impronte di pesce

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impronte di pesce
LibertàEdizioni
Mirko Micheletti
IMPRONTE DI PESCE
POESIA E PROSA DI UN SERVER IMPAZZITO
LibertàEdizioni
A mia Madre
IMPRONTE DI PESCE
Poesia e prosa di un server impazzito
PREFAZIONE
Io non sono niente
non osservatemi con la lente
ci sono tratti impuri
che ho nascosto nell‟ombra
con evidenti segni di vergogna.
Io sono arte povera
assemblata con chiodi
arrugginiti dal tempo
e i gradini che conducono
alle mie spartane stanze
non sono in bolla.
Ma se vorrete comunque entrare
sentirete profumo di pulito
e so che vi toglierete le scarpe
per non sporcare.
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RIFLESSI
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RIFLESSO
Forse ho rilevato le tue forme
pergolati di case abbarbicate
che si specchiano sulle onde del mare.
Forse ho percepito la tua fragranza
come un alito fra questi carruggi
che si snodano sfiorando la battima
come un effluvio emanato da reti
che hanno catturato la tua essenza.
Forse sei solo uno scoglio che parla.
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LA BELLEZZA DEL DESERTO
Increduli filamenti tessono
bianche ragnatele nella memoria.
Hai ancora in bocca quel gusto salato
di ammutolite lacrime indifferenti
che hanno costruito la tua storia.
Pietra dopo pietra hai edificato
il tempio della tua essenza nel deserto.
Con voce arrochita canti incerto
fra andane di polverosi cactus
seguendo gobbe di dune sabbiose
che si perdono in occhi amaurotici.
E conosci il prezzo dei tuoi sandali
che affondano nella rovente sabbia
per poi riemergere, senza fango.
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ECHI
Erano giorni dai passi pesanti
nel letto fioriture di crisantemi a venire
rendevano i gradini delle scale
simili a pietre scheggiate.
Allucciolavano però improvvise
sere dai cieli stellati.
Si sedevano attorno ad un tavolo
che fiero portava tatuati
i nostri nomi sulla scura pelle.
Era bello ritrovarsi nel riflesso degli altri!
Sentivo voci
che riuscivano a lavare
pensieri di nebbia.
Quanti buchi ho rammendato
in quei giorni di morte.
Oggi osservo la pioggia che cade
e mi chiedo dove si sono smarrite
quelle parole
in quali fiumi le abbiamo annegate.
Ma quanto male fanno gli echi
quando si perdono
e non tornano indietro.
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LENTI A CONTATTO
Sciolgo il dolore
che scorre sulle gote
in punta di piedi.
E mi rimane in bocca
un gusto indefinibile
che mi prosciuga.
Se osservo bene
sulla tua lapide
vedo scolpito il mio nome.
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RIPORTAMI A CASA
Rivo che scorri
mi trascini
come torba.
In te
specchio puro
mi rifletto
mi rifratto
in particelle
infinitesimi d‟alma
che colano.
Come nebbia
mi disperdo
nel vento.
Ho freddo
rivo che scorre
fra valli uggiose
che masticano bruma.
Mi disciogli nel mare?
Sono solo
rivo che piange
ho bisogno di spiagge
ove mi possa sedimentare
abbracciandomi al sole
cullato dalle onde.
Come un bimbo
che ritrova sua madre
piangerò di gioia
rivo che muore.
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SUONA A MEZZANOTTE
Suona la sirena a mezzanotte.
Aria fredda
satura
di caldi sospiri strozzati.
Un rombo lontano.
Occhi si cercano
si incrociano
si specchiano
riflettono paura.
Suona la sirena a mezzanotte.
Non c‟è pace
nel silenzio
che precede la morte.
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SOGNI
E rimango sospeso
con i sogni negli occhi.
Sono calde coperte
che mi chiaman per nome
amici preziosi
di giorni perduti.
Vedo le stelle
che danzan con il sole
e non mi voglio svegliare.
Non accendete la luce
in questa notte fatata
che nasconde le pene
della vita vissuta.
Così rimango sospeso
con i sogni negli occhi
mentre l‟alba del giorno
può attender di fuori.
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NUMERI IRRAZIONALI
Non c‟è bellezza
nell‟immagine riflessa
nello specchio del bagno.
Non c‟è bellezza
nell‟immagine riflessa
nello specchio dello stagno.
E rimango a contare
le gocce di pioggia
che scivolano sui vetri.
E rimango a contare
le gocce di Valium
che si tuffano nei bicchieri.
E scopro
che la matematica
non è scienza esatta
in un mondo irrazionale.
E scopro
che non sono ancora
capace di contare.
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L’INTRUSO
A una data ora del mattino
come se fosse un treno svizzero
odo un fischio nell‟orecchio.
E ha uno strano retrogusto
simile allo sterco.
Stanco mi alzo scalzo
cercando in ogni anfratto
la presenza di un indizio
ma non c‟è nulla fuori posto.
Entro in bagno barcollando
ferito da un abbaglio.
Ma di chi sono quegli occhi
che mi guardano dallo specchio!
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L’URAGANO
Stasera i gabbiani volano bassi
come se un peso li schiacciasse al suolo
come se dovessero trasportare
grosse nuvole gravide di pioggia.
Il vento accompagna note di sale
si ferma sulla porta senza urlare
parlando piano smorzando il rumore
sfascia finestre, porte e comodini.
Stasera fiumi di parole naufragano
restano mute come allocchite
mentre dagli occhi tuoni silenziosi
cercano il lampo perduto nel cielo.
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PROFUMI DI PIETRE CROLLATE
Nel mio paese lo sguardo si perde
fra case diroccate e camini anneriti
fra case di pietra dai camini fumanti
Ю
e si ode il vociare di bimbi birichini
fra piaghe di ricordi d’infanzie lontane Ю
che corrono felici tra i campi tagliati.
Il mio paese osserva la Secchia in silenzio
come se fosse una serpe pronta a morderlo Ю
come se fosse una donna pronta a baciarlo
e resta in attesa sfiorando le sue sponde
con scuri serrati screpolati dal tempo. Ю
con braccia aperte già pronte all‟abbraccio.
Il mio paese ha strade di pietra
percorse da venti che regnano solitari
addolcite dai canti di scuri affilate
Ю
ne ascolto l‟eco dietro le imposte di casa
mentre fischiano sopra un’ altana crollata.
mentre avido assaporo il profumo del pane.
23
Ю
RIFLESSO D’AMORE
Scarlatta cavalla d‟acciaio, corri!
Domi il respiro di sentieri ascosi
che ci conducono in silenti valli
ove frenetici rivi danzano
al ritmo della musica del vento.
E ci tuffiamo fra i dolci profumi
di questa terra obliata dal traffico
mentre il cantico di uccelli si innalza
ad ogni frenata, ad ogni sobbalzo.
Corri e contempla il mare all‟orizzonte
come se fosse un riflesso d‟Amore.
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IMPRONTE DI PESCE
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LA MADONNETTA
Culli praterie di posidonie
con la premura della madre accorta
custode di gelosi segreti
che il salmastro non vuole corrodere.
Sono memorie di genti di mare
di reti che hanno sfiorato il tuo volto
di ippocampi che ti hanno venerata
fra balaustre di luce
e madrepore che tracciano il tuo confine.
E allora perché questa mangrovia di cemento
che ti vogliono cingere al collo
come se il tuo respiro
non fosse il respiro dei secoli
il cui ansimare riecheggia da sempre
in onde che lambiscono i tuoi piedi.
Come se la tua non fosse la voce
di tutta questa gente che ti ama
e non ti vuole vedere morire.
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IMPRONTE DI PESCE
In mezzo alle forre del tuo volto
i tuoi occhi riflettono ricordi
di consunti tramagli issati
da braccia che si conoscevano davvero.
E quante volte ti sei lavato
nelle loro mani bruciate dal sale.
Radici di braccia e mani
che trattenevano il terreno
dove si nutrivano
i vecchi e i bambini.
E i sorrisi
erano attimi di maggese
che riposavano lo spirito.
Ma dove sono finite
quelle risacche
che ti cantavano storie
di barche abbracciate
nelle attese di albe
dal sapore di pesce?
Forse sono migrate
in altri luoghi
in altri lidi
dove ancora adesso
si possono tenere aperte
le porte del cuore
come le porte delle case
dove la gente
si chiama per nome
e conosce le tue impronte
come se fossero le loro.
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ONDA
Onda biancastra, spumeggiante
nasci piccola quasi insignificante
ti avvicini mentre cresci di statura
a tal punto che mi incuti paura
alla fine ti ingobbisci ferita
rantoli, schiantandoti senza vita.
Nella sabbia dal salmastro bagnata
la tua sagoma rimane tracciata
come il ricordo impresso nella mente
fuggevole, aleatorio, che dura niente.
Scompare la traccia come evaporata
così che mi pare di averti sognata
rimane il tuo gusto, il profumo del sale
che il freddo vento disperde fra le cale.
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LE RISPOSTE DI UN NAUFRAGO
Conto con mani prive di dita
le ombre che si genuflettono al sole
mentre il mare cancella dalla battima
orme di piedi cosparse dal sale.
Rimuoverò le calerne dagli occhi?
O si cristallizzeranno pietose
scrosciando mute su specchi incantati
mentre riflettono parole d‟amore?
Estraggo risposte da un sacco vuoto
mentre guado orizzonti silenziosi
ora che i numeri si fanno pesanti
come scogli in mezzo alle onde del mare.
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IL MOSAICO SALATO
A volte il passato torna.
È un‟onda perpendicolare
che si schianta sulla battigia
e tutto rimbomba, trema.
Osservo i volti
che compongono la mia storia
formare un mosaico
di particelle di salmastro.
È un respiro di gocce salate
che mi sferza i polmoni.
Mentre poso lo sguardo
su un orizzonte che si assottiglia
rischio di soffocare.
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L’ALBA NON TRAMONTA QUANDO IL
SOLE SCOMPARE
Ascoltami figlio
prova a contare le albe
appese ai tramonti.
Per ogni cosa che muore
una speranza fiorisce.
Per ogni goccia di pioggia
c‟è un arcobaleno in cielo
che annuncia il sereno.
Ci sono tesori nascosti
da scoprire nei mari
dove naviganti distratti
hanno meriggiato nell‟ombra.
Ci saranno traversie
ma se saprai mantenere la rotta
attraccherai in porti lontani
inondati dal sole.
E ascolta
non trattenere le foglie
che il vento trasporta
ma ricorda le loro parole
mentre si dipanano fresche
nelle mattine serene.
32
IL POETA
Nella rena di questo porto antico
i versi scivolano dalle tasche
rincorrendo barchette a vela e nuvole
in fuga.
E il faro è lì che ti spia
fra fasci di luce dismessi
e l‟abbraccio di navi alla deriva.
Ma a cosa pensi fra spume di sale
e memorie di fondali stuprati.
Non scapperai da mosaici salati
che ostacolano i tuoi passi veloci
con l‟affanno dei giorni a venire.
Cosa sei tu poeta in fondo
se non un suicida
che punta la pistola alla sua tempia
e si dimentica di sparare.
33
ROSE DEL DESERTO
Non sfiorerò le tue sponde
mai più, mai più.
Mi hai trascinato
in un vuoto arido
arso.
Un deserto di stelle cadenti
morte.
Non navigherò più nei tuoi occhi
gelidi
come le steppe del nord
iceberg di emozioni
surgelate
precotte, confezionate.
Questo tuo mondo
di sentimenti di princisbecco
non mi appartiene.
Voglio sentire il sapore
di parole sincere
di vini schietti
e di pane raffermo
che mi accarezzi il palato.
Di cose semplici
che sanno d‟antico
tesori dimenticati
che abbiamo deriso.
Sfoglierò i giorni
che mi separano dai tuoi deserti
come se fossero petali
di rose di sabbia
che si sciolgono al sole.
34
STATUE DI SABBIA
E resta il vuoto
nella bruma
appena accennata.
Sul mare un veliero
porta il carico di anni
passati in compagnia
di vecchi molluschi.
E resta il vuoto
che ha il sapore del sale
e della brezza marina
che scioglie e corrode.
Una goccia di emozione
scivola lentamente
la catturo e la preservo
e non la soffoco
in un mare algido.
Amo la mia vita
e le faccio dono
di rose rosse
che profumano
del mio unico odore
(statue di sabbia
osservano attonite
lambite dalle onde).
E resta il vuoto
lontano da me.
35
L’IMMAGINE DI MIA MADRE
Sono qui,
dentro il ciglio della battigia
mentre inseguo orme di relitti
che fuggono da mareggiate
sempre in agguato.
Non c‟è riparo per le nostre storie
in questa spiaggia abbandonata
che mastica solitudine.
Ma cosa cerco allora
in mezzo a tronchi marci di salsedine
e montagne di rifiuti accatastati.
Non saranno certo le storie sui pirati
o sulle lune tramontate
a separarmi da conchiglie
che non hanno più la tua voce.
E allora dimmi perché questa tramontana
strappa ancora lacrime
da cieli tersi senza nuvole.
Forse è colpa dei riflessi del mare
e del profumo delle ginestre
che ti trattengono
come se tu fossi un‟immagine
che non può morire.
36
RADICI DI PANCRAZI RECISI
Giglio del mare
ti ricordi del tempo
in cui il vento ti svegliava
con il garrito dei gabbiani?
Ma dove sono finiti
quei profumati arenili
dove regnavi sovrano
lambito da onde
timorose di parlare?
Quel rispetto
che il pescatore appendeva
sopra consunti tramagli
afrorosi di pesce
dove è stato sepolto?
Non sotto i tuoi petali
che non si specchiano più qui
e non possono ascoltare
il respiro salato del mare.
Mentre i ciottoli che allora
ti narravano storie
di risacche passate
oggi piangono.
Come questa terra
di vento, di sale e di sabbia
che frana
senza più radici.
37
IL CANTO DELLA RISACCA
La risacca oggi canta
e ha la voce delle fiamme.
Ti osservo
sul filo di un orizzonte
che si immerge
e so che presto annegherò.
E tu non salvarmi, non salvarmi.
Ci sarà sempre tempo
per rivestirsi col rimpianto.
Adesso voglio solo abbracciarti.
38
PANNI SPORCHI D’AMORE
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40
VINO D’AMORE
Bella e suadente cammini
di sol nettare vestita
mi conquisti coi tuoi vini
prodotti da uva passita.
Ed io bevo dal tuo calice santo
coppa perfetta piena di liquore
con gioia ascolto il tuo armonioso canto
pioggia di gocce di vino d‟Amore.
Pigi l‟uva con movenze perfette
avvolta da succinte vesti strette
il tuo è un ballo gaio e sensuale
che percuote questa terra rurale.
Trangugio i tuoi versi tutti d‟un fiato
che mi ricoprono del tuo calore
di te sono totalmente inebriato
profumi di vigne parlan d‟Amore.
41
STRADE DI FANGO
Ascoltami
ho percorso troppi chilometri
e adesso mi voglio fermare
mi voglio fermare per sempre
insieme a te.
Ho cicatrici profonde
così profonde
che hanno sfiorato la morte
potrebbero divorarci
e adesso ho paura
paura per te.
Ma sono stanco di parlare
al silenzio dei miei passi
che non fanno rumore
per non farsi seguire.
Ho percorso troppi chilometri
su strade di fango
e adesso mi voglio lavare
con il sudore della tua pelle.
Mi guardi e mi baci
e sorridi
ad ogni goccia di dolore
che mi ammanta le spalle.
Ho bisogno d‟Amore
e l‟Amore sei tu.
