Monsignor Marco Frisina ha realizzato un sogno

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Monsignor Marco Frisina ha realizzato un sogno
Monsignor Marco Frisina, ha realizzato un sogno. Il suo obbiettivo era quello di portare Dante al
grande pubblico, la casa di produzione Ars diretta da Riccardo Rossi, gli ha permesso di realizzare
un Kolossal musicale. In autunno debutterà in anteprima a Roma, per poi girare il mondo, La
Divina Commedia, l’Opera- L’uomo che cerca l’Amore. Lo spettacolo condurrà lo spettatore nel
cammino percorso e descritto da Dante, attraverso la meraviglia delle diverse rappresentazioni
artistiche, dal ballo al canto alle arti figurative. Il tutto in due atti composti da don Frisina: il primo
con il Prologo e l’Inferno, il secondo con i Purgatorio e il Paradiso. “L’uomo è fatto per l’Amore”,
dice don Frisina, “ognuno di noi deve capire che cosa è questo Amore con la A maiuscola”.
Il Maestro Frisina è un giovane uomo allegro e aperto, lo incontro nel suo ufficio in Vicariato a
Piazza San Giovanni in Laterano a Roma. Sul suo volto c’è un velo di incredulità e un pizzico di
soddisfazione davanti alla grande risonanza mediatica internazionale che l’annuncio della
produzione della sua opera sulla Divina Commedia ha riscosso. “Mi è sembrato che il mondo sia
rimasto stupito dal fatto che la Chiesa possa produrre cultura” afferma tra uno squillo di telefonino e
una chiamata su rete fissa. Poi chiede gentilmente alla segretaria di non passare più telefonate e mi
concede questa intervista.
Quando è iniziata la sua passione per la musica?
Mi sono diplomato in composizione all’Accademia di Santa Cecilia nel 1979. In casa mio padre
suonava la chitarra e ricordo benissimo che appoggiavo la mano sopra lo strumento per sentire le
vibrazioni. Sono cresciuto con le canzoni della tradizione italiana e napoletana. Anche i miei zii
suonavano, uno di loro dirigeva la banda del paese giù in Calabria. Ho così deciso di iscrivermi al
Conservatorio malgrado le difficoltà che una scelta di carriera musicale può suscitare in una
famiglia modesta quale era la mia.
La sua vocazione sacerdotale è nata dopo la passione per la musica?
Sono cresciuto in una famiglia cattolica. A vent’anni facevo il catechista in parrocchia, poi ad un
certo punto la musica e la mia vocazione si sono incontrate. Sono entrato in Seminario il giorno che
Papa Luciani moriva, il 29 settembre 1978. Mi sono formato sotto Giovanni Paolo II e per ventisei
anni l’ho seguito in molti eventi e raduni significativi del suo magistero.
Che rapporto aveva Papa Wojtyla con la musica?
Papa Wojtyla mi ha insegnato prima di tutto la passione per Cristo e per la sua chiesa. A lui piaceva
la musica perché la considerava uno strumento di evangelizzazione.
Quale musica consiglierebbe ai giovani?
La musica la scelgono i giovani. Non ho alcuna preclusione, anche se davanti ad un certo rock
metallico e violento ho alcune perplessità perché può avere un influsso psicologico negativo.
Alcune figure di quel mondo come Marilyn Manson sono un po’ inquietanti. C’è rock e rock!.
Come riconoscere la buona musica?
La buona musica è quella vera, grande e bella. Può essere classica, ma anche jazz e pop. La buona
musica si riconosce da quello che ci da, ci fa crescere come la buona letteratura. E’ importante
avere una preparazione alla musica fin da piccoli evitando di essere strumentalizzati in certe scelte
Quali sono i suoi punti di riferimento musicale?
I classici della mia giovinezza sono stati Bach, Mozart, Beethoven e poi i grandi amori del
novecento Bartok, Prokopiev, Stravinskij. Come non pensare alla musica italiana: Palestrina, le
opere di Verdi e Puccini. Questi ultimi li sento sulla pelle, sono allegri o tragici a secondo delle
necessità, riescono ad esprimere il cuore dell’uomo in maniera così marcatamente mediterranea.
Per questo sono universalmente noti e riconosciuti.
Musica e liturgia. C’è ancora spazio per il Gregoriano?
