Mamma contro mamma - Famiglie Arcobaleno
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Mamma contro mamma - Famiglie Arcobaleno
PHOTOHUNTER.NET Kirsten Zecher (in bianco) e Alissa Hummer (in rosso) con i loro figli Andrew e Clare, a Santa Barbara, in California. Mamma contro mamma INCHIESTA Che cosa succede ai figli di una coppia omosessuale quando le madri si separano? Il primo caso è arrivato al Tribunale dei minori di Milano. Solo che, per la legge italiana, le famiglie come quella che vedete in queste pagine non esistono di Monica Ceci - Foto Isaac Hernandez e Lesley J. Gourley Gioia 2010 | 63 I pianerottoli sanno la verità, dice l’avvocato. Su tutti i pianerottoli del mondo una mamma è una mamma e nessuno la confonderebbe con una zia o un’amica di passaggio. Capita invece che la legge sia ottusa e lenta, così Maria e il suo avvocato Niccolò G. Ciseri considerano quasi una vittoria, anzi un “fallimento positivo”, il pronunciamento del Tribunale dei minori di Milano che ha riconosciuto il ruolo genitoriale di Maria, pur negandole il diritto di visita ai due bambini che considera figli. Maria è tecnicamente una co-mamma: dopo anni di convivenza con Francesca, ha deciso insieme a lei di avere due figli. I bambini, femmina e maschio, oggi di 11 e 8 anni, sono nati da Francesca, benché entrambe avessero cercato di rimanere incinte con seme donato da un amico. Hanno avuto felicemente due mamme (e, con maggiore vaghezza, un papà, perché conoscevano anche il donatore) fino al 2003, quando Francesca si innamora di un’altra donna e la relazione finisce. Gli accordi tra le due mamme, che prevedevano per Maria la possibilità di vedere i bambini regolarmente e un contributo economico al loro mantenimento, funzionano per un po’. Poi Francesca, forte del suo diritto di madre biologica, dice basta, i figli sono miei. Il Tribunale dei minori di Milano, primo a esprimersi su un caso di separazione omogenitoriale, fa alcune scelte innovative: accetta il ricorso, anche se la figura del co-genitore giuridicamente non esiste. Incarica il Pubblico ministero di aprire un procedimento che verifica lo “schema tipicamente famigliare” della relazione tra Maria, Francesca e i bambini. Ordina perizie che certificano bambini ben cresciuti da due donne riconosciute come genitori, nonché la sofferenza causata dalla scomparsa di una di esse dal loro orizzonte affettivo. Poi, inevitabilmente, decide che Maria non ha diritto di vederli: il suo legame con loro non rientra nelle categorie previste dalla legge. Incontro Maria nello studio del suo avvocato: lui parla e lei ascolta silenziosa. Cerco di trasmetterle per via telepatica le domande borghesi che non avrò il coraggio di farle: credevate di essere in Svezia? Come avete potuto cacciare due bambini in un pasticcio simile? Infine Maria dice che non parlerà mai male di Francesca. Il problema è che non può certo rinunciare ai suoi figli. Aspetterà, se necessario, fino a quando saranno maggiorenni. Ha messo da parte disegni, fotografie e alcuni ricordi preziosi: la bambina che nasconde il giocattolo ricevuto da lei nel cassetto dei vestiti più amati, per non farselo portare via. La biciclettina nuova che ha lasciato davanti alla porta il giorno del compleanno del più piccolo, senza poter essere ringraziata. Il mio confuso sdegno si dissolve davanti a un do- PHOTOHUNTER.NET “The AACK PACK”: così la famiglia chiama se stessa, dalle iniziali dei nomi di madri e figli (Alissa, Andrew, Clare, Kirsten). IN CUCINA Clare con Alissa, che lavora all’università ed è la cuoca di casa. 66 | Gioia 2010 re la primogenita», racconta Maria Silvia, «ci dicevamo: se in Italia è troppo difficile ci trasferiamo in Olanda o a San Francisco. Però da genitori la vita sociale non è mai stata difficile, perché la presenza dei bambini riconduce tutto alla normalità. A scuola affrontiamo una certa curiosità, ma non diversamente dalle famiglie adottive. Nel quartiere stiamo bene, pur essendo molto riconoscibili. Il problema è quando entra in campo l’ideologia. Mi ricordo una panettiera che regalava sempre le