We are the Wolfboys!

Transcript

We are the Wolfboys!
Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola
I libri per ragazzi scritti dai ragazzi. Racconti che rendono i bambini e i giovani scrittori protagonisti di
un’attività che coinvolge l’Italia e tanti altri Paesi europei ed extraeuropei in una fantastica avventura che
grazie alla scrittura determina di volta in volta un filo che accomuna, unisce, coinvolge l’attorno …
Bimed Edizioni
Il racconto viene pubblicato all’interno della Collana annuale della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola, un
format che guarda al racconto come a un “bene …” di fondamentale rilevanza per la formazione delle nuove
generazioni in grado di determinare relazioni, contaminazioni, confronto, interazione,
crescita comune e tanto altro ancora …
WE ARE THE WOLFBOYS!
Partendo dall’incipit di Guido Sgardoli e con il coordinamento dei propri docenti,
hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e delle classi appresso indicate:
Istituto Comprensivo III "Castaldi-Rodari" Boscoreale (NA) - classe II C
Collegio “Leonardo Da Vinci” BogotÀ - classe II C
Scuola Sec. di I grado “G. Marconi” Como Albate - classe II A
Istituto Comprensivo di Siano (SA) - classe I B
Convitto Nazionale “C. Colombo” Genova - gruppo misto classi I/II A
Istituto Comprensivo “Manzoni-Poli” Molfetta (BA) - classe I D
Istituto Onnicomprensivo ann. al Convitto Nazionale “C. Colombo” Genova - classe I H
Istituto Comprensivo “Pascoli - Crispi” Messina Scuola Sec. di I grado - classe I A
Istituto Comprensivo I “Zumbini” Cosenza - classe II I
Convitto Nazionale “C. Colombo” Genova - classe II G
Scuola Sec. di I grado “Vida – Pertini” Alba (CN) – classe II B
Editing a cura di: Francesca Pagano
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Direzione e progetto scientifico
Andrea Iovino
Responsabile di redazione e per le
procedure
Alberto Fienga
Coordinamento organizzativo e
didattico
Ermelinda Garofano
Responsabile per l’impianto editoriale
Francesca Pagano
Revisione editoriale
Francesco Rossi, Shasa Buonino,
Ilaria Mascolo, Maria Cristina Folino
Gestione esecutiva del Format
Angelo Di Maso, Adele Spagnuolo
Grafica di Copertina :
Bimed Station
Impaginazione
Tullio Rinaldi
Piattaforma escriba
UNISA, Dipartimento di Informatica
– Progetto Prof. Vittorio Scarano,
realizzazione Dott. Raffaele Spinelli
Gennaro Coppola, webmaster BIMED
Pubbliche Relazioni
Nicoletta Antoniello
Amministrazione
Rosanna Crupi, Annarita Cuozzo
I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione commerciale
RINGRAZIAMENTI
I racconti pubblicati nella Collana della Staffetta di Scrittura Bimed/
Exposcuola 2014/15 si realizzano anche grazie al contributo erogato
in favore della Staffetta dai Comuni che finanziano l’azione intesa come
esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli
Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2015 citiamo:
Ambasciata d’Italia in Libano, Ascea, Atripalda, Bellosguardo, Borgaro Torinese,
Castelletto Monferrato, Favignana, Ivrea, Moncalieri, Montemiletto, Osasco,
Piaggine, Pinerolo, Saint-Vincent, Santena, Siano. La Staffetta di Scrittura riceve
un rilevante contributo per l’organizzazione degli Eventi di presentazione
dei Racconti 2015 dai Comuni di: Bellosguardo, Moncalieri, Pinerolo, Procida,
Salerno, e dal Parco Nazionale del Gargano/Riserva Naturale Marina Isole Tremiti.
Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno
operato per il buon esito della Staffetta 2015 e che nella scuola, nelle istituzioni
e nel mondo delle associazioni promuovono l’interazione con i format che Bimed
annualmente pone in essere in favore delle nuove generazioni. Ringraziamenti e
tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per
la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up
dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche e
agli Uffici Scolastici Provinciali che si sono prodigati in favore dell’iniziativa e a
Legambiente per l’autorevole apporto tecnico reso alla Staffetta.
Vivi ringraziamenti ad ALPEGA Fattoria Didattica che ci ha permesso di collegare
la scrittura al mondo della natura e all’educazione verso il nostro Attorno.
Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S. E. l’On. Giorgio Napolitano che ha
insignito la Staffetta 2014 con uno dei premi più ambiti per le istituzioni che
operano in ambito alla cultura e al fare cultura, la Medaglia di Rappresentanza
della Repubblica Italiana giusto dispositivo SGPR25/09/20140090057P
del PROT SCA/GN/1047-2
By Bimed Edizioni
Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
(Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura)
Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY
Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected]
La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2015 viene stampata in parte su carta
riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di
autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il rispetto della
tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi intende contribuire
alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso
la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono risorse ineludibili per il futuro
di ognuno di noi…
Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di recupero
e riciclo di materiali di scarto.
La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura
Bimed/Exposcuola 2014/2015
Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero.
Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo) senza
l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra
tra i prodotti formativi di Bimed destinati unicamente alle scuole partecipanti l’annuale
Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola.
La Staffetta 2014/15 riceve:
l’adesione del
Presidente della Repubblica
e
sua Medaglia di rappresentanza
Patrocini:
Senato della Repubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Ministero della Giustizia, Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare.
PRESENTAZIONE
Con la Staffetta quest’anno tanti studenti hanno lavorato sul tema della volontà.
È un tema complesso che, però, ci ha permesso di interloquire con i ragazzi sulle
grandi questioni del nostro tempo. Lo abbiamo fatto con i bambini della primaria e
dell’infanzia e lo abbiamo fatto con i ragazzi delle medie e i giovani delle superiori.
È stato un viaggio bellissimo, per certi versi divertente, per altri, impegnativo…
Ma ciò che maggiormente colpisce è che la comunità della scuola italiana nel suo
insieme, ancora una volta, ha dato prova di straordinaria tenuta. Una tenuta di
qualità che accomuna la nostra scuola dalla primaria alla secondaria superiore.
Provare a organizzare un esercizio attorno alla volontà significa costringere le
nuove generazioni a indicare il proprio volere, la propria visione, quello che
“immagini …” ci sia davanti a te e quanto questa immaginazione accomuni l’individuo
al proprio contesto. Alla fine della giostra troviamo dei racconti strepitosi, ricchi di
fantasia, articolati in una dimensione letteraria molto variegata ma che nel suo
insieme dimostra il valore del nostro corpo docente che in ogni livello d’istruzione è
assolutamente capace di governare la narrazione e tutti i valori formativi che sono
insiti nel progetto e nella costruzione di un racconto. Un racconto, ricordiamolo,
che è il frutto di un confronto e di una scrittura di gruppo cioè, è frutto di un
esercizio in cui una squadra, o una classe se preferite, unita attorno a un obiettivo
riesce a dimensionare, con le parole, LA STORIA. Trasferite tutto questo nel sistema
Paese e avrete un modello, il modello da seguire per qualificare il nostro tempo
e i nostri spazi. Grazie alle maestre e ai maestri, in generale, ai docenti che si
sono sobbarcati le difficoltà che sono insite nella Staffetta di scrittura, grazie ai
dirigenti scolastici e agli scrittori, senza la loro “volontà” e la loro disponibilità non
avremmo lo start up della Staffetta che si giova della generosità che è nelle parole
di chi si dedica per professione alla scrittura e di chi de/tiene la responsabilità
della nostra irrinunciabile scuola. Grazie agli sponsor, grazie agli amministratori
comunali che investono sulla Staffetta e l’educational, grazie alla filiera dei
tecnici e grazie a quanti lontani dai riflettori giorno dopo giorno si dedicano a
questa straordinaria avventura di comunità. Un grazie particolare, all’On. Giorgio
Napolitano che, ancora una volta, ha voluto premiare la Staffetta con la Medaglia
di Rappresentanza della Presidenza della Repubblica Italiana, un encomio che ci
gratifica e ci ripaga del lavoro che consente a ognuno di noi, oltretutto, di sentire
l’orgoglio del cammino che ci tiene insieme e tiene insieme il passato, il presente e
il futuro del mondo di cui siamo parte.
Andrea Iovino
L’imprescindibile per l’innovazione è nella scrittura
È il terzo anno che in partnership con Bimed promuoviamo sul territorio nazionale
la Staffetta di Scrittura Creativa e di Legalità che, oramai, ha valicato i confini
nazionali coinvolgendo gli studenti di Paesi che vanno dall’America Latina al Medio
Oriente e all’Europa. Per noi che abbiamo come mission quella di affermare i valori
aggiunti della cultura digitale resta, quest’azione, un’opportunità imperdibile per
la disseminazione di ciò che grazie all’innovazione cambierà in meglio la vita del
contesto planetario. Grazie alla Staffetta le nuove tecnologie si vanno affermando
sempre di più nella scuola italiana e anche nella didattica si determinano
cambiamenti dei metodi di apprendimento e di insegnamento. L’interazione tra
cultura digitale e Staffetta consente, inoltre, di incidere positivamente sullo sviluppo
del pensiero critico e delle competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione,
danno modo ai giovani di comprendere appieno i linguaggi e le determinanti
positive dell’innovazione tecnologica.
