosi nel
1991 per la creazione di un mercato comune tra i quattro paesi del Cono Sud dell'America
Latina, Brasile Argentina, Uruguay e Paraguay. Il Brasile e l’Argentina, hanno infatti messo in
serio pericolo il futuro del Mercosur, principalmente a causa delle richieste degli imprenditori
argentini per la protezione di diversi settori, in seguito alla svalutazione del Real brasiliano. Il
presidente Menem, per evitare un serio peggioramento nelle relazioni bilaterali tra i due paesi,
ha quindi deciso di non imporre misure protezionistiche nei confronti dei paesi membri del
Mercosur.
Tab.1 Principali indicatori economici
Pil (US $ bln)
1997
1998
323.4
338.2
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Pil pro-capite (US $)
9.066
9.329
Indice prezzi al consumo (fine anno, in 0.3
%)
1.5
Tasso di disoccupazione (maggio)
16.1
13.2
Export fob (gen-giu, $m)
12.948
13.531
Import fob (gen-giu, $m)
13.133
14.781
Debito/Pil (in %)
31.5
34.1
Debito estero ($m)
110.2
118.2 (1Sem.)
I settori chiave
In questi ultimi anni, l’industria argentina sta attraversando profonde modifiche.
Prima del 1991, il settore manifatturiero si è sviluppato grazie alle forti politiche di
incentivazione e sostegno all’industria. Dopo la salita al potere del governo Menem, i sostegni
all’industria sono stati notevolmente ridotti, mentre si cerca di incentivare uno sviluppo basato
sull’innovazione e sul progresso tecnico. In quest’ultimo decennio si sono inoltre verificati
alcuni eventi, come la creazione del Mercosur nel 1991, l’apertura al commercio internazionale,
con l’eliminazione della maggior parte delle restrizioni alle importazioni, che hanno promosso la
razionalizzazione e la specializzazione produttiva all’interno del paese, con un incremento del
grado di concorrenza tra le imprese ed una rivitalizzazione dell’industria.
Guardando al complesso del settore manifatturiero per il 1998, particolare rilevanza assume il
settore automobilistico. La contrazione delle esportazioni verso il Brasile ha messo tale
industria sotto pressione, portando addirittura alcuni impianti a sospendere temporaneamente
la produzione. Si sta ora cercando di stimolare sia la domanda interna che le esportazioni
attraverso accordi all’interno del Mercosur.
Tra i settori tradizionali di particolare importanza è il settore alimentare. L’apporto dei capitali
e delle tecnologie della grandi multinazionali che sono sempre più presenti nel paese sta
modificando la struttura e la competitività del settore, che costituisce già uno dei punti di forza
delle esportazioni argentine (35% circa del totale delle esportazioni).
Tab. 2 Contributo dei settori produttivi alla formazione del PIL
(%)
Agric., Silvic. e pesca
1994
1995
1996
1997
1998
1999
7,27
7,87
7,75
7,4
7,79
7,33
Palazzo Clerici
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Industria estrattiva
2,56
2,88
3,02
3,01
3,09
3,14
Industria manifatturiera
25,58
24,84
25
25,25
24,56
24,59
Elettricità, gas e acqua
2,15
2,35
2,36
2,34
2,33
2,33
Costruzioni
6,22
5,8
5,61
6,42
6,57
6,64
e 16,64
15,94
16,2
16,54
16,47
16,41
e 5,18
5,35
5,48
5,41
5,41
5,42
16,14
16,39
16,8
16,71
17,41
17,84
Servizi comunali e sociali 18,26
18,58
17,78
16,92
16,37
16,3
Comm.,
alberghi
ristoranti
Trasporti
comunicazioni
Servizi finanziari
Fonte: elaborazioni proprie su dati Banco Frances: www.bancofrances.com/P0100.htm
Analizzando il contributo dei settori produttivi alla formazione del PIL argentino degli ultimi
anni, si può osservare come l’industria manifatturiera rivesta una notevole importanza, stabile
nel tempo, e come anche il commercio, i servizi finanziari e quelli comunali e sociali
mantengano una quota rilevante.