focaccine ai miei bambini. Quando ci fu il Family Day, si sentì in dovere di esporre il simbolo sulla vetrina. L’ho sentito come un gesto contro di noi. Non siamo più entrati in quella panetteria». Giuseppina La Delfa, presidente dell’associazione Famiglie Arcobaleno, è mamma in una delle 12 famiglie omogenitoriali che vivono a sud di Roma. Abita in provincia di Avellino con la sua compagna La mappa dei diritti n IN Italia: le unioni tra persone dello stesso sesso non hanno nessun riconoscimento giuridico; le donne single non hanno accesso alla fecondazione assistita. Non esistono statistiche sulle famiglie gay e non si sa quanti bambini siano stati concepiti all’interno di queste famiglie; secondo le stime però circa 100mila minori hanno un genitore omosessuale (in gran parte si tratta di uomini o donne che vivono con una persona dello stesso sesso dopo avere avuto figli da un’unione etero precedente). L’Associazione Famiglie Arcobaleno (www. famigliearcobaleno.org) comprende 250 famiglie omogenitoriali, in gran parte femminili anche se quelle maschili sono in deciso aumento. n IN Europa: Belgio, Olanda, Norvegia, Spagna e Svezia consentono ai gay di sposarsi, avere figli e adottare. Quasi tutti gli altri Paesi dell’Europa occidentale (ma anche Slovenia e Ungheria) riconoscono le unioni civili omosessuali e, in alcuni casi, l’accesso alla fecondazione assistita e all’adozione. L’omofobia è alta in molti Paesi dell’est. n Nel mondo: Canada, Sudafrica e alcuni Stati Usa permettono il matrimonio tra gay; un’altra decina riconoscono le unioni gay ma non il matrimonio; altri li proibiscono espressamente entrambi. Diversi Stati americani, anche in regime di unione civile, consentono ai gay di adottare i figli minorenni del proprio partner. PHOTOHUNTER.NET lore così comprensibile. Il dolore di una brutta separazione, con la differenza che, se Maria fosse un uomo, il Tribunale avrebbe protetto il suo ruolo. Registro con leggera sorpresa di essere atterrata sul pianerottolo, dove non ha più molta importanza sapere a chi appartenga il seme o l’utero. Maria dice: «Ho raccontato la mia storia in un blog e un uomo mi ha risposto “Coraggio, è successo anche a me”. Era un separato, un papà». Entro in un’altra casa, quella grande e colorata di Maria Silvia, a farmi spiegare come funziona la famiglia di due donne gay che non temono quasi nulla: i bambini infatti sono quattro, due dei quali gemelli, tra gli otto anni e i nove mesi di età. I primi tre sono figli biologici di Maria Silvia, che li ha avuti con fecondazione eterologa effettuata in Olanda; l’ultima volta, finalmente, è rimasta incinta la sua compagna. Per tutelare i figli dai rischi peggiori (la separazione, la morte di una delle due), le due mamme hanno fatto un contratto privato simile a un contratto di matrimonio e lo hanno mostrato ai genitori di entrambe. Hanno comprato la casa metà per ciascuna e hanno fatto testamento l’una a favore dell’altra. Quando i figli saranno maggiorenni, spiega Maria Silvia, ciascuna di loro adotterà quelli nati dalla compagna e così almeno sarà «un rapporto genitoriale regolato dal punto di vista della successione». Nel frattempo, si lasciano “tracce giuridiche”: per esempio, si iscrivono i bambini a scuola con il doppio cognome, anche se all’anagrafe portano per legge solo quello della madre biologica. Si delega la comamma a firmare documenti ogni volta che è possibile. Si sopportano le ambiguità, per esempio il fatto che a scuola la co-mamma non può votare, mentre l’assicurazione medica privata la riconosce come “coniuge”. «Quando doveva nasce- e la loro bambina di quasi sette anni, «un posto che ci ha sempre accolto benissimo, ci stiamo come topi nel formaggio». Giuseppina e la sua compagna, essendo di nazionalità francese, hanno firmato i Pacs (i patti che regolano le unioni di fatto) al consolato: in pratica sono una famiglia appena varcano le Alpi ma da questo versante, per la legge, restano sempre e solo una madre single, sua figlia e un’amica indefinibile. I bambini concepiti nelle famiglie omosessuali in Italia, spiega