L’idea di organizzare attorno alla Staffetta la strategia di ingresso organico
dell’informatica nella scuola è, tra l’altro, una modalità di relazione unica tra
il contesto degli adulti e gli studenti che sono, oggi, nativi digitali di seconda
generazione, dunque, entità che hanno dentro se stessi gli strumenti per
poter governare la relazione con gli “oggetti…” che sono parte integrante
dell’innovazione che utilizziamo giornalmente.
Certipass è sempre più impegnata in favore della diffusione della cultura digitale
e continua a operare in linea con le Raccomandazioni Comunitarie che indicano
nell’innovazione e nell’acquisizione delle competenze digitali la possibilità
evolutiva del contesto sociale contemporaneo. Poter raccontare a una comunità
così vasta, com’è quella di Bimed, delle grandi opportunità che derivano dalla
cultura digitale e dalla capacità di gestire in sicurezza la relazione con i contesti
informatici, è di per sé una occasione imperdibile.
Ci è apparso doveroso partecipare anche quest’anno con slancio alla Staffetta
Bimed proprio perché siamo certi che attraverso la scrittura potremo determinare
una cultura in grado di collegare la creatività e i saperi tradizionali alle moderne
tecnologie e a un’idea di digitale in grado di affermare il valore del confronto,
della contaminazione, dell’incontro e della sussidiarietà.
I docenti chiamati a utilizzare una piattaforma telematica insieme ai giovani che
scrivono, loro, una parte del racconto; la possibilità, poi, di vivere e condividere
grazie al web con tanti altri studenti la storia che evolve grazie al contributo della
scuola è una dimensione unica e… felice.
Il libro che avete tra le mani è la prova tangibile di un lavoro unico nel suo genere,
dai tantissimi valori aggiunti che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro
collegando la nostra storia, le nostre tradizioni e la nostra civiltà all’innovazione
tecnologica e alla cultura digitale. Certipass è ben lieta di essere parte integrante
di questo percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che procedimento
tecnologico.
Il Presidente
Domenico PONTRANDOLFO
INCIPIT
Guido Sgardoli
Diamante
Lo guardo. Guardo quel pezzo di campo che chiamano
“diamante”. Non luccica. E non è nemmeno a forma di diamante.
È piuttosto un quarto di circonferenza. Dovrebbero chiamarlo
quarto, non diamante.
«Ehi, ragazzo!»
Deve essere l’allenatore, un tizio coi capelli bianchi e gli
occhiali. A giudicare dalla pancia che gli sporge dalle braghe
non ha mai giocato a baseball in vita sua. E probabilmente a
nessun altro gioco. «Sei quello nuovo?» mi chiede. Poi controlla
una cartellina che tiene tra le mani. «Marco?»
Io faccio segno di sì e intanto mi guardo la punta dei piedi.
«Ok. Emiliano!» grida verso lo spogliatoio «Puoi venire, per favore?»
Esce uno di colore, cioè non è proprio scuro scuro, ma è
indubbiamente più scuro di me. É vestito con la divisa della
squadra, berretto compreso. Non so se il baseball mi piacerà,
ma so che la divisa me la metterei anche subito.
«Eccomi» dice Emiliano. Si avvicina facendo un rumore comico
con i tacchetti delle scarpe, tic tac tic tac come un orologio
impazzito, e si solleva la visiera del berretto. Quando lo vedo
mi piglia un colpo. É quel ragazzo che sta a scuola mia. Mi
pare che sia cubano o qualcosa del genere. Ma il problema
non è che è cubano o qualcosa del genere. Il problema è
che mi ci sono azzuffato un paio di mesi prima e nemmeno mi
ricordo il perché. Da allora quando ci incrociamo all’uscita
ci guardiamo di traverso. «Lui è il capitano dei Wolf Boys»
spiega l’allenatore. «Se vuoi far parte della squadra devi
obbedire a me e a lui. In quest’ordine». Non potevo capitare
peggio. Forse dovrei chiarire a mister pancia-tonda che io
non sono abituato a prendere ordini da nessuno, tantomeno
da uno che mi sta sulle scatole. L’ultimo che ci ha provato si
è ritrovato con il sedere per terra e il naso gonfio. E poi mi
hanno sospeso da scuola. É stata un’idea del preside questa
menata dello sport di squadra e i miei ci sono andati dietro
come i topi del pifferaio magico. Ecco perché mi ritrovo qui,
oggi. Mi sento in gabbia e vorrei andarmene. Sento gli occhi
di Emiliano su di me. Scommetto che si aspetta proprio questo,
che io giri i tacchi e rinunci. In questo caso l’avrebbe vinta
lui e comincerebbe a dire a tutti che sono un vigliacco. Così
alzo lo sguardo e lo fisso, senza dire niente. «Hai capito?»