Si è comunque verificato un mutamento nella composizione delle attività principali del paese,
con un forte spostamento dell'economia argentina verso il settore dei servizi, nel quale vi sono
state le maggiori trasformazioni negli ultimi anni, attraverso un processo di
deregolamentazione e di privatizzazioni generalizzato.
Minore, anche se non marginale, risulta il contributo dell’agricoltura, insieme a silvicoltura e
pesca. Il settore agricolo è stato tradizionalmente dominato dalla grande proprietà latifondista,
ma negli ultimi anni, con l’arrivo nel comparto alimentare delle grandi multinazionali, ha
sperimentato una profonda trasformazione, con un rapido miglioramento nelle tecniche di
produzione. Sono state, inoltre, ridotte le barriere tariffarie e non tariffarie sia all’importazione
che all’esportazione, e sono stati introdotti dei programmi per migliorare la qualità e i controlli
sanitari sulla carne.
Il governo ha, inoltre, attuato importanti misure a favore del settore della pesca e dell’industria
del legname.
Per quanto riguarda le infrastrutture, l’Argentina è dotata di una delle reti stradali e ferroviarie
più estese di tutto il Sud America. Nel passato la mancanza di adeguate opere di manutenzione
ha deteriorato le strutture del settore. Negli anni Novanta, con la deregolamentazione generale
dell’economia, vi è stata una spinta al miglioramento e all’ammodernamento del settore,
soprattutto per quanto riguarda i trasporti aerei e navali.
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Via Clerici, 5
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Tab. 3 Principali vie di comunicazione
Rete ferroviaria (Km Km 37910 (168)
di linea elettrificata)
Strade principali
Km 218.276
Vie fluviali
Km 11.000
Principali aeroporti
350 aeroporti autorizzati
11
internazionali
aeroporti
Fonte: FIA, www.invertir.com
Prospettive future
In un contesto così incerto, è comunque il risultato elettorale a dominare i prossimi mesi del
1999. La situazione critica in cui è caduta l’economia argentina in seguito alla svalutazione del
Real e il notevole malcontento sociale che ne è conseguito, costituiscono un duro banco di
prova per il neo presidente, che si troverà probabilmente a dover prendere provvedimenti
strutturali rinviati dal governo uscente.
Sul fronte internazionale, l’elezione di De la Rúa ha riscosso giudizi positivi da parte di tutti i
principali partner dell’Argentina. Egli tuttavia certamente dovrà nel tempo consolidare tale
fiducia, cercando di evitare di farsi oscurare dal presidente uscente e futuro capo
dell’opposizione. In particolare, data l’importanza strategica degli accordi con il Brasile, sarà
necessario costruire al più presto un rapporto di collaborazione politica con il presidente
Cardoso, che ha sempre dimostrato un buon affiatamento con Menem.
Le tendenze principali della politica economica argentina saranno ampiamente rispettate
dall’Alianza, in particolare per ciò che riguarda il piano di convertibilità del peso, le
privatizzazioni messe in atto e l’inserimento internazionale e regionale. L’obbiettivo principale
della coalizione consiste, infatti, nel mantenere il modello economico esistente, introducendo
però un ruolo più attivo per le politiche pubbliche (commerciali, fiscali, finanziarie, istituzionali,
sociali). Queste dovrebbero, da un lato, promuovere e diversificare l’iniziativa privata,
stimolando l’accesso ai mercati internazionali e il rispetto delle norme di libera concorrenza nei
mercati interni, dall’altro, favorire una maggior parità di opportunità tra gli operatori economici
e i ceti sociali (nel rispetto del modello esistente), appoggiando apertamente le PMI e
stimolando una maggior efficienza della spesa sociale. Se questi propositi vengono rispettati,
l’Argentina dovrebbe continuare a dare le stesse garanzie di stabilità monetaria e opportunità
di investimento.
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"IN NETWORK" CON ISPI
CARI
Il "Consejo Argentino para las Relaciones Internacionales" (CARI) è un Istituto privato, senza
fini di lucro, creato nel 1978 al fine di stimolare l’analisi dei problemi internazionali partendo
dall’esame della situazione nazionale. A tal riguardo gli studi vengono condotti ad ampio
spettro e investono molteplici branche delle scienze sociali, dall'economia alla politica, dalla
sociologia alla cultura ecc.
