impronte di pesce
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impronte di pesce
LibertàEdizioni Mirko Micheletti IMPRONTE DI PESCE POESIA E PROSA DI UN SERVER IMPAZZITO LibertàEdizioni A mia Madre IMPRONTE DI PESCE Poesia e prosa di un server impazzito PREFAZIONE Io non sono niente non osservatemi con la lente ci sono tratti impuri che ho nascosto nell‟ombra con evidenti segni di vergogna. Io sono arte povera assemblata con chiodi arrugginiti dal tempo e i gradini che conducono alle mie spartane stanze non sono in bolla. Ma se vorrete comunque entrare sentirete profumo di pulito e so che vi toglierete le scarpe per non sporcare. 9 10 RIFLESSI 11 12 RIFLESSO Forse ho rilevato le tue forme pergolati di case abbarbicate che si specchiano sulle onde del mare. Forse ho percepito la tua fragranza come un alito fra questi carruggi che si snodano sfiorando la battima come un effluvio emanato da reti che hanno catturato la tua essenza. Forse sei solo uno scoglio che parla. 13 LA BELLEZZA DEL DESERTO Increduli filamenti tessono bianche ragnatele nella memoria. Hai ancora in bocca quel gusto salato di ammutolite lacrime indifferenti che hanno costruito la tua storia. Pietra dopo pietra hai edificato il tempio della tua essenza nel deserto. Con voce arrochita canti incerto fra andane di polverosi cactus seguendo gobbe di dune sabbiose che si perdono in occhi amaurotici. E conosci il prezzo dei tuoi sandali che affondano nella rovente sabbia per poi riemergere, senza fango. 14 ECHI Erano giorni dai passi pesanti nel letto fioriture di crisantemi a venire rendevano i gradini delle scale simili a pietre scheggiate. Allucciolavano però improvvise sere dai cieli stellati. Si sedevano attorno ad un tavolo che fiero portava tatuati i nostri nomi sulla scura pelle. Era bello ritrovarsi nel riflesso degli altri! Sentivo voci che riuscivano a lavare pensieri di nebbia. Quanti buchi ho rammendato in quei giorni di morte. Oggi osservo la pioggia che cade e mi chiedo dove si sono smarrite quelle parole in quali fiumi le abbiamo annegate. Ma quanto male fanno gli echi quando si perdono e non tornano indietro. 15 LENTI A CONTATTO Sciolgo il dolore che scorre sulle gote in punta di piedi. E mi rimane in bocca un gusto indefinibile che mi prosciuga. Se osservo bene sulla tua lapide vedo scolpito il mio nome. 16 RIPORTAMI A CASA Rivo che scorri mi trascini come torba. In te specchio puro mi rifletto mi rifratto in particelle infinitesimi d‟alma che colano. Come nebbia mi disperdo nel vento. Ho freddo rivo che scorre fra valli uggiose che masticano bruma. Mi disciogli nel mare? Sono solo rivo che piange ho bisogno di spiagge ove mi possa sedimentare abbracciandomi al sole cullato dalle onde. Come un bimbo che ritrova sua madre piangerò di gioia rivo che muore. 17 SUONA A MEZZANOTTE Suona la sirena a mezzanotte. Aria fredda satura di caldi sospiri strozzati. Un rombo lontano. Occhi si cercano si incrociano si specchiano riflettono paura. Suona la sirena a mezzanotte. Non c‟è pace nel silenzio che precede la morte. 18 SOGNI E rimango sospeso con i sogni negli occhi. Sono calde coperte che mi chiaman per nome amici preziosi di giorni perduti. Vedo le stelle che danzan con il sole e non mi voglio svegliare. Non accendete la luce in questa notte fatata che nasconde le pene della vita vissuta. Così rimango sospeso con i sogni negli occhi mentre l‟alba del giorno può attender di fuori. 19 NUMERI IRRAZIONALI Non c‟è bellezza nell‟immagine riflessa nello specchio del bagno. Non c‟è bellezza nell‟immagine riflessa nello specchio dello stagno. E rimango a contare le gocce di pioggia che scivolano sui vetri. E rimango a contare le gocce di Valium che si tuffano nei bicchieri. E scopro che la matematica non è scienza esatta in un mondo irrazionale. E scopro che non sono ancora capace di contare. 20 L’INTRUSO A una data ora del mattino come se fosse un treno svizzero odo un fischio nell‟orecchio. E ha uno strano retrogusto simile allo sterco. Stanco mi alzo scalzo cercando in ogni anfratto la presenza di un indizio ma non c‟è nulla fuori posto. Entro in bagno barcollando ferito da un abbaglio. Ma di chi sono quegli occhi che mi guardano dallo specchio! 21 L’URAGANO Stasera i gabbiani volano bassi come se un peso li schiacciasse al suolo come se dovessero trasportare grosse nuvole gravide di pioggia. Il vento accompagna note di sale si ferma sulla porta senza urlare parlando piano smorzando il rumore sfascia finestre, porte e comodini. Stasera fiumi di parole naufragano restano mute come allocchite mentre dagli occhi tuoni silenziosi cercano il lampo perduto nel cielo. 22 PROFUMI DI PIETRE CROLLATE Nel mio paese lo sguardo si perde fra case diroccate e camini anneriti fra case di pietra dai camini fumanti Ю e si ode il vociare di bimbi birichini fra piaghe di ricordi d’infanzie lontane Ю che corrono felici tra i campi tagliati. Il mio paese osserva la Secchia in silenzio come se fosse una serpe pronta a morderlo Ю come se fosse una donna pronta a baciarlo e resta in attesa sfiorando le sue sponde con scuri serrati screpolati dal tempo. Ю con braccia aperte già pronte all‟abbraccio. Il mio paese ha strade di pietra percorse da venti che regnano solitari addolcite dai canti di scuri affilate Ю ne ascolto l‟eco dietro le imposte di casa mentre fischiano sopra un’ altana crollata. mentre avido assaporo il profumo del pane. 23 Ю RIFLESSO D’AMORE Scarlatta cavalla d‟acciaio, corri! Domi il respiro di sentieri ascosi che ci conducono in silenti valli ove frenetici rivi danzano al ritmo della musica del vento. E ci tuffiamo fra i dolci profumi di questa terra obliata dal traffico mentre il cantico di uccelli si innalza ad ogni frenata, ad ogni sobbalzo. Corri e contempla il mare all‟orizzonte come se fosse un riflesso d‟Amore. 24 IMPRONTE DI PESCE 25 26 LA MADONNETTA Culli praterie di posidonie con la premura della madre accorta custode di gelosi segreti che il salmastro non vuole corrodere. Sono memorie di genti di mare di reti che hanno sfiorato il tuo volto di ippocampi che ti hanno venerata fra balaustre di luce e madrepore che tracciano il tuo confine. E allora perché questa mangrovia di cemento che ti vogliono cingere al collo come se il tuo respiro non fosse il respiro dei secoli il cui ansimare riecheggia da sempre in onde che lambiscono i tuoi piedi. Come se la tua non fosse la voce di tutta questa gente che ti ama e non ti vuole vedere morire. 27 IMPRONTE DI PESCE In mezzo alle forre del tuo volto i tuoi occhi riflettono ricordi di consunti tramagli issati da braccia che si conoscevano davvero. E quante volte ti sei lavato nelle loro mani bruciate dal sale. Radici di braccia e mani che trattenevano il terreno dove si nutrivano i vecchi e i bambini. E i sorrisi erano attimi di maggese che riposavano lo spirito. Ma dove sono finite quelle risacche che ti cantavano storie di barche abbracciate nelle attese di albe dal sapore di pesce? Forse sono migrate in altri luoghi in altri lidi dove ancora adesso si possono tenere aperte le porte del cuore come le porte delle case dove la gente si chiama per nome e conosce le tue impronte come se fossero le loro. 28 ONDA Onda biancastra, spumeggiante nasci piccola quasi insignificante ti avvicini mentre cresci di statura a tal punto che mi incuti paura alla fine ti ingobbisci ferita rantoli, schiantandoti senza vita. Nella sabbia dal salmastro bagnata la tua sagoma rimane tracciata come il ricordo impresso nella mente fuggevole, aleatorio, che dura niente. Scompare la traccia come evaporata così che mi pare di averti sognata rimane il tuo gusto, il profumo del sale che il freddo vento disperde fra le cale. 29 LE RISPOSTE DI UN NAUFRAGO Conto con mani prive di dita le ombre che si genuflettono al sole mentre il mare cancella dalla battima orme di piedi cosparse dal sale. Rimuoverò le calerne dagli occhi? O si cristallizzeranno pietose scrosciando mute su specchi incantati mentre riflettono parole d‟amore? Estraggo risposte da un sacco vuoto mentre guado orizzonti silenziosi ora che i numeri si fanno pesanti come scogli in mezzo alle onde del mare. 30 IL MOSAICO SALATO A volte il passato torna. È un‟onda perpendicolare che si schianta sulla battigia e tutto rimbomba, trema. Osservo i volti che compongono la mia storia formare un mosaico di particelle di salmastro. È un respiro di gocce salate che mi sferza i polmoni. Mentre poso lo sguardo su un orizzonte che si assottiglia rischio di soffocare. 31 L’ALBA NON TRAMONTA QUANDO IL SOLE SCOMPARE Ascoltami figlio prova a contare le albe appese ai tramonti. Per ogni cosa che muore una speranza fiorisce. Per ogni goccia di pioggia c‟è un arcobaleno in cielo che annuncia il sereno. Ci sono tesori nascosti da scoprire nei mari dove naviganti distratti hanno meriggiato nell‟ombra. Ci saranno traversie ma se saprai mantenere la rotta attraccherai in porti lontani inondati dal sole. E ascolta non trattenere le foglie che il vento trasporta ma ricorda le loro parole mentre si dipanano fresche nelle mattine serene. 32 IL POETA Nella rena di questo porto antico i versi scivolano dalle tasche rincorrendo barchette a vela e nuvole in fuga. E il faro è lì che ti spia fra fasci di luce dismessi e l‟abbraccio di navi alla deriva. Ma a cosa pensi fra spume di sale e memorie di fondali stuprati. Non scapperai da mosaici salati che ostacolano i tuoi passi veloci con l‟affanno dei giorni a venire. Cosa sei tu poeta in fondo se non un suicida che punta la pistola alla sua tempia e si dimentica di sparare. 33 ROSE DEL DESERTO Non sfiorerò le tue sponde mai più, mai più. Mi hai trascinato in un vuoto arido arso. Un deserto di stelle cadenti morte. Non navigherò più nei tuoi occhi gelidi come le steppe del nord iceberg di emozioni surgelate precotte, confezionate. Questo tuo mondo di sentimenti di princisbecco non mi appartiene. Voglio sentire il sapore di parole sincere di vini schietti e di pane raffermo che mi accarezzi il palato. Di cose semplici che sanno d‟antico tesori dimenticati che abbiamo deriso. Sfoglierò i giorni che mi separano dai tuoi deserti come se fossero petali di rose di sabbia che si sciolgono al sole. 34 STATUE DI SABBIA E resta il vuoto nella bruma appena accennata. Sul mare un veliero porta il carico di anni passati in compagnia di vecchi molluschi. E resta il vuoto che ha il sapore del sale e della brezza marina che scioglie e corrode. Una goccia di emozione scivola lentamente la catturo e la preservo e non la soffoco in un mare algido. Amo la mia vita e le faccio dono di rose rosse che profumano del mio unico odore (statue di sabbia osservano attonite lambite dalle onde). E resta il vuoto lontano da me. 35 L’IMMAGINE DI MIA MADRE Sono qui, dentro il ciglio della battigia mentre inseguo orme di relitti che fuggono da mareggiate sempre in agguato. Non c‟è riparo per le nostre storie in questa spiaggia abbandonata che mastica solitudine. Ma cosa cerco allora in mezzo a tronchi marci di salsedine e montagne di rifiuti accatastati. Non saranno certo le storie sui pirati o sulle lune tramontate a separarmi da conchiglie che non hanno più la tua voce. E allora dimmi perché questa tramontana strappa ancora lacrime da cieli tersi senza nuvole. Forse è colpa dei riflessi del mare e del profumo delle ginestre che ti trattengono come se tu fossi un‟immagine che non può morire. 36 RADICI DI PANCRAZI RECISI Giglio del mare ti ricordi del tempo in cui il vento ti svegliava con il garrito dei gabbiani? Ma dove sono finiti quei profumati arenili dove regnavi sovrano lambito da onde timorose di parlare? Quel rispetto che il pescatore appendeva sopra consunti tramagli afrorosi di pesce dove è stato sepolto? Non sotto i tuoi petali che non si specchiano più qui e non possono ascoltare il respiro salato del mare. Mentre i ciottoli che allora ti narravano storie di risacche passate oggi piangono. Come questa terra di vento, di sale e di sabbia che frana senza più radici. 37 IL CANTO DELLA RISACCA La risacca oggi canta e ha la voce delle fiamme. Ti osservo sul filo di un orizzonte che si immerge e so che presto annegherò. E tu non salvarmi, non salvarmi. Ci sarà sempre tempo per rivestirsi col rimpianto. Adesso voglio solo abbracciarti. 38 PANNI SPORCHI D’AMORE 39 40 VINO D’AMORE Bella e suadente cammini di sol nettare vestita mi conquisti coi tuoi vini prodotti da uva passita. Ed io bevo dal tuo calice santo coppa perfetta piena di liquore con gioia ascolto il tuo armonioso canto pioggia di gocce di vino d‟Amore. Pigi l‟uva con movenze perfette avvolta da succinte vesti strette il tuo è un ballo gaio e sensuale che percuote questa terra rurale. Trangugio i tuoi versi tutti d‟un fiato che mi ricoprono del tuo calore di te sono totalmente inebriato profumi di vigne parlan d‟Amore. 41 STRADE DI FANGO Ascoltami ho percorso troppi chilometri e adesso mi voglio fermare mi voglio fermare per sempre insieme a te. Ho cicatrici profonde così profonde che hanno sfiorato la morte potrebbero divorarci e adesso ho paura paura per te. Ma sono stanco di parlare al silenzio dei miei passi che non fanno rumore per non farsi seguire. Ho percorso troppi chilometri su strade di fango e adesso mi voglio lavare con il sudore della tua pelle. Mi guardi e mi baci e sorridi ad ogni goccia di dolore che mi ammanta le spalle. Ho bisogno d‟Amore e l‟Amore sei tu. 42 SEI QUI Mi corico nella notte e mi giunge la tua voce un pianto struggente di gioia mi scioglie il buio dagli occhi. E mi imprimi sulle labbra Il sapore del sole. 43 IN ABITO DA SERA Danzi di note nella buia stanza mentre ti vesto di soli riflessi come se fossi il sarto di noi stessi che cuce trine con orli d‟essenza. Siamo vesti d‟organza sartoriale. E benedico la mia trasparenza che nel suo quieto rollare ti penetra. 