judo, mon amour! - Borgo

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judo, mon amour! - Borgo
judo, mon amour!
di Pio Gaddi, 8° Dan Judo, 5° Dan Karate
Il titolo, parafrasando quello del famoso film “Hiroshima mon amour”, vuole esprimere
l’immutata passione di chi ha passato ininterrottamente 60 anni sui tatami di Judo con lo stesso
entusiasmo del primo giorno, prima come atleta e poi come maestro e arbitro internazionale, e che,
di conseguenza, ha qualcosa da dire sul Judo e sulla sua evoluzione da ieri a oggi.
Ricordo ancora chiaramente quando nel 1950, a 21 anni, iniziai a fare Judo con il M.o Gallone,
un nome che probabilmente non dice niente ai giovani di oggi, e la passione che mi prese di
conoscere, imparare e progredire nelle tecniche di combattimento, al fine di migliorare il mio Judo.
Dopo sessanta anni di Judo, quando entro sul tatami e faccio il saluto, ancora oggi,
automaticamente la mia mente si concentra solo sul Judo, sulle sue tecniche e come applicarle nel
modo più efficace, anche se poi tutto il mio allenamento ormai si riduce a una ginnastica per
sciogliere le giunture, riscaldare la muscolatura in generale, e ripetere, una decina di volte a destra
e a sinistra, tre o quattro tecniche di proiezione.
Quando Uke (il mio partner) ripete lui le sue tecniche, in me riaffiora l’esperienza dell’ex atleta
e del maestro, e cerco di correggere la posizione di un suo braccio, di un piede o qualche altro
particolare per rendere più efficace il Judo praticato dal mio compagno d’allenamento, mentre
automaticamente faccio un confronto tra il judo del presente e quello del passato.
Consapevole di quanto il mondo sia cambiato da allora, mi domando cosa spinge oggi un
giovane ad entrare in una palestra di Judo, per iniziare la pratica di questa disciplina.
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Perché scegliere il Judo
Seoul 1988 – Arbitro alle Olimpiadi Senza dubbio la molla principale che spinge
verso la scelta di questa disciplina di combattimento,
è il desiderio ancestrale di potenza per superare un
proprio simile, sia sul piano del confronto fisico che
della propria personalità, finalità che poi
inconsciamente applicherà anche nella vita, ma
sempre nel rispetto delle regole di questa disciplina.
E’ ovvio che sono tutti obiettivi che si possono
raggiungere, o meglio cercare di raggiungere, solo
migliorando sé stessi nei vari campi, per superare
così i propri avversari.
Il Judo è di fatto un combattimento contro un
avversario senza alcun altro mezzo che la propria
maestria nella lotta e la propria intelligenza, per
trovare la migliore strategia per batterlo.
Ma è anche allo stesso tempo un esercizio che,
attraverso la ricerca di migliorare le proprie tecniche,
condiziona l’individuo nel migliorare sé stesso in
generale, un modus vivendi e filosofia inconscia di
vita, che si rifletterà poi positivamente anche come
1 modus operandi in ogni campo delle proprie attività.
Per questo il Judo, nell’idea fondamentale del suo fondatore Jigoro Kano, era ritenuto, prima
ancora che un’efficace modo di combattere basato sul “miglior uso dell’energia”, una disciplina
“educativa” e “formativa”, realizzata non attraverso l’insegnamento teorico, ma nel modo molto più
concreto basato sull’azione, con un’importante corollario sociale nella sua pratica, secondo il
principio dell’ “amicizia e mutua prosperità”.
Se si esamina il Judo sotto il profilo della scelta e della sua pratica rispetto ad altri sport,
possiamo dire che, a monte di tale scelta, da sempre ci sono serie motivazioni di diversa ragione,
che nell’ordine possiamo così riassumere:
E’ una disciplina che insegna a difendersi efficacemente nella vita;
E’ una disciplina che forma fisicamente, perché è anche un’ottima ginnastica generale e di
conseguenza mantiene in buona salute;
E’ una disciplina che insegna la consapevolezza e il rispetto della scala di valori reali
acquisiti da ciascun judoka con il suo impegno (con i vari gradi delle cinture), come pure il
rispetto reciproco, ad esempio facendo il saluto al compagno prima e dopo gli esercizi;
E infine, nell’indossare il kimono, anche per quell’emozione di “un certo non so che” dovuto
alle sue origini nell’Estremo Oriente e alle sue tecniche spettacolari usate dai leggendari
Samurai.
