L`Italia nell`esecutivo dell`Onu: quanto contiamo?

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L`Italia nell`esecutivo dell`Onu: quanto contiamo?
20 settembre 2010
L’Italia nell’esecutivo dell’Onu:
quanto contiamo?*
Francesco Bastagli (**)
Il peso dell’Italia negli organi esecutivi delle organizzazioni internazionali e in particolare nell’Onu
non è mai stato considerevole. La nostra presenza nelle gerarchie della funzione pubblica internazionale era limitata negli anni Settanta e Ottanta. Oggi, in termini relativi, lo è ancora di più. Un
esempio fra tanti: per molti anni la posizione di sotto segretario generale a Ginevra è stata occupata da funzionari italiani. Agli inizi degli anni Ottanta abbiamo “perso” Ginevra e ottenuto un livello
analogo a Vienna, sede all’epoca meno prestigiosa. Quest’anno la carica di Vienna, con la partenza di Antonio Costa, è passata a un candidato russo. Ci ritroviamo ora in una posizione molto deficitaria: sono solo due gli italiani ai vertici Onu, contro una presenza francese e britannica che è il
doppio della nostra e una presenza tedesca che è addirittura quattro volte quella italiana. Anche
altri paesi europei e molti di quelli emergenti possono vantare una presenza più diffusa e influente
della nostra nelle gerarchie “onusiane”. Va aggiunto che il problema non è soltanto numerico ma
riguarda anche il peso politico delle posizioni occupate. L’Italia non ha potuto, o saputo, accedere
ai vertici di dipartimenti importanti come quelli che si occupano di affari politici o di peacekeeping
nella sede di New York. Analoghe circostanze prevalgono, anche se in modo meno ovvio, nelle
gerarchie direzionali e intermedie.
Il livello della nostra presenza non corrisponde al peso potenziale del nostro paese, e cioè al peso
di una media potenza europea. Esso corrisponde, però, al nostro peso reale. Da decenni ormai
l’Italia non svolge un ruolo importante negli ambiti multilaterali. Ciò è dovuto a varie ragioni tra cui
lo scarso interesse della nostra classe politica e la conseguente carenza di priorità strategiche e di
continuità d’impegno della nostra diplomazia. Allo stesso tempo, un numero crescente di altri paesi
ha sviluppato una politica estera più attiva nel multilaterale e attenta agli organismi preposti quali
l’Onu, con conseguente intensificarsi della competizione nella ricerca di posizioni di prestigio nelle
burocrazie internazionali. A questo contesto va aggiunto che negli ultimi anni i contributi finanziari
dell’Italia agli organismi internazionali, in passato uno degli argomenti principali addotti a sostegno
delle nostre aspettative, sono notevolmente diminuiti in seguito alle scelte fatte dal governo per far
fronte alla crisi economica. L’Italia rimane uno dei maggiori contribuenti al bilancio regolare delle
Nazioni Unite – la quota che ogni stato deve obbligatoriamente pagare in quanto membro
dell’organizzazione. Tuttavia, negli ultimi anni i programmi dell’Onu sono stati finanziati soprattutto
attraverso contributi volontari ed è su questi fondi che il nostro paese ha messo un grosso freno.
Ad esempio, fino alla fine degli anni Novanta l’Italia era tra i dieci maggiori contribuenti dell’Unicef
(nel periodo 1985-1995 addirittura tra i primi cinque), mentre a partire dal nuovo millennio vi è stata
una progressiva diminuzione fino a quando, dal 2006, siamo completamente spariti dai “top ten”.
(*) Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
(*) Francesco Bastagli, ex assistente segretario generale Onu per il Peacekeeping.
Il presente testo è stato raccolto tramite intervista.
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ISPI - Commentary
La stessa cosa è accaduta per i contributi volontari all’Undp, il programma Onu per lo sviluppo, che
non ci vede tra i protagonisti dalla metà degli anni Novanta, e all’Unodc, il programma anti-crimine
e droga, di cui per lunghi anni l’Italia era stata il maggior contribuente in senso assoluto.
D’altro canto quei compatrioti che, malgrado queste limitazioni, riescono a integrarsi nei ranghi
della funzione pubblica internazionale si dimostrano spesso esemplarmente seri e competenti.
Molti dei più capaci giovani con cui mi è capitato di lavorare nel corso della mia carriera “onusiana”
sono italiani. In larga misura quindi la modesta presenza italiana nell’esecutivo Onu è piuttosto una
delle conseguenze – e non tra le più gravi – del limitato impegno dell’Italia sulla scena internazionale. Il giorno in cui la nostra politica e diplomazia dovessero riconoscere che l’interesse nazionale
esige un maggiore e più coerente coinvolgimento nelle attività delle Nazioni Unite, non mancherà
all’Italia il talento per essere degnamente rappresentata anche nell’esecutivo dell’organizzazione.
La ricerca ISPI analizza le
dinamiche politiche, strategiche ed economiche
del sistema internazionale con il duplice obiettivo
di informare e di orientare le scelte di policy.
I risultati della ricerca
vengono divulgati attraverso pubblicazioni ed
eventi, focalizzati su tematiche di particolare
interesse per l’Italia e le
sue relazioni internazionali.
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