I Membri dell’Istituto spaziano dai Ministri a tutto coloro che a vario titolo e per vario interesse
voglio approfondire le tematiche concernenti l’ambiente internazionale.
Le attività accademiche si sviluppano attraverso Conferenze, Giornate di studio, Corsi,
Seminari, Simposi, Tavole Rotonde, Borse di studio e Pubblicazioni.
A partire dal 1993 opera l’"Instituto de derecho internacional" e, dal 1994 l’"Instiututo de
seguridad internacional y asuntos estratégicos".
Un "Comité especial de servicio empresario" ha come fine fornire servizi alle imprese e ad altre
Istituzioni private, mettendole in contatto con i principali responsabili della politica estera
argentina. Tra gli altri organi che assumono carattere permenente in seno al CARI si possono
citare il "Grupo joven de miembros adherentes", costituito da professionisti e studenti e un
"Comité para el estudio de temas determinados" che si è occupato, tra l’altro, di: proiezione
esterna dell’impresa argentina; Uruguay Round; le forze armate nel processo di integrazione
del Cono del Sud.
Il 23 luglio del 1999 ISPI e CARI hanno firmato un accordo che stabilisce la creazione di un
"Foro permanente di dialogo italo-argentino" che ha come presupposto il condiviso interesse di
entrambe le Istituzioni nell'incentivare i rapporti, anche di carattere accademico, tra Argentina
e Italia. Il Foro avrà cadenza annuale e sarà tenuto alternativamente nei due Paesi.
Al fine di ricercare una soluzione ai problemi esistenti con il Regno Unito, il CARI patrocina
congiuntamente alla "Comisión Británica" la realizzazione di incontri periodici tra parlamentari,
imprenditori, rappresentanti del mondo della cultura, della Chiesa e del giornalismo dei due
paesi, intitolati "ABC – Argentine-British Conference".
Tra le iniziative più recenti promosse da CARI si sottolineano:
•
Incontro con Robert Gabriel Mugabe, Presidente dello Zimbawe sul tema "La polìtica
exterior de Zimbawe, la situaciòn africana y las relaciones bilaterales con la Argentina"
(14 settembre 1999)
•
Incontro con Joseph Ejército Estrada, Presidente della Repubblica delle Filippine sul
tema "Filipinas en el mundo de hoy" (20 settembre 1999)
•
Incontro con Giovanni Jannuzzi, Ambasciatore d'Italia in Argentina, sul tema "La NATO
nel
nuovo
scenario
di
sicurezza
mondiale"
(22
settembre
1999)
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•
Incontro con Adair Turner, Direttore Generale della Confederazione Industriale
Britannica, sul tema "Las consecuencias econòmicas de la Tercera Vìa" (12 ottobre
1999)
Tra le numerose pubblicazioni dell'Istituto, si evidenziano:
o "La opiniòn pública argentina sobre política exterior y defensa",
Jorge A. Aja Espil, 1998
o "Diplomacia pública: un modelo para la Argentina", Luis A.Rosales,
1999
o Los cambios y transformaciones políticas en Venezuela", José
Vicente Rangel, 1999
•
"La OTAN en el nuevo escenario de la seguridad mundial", Giovanni Jannuzzi, 1999
Il CARI ha inoltre una fornita biblioteca e pubblica un bollettino di notizie internazionali.
IN COLLABORAZIONE CON L'ICE
Al via il "Corso Post-universitario di Specializzazione in Commercio Estero" (COR.C.E.)
Le leggi, le procedure e i meccanismi di funzionamento del commercio internazionale
costituiscono un bagaglio di conoscenze indispensabile per chi a vario titolo intende operare nel
mercato globale.
Al fine di permettere anche a giovani laureati in discipline tecnico-scientifiche come Ingegneria,
Agraria o Medicina lo studio di queste tematiche, l'ISPI ha dato avvio il 4 ottobre al COR.C.E.