Una volta il judoka, attraverso la pratica e la ricerca del perfezionamento tecnico (sia pure per
vincere una gara), con il tempo prendeva coscienza di migliorare in generale anche sé stesso, e in
quel momento iniziava a praticare il vero Judo, maturando la consapevolezza dei propri mezzi e
possibilità, cioè che si può migliorare solo con l’impegno di un duro e serio lavoro, nel rispetto e
amicizia con gli altri judoka che ci aiutano a realizzare i nostri obiettivi.
Ma se invece il maestro di quel judoka insegna oggi all’allievo che la finalità più importante del
suo “fare Judo” è soltanto la vittoria nella competizione, mancheranno quelle finalità educative e
formative proprie del vero Judo, In pratica succederà conseguentemente che :
• i meno dotati atleticamente e tecnicamente presto lasceranno la pratica del Judo, perché
non ne traggono alcuna soddisfazione,
• i più dotati continueranno, solo finché durerà la loro capacità di poter gareggiare e ottenere
qualche risultato sportivo,
• solo una piccola percentuale di judoka che lo pratica con perseveranza, a prescindere se
agonisti o no, riuscirà a percepire con il tempo i grandi benefici fisici e mentali che
scaturiscono da questa disciplina, e proseguirà più a lungo nella pratica.
Questo spiega perché oggi sono tanti ad iscriversi nei dojo ad inizio anno sportivo, ma solo
una piccola percentuale di judoka
continua poi l’anno seguente.
Solo i maestri che hanno la capacità
di trasmettere i sani principi educativi e
formativi del Judo hanno la soddisfazione
di vedere i loro allievi in palestra per più
lungo tempo, e spesso vedono ritornare i
vecchi allievi con i loro figli, perché questi
ricevano dal loro maestro quella
educazione e formazione che è stata loro
tanto utile nella vita.
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☯
Marseille 1952 – Ippon con Tani Otoshi in gara a squadre 2 La sua evoluzione negli ultimi 50 anni
Per chi vive nel mondo del Judo, è di sicuro interesse una analisi della sua evoluzione dalle
origini ad oggi, soprattutto in riferimento all’aspetto “competizioni”.
Praticando il Judo dal 1950, ed essendo restato sul tatami fino ad oggi, credo di poter
affermare che in tutti questi anni, dal 1° Campionato continentale svoltosi in Europa nel 1951,
seguito da quello in America nel 1952, il Judo ha subito una evoluzione e una trasformazione
notevole, in quanto le Regole di Competizione non si sono evolute di pari passo per mantenere il
Judo nel suo spirito originario. E quindi quello di oggi è senz’altro un Judo molto diverso da quello
di ieri.
La sua diffusione in tutto il mondo, grazie sopratutto alle competizioni ufficiali, sta portando
questa disciplina poliedrica (combattimento senz’armi, difesa personale, attività fisica, filosofia di
vita, sport, ecc.) ad identificarsi in uno soltanto dei suoi aspetti, vale a dire in quello di una
moderna lotta sportiva, mentre ogni altro suo aspetto è circoscritto solo ad un esercizio formale.
Il modo di praticare il Judo oggi, si identifica più in una ricerca della “tecnica” (jitsu) di gara,
cioè come vincere un combattimento, che non nella ricerca della “via”(do) che porta al
miglioramento di sé stessi, attuando perciò una finalità diversa da quella originaria del suo creatore
Jigoro Kano.
Infatti il vasto bagaglio delle tecniche che lo componevano, studiate per affrontare un
eventuale avversario nella vita reale, oggi per gran parte non fanno più parte della formazione di
un insegnante, e quindi dei suoi allievi, per cui la conoscenza è limitata alle sole tecniche praticate
in combattimento sportivo.
Pertanto un fine prettamente utilitario per vincere le gare, dimenticando ogni altra finalità!
In competizione sono infatti escluse tutte le tecniche ritenute pericolose per i combattenti,
come ad esempio:
• tutte le proiezioni, nage waza, che comportino un qualche pericolo per l’avversario nel
combattimento sportivo (sono quindi proibite quelle come Kani basami e altre, o le proiezioni
miste ad azioni di leva al braccio, ecc.),
• tutte le leve alle giunture, kansetsu waza, che non siano al gomito (sono quindi proibite quelle
alle dita, mano, polso, spalla, vertebre, gambe, ginocchio o piede),
• tutte le tecniche di strangolamento, shime waza, che con siano effettuate al collo con gli
avambracci o il bavero (sono quindi
proibite quelle con l’aiuto delle gambe,
quelle effettuate direttamente con le
gambe, quelle al plesso, ecc.),
• e infine tutti i colpi diretti, atemi waza,
effettuati con lancio degli arti, creati a
suo tempo con lo scopo di per colpire i
punti vitali del corpo dell’avversario.