42
SEI QUI
Mi corico nella notte
e mi giunge la tua voce
un pianto struggente di gioia
mi scioglie il buio dagli occhi.
E mi imprimi sulle labbra
Il sapore del sole.
43
IN ABITO DA SERA
Danzi di note nella buia stanza
mentre ti vesto di soli riflessi
come se fossi il sarto di noi stessi
che cuce trine con orli d‟essenza.
Siamo vesti d‟organza sartoriale.
E benedico la mia trasparenza
che nel suo quieto rollare ti penetra.
44
SORRIDERE AL SILENZIO
Giornate intere
sono trascorse
scrutando l‟orizzonte
dei nostri pensieri.
Eravamo aggrappati
sullo stesso scoglio
e ci siamo illusi
di esserci fusi.
Ma il mio sedimento
è diverso dal tuo
e il continuo scorrere del tempo
mi ha eroso da te.
E la brezza marina
in quei giorni di attesa
ci portava l‟amaro
di un amore finito.
Sono riaffiorati dissapori
che si erano addormentati
e noi, con le nostre crepe
li abbiamo illuminati a giorno
e si sono svegliati.
Alla fine abbiamo sorriso
al silenzio
delle nostre parole.
45
LA CHIUSURA IN MANO
Ti rivedo in questa stanza vuota,
vuota di profumi e di parole
la tua borsa di ospedale sulla sedia
da tempo attende di essere disfatta.
Ti rivedo appoggiata alla spalliera
di un letto troppo grande per te
mentre sanguini di dolore e solitudine
in affannosa ricerca di quelle ore
di picche, fiori, cuori e denari vestite.
Quanto tempo passato insieme
su di un tavolo di carte apparecchiato
ore felici senza pensieri
sono scivolate dalle nostre mani
e non le abbiamo più ritrovate.
Non disferò la tua borsa di ospedale
anche oggi non riesco a chiudere
con le ferite del passato.
46
LA BEFANA
Mi hanno chiamata
e restia me ne sono andata
ma ti voglio bene piccolino
e ti guardo crescere
da qui.
Questo è un bel posto
ma vorrei essere con te
per poterti scaldare
con il mio cuore caldo
che non ha smesso di battere
in questo freddo corpo.
Ma oggi è un giorno speciale
da befana mi vesto
e ti vengo a trovare
nipotino mio.
Sei dolce come le caramelle
che porto nelle mie calze
e aspetto un tuo sorriso
per potermelo sciogliere
negli occhi.
Ti vedrò giocare con papà
nascosta nel camino
sporca di candida fuliggine
che mi vestirà di gioia.
E sorriderò quando
mi verrai a cercare.
Perché mi cercherai vero?
E mi troverai
nascosta in ogni gesto
d‟Amore.
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COME LEGNA DA ARDERE
Ricordo ancora le mattine
fatte di coccole e stravizi
mentre l‟aroma del caffè
sulle tue mani
mi accarezzava il volto.
Mi mancano quelle zollette
di zucchero di canna
che ti sei portata via
quando te ne sei andata.
Non smetterò di cercarti
fino a quando riuscirò a portare
fasci di pensieri sulle spalle
da ardere per te.
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L’ASSOLUZIONE
Ripieghiamo i nostri stracci
e li impiliamo ordinati
dentro cassetti senza fondi.
Guarda i miei occhi rugosi.
Sognano ancora il tempo
che mi hai derubato.
Eppure la mia pelle
è ancora liscia e fresca
come quando giocavamo
con i fiori a primavera.
E non abbiamo ancora smesso
anche se il tuo abito
ci soffoca ogni volta.
Quando il canto del gallo
ci coglierà in fallo
so che mi monderai
di tutti i tuoi peccati.
Dopo mi ritroverò ancora
a spandere lacrime
in un‟acquasantiera.
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PEZZE D’AMORE
Cammino lentamente
in mezzo ad ali di folla
cercando di inseguire passi
che inciampano in loro stessi.
Sento il freddo sulla pelle
di mendicanti spogli di dignità
spezzano il traffico dei pensieri
che si affannano sulla strada.
E mi resta addosso un odore
di frenetica solitudine
che scorre sopra le luci
di agghindati negozi.
Non comprerò sfarzosi vestiti
hanno il sapore dell‟indifferenza.
Cerco una sarta d‟Amore
che mi sappia cucire addosso
SEMPLICI PEZZE DI CUORE.
50
RAPIDI SALUTI
Siete una dolce poesia di miele
gocce di rugiada primaverile
aria fresca che riscalda la vita
caldo sole che rinfresca l‟anima.
Tempo perso a rincorrere sogni
inutili progetti di cartapesta
rubano spazio alla vostra vita
che vuole aria per poter volare.
Vedo rapidi saluti di madri
mani di bambini si agitano
in cerca del calore che fugge
dietro il ticchettio di un orologio.
51
OCCHI NEL CIELO
Scorrono nei tuoi occhi
riflessi di vita pulsante.
Nutrimento sono
le parole che scorrono
anche quelle mute
captate dagli sguardi
a volte distratti
a volte confusi.
Intanto
il futuro avanza
e presto
diverrà passato.
Ricordami nella luce
che le ombre feriscono
non le devi proiettare
nel futuro presente.
Mi basterà un tuo sorriso
per far sorgere il sole
sull‟ultima notte.
Mentre le stelle
ti staranno a guardare.
52
LA PENDOLA CON I TACCHI
L‟orologio è morto
sgretolato dal tempo
non sussultano più i secondi
dalla pendola oblunga.
Ti ho persa nell‟acqua
come un sogno che evapora
mentre i riflessi del tuo volto
annegano nel ricordo.
E mi rimane in mano
un consunto cerino
che si spegne nell‟aria
soffocato dalla memoria.
Mentre il rumore dei tuoi tacchi
mi uccide nel silenzio.
53
IL SECONDO PERDUTO
Ho dimenticato le lancette
le ho lasciate appese
alla parete della cucina.
Tic tac tic tac
tip tap tip tap
I tuoi passi
graffiano il tempo
e ritrovo i minuti
perduti ad aspettarti
abbracciati ai tuoi tacchi.
E mi aggrappo a te
come se io fossi solo un secondo
di vita perduta.
54
LE SCARPE DI VINICIA
Ma che fine han fatto
le scarpe di Vinicia
che elegante calzavi
con malizia e ironia.
Mi riempivano gli occhi.
Adesso quel negozio
ha le saracinesche abbassate
e persino le insegne
lo hanno abbandonato.
Mentre le ferite che hai lasciato
con i tuoi tacchi a spillo
sul manto dell‟asfalto
ancora adesso mi parlano di te.
Allora cerco di imitare
i tuoi passi davanti ad uno specchio
e per essere un po‟ più credibile
calzo le scarpe di mia moglie.
Ma quello che mi appare
è il tragico riflesso
di un uomo disperato
che ha infranto il suo sogno.
55
IL CANTO DELLE FIAMME
La risacca oggi canta
e ha la voce delle fiamme.
Ti osservo
sul filo di un orizzonte
che si immerge
nel biancore della tua carne.
E so che presto annegherò
nel languore del tuo seno.
E tu non salvarmi, non salvarmi.
Ci sarà sempre tempo
per rivestirsi col rimpianto.
Adesso voglio solo abbracciarti
mentre ascolto il dolce controcanto
delle tue parole in fiamme.
56
FRA I MIEI CAPELLI
Cerco fra cibi precotti
una sensazione persa
un sapore, un odore
che deve aver lasciato qualche traccia
sugli angoli dei muri
simile a disegni
su vetri appannati.
Lo sfrigolio della legna
regalava storie
mentre dipingeva il calore di nuove albe
nei volti dei bambini.
E c‟era cibo genuino
e vino schietto
sulla tua tavola
che regalava canzoni
e parole d‟amore.
Oggi quel camino è crollato
ed è rimasta solo un po‟ di cenere
fra i miei capelli
come se fosse forfora.
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58
CENERE D’INCHIOSTRO
59
60
EFFIGI
Hanno lottato
per un futuro di sole
hanno versato sangue
per bagnare di gioia
la propria prole.
E la rorida terra
trasuda lacrime
del loro amore.
Inutili effigi
su tombe malferme
crollano.
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LA BRACE
Sssssssssssssiiiiiiiiiiiiiiiiibiiiiiiilaaaaa !!!
il tempo necessario
per calare il sipario.
Dopo
rimarranno solo
distese di mozziconi ardenti
ad osservare il silenzio.
62
CENERE
Prende il volo la memoria
vola sul dolore vissuto
ancora vivo nei tuoi occhi.
Ricordi di cenere sospesa
fluttuante nell‟aria
pioggia di dolore
senza lacrime.
La cenere si adagiava piano, piano
si posava delicatamente
sullo scarno palmo della tua mano.
Ricordo l‟orsetto di nostro figlio
adagiato nel freddo calore del letto
unico contatto tangibile
di una vita passata possibile.
Un cielo plumbeo, irreale
parlò al nostro cuore
senza fiatare.
Con occhi empi di cenere e lacrime
baciammo il nostro piccolo bambino
che giaceva nel palmo della tua mano.
E l‟orsetto era al caldo nel letto
con il pelo lucido come nuovo
al sicuro nel suo covo.
63
LA PREGHIERA DEL SERGENTE
Nevica, fa freddo
siamo un corpo unico
abbracciati uno all‟altro
così uniti e vicini
che anche le nostre lacrime
si confondono.
Sta per arrivare la notte
noi la affronteremo armati
con guanti di cartone
e litri di grappa.
Il nemico è in attesa
non durerà questo silenzio
domani farà caldo
cammineremo su neve ardente
scaleremo pareti
di ghiaccio lavico.
Pregate compagni miei
pregate il vostro Dio
pregate con forza e vigore
ditegli di essere pietoso
(che con noi non lo è ancora stato)
e che siamo stanchi
troppo stanchi per calzare ancora
questi scarponi fradici
di sangue innocente.
Pregate
perché nessuno di noi
domani
vuol vedere
sorgere il sole.
64
LA PROMESSA DEL VENTO
Com‟era calda la neve quell‟autunno
sulle pendici del Ventasso, ricordi?
C‟eravamo promessi
di scambiarci gli scarponi
sotto un cielo colorato
da agguati di foglie.
Fra faggete ritorte
bevendo il sangue
di un lago sfibrato
c‟eravamo nascosti.
Siete Partigiani
ci avevano detto
e da allora
abbiamo camminato carponi.
Mi ricordo di spari
e di corpi riversi
che potevano essere i nostri.
Mentre le ansie scivolavano
sul sagrato di chiese
chiedendo grazie a croci
disertate da un Dio fuggiasco.
E i monti tacevano
come le foglie
come l‟aria immobile
fatta di respiri e di attese
e di fredde fughe.
Poi
ricordo i pianti dei bimbi
dietro sfalci di fieno
mentre il silenzio intorno
si faceva preghiera.
65
LA STRADA
Il sapore di ieri
a volte lo porta la pioggia
mentre sfrigola sull‟asfalto
come fosse una vampa di olio caldo
che mi assale.
E allora mi sento addosso un odore
di siepi e di limoni
come se fosse una seconda pelle.
Mi senti adesso
mentre ti cammino sopra
oppure i miei sandali
hanno suole così consunte
e una voce così arrochita
che non ti pare di essere calpestata
dal cuoio dei miei passi.
Mi guardi con le tue calze smagliate
che sono ancora ricamate
con fantasie di sbiaditi pampani.
E mi indichi la direzione
il mio senso unico da percorrere
verso il grande nulla
da dove provengo.
66
L’ABITO
Persino questa sigaretta
mi hai avvelenato
mentre ti vedo galleggiare
fra particelle di fumo
come un‟ombra assassina.
Lasciami respirare
questo piccolo attimo.
Domani avrai la mia anima
così me la potrai lavare
come piace a te
in lenta centrifugazione.
67
IL CARROZZONE
Suona la banda nelle vie deserte
assolati musicanti in fila
leggiadre ballerine al seguito
bianche facce sorridono, al nulla.
Ecco a voi la festa di paese
divertitevi signore e signori
questo non è il sabato del villaggio
questa festa non finirà domani.
Giochi di prestigio serviti freschi
per allietare distratti passanti
seguite il carrozzone bambini
strillano le ugole di artisti.
Ma il nocchiere non è contento
non tutti seguono il carrozzone
qualcuno potrebbe capire tutto
e tutto mettere in discussione.
Adesso il grande sogno finisce
l‟illusione irreale svanisce
non date retta al nostro padrone
lui vive se avanza il carrozzone.
Se aprite gli occhi morirà
così ogni menzogna svanirà
se volete vivere contenti
date retta ai vostri sentimenti
non rimanete sulle vostre poltrone
a vedere sfilare il carrozzone.
68
Gente vi voglio rassicurare
la realtà virtuale non fa male
fate tacere quell‟impostore
cacciatelo via dal carrozzone.
Ci scusiamo per il disagio mentale
la marcia riprenderà
il più rapidamente possibile.
69
L’ULTIMO AMICO
Dove correte lancette
così di fretta
dove scappate
a gambe levate.
Dove sono finiti
quei giorni
ove sembravate dipinte
su muri di pietra
ad osservarmi
immote
come soprammobili
ancorati ai pianali.
Chi state squadrando adesso?
Forse sono divenuto
così vecchio e brutto
da farvi ribrezzo?
Forse il mio corpo
ha già acquisito
l‟afrore della morte?
Scappate cenciosi secondi
lasciatemi aggrappato
a memorie lontane
ormai sbiadite
che il canto singhiozzante
di manere recide.
Scappate
come gli amici
come le donne
un tempo a me avvinghiate
come api ad un favo.
70
Lasciatemi solo
ad annegare i ricordi
e come ultimo compagno
glu,glu
un bicchiere di vino.
71
FINO ALL’ULTIMO RESPIRO
Ti abbiamo fatta viaggiare
con le nostre deiezioni
ben chiuse nel bagagliaio.
Ubriacata dalla morte
hai danzato sull‟asfalto
fino a strisciare
fra le braccia
del tuo dolce nipotino.
Missione compiuta.
72
SPORCA
Mi sbrigano una banconota
da usare come coperta
senza regalarmi una parola.
Così ascolto la solitudine
nei respiri ubriachi
che mi rimangono appiccicati
come fastidiosi amanti appassionati.
E quando tornerò a casa
non basterà una doccia calda
per dimenticarli tutti.
73
LO STUPRO
Un sudario lavato
non potrà cancellare
quella parte di me
in lenta putrefazione.
Mi guardi attonita
mentre prendo dimora
nei tuoi umidi occhi.
Ti prego non lo fare
non graffiare il silenzio
mentre incredula osservi
precipitare il paradiso.
74
LA FACCIA NASCOSTA DELLA
FORTUNA
E ti prendono la vita
senza chiedertene il permesso
e non ti ringrazieranno
quando te la restituiranno
tutta bella spiegazzata.
Così trascorri i giorni
rassettando le tue stanze
e scopri senza meraviglia
che hanno venduto i tuoi sogni
al mercato delle pulci.
Mentre il tuo portafoglio
resta a pancia vuota!
Con le poche monete
che ti rimangono appiccicate
ti diverti a giocare
a testa o croce.
E sai perfettamente
quale sarà l‟esito
di questo tuo inutile gioco.
75
ALZHEIMER
Pezzi di memoria si sbriciolano
franando sul tavolo
e restano sulle posate
rimasugli della tua polvere.
E adesso vaghi leggera
leggera come una piuma
in balia del vento
e ti perdi dentro.
Così ti ritrovi
in qualche angolo sperduto
di questa misteriosa città
priva di segnaletica
ma affollata di sensi unici.