Credo proprio di si. Il Gregoriano è sempre un punto di riferimento importante perché è normativo,
ci dice come deve essere la musica liturgica e ci insegna come fare conducendoci al recupero della
gioia del cantare.
Perché gli italiani non amano più cantare? Che fine ha fatto il bel canto?
Dopo la seconda Guerra Mondiale il fascino del mondo anglosassone, soprattutto perché vincitori ci
ha culturalmente invaso togliendo un po’di retorica, ma privandoci del gusto della melodia italiana,
del gusto del canto che derivava appunto da Palestrina, dal Gregoriano e dalle nostre opere. Per
questo siamo un po’ disorientati e dobbiamo trovare un nuovo equilibrio.
Crede che la sua Divina Commedia possa essere uno strumento di evangelizzazione?
Lo spero. Avevo paura di realizzare questa idea che mi frullava in testa da qualche anno. Ma
quando Benedetto XVI ha presentato la sua enciclica Deus Caritas est, parlando dell’uomo che
cerca l’amore e che è fatto per l’amore, mi ha dato la chiave d’interprestazione. Lui stesso ha citato
Dante e mi ha dato coraggio.
E’ convinto che la Divina Commedia sia ancora attuale?
Credo proprio di si. Anche Benigni e Sermonti riempiendo intere sale lo hanno dimostrato. Posso
dire che mi ha molto stupito l’eco mondiale che abbiamo ricevuto con l’annuncio della produzione
dell’opera dantesca. Questo vuol dire che gli uomini hanno bisogno di ritrovare la propria anima. La
Divina Commedia è la storia di un uomo che ritrova la sua anima e riconquista l’amore, attraverso il
viaggio che porta fino all’assoluto passando per l’Inferno e il Purgatorio.
Qual è il centro della Commedia secondo lei?
Il trentesimo canto è il momento cruciale dell’opera. E’ il momento in cui l’uomo deve scoprire la
Verità. Dante canta il suo dolore nella selva oscura con molto tormento. Beatrice quando lo
rincontra è velata e canta la stessa melodia, mentre lui si aspettava di vederla gioiosa. Beatrice lo
rimprovera. “ quando io sono morta ti sei lasciato andare, hai perso te stesso perdendo me”. Per
questo gli dice di confessare il suo peccato altrimenti non potrà passare in Paradiso. Quando Dante
confessa di aver perso il vero amore e di averlo scambiato per altro, allora Beatrice si toglie il velo e
dice: “dopo la mia morte non hai più visto il mio volto, ora vedi nel mio volto il Paradiso”.
Che musica ha scelto per l’Inferno il Purgatorio e il Paradiso?
Certe scelte le ha suggerite lo stesso Dante. Come per il Gregoriano in Purgatorio. Il Gregoriano è
la preghiera, e il Purgatorio è il luogo in cui si guarda verso Dio. In Paradiso invece c’è la pura gioia
e l’amore. L’inferno l’ho caratterizzato con il rock perché per me esprime dolore, rabbia e
lacerazione. Poi ovviamente ho dovuto caratterizzare anche i personaggi.
Faccia alcuni esempi per favore.
Ulisse ha l’epica, Pier delle Vigne sembra quasi blues, Francesca ha un aria romantica, Ugolino è
l’odio, Pia de’ Tolomei è la nostalgia, Manfredi lo stupore della misericordia di Dio, Matelda canta
le beatitudini nel Paradiso terrestre
Il Santo Padre è a conoscenza del fatto che lei ha deciso di dedicargli l’opera?
Non lo so, chissà forse qualcuno glielo avrà detto. Mi sento molto in sintonia con il papa amante
della musica. Joseph Ratzinger è un uomo eccezionale, ha un capacità di sintesi culturale
illuminante. Lo slancio missionario di Giovanni Paolo II continua con lo slancio culturale di
Benedetto XVI. Mi piacerebbe tanto poter inaugurare questo lavoro in Sala Nervi alla presenza di
Sua Santità.
Alessandra Borghese
Didascalia foto Monsignor Marco Frisina. Nato nel 1954, ha 53 anni. E’ direttore della Cappella
Lateranense e del Centro liturgico del Vicariato di Roma. Da sedici anni è il Rettore di Santa
Maria in Montesanto a piazza del Popolo a Roma, dove ogni domenica ha sede la messa per gli
artisti.