Il Corso, organizzato in collaborazione con l'Istituto per il Commercio Estero (ICE), si avvale di
una faculty di cui fanno parte, tra gli altri, docenti della Bocconi, del Politecnico e della LIUC. Al
termine del percorso d'aula è previsto uno stage all'estero (per informazioni: 02-863313203)
MASTER IN INTERNATIONAL AFFAIRS (MIA)
Un Master tutto nuovo in ISPI
Contenuti rinnovati, arricchimento delle modalità didattiche e ampliamento del corpo docente
sono i tratti salienti della nuova edizione del Master in International Affairs, il tradizionale
Corso di Preparazione alla Carriera Diplomatica e alle Carriere Internazionali che l’ISPI
organizza da oltre 30 anni.
Il nuovo Master, che ha preso l'avvio nel novembre 99, ha fatto registrare un altissimo
interesse con oltre 1000 persone coinvolte nell'attività di orientamento. Il Master, organizzato
dall’ISPI d’intesa con il Ministero degli Affari Esteri, si rivolge a coloro che intendono
intraprendere una carriera in ambito internazionale, con un occhio particolarmente attento alla
preparazione alla carriera diplomatica e all’accesso ad Organismi Internazionali nelle funzioni di
Peace-Keeping e Monitoring Elettorale.
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DI POLITICA INTERNAZIONALE
Il core Curriculum del MIA - coordinato da docenti di ruolo delle Università Bocconi, Cattolica e
degli Studi di Milano-Bicocca - è costituito dalle tre aree disciplinari fondamentali del diritto
internazionale pubblico, dell'economia e politica economica, della storia moderna e
contemporanea. A partire da quest’anno gli insegnamenti di base sono stati integrati da
numerosi corsi di approfondimento di altre discipline curriculari (Affari Diplomatici;
Amministrazione Pubblica Internazionale - Organismi Internazionali; Monitoring Elettorale;
Peace-Keeping; Relazioni Internazionali; Temi di Diplomazia Multilaterale: Environment,
Security , Human Rights, International Crime Prevention) nonché da seminari e workshop.
Anche alla luce di queste innovazioni, il corpo docente è stato ampliato fino a comprendere
visiting professors e funzionari del Ministero degli Affari Esteri e di Organismi Internazionali
(per informazioni: tel. 02.86.33.13.273-203).
COUNTRY PROFILES PER UN ATLANTE DEL 2000
Una collaborazione ISPI-Sole 24 Ore
Le carenze di tipo informativo sono spesso una strettoia che limita le iniziative commerciali
delle imprese italiane all'estero. Facendo perno sulle ricerche realizzate dall' Istituto e con un
occhio rivolto alle esigenze della piccola e media impresa, l'ISPI da quest'anno ha avviato in
collaborazione con il Sole-24 Ore il progetto "Atlante 2000". L'iniziativa prevede l'elaborazione
di schede contenenti una approfondita analisi della situazione e delle prospettive politicoeconomiche di Paesi che rivestono particolare importanza nell'interscambio commerciale
dell'Italia. Fino a questo momento sono stati realizzati e sono disponibili su Internet i country
profiles di Argentina, Brasile, Cile, Giappone, Malesia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania,
Singapore, Tailandia, Ungheria e Uruguay (per informazioni: 02-863313294).
SEMINARIO
Esisterà mai una Russia normale?
Le problematiche legate all'affermazione di una democrazia compiuta in Russia e le difficoltà
della transizione da un'economia di piano a un'economia di mercato sono stati i temi affrontati
il 2 dicembre scorso nel Seminario promosso dall'l'ISPI in collaborazione con la "Fondazione
Internazionale Premio E. Balzan". All'evento hanno aderito, tra gli altri, Sergio Romano, già
ambasciatore italiano in URSS, Rosario Alessandrello, presidente di Tecnimont e della Camera
di commercio italo-russa e il vicedirettore de "Il Sole 24 Ore" Antonio Calabrò.