E quando gobbi lampioni
proietteranno la tua pallida ombra
sulle facciate di grigi edifici
(anonimi solo ai tuoi occhi)
smarrirai anche il mio nome.
Mentre io continuerò a cercarti
in un‟altra metropoli.
76
LA STANZA ACCANTO
Ho visto il dolore
farfuglia parole curve
che dipingono traiettorie
dalle pendenze oblique.
Nella stanza accanto
uno scrigno prezioso lo osserva.
Ha gemme rosse
incastonate negli occhi
che lo sussurrano nel silenzio.
Ho visto il dolore
e quando l‟abbraccio
non mi riconosco più.
Ritorno sui miei passi
con un peso sullo stomaco
che una scatola di cioccolatini
non può farmi vomitare.
77
LA LUPA E LA MIGNOTTA
Pergamena crittografata
enigmatica scorri
fra le mie dita avvizzite.
Mi ammali con i tuoi simboli
che nel tempo hai lasciato
segni che squarciano il silenzio
inesplicabili.
Ti osservo sinuosa
avvolta nella frizzante mattina
che riempi di promesse.
Ma so che verrà il giorno
del mio ultimo miglio.
E sarà allora che guarderò
tua sorella negli occhi
scarna lupa affamata
di anime benedette.
Mi prenderà per mano
senza farmi accendere
l‟ultimo desiderio
di sedurti per sempre.
78
AMEN
Uno scracchio di birra
lava bicchieri vuoti
una bottiglia gira
come la testa
che fischia
e ronza
e scoppia
e indugia
per un istante di troppo
su pensieri che evaporano
nel deposito di farfalle
dentro lo stomaco
senza vie di uscita
sbattono le ali
furibonde
e si tuffano
nel rospo della gola
che vomita
tutto l‟amaro
che c‟è nel fegato
anche oggi
come ieri
come domani
come sempre
siamo solo
vuoti a perdere.
79
LA DANZA DELLA PIOGGIA
Chissà se riderai di me
di queste mie parole
che tremano
sull‟orlo di precipizi
sfiniti.
Appeso al vuoto
mastico pensieri
di cemento armato.
So che mi attenderai
paziente
sulle rive di fiumi
che hanno scavato forre
sul mio volto.
E ci sarà ancora il tempo
per un‟ultima piena
a passo di danza.
80
LA POESIA
La Poesia
si scrive per consumare una penna
come se fosse sangue in eccesso.
La senti questa voce che scorre
che scivola fra pagine di bianchi
che non hanno ancora abbastanza spazi
da poterla contenere
(nel nero si sopravvive
sospesi fra una riga e l‟altra
in disequilibrio perenne).
Eppure
ho solo poche lacrime salate
da disegnare
come se fossero origami di neve
che si sciolgono
appena sfiorano il foglio.
81
EPILOGO
Scrivo pensieri d‟olio
su pezzetti di carta
mi ammorbidiscono le mani
inspessite da calce bianca.
Sospeso fra nuvole d‟aria
guardo l‟azzurro cielo
come sarebbe bello
poter prendere il volo.
Ma ho mani avvezze
al lavoro dello scalpello
e rimarrò ad osservare
le bianche colombe volare
disegnando su carta
sentimenti d‟argilla.
82
LISCHE DI RACCONTI
ANDATE DI TRAVERSO
83
84
IL RIFLESSO SPINALE
Era lì, sopra quel letto che pulsava al ritmo di
una musica che sentiva ancora nelle orecchie, era lì
e come al solito non ricordava bene come ci era
arrivata. Era partita con i suoi amici in tarda
mattinata per raggiungere quel posto il cui nome le
sfuggiva, o forse non lo aveva mai saputo, ma
sapeva che a destinazione c‟era il solito rave party
al quale non poteva mancare.
Il viaggio era stato lungo, scandito dai soliti
futili discorsi interrotti di tanto in tanto dai silenzi
di qualche pasticca colorata. Quando finalmente
arrivarono era già sera e il volume degli
amplificatori era tirato al massimo. Uno shock per
le orecchie ma un vero e proprio toccasana per il
suo cervello. Il posto era già stipato
all‟inverosimile di gente “giusta”, giovane e fatta
fino al midollo proprio come loro. Iniziarono a
ballare e a sballare come ogni volta, come ogni
week-end degno di questo nome.
In mezzo a quella folla si sentiva dissolta, come
una particella schizofrenica e schizzata che si
agitava in un mare senza onde. O meglio in un
mare composto da sole onde sonore. E lei non
aspettava altro che essere infranta contro una
scogliera come una nave allo sbando senza timone.
Dopo un po‟ di tempo, un tempo che non era in
grado di quantificare, aveva perso di vista tutti i
suoi amici e si ritrovò sola in mezzo a
quell‟oceano, ma ci era abituata. Finiva così ogni
santissima volta. Si perdevano, in tutti i sensi, e non
85
avevano nessunissima voglia di ritrovarsi.
Danzò per ore e ore senza sosta, senza nemmeno
saperne il motivo. Ad essere proprio sinceri, non
era nemmeno in grado di dire se ballare le piacesse
o meno. E anche adesso, sprofondata nel letto
insieme a quella gente che nemmeno conosceva,
era come se stesse continuando a danzare come un
automa. Inutile cercare di spiegare e spiegarsi o di
darsi delle risposte, lei si era semplicemente
ritrovata lì, in mezzo a quel crocicchio di corpi
sudati un po‟ per scherzo e molto per caso.
All‟improvviso, sotto a un incrocio pericoloso di
mani, piedi e membra, incominciò a sentirsi strana.
Le mancava l‟aria e non riusciva più a respirare
bene. Aveva caldo, troppo caldo e sentiva che stava
per svenire.
Vide la ragazza sotto di sé roteare gli occhi in
modo innaturale. Il colore del suo viso era
pallidissimo, come quello di una morta. Era
completamente inerte e dalla bocca cominciò a
uscirle un rivolo di bava bianca.
Non smise di fare ciò che stava facendo, anzi,
quella situazione molto particolare lo stava
eccitando. Non gli era mai capitato prima. Anche
gli altri, quelli che erano vicino a lui, si accorsero
di quello che stava capitando e iniziarono a
incitarlo. Uno dopo l‟altro si fecero quel corpo che
sotto di loro, diventava sempre più inerte e sempre
più freddo.
Arrivò quel lunedì mattina per ripulire il parco
da una montagna di rifiuti. Come al solito vi erano
resti di ogni genere sul prato e dovette farsi forza
86
per non farsi prendere dalla nausea. Nonostante la
festa fosse finita da più di dodici ore, l‟afrore della
birra mista al vomito era ancora pestilenziale. Non
senza stupore vide un gazebo di fortuna costruito
vicino al bosco. Mosso dalla curiosità si diresse
verso quella squallida struttura ed entrò. Si sarebbe
aspettato di trovarci di tutto ma non ciò che vide.
Subito la sua mente sembrava voler rifiutare
quell‟immagine come se fosse troppo triste e
grottesca per poter essere vera. Distesa su di un
letto di fortuna, davanti a lui, c‟era una bellissima
ragazza completamente nuda. Il suo corpo violaceo
era ricoperto da fluidi di vario genere e da sputi e
da escrementi, mentre sulla sua bocca, ormai
incolore, erano visibili i resti di una schiuma
biancastra rappresa.
Improvvisamente la ragazza sussultò ed emise
un suono gutturale che gli fece gelare il sangue.
L‟osservò stordito e provò un‟angoscia indicibile
mentre perdeva il controllo del suo corpo che
iniziava ad essere percorso da fremiti simili a
convulsioni. Rimase chiuso in quel gazebo per
parecchio tempo, completamente incapace di
muoversi o di gridare.
Osservai distrattamente il cadavere mentre
ascoltavo le parole ancora tremanti dell‟inserviente.
La ragazza era indubbiamente deceduta e quello
che l‟uomo aveva udito non era un fenomeno
soprannaturale, ma era solamente il suono prodotto
da un riflesso spinale post-mortem. Potevo però
comprendere benissimo lo spavento che quel
pover‟uomo doveva aver provato nel sentire il
suono gutturale prodotto da un cadavere. Credo che
non molte persone possano dire di aver sentito una
87
morta gridare. E nessuno di quei pochi che hanno
avuto, per così dire il piacere, può dire di non
esserne rimasto terrorizzato.
Mi chinai sopra la ragazza e girai lentamente il
suo volto verso di me. I suoi occhi mi guardarono
fissi e inespressivi e mi accorsi che non avevano
nemmeno un‟ombra di risentimento. Erano
semplicemente gli occhi di una bimba smarrita che
aveva percorso le stesse strade sbagliate che
percorrono tanti ragazzi giovani della sua età.
Dopo poco arrivò la scientifica a raccogliere
indizi, sperma, piscio, feci, saliva, peli, vomito,
tutto un campionario di oscenità che avevo visto
già troppe volte. Ed ero altresì consapevole che era
tutto inutile. Questa storia sarebbe rimasta senza
colpevoli, come le altre. Come questa vita fatta di
paradisi artificiali, di begli oggetti da mettere in
mostra, di successi di cartapesta, di promozioni
pagate a caro prezzo, ma soprattutto fatta di
assenze.
E adesso, mentre ti parlo, sento un vuoto dentro
che mi lascia spossato, ma non posso evitare di
vomitarti addosso tutto questo dolore. Perché ciò
che non ti ho ancora detto è che quella ragazza,
mentre veniva fotografata dai flash della
scientifica, si è messa a parlare di nuovo e con voce
soprannaturale ha pronunciato il tuo nome.
88
IL NAUFRAGO
Erano tre giorni che era sdraiato su quel pezzo di
legno putrido che gli faceva da zattera e sebbene
continuasse a pensare all‟istante in cui il Kraken
comparve dalla bruma e spezzò la Santa Barbara
come se fosse uno stuzzicadenti, i suoi ricordi
continuavano ad essere confusi, annebbiati.
Riusciva a ricordare a malapena i tentacoli sul
ponte, poi un rumore sordo come di legni che si
spezzano e poi più nulla, ad eccezione di un forte
afrore di pesce marcio.
Ricordava il risveglio con ancora quell‟odore
addosso come se fosse l‟unica cosa di quel
momento che valesse veramente la pena di
ricordare. Chiamò per ore ed ore i suoi compagni
uno ad uno, ma udiva solo l‟eco della sua voce e lo
sciabordio dei pochi resti rimasti di quella che era
la nave più grossa sulla quale lui avesse mai
navigato. Aveva sete, molta sete, e pensò che fosse
paradossale essere circondati da così tanta acqua
senza potersela bere. Sentiva di essere di nuovo sul
punto di svenire. All‟improvviso su uno scoglio
vicino vide, senz‟ombra di dubbio, la sagoma di
una sirena. Ne aveva sentito spesso parlare al porto
dai suoi amici pescatori ma non aveva mai avuto la
fortuna di vederne una prima, al punto che si era
convinto che quei racconti fossero solo il risultato
della fantasia di mariuoli un po‟ troppo bevuti.
Era bellissima, era di gran lunga la donna più
bella che avesse avuto la fortuna di vedere. Aveva
incastonati, in un viso tondo e regolare, due occhi
89
verdi e intensi che lo fissavano come se avessero il
dono di leggergli il pensiero. Il suo corpo poi era
statuario, un fascio di muscoli aggraziati
raccordavano curve sinuose e morbide. Era il
ritratto dell‟eleganza fatta donna. Era conscio di
essere salvo e con le ultime forze rimastegli
affondò le braccia in mare usando le mani come
remi e si diresse, spedito, verso quella creatura
sublime.
Allungò le mani verso quelle di lei e sfiorò...
l‟Aria. Si guardò intorno attonito, ma dove era
finito lo scoglio davanti a lui e soprattutto dove era
finita la sua salvatrice, la sua dea di bellezza e
grazia? Non poteva essere stato un miraggio, non
voleva credere che il destino potesse essere stato
così beffardo e sadico da permettersi di prendersi
gioco di lui in un modo così crudele. Ma purtroppo
dovette constatare che l‟immagine che lo aveva
occhieggiato con amore, si era perduta fra i riflessi
del mare irrimediabilmente.
E così, dopo aver pianto lacrime asciutte che
nessun sole avrebbe mai potuto asciugare, prostrato
si abbandonò fra le braccia delle sue riflessioni.
Si mise a pensare agli anni passati, di lui quando
era bambino, del padre che, oberato dai debiti e dai
fantasmi dell‟alcool, scappò lasciandoli soli, lui, i
suoi due fratellini minori e sua madre. La donna,
poveraccia, non infierì mai verbalmente sul suo ex
marito ma anzi, ebbe per tutta la sua breve vita
parole di perdono per lui, spiegando, a loro
bambini, che il padre era un uomo debole ma
buono e che solo degli eventi sfortunati lo avevano
reso quello che era diventato. Gli sembrava
impossibile, ma adesso a distanza di anni aveva
capito che quella povera donna era rimasta
innamorata del marito, nonostante tutto quello che
90
le aveva fatto passare.
Si ricordava ancora di tutti quegli uomini che
dopo la fuga del padre venivano a trovare sua
madre alla sera. Uomini rozzi, che puzzavano di
alcool e di vizi. La mamma era costretta a farli
entrare nella sua camera da letto per poter campare
e loro, ancora piccini, rimanevano in attesa nella
sala da pranzo giocando con pezzi di rosticcio
caduti sul pavimento da muri scrostati. Quella
povera donna, che da giovane era stata bellissima,
in pochi anni si ridusse ad un rudere con pochi
denti sani in bocca e una tristezza in fondo al cuore
che le scavava il volto. Spesso quegli uomini la
picchiavano selvaggiamente e la lasciavano
stremata e piagnucolante senza nemmeno averla
pagata. Non poteva durare a lungo. E difatti non
durò. Una sera, dopo l‟ennesimo alterco con un
cliente, lui sentì le immancabili botte, le grida e poi
il silenzio. Vide uscire dalla stanza un uomo
enorme e sporco di sangue che ancora imprecava e
biascicava mentre beveva e sputava, incurante della
presenza sua e dei fratellini e delle lacrime che
scorrevano sui loro volti. D‟istinto si precipitò nella
camera della madre. Non capiva bene perché, ma
aveva l‟impressione che quella volta fosse diverso,
che tutto non si sarebbe risolto con qualche carezza
e qualche bacino alla povera madre sfibrata.
Riversa in mezzo alla stanza, con il cranio
fracassato e lo sguardo perso nel vuoto, la donna
l‟accolse con il gelido mantello della morte avvolto
sulle spalle a coprire le vergogne esposte all‟aria
umida e fredda di un inverno che non lo avrebbe
mai più lasciato.
Si destò dai suoi pensieri in mezzo al mare in
tempesta. Spruzzi di salmastro gli continuavano a
lambire il viso richiamandolo, in brevissimo tempo,
91
alla veglia. Si sorprese, con stupore, di essere
avvinghiato al pezzo di legno sul quale navigava,
con tutte le sue poche forze rimaste. Che per
l‟occasione non erano poi così poche, anzi. Scoprì
che nelle mani aveva piantate delle schegge di
legno che lo facevano sanguinare per quanto forte
riusciva a stringere quelle assi marce di salsedine.
Si stupì di questa sua resistenza alla morte. In fin
dei conti erano ormai quattro giorni che era in balia
delle onde del mare fra sofferenze che non aveva
mai provato prima. Ed era certo che sarebbe stato
così, se non peggio, fino a che morte non fosse
sopraggiunta, liberandolo. Allora perché combatteva
ancora? Non sarebbe stato più logico non opporre
alcuna resistenza e lasciare fare al mare quello che
doveva fare? Sarebbe diventato in breve tempo
cibo per pesci affamati e si sarebbe liberato di tutto
quel dolore fisico ed esistenziale una volta per
tutte. E invece era avvinghiato a quel tronco come
un mollusco e non aveva alcuna voglia di
arrendersi.