Oltre alla pratica e allo studio delle
tecniche permesse in competizione, si
studiano solo quelle tecniche necessarie
per eseguire i Kata (modello), la cui
finalità originaria era quella di tramandare i
principi delle tecniche immutati nel tempo,
ma la cui pratica è oggi solo una vuota
forma rispetto al loro significato originario.
La verità di queste asserzioni, si
riscontra nel fatto che oggi, un qualsiasi
Roma 1957 – Ippon di Fumi komi seoi in Campionato
insegnante di judo, al di fuori delle
3 tecniche eseguite nei Kata, necessari per i passaggio di grado (Dan), ignora completamente tutte
le altre tecniche, e per quelle eseguite nei Kata, la pratica si limita solo alla forma esteriore, non
certo alla ricerca della loro efficacia.
Questa divergenza dal Judo di oggi da quello originario, trova riscontro anche nell’attuazione
sul piano pratico.
Se esaminiamo ad esempio i primi tre gruppi di tecniche del Nage no kata ( le tecniche di
proiezione di braccia, anca e gamba), tecniche che nel Nage no kata sono eseguite in Tachi waza
(restando in piedi), scopriamo poi che le stesse tecniche non hanno più alcuna somiglianza o
riscontro nella realtà delle competizioni di oggi, in quanto esse sono eseguite per il 90°% in Sutemi
(andando a terra), con un’azione tipica della lotta libera.
E allora che significato ha oggi il Nage no kata, o qualsiasi altro Kata di cui la Federazione
Internazionale organizza oggi competizioni specifiche per tramandare inalterati i principi delle
tecniche del Judo, se non esiste più alcun riscontro, o legame, con la realtà delle competizioni, la
sua espressione più conosciuta da tutti?
La verità è che il Judo che si pratica oggi è un Judo essenziale, che ha per finalità la sola
vittoria nelle competizioni sportive, ma non ha certo come obiettivo principale intenzioni educative
e formative.
Ciò si può constatare in una qualsiasi gara dove si assiste, sia da parte dei maestri che degli
atleti loro allievi, a comportamenti diseducativi sottolineati dall’eccessiva esultanza quando si
vince o alla rabbia e stizza quando si perde, una palese negazione di una finalità formativa ed
educativa di chi lo pratica.
Un’altra considerazione, sull’evoluzione del Judo, va fatta anche sulla formazione
dell’insegnante, e del suo bagaglio tecnico.
Chi come me ha cominciato a praticare il Judo agli inizi degli anni ’50, ha sicuramente appreso
dai vecchi maestri molte altre tecniche, oggi non più praticate, come le “forbici” ,Kani basami, nelle
proiezioni, o nella lotta a terra quelle leve a tutte le giunture diverse dal gomito che sono proibite in
gara, tecniche queste che sono sconosciute alla quasi totalità degli insegnanti di questa disciplina.
Quando il Judo cominciò a concentrare la sua attenzione sulle competizioni sportive, si ebbe
inoltre, come conseguenza pratica, che i vecchi maestri abbandonarono anche lo studio delle
tecniche colpi diretti, gli Atemi, salvo quelle tecniche
che, in un secondo tempo il Kodokan di Tokyo inserì
nel Kata del Kodokan koshin jitsu.
Chi voleva apprendere e praticare efficacemente
le tecniche degli Atemi, non aveva quindi altra strada
che praticare anche il Karate do, che era la disciplina
da cui Jigoro Kano aveva tratto queste tecniche, allo
scopo di fare del Judo un sistema di combattimento
efficace e completo (in piedi a lunga e a breve
distanza, ed a terra). Karate che è poi tornato in auge
negli anni ’50, con vita autonoma, grazie al maestro
Funakoshi.
Volendo apprendere le tecniche di Karate (ossia
gli Atemi di Jigoro Kano), negli anni ’60, dopo circa
10 anni di competizioni di Judo con un 3° posto agli
Europei del 1952, per praticare efficacemente tutta la
varietà delle tecniche di questa particolare disciplina,
fui obbligato a ripartire da zero. Con il tempo, i
risultati tecnici che ottenni, furono di portare la
squadra del mio Club a vincere due volte il titolo di
Milano 1956 – Hane goshi Campione d’Italia a Squadre (1969 e 1970), e di
arbitrare 4 Campionati d’Europa, permettendomi
4 così di completare lo studio del metodo di Jigoro Kano.