44 SORRIDERE AL SILENZIO Giornate intere sono trascorse scrutando l‟orizzonte dei nostri pensieri. Eravamo aggrappati sullo stesso scoglio e ci siamo illusi di esserci fusi. Ma il mio sedimento è diverso dal tuo e il continuo scorrere del tempo mi ha eroso da te. E la brezza marina in quei giorni di attesa ci portava l‟amaro di un amore finito. Sono riaffiorati dissapori che si erano addormentati e noi, con le nostre crepe li abbiamo illuminati a giorno e si sono svegliati. Alla fine abbiamo sorriso al silenzio delle nostre parole. 45 LA CHIUSURA IN MANO Ti rivedo in questa stanza vuota, vuota di profumi e di parole la tua borsa di ospedale sulla sedia da tempo attende di essere disfatta. Ti rivedo appoggiata alla spalliera di un letto troppo grande per te mentre sanguini di dolore e solitudine in affannosa ricerca di quelle ore di picche, fiori, cuori e denari vestite. Quanto tempo passato insieme su di un tavolo di carte apparecchiato ore felici senza pensieri sono scivolate dalle nostre mani e non le abbiamo più ritrovate. Non disferò la tua borsa di ospedale anche oggi non riesco a chiudere con le ferite del passato. 46 LA BEFANA Mi hanno chiamata e restia me ne sono andata ma ti voglio bene piccolino e ti guardo crescere da qui. Questo è un bel posto ma vorrei essere con te per poterti scaldare con il mio cuore caldo che non ha smesso di battere in questo freddo corpo. Ma oggi è un giorno speciale da befana mi vesto e ti vengo a trovare nipotino mio. Sei dolce come le caramelle che porto nelle mie calze e aspetto un tuo sorriso per potermelo sciogliere negli occhi. Ti vedrò giocare con papà nascosta nel camino sporca di candida fuliggine che mi vestirà di gioia. E sorriderò quando mi verrai a cercare. Perché mi cercherai vero? E mi troverai nascosta in ogni gesto d‟Amore. 47 COME LEGNA DA ARDERE Ricordo ancora le mattine fatte di coccole e stravizi mentre l‟aroma del caffè sulle tue mani mi accarezzava il volto. Mi mancano quelle zollette di zucchero di canna che ti sei portata via quando te ne sei andata. Non smetterò di cercarti fino a quando riuscirò a portare fasci di pensieri sulle spalle da ardere per te. 48 L’ASSOLUZIONE Ripieghiamo i nostri stracci e li impiliamo ordinati dentro cassetti senza fondi. Guarda i miei occhi rugosi. Sognano ancora il tempo che mi hai derubato. Eppure la mia pelle è ancora liscia e fresca come quando giocavamo con i fiori a primavera. E non abbiamo ancora smesso anche se il tuo abito ci soffoca ogni volta. Quando il canto del gallo ci coglierà in fallo so che mi monderai di tutti i tuoi peccati. Dopo mi ritroverò ancora a spandere lacrime in un‟acquasantiera. 49 PEZZE D’AMORE Cammino lentamente in mezzo ad ali di folla cercando di inseguire passi che inciampano in loro stessi. Sento il freddo sulla pelle di mendicanti spogli di dignità spezzano il traffico dei pensieri che si affannano sulla strada. E mi resta addosso un odore di frenetica solitudine che scorre sopra le luci di agghindati negozi. Non comprerò sfarzosi vestiti hanno il sapore dell‟indifferenza. Cerco una sarta d‟Amore che mi sappia cucire addosso SEMPLICI PEZZE DI CUORE. 50 RAPIDI SALUTI Siete una dolce poesia di miele gocce di rugiada primaverile aria fresca che riscalda la vita caldo sole che rinfresca l‟anima. Tempo perso a rincorrere sogni inutili progetti di cartapesta rubano spazio alla vostra vita che vuole aria per poter volare. Vedo rapidi saluti di madri mani di bambini si agitano in cerca del calore che fugge dietro il ticchettio di un orologio. 51 OCCHI NEL CIELO Scorrono nei tuoi occhi riflessi di vita pulsante. Nutrimento sono le parole che scorrono anche quelle mute captate dagli sguardi a volte distratti a volte confusi. Intanto il futuro avanza e presto diverrà passato. Ricordami nella luce che le ombre feriscono non le devi proiettare nel futuro presente. Mi basterà un tuo sorriso per far sorgere il sole sull‟ultima notte. Mentre le stelle ti staranno a guardare. 52 LA PENDOLA CON I TACCHI L‟orologio è morto sgretolato dal tempo non sussultano più i secondi dalla pendola oblunga. Ti ho persa nell‟acqua come un sogno che evapora mentre i riflessi del tuo volto annegano nel ricordo. E mi rimane in mano un consunto cerino che si spegne nell‟aria soffocato dalla memoria. Mentre il rumore dei tuoi tacchi mi uccide nel silenzio. 53 IL SECONDO PERDUTO Ho dimenticato le lancette le ho lasciate appese alla parete della cucina. Tic tac tic tac tip tap tip tap I tuoi passi graffiano il tempo e ritrovo i minuti perduti ad aspettarti abbracciati ai tuoi tacchi. E mi aggrappo a te come se io fossi solo un secondo di vita perduta. 54 LE SCARPE DI VINICIA Ma che fine han fatto le scarpe di Vinicia che elegante calzavi con malizia e ironia. Mi riempivano gli occhi. Adesso quel negozio ha le saracinesche abbassate e persino le insegne lo hanno abbandonato. Mentre le ferite che hai lasciato con i tuoi tacchi a spillo sul manto dell‟asfalto ancora adesso mi parlano di te. Allora cerco di imitare i tuoi passi davanti ad uno specchio e per essere un po‟ più credibile calzo le scarpe di mia moglie. Ma quello che mi appare è il tragico riflesso di un uomo disperato che ha infranto il suo sogno. 55 IL CANTO DELLE FIAMME La risacca oggi canta e ha la voce delle fiamme. Ti osservo sul filo di un orizzonte che si immerge nel biancore della tua carne. E so che presto annegherò nel languore del tuo seno. E tu non salvarmi, non salvarmi. Ci sarà sempre tempo per rivestirsi col rimpianto. Adesso voglio solo abbracciarti mentre ascolto il dolce controcanto delle tue parole in fiamme. 56 FRA I MIEI CAPELLI Cerco fra cibi precotti una sensazione persa un sapore, un odore che deve aver lasciato qualche traccia sugli angoli dei muri simile a disegni su vetri appannati. Lo sfrigolio della legna regalava storie mentre dipingeva il calore di nuove albe nei volti dei bambini. E c‟era cibo genuino e vino schietto sulla tua tavola che regalava canzoni e parole d‟amore. Oggi quel camino è crollato ed è rimasta solo un po‟ di cenere fra i miei capelli come se fosse forfora. 57 58 CENERE D’INCHIOSTRO 59 60 EFFIGI Hanno lottato per un futuro di sole hanno versato sangue per bagnare di gioia la propria prole. E la rorida terra trasuda lacrime del loro amore. Inutili effigi su tombe malferme crollano. 61 LA BRACE Sssssssssssssiiiiiiiiiiiiiiiiibiiiiiiilaaaaa !!! il tempo necessario per calare il sipario. Dopo rimarranno solo distese di mozziconi ardenti ad osservare il silenzio. 62 CENERE Prende il volo la memoria vola sul dolore vissuto ancora vivo nei tuoi occhi. Ricordi di cenere sospesa fluttuante nell‟aria pioggia di dolore senza lacrime. La cenere si adagiava piano, piano si posava delicatamente sullo scarno palmo della tua mano. Ricordo l‟orsetto di nostro figlio adagiato nel freddo calore del letto unico contatto tangibile di una vita passata possibile. Un cielo plumbeo, irreale parlò al nostro cuore senza fiatare. Con occhi empi di cenere e lacrime baciammo il nostro piccolo bambino che giaceva nel palmo della tua mano. E l‟orsetto era al caldo nel letto con il pelo lucido come nuovo al sicuro nel suo covo. 63 LA PREGHIERA DEL SERGENTE Nevica, fa freddo siamo un corpo unico abbracciati uno all‟altro così uniti e vicini che anche le nostre lacrime si confondono. Sta per arrivare la notte noi la affronteremo armati con guanti di cartone e litri di grappa. Il nemico è in attesa non durerà questo silenzio domani farà caldo cammineremo su neve ardente scaleremo pareti di ghiaccio lavico. Pregate compagni miei pregate il vostro Dio pregate con forza e vigore ditegli di essere pietoso (che con noi non lo è ancora stato) e che siamo stanchi troppo stanchi per calzare ancora questi scarponi fradici di sangue innocente. Pregate perché nessuno di noi domani vuol vedere sorgere il sole. 64 LA PROMESSA DEL VENTO Com‟era calda la neve quell‟autunno sulle pendici del Ventasso, ricordi? C‟eravamo promessi di scambiarci gli scarponi sotto un cielo colorato da agguati di foglie. Fra faggete ritorte bevendo il sangue di un lago sfibrato c‟eravamo nascosti. Siete Partigiani ci avevano detto e da allora abbiamo camminato carponi. Mi ricordo di spari e di corpi riversi che potevano essere i nostri. Mentre le ansie scivolavano sul sagrato di chiese chiedendo grazie a croci disertate da un Dio fuggiasco. E i monti tacevano come le foglie come l‟aria immobile fatta di respiri e di attese e di fredde fughe. Poi ricordo i pianti dei bimbi dietro sfalci di fieno mentre il silenzio intorno si faceva preghiera. 65 LA STRADA Il sapore di ieri a volte lo porta la pioggia mentre sfrigola sull‟asfalto come fosse una vampa di olio caldo che mi assale. E allora mi sento addosso un odore di siepi e di limoni come se fosse una seconda pelle. Mi senti adesso mentre ti cammino sopra oppure i miei sandali hanno suole così consunte e una voce così arrochita che non ti pare di essere calpestata dal cuoio dei miei passi. Mi guardi con le tue calze smagliate che sono ancora ricamate con fantasie di sbiaditi pampani. E mi indichi la direzione il mio senso unico da percorrere verso il grande nulla da dove provengo. 66 L’ABITO Persino questa sigaretta mi hai avvelenato mentre ti vedo galleggiare fra particelle di fumo come un‟ombra assassina. Lasciami respirare questo piccolo attimo. Domani avrai la mia anima così me la potrai lavare come piace a te in lenta centrifugazione. 67 IL CARROZZONE Suona la banda nelle vie deserte assolati musicanti in fila leggiadre ballerine al seguito bianche facce sorridono, al nulla. Ecco a voi la festa di paese divertitevi signore e signori questo non è il sabato del villaggio questa festa non finirà domani. Giochi di prestigio serviti freschi per allietare distratti passanti seguite il carrozzone bambini strillano le ugole di artisti. Ma il nocchiere non è contento non tutti seguono il carrozzone qualcuno potrebbe capire tutto e tutto mettere in discussione. Adesso il grande sogno finisce l‟illusione irreale svanisce non date retta al nostro padrone lui vive se avanza il carrozzone. Se aprite gli occhi morirà così ogni menzogna svanirà se volete vivere contenti date retta ai vostri sentimenti non rimanete sulle vostre poltrone a vedere sfilare il carrozzone. 68 Gente vi voglio rassicurare la realtà virtuale non fa male fate tacere quell‟impostore cacciatelo via dal carrozzone. Ci scusiamo per il disagio mentale la marcia riprenderà il più rapidamente possibile. 69 L’ULTIMO AMICO Dove correte lancette così di fretta dove scappate a gambe levate. Dove sono finiti quei giorni ove sembravate dipinte su muri di pietra ad osservarmi immote come soprammobili ancorati ai pianali. Chi state squadrando adesso? Forse sono divenuto così vecchio e brutto da farvi ribrezzo? Forse il mio corpo ha già acquisito l‟afrore della morte? Scappate cenciosi secondi lasciatemi aggrappato a memorie lontane ormai sbiadite che il canto singhiozzante di manere recide. Scappate come gli amici come le donne un tempo a me avvinghiate come api ad un favo. 70 Lasciatemi solo ad annegare i ricordi e come ultimo compagno glu,glu un bicchiere di vino. 71 FINO ALL’ULTIMO RESPIRO Ti abbiamo fatta viaggiare con le nostre deiezioni ben chiuse nel bagagliaio. Ubriacata dalla morte hai danzato sull‟asfalto fino a strisciare fra le braccia del tuo dolce nipotino. Missione compiuta. 72 SPORCA Mi sbrigano una banconota da usare come coperta senza regalarmi una parola. Così ascolto la solitudine nei respiri ubriachi che mi rimangono appiccicati come fastidiosi amanti appassionati. E quando tornerò a casa non basterà una doccia calda per dimenticarli tutti. 73 LO STUPRO Un sudario lavato non potrà cancellare quella parte di me in lenta putrefazione. Mi guardi attonita mentre prendo dimora nei tuoi umidi occhi. Ti prego non lo fare non graffiare il silenzio mentre incredula osservi precipitare il paradiso. 74 LA FACCIA NASCOSTA DELLA FORTUNA E ti prendono la vita senza chiedertene il permesso e non ti ringrazieranno quando te la restituiranno tutta bella spiegazzata. Così trascorri i giorni rassettando le tue stanze e scopri senza meraviglia che hanno venduto i tuoi sogni al mercato delle pulci. Mentre il tuo portafoglio resta a pancia vuota! Con le poche monete che ti rimangono appiccicate ti diverti a giocare a testa o croce. E sai perfettamente quale sarà l‟esito di questo tuo inutile gioco. 75 ALZHEIMER Pezzi di memoria si sbriciolano franando sul tavolo e restano sulle posate rimasugli della tua polvere. E adesso vaghi leggera leggera come una piuma in balia del vento e ti perdi dentro. Così ti ritrovi in qualche angolo sperduto di questa misteriosa città priva di segnaletica ma affollata di sensi unici. E quando gobbi lampioni proietteranno la tua pallida ombra sulle facciate di grigi edifici (anonimi solo ai tuoi occhi) smarrirai anche il mio nome. Mentre io continuerò a cercarti in un‟altra metropoli. 76 LA STANZA ACCANTO Ho visto il dolore farfuglia parole curve che dipingono traiettorie dalle pendenze oblique. Nella stanza accanto uno scrigno prezioso lo osserva. Ha gemme rosse incastonate negli occhi che lo sussurrano nel silenzio. Ho visto il dolore e quando l‟abbraccio non mi riconosco più. Ritorno sui miei passi con un peso sullo stomaco che una scatola di cioccolatini non può farmi vomitare. 77 LA LUPA E LA MIGNOTTA Pergamena crittografata enigmatica scorri fra le mie dita avvizzite. Mi ammali con i tuoi simboli che nel tempo hai lasciato segni che squarciano il silenzio inesplicabili. Ti osservo sinuosa avvolta nella frizzante mattina che riempi di promesse. Ma so che verrà il giorno del mio ultimo miglio. E sarà allora che guarderò tua sorella negli occhi scarna lupa affamata di anime benedette. Mi prenderà per mano senza farmi accendere l‟ultimo desiderio di sedurti per sempre. 78 AMEN Uno scracchio di birra lava bicchieri vuoti una bottiglia gira come la testa che fischia e ronza e scoppia e indugia per un istante di troppo su pensieri che evaporano nel deposito di farfalle dentro lo stomaco senza vie di uscita sbattono le ali furibonde e si tuffano nel rospo della gola che vomita tutto l‟amaro che c‟è nel fegato anche oggi come ieri come domani come sempre siamo solo vuoti a perdere. 