Si può fare. Kerry avanti alla vigilia del voto più importante
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Si può fare. Kerry avanti alla vigilia del voto più importante
5 2 LA CRISI DEL CENTRODESTRA Storace ha un piano. Per liberarsi di Alessandra Mussolini con l’aiuto di Berlusconi e di buoni argomenti URUGUAY, SINISTRE AL POTERE DOPO 170 ANNI 9 771722 205202 41102 ALVPLQGBcafcacA CSDPDFDEDG Con la maggioranza assoluta, alle presidenziali vince la coalizione Frente Amplio, che unisce sinistre, democrazia cristiana ed ex tupamaros M A R T E D Ì 2 N O V E M B R E America al voto tra paura e cambiamento GUIDO MOLTEDO www.europaquotidiano.it I N F O R M A Z I O N 1 E A SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE, ART.2, COMMA20/B LEGGE 662/96 - ROMA N A L I S I A N N O II • N°221 • Si può fare. Kerry avanti alla vigilia del voto più importante Piccolo margine dai sondaggi per il democratico. Ma sarà «too close to call» uecento milioni di elettori per scegliere tra due uomini. Ma già il dato su quanti americani andranno oggi alle urne è dubbio e politico: più saranno, più chances avrà John F. Kerry di infliggere a George W. Bush una clamorosa sconfitta, impensabile solo pochi mesi fa. Negli stati dove già si vota da giorni si segnalano code ai seggi e grande partecipazione. In Florida – che fu lo stato-chiave nel 2000 e lo sarà anche adesso – avrebbe già vota- D È chiaro che nelle maratone tv di questa notte ci saranno molte dichiarazioni di incertezza nell’assegnazione degli stati, come quelle del 2000: «Too close to call». Gli americani temono brogli, confusioni e battaglie giudiziare. Ieri una l’ha vinta Kerry: nel decisivo Ohio i militanti di partito non potranno stare davanti ai seggi. Si temevano manovre di confusione dei repubblicani verso l’elettorato nero più povero e disorientato. ALLE PAGINE 2 E 3 to il 30% degli elettori e secondo Gallup-Cnn Kerry avrebbe un incredibile vantaggio 51 a 43. Questa stessa società di sondaggi (che aveva dato Bush sempre in testa, venendo per questo anche contestata dai democratici) vede Bush e Kerry 49 pari nel voto popolare, col democratico avanti in stati contesi come Ohio, Florida e Minnesota. Vantaggio democratico anche secondo Zogby, ma non in Ohio bensì in Pennsylvania. IL SONDAGGIO DEI SONDAGGI JOHN KERRY Washington 11 Missouri 11 ma ba 21 Massachusetts 12 Rhode Island 4 Connecticut 7 New Jersey 15 13 Virginia N.Carolina 15 CarS. olin 8 Georgia 15 Delaware 3 Maryland 10 D.C. 3 a rida Flo Alaska 3 na 9 31 New York Ohio 20 11 Ala sia Mississippi 6 9 4 New Hampshire 4 West Virginia 5 ia Pennsylvan 8 Kentucky 11 Tennessee Arkansas 6 ui Texas 34 Illinois 21 Lo Hawaii 4 Oklahoma 7 Iowa 7 17 Maine New Mexico 5 Michigan Arizona 10 Kansas 6 10 Indiana Colorado 9 sin Nebraska 5 Utah 5 nia ifor 55 South Dakota 3 on Wyoming 3 Vermont 3 10 isc Idaho 4 North Dakota 3 W Nevada 5 Montana 3 231 Minnesota Oregon 7 GEORGE W. BUSH 298 27 Nettamente per Kerry (91) Vantaggio per Kerry (139) Al filo per Kerry (68) Pari (9) Al filo per Bush (26) Vantaggio per Bush (33) Nettamente per Bush (172) E se finisse così? È una delle mappe più consultate di questi giorni. 