Non so quanto e quale desiderio di conoscenza e di miglioramento di sé stessi anima oggi i
Maestri di Judo, ma è certo che, da ciò che si vede nelle competizioni ad alto livello, viene
praticato un Judo diverso, teso fino allo spasimo soltanto alla ricerca del risultato, non importa
come, privo dello spirito di una volta quando l’Ippon era il fine primario per vincere.
Ciò non vuol dire che non esista ancora oggi del buon Judo, solo che è diventato molto raro
ed è più l’eccezione che non la regola.
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L’evoluzione nelle tecniche del Judo sport
Come già accennato, anche le tecniche praticate nelle competizioni sportive hanno subìto una
notevole evoluzione, sia nella lotta in piedi che in quella a terra, ma con il pesante
condizionamento di dover conquistare la vittoria nel combattimento con un qualsiasi risultato.
Mentre una volta la finalità in un gara era la realizzazione dell’Ippon per vincere prima del
limite di tempo per il combattimento, vale a dire combattere cercando di applicare una tecnica
vincente, oggi è importante soltanto vincere, anche con un piccolo vantaggio, ad esempio
impedendo un qualsiasi attacco dell’avversario mediante varie tattiche, piuttosto che costruire, con
pazienza e fatica, tecniche individuali efficaci per fare Ippon.
Naturalmente parliamo di orientamento generale, per cui se una volta si aveva un 80% di bel
Judo, in cui l’atleta cercava soprattutto l’Ippon per vincere l’incontro, e un 20% di brutto Judo, oggi
queste proporzioni sono sicuramente invertite.
Ne consegue che oggi è molto frequente vedere un judoka:
combattere lungo il bordo dell’area di combattimento, in posizione difensiva o scomposta,
perdere tempo con le prese per bloccare quelle
dell’avversario,
eseguire gli attacchi di proiezione sul bordo per
poi uscire dall’area al fine di ottenere
l’interruzione del combattimento,
attaccare quasi sempre gettandosi a terra
senza nessuna preparazione o squilibrio, allo
scopo sia di evitare un contrattacco
dell’avversario, sia di impedire a lui di poter
attaccare, e farlo quindi sanzionare con uno
Shido,
e tante altre azioni e trucchi utili per vincere un
combattimento, che per il pubblico diventa
noioso e brutto a vedersi, molto più simile a una
lotta col kimono che non certo al Judo che si
vedeva 50 anni fa.
Si potrebbe obbiettare che gli atleti combattono
secondo le regole vigenti, e perciò è legittimo usare
in gara simili tattiche. Ma allora perché la
Federazione Internazionale Judo non modifica le
regole per riportare il Judo sul giusto binario e
rendere le gare interessanti, piacevoli a vedersi e
Milano 1956 ‐ Tomoe nage
comprensibili al pubblico che non conosce il Judo?
5 Ciò rimetterebbe in risalto nelle competizioni anche le finalità formative ed educative proprie di
questa disciplina, compresi i comportamenti di atleti e allenatori.
I recenti cambiamenti delle regole della I.J.F sono purtroppo ben poca cosa rispetto ad una
soluzione globale di tutte queste problematiche..
Ma a questo punto merita una breve cenno, anche un’analisi sull’efficacia delle tecniche di
Judo applicate in competizione.
Le proiezioni, Nage waza
Vedere nelle competizioni una tecnica di proiezione che dovrebbe essere eseguita in Tachi
waza, con l’attaccante che resta in piedi, anche questo è oggi una vera rarità.
Queste tecniche di tachi waza, originariamente avevano anche un fine pratico nella vita, in
caso di aggressione, in quanto permettevano di potersi difendere rapidamente da più avversari,
cosa ben diversa se per proiettare l’avversario ci si doveva gettare a terra in una posizione
vulnerabile.
Salvo pochi casi come O uchi gari, dove l’equilibrio precario dell’attaccante può giustificare la
continuazione in Sutemi (gettandosi a terra) per ottenere I’Ippon, oggi in quasi tutte le altre
tecniche di Tachi waza l’attaccante va in Sutemi per i motivi già accennati: rompere il ritmo degli
attacchi dell’avversario, evitare un contrattacco, ecc.
Quindi, attaccare in questo modo, è ormai divenuta una chiara tattica di combattimento, e la
ricerca di realizzare Ippon è divenuta un optional molto raro.
Inoltre l’attacco in Sutemi è quasi sempre eseguito senza alcuna preparazione di squilibrio,
Kuzushi, mettendo il proprio corpo nella posizione di attacco (es. Seoi nage) per poi gettarsi a terra
direttamente o avvitandosi.