79 LA DANZA DELLA PIOGGIA Chissà se riderai di me di queste mie parole che tremano sull‟orlo di precipizi sfiniti. Appeso al vuoto mastico pensieri di cemento armato. So che mi attenderai paziente sulle rive di fiumi che hanno scavato forre sul mio volto. E ci sarà ancora il tempo per un‟ultima piena a passo di danza. 80 LA POESIA La Poesia si scrive per consumare una penna come se fosse sangue in eccesso. La senti questa voce che scorre che scivola fra pagine di bianchi che non hanno ancora abbastanza spazi da poterla contenere (nel nero si sopravvive sospesi fra una riga e l‟altra in disequilibrio perenne). Eppure ho solo poche lacrime salate da disegnare come se fossero origami di neve che si sciolgono appena sfiorano il foglio. 81 EPILOGO Scrivo pensieri d‟olio su pezzetti di carta mi ammorbidiscono le mani inspessite da calce bianca. Sospeso fra nuvole d‟aria guardo l‟azzurro cielo come sarebbe bello poter prendere il volo. Ma ho mani avvezze al lavoro dello scalpello e rimarrò ad osservare le bianche colombe volare disegnando su carta sentimenti d‟argilla. 82 LISCHE DI RACCONTI ANDATE DI TRAVERSO 83 84 IL RIFLESSO SPINALE Era lì, sopra quel letto che pulsava al ritmo di una musica che sentiva ancora nelle orecchie, era lì e come al solito non ricordava bene come ci era arrivata. Era partita con i suoi amici in tarda mattinata per raggiungere quel posto il cui nome le sfuggiva, o forse non lo aveva mai saputo, ma sapeva che a destinazione c‟era il solito rave party al quale non poteva mancare. Il viaggio era stato lungo, scandito dai soliti futili discorsi interrotti di tanto in tanto dai silenzi di qualche pasticca colorata. Quando finalmente arrivarono era già sera e il volume degli amplificatori era tirato al massimo. Uno shock per le orecchie ma un vero e proprio toccasana per il suo cervello. Il posto era già stipato all‟inverosimile di gente “giusta”, giovane e fatta fino al midollo proprio come loro. Iniziarono a ballare e a sballare come ogni volta, come ogni week-end degno di questo nome. In mezzo a quella folla si sentiva dissolta, come una particella schizofrenica e schizzata che si agitava in un mare senza onde. O meglio in un mare composto da sole onde sonore. E lei non aspettava altro che essere infranta contro una scogliera come una nave allo sbando senza timone. Dopo un po‟ di tempo, un tempo che non era in grado di quantificare, aveva perso di vista tutti i suoi amici e si ritrovò sola in mezzo a quell‟oceano, ma ci era abituata. Finiva così ogni santissima volta. Si perdevano, in tutti i sensi, e non 85 avevano nessunissima voglia di ritrovarsi. Danzò per ore e ore senza sosta, senza nemmeno saperne il motivo. Ad essere proprio sinceri, non era nemmeno in grado di dire se ballare le piacesse o meno. E anche adesso, sprofondata nel letto insieme a quella gente che nemmeno conosceva, era come se stesse continuando a danzare come un automa. Inutile cercare di spiegare e spiegarsi o di darsi delle risposte, lei si era semplicemente ritrovata lì, in mezzo a quel crocicchio di corpi sudati un po‟ per scherzo e molto per caso. All‟improvviso, sotto a un incrocio pericoloso di mani, piedi e membra, incominciò a sentirsi strana. Le mancava l‟aria e non riusciva più a respirare bene. Aveva caldo, troppo caldo e sentiva che stava per svenire. Vide la ragazza sotto di sé roteare gli occhi in modo innaturale. Il colore del suo viso era pallidissimo, come quello di una morta. Era completamente inerte e dalla bocca cominciò a uscirle un rivolo di bava bianca. Non smise di fare ciò che stava facendo, anzi, quella situazione molto particolare lo stava eccitando. Non gli era mai capitato prima. Anche gli altri, quelli che erano vicino a lui, si accorsero di quello che stava capitando e iniziarono a incitarlo. Uno dopo l‟altro si fecero quel corpo che sotto di loro, diventava sempre più inerte e sempre più freddo. Arrivò quel lunedì mattina per ripulire il parco da una montagna di rifiuti. Come al solito vi erano resti di ogni genere sul prato e dovette farsi forza 86 per non farsi prendere dalla nausea. Nonostante la festa fosse finita da più di dodici ore, l‟afrore della birra mista al vomito era ancora pestilenziale. Non senza stupore vide un gazebo di fortuna costruito vicino al bosco. Mosso dalla curiosità si diresse verso quella squallida struttura ed entrò. Si sarebbe aspettato di trovarci di tutto ma non ciò che vide. Subito la sua mente sembrava voler rifiutare quell‟immagine come se fosse troppo triste e grottesca per poter essere vera. Distesa su di un letto di fortuna, davanti a lui, c‟era una bellissima ragazza completamente nuda. Il suo corpo violaceo era ricoperto da fluidi di vario genere e da sputi e da escrementi, mentre sulla sua bocca, ormai incolore, erano visibili i resti di una schiuma biancastra rappresa. Improvvisamente la ragazza sussultò ed emise un suono gutturale che gli fece gelare il sangue. L‟osservò stordito e provò un‟angoscia indicibile mentre perdeva il controllo del suo corpo che iniziava ad essere percorso da fremiti simili a convulsioni. Rimase chiuso in quel gazebo per parecchio tempo, completamente incapace di muoversi o di gridare. Osservai distrattamente il cadavere mentre ascoltavo le parole ancora tremanti dell‟inserviente. La ragazza era indubbiamente deceduta e quello che l‟uomo aveva udito non era un fenomeno soprannaturale, ma era solamente il suono prodotto da un riflesso spinale post-mortem. Potevo però comprendere benissimo lo spavento che quel pover‟uomo doveva aver provato nel sentire il suono gutturale prodotto da un cadavere. Credo che non molte persone possano dire di aver sentito una 87 morta gridare. E nessuno di quei pochi che hanno avuto, per così dire il piacere, può dire di non esserne rimasto terrorizzato. Mi chinai sopra la ragazza e girai lentamente il suo volto verso di me. I suoi occhi mi guardarono fissi e inespressivi e mi accorsi che non avevano nemmeno un‟ombra di risentimento. Erano semplicemente gli occhi di una bimba smarrita che aveva percorso le stesse strade sbagliate che percorrono tanti ragazzi giovani della sua età. Dopo poco arrivò la scientifica a raccogliere indizi, sperma, piscio, feci, saliva, peli, vomito, tutto un campionario di oscenità che avevo visto già troppe volte. Ed ero altresì consapevole che era tutto inutile. Questa storia sarebbe rimasta senza colpevoli, come le altre. Come questa vita fatta di paradisi artificiali, di begli oggetti da mettere in mostra, di successi di cartapesta, di promozioni pagate a caro prezzo, ma soprattutto fatta di assenze. E adesso, mentre ti parlo, sento un vuoto dentro che mi lascia spossato, ma non posso evitare di vomitarti addosso tutto questo dolore. Perché ciò che non ti ho ancora detto è che quella ragazza, mentre veniva fotografata dai flash della scientifica, si è messa a parlare di nuovo e con voce soprannaturale ha pronunciato il tuo nome. 88 IL NAUFRAGO Erano tre giorni che era sdraiato su quel pezzo di legno putrido che gli faceva da zattera e sebbene continuasse a pensare all‟istante in cui il Kraken comparve dalla bruma e spezzò la Santa Barbara come se fosse uno stuzzicadenti, i suoi ricordi continuavano ad essere confusi, annebbiati. Riusciva a ricordare a malapena i tentacoli sul ponte, poi un rumore sordo come di legni che si spezzano e poi più nulla, ad eccezione di un forte afrore di pesce marcio. Ricordava il risveglio con ancora quell‟odore addosso come se fosse l‟unica cosa di quel momento che valesse veramente la pena di ricordare. Chiamò per ore ed ore i suoi compagni uno ad uno, ma udiva solo l‟eco della sua voce e lo sciabordio dei pochi resti rimasti di quella che era la nave più grossa sulla quale lui avesse mai navigato. Aveva sete, molta sete, e pensò che fosse paradossale essere circondati da così tanta acqua senza potersela bere. Sentiva di essere di nuovo sul punto di svenire. All‟improvviso su uno scoglio vicino vide, senz‟ombra di dubbio, la sagoma di una sirena. Ne aveva sentito spesso parlare al porto dai suoi amici pescatori ma non aveva mai avuto la fortuna di vederne una prima, al punto che si era convinto che quei racconti fossero solo il risultato della fantasia di mariuoli un po‟ troppo bevuti. Era bellissima, era di gran lunga la donna più bella che avesse avuto la fortuna di vedere. Aveva incastonati, in un viso tondo e regolare, due occhi 89 verdi e intensi che lo fissavano come se avessero il dono di leggergli il pensiero. Il suo corpo poi era statuario, un fascio di muscoli aggraziati raccordavano curve sinuose e morbide. Era il ritratto dell‟eleganza fatta donna. Era conscio di essere salvo e con le ultime forze rimastegli affondò le braccia in mare usando le mani come remi e si diresse, spedito, verso quella creatura sublime. Allungò le mani verso quelle di lei e sfiorò... l‟Aria. Si guardò intorno attonito, ma dove era finito lo scoglio davanti a lui e soprattutto dove era finita la sua salvatrice, la sua dea di bellezza e grazia? Non poteva essere stato un miraggio, non voleva credere che il destino potesse essere stato così beffardo e sadico da permettersi di prendersi gioco di lui in un modo così crudele. Ma purtroppo dovette constatare che l‟immagine che lo aveva occhieggiato con amore, si era perduta fra i riflessi del mare irrimediabilmente. E così, dopo aver pianto lacrime asciutte che nessun sole avrebbe mai potuto asciugare, prostrato si abbandonò fra le braccia delle sue riflessioni. Si mise a pensare agli anni passati, di lui quando era bambino, del padre che, oberato dai debiti e dai fantasmi dell‟alcool, scappò lasciandoli soli, lui, i suoi due fratellini minori e sua madre. La donna, poveraccia, non infierì mai verbalmente sul suo ex marito ma anzi, ebbe per tutta la sua breve vita parole di perdono per lui, spiegando, a loro bambini, che il padre era un uomo debole ma buono e che solo degli eventi sfortunati lo avevano reso quello che era diventato. Gli sembrava impossibile, ma adesso a distanza di anni aveva capito che quella povera donna era rimasta innamorata del marito, nonostante tutto quello che 90 le aveva fatto passare. Si ricordava ancora di tutti quegli uomini che dopo la fuga del padre venivano a trovare sua madre alla sera. Uomini rozzi, che puzzavano di alcool e di vizi. La mamma era costretta a farli entrare nella sua camera da letto per poter campare e loro, ancora piccini, rimanevano in attesa nella sala da pranzo giocando con pezzi di rosticcio caduti sul pavimento da muri scrostati. Quella povera donna, che da giovane era stata bellissima, in pochi anni si ridusse ad un rudere con pochi denti sani in bocca e una tristezza in fondo al cuore che le scavava il volto. Spesso quegli uomini la picchiavano selvaggiamente e la lasciavano stremata e piagnucolante senza nemmeno averla pagata. Non poteva durare a lungo. E difatti non durò. Una sera, dopo l‟ennesimo alterco con un cliente, lui sentì le immancabili botte, le grida e poi il silenzio. Vide uscire dalla stanza un uomo enorme e sporco di sangue che ancora imprecava e biascicava mentre beveva e sputava, incurante della presenza sua e dei fratellini e delle lacrime che scorrevano sui loro volti. D‟istinto si precipitò nella camera della madre. Non capiva bene perché, ma aveva l‟impressione che quella volta fosse diverso, che tutto non si sarebbe risolto con qualche carezza e qualche bacino alla povera madre sfibrata. Riversa in mezzo alla stanza, con il cranio fracassato e lo sguardo perso nel vuoto, la donna l‟accolse con il gelido mantello della morte avvolto sulle spalle a coprire le vergogne esposte all‟aria umida e fredda di un inverno che non lo avrebbe mai più lasciato. Si destò dai suoi pensieri in mezzo al mare in tempesta. Spruzzi di salmastro gli continuavano a lambire il viso richiamandolo, in brevissimo tempo, 91 alla veglia. Si sorprese, con stupore, di essere avvinghiato al pezzo di legno sul quale navigava, con tutte le sue poche forze rimaste. Che per l‟occasione non erano poi così poche, anzi. Scoprì che nelle mani aveva piantate delle schegge di legno che lo facevano sanguinare per quanto forte riusciva a stringere quelle assi marce di salsedine. Si stupì di questa sua resistenza alla morte. In fin dei conti erano ormai quattro giorni che era in balia delle onde del mare fra sofferenze che non aveva mai provato prima. Ed era certo che sarebbe stato così, se non peggio, fino a che morte non fosse sopraggiunta, liberandolo. Allora perché combatteva ancora? Non sarebbe stato più logico non opporre alcuna resistenza e lasciare fare al mare quello che doveva fare? Sarebbe diventato in breve tempo cibo per pesci affamati e si sarebbe liberato di tutto quel dolore fisico ed esistenziale una volta per tutte. E invece era avvinghiato a quel tronco come un mollusco e non aveva alcuna voglia di arrendersi. Il tempo passava lentamente mentre le onde, che non accennavano a placarsi, ma anzi, se possibile, aumentavano la loro forza esplosiva, lo sballottavano come se fosse stato una pallina da ping-pong impazzita. Il cielo grigio cupo era squarciato da continui lampi, mentre la pioggia battente si riversava copiosa sferzandogli la pelle con forza. Passò ore ed ore sopra quei cavalloni che cercavano di disarcionarlo in tutte le maniere possibili, fino a che uno squarcio di sereno nel cielo gli fece pensare che il peggio fosse passato. Dopo un po‟ di tempo un cielo terso, privo di nuvole, si disvelò ai suoi occhi, mentre il mare, lentamente ma inesorabilmente, cominciò a placare la sua ira fino a quietarsi completamente sul far della sera. 92 Spossato dallo sforzo, dalla sete e dalla fame si addormentò come un bimbo cullato da onde innocenti. Si svegliò sott‟acqua. Subito fu colto dal panico e si diresse velocemente verso la superficie. Poi pian piano, mentre stava risalendo dall‟abisso, scoprì con sua enorme meraviglia che poteva respirare. Stupito decise di perlustrare quei fondali a lui sconosciuti. Una