Poggio Bracciolini La riscoperta dei classici

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Poggio Bracciolini La riscoperta dei classici
Lezione profilo 3 • Il rapporto con i classici
Epistola a Guarino da Verona, La riscoperta dei classici
VOLUME 1
L’Umanesimo e il Rinascimento
Poggio Bracciolini
La riscoperta dei classici
Opera: Epistola a Guarino da Verona
Punti chiave:
La passione per i classici
La funzione educativa della letteratura
La gioia di una scoperta inattesa
Quintiliano, che per tutto il Medioevo e fino ad allora era stata conosciuta e disponibile solo parzialmente. Grazie a questo manoscritto – afferma Poggio – è possibile riportare alla luce la voce del suo
autore e, con essa, la voce di un mondo. L’opera di
Quintiliano diventa perciò, nella lettera, quasi la tessera di un mosaico: scopo di Poggio, come di tanti
umanisti, è infatti ricostruire la cultura classica
nella sua totalità, quale esempio di valori civili perennemente attuali. La lettera, scritta a Costanza,
porta la data del 15 dicembre 1416.
coprire un manoscritto antico, per gli umanisti,
significa accedere alla testimonianza di un mondo di invidiabile perfezione: significa leggere opere
universali, tenere tra le mani cimeli di una civiltà che
essi intendono imitare, facendo rivivere nel loro originario splendore i testi e i valori della classicità. La
lettera a Guarino Veronese (1374-1460), di seguito antologizzata, ruota proprio intorno a questa emozione: Poggio racconta a Guarino di aver rinvenuto nel monastero di San Gallo in Svizzera un
manoscritto contenente l’Institutio oratoria di
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Poggio fiorentino segretario apostolico
saluta il suo Guarino veronese.
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So che nonostante le tue molte occupazioni quotidiane, per la tua gentilezza e benevolenza verso tutti, ricevi sempre con piacere le mie lettere; e tuttavia ti prego nel modo più vivo di prestare a questa una particolare attenzione, non perché la mia persona possa destar
l’interesse anche di chi ha molto tempo da perdere, ma per l’importanza di quanto sto per
scriverti. So infatti con assoluta certezza che tu, colto come sei, e gli altri uomini di studio,
avrete una grandissima gioia. Infatti, o Dio immortale, che cosa può esservi di più piacevole, caro, gradito a te e agli altri uomini dotti che la conoscenza di quelle cose per la cui
familiarità diventiamo più colti e, ciò che più conta, più raffinati? La natura, madre di tutte le cose, ha dato al genere umano intelletto e ragione, quali ottime guide a vivere bene
e felicemente, e tali che nulla possa pensarsi di più egregio. Ma non so se non siano veramente eccellentissimi, fra tutti i beni che a noi ha concesso, la capacità e l’ordine del dire1 senza cui la ragione stessa e l’intelletto nulla potrebbero valere. Infatti è solo il discorso quello per cui perveniamo ad esprimere la virtù dell’animo, distinguendoci dagli altri
animali. Bisogna quindi essere sommamente grati sia agli inventori delle altre arti liberali, sia soprattutto a coloro che, con le loro ricerche e con la loro cura, ci tramandarono i precetti del dire e una norma per esprimerci con perfezione. Fecero infatti in modo che, proprio in ciò in cui gli uomini sovrastano specialmente gli altri esseri animati, noi fossimo
capaci di oltrepassare gli stessi limiti umani. E, molti essendo stati gli autori latini, come
sai, egregi nell’arte di perfezionare e adornare il discorso, fra tutti illustre ed eccellente fu
M. Fabio Quintiliano, il quale così chiaramente e compiutamente, con diligenza somma,
espone le doti necessarie a formare un oratore perfetto, che non mi sembra gli manchi cosa alcuna, a mio giudizio, per raggiungere una somma dottrina o una singolare eloquen-
1. la capacità e l’ordine del dire: la retorica.