Giuseppina, hanno al massimo 11 o 12 anni, nessuno ha ancora affrontato l’adolescenza. In Francia e negli Stati Uniti, però, molti sono già genitori a loro volta, esistono ricerche in grado di dimostrare che in una buona famiglia omogenitoriale si cresce esattamente come in una buona famiglia tradizionale. «Perché mai non dovrebbe essere così? I nostri sono bambini talmente amati, desiderati, voluti. Io dico che a volte crescono anche meglio degli altri, non perché noi siamo migliori, ma per le condizioni in cui ci troviamo. Li abbiamo fatti venire al mondo dopo anni di riflessione, dopo avere letto una montagna di libri, in circostanze di altissima prudenza e consapevolezza. Ci siamo preparati - talvolta fin troppo - mentre la maggior parte dei genitori non lo fa. Non lo scriva, che ci fanno a pezzi». Chiara Lalli, giovane docente di epistemologia delle Scienze umane all’università di Cassino, ha sondato i confini del pregiudizio in un libro uscito l’anno scorso (Buoni genitori, Il Saggiatore). Vi si raccontano storie di famiglie italiane con due mamme o con due papà e c’è perfino una famiglia con due mamme e due papà, più due gemelli di un anno e mezzo nati da una delle mamme (gay) con seme donato da uno dei padri (gay). Dice Chiara: «Maschile e femminile sono costruzioni culturali che cambiano. Queste famiglie affrontano una sfida: rimettere in discussione tutti i ruoli a seconda delle caratteristiche personali di ciascuno, che non sono necessariamente legate all’essere maschio o femmina. Ogni famiglia è famiglia a modo suo». Buoni genitori elenca le tre grandi paure evocate dalla genitorialità omosessuale: danni all’identità sessuale dei bambini; problemi caratteriali o fragilità psichica; senso di diversità e di isolamento sociale. I dati delle ricerche (puntigliosamente citate nel testo) le smentiscono tutte. In tipi di famiglie totalmente differenti, la percezione che i bambini hanno dei propri genitori risulta molto simile, con un leggero vantaggio delle co-mamme lesbiche rispetto ai padri 68 | Gioia 2010 eterosessuali (vengono percepite più vicine e più partecipi della vita domestica). «Trent’anni fa», osserva Chiara Lalli, «le stesse paure riguardavano i figli dei primi divorziati». Al tavolino di un bar, Beatrice parla con franchezza. Professionista milanese, 39 anni, si è innamorata di Luciana, maestra di sci, che l’ha seguita in città. Dopo qualche anno hanno pensato a un bambino. «Lei non desiderava una gravidanza, io moltissimo, così non è stato difficile decidere chi dovesse provare. Ho fatto la fecondazione a Bruxelles, è riuscita al secondo tentativo. È una cosa semplice, si fa il viaggio in giornata. Quando Marco è nato, tutti in ospedale sono stati gentili e discreti; Luciana è venuta in sala parto con me, spaventandosi molto. L’abbiamo battezzato, perché siamo credenti. Il sacerdote che avevo scelto sapeva tutta la storia, ma al momento buono ha mandato un diacono ignaro, che continuava a chiedere dov’era il papà. Alla fine un mio nipote ha detto “il papà lo faccio io”, e così abbiamo avuto il battesimo». Marco è fortunato: quattro nonni e la quasi totalità degli zii, superato lo shock, sono dalla sua parte. «Una sorella di Luciana non ci parla. Noi non ci mettiamo in mostra, ma viviamo senza nasconderci. Certo per lei è più difficile, anche se passa tanto tempo con il bambino; quando qualcuno le chiede se è lei la mamma risponde di sì, ma in fondo al cuore, mi ha detto, sente di non esserlo del tutto. Se avesse un pezzo di carta, una tutela giuridica, non penserebbe così. Da qualche mese intanto Marco ha cominciato l'asilo e noi abbiamo parlato con le maestre. Agli altri genitori ancora non l’abbiamo detto, verrà il momento. E adesso lo andiamo a prendere». La seguo all’asilo, dove Marco sfreccia fuori dalla classe. A pranzo c’erano gli odiosi piselli, comunica gravemente. Lui ne ha mangiati quattro. Due per mamma Bea, due per mamma Lu. n PHOTOHUNTER.NET MUSICA. In alto a sinistra, Andrew suona la tromba con Kirsten, che lavora come cartografa in un’azienda ed è maestra di yoga.