sensazione di benessere lo colse in tutto il corpo, i morsi della sete e della fame si erano all‟improvviso placati e il panorama meraviglioso che si dipanava sotto i suoi occhi sbalorditi gli procuravano un piacere a lui quasi totalmente sconosciuto. C‟erano coralli dai colori meravigliosi e dalle complesse ramificazioni e attorno ad essi nuotavano pesci dai colori ancora più sgargianti e belli. Si potevano vedere anemoni circondati da pesci pagliaccio, pesci pappagallo e persino un grosso pesce imperatore dalla coda gialla. Mentre nuotava in queste acque cristalline dai fondali straordinari vide sua padre e sua madre che gli venivano incontro a braccia aperte. Avevano i volti distesi e sereni e lo chiamavano agitando le mani. Gli sobbalzò il cuore nel petto e si mise a piangere. Cominciò a nuotare come un ossesso nella loro direzione finalmente felice. All‟improvviso davanti a loro si parò il Kraken in tutta la sua mole spaventosa. L‟animale afferrò sua madre con un grosso tentacolo mentre suo padre, per l‟ennesima volta, si diede alla fuga come un codardo. Anch‟ egli ebbe l‟impulso di scappare ma lo frenò immediatamente. Non poteva abbandonare quella donna che aveva dedicato tutta la sua vita a crescerli con amore fino al punto di arrivare a morire per loro. Si diresse con tutta l‟energia che aveva in corpo verso il mostro marino e non gli 93 importava se ciò voleva dire la sua morte, finalmente in cuor suo sentiva che stava facendo la cosa giusta. Aveva finalmente abbandonato quel pezzo di legno macilento al quale ormai da troppo tempo era rimasto aggrappato. Appena lo vide attaccare il Kraken, lei si mise ad urlare cercando di dissuadere il figlio dal suo folle tentativo. Pianse e si disperò capendo che tutte le sofferenze alle quali era andata incontro quando era in vita rischiavano di essere vanificate inutilmente. Suo figlio non aveva capito il motivo per il quale lei aveva sopportato tutte quelle umiliazioni. Pianse per lui e per lei e per tutto l‟azzurro che stava morendo sotto i loro piedi. Scivolò lentamente nell‟acqua dal suo giaciglio di legno fradicio fino a sprofondare in abissi privi di luce senza opporre la minima resistenza. Sarà la mia immaginazione ma mi pare di aver udito un pianto di donna mentre quel povero corpo martoriato sprofondava nell‟acqua. Mentre io ero a poche decine di metri di distanza dal punto dove il ragazzo si era inabissato, a bagnarmi i piedi nella battigia marina di un‟isola dalle spiagge bianche e dalle alte palme. Ero lì, insieme ad altra gente, ad osservare i resti di una catasta di assi marci alla deriva, come inebetito. 94 L’ATTORE “Ciao, ti ricordi di me? Sono mk69 o, almeno, credo di esserlo forse, non ne sono più tanto sicuro. Sono un tantino confuso.” “Fatti guardare bene. Ah sì, ora forse ricordo. Ma si può sapere chi diavolo sei?” “Mah, lasciamo perdere, cosa importa in fondo chi sono. Hai mai parlato con qualcuno cercando realmente di capire chi è veramente? No, non credo, non credo proprio.” “Beh veramente non so, non so che dire, perché mi fai queste domande? Ma tu, tu credi veramente di sapere chi sei?” “Guarda, credevo di sì, un tempo forse sì, ma adesso sono vittima di me stesso e della mia grande passione. Sai, a me è sempre piaciuto recitare e adesso faccio l‟attore a tempo pieno. Te lo dico in confidenza a te e a te soltanto. Nessuno sa questa cosa. Persino una parte di me non ne è al corrente. Ebbene, con il passare del tempo sono diventato abilissimo in questa arte, veramente! Ho imbrogliato tutti quanti, compreso te. Vedi, dici che non mi conosci, eppure sei mio fratello.” “Ma che dici! Mio fratello è morto appena nato.” “Lo vedi? Lo vedi come ti ho imbrogliato bene? Non ero ancora nato che già recitavo benissimo. Così bene che tutti, mamma compresa, mi avete creduto morto!” “Guarda, io non ho tempo da perdere con un deficiente che si compiace di sparare cazzate.” 95 “Mamma mia fratello, che caratterino! Mi parli come se nella tua vita non avessi mai perso un singolo secondo di tempo. Insomma, mi pare che tu in quanto a tempo sprecato sia un vero maestro. Dai, rilassati un attimino e fatti raccontare la mia vita da attore, così almeno perdiamo un po‟ di tempo assieme, sono tanti anni che non ci vediamo. Devi sapere che dopo quella memorabile recita in cui vi ho fatto credere di essere nato morto ho smesso di recitare per parecchio tempo. Insomma ho represso il mio istinto naturale (e il mio talento) avvilendolo e avvilendomi. Fino a quando non ho conosciuto quella meravigliosa ragazza che sarebbe divenuta in seguito mia moglie. Appena la vidi fui colto da una serie di emozioni contrastanti. Da un lato avrei voluto farmi avanti e dichiararle tutta la passione che provavo per lei, ma d‟altro canto il mio essere timido, schivo e un tantino codardo mi suggeriva, maldestramente, di fuggirle il più lontano possibile. Alla fine, dopo una furibonda lotta interiore, il mio io passionale ebbe la meglio e una sera mi dichiarai. Purtroppo io ero (e sono) bruttino, il mio viso espone un naso prominente, i miei capelli da tempo hanno deciso di darsi alla macchia, in aggiunta a ciò sono leggermente gobbo e di certo il mio fisico non può definirsi atletico. Così il mio goffo tentativo non andò a buon fine e Sara (così si chiama mia moglie) mi mostrò, in maniera delicata ma ferma, un bel due di picche finemente ricamato con tanto di trine cucite a refe doppio. Ma io, dopo un primo momento di comprensibile scoramento, non mi diedi per vinto e feci quello che meglio sapevo fare, recitai. Sì, non guardarmi con quell‟espressione simile a una triglia bollita. Recitai la parte del bello. Un‟interpretazione da applausi! La poveretta, vedendomi così sicuro, 96 credette alla messinscena e dopo un po‟ il mio naso, ai suoi occhi, divenne meno ingombrante e più aggraziato, i miei occhi rimasero marroni ma divennero più grandi e lucenti, mentre il mio corpo subì un radicale mutamento: la gobba sparì lasciando spazio ad un fisico atletico e prestante. Insomma, per fartela breve, la poveretta cadde ai miei piedi come una mela matura. Fu presa da una passione così violenta e subitanea che mi colse totalmente impreparato. E quando, in preda a pulsioni irrefrenabili, mi chiese in quale posto pensavo di portarla al fine di soddisfare i nostri ardenti desideri rimasi sorpreso, senza parole, alquanto imbarazzato. Lei capì che non ero certo uno sciupa femmine, ma la cosa non le importava, in fin dei conti ero così carino! Da allora non ho mai più smesso di recitare. Ma ora ti voglio raccontare del mio ultimo capolavoro. Tu sai bene che non sono assolutamente capace di scrivere, ricordi quanti bei quattro mi ha rifilato la mia carissima professoressa di italiano? Non puoi essertene dimenticato, eri mio compagno di banco! Ah già, che sbadato che sono, tu mi credevi morto e quindi non riuscivi a vedermi. Perdonami, fratellino caro. Va beh! Comunque nelle materie letterarie ero un vero e proprio disastro ed è per questo motivo che infine sono diventato ingegnere, anche se delle trasformate di Fourier non mi è mai importato nulla, ma non dirlo alla mia ex professoressa di matematica, che se fosse ancora viva poveraccia potrebbe morirne. Mi sto accorgendo che il mio racconto sta prendendo la deriva della divagazione, ritornando al succo del discorso, nonostante io sia un illetterato, quasi un analfabeta, ho deciso di iscrivermi in un club di letterati, gente in gamba che sa esprimersi bene, 97 alcuni di loro hanno scritto libri e hanno un senso critico eccezionale. Ho scelto come nickname MK69 tutto in maiuscolo, io che al massimo posso essere mk69 tutto in minuscolissimo e già dal nick ho iniziato a fingere alla grandissima. Poi ho iniziato a scrivere poesie, ma ti rendi conto, io che scrivo poesie! Un paradosso assoluto. Senza alcuna nozione di metrica, avendo letto al massimo quattro righe della Divina Commedia venticinque anni fa e non sapendo bene nemmeno chi fosse il Boccaccio, mi sono messo a scrivere versi nella più nobile fra le arti. Ho interpretato talmente bene la parte del poeta colto e raffinato che qualcuno si è persino complimentato per come scrivo! Ho addirittura ottenuto una menzione d‟onore ad un concorso di poesia, capisci quello che ti sto dicendo? Credo che questa sia stata la mia recita migliore, il mio autentico Capolavoro. Sono riuscito a recitare con le parole, lo strumento che, per mia natura, è quello a me meno congeniale.” “Perché mi racconti tutte queste cose così compiaciuto? Io non ti conosco, tu non sei mio fratello, sei solo uno svitato che mi sta importunando. Per piacere togliti dai piedi e vai a rompere i coglioni a qualcun altro.” “Ma come non sono tuo fratello! Non ti ricordi che il Natale scorso mi hai regalato un disco degli MK? Sì, proprio loro, quelli con la MK maiuscola. Ti rammenti mentre io e lui adolescenti guardavamo annoiati gli altri, quelli che si divertivano (c‟eri anche tu con loro, ricordi?), poi lui ha deciso di salire su un palco ad annoiare quelli che in passato annoiavano lui. Ma questo e` un‟ altro discorso, la solita divagazione che mi assale di tanto in tanto.” “Ah… forse, forse ricordo... A proposito di 98 divagazioni, ho visto la zia ieri sera, sai? Mi sembra che stia meglio ora” “La zia è morta caro mio, solo che si è dimenticata di smettere di respirare.” “No, non è possibile, vuoi offendere la mia intelligenza e la dignità di nostra zia? È viva e mi ha pure fatto dei discorsi profondissimi.” “Già, è incredibile come la zia da morta sia più intelligente di quando era viva! Ha quello sguardo profondo quando le esponi i tuoi problemi, come a dirti „Guarda sono tutte cavolate, osservami bene, osserva come diverrai.‟ Quello sguardo spento che adesso si porta addosso è illuminante. Ora, da morta, ascolta le persone come non aveva mai fatto prima, evita accuratamente di parlargli sopra e alla fine dispensa consigli e consola. Non ha mai avuto così tanti amici, povera zia. Tutti lì in processione a trovarla, spesso con un mazzo di fiori. Ricordi quando tu e la mamma mi avete gettato nella spazzatura perché credevate che fossi morto? Beh è stata la zia a recuperarmi e a crescermi. Per me lei è stata come una vera madre.” “Tu non ci sei con la testa, lasciami, vattene via per favore o non rispondo più delle mie azioni, davvero!” “No, non morirò di nuovo, non permetterò che tu mi getti via ancora una volta. Ci sono troppe cose che non sai e ti voglio troppo bene per tacertele.” “Ma se ho cercato di ucciderti, perché tu vorresti proteggermi?” “Perché... perché sono tuo padre!” “Ma... ma… io... io ho sempre pensato di essere orfano di padre, non è possibile! Papà… papà!” “Hai visto cugino come sono bravo? Sono proprio un attore nato!” 99 UN FOGLIO SOTTILISSIMO Me lo ricordo ancora, lui così alto, mentre camminava con passo sicuro, con quei suoi lunghi capelli biondi. Quanta invidia provavo, io che ero quasi completamente calvo, ad appena ventidue anni. Avevamo ottenuto quel lavoro mal remunerato e con un contratto immancabilmente a termine, ma eravamo felici. Per due mesi avremmo potuto guadagnare qualche soldino, che poi ci saremmo scoppiati in lunghi week-end che avremmo trascorso in discoteche impasticcandoci con acidi e bourbon in compagnia di qualche ragazza disinibita. Progetti per il futuro non ne avevamo, il futuro era una parola che non ci riguardava, una specie di entità astratta per la quale non valeva nemmeno la pena di vivere. A noi interessava solo il presente, il presente era questo ed era ciò che volevamo. Sì, lo sapevamo che circolavano i soliti discorsi sui bamboccioni (categoria alla quale noi appartenevamo di diritto), con fior fiore di psicologi interpellati per spiegare il fenomeno, talkshow e ministri che si dilungavano in chiacchiericci sul degrado dei giovani parassiti che succhiano il sangue ai propri genitori. Ma a noi non importava nulla di quei discorsi patetici, da vecchi. Non erano proprio loro che, in fin dei conti, ci avevano rubato il futuro? E adesso avevano pure il coraggio di disquisire saccentemente sul nostro stile di vita e la faccia tosta di farci le pulci. Ipocriti! Ma torniamo alla nostra storia, che non voglio 100 disperdere in discorsi rancorosi. Ricordando quei maledetti giorni, mi sembra sia stato ieri il nostro primo giorno di lavoro. Ci presentammo tutti e due nell‟ufficio del padrone visibilmente emozionati (era quello, sebbene a termine, il nostro primo vero impiego). Il proprietario dello stabilimento era un uomo sulla cinquantina, brizzolato, corpulento, aveva una faccia bonaria e cercava di essere simpatico con noi. Si presentò, fece alcune battute a sfondo rigorosamente sessuale, e alla fine ci disse poco o nulla del lavoro che dovevamo iniziare subito dopo. Immagino che avesse ritenuto irrilevante parlare di quello che dovevamo fare, probabilmente perché, data la semplicità delle mansioni affidateci, non giudicava necessario tediarci con discorsi superflui. L‟unica cosa che mi colpì fu che ci informò del nostro ruolo di risorse allocate al reparto di finissaggio, parola di cui ignoravamo (e tuttora ignoro) il significato. Prima di accomiatarsi ci raccomandò di fare molta attenzione poiché, sebbene il nostro compito non fosse dei più difficili, comportava dei rischi. Le condizioni in cui lo avremmo svolto erano fuori dalle norme di sicurezza previste dalle vigenti norme di legge e un getto di vapore o il contatto con parti meccaniche surriscaldate potevano ferirci anche gravemente, mettendo in cattiva luce il nome dell‟azienda. Lavorammo regolarmente senza intoppi per circa due settimane. Era un compito veramente facile, particolarmente adatto a giovani senza esperienza lavorativa come noi. In pratica dovevamo solo tenere monitorata la temperatura di una macchina che spruzzava un getto di vapore caldo sopra i tessuti che venivano portati fin lì da un nastro trasportatore. Di tanto in tanto i getti si ostruivano e 101 noi, a quel punto, dovevamo bloccare la macchina e pulire