Il tempo passava lentamente mentre le onde, che
non accennavano a placarsi, ma anzi, se possibile,
aumentavano la loro forza esplosiva, lo sballottavano
come se fosse stato una pallina da ping-pong
impazzita. Il cielo grigio cupo era squarciato da
continui lampi, mentre la pioggia battente si
riversava copiosa sferzandogli la pelle con forza.
Passò ore ed ore sopra quei cavalloni che cercavano
di disarcionarlo in tutte le maniere possibili, fino a
che uno squarcio di sereno nel cielo gli fece
pensare che il peggio fosse passato. Dopo un po‟ di
tempo un cielo terso, privo di nuvole, si disvelò ai
suoi occhi, mentre il mare, lentamente ma
inesorabilmente, cominciò a placare la sua ira fino
a quietarsi completamente sul far della sera.
92
Spossato dallo sforzo, dalla sete e dalla fame si
addormentò come un bimbo cullato da onde
innocenti.
Si svegliò sott‟acqua. Subito fu colto dal panico
e si diresse velocemente verso la superficie. Poi
pian piano, mentre stava risalendo dall‟abisso,
scoprì con sua enorme meraviglia che poteva
respirare. Stupito decise di perlustrare quei fondali
a lui sconosciuti. Una sensazione di benessere lo
colse in tutto il corpo, i morsi della sete e della
fame si erano all‟improvviso placati e il panorama
meraviglioso che si dipanava sotto i suoi occhi
sbalorditi gli procuravano un piacere a lui quasi
totalmente sconosciuto. C‟erano coralli dai colori
meravigliosi e dalle complesse ramificazioni e
attorno ad essi nuotavano pesci dai colori ancora
più sgargianti e belli. Si potevano vedere anemoni
circondati da pesci pagliaccio, pesci pappagallo e
persino un grosso pesce imperatore dalla coda
gialla. Mentre nuotava in queste acque cristalline
dai fondali straordinari vide sua padre e sua madre
che gli venivano incontro a braccia aperte.
Avevano i volti distesi e sereni e lo chiamavano
agitando le mani. Gli sobbalzò il cuore nel petto e
si mise a piangere. Cominciò a nuotare come un
ossesso nella loro direzione finalmente felice.
All‟improvviso davanti a loro si parò il Kraken in
tutta la sua mole spaventosa. L‟animale afferrò sua
madre con un grosso tentacolo mentre suo padre,
per l‟ennesima volta, si diede alla fuga come un
codardo. Anch‟ egli ebbe l‟impulso di scappare ma
lo frenò immediatamente. Non poteva abbandonare
quella donna che aveva dedicato tutta la sua vita a
crescerli con amore fino al punto di arrivare a
morire per loro. Si diresse con tutta l‟energia che
aveva in corpo verso il mostro marino e non gli
93
importava se ciò voleva dire la sua morte,
finalmente in cuor suo sentiva che stava facendo la
cosa giusta. Aveva finalmente abbandonato quel
pezzo di legno macilento al quale ormai da troppo
tempo era rimasto aggrappato.
Appena lo vide attaccare il Kraken, lei si mise
ad urlare cercando di dissuadere il figlio dal suo
folle tentativo. Pianse e si disperò capendo che tutte
le sofferenze alle quali era andata incontro quando
era in vita rischiavano di essere vanificate
inutilmente. Suo figlio non aveva capito il motivo
per il quale lei aveva sopportato tutte quelle
umiliazioni. Pianse per lui e per lei e per tutto
l‟azzurro che stava morendo sotto i loro piedi.
Scivolò lentamente nell‟acqua dal suo giaciglio
di legno fradicio fino a sprofondare in abissi privi
di luce senza opporre la minima resistenza.
Sarà la mia immaginazione ma mi pare di aver
udito un pianto di donna mentre quel povero corpo
martoriato sprofondava nell‟acqua. Mentre io ero a
poche decine di metri di distanza dal punto dove il
ragazzo si era inabissato, a bagnarmi i piedi nella
battigia marina di un‟isola dalle spiagge bianche e
dalle alte palme. Ero lì, insieme ad altra gente, ad
osservare i resti di una catasta di assi marci alla
deriva, come inebetito.
94
L’ATTORE
“Ciao, ti ricordi di me? Sono mk69 o, almeno,
credo di esserlo forse, non ne sono più tanto sicuro.
Sono un tantino confuso.”
“Fatti guardare bene. Ah sì, ora forse ricordo.
Ma si può sapere chi diavolo sei?”
“Mah, lasciamo perdere, cosa importa in fondo
chi sono. Hai mai parlato con qualcuno cercando
realmente di capire chi è veramente? No, non
credo, non credo proprio.”
“Beh veramente non so, non so che dire, perché
mi fai queste domande? Ma tu, tu credi veramente
di sapere chi sei?”
“Guarda, credevo di sì, un tempo forse sì, ma
adesso sono vittima di me stesso e della mia grande
passione. Sai, a me è sempre piaciuto recitare e
adesso faccio l‟attore a tempo pieno. Te lo dico in
confidenza a te e a te soltanto. Nessuno sa questa
cosa. Persino una parte di me non ne è al corrente.
Ebbene, con il passare del tempo sono diventato
abilissimo in questa arte, veramente! Ho imbrogliato
tutti quanti, compreso te. Vedi, dici che non mi
conosci, eppure sei mio fratello.”
“Ma che dici! Mio fratello è morto appena
nato.”
“Lo vedi? Lo vedi come ti ho imbrogliato bene?
Non ero ancora nato che già recitavo benissimo.
Così bene che tutti, mamma compresa, mi avete
creduto morto!”
“Guarda, io non ho tempo da perdere con un
deficiente che si compiace di sparare cazzate.”
95
“Mamma mia fratello, che caratterino! Mi parli
come se nella tua vita non avessi mai perso un
singolo secondo di tempo. Insomma, mi pare che tu
in quanto a tempo sprecato sia un vero maestro.
Dai, rilassati un attimino e fatti raccontare la mia
vita da attore, così almeno perdiamo un po‟ di
tempo assieme, sono tanti anni che non ci vediamo.
Devi sapere che dopo quella memorabile recita in
cui vi ho fatto credere di essere nato morto ho
smesso di recitare per parecchio tempo. Insomma
ho represso il mio istinto naturale (e il mio talento)
avvilendolo e avvilendomi. Fino a quando non ho
conosciuto quella meravigliosa ragazza che sarebbe
divenuta in seguito mia moglie. Appena la vidi fui
colto da una serie di emozioni contrastanti. Da un
lato avrei voluto farmi avanti e dichiararle tutta la
passione che provavo per lei, ma d‟altro canto il
mio essere timido, schivo e un tantino codardo mi
suggeriva, maldestramente, di fuggirle il più
lontano possibile. Alla fine, dopo una furibonda
lotta interiore, il mio io passionale ebbe la meglio e
una sera mi dichiarai. Purtroppo io ero (e sono)
bruttino, il mio viso espone un naso prominente, i
miei capelli da tempo hanno deciso di darsi alla
macchia, in aggiunta a ciò sono leggermente gobbo
e di certo il mio fisico non può definirsi atletico.
Così il mio goffo tentativo non andò a buon fine e
Sara (così si chiama mia moglie) mi mostrò, in
maniera delicata ma ferma, un bel due di picche
finemente ricamato con tanto di trine cucite a refe
doppio. Ma io, dopo un primo momento di
comprensibile scoramento, non mi diedi per vinto e
feci quello che meglio sapevo fare, recitai. Sì, non
guardarmi con quell‟espressione simile a una triglia
bollita. Recitai la parte del bello. Un‟interpretazione
da applausi! La poveretta, vedendomi così sicuro,
96
credette alla messinscena e dopo un po‟ il mio naso,
ai suoi occhi, divenne meno ingombrante e più
aggraziato, i miei occhi rimasero marroni ma
divennero più grandi e lucenti, mentre il mio corpo
subì un radicale mutamento: la gobba sparì
lasciando spazio ad un fisico atletico e prestante.
Insomma, per fartela breve, la poveretta cadde ai
miei piedi come una mela matura. Fu presa da una
passione così violenta e subitanea che mi colse
totalmente impreparato. E quando, in preda a
pulsioni irrefrenabili, mi chiese in quale posto
pensavo di portarla al fine di soddisfare i nostri
ardenti desideri rimasi sorpreso, senza parole,
alquanto imbarazzato. Lei capì che non ero certo
uno sciupa femmine, ma la cosa non le importava,
in fin dei conti ero così carino! Da allora non ho
mai più smesso di recitare.
Ma ora ti voglio raccontare del mio ultimo
capolavoro. Tu sai bene che non sono assolutamente
capace di scrivere, ricordi quanti bei quattro mi ha
rifilato la mia carissima professoressa di italiano?
Non puoi essertene dimenticato, eri mio compagno
di banco! Ah già, che sbadato che sono, tu mi
credevi morto e quindi non riuscivi a vedermi.
Perdonami, fratellino caro. Va beh! Comunque
nelle materie letterarie ero un vero e proprio
disastro ed è per questo motivo che infine sono
diventato ingegnere, anche se delle trasformate di
Fourier non mi è mai importato nulla, ma non dirlo
alla mia ex professoressa di matematica, che se
fosse ancora viva poveraccia potrebbe morirne. Mi
sto accorgendo che il mio racconto sta prendendo la
deriva della divagazione, ritornando al succo del
discorso, nonostante io sia un illetterato, quasi un
analfabeta, ho deciso di iscrivermi in un club di
letterati, gente in gamba che sa esprimersi bene,
97
alcuni di loro hanno scritto libri e hanno un senso
critico eccezionale. Ho scelto come nickname
MK69 tutto in maiuscolo, io che al massimo posso
essere mk69 tutto in minuscolissimo e già dal nick
ho iniziato a fingere alla grandissima. Poi ho
iniziato a scrivere poesie, ma ti rendi conto, io che
scrivo poesie! Un paradosso assoluto. Senza alcuna
nozione di metrica, avendo letto al massimo quattro
righe della Divina Commedia venticinque anni fa e
non sapendo bene nemmeno chi fosse il Boccaccio,
mi sono messo a scrivere versi nella più nobile fra
le arti. Ho interpretato talmente bene la parte del
poeta colto e raffinato che qualcuno si è persino
complimentato per come scrivo! Ho addirittura
ottenuto una menzione d‟onore ad un concorso di
poesia, capisci quello che ti sto dicendo? Credo che
questa sia stata la mia recita migliore, il mio
autentico Capolavoro. Sono riuscito a recitare con
le parole, lo strumento che, per mia natura, è quello
a me meno congeniale.”
“Perché mi racconti tutte queste cose così
compiaciuto? Io non ti conosco, tu non sei mio
fratello, sei solo uno svitato che mi sta importunando.
Per piacere togliti dai piedi e vai a rompere i coglioni
a qualcun altro.”
“Ma come non sono tuo fratello! Non ti ricordi
che il Natale scorso mi hai regalato un disco degli
MK? Sì, proprio loro, quelli con la MK maiuscola.
Ti rammenti mentre io e lui adolescenti
guardavamo annoiati gli altri, quelli che si
divertivano (c‟eri anche tu con loro, ricordi?), poi
lui ha deciso di salire su un palco ad annoiare quelli
che in passato annoiavano lui. Ma questo e` un‟
altro discorso, la solita divagazione che mi assale di
tanto in tanto.”
“Ah… forse, forse ricordo... A proposito di
98
divagazioni, ho visto la zia ieri sera, sai? Mi
sembra che stia meglio ora”
“La zia è morta caro mio, solo che si è
dimenticata di smettere di respirare.”
“No, non è possibile, vuoi offendere la mia
intelligenza e la dignità di nostra zia? È viva e mi
ha pure fatto dei discorsi profondissimi.”
“Già, è incredibile come la zia da morta sia più
intelligente di quando era viva! Ha quello sguardo
profondo quando le esponi i tuoi problemi, come a
dirti „Guarda sono tutte cavolate, osservami bene,
osserva come diverrai.‟ Quello sguardo spento che
adesso si porta addosso è illuminante. Ora, da
morta, ascolta le persone come non aveva mai fatto
prima, evita accuratamente di parlargli sopra e alla
fine dispensa consigli e consola. Non ha mai avuto
così tanti amici, povera zia. Tutti lì in processione a
trovarla, spesso con un mazzo di fiori.
Ricordi quando tu e la mamma mi avete gettato
nella spazzatura perché credevate che fossi morto?
Beh è stata la zia a recuperarmi e a crescermi. Per
me lei è stata come una vera madre.”
“Tu non ci sei con la testa, lasciami, vattene via
per favore o non rispondo più delle mie azioni,
davvero!”
“No, non morirò di nuovo, non permetterò che
tu mi getti via ancora una volta. Ci sono troppe
cose che non sai e ti voglio troppo bene per
tacertele.”
“Ma se ho cercato di ucciderti, perché tu vorresti
proteggermi?”
“Perché... perché sono tuo padre!”
“Ma... ma… io... io ho sempre pensato di essere
orfano di padre, non è possibile! Papà… papà!”
“Hai visto cugino come sono bravo? Sono
proprio un attore nato!”
99
UN FOGLIO SOTTILISSIMO
Me lo ricordo ancora, lui così alto, mentre
camminava con passo sicuro, con quei suoi lunghi
capelli biondi.
Quanta invidia provavo, io che ero quasi
completamente calvo, ad appena ventidue anni.
Avevamo ottenuto quel lavoro mal remunerato e
con un contratto immancabilmente a termine, ma
eravamo felici. Per due mesi avremmo potuto
guadagnare qualche soldino, che poi ci saremmo
scoppiati in lunghi week-end che avremmo
trascorso in discoteche impasticcandoci con acidi e
bourbon in compagnia di qualche ragazza
disinibita. Progetti per il futuro non ne avevamo, il
futuro era una parola che non ci riguardava, una
specie di entità astratta per la quale non valeva
nemmeno la pena di vivere. A noi interessava solo
il presente, il presente era questo ed era ciò che
volevamo. Sì, lo sapevamo che circolavano i soliti
discorsi sui bamboccioni (categoria alla quale noi
appartenevamo di diritto), con fior fiore di
psicologi interpellati per spiegare il fenomeno, talkshow e ministri che si dilungavano in chiacchiericci
sul degrado dei giovani parassiti che succhiano il
sangue ai propri genitori. Ma a noi non importava
nulla di quei discorsi patetici, da vecchi. Non erano
proprio loro che, in fin dei conti, ci avevano rubato
il futuro? E adesso avevano pure il coraggio di
disquisire saccentemente sul nostro stile di vita e la
faccia tosta di farci le pulci. Ipocriti!
Ma torniamo alla nostra storia, che non voglio
100
disperdere in discorsi rancorosi. Ricordando quei
maledetti giorni, mi sembra sia stato ieri il nostro
primo giorno di lavoro. Ci presentammo tutti e due
nell‟ufficio del padrone visibilmente emozionati
(era quello, sebbene a termine, il nostro primo vero
impiego). Il proprietario dello stabilimento era un
uomo sulla cinquantina, brizzolato, corpulento,
aveva una faccia bonaria e cercava di essere
simpatico con noi. Si presentò, fece alcune battute a
sfondo rigorosamente sessuale, e alla fine ci disse
poco o nulla del lavoro che dovevamo iniziare
subito dopo. Immagino che avesse ritenuto
irrilevante parlare di quello che dovevamo fare,
probabilmente perché, data la semplicità delle
mansioni affidateci, non giudicava necessario
tediarci con discorsi superflui. L‟unica cosa che mi
colpì fu che ci informò del nostro ruolo di risorse
allocate al reparto di finissaggio, parola di cui
ignoravamo (e tuttora ignoro) il significato.