G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta
letteratura it Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
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Lezione profilo 3 • Il rapporto con i classici
Epistola a Guarino da Verona, La riscoperta dei classici
VOLUME 1
L’Umanesimo e il Rinascimento
L’AUTORE
Poggio Bracciolini (1380-1459) fu cancelliere di Firenze (come già Coluccio Salutati e Leonardo Bruni) e, soprattutto, uno
dei padri dell’Umanesimo italiano. Allievo di Salutati, nel
1403 si recò a Roma dove divenne segretario apostolico: e
proprio grazie a tale incarico ebbe la possibilità di visitare numerose città europee. In occasione del concilio di Costanza,
al seguito del pontefice, esplorò alcune importanti biblioteche monastiche, dove tra il 1415 e il 1418 riscoprì manoscrit-
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ti dei maggiori autori della letteratura classica, tra cui Cicerone, Quintiliano, Lucrezio, Stazio, Silio Italico. Scrisse dialoghi
in latino, come il De avaritia, il De infelicitate principum, il De
nobilitate, il De varietate fortunae, sui temi fondamentali della riflessione morale antica. Tradusse dal greco in latino opere di Senofonte, Diodoro Siculo e Luciano. Nel suo vastissimo
epistolario si riflettono le ricche e variegate esperienze di una
vita intensa e affascinante.
za. Se egli solo rimanesse, anche se mancasse il padre dell’eloquenza Cicerone, raggiungeremmo una scienza perfetta nell’arte del dire. Ma egli presso di noi italiani era così lacerato, così mutilato, per colpa, io credo, dei tempi, che in lui non si riconosceva più aspetto alcuno, abito alcuno d’uomo. Finora avevamo dinanzi un uomo «con la bocca
crudelmente dilacerata, il volto e le mani devastati, le orecchie strappate, le nari sfregiate
da orrende ferite2».
Era penoso, e a mala pena sopportabile, che noi avessimo, nella mutilazione di un uomo
sì grande3, tanta rovina dell’arte oratoria; ma quanto più grave era il dolore e la pena di saperlo mutilato, tanto più grande è ora la gioia, poiché la nostra diligenza gli ha restituito
l’antico abito e l’antica dignità, l’antica bellezza e la perfetta salute. Ché se Marco Tullio si
rallegrava tanto per il ritorno di Marcello dall’esilio4, e in un tempo in cui a Roma di Marcelli ce n’erano tanti, ugualmente egregi ed eccellenti in pace e in guerra, che devono fare
i dotti, e soprattutto gli studiosi di eloquenza, ora che noi abbiamo richiamato, non dall’esilio, ma quasi dalla morte stessa, tanto era lacero e irriconoscibile, questo singolare ed
unico splendore del nome romano, estinto il quale restava solo Cicerone? E infatti, per Ercole, se non gli avessi recato aiuto, era ormai necessariamente vicino al giorno della morte. Poiché non c’è dubbio che quell’uomo splendido, accurato, elegante, pieno di qualità,
pieno di arguzia, non avrebbe più potuto sopportare quel turpe carcere, lo squallore del
luogo, la crudeltà dei custodi. Era infatti triste e sordido come solevano essere i condannati a morte, con la barba squallida e i capelli pieni di polvere5, sicché con l’aspetto medesimo e con l’abito mostrava di essere destinato a un’ingiusta condanna. Sembrava tendere le mani, implorare la fede dei Quiriti6 che lo proteggessero da un ingiusto giudizio;
e indegnamente colui che una volta col suo soccorso, con la sua eloquenza, aveva salvato
tanti, soffriva ora, senza trovare neppur un difensore che avesse pietà della sua sventura,
che si adoperasse per la sua salvezza, che gli impedisse di venire trascinato a un ingiusto
supplizio. Ma, come dice il nostro Terenzio, quanto inopinatamente avvengono spesso le
cose che non oseresti sperare7!