gli ugelli dai quali veniva sparato fuori il vapore. E fu proprio durante lo svolgimento di questa operazione che la tragedia si consumò. Giorgio notò che il getto si era notevolmente affievolito, quindi mi intimò di bloccare la macchina. Cosa che, ovviamente, feci immediatamente. Si avvicinò quindi cautamente ad essa, visto che le parti meccaniche esposte erano particolarmente calde, e iniziò a svolgere quella che era ormai divenuta un‟operazione per lui consueta. Io, intanto, controllavo la macchina, pronto a farla ripartire al suo comando. All‟improvviso vidi la temperatura del vaporizzatore schizzare oltre i limiti di guardia. La cosa mi colse di sorpresa, perché era stata bloccata e non credevo che si potesse surriscaldare. Sinceramente non so nemmeno se quel malfunzionamento fosse stato previsto, nessuno mi aveva detto di prestare attenzione a un simile caso. Fatto sta che ritardai per qualche maledetto secondo la manovra di messa in sicurezza, che poi era quella di spegnere definitivamente la macchina e avvisare Giorgio del pericolo. Quel ritardo fu fatale. Un getto di vapore caldissimo investì il mio amico, che senza dire una parola cadde a terra privo di sensi. Rimasi allocchito davanti al monitorino del vaporizzatore per un tempo che non saprei quantificare. Infine riuscii a prendere coraggio e mi avvicinai al suo corpo esanime. Sembrava che stesse dormendo, non c‟erano particolari segni di ustioni, al punto che mi illusi che fosse stato colpito solo di striscio dal getto di vapore caldo e fosse ancora vivo. Allungai le mani verso di lui e iniziai a tirarlo per i lunghi capelli per trascinarlo verso di me (temevo che il pavimento e le parti meccaniche fossero bollenti e non mi azzardavo, codardamente, 102 a raggiungere il luogo dove si trovava il corpo). Improvvisamente la testa del mio amico si staccò di netto e mi rimase in mano sottilissima, come se fosse un foglio di carta. Ma la cosa più impressionante era che quel foglio non gridava (o perlomeno, se lo faceva non lo sentiva nessuno). Giorgio, il mio amico d‟infanzia, era muto, un foglio senza volto, senza inchiostro, pronto ad essere cancellato appena fosse uscito dalle mura di quella stanza. Come se l‟aria aperta avesse orizzonti troppo grandi per contenere la sua storia. Una storia che non aveva nemmeno più una maschera dietro la quale nascondersi. 103 IL RIFLESSO DI LAZZARO Era la prima volta allo stadio per lui. Aveva solo sei anni ma si sentiva grande. Con la mano ben stretta in quella del suo papi non smetteva mai di guardarsi attorno. Era stupito, tutti quei colori, quei canti, quella gente che camminava all‟unisono come se facesse parte di un unico organismo colorato che procedeva in un‟unica precisa direzione. Tutti quanti, quel luogo verso il quale procedevano, lo chiamavano il tempio e quando lo vide spuntare da dietro le case rimase senza parole. Una struttura così grossa e imponente era inimmaginabile per lui. Sgranò i suoi occhi di bimbo in un‟espressione di stupita meraviglia, era come se stesse sognando. E arrivò il momento del fischio di inizio in un‟esplosione di cori e colori. La palla si muoveva frenetica in mezzo a quel campo verde che gli sembrava non finisse mai. Ascoltava, non senza divertita meraviglia, pittoreschi rimbrotti verso un omino in giacchetta nera che sembrava prendere decisioni in mezzo al campo, incurante delle esplosioni di bile che scoppiavano sugli spalti, come se potesse reggere lo sguardo di tutta quella folla senza paura. “Ci vuole un bel coraggio”, pensò ammirato. Vide la palla gonfiare la rete, la sua squadra era passata in vantaggio e non avrebbe mai potuto immaginare quello che sarebbe successo da lì a poco. Osservò gli adulti, omoni grandi e grossi, che piangevano dalla gioia come bambini e si abbracciavano l‟uno all‟altro come se fossero 104 stati degli amanti. Nei loro occhi c‟era una luce che non aveva mai visto prima e spandeva una felicità contagiosa che presto lo prese per mano e lo sollevò da terra. “Grazie papi” disse e gli schioccò un bel bacio sulla fronte sudata. Era proprio contento. Al fischio finale uscì in mezzo alla folla rumorosa. Stava ad ascoltare stupito i discorsi dei grandi i quali, per una volta, gli sembravano più piccini di lui. Passarono accanto ad una bancarella che vendeva magliette della loro squadra. “Papà mi compri una maglietta? Ti prego”, il papi non seppe dirgli di no e un attimo dopo si ritrovò a indossare la divisa della sua squadra del cuore. Camminavano mano nella mano lui e il suo papi, lui piccino con la manina infilata nella grossa mano del padre che la avvolgeva come una grossa coperta di spessa lana. Si sentiva al sicuro al fianco di quell‟omone grande, grosso e buono come un cucciolo un po‟ troppo cresciuto. Si stava godendo tutto quello che gli stava regalando quel fantastico pomeriggio, gli odori che provenivano dai chioschi ambulanti abbarbicati ai lati delle strade che per una volta, con suo grande stupore, erano chiuse al traffico, i colori di quella folla multicolore e infine il tiepido calore di quella giornata tersa di fine settembre. All‟improvviso udì uno stridore alle loro spalle e delle grida seguite dallo scalpiccio di persone che fuggivano terrorizzate. Le ruote di uno scooter sgommarono e sopra il sellino due giovani con il volto coperto sfrecciarono nella loro direzione. Venne abbagliato da qualche cosa, dovette mettersi la mano davanti agli occhi e poi… 105 Vide la lama di un coltello piantarsi nella carotide di suo figlio. Sentì un suono sordo come se nel silenzio il mondo fosse crollato o fosse stato risucchiato. Vide tutto al rallentatore, come se le immagini fossero filtrate attraverso un effetto stroboscopico, come se nel suo cervello ci fosse un regista perverso che scegliesse accuratamente le istantanee e gliele mostrasse in sequenza per dargli il tempo di fissarle bene nella mente. Mosso da una forza a lui aliena si mise a rincorrere la motoretta. La raggiunse e con una poderosa spallata gettò a terra conducente e passeggero. Vide l‟uomo che aveva appena ucciso suo figlio alzarsi e darsi, veloce, alla fuga. Inutilmente. Gli balzò addosso con tutti i suoi 98 chili e iniziò a pestare come non aveva mai fatto in vita sua. Afferrò la testa del ragazzo e prese a sbatterla con forza sulla ringhiera di ferro battuto che si trovava alla sua destra. Aveva le nocche completamente ricoperte di sangue quando si sentì improvvisamente trafiggere il petto da una fitta ghiacciata e dolorosissima. Aveva affondato il coltello nel petto di quell‟uomo come se fosse stato fatto di burro. E adesso per la prima volta lo vide in volto. Aveva un‟espressione indicibile, quegli occhi erano terribili. Il riflesso di un odio che aveva visto molti anni prima negli sguardi di suo padre quando, sbronzo, tornava a casa e iniziava a riempirlo di botte. Ma era l‟espressione complessiva del volto che aveva qualche cosa di sinistro e innaturale. Mentre lo guardava ebbe la certezza che per lui fosse giunta la fine. 106 Lo spettacolo che si parava di fronte ai miei occhi era agghiacciante. Nonostante ormai da molti anni prestassi servizio nella Croce Rossa, ciò che vidi era unico nella sua tremenda tragicità. Davanti a me c‟era un uomo zuppo di sangue con un coltello piantato nel cuore, in piedi, rigido e quasi immobile, che nella mano destra stringeva i capelli di una testa completamente insanguinata e deforme, sbattendola ritmicamente con forza contro una ringhiera arrugginita cosparsa di brandelli di cervello. A parte questo movimento, l‟uomo sembrava imbalsamato e il movimento era meccanico, ripetitivo e precisissimo nella sua periodicità, come quello di un orologio a pendolo. Erano movimenti clonici, ma talmente tragici e grotteschi che davano l‟impressione di essere soprannaturali. Si era formato un capannello di persone intorno alla scena che osservava ammutolita, con gli occhi sgranati. Un senso di angoscia aleggiava nell‟aria depositandosi su ogni essere vivente che si ritrovava a posare i suoi occhi sopra quello spettacolo assurdo. Ma l‟immagine che mi porterò sempre appresso è quella del volto del padre. In esso era dipinta un‟espressione che conteneva allo stesso tempo un dolore e un odio che definire disperazione era riduttivo. Era il riflesso del dolore di un padre e di un bimbo e di tutto il tempo che gli era stato rubato. 107 LA BARRANTANA “Ti ho vista mentre ti nascondevi. Sei stata veloce e furba, ma ti ho vista e non ti darò tregua, puoi starne certa. Rimani lì buona buona, mentre vado a prendere la mia arma. Tornerò fra un secondo. Sai che non ti voglio lasciare qui tutta sola. Potresti avere paura e io non lo voglio, lo sai vero? Eccomi di nuovo qui, sono stato veloce come un lampo, contenta? Adesso con il manico di questa scopa ti schiaccerò, ma solo un pochino, appena quel tanto che basta per mandarti al creatore, brutta scolopendra assassina. Accidenti, questa fessura è troppo stretta, non riesco a stanarti, bruttissima figlia di buona donna. Ti sei nascosta bene, eh? Accidenti a me, non ho nemmeno un po‟ di sanissimo veleno per insetti in dispensa e oggi è domenica, tutto chiuso in questo paese di morti viventi. Ti piace la casetta che ti sei appena trovata? Forse non è giusto portarti via da lì. E che diamine, non voglio certo farti credere che io sia un padrone di casa inospitale. Va bene, puoi rimanerci pure e ci puoi stare per tutta la vita. Sì, sì, proprio così e non ti chiederò nemmeno l‟affitto. Sono proprio un bravo ragazzo, vero? Scusa ma ti devo proprio lasciare ancora un attimo da sola, rimani pure lì comoda, non disturbarti a gironzolare che intanto non c‟è nulla di interessante da vedere qui in giro. Io così vado in dispensa, prendo un po‟ di stucco e chiudo quella fessura che ti fa entrare in casa tutto quel freddo, poverina! Brutta cattivella, dove te ne sei andata? Perché 108 non sei rimasta nella tua casetta al calduccio? Dai fatti vedere che ti voglio accarezzare, non fare la timida con me. Accidenti, ti ho cercata tutto il santissimo giorno, ma niente. Ti sei vaporizzata! Ma ci sei ancora? Sei ancora qui? Basta, per quanto tu mi stia simpatica non meriti tanta attenzione. Io sono stanco e me ne vado a dormire, mi raccomando, se sei ancora in bagno, vedi di startene lì buona buona e cerca di non venirmi a trovare in camera da letto. Sai, ho una ragazza molto gelosa e se venisse a sapere che dormiamo nella stessa stanza la prenderebbe a male, davvero! Non so proprio cosa ci potrebbe fare, mi vengono i brividi al solo pensarci. Buona notte.” Spense la luce e in breve tempo si mise a sognare. Nel sogno si ritrovò proiettato indietro nel tempo, all‟epoca di quel maledetto episodio che cinque anni prima segnò il suo destino irrimediabilmente. Si rivide appena diciottenne mentre tornava a casa insieme alla sua prima fidanzata, Gloria, di sette anni più matura di lui. Era stato un vero colpaccio. Nessuno dei suoi amici credeva che potesse riuscire nell‟impresa di uscire con una ragazza così carina e, per giunta, esperta. Loro lo consideravano uno sfigatello. Per la verità non era brutto, era alto, magro, non aveva difetti fisici evidenti, ma era anche vero che non aveva nessuna di quelle qualità che piacciono particolarmente alle ragazze. Insomma non era brutto ma nemmeno bello. Un tipo del tutto ordinario che non si faceva notare. Ma quell‟inaspettato successo lo aveva messo, agli occhi dei suoi amici, sotto una luce diversa. Non era più l‟insipido Giulio, ma era Giulio il ragazzo che andava a letto con Gloria, la cameriera più sexy del Trocadero. 109 Erano ormai quattro mesi che uscivano assieme e voleva farla conoscere a suo padre. Era sicuro che avrebbe cambiato faccia appena lo avesse visto varcare la soglia di casa con quel meraviglioso esemplare di femmina procace. Chissà cosa gli avrebbe detto! Era curioso e divertito allo stesso tempo e lo confessò ingenuamente alla sua compagna, che rise maliziosamente. Girò la chiave nella toppa della porta ed entrò. Suo padre era in sala e stava guardando la solita trasmissione sportiva. Poteva stare a guardare quella roba insulsa per tutta la sera. Giulio non riusciva a capacitarsi di come suo padre potesse fossilizzarsi tutto quel tempo su di una poltrona ad ascoltare i soliti discorsi triti e ritriti, sempre uguali. Era rigore o non era rigore e il fuorigioco e la zona e la marcatura ad uomo e l‟espulsione e l‟ammonizione e così via per tutta la durata della trasmissione. Oddio, un tempo suo padre, prima che sua madre lo piantasse e se ne andasse di casa per stare assieme a quell‟uomo di colore, era una persona molto diversa. Era decisamente più vivace e spesso, addirittura, riusciva ad essere brillante e simpatico. Ma dopo quell‟evento si era fossilizzato. Era come se tutta la sua energia vitale se ne fosse andata anche lei da casa, abbandonandolo. Insomma, era rimasto solo un involucro, come se l‟essere che si trascinava ancora fra quelle mura fosse solo la crisalide abbandonata di una farfalla. Appena vide suo figlio accompagnato a quella ragazza cambiò espressione, come da copione. Gloria si mise a ridere, un sorriso bellissimo, contagioso. Il padre era ancora giovane e portava bene i suoi quarantatre anni. Giulio si accorse che negli occhi di Gloria vi era qualche cosa che non riusciva bene ad afferrare, ma che non gli piaceva 110 per niente, e anche negli occhi di suo padre c‟era qualche cosa che non avrebbe dovuto esserci. Nei giorni a venire non disse nulla di quella fastidiosa sensazione prodromica di guai a venire, né a lei né a lui, ma gli rimase nello stomaco, indigeribile. Circa un mese dopo la sera della presentazione Giulio tornò a casa due ore prima da scuola a causa dell‟assenza di un professore. Appena entrò nel cortile notò, con sorpresa, l‟auto di suo padre parcheggiata. Gli parve strano poiché il padre non gli aveva detto che non sarebbe andato al lavoro. La mattina si era alzato presto, come al solito, e avevano fatto colazione assieme, come