Prima di accomiatarsi ci raccomandò di fare
molta attenzione poiché, sebbene il nostro compito
non fosse dei più difficili, comportava dei rischi. Le
condizioni in cui lo avremmo svolto erano fuori
dalle norme di sicurezza previste dalle vigenti
norme di legge e un getto di vapore o il contatto
con parti meccaniche surriscaldate potevano ferirci
anche gravemente, mettendo in cattiva luce il nome
dell‟azienda.
Lavorammo regolarmente senza intoppi per circa
due settimane. Era un compito veramente facile,
particolarmente adatto a giovani senza esperienza
lavorativa come noi. In pratica dovevamo solo
tenere monitorata la temperatura di una macchina
che spruzzava un getto di vapore caldo sopra i
tessuti che venivano portati fin lì da un nastro
trasportatore. Di tanto in tanto i getti si ostruivano e
101
noi, a quel punto, dovevamo bloccare la macchina e
pulire gli ugelli dai quali veniva sparato fuori il
vapore. E fu proprio durante lo svolgimento di
questa operazione che la tragedia si consumò.
Giorgio notò che il getto si era notevolmente
affievolito, quindi mi intimò di bloccare la macchina.
Cosa che, ovviamente, feci immediatamente. Si
avvicinò quindi cautamente ad essa, visto che le parti
meccaniche esposte erano particolarmente calde, e
iniziò a svolgere quella che era ormai divenuta
un‟operazione per lui consueta. Io, intanto,
controllavo la macchina, pronto a farla ripartire al
suo comando. All‟improvviso vidi la temperatura
del vaporizzatore schizzare oltre i limiti di guardia.
La cosa mi colse di sorpresa, perché era stata
bloccata e non credevo che si potesse surriscaldare.
Sinceramente non so nemmeno se quel
malfunzionamento fosse stato previsto, nessuno mi
aveva detto di prestare attenzione a un simile caso.
Fatto sta che ritardai per qualche maledetto
secondo la manovra di messa in sicurezza, che poi
era quella di spegnere definitivamente la macchina
e avvisare Giorgio del pericolo. Quel ritardo fu
fatale. Un getto di vapore caldissimo investì il mio
amico, che senza dire una parola cadde a terra privo
di sensi. Rimasi allocchito davanti al monitorino
del vaporizzatore per un tempo che non saprei
quantificare. Infine riuscii a prendere coraggio e mi
avvicinai al suo corpo esanime. Sembrava che
stesse dormendo, non c‟erano particolari segni di
ustioni, al punto che mi illusi che fosse stato colpito
solo di striscio dal getto di vapore caldo e fosse
ancora vivo. Allungai le mani verso di lui e iniziai
a tirarlo per i lunghi capelli per trascinarlo verso di
me (temevo che il pavimento e le parti meccaniche
fossero bollenti e non mi azzardavo, codardamente,
102
a raggiungere il luogo dove si trovava il corpo).
Improvvisamente la testa del mio amico si staccò di
netto e mi rimase in mano sottilissima, come se
fosse un foglio di carta. Ma la cosa più
impressionante era che quel foglio non gridava (o
perlomeno, se lo faceva non lo sentiva nessuno).
Giorgio, il mio amico d‟infanzia, era muto, un
foglio senza volto, senza inchiostro, pronto ad
essere cancellato appena fosse uscito dalle mura di
quella stanza. Come se l‟aria aperta avesse
orizzonti troppo grandi per contenere la sua storia.
Una storia che non aveva nemmeno più una
maschera dietro la quale nascondersi.
103
IL RIFLESSO DI LAZZARO
Era la prima volta allo stadio per lui. Aveva solo
sei anni ma si sentiva grande. Con la mano ben
stretta in quella del suo papi non smetteva mai di
guardarsi attorno. Era stupito, tutti quei colori, quei
canti, quella gente che camminava all‟unisono
come se facesse parte di un unico organismo
colorato che procedeva in un‟unica precisa
direzione. Tutti quanti, quel luogo verso il quale
procedevano, lo chiamavano il tempio e quando lo
vide spuntare da dietro le case rimase senza parole.
Una struttura così grossa e imponente era
inimmaginabile per lui. Sgranò i suoi occhi di
bimbo in un‟espressione di stupita meraviglia, era
come se stesse sognando.
E arrivò il momento del fischio di inizio in
un‟esplosione di cori e colori. La palla si muoveva
frenetica in mezzo a quel campo verde che gli
sembrava non finisse mai. Ascoltava, non senza
divertita meraviglia, pittoreschi rimbrotti verso un
omino in giacchetta nera che sembrava prendere
decisioni in mezzo al campo, incurante delle
esplosioni di bile che scoppiavano sugli spalti,
come se potesse reggere lo sguardo di tutta quella
folla senza paura. “Ci vuole un bel coraggio”,
pensò ammirato. Vide la palla gonfiare la rete, la
sua squadra era passata in vantaggio e non avrebbe
mai potuto immaginare quello che sarebbe successo
da lì a poco. Osservò gli adulti, omoni grandi e
grossi, che piangevano dalla gioia come bambini e
si abbracciavano l‟uno all‟altro come se fossero
104
stati degli amanti. Nei loro occhi c‟era una luce che
non aveva mai visto prima e spandeva una felicità
contagiosa che presto lo prese per mano e lo
sollevò da terra. “Grazie papi” disse e gli schioccò
un bel bacio sulla fronte sudata. Era proprio
contento.
Al fischio finale uscì in mezzo alla folla
rumorosa. Stava ad ascoltare stupito i discorsi dei
grandi i quali, per una volta, gli sembravano più
piccini di lui. Passarono accanto ad una bancarella
che vendeva magliette della loro squadra. “Papà mi
compri una maglietta? Ti prego”, il papi non seppe
dirgli di no e un attimo dopo si ritrovò a indossare
la divisa della sua squadra del cuore.
Camminavano mano nella mano lui e il suo
papi, lui piccino con la manina infilata nella grossa
mano del padre che la avvolgeva come una grossa
coperta di spessa lana. Si sentiva al sicuro al fianco
di quell‟omone grande, grosso e buono come un
cucciolo un po‟ troppo cresciuto. Si stava godendo
tutto quello che gli stava regalando quel fantastico
pomeriggio, gli odori che provenivano dai chioschi
ambulanti abbarbicati ai lati delle strade che per
una volta, con suo grande stupore, erano chiuse al
traffico, i colori di quella folla multicolore e infine
il tiepido calore di quella giornata tersa di fine
settembre.
All‟improvviso udì uno stridore alle loro spalle e
delle grida seguite dallo scalpiccio di persone che
fuggivano terrorizzate. Le ruote di uno scooter
sgommarono e sopra il sellino due giovani con il
volto coperto sfrecciarono nella loro direzione.
Venne abbagliato da qualche cosa, dovette mettersi
la mano davanti agli occhi e poi…
105
Vide la lama di un coltello piantarsi nella
carotide di suo figlio. Sentì un suono sordo come se
nel silenzio il mondo fosse crollato o fosse stato
risucchiato. Vide tutto al rallentatore, come se le
immagini fossero filtrate attraverso un effetto
stroboscopico, come se nel suo cervello ci fosse un
regista perverso che scegliesse accuratamente le
istantanee e gliele mostrasse in sequenza per dargli
il tempo di fissarle bene nella mente. Mosso da una
forza a lui aliena si mise a rincorrere la motoretta.
La raggiunse e con una poderosa spallata gettò a
terra conducente e passeggero. Vide l‟uomo che
aveva appena ucciso suo figlio alzarsi e darsi,
veloce, alla fuga. Inutilmente. Gli balzò addosso
con tutti i suoi 98 chili e iniziò a pestare come non
aveva mai fatto in vita sua. Afferrò la testa del
ragazzo e prese a sbatterla con forza sulla ringhiera
di ferro battuto che si trovava alla sua destra.
Aveva le nocche completamente ricoperte di
sangue quando si sentì improvvisamente trafiggere
il petto da una fitta ghiacciata e dolorosissima.
Aveva affondato il coltello nel petto di
quell‟uomo come se fosse stato fatto di burro. E
adesso per la prima volta lo vide in volto. Aveva
un‟espressione indicibile, quegli occhi erano
terribili. Il riflesso di un odio che aveva visto molti
anni prima negli sguardi di suo padre quando,
sbronzo, tornava a casa e iniziava a riempirlo di
botte. Ma era l‟espressione complessiva del volto
che aveva qualche cosa di sinistro e innaturale.
Mentre lo guardava ebbe la certezza che per lui
fosse giunta la fine.
106
Lo spettacolo che si parava di fronte ai miei
occhi era agghiacciante. Nonostante ormai da molti
anni prestassi servizio nella Croce Rossa, ciò che
vidi era unico nella sua tremenda tragicità. Davanti
a me c‟era un uomo zuppo di sangue con un
coltello piantato nel cuore, in piedi, rigido e quasi
immobile, che nella mano destra stringeva i capelli
di una testa completamente insanguinata e deforme,
sbattendola ritmicamente con forza contro una
ringhiera arrugginita cosparsa di brandelli di
cervello. A parte questo movimento, l‟uomo
sembrava imbalsamato e il movimento era
meccanico, ripetitivo e precisissimo nella sua
periodicità, come quello di un orologio a pendolo.
Erano movimenti clonici, ma talmente tragici e
grotteschi che davano l‟impressione di essere
soprannaturali.
Si era formato un capannello di persone intorno
alla scena che osservava ammutolita, con gli occhi
sgranati. Un senso di angoscia aleggiava nell‟aria
depositandosi su ogni essere vivente che si
ritrovava a posare i suoi occhi sopra quello
spettacolo assurdo.
Ma l‟immagine che mi porterò sempre appresso
è quella del volto del padre. In esso era dipinta
un‟espressione che conteneva allo stesso tempo un
dolore e un odio che definire disperazione era
riduttivo.
Era il riflesso del dolore di un padre e di un
bimbo e di tutto il tempo che gli era stato rubato.
107
LA BARRANTANA
“Ti ho vista mentre ti nascondevi. Sei stata
veloce e furba, ma ti ho vista e non ti darò tregua,
puoi starne certa. Rimani lì buona buona, mentre
vado a prendere la mia arma. Tornerò fra un
secondo. Sai che non ti voglio lasciare qui tutta
sola. Potresti avere paura e io non lo voglio, lo sai
vero? Eccomi di nuovo qui, sono stato veloce come
un lampo, contenta? Adesso con il manico di
questa scopa ti schiaccerò, ma solo un pochino,
appena quel tanto che basta per mandarti al
creatore, brutta scolopendra assassina. Accidenti,
questa fessura è troppo stretta, non riesco a stanarti,
bruttissima figlia di buona donna. Ti sei nascosta
bene, eh? Accidenti a me, non ho nemmeno un po‟
di sanissimo veleno per insetti in dispensa e oggi è
domenica, tutto chiuso in questo paese di morti
viventi. Ti piace la casetta che ti sei appena
trovata? Forse non è giusto portarti via da lì. E che
diamine, non voglio certo farti credere che io sia un
padrone di casa inospitale. Va bene, puoi rimanerci
pure e ci puoi stare per tutta la vita. Sì, sì, proprio
così e non ti chiederò nemmeno l‟affitto. Sono
proprio un bravo ragazzo, vero? Scusa ma ti devo
proprio lasciare ancora un attimo da sola, rimani
pure lì comoda, non disturbarti a gironzolare che
intanto non c‟è nulla di interessante da vedere qui
in giro. Io così vado in dispensa, prendo un po‟ di
stucco e chiudo quella fessura che ti fa entrare in
casa tutto quel freddo, poverina!
Brutta cattivella, dove te ne sei andata? Perché
108
non sei rimasta nella tua casetta al calduccio? Dai
fatti vedere che ti voglio accarezzare, non fare la
timida con me. Accidenti, ti ho cercata tutto il
santissimo giorno, ma niente. Ti sei vaporizzata!
Ma ci sei ancora? Sei ancora qui? Basta, per quanto
tu mi stia simpatica non meriti tanta attenzione. Io
sono stanco e me ne vado a dormire, mi
raccomando, se sei ancora in bagno, vedi di
startene lì buona buona e cerca di non venirmi a
trovare in camera da letto. Sai, ho una ragazza
molto gelosa e se venisse a sapere che dormiamo
nella stessa stanza la prenderebbe a male, davvero!
Non so proprio cosa ci potrebbe fare, mi vengono i
brividi al solo pensarci. Buona notte.”
Spense la luce e in breve tempo si mise a
sognare. Nel sogno si ritrovò proiettato indietro nel
tempo, all‟epoca di quel maledetto episodio che
cinque anni prima segnò il suo destino
irrimediabilmente. Si rivide appena diciottenne
mentre tornava a casa insieme alla sua prima
fidanzata, Gloria, di sette anni più matura di lui.
Era stato un vero colpaccio. Nessuno dei suoi amici
credeva che potesse riuscire nell‟impresa di uscire
con una ragazza così carina e, per giunta, esperta.
Loro lo consideravano uno sfigatello. Per la verità
non era brutto, era alto, magro, non aveva difetti
fisici evidenti, ma era anche vero che non aveva
nessuna di quelle qualità che piacciono
particolarmente alle ragazze. Insomma non era
brutto ma nemmeno bello. Un tipo del tutto
ordinario che non si faceva notare. Ma
quell‟inaspettato successo lo aveva messo, agli
occhi dei suoi amici, sotto una luce diversa. Non
era più l‟insipido Giulio, ma era Giulio il ragazzo
che andava a letto con Gloria, la cameriera più sexy
del Trocadero.
109
Erano ormai quattro mesi che uscivano assieme
e voleva farla conoscere a suo padre. Era sicuro che
avrebbe cambiato faccia appena lo avesse visto
varcare la soglia di casa con quel meraviglioso
esemplare di femmina procace. Chissà cosa gli
avrebbe detto! Era curioso e divertito allo stesso
tempo e lo confessò ingenuamente alla sua
compagna, che rise maliziosamente. Girò la chiave
nella toppa della porta ed entrò. Suo padre era in
sala e stava guardando la solita trasmissione
sportiva. Poteva stare a guardare quella roba insulsa
per tutta la sera. Giulio non riusciva a capacitarsi di
come suo padre potesse fossilizzarsi tutto quel
tempo su di una poltrona ad ascoltare i soliti
discorsi triti e ritriti, sempre uguali. Era rigore o
non era rigore e il fuorigioco e la zona e la
marcatura ad uomo e l‟espulsione e l‟ammonizione
e così via per tutta la durata della trasmissione.
Oddio, un tempo suo padre, prima che sua madre lo
piantasse e se ne andasse di casa per stare assieme a
quell‟uomo di colore, era una persona molto
diversa. Era decisamente più vivace e spesso,
addirittura, riusciva ad essere brillante e simpatico.
Ma dopo quell‟evento si era fossilizzato. Era come
se tutta la sua energia vitale se ne fosse andata
anche lei da casa, abbandonandolo. Insomma, era
rimasto solo un involucro, come se l‟essere che si
trascinava ancora fra quelle mura fosse solo la
crisalide abbandonata di una farfalla.
Appena vide suo figlio accompagnato a quella
ragazza cambiò espressione, come da copione.