La mancanza di un qualsiasi squilibrio iniziale, con l’azione basata esclusivamente sulla
velocità per entrare in contatto con l’avversario per poi trascinare con il proprio corpo quello
dell’avversario, identifica queste azioni più in una classica azione di lancio della Lotta che non in
una proiezione del Judo.
Le tecniche di proiezione del Judo, secondo i vecchi insegnamenti, dovrebbero essere
eseguite:
• con l’attaccare l’avversario quando ha la migliore posizione dei piedi per l’esecuzione del
nostro “speciale”, o preparare il nostro attacco costringendolo a fare il passo che vogliamo con
azioni di tai sabaki (rotazioni del nostro corpo), curando che i nostri piedi siano nella posizione
più efficace per eseguire l’attacco;
• con l’effettuare quindi una
rotazione del proprio corpo (tai
sabaki) ascendente, partendo
dalla rotazione prima del/i piede/i,
poi del baricentro (bacino), e
infine delle spalle, con le braccia
che restano solidali con le spalle
nella posizione più appropriata
per l’attacco. Si genera così una
notevole forza ascendente che,
attraverso le braccia, applica
linee di trazione più potenti alla
parte
alta
del
corpo
dell’avversario squilibrandolo;
• con il continuare infine il
movimento, nella fase finale della
Milano 1956 – Ude hishigi ashi gatame
tecnica,
nella
direzione
e
posizione più idonea secondo la
6 specifica proiezione, tenendo presente che il fulcro di rotazione (piede, gamba, anca, ecc.) ha
un’azione dinamica, e non statica,
• con l’evitare l’errore più frequente che è di tirare con le braccia subito e sempre direttamente
verso terra vicino ai nostri piedi.
Secondo questa sequenza le braccia non agiscono con la loro sola forza, ma agendo un tutt’uno
con il corpo aumentano enormemente la potenza della loro azione, secondo la formula M(assa) x
V(elocità) = P(otenza).
Per fare un esempio nella tecnica del Seoi nage, gli errori più frequenti sono :
- di arrivare alla posizione finale prima di proiettare, senza aver squilibrato l’avversario, per
esempio andando verso di lui e non tirando lui verso il nostro corpo; in questo caso l’avversario
ha un buon equilibrio e può preparare un contrattacco,
- in quella posizione, con il/le braccio/ia di tirare direttamente verso il basso e non
orizzontalmente in avanti, azione quest’ultima di massimo squilibrio possibile quando
l’avversario ha davanti a sé un grosso ostacolo come la nostra schiena,
- nella fase finale, di sollevare l’avversario con le gambe, anziché portare la spalla che
attacca verso terra, mentre si spinge e si solleva il bacino verso l’indietro, ecc.
Le ripetizioni di una tecnica praticate oggi con forza e velocità, ma senza sollevare l’avversario
almeno un po’ in ogni ripetizione (per cui egli rimane perfettamente stabile), è un’azione tutt’altro
che costruttiva nel potenziamento della tecnica di Seoi nage, e la conclusione poi effettuata
gettandosi in terra, identifica questa azione con il classico “braccio in spalla” della Lotta.
A questo si aggiunga che spesso le ripetizioni dell’attacco non sono effettuate controllando
che i piedi dell’avversario siano nella posizione migliore per quell’attacco, né ci si cura di
esercitarsi nel costringere l’avversario a effettuare il passo più opportuno per effettuare la nostra
tecnica, né di creare una sua reazione, ad una nostra azione, che faciliti il nostro attacco.
Naturalmente ogni tecnica di Tachi waza ha un suo squilibrio, direzione di lancio ed
esecuzione specifica, ma il principio da applicare, più o meno complesso, resta sempre lo stesso:
squilibrio, preparazione e fase finale di lancio.
Assistendo oggi alle competizioni internazionali ad alto livello, come Olimpiadi e Campionati
Mondiali, viene da chiedersi : perché oggi non si vedono più atleti eseguire in gara ripetutamente la
loro tecnica “speciale”, tecnica che permettevano di vincere per Ippon, come una volta facevano
Pariset o Fuji con il loro Seoi nage, Natsui o Sasahara con il loro Uchi mata, Minatoia o Ruska con
il loro O soto otoshi, e tanti altri campioni del passato che incantavano il pubblico con i loro Ippon
“speciali” dalla potenza esplosiva?