sempre. Insomma, si era comportato normalmente, come se dovesse andare in ufficio. Insospettito girò lentamente la toppa della porta per fare meno rumore possibile. Sentì dei sospiri provenire dalla stanza da letto di suo padre. Un presagio poco piacevole fece capolino nella sua mente mentre si dirigeva deciso, ma silenzioso, verso la stanza. Spalancò la porta di colpo, entrò e vide i corpi nudi di suo padre e Gloria avvinghiati l‟uno all‟altro. Fu terribile, gli sembrò che il mondo gli cadesse sotto i piedi. Si sentì sprofondare, come risucchiato da una melma pestilenziale che lo abbracciava senza lasciargli il tempo di respirare. Vacillò come colpito da un oggetto pesante sul capo. Uscì da quella stanza rapidamente, ma tutto rimase confuso, sfocato, non c‟era più un oggetto al suo posto, tutto danzava vorticosamente, le scale, il lampadario, il mobilio, le poltrone, persino il pavimento non voleva rimanere fermo. Dopo aver lottato qualche secondo con un mondo che aveva preso forme, colori e movimenti inconsueti si lasciò cadere a terra svenuto. Rinvenne sdraiato sul suo letto, assalito da 111 un‟angoscia indicibile. Pensò con che coraggio avevano potuto tradirlo in quel modo. Da suo padre poi non se lo sarebbe mai aspettato, che lurido bastardo si era dimostrato! Ma gliela avrebbe fatta pagare cara, eccome. Si alzò dal letto furibondo, discese i gradini a due a due con balzi furiosi, fino a giungere in cucina dove Gianni, suo padre, stava mangiando. Gianni appena lo vide entrare cercò di schermirsi e di scusarsi, gli disse che non sapeva cosa gli era successo, che quella ragazza lo aveva circuito, che si era sentito come preso da una forza magnetica a lui ignota e contro la sua volontà si era ritrovato a letto con lei. Non sapeva spiegare, pregava e spergiurava con le lacrime agli occhi che non avrebbe voluto farlo e continuava a ripeterlo come un disco rotto, frammentato di tanto in tanto dal pianto. Giulio era indemoniato, ad ogni giustificazione del padre s‟inferociva sempre di più, era completamente fuori controllo. Cominciò a spingerlo mentre il padre cercava di sfuggirgli per evitare il contatto fisico, inutilmente. Alla fine vennero alle mani. Volarono calci, pugni, schiaffi in un crescendo di violenza e disperazione sempre più esacerbato, fino a che un montante ben assestato del padre non stese per terra il figlio. A quel punto Gianni si voltò e fece per uscire dalla cucina nella speranza che l‟increscioso incidente fosse terminato, ma si sbagliava. Giulio appena lo vide di spalle si alzò furibondo e lo spinse violentemente. Gianni perse l‟equilibrio e cadde pesantemente sbattendo la tempia contro lo spigolo della madia. Dopo l‟impatto alleggiò nella stanza un silenzio pesante come il piombo, a sottolineare la tragedia che si era appena consumata. Giulio capì all‟istante, senza nemmeno il bisogno di 112 verificarlo, la gravità di quanto era appena accaduto. Sapeva che suo padre non era più lì con lui, aveva intrapreso un viaggio senza ritorno a corollario di un alterco che non ammetteva una fine diversa da quella. E venne il giorno del processo. Si ricordava di quell‟aula solenne e di tutte quelle persone che lo scrutavano come se fosse stato un animale. Ma soprattutto si ricordava degli occhi di Gloria. Riflettevano una strana luce, malvagia e malefica come quelli di una strega e poi le tremende parole che disse sul suo conto quando le fu chiesto di testimoniare. Erano cariche d‟odio verso di lui, un risentimento che non riusciva a comprendere appieno e lo ferirono profondamente, come lame affilatissime. Venne letta la sentenza, che accolse con indifferenza, un assoluto senso di vuotaggine si era impadronito di lui durante tutto il tempo del processo. Come se in quell‟aula non si stessero giudicando le sue azioni ma quelle di una persona a lui estranea. Fu condannato a tre anni di reclusione, subito commutati in arresti domiciliari, visto che i giurati non l‟avevano considerato un soggetto socialmente pericoloso. Un successo, secondo il suo avvocato, ma lui si sentiva colpevole e nulla, da quel momento in poi, sarebbe stato come prima. Il temporale lo svegliò di soprassalto, riportandolo istantaneamente alla veglia. “Accidenti, che temporale! Sembra che stasera le streghe facciano festa sopra il Bricco Spaccato! Ehi amica mia, mi senti? Sei in questa stanza? Fa piacere avere un insetto simpatico e ciarliero come te in queste fredde nottate un poco inquietanti. 113 Accidenti, che buio! Non si vede nulla, deve essere saltata la luce. Aspettami cara, scendo dal letto e vado a prendere una torcia, sei talmente carina che ti vorrei vedere, non ti dispiace vero? Brr… come è freddo il pavimento. Ah che male! Ah mi hai morsicato, brutta bastarda! Che dolore al tallone! Mamma mia, si è gonfiato come un pallone, accidenti, devo raggiungere subito la dispensa nella speranza che questa bestiaccia non mi morsichi ancora. Dove sei, vigliacca! Non c‟è luce, mi manca l‟aria, mi sento svenire, può essere ovunque quella stronza bastarda! Mi senti? Dimmi che ti ho fatto di male! Ecco, eccomi in dispensa, gli scaffali, dove sono gli scaffali, ma perché è così buio, Cristo! Calmati, calmati, respira piano cerca di non tremare. Non c‟è nulla di cui preoccuparsi, è solo uno stramaledettissimo insetto, forza, adesso con calma cerchiamo a tentoni e vedrai che troveremo la torcia in un batter d‟occhio. Eccola! Vedi, vedi che con la calma si ottiene tutto? Non c‟era bisogno di farsi prendere dal panico. Click! Ora va meglio, ci voleva proprio, questa luce mi tranquillizza non poco! Il tallone, mannaggia se è gonfio, che male! Dove sei, bella bimba mia? Non ti vorrai mica nascondere adesso, eh? Mi vorrei divertire un pochino anch‟io. Dai, fatti vedere, non vorrai mica farti schiacciare involontariamente, no? Ti sei nascosta bene, eh, brutta puttana! Sarà meglio ritornare sul letto, sarà più facile evitare che tu mi colga di nuovo di sorpresa. Accidenti che incubo, ma che ore sono? Dai, forza sole, che aspetti a sorgere? Per una volta potresti anche alzare la chiappe un po‟ prima, no? Ma cos‟è questa nenia? Sembra provenire dal Bricco Spaccato. Mi sembra di impazzire, accidenti! Quanti lampi sopra quella maledetta 114 collina, non ho mai visto una cosa simile. E questa musica inquietante che sarà mai?” Un motivo tetro, ipnotico e ossessivo si diffondeva nella stanza inducendogli stanchezza e spossatezza. Giulio combatté con tutte le sue forze per non sprofondare fra le braccia di Morfeo, ma invano. Nonostante le continue torture alle quali aveva sottoposto dita, guance e palpebre si addormentò come un bambino nella culla. Sognò una donna che non ricordava di avere mai visto prima. Era completamente nuda, fatta eccezione per un sottilissimo perizoma nero e un paio di calze autoreggenti anch‟esse nere. Calzava un paio di scarpe rosse con un vertiginoso tacco a spillo, che slanciavano le sue belle gambe ben tornite. Stava attraversando il ponte romano ubicato nel centro storico del paese, ancheggiando in maniera sensuale e provocatoria. Era una donna decisamente bella sulla quarantina. Aveva due seni enormi e sodi e i suoi capelli castani erano intrecciati a formare una sorta di nido di serpenti sinuosi e lascivi. In mezzo ai seni, quello che a prima vista sembrava un grosso pendaglio non era altro che la scolopendra. Vide l‟insetto che camminava sul corpo di lei in direzione della bocca. La donna si mise a leccare l‟insetto lascivamente e a ricoprirlo di baci, nel contempo cominciò a masturbarsi. Dopo aver insalivato per bene l‟animale, se lo portò nei pressi della vagina completamente rasata e vide quell‟insetto insolente mettersi ad esplorare gli orifizi di lei, che godeva in maniera spudoratamente sguaiata, abbandonandosi a convulsioni orgasmiche. Più la donna si dimenava come una indemoniata e più gli elementi della natura si scatenavano come comandati dal piacere di lei. Lampi, tuoni e pioggia 115 scuotevano l‟aria instancabili mentre un forte vento di tramontana faceva volare foglie, polvere e qualsiasi altro oggetto non saldamente ancorato al terreno, producendo una sinfonia di rumori abilmente orchestrati dal suo possente soffio. Improvvisamente, proprio quando quella puttana era arrivata al culmine del piacere e mentre attorno a lei l‟universo intero si prodigava in un baccanale perverso che saturava l‟aria di rumori osceni, calò il silenzio. Vide la donna sorridere soddisfatta, poi cambiò espressione e i suoi occhi lo fissarono con odio. Sentì la sua voce rimbombargli nelle orecchie come un eco che non ammetteva repliche. “Imparerai a caro prezzo, sciocco, a mettermi il bastone fra le ruote. Tu, pusillanime, inetto, hai ucciso l‟uomo sul quale da tempo avevo posato i miei occhi. Quanta fatica e quanta magia ho sprecato per convincere sua moglie (tua madre) ad andarsene, a lasciarlo a me, la Barrantana. Ma dimmi, chi credevi che fosse Gloria? Ma come potevi pensare che una donna così affascinante potesse essere veramente interessata ad uno sbarbatello come te? Tu eri solo un mezzo per arrivare a lui. Che tu sia maledetto, ma adesso la mia vendetta sta per compiersi. Ci rivedremo presto all‟inferno, bye bye.” E così dicendo gli inviò un bacio che lo svegliò di soprassalto. “Dove sei, dove sei, lo so, lo so che mi vuoi uccidere. Animale del demonio vai via VAI VIA! Ma... ma... è giorno! Dio tu sia ringraziato, era solo un sogno, accidenti però se sembrava vero! Certo che sono proprio uno sciocchino che si spaventa con niente! Basta un semplice insetto un po‟ antipatico per indurmi tutte queste insulse paure. Sono proprio ancora un ragazzino su questo, quella 116 specie di megera del sogno aveva ragione. Però che bel morso che mi hai dato stanotte, insetto malefico. Cos‟era, il bacino della buona notte? Ti ringrazio, ma ne faccio volentieri a meno, capito?” Si alzò e si diresse verso il bagno con circospezione. “Accidenti che borse agli occhi che ho! Ho dormito malissimo stanotte, mi si legge in faccia. Tutto grazie a te, mia maledettissima amica. Ma adesso, dopo che mi sarò lavato, faremo i conti noi due. Ho tutto il giorno a disposizione per stanarti, contenta? Non sai che bella festicciola ti farò, vedrai sarà indimenticabile.” Dopo aver ammonito la scolopendra si sciacquò il volto, si rasò e si lavò con cura i denti, poi controllò scrupolosamente allo specchio la dentatura in cerca di eventuali carie. Era un‟operazione quotidiana per lui, ossessionato dall‟igiene orale. Spalancò per bene la bocca per vedere meglio i molari, posizionando il volto verso la luce in alto e l‟insetto balzò dal ripiano superiore del mobile a specchio alla sua gola. “Ah bastarda, cosa fai? Vuoi pungermi in gola? Ahh che dolore! Puh… Ah che male, non respiro, sto soffocando, aiuto, aiuto!” Imprecando furiosamente, barcollava nel bagno in preda a spasmi incontrollabili. “Maledizione, cos‟è questa musica? Questi violini sgraziati che suono perverso producono? Sembrano arie immonde e queste chitarre distorte suonano scale impossibili dalle pendenze verticali. Come fanno a produrre suoni così disarmonici? Quale mente malata può aver concepito e composto queste melodie empie di simili dissonanze assurde? Mio Dio, quali blasfemie contengono, il mio cervello non è in grado di ascoltarle, vi prego, vi prego, fermate questo folle direttore d‟orchestra 117 dagli occhi iniettati di sangue che divora i cervelli con le note carnivore che lacerano la mia mente! Fermatelo, fermatelo per l‟amor di Dio!” Dopo aver urlato come un pazzo a squarciagola per qualche secondo, che a lui parve un‟eternità, cadde a terra esangue. Arrivammo la mattina presto su segnalazione dei vicini di casa che avevano sentito il ragazzo urlare come un ossesso. Preoccupati avevano provato a suonare il campanello e a telefonargli sul cellulare, ma senza ottenere alcuna risposta. Con l‟aiuto dei vigili del fuoco entrammo nell‟appartamento e vedemmo il povero ragazzo riverso in bagno, con il pallore tipico della morte a incorniciargli il bel viso. Sul lavandino trovammo delle pasticche di sostanze sintetiche delle quali i giovani abusano senza nemmeno conoscerne la composizione. Spesso anche chi li rifornisce ignora la natura della merce che spaccia. Chi produce questa roba è sempre in cerca di nuovi composti allucinogeni che non possano ancora essere catalogati come droghe e che risultino sostanze legali per avendo effetti totalmente imprevedibili. I ragazzi che le assumono sono delle vere e proprie cavie che pagano per essere tali. E il prezzo, a volte, è la vita stessa come, purtroppo, questo giovane poco più che ventenne ha potuto constatare personalmente. Adesso immaginavo il nostro caro sadico patologo impegnarsi alacremente con un bel ghigno dipinto sul brutto volto. Il lavoro, quel giorno, non gli sarebbe mancato, anche se la causa del decesso era tragicamente evidente. Io e il sergente scendemmo in strada a prendere 118 una boccata d‟aria, intanto lì non c‟era più nulla di interessante da vedere. Mentre attraversavamo il cortile udii una nenia monotona e inquietante provenire da quella collina che la gente chiama Bricco Spaccato. Una melodia che, per qualche motivo recondito, mi procurò un forte disagio e un lungo e insistente brivido attraversò tutto il mio essere, allarmandolo. Ho ancora la netta sensazione che anche il sergente avesse udito quelle note malate e che, come me, avesse fatto finta di niente. Ci guardammo per un lungo istante negli occhi, poi, come se niente fosse, accelerammo il passo senza voltarci, fuggendo da un‟atavica paura della quale avevamo dimenticato il nome e che non volevamo, per nessuna ragione al mondo, ricordare di nuovo. 