650mila persone al giorno cliccano su www.electoral-vote.com per seguire l’attribuzione dei voti elettorali dei vari stati. Non è un sondaggio, ma il calcolo proposto da un professore (democratico) americano che insegna in Olanda, Andrew Tanenbaum, facendo la media tra i più recenti polls delle nove società Usa più attendibili. Dare sia Ohio che Florida a Kerry è una specie di sogno. Potrebbe diventare realtà. Iraq e Afghanistan, continua la quotidianità dell’odio. Sei persone rapite, un soldato americano ucciso, altri feriti n nuovo rapimento multiplo ieri a Bagdad. Sei dipendenti di una società saudita, la Satco (Saudi Arabian Trading and Contracting Company) – un cittadino americano, uno asiatico, tre iracheni; si ignora la nazionalità del sesto ostaggio – sono stati portati via dagli uffici della società da alcuni miliziani iracheni che vi avevano fatto irruzione. Prima di fuggi- U re con gli ostaggi, secondo quanto riferito da un poliziotto presente al fatto, i rapitori hanno ingaggiato uno scontro a fuoco con gli uomini della sicurezza: uno dei ribelli e un agente sono rimasti uccisi. Un giornalista della France Presse ha confermato di aver visto il corpo della guardia uccisa. In un primo momento, l’ambasciata americana in Iraq aveva detto che ad essere rapite erano state quattro persone, tra cui un americano. Il fatto è accaduto nel quartiere residenziale Mansour, lo stesso in cui erano stati rapiti il britannico Kenneth Bigley e gli americani Jack Hensley ed Eugene Armstrong, poi decapitati dagli uomini di al Zarqawi. In Afghanistan, dove tre dipendenti dell’Onu sono ancora in ma- no ai talebani di Akbar Agha, ieri un soldato americano è stato ucciso e altri due sono rimasti feriti in un attacco nella provincia di Paktika, nella parte sudorientale del paese, non lontano dal confine pakistano. Lo ha riferito un portavoce delle truppe statunitensi, precisando che l’attacco è stato portato con razzi e colpi di artiglieria. € 1,00 Su sinistra Oggi l’election day. Si vota già da settimane in molti stati, in Florida Bush sarebbe dietro Cal America vive oggi uno di quei momenti di svolta che segnano la storia di una nazione. Sono le elezioni più importanti della nostra vita, ha detto Kerry alla convention di Boston e poi ha ripetuto ossessivamente nei suoi comizi. È il voto più importante della nostra storia, ha scandito Cheney nella sua maratona elettorale. Su tutto divisi, su tutto nemici, i due schieramenti sono d’accordo sul significato e sulla portata delle elezioni presidenziali di oggi. Sia che vinca Kerry sia che vinca Bush. Se vincerà il primo non prevarrà semplicemente il candidato democratico, ma vincerà un ampio schieramento, variegato e composito, unito nell’idea di voltare decisamente pagina. Kerry sarà chiamato a interpretare questa spinta al cambiamento, al di là della sua biografia politica e delle cose dette in campagna elettorale.Il mandato degli elettori – in sintonia con le opinioni pubbliche di quasi tutto il mondo – è quello di ridefinire e garantire un nuovo contesto, una nuova cornice, facendo uscire il paese dalla guerra civile culturale innescata dalla presidenza Bush e ristabilendo relazioni di collaborazione con il mondo. Ma, non tanto paradossalmente, sarà anche una svolta se vincerà il presidente in carica. La sua politica, lungi dall’essere considerata una parentesi della storia americana, legata all’eccezionalità dell’attacco dell’11 settembre, sarebbe infatti convalidata e diventerebbe a maggior ragione “la” politica permanente dell’America di questo secolo. Il voto di oggi non è solo un referendum sulla presidenza repubblicana. E non è solo un voto pro o contro la politica della paura. È anche un voto di speranza sulla ripresa delle idee democratiche e progressiste. Kerry non è più un “chiunque purché non Bush”. Nella campagna elettorale, nei dibattiti televisivi contro il presidente, ha dimostrato di avere la stoffa del politico capace di fermare una deriva pericolosa, ma anche d’incarnare la speranza di cambiamento. Certo, per