Ricordo di aver letto su “Judo Kodokan“ che negli ultimi tre mesi che precedevano i campionati
del Giappone negli anni ‘50, chi
aveva come speciale ad esempio
Uchi mata, si allenava in una
palestra sotto il Monte Fuji, facendo
di corsa 4 Km. in salita e 4 Km. in
discesa per rinforzare le gambe, e
poi in palestra, tra le altre tecniche,
fino a 500 ripetizioni di Uchi mata a
destra e altrettanti a sinistra, per
ogni giorno di allenamento standard!
Quanti atleti fanno oggi lo
stesso con il loro “speciale”? E’
facile intuire che per gli atleti di una
volta non esistevano problemi di
acido lattico dovuto alla fatica, per
Milano 1956 – Waki Gatame
cui il loro Uchi mata restava
“terribile”
dal
primo
all’ultimo
7 combattimento.
Ben diverso è l’allenamento dei judoka di oggi, basato su : preparazione fisica con i pesi per
potenziare braccia, gambe, ecc., poche ripetizioni in velocità e potenza, ma incomplete nella loro
esecuzione, e poi tanti combattimenti e tatticismi di gara, come la lotta per le prese, i bloccaggi,
ecc., con la conseguenza che:
• la velocità di esecuzione di una tecnica, intatta ai primi combattimenti, diminuisce
drasticamente in quelli successivi,
• la mancanza dello squilibrio nella preparazione delle tecniche, spinge l’atleta verso la facile
difesa dal contrattacco, effettuando la tecnica gettandosi a terra,
• la ripetuta esecuzione del proprio speciale, dopo le prime volte, perde di efficacia in maniera
consistente, ed occorre quindi applicare altre tecniche per sorprendere l’avversario,
• gli attacchi, mancando di un costruttivo allenamento nell’Uchi komi (N° di ripetizioni delle
tecniche ed in maniera adeguata) e di conseguenza nel potenziamento del movimento
specifico, falliscono sul nascere senza nemmeno completare “l’entrata”,
• molto spesso chi vince un campionato oggi, usa tecniche sempre diverse, e per lo più con
vittorie di misura, come quelle per Decisione Arbitrale o per penalità data all’avversario.
Da tutto ciò risulta chiaro che c’è stato un cambiamento sostanziale della mentalità dei
combattenti e del modo di condurre la gara, in cui si vede e si attua un Judo ben diverso da quello
di ieri.
Le Immobilizzazioni , Katame waza
Anche nelle tecniche di lotta a terra, Ne waza, si può notare l’evoluzione che si è verificata
attraverso il tempo.
Dopo i tempi eroici dei primordi del Judo, quando c’erano scuole specializzate in queste
tecniche di combattimento, il Kodokan di Tokyo, per dare più equilibrio tra il combattimento in piedi
e quello a terra, introdusse nel regolamento per le competizioni sportive norme precise che
stabilivano i casi in cui si poteva passare dalla lotta in piedi a quella a terra.
Un buon combattente non dovrebbe mai dimenticare che conoscere bene la lotta in piedi e
molto poco la lotta terra, dimezza in effetti le opportunità per vincere.
Come pure che nella lotta in piedi lo specializzarsi solo in attacchi sulla destra dell’avversario,
dimezza le occasioni favorevoli per le occasioni che si presentano per un attacco a sinistra e non
utilizzate.
Nella finale di poule alle Olimpiadi
di Montreal nel 1976, l’italiano Felice
Mariani, oggi Direttore Tecnico della
Federazione, perse contro un Coreano
perché quest’ultimo, acquisiti due
vantaggi in piedi, difese fino al termine
del
combattimento
questo
suo
vantaggio con tattiche varie.
Infatti il Coreano, dopo pochi passi,
effettuava
ripetuti
forti
attacchi
gettandosi a terra e chiudendosi poi in
difesa. Mariani, allora poco esperto in
lotta a terra, non riuscì a entrare nella
difesa del Coreano, per cui il tempo
passò fino al termine del tempo, senza
che egli riuscisse ad attaccare né in
piedi né a terra, e perse così il suo
Roma 1965 – Yoko geri
combattimento per decisione arbitrale.
8 Per la cronaca vinse poi il Bronzo, prima medaglia italiana del Judo in una Olimpiade.
Questo per rendere più evidente che oggi la tattica di chiusura in difesa a terra dopo un attacco,
molto spesso viene usata nella lotta a terra allo scopo di guadagnare tempo quando si è in
vantaggio. La scarsa specializzazione degli atleti in queste tecniche di Katame waza
(Immobilizzazioni, Leve e Strangolamenti), rendono la lotta a terra una parte del combattimento
tutt’altro che piacevole a vedersi, poiché viene seguito il principio che è molto più facile difendersi
anziché attaccare efficacemente, in quanto attaccare comporta un lungo e impegnativo
allenamento.