119 EUTANASIA DI UN COMPUTER 1. Prologo di un’eutanasia Sensazionale! Ecco a voi l‟ultimo numero di MK69. Inizia così il testo dell‟ennesima bizzarria del mio server, che ho chiamato per l‟appunto MK69. Non riesco a comprendere cosa gli stia capitando. Sono circa due anni che, a cadenza all‟incirca bimestrale e apparentemente di suo pugno, stampa plichi di fogli dattiloscritti pieni zeppi di poesie, racconti e altre amenità. Sto cercando di trovare un rimedio a questo suo comportamento bislacco, invano. Ho richiesto anche il consulto di tecnici molto preparati, conosciuti chattando in vari forum informatici, ma nessuno di loro si è mai ritrovato ad affrontare un problema simile. Ho allora lanciato il mio potente antivirus per cercare di stanare dei worm, trojan, adware, spyware o qualsiasi altra diavoleria informatica che potesse spiegare in modo plausibile questo fenomeno incomprensibile, ma niente, tutti i controlli non hanno rilevato alcuna anomalia. Eppure eccoli qui questi fogli mentre escono dalla stampante. Guardateli, guardate anche voi, dai su leggete, leggete, non vi sembrano le mie stesse parole? Ma come può una macchina, una semplice macchina fatta di silicio e qualche condensatore leggere il mio stesso pensiero e trasferirlo su carta? Cosa sta succedendo? Piccolo mio, sono molto preoccupato, ti ho accudito come un figlio e adesso ti vedo sprizzare inchiostro da una stampante come se fosse sangue. 120 Perché quelle facce allibite? Pensate forse che io stia impazzendo perché mi preoccupo della salute di un computer? Ma secondo voi chi ha passato nottate intere sveglio coccolandolo, configurandolo, crescendolo analiticamente, aggiungendogli moduli software, notte dopo notte amorevolmente? Sono io la persona che ha carpito i suoi primi vagiti mentre imparava il linguaggio dei pc (il tcp-ip). Sono io che l‟ho presentato alla comunità della rete, che l‟ho protetto dal mondo esterno inserendo regole di accesso nei suoi firewall, che ho reso sicure le sue porte e ho crittografato i suoi pensieri. Ma che ne sapete voi di tutta la fatica, l‟acribia e le ore di sonno che ho impegnato per Lui? E ora sto male nel vederlo delirare come un povero malato mentale. È come se la mia anima fosse stata risucchiata dai suoi circuiti e attraverso di essi mi parlasse di qualcosa di importante che mi sta sfuggendo dalle mani, che sto perdendo. E cerco di carpire, fra queste finestre che si aprono sul monitor, cosa c‟è che non va. Provo e riprovo, con tutte le mie forze, a ritornare quella persona analitica, scientifica, matematica che non ha mai dubitato sul risultato di un‟espressione, ancorata con fede cieca e ferma alle algebre che governano il suo mondo. Ma la verità è che non ho spiegazioni né certezze, quindi nemmeno soluzioni. Che fare allora? Staccare la spina e porre fine a questo stillicidio di fogli? So che è possibile l‟eutanasia di un computer, al momento la legge non la punisce, ma se staccassi quella spina quale sarebbe l‟immagine che resterebbe di me? Quale ricordo rimarrebbe impresso nell‟hard disk di mio figlio? L‟immagine di un padre che si è arreso e non gli ha voluto abbastanza bene per continuare a nuotare in un mare senza senso. E io non voglio 121 questo, non voglio che si spenga quel suo sorriso spensierato. Né io né nessun altro staccheremo quella spina e so con certezza che continueranno a piovere parole, pazienza se non saranno preziose o se mi faranno male. L‟importante è riempire un vuoto e a volte il vuoto può essere solamente una pagina bianca. 2. Eutanasia di un Computer Stanotte è successo quello che mai avrei potuto immaginare, nemmeno nei miei incubi più folli. Alle due, in mezzo al silenzio totale della quiete notturna, si è levato un sibilo acutissimo che mi ha svegliato di soprassalto. Subito mi ha assalito un senso d‟inquietudine che si è trasformato in panico quando ho visto che il server si era acceso da solo. Mi sono alzato dal letto tremante e mi sono avvicinato al monitor, per cercare di capire cosa volesse il PC da me a quell‟ora di notte. E ho visto, con estrema meraviglia, quello che nessuna persona al mondo avrebbe mai osato pensare. In mezzo allo schermo faceva sfoggio di sé il compilatore Borland C++ e nell‟editor era scritto un codice che, vi giuro, non avevo scritto io! Più che un codice sorgente era un delirio scritto in C++! Guardate anche voi che razza di listato mi si è parato davanti agli occhi e ditemi, non è forse l‟opera di un folle? WINAPI WinMain(HINSTANCE, HINSTANCE, LPSTR, int) { while(FOREVER) { if(dolore “ soglia) 122 { // giornata tipica di un essere vivente. vita-”Aggiungi_dolore(); } else { // Rimedi atti a sopravvivere. for(int i = 0; i”30_day; i++) vita-”Somministra_gocce(valium); if(dolore “ soglia) { while(dolore “ soglia) { vita-“Visita-psicologica(); } } } } } Ho letto e riletto il listato senza darmi pace e poi, spinto dalla curiosità, ho lanciato la compilazione di quel progetto intimamente convinto che fosse pieno di errori e non fosse in grado di generare un eseguibile. Ho pigiato il tasto F7 con sufficienza e con stupore ho constatato la terminazione corretta del processo di compilazione (ha rilevato solo qualche innocuo warning, ma nessun errore fatale). A questo punto ero combattuto, da una parte il mio carattere curioso mi imponeva di eseguire il.exe prodotto al fine di verificare cosa sarebbe successo, dall‟altra il mio animo timoroso ne era terrorizzato. Infine mi feci coraggio, appoggiai le dita tremolanti sul mouse e feci un doppio click sulla shortcut del nuovo eseguibile, lanciandolo. 123 Per qualche secondo, che a me parve un‟eternità, non successe nulla, pensai che il processo fosse crashato appena partito, ma all‟improvviso si levarono dalla stampante una sequela di rumori disarmonici e fastidiosi che smentirono ogni più ottimistica ipotesi. Fu allora che vidi sprizzare dalla stampante, che sembrava una fontana impazzita, un mare d‟inchiostro che s‟infranse sulle pareti della stanza. Quando le pareti della camera erano ormai ridipinte, un fischio acutissimo si levò dagli altoparlanti, spenti, del PC. Nel mentre mi parve di sentire le risa sguaiate di una donna che mi stordiva con il suo profumo e forse anche con la sua carne, allora presi l‟unica decisione possibile, staccai la spina. Lo feci e a malincuore, piangendo, ma la staccai. Capitemi per favore, c‟è un regolamento condominiale da rispettare, non si può fare rumore dopo le 11 di sera e prima delle 8.30 del mattino. Non si può disturbare la quiete del palazzo con i lamenti insensati provenienti da una macchina impazzita. Spero che mi possiate capire e quindi perdonare. Ho cercato di dargli voce fino a che ho potuto, fino a quando sono stato in grado di controllare e arginare la sua follia. Ma adesso tutti avrebbero saputo, avrebbero visto quelle macchie di inchiostro e avrebbero sentito i lamenti notturni di un malato mentale. E avrebbero compreso che quel malato ERO IO. 3. Epilogo di un’eutanasia Siamo entrati in casa dopo una chiamata dei vicini che, preoccupati dei rumori e delle grida che per buona parte della nottata si erano levate dall‟appartamento, avevano provato inutilmente a 124 bussare e telefonare a Stefano, l‟inquilino del quarto piano. Appena mi si è parato innanzi lo stabile, un‟angoscia profonda si è impadronita del mio essere. Quell‟edificio era lo stesso nel quale, solo la settimana precedente, avevamo trovato il cadavere di quel povero ragazzo ucciso da una pasticca sintetica. Una coincidenza? Possibile? Appena entrati nella camera da letto una scena agghiacciante ci ha accolti. Abbiamo visto Stefano disteso a terra, pallidissimo, con i polsi recisi. Le pareti della stanza erano completamente ridipinte dal sangue, tanto che era impossibile persino cercare di intuire quale fosse il loro colore originale. Il PC era acceso e mostrava il video di una donna nuda in pose provocanti. Una bella femmina, magra, sui trentacinque anni, la carnagione scura, la pelle liscia e levigata. Il seno, di medie dimensioni, si adattava armoniosamente con le sue forme agili e aggraziate. I suoi occhi, verde smeraldo, erano intensi e promettevano le fiamme dell‟inferno. Sopra il seno sinistro aveva un nome tatuato. Lo lessi, Miodina. Non so per quale motivo, ma quel nome non mi risultava estraneo, anche se non riuscivo a capire cosa lo rendesse familiare. Mi sembra ancora impossibile, ma se ci ripenso, non posso fare a meno di credere che quella donna mi potesse vedere dal monitor del PC. Infatti, dopo avermi squadrato intensamente, mi diede un bacio virtuale, ma a me parve di sentire le sue labbra carnose appoggiarsi sulle mie. Ancora adesso percepisco la sua lingua che mulina, avida, dentro il mio palato. Da allora non posso fare a meno di pensarla, così come non posso dimenticare la frase che mi disse prima di svanire come se fosse stata un sogno: “Pietro,un giorno di incontreremo nel bosco al tramonto e profumeremo come i fiori 125 di glicine che ho raccolto per te.” Mentre rimugino per ore ed ore sulle poche parole che pronunciò prima di lasciarmi, non posso fare a meno di alimentare un fuoco che mi divora dentro e cerca di portare i miei passi in direzione della collina che sembra voler fare la guardia al mio paese. Quella collina, che la gente del luogo chiama Bricco Spaccato, sembra mi voglia richiamare a sé e so bene che un giorno, non so quanto lontano, dovrò incamminarmi fra quei boschi in cerca della soluzione a questo mistero. E forse il prezzo che dovrò pagare per ottenerla sarà la mia stessa vita. Dattiloscritto inviato automaticamente. Si pregano i gentili lettori di cliccare sopra il seguente bottone di deregistrazione nel caso in cui non si voglia più ricevere, in futuro, composizioni e materiale prodotto da questo sistema informativo. Cordiali saluti, MK69 DEREGISTRAMI 126 IL BRICCO SPACCATO Ed eccomi qui mentre salgo via Ronco e mi appresto a raggiungere quel bosco ribattezzato dai locali Bosco delle ninfe. Poco prima che la via che sto percorrendo diventi sterrata, svolto sulla destra in una stradina che presto diventa dissestata e quindi si restringe fino a diventare sentiero. Alla mia sinistra, adesso, posso vedere una piccola casetta abbandonata in mezzo agli alberi. Così minuta e discreta, sembra quasi volersi nascondere in mezzo alla fitta vegetazione. Un tempo doveva avere un grazioso giardino, che adesso l‟incuria e l‟abbandono, stanno gradatamente trasformando in boscaglia. Immagino che ora vi stiate chiedendo per quale motivo uno stimato ispettore di polizia si metta a dar credito ad antiche leggende locali e si ritrovi a percorrere un sentiero di campagna poco prima che scocchi la mezzanotte. A dirvi il vero, risposte a questa domanda non ne ho. Forse dovreste chiedere all‟autore di questa storia, che decide senza nemmeno prendersi la briga di interpellarmi. Io sono solo il prodotto della fantasia di un tizio che pigia i tasti di un palmare, non vi dovete rivolgere a me per sapere le ragioni che muovono i miei passi su questi sentieri sporchi d‟inchiostro ancora fresco. Fosse stato per me, ne avrei fatto volentieri a meno, a quest‟ora tarda avrei preferito dormire, altro che andar per boschi a caccia di misteri con questa torcia dalla luce malferma che l‟aspirante scrittore mi ha messo nelle mani. 127 Adesso, in compagnia di questa fioca luce, mi trovo proprio sul limitare del bosco. Arrivato a questo punto, anch‟io mi chiedo dove trovare il coraggio necessario per poter compiere il prossimo passo. A questo dettaglio, forse, il pigia tasti non aveva pensato, poiché in fondo chi si deve addentrare nella boscaglia sono io, mica lui, che se ne sta a scrivere con il sedere al caldo, sorseggiando tranquillamente una tazza di tè. Che venga qui e lo faccia lui il benedetto passo e mi lasci in pace nel mio mondo di fantasia, dal quale mi ha sequestrato senza averne il titolo. Anche se, a essere sincero, a spingermi nel buio delle frasche non è solamente lo… ehm… “scrittore”, ma anche un richiamo invisibile che spinge i miei passi in questi luoghi ripidi e ombrosi, come se qui, fra queste erte, fra questi odorosi pini marittimi, potessi finalmente trovare le risposte alle domande che il mio essere si pone a mia insaputa. Insomma sono trascinato da un istinto primordiale che risponde ad un richiamo misterioso. E forse, questo richiamo, ha gli occhi di fuoco della Miodina. So che potrebbe essere un‟assassina, ma una parte di me ne è fatalmente attratta, sebbene io sia consapevole che questo mi farà soffrire terribilmente e che potrei cacciarmi in guai di proporzioni inimmaginabili. Non mi rimane altro da fare che incamminarmi nel buio impenetrabile, fra carezze di frasche che mi sfiorano e radici pronte a tendermi imboscate ad ogni passo. Avanzo, con la circospezione suggeritami dalla conoscenza di questo sentiero maledetto. Parecchie volte mi ci sono addentrato con la bici, quindi so che qui il bosco è ripidissimo, uno strapiombo che si incunea nella montagna dividendola in due parti quasi simmetriche. La gola è talmente stretta che impedisce alla luce di filtrare nel 128 fondovalle persino in pieno giorno, tanto che nemmeno i caprioli osano avventurarsi fra queste ripe. Eppure avanzo, incurante dei pericoli, concentrandomi sulle tracce di pneumatici che mi pare di scorgere, scuri sul sentiero che si aggroviglia come fosse un serpente pronto a mordermi. Ed ecco che, dopo una secca svolta, intravedo una luce in lontananza. Mi avvicino guardingo, con il cuore che sembra voler schizzare fuori dal petto e tutti i sensi allertati dal suono di una nenia antica che si diffonde nell‟aria, un canto ormai dimenticato, ma che è ancora vivo nei recessi bui del mio subconscio. Una figura in lontananza comincia a prender forma vicino alla debole luce di un fuoco, man mano che la distanza fra me e lei si riduce la sua definizione si arricchisce di particolari. Riesco a riconoscere un‟anziana signora vestita di stracci con un cappellaccio in testa. Bassa di statura e ingobbita, indossa collane di denti animali e i polsi sono ornati da spessi braccialetti pacchiani. Un fitto reticolato di rughe ricopre ogni centimetro quadrato del suo volto e, in mezzo alla pelle incartapecorita, due occhi scintillanti e vivi si muovono frenetici contemplando ogni cosa. La osservo rimestare instancabile il contenuto di un pentolone appoggiato su una grata sopra la brace incandescente. Vorrei scappare via mentre una paura atavica, primordiale, si impadronisce delle mie viscere, ma un sentimento contrapposto e di egual intensità si insinua in me infondendomi il coraggio di parlare: “Buona sera signora, bella serata, forse un po‟ umida ma fresca, non trova? Perdoni la mia impertinenza, ma cosa fa a quest‟ora tarda nel bosco? Non crede che sarebbe più saggio e salutare stare a casa al caldo?” 