Un caso fortunato per lui, e soprattutto per noi, volle che, mentre ero ozioso a Costanza,
mi venisse il desiderio di andar a visitare il luogo dove egli era tenuto recluso. V’è infatti,
vicino a quella città, il monastero di S. Gallo, a circa venti miglia. Perciò mi recai là per distrarmi, ed insieme per vedere i libri di cui si diceva vi fosse un gran numero. Ivi, in mezzo a una gran massa di codici che sarebbe lungo enumerare, ho trovato Quintiliano ancor
salvo ed incolume, ancorché tutto pieno di muffa e di polvere. Quei libri infatti non sta-
2. con la bocca crudelmente... da orrende ferite: sono versi di Virgilio tratti dal VI
libro dell’Eneide (VI, vv. 496-498).
3. nella mutilazione di un uomo sì grande: a causa della impossibilità di conoscere con esattezza e completezza il pensiero e l’opera di Quintiliano.
4. Ché se Marco… esilio: nel 46 a.C. Cice-
rone tenne un discorso davanti al Senato
romano per ringraziare Cesare di avere
concesso a Marco Claudio Marcello, esponente di spicco della nobiltà, la grazia di ritornare a Roma dall’esilio di Mitilene.
5. con la barba... pieni di polvere: si tratta di una citazione tratta dall’Eneide di
Virgilio (II, v. 277), in cui appare a Enea il
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fantasma di Ettore, che porta ancora su di
sé i segni della battaglia.
6. la fede dei Quiriti: la fiducia dei cittadini di Roma.
7. Ma, come dice… sperare!: si tratta di
una citazione dalla prima scena del V atto della commedia di Terenzio che si intitola Phormio.
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vano nella biblioteca, come richiedeva la loro dignità, ma quasi in un tristissimo ed
oscuro carcere, nel fondo di una torre, in cui non si caccerebbero neppure dei condannati a morte. Ed io son certo che chi per amore dei padri andasse esplorando con cura gli ergastoli8 in cui questi grandi son chiusi, troverebbe che una sorte uguale è capitata a molti dei quali ormai si dispera.
Trovai inoltre i tre primi libri e metà del quarto delle Argonautiche di Caio Valerio Flacco,
ed i commenti a otto orazioni di Cicerone, di Quinto Asconio Pediano, uomo eloquentissimo, opera ricordata dallo stesso Quintiliano. Questi libri ho copiato io stesso, ed anche
in fretta, per mandarli a Leonardo Bruni e a Niccolò Niccoli9, che avendo saputo da me la
scoperta di questo tesoro, insistentemente mi sollecitarono per lettera a mandar loro al più
presto Quintiliano. Accogli, dolcissimo Guarino, ciò che può darti un uomo a te tanto devoto. Vorrei poterti mandare anche il libro, ma dovevo contentare il nostro Leonardo. Comunque sai dov’è, e se desideri averlo, e credo che lo vorrai molto presto, facilmente potrai ottenerlo. Addio e voglimi bene, ché l’affetto è ricambiato. Costanza, 15 dicembre 1416.
Prosatori latini del Quattrocento, a cura di E. Garin, Ricciardi, Milano-Napoli 1952.
8. gli ergastoli: nell’antica Roma, con
questo termine si designavano le abitazio-
ni degli schiavi e di quanti avevano subito
una condanna.
IN PRIMO PIANO
I temi e la visione del mondo
ANALISI DEL TESTO
quenza”. Per questo Poggio esulta all’indomani della sua
scoperta nella biblioteca di San Gallo, che gli ha permesso di riportare alla luce l’opera di Quintiliano nella sua interezza.
La sostanza concettuale della lettera Due sono i nuclei tematici fondamentali nella lettera:
1. l’importanza dell’arte della retorica (è solo il discorso
quello... distinguendoci dagli altri animali, rr. 13-15);
2. il valore morale, non solo letterario, della riscoperta dei
testi della classicità.