Quello che oggi risulta molto carente nella lotta a terra, è inoltre il lavoro basilare di ricerca per
squilibrare nel modo più idoneo il baricentro dell’avversario per liberarsi da una immobilizzazione.
Come pure, quando un combattente immobilizza l’avversario, il mantenere l’immobilizzazione
veramente su 3 o 4 punti d’appoggio, irrigidendo il proprio corpo in un sol blocco e restando nella
posizione più efficace rispetto all’avversario, tutte cose che rendono difficile e improbabile una
liberazione da qualsiasi Osaekomi.
Pertanto, anche questa fase del combattimento di Judo ha avuto un’evoluzione tutt’altro che
positiva, ma tesa solo al fine utilitaristico di un qualsiasi risultato, anche se ciò comporta di vedere
un brutto Judo in competizione, anche per i tanti conseguenti Matte (dividetevi) in una lotta a terra
inefficace e inconcludente.
I Colpi Diretti, Atemi waza
Per la conoscenza degli Atemi il discorso è prettamente teorico, perché sono praticati solo da
pochissimi maestri che, per apprendere queste tecniche, hanno dovuto studiare il Karate Do.
Affinché le tecniche degli Atemi, basate essenzialmente sul lancio degli arti per colpire i punti
vitali del corpo dell’avversario siano realmente efficaci, non basta un semplice allenamento
ripetitivo delle singole tecniche, ma bisogna entrare nello spirito più profondo di quest’arte.
Il maestro Nishizuka, che molto tempo fa insegnò Aikido nel mio dojo, mi spiegò con un
esempio di cos’era la forza mentale che dovevamo liberare “volontariamente” quando queste
tecniche di Atemi dovevano essere eseguite.
Secondo il maestro la forza mentale è quella energia che rende potentissimo e ripetitivo un
attacco di Atemi senza danni ai nostri arti. La forza mentale è quella che ognuno di noi possiede,
ma che nessuno di noi è più capace di esprimere normalmente dopo molti secoli di civiltà.
Per avere un’idea della forza mentale, questa è la stessa forza che si libera inconsciamente
nel pazzo furioso che 5 uomini non riescono a trattenere. E’ la stessa forza che si libera in
condizioni di estremo pericolo o
disperazione, come quando una
mamma casalinga, durante un incendio,
per salvare la propria vita e quella di
due figli, li prende in braccio e percorre
di corsa qualche centinaio di metri,
cosa impossibile e impensabile in una
situazione normale.
Questo accade perché la loro
mente ha liberato, a livello inconscio,
questa particolare forza che esiste
dentro ciascuno di noi.
Il maestro Nishizuka ci fece un
esempio banale ma significativo:
pensate ai tubi di tela usati dai
pompieri per spegnere gli incendi
Roma 1965 – Yoko geri ripieni d’acqua, tubi che chiunque può
Roma 1965 – Mawashi geri piegare ad angolo retto senza fatica; e
9 pensate a quegli stessi tubi percorsi dall’acqua, ma con una pressione di 10 atmosfere che
nemmeno due uomini robusti riuscirebbero mai a piegare. Eppure sono gli stessi tubi, ripieni della
stessa acqua, ma i secondi percorsi da un’energia potentissima.
Anche l’uomo può produrre un energia potentissima che possiamo chiamare energia mentale,
tale da consentire di portare colpi di atemi micidiali, senza che le nostre mani o piedi ne subiscano
alcun danno.
Ma per arrivare a ciò, occorre che ogni volta che si effettua una parata o un attacco, la nostra
mente e tutte le nostre energie devono concentrarsi come se queste tecniche siano eseguite per
difenderci da un grave pericolo reale. Solo con un studio lungo e impegnativo di queste tecniche, si
riuscirà con il tempo a liberare questa forza interiore volontariamente, oltretutto applicando il
principio degli Atemi di concentrare tutta la nostra energia nel minimo di superficie dell’arto che
attacca (per il pugno le due nocche dell’indice e medio, il taglio della mano, ecc.), per rendere
l’attacco molto più potente e più efficace.
Praticare queste tecniche soltanto nei Kata le rende semplicemente ridicole, poiché anche uno
solo di questi attacchi, se portato in una situazione di pericolo reale, porterebbe quasi sicuramente
a un risultato deludente e a qualche brutto infortunio all’arto che viene usato.
In queste tecniche, la distanza tra i veri Atemi e quei pochi Atemi praticati oggi nei Kata,
diventa addirittura siderale, per cui quest’ultimi sono solo una forma apparente, vuota e senza
alcuna efficacia.