ridare slancio a un partito democratico afflitto da anni di lotte di fazione e paralizzato dalla paura di formulare una reale alternativa al partito repubblicano, avrebbe bisogno del sostegno di un Congresso amico. Ma questo è uno scenario improbabile, per ora. Occorrerà aspettare le elezioni di medio termine, perché il Congresso si allinei. Nel frattempo la svolta dovrà fare i conti con le resistenze del bushismo annidato in parlamento. Su quest’America così divisa grava il pericolo più serio, quello di un esito controverso come quello di quattro anni fa, perfino più ingarbugliato. Il paese più importante del mondo, in uno dei tornanti più delicati della sua storia, finirebbe nel tunnel della confusione e della recriminazione. E se pure, come nel 2000, riuscisse a uscirne, la coda di veleni renderebbe ancora più violenta la frattura tra le due Americhe. La riconciliazione, dopo i toni aspri della campagna elettorale, sarebbe una chimera. Alla guerra in Iraq si accompagnerebbe un conflitto civile la cui portata e gravità è perfino difficile da immaginare. Noi, europei, siamo spettatori interessati di questa sfida. Ne vorremmo, anzi, far parte, vorremmo votare anche noi. Per ora ci rassicura lo spettacolo di un’America coinvolta come non mai dal processo democratico. Un’America che troppo spesso abbiamo guardato dall’alto in basso, considerandola ingenua o passiva. Oggi la sua vitalità democratica è una lezione anche per l’Europa. L’ 2004 e centro, cifre definitive lla vigilia del voto americano, si chiude una querelle italiana. Da domani, comunque vadano le cose a Kerry, l’Italia sarà piena di esperti che impartiscono lezioni su come si vince o si perde un’elezione, se rivolgendosi al proprio elettorato per portarlo tutto al voto, oppure convincendo gli indecisi e anche i delusi dell’altro campo. Questo nonostante l’enorme massa di informazioni disponibili, che dimostrano come ovviamente i candidati americani abbiano fatto entrambe le cose, magari in tempi diversi delle rispettive campagne. Questo però accadrà, appunto, da domani. Oggi, come dicevamo, dovrebbe considerarsi chiusa la discussione che si è accesa tra Sartori e Scalfari, cioè tra Corrieree Repubblica, su quale debba essere l’interlocutore elettorale privilegiato da parte di Prodi: i presunti moderati di centro o i possibili delusi di sinistra? La polemica l’ha chiusa proprio Repubblica stampando i dati sulla “autodefinizione” degli elettori italiani. Il titolo di Repubblica è: «Il centro è terra di conquista per i due Poli ma ospita solo il 10% degli elettori». Come a dire: tutti guardano lì, ma è un bacino di voti scarso. Notizia vera ma parziale. Vera, perché le analisi convergono nel quantificare intorno al 10-12% la fetta di elettorato che – per distacco dalla politica, disillusione, disinteresse – non si riconosce nelle coalizioni ed è quindi in teoria disponibile a votarle entrambe, o nessuna. Notizia anche parziale, però. Perché la stessa tabella annuncia che gli italiani che si definiscono di sinistra sono altrettanto pochi, cioè il 10,6%, contro un 22% che si definisce di centrosinistra. Il che rende d’incanto surreale la discussione che si è intrecciata fin qui. Perché evidentemente (pur semplificando) quel 10,6% di italiani di sinistra stanno tutti comodamente dentro l’attuale elettorato di Rifondazione, Pdci e Ds, e quindi lì c’è ben poco da conquistare. Quel 22% di centrosinistra conferma un nuovo “zoccolo duro”, la nascente identità “comune” ulivista e riformista di Ds e Margherita. E poi c’è appunto il 10% di indecisi di centro, oltre alla prateria di un 