I BALCANI E L'EUROPA
Venezia 26 e 27 novembre: tre tavole rotonde sul futuro dei Balcani
Oltre quaranta giornalisti provenienti dall'area balcanica, dall'Europa del sud-est, e da Italia,
Francia, Gran Bretagna e Spagna si sono incontrati alla Fondazione Cini di Venezia per
discutere i temi caldi del futuro dei Balcani. L'iniziativa, promossa dall'ISPI e dai Ministeri degli
Esteri italiano e francese, si è svolta su tre livelli in cui sono stati sviluppati i temi:
"Democratizzazione e riconciliazione", con segmenti specifici dedicati al ruolo dei media nei
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Balcani e alla stabilizzazione politica; "Ricostruzione economica e sociale", con segmenti
dedicati al patto di stabilità e alla lotta contro la criminalità organizzata; "Futuro dei Balcani:
europeizzazione e/o balcanizzazione?", con approfondimenti relativi ai modelli istituzionali e al
rinnovo delle élite governanti nella regione.
Hanno partecipato all'evento il Segretario Generale Aggiunto dell'ONU e Direttore dello "United
Nations Drug Control Program" Pi
no Arlacchi, il Coordinatore della task force italiana per la ricostruzione dei Balcani, Franco
Bernabé, il suo omologo francese, Roger Fauroux, il Vice Coordinatore del Patto di stabilità,
Donald Kursch e l'inviato speciale del TG1-RAI a Belgrado Ennio Remondino.
OMAGGIO ALL'EUROPA
Concerti in ISPI il 16 novembre e il 14 dicembre
La musica in quanto linguaggio universale può contenere anche un messaggio politico. Ed è
per enfatizzare il significato di comunità di destini e di solidarietà tra i popoli che l'ISPI ha
promosso insieme alla Gioventù Musicale d'Italia e con il patrocinio del Comune e della
Provincia di Milano e della Rappresentanza milanese della Commissione Europea, un ciclo di
concerti eseguiti da giovani professionisti provenienti da Belgio, Francia, Germania, Irlanda,
Lussemburgo, Regno Unito e Svezia. I primi due concerti, dedicati rispettivamente a Francia e
Germania, si sono svolti nella Sala da Ballo di Palazzo Clerici. L'iniziativa proseguirà fino a
giugno del 2000. La partecipazione è gratuita.
Per informazioni contattare Gioventù Musicale d'Italia, Via Santa Croce 4, 20122 Milano (tel.
02-89400840, fax 02-58103697, e-mail [email protected]).
OSSERVATORIO SUL MONDO
Gli Stati Uniti alla vigilia di una nuova presidenza
Prosegue il ciclo di incontri "Osservatorio sul Mondo" promosso dal Centro per gli Studi di
Politica Estera e Opinione Pubblica dell'Università degli Studi di Milano in collaborazione con
ISPI, ENI e Assolombarda. Il 4 novembre Palazzo Clerici ha ospitato un seminario tenuto
dall'Amb.Sergio Romano sulla situazione politica ed economica statunitense in vista delle
nuove elezioni presidenziali.
THE CHINESE CHALLENGE
I progressi del negoziato per l'adesione della Cina al WTO hanno riconquistato al gigante
asiatico la ribalta internazionale e l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale. Nei mesi di
ottobre e novembre l'ISPI, in collaborazione con Stockholm School of Economics, Univerität St.
Gallen, Norvegian School of Economics and Business Administration e Università Bocconi, ha
dunque promosso un Corso di formazione finalizzato ad approfondire gli sviluppi dell'economia
cinese e le sfide che si profilano con il nuovo secolo in un contesto di crescente apertura del
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Paese al commercio internazionale. Il Corso si è articolato in sei incontri, cui hanno aderito
complessivamente circa 300 partecipanti.
DECENNALE DELLA CADUTA DEL MURO
La Germania e l'Europa di fronte alla riunificazione tedesca
La caduta del muro di Berlino è un evento di portata epocale che rappresenta una tappa
decisiva nella memoria storica europea del Novecento. Per celebrare la ricorrenza l'ISPI ha
promosso il 15 novembre scorso un incontro per fare un primo bilancio delle conseguenze della
riunificazione tedesca. Al dibattito hanno partecipato, tra gli altri, Vera Lengsfeld, leader della
dissidenza nella ex DDR, e Enrico Rusconi, dell'Univeristà degli Studi di Torino.
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