Gloria si mise a ridere, un sorriso bellissimo,
contagioso. Il padre era ancora giovane e portava
bene i suoi quarantatre anni. Giulio si accorse che
negli occhi di Gloria vi era qualche cosa che non
riusciva bene ad afferrare, ma che non gli piaceva
110
per niente, e anche negli occhi di suo padre c‟era
qualche cosa che non avrebbe dovuto esserci. Nei
giorni a venire non disse nulla di quella fastidiosa
sensazione prodromica di guai a venire, né a lei né
a lui, ma gli rimase nello stomaco, indigeribile.
Circa un mese dopo la sera della presentazione
Giulio tornò a casa due ore prima da scuola a causa
dell‟assenza di un professore. Appena entrò nel
cortile notò, con sorpresa, l‟auto di suo padre
parcheggiata. Gli parve strano poiché il padre non
gli aveva detto che non sarebbe andato al lavoro.
La mattina si era alzato presto, come al solito, e
avevano fatto colazione assieme, come sempre.
Insomma, si era comportato normalmente, come se
dovesse andare in ufficio.
Insospettito girò lentamente la toppa della porta
per fare meno rumore possibile. Sentì dei sospiri
provenire dalla stanza da letto di suo padre. Un
presagio poco piacevole fece capolino nella sua
mente mentre si dirigeva deciso, ma silenzioso,
verso la stanza. Spalancò la porta di colpo, entrò e
vide i corpi nudi di suo padre e Gloria avvinghiati
l‟uno all‟altro. Fu terribile, gli sembrò che il mondo
gli cadesse sotto i piedi. Si sentì sprofondare, come
risucchiato da una melma pestilenziale che lo
abbracciava senza lasciargli il tempo di respirare.
Vacillò come colpito da un oggetto pesante sul
capo. Uscì da quella stanza rapidamente, ma tutto
rimase confuso, sfocato, non c‟era più un oggetto al
suo posto, tutto danzava vorticosamente, le scale, il
lampadario, il mobilio, le poltrone, persino il
pavimento non voleva rimanere fermo. Dopo aver
lottato qualche secondo con un mondo che aveva
preso forme, colori e movimenti inconsueti si lasciò
cadere a terra svenuto.
Rinvenne sdraiato sul suo letto, assalito da
111
un‟angoscia indicibile. Pensò con che coraggio
avevano potuto tradirlo in quel modo. Da suo padre
poi non se lo sarebbe mai aspettato, che lurido
bastardo si era dimostrato! Ma gliela avrebbe fatta
pagare cara, eccome. Si alzò dal letto furibondo,
discese i gradini a due a due con balzi furiosi, fino
a giungere in cucina dove Gianni, suo padre, stava
mangiando. Gianni appena lo vide entrare cercò di
schermirsi e di scusarsi, gli disse che non sapeva
cosa gli era successo, che quella ragazza lo aveva
circuito, che si era sentito come preso da una forza
magnetica a lui ignota e contro la sua volontà si era
ritrovato a letto con lei. Non sapeva spiegare,
pregava e spergiurava con le lacrime agli occhi che
non avrebbe voluto farlo e continuava a ripeterlo
come un disco rotto, frammentato di tanto in tanto
dal pianto.
Giulio era indemoniato, ad ogni giustificazione
del padre s‟inferociva sempre di più, era
completamente fuori controllo. Cominciò a
spingerlo mentre il padre cercava di sfuggirgli per
evitare il contatto fisico, inutilmente. Alla fine
vennero alle mani. Volarono calci, pugni, schiaffi
in un crescendo di violenza e disperazione sempre
più esacerbato, fino a che un montante ben
assestato del padre non stese per terra il figlio. A
quel punto Gianni si voltò e fece per uscire dalla
cucina nella speranza che l‟increscioso incidente
fosse terminato, ma si sbagliava. Giulio appena lo
vide di spalle si alzò furibondo e lo spinse
violentemente. Gianni perse l‟equilibrio e cadde
pesantemente sbattendo la tempia contro lo spigolo
della madia. Dopo l‟impatto alleggiò nella stanza
un silenzio pesante come il piombo, a sottolineare
la tragedia che si era appena consumata. Giulio
capì all‟istante, senza nemmeno il bisogno di
112
verificarlo, la gravità di quanto era appena
accaduto. Sapeva che suo padre non era più lì con
lui, aveva intrapreso un viaggio senza ritorno a
corollario di un alterco che non ammetteva una fine
diversa da quella.
E venne il giorno del processo. Si ricordava di
quell‟aula solenne e di tutte quelle persone che lo
scrutavano come se fosse stato un animale. Ma
soprattutto si ricordava degli occhi di Gloria.
Riflettevano una strana luce, malvagia e malefica
come quelli di una strega e poi le tremende parole
che disse sul suo conto quando le fu chiesto di
testimoniare. Erano cariche d‟odio verso di lui, un
risentimento che non riusciva a comprendere
appieno e lo ferirono profondamente, come lame
affilatissime.
Venne letta la sentenza, che accolse con
indifferenza, un assoluto senso di vuotaggine si era
impadronito di lui durante tutto il tempo del
processo. Come se in quell‟aula non si stessero
giudicando le sue azioni ma quelle di una persona a
lui estranea. Fu condannato a tre anni di reclusione,
subito commutati in arresti domiciliari, visto che i
giurati non l‟avevano considerato un soggetto
socialmente pericoloso. Un successo, secondo il
suo avvocato, ma lui si sentiva colpevole e nulla,
da quel momento in poi, sarebbe stato come prima.
Il temporale lo svegliò di soprassalto,
riportandolo istantaneamente alla veglia.
“Accidenti, che temporale! Sembra che stasera
le streghe facciano festa sopra il Bricco Spaccato!
Ehi amica mia, mi senti? Sei in questa stanza? Fa
piacere avere un insetto simpatico e ciarliero come
te in queste fredde nottate un poco inquietanti.
113
Accidenti, che buio! Non si vede nulla, deve essere
saltata la luce. Aspettami cara, scendo dal letto e
vado a prendere una torcia, sei talmente carina che
ti vorrei vedere, non ti dispiace vero? Brr… come è
freddo il pavimento. Ah che male! Ah mi hai
morsicato, brutta bastarda! Che dolore al tallone!
Mamma mia, si è gonfiato come un pallone,
accidenti, devo raggiungere subito la dispensa nella
speranza che questa bestiaccia non mi morsichi
ancora. Dove sei, vigliacca! Non c‟è luce, mi
manca l‟aria, mi sento svenire, può essere ovunque
quella stronza bastarda! Mi senti? Dimmi che ti ho
fatto di male! Ecco, eccomi in dispensa, gli scaffali,
dove sono gli scaffali, ma perché è così buio,
Cristo! Calmati, calmati, respira piano cerca di non
tremare. Non c‟è nulla di cui preoccuparsi, è solo
uno stramaledettissimo insetto, forza, adesso con
calma cerchiamo a tentoni e vedrai che troveremo
la torcia in un batter d‟occhio. Eccola! Vedi, vedi
che con la calma si ottiene tutto? Non c‟era bisogno
di farsi prendere dal panico.
Click! Ora va meglio, ci voleva proprio, questa
luce mi tranquillizza non poco! Il tallone, mannaggia
se è gonfio, che male! Dove sei, bella bimba mia?
Non ti vorrai mica nascondere adesso, eh? Mi vorrei
divertire un pochino anch‟io. Dai, fatti vedere, non
vorrai mica farti schiacciare involontariamente, no?
Ti sei nascosta bene, eh, brutta puttana! Sarà
meglio ritornare sul letto, sarà più facile evitare che
tu mi colga di nuovo di sorpresa.
Accidenti che incubo, ma che ore sono? Dai,
forza sole, che aspetti a sorgere? Per una volta
potresti anche alzare la chiappe un po‟ prima, no?
Ma cos‟è questa nenia? Sembra provenire dal
Bricco Spaccato. Mi sembra di impazzire,
accidenti! Quanti lampi sopra quella maledetta
114
collina, non ho mai visto una cosa simile. E questa
musica inquietante che sarà mai?”
Un motivo tetro, ipnotico e ossessivo si diffondeva
nella stanza inducendogli stanchezza e spossatezza.
Giulio combatté con tutte le sue forze per non
sprofondare fra le braccia di Morfeo, ma invano.
Nonostante le continue torture alle quali aveva
sottoposto dita, guance e palpebre si addormentò
come un bambino nella culla.
Sognò una donna che non ricordava di avere mai
visto prima. Era completamente nuda, fatta eccezione
per un sottilissimo perizoma nero e un paio di calze
autoreggenti anch‟esse nere. Calzava un paio di
scarpe rosse con un vertiginoso tacco a spillo, che
slanciavano le sue belle gambe ben tornite. Stava
attraversando il ponte romano ubicato nel centro
storico del paese, ancheggiando in maniera
sensuale e provocatoria. Era una donna
decisamente bella sulla quarantina. Aveva due seni
enormi e sodi e i suoi capelli castani erano
intrecciati a formare una sorta di nido di serpenti
sinuosi e lascivi. In mezzo ai seni, quello che a
prima vista sembrava un grosso pendaglio non era
altro che la scolopendra.
Vide l‟insetto che camminava sul corpo di lei in
direzione della bocca. La donna si mise a leccare
l‟insetto lascivamente e a ricoprirlo di baci, nel
contempo cominciò a masturbarsi. Dopo aver
insalivato per bene l‟animale, se lo portò nei pressi
della vagina completamente rasata e vide
quell‟insetto insolente mettersi ad esplorare gli
orifizi di lei, che godeva in maniera spudoratamente
sguaiata, abbandonandosi a convulsioni orgasmiche.
Più la donna si dimenava come una indemoniata e
più gli elementi della natura si scatenavano come
comandati dal piacere di lei. Lampi, tuoni e pioggia
115
scuotevano l‟aria instancabili mentre un forte vento
di tramontana faceva volare foglie, polvere e
qualsiasi altro oggetto non saldamente ancorato al
terreno, producendo una sinfonia di rumori
abilmente orchestrati dal suo possente soffio.
Improvvisamente, proprio quando quella puttana
era arrivata al culmine del piacere e mentre attorno
a lei l‟universo intero si prodigava in un baccanale
perverso che saturava l‟aria di rumori osceni, calò
il silenzio. Vide la donna sorridere soddisfatta, poi
cambiò espressione e i suoi occhi lo fissarono con
odio. Sentì la sua voce rimbombargli nelle orecchie
come un eco che non ammetteva repliche.
“Imparerai a caro prezzo, sciocco, a mettermi il
bastone fra le ruote. Tu, pusillanime, inetto, hai
ucciso l‟uomo sul quale da tempo avevo posato i
miei occhi. Quanta fatica e quanta magia ho
sprecato per convincere sua moglie (tua madre) ad
andarsene, a lasciarlo a me, la Barrantana. Ma
dimmi, chi credevi che fosse Gloria? Ma come
potevi pensare che una donna così affascinante
potesse essere veramente interessata ad uno
sbarbatello come te? Tu eri solo un mezzo per
arrivare a lui. Che tu sia maledetto, ma adesso la
mia vendetta sta per compiersi. Ci rivedremo presto
all‟inferno, bye bye.”
E così dicendo gli inviò un bacio che lo svegliò
di soprassalto.
“Dove sei, dove sei, lo so, lo so che mi vuoi
uccidere. Animale del demonio vai via VAI VIA!
Ma... ma... è giorno! Dio tu sia ringraziato, era solo
un sogno, accidenti però se sembrava vero! Certo
che sono proprio uno sciocchino che si spaventa
con niente! Basta un semplice insetto un po‟
antipatico per indurmi tutte queste insulse paure.
Sono proprio ancora un ragazzino su questo, quella
116
specie di megera del sogno aveva ragione. Però che
bel morso che mi hai dato stanotte, insetto
malefico. Cos‟era, il bacino della buona notte? Ti
ringrazio, ma ne faccio volentieri a meno, capito?”
Si alzò e si diresse verso il bagno con
circospezione. “Accidenti che borse agli occhi che
ho! Ho dormito malissimo stanotte, mi si legge in
faccia. Tutto grazie a te, mia maledettissima amica.
Ma adesso, dopo che mi sarò lavato, faremo i conti
noi due. Ho tutto il giorno a disposizione per
stanarti, contenta? Non sai che bella festicciola ti
farò, vedrai sarà indimenticabile.”
Dopo aver ammonito la scolopendra si sciacquò
il volto, si rasò e si lavò con cura i denti, poi
controllò scrupolosamente allo specchio la dentatura
in cerca di eventuali carie. Era un‟operazione
quotidiana per lui, ossessionato dall‟igiene orale.
Spalancò per bene la bocca per vedere meglio i
molari, posizionando il volto verso la luce in alto e
l‟insetto balzò dal ripiano superiore del mobile a
specchio alla sua gola.
“Ah bastarda, cosa fai? Vuoi pungermi in gola?
Ahh che dolore! Puh… Ah che male, non respiro,
sto soffocando, aiuto, aiuto!” Imprecando
furiosamente, barcollava nel bagno in preda a
spasmi incontrollabili.
“Maledizione, cos‟è questa musica? Questi
violini sgraziati che suono perverso producono?
Sembrano arie immonde e queste chitarre distorte
suonano scale impossibili dalle pendenze verticali.
Come fanno a produrre suoni così disarmonici?
Quale mente malata può aver concepito e composto
queste melodie empie di simili dissonanze assurde?
Mio Dio, quali blasfemie contengono, il mio
cervello non è in grado di ascoltarle, vi prego, vi
prego, fermate questo folle direttore d‟orchestra
117
dagli occhi iniettati di sangue che divora i cervelli
con le note carnivore che lacerano la mia mente!
Fermatelo, fermatelo per l‟amor di Dio!”
Dopo aver urlato come un pazzo a squarciagola
per qualche secondo, che a lui parve un‟eternità,
cadde a terra esangue.
Arrivammo la mattina presto su segnalazione dei
vicini di casa che avevano sentito il ragazzo urlare
come un ossesso. Preoccupati avevano provato a
suonare il campanello e a telefonargli sul cellulare,
ma senza ottenere alcuna risposta.
Con l‟aiuto dei vigili del fuoco entrammo
nell‟appartamento e vedemmo il povero ragazzo
riverso in bagno, con il pallore tipico della morte a
incorniciargli il bel viso. Sul lavandino trovammo
delle pasticche di sostanze sintetiche delle quali i
giovani abusano senza nemmeno conoscerne la
composizione. Spesso anche chi li rifornisce ignora
la natura della merce che spaccia. Chi produce
questa roba è sempre in cerca di nuovi composti
allucinogeni che non possano ancora essere
catalogati come droghe e che risultino sostanze
legali per avendo effetti totalmente imprevedibili. I
ragazzi che le assumono sono delle vere e proprie
cavie che pagano per essere tali. E il prezzo, a
volte, è la vita stessa come, purtroppo, questo
giovane poco più che ventenne ha potuto constatare
personalmente.
Adesso immaginavo il nostro caro sadico
patologo impegnarsi alacremente con un bel ghigno
dipinto sul brutto volto. Il lavoro, quel giorno, non
gli sarebbe mancato, anche se la causa del decesso
era tragicamente evidente.
Io e il sergente scendemmo in strada a prendere
118
una boccata d‟aria, intanto lì non c‟era più nulla di
interessante da vedere. Mentre attraversavamo il
cortile udii una nenia monotona e inquietante
provenire da quella collina che la gente chiama
Bricco Spaccato. Una melodia che, per qualche
motivo recondito, mi procurò un forte disagio e un
lungo e insistente brivido attraversò tutto il mio
essere, allarmandolo.