26% che addirittura dichiara «di non riconoscersi in questo schema» – cioè nella definizione di destra, sinistra ecc. Dove sia per la Gad l’area di espansione, grande o piccola, è evidente. Quali siano le politiche giuste è tutt’altra questione, ma anche qui qualcosa s’è capito: di vuoti e pallidi moderatismi non ha bisogno nessuno. A Chiuso in redazione alle 20,30 Il rapporto Caritas sull’esclusione sociale R O B I N Quando la persona diventa un “vuoto a perdere” La jihad È noto che per Giovanni Pao- ALDO MARIA VALLI uoti a perdere”, il rapporto 2004 sull’esclusione sociale e la cittadinanza incompiuta realizzato dalla Caritas italiana e dalla Fondazione Cancan (ed. Feltrinelli, 322 pagine, 14 euro), è un libro che sorprende e disorienta, perché getta luce su realtà e atteggiamenti che pur stando sotto i nostri occhi, pur facendo parte in molti casi della nostra esperienza quotidiana, ci sfuggono totalmente. È il caso di quelle che i ricercatori definiscono “dipendenze senza sostanze”, cioè forme di dipendenza che non nascono dall’uso di droghe, ma da comportamenti che si autoali- “V mentano innescando spirali perverse. Per esempio, una quota riguardevole della popolazione italiana adulta, compresa fra l’1 e l’8 per cento, sarebbe in preda a quello che viene definito “shopping compulsivo”, ovvero il bisogno irresistibile di fare acquisti, un comportamento che si trasforma in vera e propria schiavitù e che sfocia di fatto in una forma di emarginazione sociale. Altro esempio è il lavoro patologico, cioè la dipendenza da lavoro, che si manifesta con iperattività, esagerato spirito di competizione e di sfida, desiderio illimitato di soddisfazione professionale, culto dell’impresa e del lavoro, incapacità di trovare tempo libero, difficoltà a rilassarsi e a staccare la spina, negligenza nella vita familiare. E poi ci so- no la dipendenza dal gioco d’azzardo (compresi il lotto, la schedina e le lotterie nazionali, quando si gioca in modo esagerato); la cyberdipendenza, cioè l’uso eccessivo e totalizzante del computer e del telefono cellulare; la dipendenza dal fitness (la mania di fare esercizio fisico); la dipendenza dal sesso, e perfino la dipendenza dal rischio, cioè la necessità di mettersi in situazioni sempre più pericolose. Tutte queste dipendenze e molte altre, dicono gli esperti, sono insidiose non solo perché difficilmente riconoscibili, ma perché meno trattabili con i mezzi terapeutici. Pur non nascendo dall’uso di sostanze, determinano le stesse conseguenze delle tossicodipendenze, dando vita a meccanismi di autodistruzione sui quali è difficile in- tervenire. Un caso a parte, si legge in “Vuoti a perdere”, è poi quello della depressione, che è ormai la prima causa di invalidità nel mondo e che in Europa, stando ad alcuni dati, riguarderebbe il 14 per cento della popolazione, compresa una quota crescente di adolescenti e perfino di bambini. In Italia la depressione colpisce in media 17 cittadini su cento e ogni anno si verificano duecentocinquanta casi in più ogni 10 mila abitanti. Cifre inquietanti. Ora qualcuno potrebbe sostenere che accomunare tutti questi comportamenti e queste forme di disagio alla povertà è una forzatura, ma se alla parola “povertà” sostituiamo l’espressione “esclusione sociale” vediamo che non lo è. SEGUE A PAGINA 7 lo II la guerra in Iraq è stata un crimine, quella preventiva un peccato e lo scontro tra civiltà non è mai l’obiettivo del buon cristiano. Se Pera non lo capisce da solo, qualcuno almeno gli spieghi che è sconveniente che il presidente del senato attacchi il Papa un giorno sì e l’altro pure.