129 La vecchia mi fissa per qualche istante e poi scoppia in una risata roca e stridula che mi penetra nelle orecchie. Mi guarda compassionevole e continua a rimestare, incurante della mia presenza. Io rimango ad osservarla imbarazzato, vorrei avere qualcosa da dire per stemperare la tensione, ma rimango in silenzio. Forse sto sognando? Dovrei passarle innanzi e continuare il mio cammino come se niente fosse? Oppure tornare indietro e dimenticare questa storia dai contorni fiabeschi? In tutta risposta ai miei pensieri, la vecchia si mette a parlare: “Non tornerai indietro, ciò che hai visto ti ha turbato e cerchi colei che è entrata nei tuoi sogni e non ti dà pace. Sei qui anche per altri motivi che tu sai, ma che ti rifiuti di accettare e se su questa strada ti incamminerai, lei che desideri infine troverai. Ma tu vuoi sapere di più. Vorresti sapere chi sono, anzi, per meglio dire, chi siamo e cosa ci facciamo in questo bosco. Ci hanno chiamate con molti nomi nel corso degli anni e siamo sempre esistite. All‟inizio venivamo definite wicche ed eravamo considerate donne sapienti che utilizzavano erbe ed unguenti per guarire i malati o per predire il futuro. Ma l‟uomo purtroppo teme ciò che non conosce e tende a demonizzarlo al fine di annientarlo. A poco a poco venimmo identificate come le schiave del demonio e la gente incominciò a metterci in relazione con quegli animali misteriosi e notturni come la civetta e il barbagianni. In ultimo ci appiopparono un nome che ancora oggi ci qualifica ignobilmente come un tatuaggio indelebile: streghe. Ricordo ancora i tempi dell‟inquisizione fomentata dalla chiesa cattolica e voluta principalmente per sgomberare il campo da pericolose credenze pagane. All‟epoca ero giovane e bella (anche se 130 sembra impossibile crederlo adesso) e ricordo benissimo che a quei tempi si accendevano più roghi per le strade che stelle in cielo. Fu un periodo terribile per le donne che come noi conoscevano l‟arte antica delle erbe mediche, il fascino della seduzione (contrariamente all‟immaginario comune noi siamo bellissime) e custodivano gelosamente nei cuori i segreti del mondo vegetale. Un odio che non riuscivamo a comprendere si abbatté su di noi sterminandoci. Il mio corpo porta ancora, in ricordo, le cicatrici procurate dalle ordalie alle quali la cosiddetta Santa Sede mi sottopose. Furono torture terribili alle quali solo poche di noi sopravvissero e quante riuscirono a strappare la loro anima dall‟angelo sterminatore non poterono più dimenticare quanto malvagio e cinico possa essere l‟animo umano. Per questo non ci siamo mai stupite delle guerre, dei genocidi e degli olocausti, causati dagli interessi di pochi avidi potenti, che nel corso della storia si sono ciclicamente ripetuti. E siamo fuggite da tutta questa follia, ci siamo nascoste, auto relegandoci tra le fronde di questi ombrosi boschi, lontane dall‟uomo e in compagnia di quegli animali notturni con i quali la credenza popolare ci voleva in combutta.” La osservo inebetito, con la lingua paralizzata e il cervello assalito da un flusso continuo di pensieri da dipanare. Che le sue parole siano vere? È possibile che un mondo magico, misterioso e impenetrabile coesista con una realtà analitica e razionale che non lascia spazio alla fantasia? Oppure mi trovo semplicemente di fronte a una vecchia pazza sfuggita da una delle innumerevoli case di cura presenti sul territorio? Certo, se fosse vero tutte le mie certezze verrebbero a crollare. In fin dei conti chi mi garantisce che io sia il prodotto 131 della fantasia di qualcuno? Non potrei essere reale, vivo, non solo lo sputo di una penna singhiozzante? Magari proprio chi scrive è una mia invenzione, un burattinaio inesistente, il prodotto di un foglio di carta che ha bisogno di una terza dimensione per spiegare l‟inesplicabile. E adesso questa vecchia, che sembra riesumata da un passato lontano e sepolto, mette in discussione ogni mio credo, ogni mio passo. Quali altri incertezze e trabocchetti può nascondere questo sentiero buio e insicuro? Mentre sono assorto in questi pensieri, non mi accorgo che la donna accanto a me sfuma, come l‟immagine di un sogno al risveglio. Allora avanzo con maggiore circospezione, perché mi rendo conto che il sentiero che credevo di conoscere in realtà mi è ignoto, ma continuo sfidando il buio che mi avvolge come un sudario. E finalmente, dopo parecchie svolte e dopo aver assaggiato l‟umido della terra, mi ritrovo di fronte alla stessa vecchia. “Vedo che sei determinato a percorrere questa via fino in fondo, allora permettimi di raccontarti la storia delle mie due figlie, la Barrantana e la Miodina, che presto incontrerai. Il secolo scorso la maggiore delle mie figlie, la Barrantana, si innamorò follemente di un signorotto locale. Nonostante l‟utilizzo di filtri d‟amore il conte non corrispose la sua passione perché era follemente invaghito di una procace contadina. Mia figlia impazzì dal dolore e, ottenebrata da esso, compì il peggiore dei sacrilegi per una strega. Ripudiò la propria natura, maledisse se stessa e, in preda all‟ira, divise a metà la montagna che le diede i natali. Ecco perché questa collina si chiama Bricco Spaccato. Da allora mia figlia ha continuato a comportarsi in modo oltraggioso e infamante. 132 Purtroppo aveva un forte ascendente sulla sorella minore, la Miodina, che ne seguì presto le orme. Adesso le scellerate si concedono alla modernità e alla mondanità rinnegando gli insegnamenti del passato, ribellandosi alla cultura millenaria che da sempre governa le nostre azioni. Io ti consiglio di tornare indietro e di dimenticarti delle mie figlie, ma la decisione ovviamente è tua.” Dopo aver proferito queste parole la vecchia si dissolve ancora una volta, come un sogno, un incubo o il vaneggiamento di una mente vicina al collasso. Devo essere proprio folle se decido comunque di avanzare, nonostante le raccomandazioni che farei bene ad ascoltare. Ma sono sicuro che questo percorso in mezzo al bosco odoroso mi farà capire qualcosa che adesso mi sfugge. Come se fra queste radici, questi rami, queste foglie, potessi trovare delle impronte che se riuscissi a decifrare mi mostrerebbero finalmente lo scopo del viaggio intrapreso, svelandomi la soluzione di un mistero dimenticato. Giunto in fondo all‟ansa che divide in due questa montagna, una luce intensa si materializza di fronte a me e posso vedere, vicine ad un fuoco, due splendide donne. La prima è una bellissima e avvenente quarantenne. Mi appare splendida, ha due seni sodi e pieni e fra essi porta un pendaglio d‟argento impreziosito da finissime pietre di smeraldo. Ha i capelli sciolti a coprirle in parte il bel viso regolare, dove due occhi marroni e intensi mi osservano. La bocca, carnosa e ben proporzionata, sembra disegnata da un pittore da quanto è perfetta. Come soli indumenti indossa calze nere autoreggenti e sandali rossi con vertiginosi tacchi a spillo. 133 L‟altra donna è la Miodina. Snella ed elegante, scura di carnagione e di pelo, ha due gambe e un fondoschiena stupendi. I suoi occhi verde smeraldo mi osservano maliziosi, mandandomi il sangue in ebollizione. Le vedo cominciare ad abbracciarsi e baciarsi voluttuose, nel mentre la natura inizia a fremere come se fosse viva e frotte di lupi scendono dalle ripidissime ripe per disporsi in cerchio attorno a loro. Il ballo delle due donne diviene sempre più oltraggioso e sensuale, gli animali cominciano a ululare e ad avvicinarsi ai loro corpi conturbanti. Si sdraiano e si accoppiano con le bestie, gli acuti latrati si diffondono in tutta la valle, mentre i rami degli alberi si muovono energicamente. Persino la terra si muove e pulsa e sulla sua crosta vengono a formarsi delle crepe che esalano rigurgiti di libido. Osservo la scena immobile e mi sembra che questo luogo sia divenuto un‟immensa orgia alla quale tutti gli elementi partecipano, mentre io rimango l‟unico, involontario, spettatore. Improvvisamente la Miodina si alza, allarga le braccia e mi chiama a sé, con il suo sguardo magnetico al quale non sono in grado di oppormi. Cosa faccio adesso? Da un lato questo rito pagano di accoppiamento promiscuo mi disgusta, ma dall‟altro mi attrae potentemente. Mi muovo verso colei che mi brama, quasi involontariamente. Chi sono veramente? Davvero appartengo a questa tenebra che mi abbraccia fin quasi a soffocarmi? Voglio davvero mischiarmi con questi animali seguendo gli istinti primordiali mai sopiti della bestia che scopro ancora viva in me? All‟improvviso la Miodina mi parla con la sua voce suadente. “Pietro, ricorda perché sei qui, ricordati della mia promessa.” 134 E finalmente ricordo il motivo di questo assurdo viaggio e capisco che la creatura che mi si para innanzi non è un demonio né una strega, ma l‟angelo più bello e infernale che io abbia mai avuto la fortuna di incontrare. Comprendo finalmente di essere soltanto un uomo e che debolezze, tentazioni e tormenti non sono altro che la conseguenza della mia fragile condizione. Non mi resta altro da fare che andare da lei e riposare le mie stanche membra sul suo armonioso corpo. Sono convinto che il soffio della donna che adesso ammiro, splendida, sarà diverso da quello delle donne incontrate fino ad ora. Il suo alito avrà la fragranza dell‟ulivo, dei fiori di glicine, del sale marino, della tramontana e di tutte le essenze di questa terra meravigliosa che ho trascurato per troppo tempo, inseguendo l‟illusione di felicità che qualcuno ha costruito per me. Perché non ho mai capito cosa fosse veramente importante e adesso lei mi sta aprendo gli occhi e mi sussurra all‟orecchio che vale più un gesto d‟amore, anche solo un fiore o una carezza, di una carriera o di una corsa sfrenata alla ricerca di una perfezione che non esiste. Adesso, anche se ormai è tardi, voglio sdraiarmi su queste foglie e contare le stelle di questo cielo limpido, almeno una volta. Eccola qui ispettore, ai piedi di questa discesa maledetta. Alla fine ha deciso di affrontarla, ovviamente in solitaria. Me lo diceva sempre, mentre scendevamo da questi boschi con le nostre mountain-bike: “Prima o poi, sergente, scenderò da questo stramaledettissimo greto.” E me lo indicava quasi con fierezza, come se fosse stato lei a tracciarlo con tutti quei salti, quei dossi e quei 135 pietroni che rendevano inconcepibile solo l‟immaginare di percorrerlo. Io, quindi, ho sempre creduto che lei lo dicesse così per dire, tanto per fare lo sbruffone. Chissà se scendendo è riuscito a fare il vuoto, ricorda? Me lo diceva sempre prima di una discesa impegnativa: “Sergente, mi raccomando, non deve pensare a niente mentre scende, deve fare un vuoto mentale che possa renderla impermeabile a qualsiasi emozione. Se ha paura, cade.” Io la seguivo cercando di imitarla, copiando le sue traiettorie che sfidavano spesso e volentieri le leggi della fisica, ma non ero sufficientemente impermeabile e finivo immancabilmente per sbagliare qualcosa. A volte frenavo troppo, altre mi irrigidivo, ritrovandomi con il culo per terra. Ricorda ispettore quante volte mi ha dovuto riportare a casa con una caviglia o un polso doloranti? Ammetto che mi è sempre andata bene, mai un osso rotto, per fortuna. Adesso la guardo qui, circondato dalla natura che tanto amava e mi viene da piangere. Trattengo a fatica le lacrime e mi chiedo perché mai lei sorrida. Non ha mai avuto il volto tanto sereno e beato. Mi chiedo cosa avrà visto prima di schiantarsi, oppure cosa abbia visto dopo. Perché non è morto subito, vero? Anzi, ha camminato fra questi faggi con il volto sfigurato percorrendo almeno un centinaio di metri. Cosa cercava di così importante da dovergli donare la vita? Perché lei sapeva come sarebbe andata a finire, è per questo che non mi ha chiamato a fare la discesa con lei. Piove, ispettore. Come al solito non ho l‟ombrello e mi sembra di sentirla ridere, forse mi sta prendendo in giro una volta ancora. 136 INDICE 9 11 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 41 42 43 44 45 46 47 48 PREFAZIONE RIFLESSI Riflesso La bellezza del deserto Echi Lenti a contatto Riportami a casa Suona a mezzanotte Sogni Numeri irrazionali L‟intruso L‟uragano Profumi di pietre crollate Riflesso d‟amore IMPRONTE DI PESCE La madonnetta Impronte di pesce Onda Le risposte di un naufrago Il mosaico salato L‟alba non tramonta quando il sole scompare Il poeta Rose del deserto Statue di sabbia L‟immagine di mia madre Radici di pancrazi recisi Il canto della risacca PANNI SPORCHI D‟AMORE Vino d‟Amore Strade di fango Sei qui In abito da sera Sorridere al silenzio La chiusura in mano La Befana Come legna da ardere 49 50 51 52 53 54 55 56 57 59 61 62 63 64 65 66 67 68 70 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 85 89 95 100 104 108 120 127 L‟assoluzione Pezze d‟amore Rapidi saluti Occhi nel cielo La pendola con i tacchi Il secondo perduto Le scarpe di Vinicia Il canto delle fiamme Fra i miei capelli CENERE D‟INCHIOSTRO Effigi La brace Cenere La preghiera del sergente La promessa del vento La strada L‟abito Il carrozzone L‟ultimo amico Fino all‟ultimo respiro Sporca Lo stupro La facciata nascosta della fortuna Alzheimer La stanza accanto La lupa e la mignotta Amen La danza della pioggia La poesia Epilogo LISCHE DI RACCONTI ANDATE DI TRAVERSO Il riflesso spinale Il naufrago L‟attore Un foglio sottilissimo Il riflesso di Lazzaro La Barrantana Eutanasia di un computer Il Bricco Spaccato Stampato in Italia nel luglio 2011 per conto di LibertàEdizioni