Ho ancora la netta sensazione che anche il
sergente avesse udito quelle note malate e che,
come me, avesse fatto finta di niente. Ci
guardammo per un lungo istante negli occhi, poi,
come se niente fosse, accelerammo il passo senza
voltarci, fuggendo da un‟atavica paura della quale
avevamo dimenticato il nome e che non volevamo,
per nessuna ragione al mondo, ricordare di nuovo.
119
EUTANASIA DI UN COMPUTER
1. Prologo di un’eutanasia
Sensazionale! Ecco a voi l‟ultimo numero di
MK69.
Inizia così il testo dell‟ennesima bizzarria del
mio server, che ho chiamato per l‟appunto MK69.
Non riesco a comprendere cosa gli stia capitando.
Sono circa due anni che, a cadenza all‟incirca
bimestrale e apparentemente di suo pugno, stampa
plichi di fogli dattiloscritti pieni zeppi di poesie,
racconti e altre amenità. Sto cercando di trovare un
rimedio a questo suo comportamento bislacco,
invano. Ho richiesto anche il consulto di tecnici
molto preparati, conosciuti chattando in vari forum
informatici, ma nessuno di loro si è mai ritrovato ad
affrontare un problema simile.
Ho allora lanciato il mio potente antivirus per
cercare di stanare dei worm, trojan, adware,
spyware o qualsiasi altra diavoleria informatica che
potesse spiegare in modo plausibile questo
fenomeno incomprensibile, ma niente, tutti i
controlli non hanno rilevato alcuna anomalia.
Eppure eccoli qui questi fogli mentre escono dalla
stampante. Guardateli, guardate anche voi, dai su
leggete, leggete, non vi sembrano le mie stesse
parole? Ma come può una macchina, una semplice
macchina fatta di silicio e qualche condensatore
leggere il mio stesso pensiero e trasferirlo su carta?
Cosa sta succedendo? Piccolo mio, sono molto
preoccupato, ti ho accudito come un figlio e adesso
ti vedo sprizzare inchiostro da una stampante come
se fosse sangue.
120
Perché quelle facce allibite? Pensate forse che io
stia impazzendo perché mi preoccupo della salute
di un computer? Ma secondo voi chi ha passato
nottate intere sveglio coccolandolo, configurandolo,
crescendolo analiticamente, aggiungendogli moduli
software, notte dopo notte amorevolmente? Sono io
la persona che ha carpito i suoi primi vagiti mentre
imparava il linguaggio dei pc (il tcp-ip). Sono io
che l‟ho presentato alla comunità della rete, che
l‟ho protetto dal mondo esterno inserendo regole di
accesso nei suoi firewall, che ho reso sicure le sue
porte e ho crittografato i suoi pensieri. Ma che ne
sapete voi di tutta la fatica, l‟acribia e le ore di
sonno che ho impegnato per Lui? E ora sto male
nel vederlo delirare come un povero malato
mentale. È come se la mia anima fosse stata
risucchiata dai suoi circuiti e attraverso di essi mi
parlasse di qualcosa di importante che mi sta
sfuggendo dalle mani, che sto perdendo. E cerco di
carpire, fra queste finestre che si aprono sul
monitor, cosa c‟è che non va. Provo e riprovo, con
tutte le mie forze, a ritornare quella persona
analitica, scientifica, matematica che non ha mai
dubitato sul risultato di un‟espressione, ancorata
con fede cieca e ferma alle algebre che governano
il suo mondo. Ma la verità è che non ho spiegazioni
né certezze, quindi nemmeno soluzioni.
Che fare allora? Staccare la spina e porre fine a
questo stillicidio di fogli? So che è possibile
l‟eutanasia di un computer, al momento la legge
non la punisce, ma se staccassi quella spina quale
sarebbe l‟immagine che resterebbe di me? Quale
ricordo rimarrebbe impresso nell‟hard disk di mio
figlio? L‟immagine di un padre che si è arreso e
non gli ha voluto abbastanza bene per continuare a
nuotare in un mare senza senso. E io non voglio
121
questo, non voglio che si spenga quel suo sorriso
spensierato. Né io né nessun altro staccheremo
quella spina e so con certezza che continueranno a
piovere parole, pazienza se non saranno preziose o
se mi faranno male. L‟importante è riempire un
vuoto e a volte il vuoto può essere solamente una
pagina bianca.
2. Eutanasia di un Computer
Stanotte è successo quello che mai avrei potuto
immaginare, nemmeno nei miei incubi più folli.
Alle due, in mezzo al silenzio totale della quiete
notturna, si è levato un sibilo acutissimo che mi ha
svegliato di soprassalto. Subito mi ha assalito un
senso d‟inquietudine che si è trasformato in panico
quando ho visto che il server si era acceso da solo.
Mi sono alzato dal letto tremante e mi sono
avvicinato al monitor, per cercare di capire cosa
volesse il PC da me a quell‟ora di notte. E ho visto,
con estrema meraviglia, quello che nessuna persona
al mondo avrebbe mai osato pensare. In mezzo allo
schermo faceva sfoggio di sé il compilatore
Borland C++ e nell‟editor era scritto un codice che,
vi giuro, non avevo scritto io! Più che un codice
sorgente era un delirio scritto in C++! Guardate
anche voi che razza di listato mi si è parato davanti
agli occhi e ditemi, non è forse l‟opera di un folle?
WINAPI WinMain(HINSTANCE, HINSTANCE,
LPSTR, int)
{
while(FOREVER)
{
if(dolore “ soglia)
122
{
// giornata tipica di un essere vivente.
vita-”Aggiungi_dolore();
}
else
{
// Rimedi atti a sopravvivere.
for(int i = 0; i”30_day; i++)
vita-”Somministra_gocce(valium);
if(dolore “ soglia)
{
while(dolore “ soglia)
{
vita-“Visita-psicologica();
}
}
}
}
}
Ho letto e riletto il listato senza darmi pace e poi,
spinto dalla curiosità, ho lanciato la compilazione di
quel progetto intimamente convinto che fosse pieno
di errori e non fosse in grado di generare un
eseguibile. Ho pigiato il tasto F7 con sufficienza e
con stupore ho constatato la terminazione corretta
del processo di compilazione (ha rilevato solo
qualche innocuo warning, ma nessun errore fatale).
A questo punto ero combattuto, da una parte il mio
carattere curioso mi imponeva di eseguire il.exe
prodotto al fine di verificare cosa sarebbe successo,
dall‟altra il mio animo timoroso ne era terrorizzato.
Infine mi feci coraggio, appoggiai le dita tremolanti
sul mouse e feci un doppio click sulla shortcut del
nuovo eseguibile, lanciandolo.
123
Per qualche secondo, che a me parve un‟eternità,
non successe nulla, pensai che il processo fosse
crashato appena partito, ma all‟improvviso si
levarono dalla stampante una sequela di rumori
disarmonici e fastidiosi che smentirono ogni più
ottimistica ipotesi. Fu allora che vidi sprizzare dalla
stampante, che sembrava una fontana impazzita, un
mare d‟inchiostro che s‟infranse sulle pareti della
stanza. Quando le pareti della camera erano ormai
ridipinte, un fischio acutissimo si levò dagli
altoparlanti, spenti, del PC. Nel mentre mi parve di
sentire le risa sguaiate di una donna che mi stordiva
con il suo profumo e forse anche con la sua carne,
allora presi l‟unica decisione possibile, staccai la
spina. Lo feci e a malincuore, piangendo, ma la
staccai. Capitemi per favore, c‟è un regolamento
condominiale da rispettare, non si può fare rumore
dopo le 11 di sera e prima delle 8.30 del mattino.
Non si può disturbare la quiete del palazzo con i
lamenti insensati provenienti da una macchina
impazzita. Spero che mi possiate capire e quindi
perdonare. Ho cercato di dargli voce fino a che ho
potuto, fino a quando sono stato in grado di
controllare e arginare la sua follia. Ma adesso tutti
avrebbero saputo, avrebbero visto quelle macchie
di inchiostro e avrebbero sentito i lamenti notturni
di un malato mentale. E avrebbero compreso che
quel malato ERO IO.
3. Epilogo di un’eutanasia
Siamo entrati in casa dopo una chiamata dei
vicini che, preoccupati dei rumori e delle grida che
per buona parte della nottata si erano levate
dall‟appartamento, avevano provato inutilmente a
124
bussare e telefonare a Stefano, l‟inquilino del
quarto piano. Appena mi si è parato innanzi lo
stabile, un‟angoscia profonda si è impadronita del
mio essere. Quell‟edificio era lo stesso nel quale,
solo la settimana precedente, avevamo trovato il
cadavere di quel povero ragazzo ucciso da una
pasticca sintetica. Una coincidenza? Possibile?
Appena entrati nella camera da letto una scena
agghiacciante ci ha accolti. Abbiamo visto Stefano
disteso a terra, pallidissimo, con i polsi recisi. Le
pareti della stanza erano completamente ridipinte
dal sangue, tanto che era impossibile persino
cercare di intuire quale fosse il loro colore
originale. Il PC era acceso e mostrava il video di
una donna nuda in pose provocanti. Una bella
femmina, magra, sui trentacinque anni, la
carnagione scura, la pelle liscia e levigata. Il seno,
di medie dimensioni, si adattava armoniosamente
con le sue forme agili e aggraziate. I suoi occhi,
verde smeraldo, erano intensi e promettevano le
fiamme dell‟inferno. Sopra il seno sinistro aveva un
nome tatuato. Lo lessi, Miodina. Non so per quale
motivo, ma quel nome non mi risultava estraneo,
anche se non riuscivo a capire cosa lo rendesse
familiare. Mi sembra ancora impossibile, ma se ci
ripenso, non posso fare a meno di credere che
quella donna mi potesse vedere dal monitor del PC.
Infatti, dopo avermi squadrato intensamente, mi
diede un bacio virtuale, ma a me parve di sentire le
sue labbra carnose appoggiarsi sulle mie. Ancora
adesso percepisco la sua lingua che mulina, avida,
dentro il mio palato. Da allora non posso fare a
meno di pensarla, così come non posso dimenticare
la frase che mi disse prima di svanire come se fosse
stata un sogno: “Pietro,un giorno di incontreremo
nel bosco al tramonto e profumeremo come i fiori
125
di glicine che ho raccolto per te.”
Mentre rimugino per ore ed ore sulle poche
parole che pronunciò prima di lasciarmi, non posso
fare a meno di alimentare un fuoco che mi divora
dentro e cerca di portare i miei passi in direzione
della collina che sembra voler fare la guardia al
mio paese.
Quella collina, che la gente del luogo chiama
Bricco Spaccato, sembra mi voglia richiamare a sé
e so bene che un giorno, non so quanto lontano,
dovrò incamminarmi fra quei boschi in cerca della
soluzione a questo mistero. E forse il prezzo che
dovrò pagare per ottenerla sarà la mia stessa vita.
Dattiloscritto inviato automaticamente. Si
pregano i gentili lettori di cliccare sopra il seguente
bottone di deregistrazione nel caso in cui non si
voglia più ricevere, in futuro, composizioni e
materiale prodotto da questo sistema informativo.
Cordiali saluti,
MK69
DEREGISTRAMI
126
IL BRICCO SPACCATO
Ed eccomi qui mentre salgo via Ronco e mi
appresto a raggiungere quel bosco ribattezzato dai
locali Bosco delle ninfe. Poco prima che la via che
sto percorrendo diventi sterrata, svolto sulla destra
in una stradina che presto diventa dissestata e
quindi si restringe fino a diventare sentiero. Alla
mia sinistra, adesso, posso vedere una piccola
casetta abbandonata in mezzo agli alberi. Così
minuta e discreta, sembra quasi volersi nascondere
in mezzo alla fitta vegetazione. Un tempo doveva
avere un grazioso giardino, che adesso l‟incuria e
l‟abbandono, stanno gradatamente trasformando in
boscaglia.
Immagino che ora vi stiate chiedendo per quale
motivo uno stimato ispettore di polizia si metta a
dar credito ad antiche leggende locali e si ritrovi a
percorrere un sentiero di campagna poco prima che
scocchi la mezzanotte. A dirvi il vero, risposte a
questa domanda non ne ho. Forse dovreste chiedere
all‟autore di questa storia, che decide senza
nemmeno prendersi la briga di interpellarmi. Io
sono solo il prodotto della fantasia di un tizio che
pigia i tasti di un palmare, non vi dovete rivolgere a
me per sapere le ragioni che muovono i miei passi
su questi sentieri sporchi d‟inchiostro ancora
fresco. Fosse stato per me, ne avrei fatto volentieri
a meno, a quest‟ora tarda avrei preferito dormire,
altro che andar per boschi a caccia di misteri con
questa torcia dalla luce malferma che l‟aspirante
scrittore mi ha messo nelle mani.
127
Adesso, in compagnia di questa fioca luce, mi
trovo proprio sul limitare del bosco. Arrivato a
questo punto, anch‟io mi chiedo dove trovare il
coraggio necessario per poter compiere il prossimo
passo. A questo dettaglio, forse, il pigia tasti non
aveva pensato, poiché in fondo chi si deve
addentrare nella boscaglia sono io, mica lui, che se
ne sta a scrivere con il sedere al caldo, sorseggiando
tranquillamente una tazza di tè. Che venga qui e lo
faccia lui il benedetto passo e mi lasci in pace nel
mio mondo di fantasia, dal quale mi ha sequestrato
senza averne il titolo. Anche se, a essere sincero, a
spingermi nel buio delle frasche non è solamente
lo… ehm… “scrittore”, ma anche un richiamo
invisibile che spinge i miei passi in questi luoghi
ripidi e ombrosi, come se qui, fra queste erte, fra
questi odorosi pini marittimi, potessi finalmente
trovare le risposte alle domande che il mio essere si
pone a mia insaputa. Insomma sono trascinato da
un istinto primordiale che risponde ad un richiamo
misterioso. E forse, questo richiamo, ha gli occhi di
fuoco della Miodina. So che potrebbe essere
un‟assassina, ma una parte di me ne è fatalmente
attratta, sebbene io sia consapevole che questo mi
farà soffrire terribilmente e che potrei cacciarmi in
guai di proporzioni inimmaginabili.
Non mi rimane altro da fare che incamminarmi
nel buio impenetrabile, fra carezze di frasche che
mi sfiorano e radici pronte a tendermi imboscate ad
ogni passo. Avanzo, con la circospezione suggeritami
dalla conoscenza di questo sentiero maledetto.
Parecchie volte mi ci sono addentrato con la bici,
quindi so che qui il bosco è ripidissimo, uno
strapiombo che si incunea nella montagna
dividendola in due parti quasi simmetriche. La gola è
talmente stretta che impedisce alla luce di filtrare nel
128
fondovalle persino in pieno giorno, tanto che
nemmeno i caprioli osano avventurarsi fra queste
ripe. Eppure avanzo, incurante dei pericoli,
concentrandomi sulle tracce di pneumatici che mi
pare di scorgere, scuri sul sentiero che si
aggroviglia come fosse un serpente pronto a
mordermi. Ed ecco che, dopo una secca svolta,
intravedo una luce in lontananza. Mi avvicino
guardingo, con il cuore che sembra voler schizzare
fuori dal petto e tutti i sensi allertati dal suono di
una nenia antica che si diffonde nell‟aria, un canto
ormai dimenticato, ma che è ancora vivo nei recessi
bui del mio subconscio. Una figura in lontananza
comincia a prender forma vicino alla debole luce di
un fuoco, man mano che la distanza fra me e lei si
riduce la sua definizione si arricchisce di
particolari. Riesco a riconoscere un‟anziana signora
vestita di stracci con un cappellaccio in testa. Bassa
di statura e ingobbita, indossa collane di denti
animali e i polsi sono ornati da spessi braccialetti
pacchiani. Un fitto reticolato di rughe ricopre ogni
centimetro quadrato del suo volto e, in mezzo alla
pelle incartapecorita, due occhi scintillanti e vivi si
muovono frenetici contemplando ogni cosa. La
osservo rimestare instancabile il contenuto di un
pentolone appoggiato su una grata sopra la brace
incandescente. Vorrei scappare via mentre una
paura atavica, primordiale, si impadronisce delle
mie viscere, ma un sentimento contrapposto e di
egual intensità si insinua in me infondendomi il
coraggio di parlare:
“Buona sera signora, bella serata, forse un po‟
umida ma fresca, non trova? Perdoni la mia
impertinenza, ma cosa fa a quest‟ora tarda nel
bosco? Non crede che sarebbe più saggio e salutare
stare a casa al caldo?”