☯
Mi rendo conto che pensare di tornare indietro al Judo come lo intendeva Jigoro Kano, è oggi
molto difficile.
Ma ciò non vuol dire che non si possa tentare il possibile per correggere il cammino di questa
disciplina per farla tornare sulla via del “Do”, e questo proprio attraverso delle buone regole per le
competizioni e una migliore formazione degli insegnanti.
La Federazione Internazionale Judo ha i mezzi idonei, attraverso la modifica delle regole di
gara, sia nella lotta in piedi che a terra, per costringere gli atleti a combattere secondo i principi del
vecchio Judo, sopratutto premiando i combattenti che cercano di fare Ippon.
Nel merito, durante i mondiali del Cairo nel 2005, presentai agli Organi Tecnici dell’I.J.F una
soluzione globale del problema, con una serie motivata di proposte dirette a: impedire il tatticismo
in gara, premiare chi si impegna di ottenere risultati tecnici come l’Ippon, rendere più dinamico il
combattimento, più comprensibili le decisioni arbitrali al pubblico digiuno di Judo per ottenere un
attenzione e una partecipazione
maggiore del pubblico presente
alle gare.
Le modifiche deliberate dalla
I.J.F.
alle
Regole
per
le
Competizioni di Judo in vigore dal
1° gennaio 2009, che contengono
una sola delle mie proposte
presentate nel 2005, quella di
sanzionare
i
Sutemi
“senza
risultato”, con l’abolizione del Koka
ed il Golden score di 3’, sembrano
aver complicato più che risolvere un
giudizio equilibrato in caso di parità.
Infatti da un lato i vecchi
Vaticano 1985 – Difesa Personale alla Guardia risultati di Koka per proiezione sono
Svizzera 10 diventati Yuko (?) mentre il vecchio Koka in Osaekomi (10-14”) è diventato niente, per cui chi
immobilizza per ben 14” non avrà alcun risultato, ma se lo fa per 20” avrà un Waza-ari ! Per cui si
avrà che se un combattente farà cadere sui glutei un avversario avrà Yuko ma se lo immobilizza
per 14” niente!, anche se in realtà lo ha immobilizzato per più di metà tempo dell’Ippon (14” su
25”). Non mi sembra che ne scaturisca un giudizio sul combattimento molto equilibrato, ma
piuttosto discutibile.
Cercare di risolvere in maniera globale i tanti problemi presenti nel regolamento delle
competizioni di Judo in modo efficace ed equilibrato, è non solo necessario, ma anche urgente.
Se ciò fosse attuato, la conseguenza di tale politica sportiva sarebbe, anche per gli insegnanti,
di dover preparare i combattenti in modo diverso, incentivando soprattutto lo studio e l’allenamento
per rendere più efficaci le tecniche di combattimento, cosa che li spingerebbe a fare più Ippon e
quindi più Judo formativo ed educativo. Per esempio, sulla rivista ATHLON del 10/2008, Quattro
esperti hanno scritto un articolo di 4 pagine circa il tempo passato per la prima presa nei
combattimenti durante gli ultimi Campionati del Mondo, ma nemmeno una parola su come
migliorare una tecnica di Judo per fare Ippon !
Ovviamente quando si perde la giusta via, per tornare sulla strada che si dovrebbe percorrere,
il cammino è più lungo e difficoltoso, ma la consapevolezza di aver errato e il tentativo di tornare
sulla giusta via sarebbero già un progresso e una conquista non indifferenti.
Da questa analisi e considerazioni sull’evoluzione del Judo, oggi, per chi ha la responsabilità
di guidare il Judo Mondiale, è forse giunto il momento di effettuare una scelta precisa, coraggiosa
e globale su quale futuro dare a questa disciplina, e di conseguenza impegnarsi a cosa fare
perché il Judo non diventi sempre più, e soltanto, una lotta con il Kimono.
Marzo 2009 Chi desidera copia delle Proposte di cambiamento delle Regole per le competizioni presentate alla IJF al Cairo nel 2005 scrivere a: Pio Gaddi Via Aurelia 444 00165 Roma ‐ Italia Inviata copia tradotta in INGLESE a: Presidente e Vice Presidenti I.J.F. Membri della Commissione Tecnica I.J.F. Membri della Commissione d’Arbitraggio I.J.F. Segreteria Generale I.J.F. Vari Presidenti Federazioni Nazionali (Giappone , ecc.) Loro Sedi Vaticano 1985 – Difesa da attacco di 11 pugnale dal’alto 12