I due motivi sono fra loro strettamente connessi, come dimostra la prima parte del brano, in cui Poggio insiste su alcuni concetti essenziali per tutta la cultura umanistica. Da un lato, in base a un assunto già diffuso nella filosofia antica e medievale,
egli afferma che la ragione (ossia, la conoscenza di tipo speculativo) è lo strumento concesso all’umanità, e dunque a ogni
individuo, come guida alla felicità. E però a ciò immediatamente si collega l’importanza della parola: se gli uomini non
potessero parlare, scrivere e comunicare, le loro virtù morali e
intellettuali sarebbero paralizzate; a nulla servirebbe raggiungere la verità, se ciò che è stato scoperto non potesse essere
condiviso. Pertanto – ed è la prima conclusione formulata da
Poggio – sapere scrivere e parlare è indispensabile per vivere
bene ed essere felici. Tale assunto costituisce la premessa della riflessione seguente: se le facoltà espressive sono necessarie per una vita autentica e piena, allora somma gratitudine e
venerazione si devono a quegli uomini del passato che più e
meglio hanno contribuito a insegnare ai propri simili la capacità e l’ordine del dire.
Spicca così l’importanza di Quintiliano e della sua opera fondamentale, l’Institutio Oratoria, che rappresenta il più ampio e
organico trattato di retorica dell’antichità. In questo libro, infatti, Quintiliano tratteggia il profilo del cittadino ideale, ossia di
un uomo giusto e impegnato nella vita pubblica, che attraverso l’arte della parola persegue la pace e la verità. Quintiliano –
come scrive Poggio – dimostra nella sua opera quale sia l’obiettivo principale di ogni esperienza educativa e formativa: insegnare ai giovani a unire “somma dottrina” e perfetta “eloG. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta
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9. mandarli a Leonardo Bruni e a Niccolò Niccoli: i due umanisti, a Firenze.
La scoperta di un libro, la scoperta di un uomo Poggio non
parla di un manoscritto, di un libro, di un’opera: parla di un uomo. Il codice rinvenuto a San Gallo è immediatamente percepito non come un cimelio fine a se stesso, ma come lo strumento materiale che consente di accedere a una più completa e
approfondita conoscenza di un’opera e, attraverso di essa, del
pensiero del suo autore. Si comprende, in questa prospettiva, la
logica che suggerisce l’impiego delle allusioni a Virgilio e a Cicerone. Da un lato viene stabilita un’analogia: come Cicerone
si rallegrò per il ritorno a Roma di un uomo nobile e colto quale Marcello, così gli umanisti si devono rallegrare per il ritorno dall’esilio – un esilio, in questo caso, non spaziale ma temporale –
di Quintiliano, poiché, come si dice nella prima parte della lettera, frequentare uomini dotti (o leggere le loro opere) aiuta a
diventare più colti e più raffinati. Quindi dal II e dal VI libro dell’Eneide di Virgilio, Poggio desume una serie di immagini e di
espressioni con cui la conoscenza imperfetta e parziale dell’Institutio Oratoria è rappresentata come equivalente all’uccisione del suo autore. Lo si vede bene nelle metafore utilizzate:
era così lacerato, così mutilato... che in lui non si riconosceva più
aspetto alcuno, abito alcuno d’uomo (rr. 24-26); nella mutilazione di un uomo sì grande; quanto più grave era il dolore e la pena di saperlo mutilato, tanto più grande è ora la gioia (rr. 29-31).
Riscoprire un manoscritto completo e autorevole equivale dunque
alla resurrezione di Quintiliano, che, attraverso la sua opera,
può tornare a far udire la propria voce e a trasmettere il proprio
insegnamento. Il manoscritto si identifica persino col suo autore:
Era infatti triste e sordido... con la barba squallida e i capelli pieni di polvere (rr. 41-42); ho trovato Quintiliano ancor salvo ed incolume, ancorché tutto pieno di muffa e di polvere (rr. 54-55).
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SPAZIO
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COMPETENZE
Comprensione e analisi
1. Dividi la lettera in sequenze e attribuisci a ciascuna di esse un titolo.
2. Quali sono le altre opere che Poggio afferma di aver rinvenuto a San Gallo?
3. Perché Poggio scrive che Quintiliano era con la barba squallida e i capelli pieni di polvere (r. 42)? Sottolinea, se
presenti, altre espressioni simili utilizzate nella lettera.
4. Qual è il significato “profondo” della scoperta del manoscritto di Quintiliano?
Approfondimenti
5. Qual è stato il valore dei ritrovamenti dei testi antichi nell’ambito dello sviluppo dell’Umanesimo?
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