129
La vecchia mi fissa per qualche istante e poi
scoppia in una risata roca e stridula che mi penetra
nelle orecchie. Mi guarda compassionevole e
continua a rimestare, incurante della mia presenza. Io
rimango ad osservarla imbarazzato, vorrei avere
qualcosa da dire per stemperare la tensione, ma
rimango in silenzio. Forse sto sognando? Dovrei
passarle innanzi e continuare il mio cammino come
se niente fosse? Oppure tornare indietro e
dimenticare questa storia dai contorni fiabeschi? In
tutta risposta ai miei pensieri, la vecchia si mette a
parlare:
“Non tornerai indietro, ciò che hai visto ti ha
turbato e cerchi colei che è entrata nei tuoi sogni e
non ti dà pace. Sei qui anche per altri motivi che tu
sai, ma che ti rifiuti di accettare e se su questa
strada ti incamminerai, lei che desideri infine
troverai. Ma tu vuoi sapere di più. Vorresti sapere
chi sono, anzi, per meglio dire, chi siamo e cosa ci
facciamo in questo bosco. Ci hanno chiamate con
molti nomi nel corso degli anni e siamo sempre
esistite. All‟inizio venivamo definite wicche ed
eravamo considerate donne sapienti che utilizzavano
erbe ed unguenti per guarire i malati o per predire il
futuro. Ma l‟uomo purtroppo teme ciò che non
conosce e tende a demonizzarlo al fine di
annientarlo. A poco a poco venimmo identificate
come le schiave del demonio e la gente incominciò a
metterci in relazione con quegli animali misteriosi e
notturni come la civetta e il barbagianni. In ultimo ci
appiopparono un nome che ancora oggi ci qualifica
ignobilmente come un tatuaggio indelebile: streghe.
Ricordo ancora i tempi dell‟inquisizione fomentata
dalla chiesa cattolica e voluta principalmente per
sgomberare il campo da pericolose credenze
pagane. All‟epoca ero giovane e bella (anche se
130
sembra impossibile crederlo adesso) e ricordo
benissimo che a quei tempi si accendevano più
roghi per le strade che stelle in cielo. Fu un periodo
terribile per le donne che come noi conoscevano
l‟arte antica delle erbe mediche, il fascino della
seduzione (contrariamente all‟immaginario comune
noi siamo bellissime) e custodivano gelosamente
nei cuori i segreti del mondo vegetale. Un odio che
non riuscivamo a comprendere si abbatté su di noi
sterminandoci. Il mio corpo porta ancora, in
ricordo, le cicatrici procurate dalle ordalie alle quali
la cosiddetta Santa Sede mi sottopose. Furono
torture terribili alle quali solo poche di noi
sopravvissero e quante riuscirono a strappare la
loro anima dall‟angelo sterminatore non poterono
più dimenticare quanto malvagio e cinico possa
essere l‟animo umano. Per questo non ci siamo mai
stupite delle guerre, dei genocidi e degli olocausti,
causati dagli interessi di pochi avidi potenti, che nel
corso della storia si sono ciclicamente ripetuti. E
siamo fuggite da tutta questa follia, ci siamo
nascoste, auto relegandoci tra le fronde di questi
ombrosi boschi, lontane dall‟uomo e in compagnia
di quegli animali notturni con i quali la credenza
popolare ci voleva in combutta.”
La osservo inebetito, con la lingua paralizzata e
il cervello assalito da un flusso continuo di pensieri
da dipanare. Che le sue parole siano vere? È
possibile che un mondo magico, misterioso e
impenetrabile coesista con una realtà analitica e
razionale che non lascia spazio alla fantasia?
Oppure mi trovo semplicemente di fronte a una
vecchia pazza sfuggita da una delle innumerevoli
case di cura presenti sul territorio? Certo, se fosse
vero tutte le mie certezze verrebbero a crollare. In
fin dei conti chi mi garantisce che io sia il prodotto
131
della fantasia di qualcuno? Non potrei essere reale,
vivo, non solo lo sputo di una penna singhiozzante?
Magari proprio chi scrive è una mia invenzione, un
burattinaio inesistente, il prodotto di un foglio di
carta che ha bisogno di una terza dimensione per
spiegare l‟inesplicabile. E adesso questa vecchia,
che sembra riesumata da un passato lontano e
sepolto, mette in discussione ogni mio credo, ogni
mio passo. Quali altri incertezze e trabocchetti può
nascondere questo sentiero buio e insicuro?
Mentre sono assorto in questi pensieri, non mi
accorgo che la donna accanto a me sfuma, come
l‟immagine di un sogno al risveglio.
Allora avanzo con maggiore circospezione,
perché mi rendo conto che il sentiero che credevo
di conoscere in realtà mi è ignoto, ma continuo
sfidando il buio che mi avvolge come un sudario. E
finalmente, dopo parecchie svolte e dopo aver
assaggiato l‟umido della terra, mi ritrovo di fronte
alla stessa vecchia.
“Vedo che sei determinato a percorrere questa
via fino in fondo, allora permettimi di raccontarti la
storia delle mie due figlie, la Barrantana e la
Miodina, che presto incontrerai. Il secolo scorso la
maggiore delle mie figlie, la Barrantana, si
innamorò follemente di un signorotto locale.
Nonostante l‟utilizzo di filtri d‟amore il conte non
corrispose la sua passione perché era follemente
invaghito di una procace contadina. Mia figlia
impazzì dal dolore e, ottenebrata da esso, compì il
peggiore dei sacrilegi per una strega. Ripudiò la
propria natura, maledisse se stessa e, in preda
all‟ira, divise a metà la montagna che le diede i
natali. Ecco perché questa collina si chiama Bricco
Spaccato. Da allora mia figlia ha continuato a
comportarsi in modo oltraggioso e infamante.
132
Purtroppo aveva un forte ascendente sulla sorella
minore, la Miodina, che ne seguì presto le orme.
Adesso le scellerate si concedono alla modernità e
alla mondanità rinnegando gli insegnamenti del
passato, ribellandosi alla cultura millenaria che da
sempre governa le nostre azioni. Io ti consiglio di
tornare indietro e di dimenticarti delle mie figlie,
ma la decisione ovviamente è tua.”
Dopo aver proferito queste parole la vecchia si
dissolve ancora una volta, come un sogno, un
incubo o il vaneggiamento di una mente vicina al
collasso.
Devo essere proprio folle se decido comunque di
avanzare, nonostante le raccomandazioni che farei
bene ad ascoltare. Ma sono sicuro che questo
percorso in mezzo al bosco odoroso mi farà capire
qualcosa che adesso mi sfugge. Come se fra queste
radici, questi rami, queste foglie, potessi trovare
delle impronte che se riuscissi a decifrare mi
mostrerebbero finalmente lo scopo del viaggio
intrapreso, svelandomi la soluzione di un mistero
dimenticato.
Giunto in fondo all‟ansa che divide in due
questa montagna, una luce intensa si materializza di
fronte a me e posso vedere, vicine ad un fuoco, due
splendide donne. La prima è una bellissima e
avvenente quarantenne. Mi appare splendida, ha
due seni sodi e pieni e fra essi porta un pendaglio
d‟argento impreziosito da finissime pietre di
smeraldo. Ha i capelli sciolti a coprirle in parte il
bel viso regolare, dove due occhi marroni e intensi
mi osservano. La bocca, carnosa e ben
proporzionata, sembra disegnata da un pittore da
quanto è perfetta. Come soli indumenti indossa
calze nere autoreggenti e sandali rossi con
vertiginosi tacchi a spillo.
133
L‟altra donna è la Miodina. Snella ed elegante,
scura di carnagione e di pelo, ha due gambe e un
fondoschiena stupendi. I suoi occhi verde smeraldo
mi osservano maliziosi, mandandomi il sangue in
ebollizione.
Le vedo cominciare ad abbracciarsi e baciarsi
voluttuose, nel mentre la natura inizia a fremere
come se fosse viva e frotte di lupi scendono dalle
ripidissime ripe per disporsi in cerchio attorno a
loro. Il ballo delle due donne diviene sempre più
oltraggioso e sensuale, gli animali cominciano a
ululare e ad avvicinarsi ai loro corpi conturbanti. Si
sdraiano e si accoppiano con le bestie, gli acuti
latrati si diffondono in tutta la valle, mentre i rami
degli alberi si muovono energicamente. Persino la
terra si muove e pulsa e sulla sua crosta vengono a
formarsi delle crepe che esalano rigurgiti di libido.
Osservo la scena immobile e mi sembra che questo
luogo sia divenuto un‟immensa orgia alla quale
tutti gli elementi partecipano, mentre io rimango
l‟unico, involontario, spettatore.
Improvvisamente la Miodina si alza, allarga le
braccia e mi chiama a sé, con il suo sguardo
magnetico al quale non sono in grado di oppormi.
Cosa faccio adesso? Da un lato questo rito pagano
di accoppiamento promiscuo mi disgusta, ma
dall‟altro mi attrae potentemente. Mi muovo verso
colei che mi brama, quasi involontariamente. Chi
sono veramente? Davvero appartengo a questa
tenebra che mi abbraccia fin quasi a soffocarmi?
Voglio davvero mischiarmi con questi animali
seguendo gli istinti primordiali mai sopiti della
bestia che scopro ancora viva in me?
All‟improvviso la Miodina mi parla con la sua
voce suadente. “Pietro, ricorda perché sei qui,
ricordati della mia promessa.”
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E finalmente ricordo il motivo di questo assurdo
viaggio e capisco che la creatura che mi si para
innanzi non è un demonio né una strega, ma
l‟angelo più bello e infernale che io abbia mai
avuto la fortuna di incontrare. Comprendo
finalmente di essere soltanto un uomo e che
debolezze, tentazioni e tormenti non sono altro che
la conseguenza della mia fragile condizione. Non
mi resta altro da fare che andare da lei e riposare le
mie stanche membra sul suo armonioso corpo.
Sono convinto che il soffio della donna che adesso
ammiro, splendida, sarà diverso da quello delle
donne incontrate fino ad ora. Il suo alito avrà la
fragranza dell‟ulivo, dei fiori di glicine, del sale
marino, della tramontana e di tutte le essenze di
questa terra meravigliosa che ho trascurato per
troppo tempo, inseguendo l‟illusione di felicità che
qualcuno ha costruito per me. Perché non ho mai
capito cosa fosse veramente importante e adesso lei
mi sta aprendo gli occhi e mi sussurra all‟orecchio
che vale più un gesto d‟amore, anche solo un fiore
o una carezza, di una carriera o di una corsa
sfrenata alla ricerca di una perfezione che non
esiste. Adesso, anche se ormai è tardi, voglio
sdraiarmi su queste foglie e contare le stelle di
questo cielo limpido, almeno una volta.
Eccola qui ispettore, ai piedi di questa discesa
maledetta. Alla fine ha deciso di affrontarla,
ovviamente in solitaria. Me lo diceva sempre,
mentre scendevamo da questi boschi con le nostre
mountain-bike: “Prima o poi, sergente, scenderò da
questo stramaledettissimo greto.” E me lo indicava
quasi con fierezza, come se fosse stato lei a
tracciarlo con tutti quei salti, quei dossi e quei
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pietroni che rendevano inconcepibile solo
l‟immaginare di percorrerlo. Io, quindi, ho sempre
creduto che lei lo dicesse così per dire, tanto per
fare lo sbruffone.
Chissà se scendendo è riuscito a fare il vuoto,
ricorda? Me lo diceva sempre prima di una discesa
impegnativa:
“Sergente, mi raccomando, non deve pensare a
niente mentre scende, deve fare un vuoto mentale
che possa renderla impermeabile a qualsiasi
emozione. Se ha paura, cade.”
Io la seguivo cercando di imitarla, copiando le
sue traiettorie che sfidavano spesso e volentieri le
leggi della fisica, ma non ero sufficientemente
impermeabile e finivo immancabilmente per
sbagliare qualcosa. A volte frenavo troppo, altre mi
irrigidivo, ritrovandomi con il culo per terra.
Ricorda ispettore quante volte mi ha dovuto
riportare a casa con una caviglia o un polso
doloranti? Ammetto che mi è sempre andata bene,
mai un osso rotto, per fortuna. Adesso la guardo
qui, circondato dalla natura che tanto amava e mi
viene da piangere. Trattengo a fatica le lacrime e mi
chiedo perché mai lei sorrida. Non ha mai avuto il
volto tanto sereno e beato. Mi chiedo cosa avrà
visto prima di schiantarsi, oppure cosa abbia visto
dopo. Perché non è morto subito, vero? Anzi, ha
camminato fra questi faggi con il volto sfigurato
percorrendo almeno un centinaio di metri. Cosa
cercava di così importante da dovergli donare la
vita? Perché lei sapeva come sarebbe andata a
finire, è per questo che non mi ha chiamato a fare la
discesa con lei.
Piove, ispettore. Come al solito non ho
l‟ombrello e mi sembra di sentirla ridere, forse mi
sta prendendo in giro una volta ancora.
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INDICE
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PREFAZIONE
RIFLESSI
Riflesso
La bellezza del deserto
Echi
Lenti a contatto
Riportami a casa
Suona a mezzanotte
Sogni
Numeri irrazionali
L‟intruso
L‟uragano
Profumi di pietre crollate
Riflesso d‟amore
IMPRONTE DI PESCE
La madonnetta
Impronte di pesce
Onda
Le risposte di un naufrago
Il mosaico salato
L‟alba non tramonta quando il sole scompare
Il poeta
Rose del deserto
Statue di sabbia
L‟immagine di mia madre
Radici di pancrazi recisi
Il canto della risacca
PANNI SPORCHI D‟AMORE
Vino d‟Amore
Strade di fango
Sei qui
In abito da sera
Sorridere al silenzio
La chiusura in mano
La Befana
Come legna da ardere
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100
104
108
120
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L‟assoluzione
Pezze d‟amore
Rapidi saluti
Occhi nel cielo
La pendola con i tacchi
Il secondo perduto
Le scarpe di Vinicia
Il canto delle fiamme
Fra i miei capelli
CENERE D‟INCHIOSTRO
Effigi
La brace
Cenere
La preghiera del sergente
La promessa del vento
La strada
L‟abito
Il carrozzone
L‟ultimo amico
Fino all‟ultimo respiro
Sporca
Lo stupro
La facciata nascosta della fortuna
Alzheimer
La stanza accanto
La lupa e la mignotta
Amen
La danza della pioggia
La poesia
Epilogo
LISCHE DI RACCONTI ANDATE DI TRAVERSO
Il riflesso spinale
Il naufrago
L‟attore
Un foglio sottilissimo
Il riflesso di Lazzaro
La Barrantana
Eutanasia di un computer
Il Bricco Spaccato
Stampato in Italia
nel luglio 2011 per conto di
LibertàEdizioni