domanda l’allenatore.
«Ho capito» rispondo.
«Perfetto».
«E la divisa?» faccio lo speranzoso.
«La divisa cosa?»
«Non c’è una divisa per me?» L’allenatore sorride. Emiliano per
fortuna no, perché altrimenti lo stenderei seduta stante, capitano o non capitano.
«La divisa te la devi meritare» dice l’allenatore. «Forza, vai in
campo 0187».
Mando aria dalle narici come un toro e stringo i pugni fino a
piantarmi le unghie nei palmi, ma me ne sto buono. Lo faccio
per i miei, solo per i miei. Dallo spogliatoio escono uno a uno
gli altri della squadra. Tutti indossano la divisa, bella, scintillante, colorata. Solo uno non ce l’ha. Trotterella dietro agli altri
infagottato in un’anonima tuta grigia. Non mi pare di averlo mai
visto. Lui però alza una mano e mi saluta.
«Sei nuovo anche tu?» mi chiede passandomi accanto.
Io non rispondo.
«Tutti intorno a me» ordina l’allenatore. Si è messo al centro del
diamante, accanto a una specie di cuscinetto sporco di terra
rossa. «Anche tu, Marco», aggiunge nella mia direzione.
Mi avvio, col mio passo lento e a testa bassa, e mentre
raggiungo gli altri mi accorgo con rabbia che sono diventato
rosso.
Capitolo primo
Rosso come un pomodoro
Mi avvio, col mio passo lento e a testa bassa. Cerco di tenere
a freno il cuore che invece corre come un treno. Posso sentirne
le “ruote” che, con ritmo accelerato, battono forte sui binari. E,
mentre raggiungo gli altri che se ne stanno là, aspettando me,
mi accorgo con rabbia che sono diventato rosso.
Rosso! Rosso come un pomodoro maturo.
Eritrofobia, eritrofobia, che brutta parola! Quando me l’hanno
detta la prima volta, sono rimasto interdetto per un bel po’. Ma
perché i sapientoni si spremono sempre per trovare un nome
incomprensibile a ogni cosa? Perché non riescono a esprimersi
nella maniera più semplice possibile? Perché non dobbiamo
capire anche noi che siamo i proprietari del “problema”? Ecco,
questa è una cosa che non sono mai riuscito a comprendere.
Ma, forse, qualcuno me la spiegherà, in seguito.
Ho caldo. Non sono sudato. Non sudo quasi mai. Ho solo
caldo. Tanto. A un punto tale che mi spoglierei, immergerei
la faccia che brucia come una fornace in uno specchio
d’acqua gelata. Sono convinto che in quello stesso momento
l’acqua si metterebbe a bollire, o si trasformerebbe in vapore,
Capitolo primo
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direttamente, all’istante.
Procedo con il mio passo lento. Dovrei far parte di una squadra,
ma non ne sono ancora convinto. Mi convincerò lavorando
con i miei compagni? Allenandomi e sudando assieme a loro?
Speriamo!
«Ragazzi», sento dire dall’allenatore «Questo è Marco e farà
parte, da oggi, dei Wolf Boys!»
Sono rossissimo più che mai, alzo la testa, ciò nonostante, per
confermare che sono proprio io: Marco, il timido, il violento, il
figlio che dà problemi a non finire, il solitario, il ribelle silenzioso.
Volere è potere e io voglio vincere!
Guardo gli astanti disposti a semicerchio e faccio ruotare gli
occhi che si aggrappano alla vista di un volto conosciuto. Lui,
anzi lei, mi sorride.
Come è possibile! Erika è qui tra i giocatori di una squadra
maschile? Quanti anni sono passati… Com’è cambiata… Se
non mi avesse sorriso come faceva da bambina non l’avrei
riconosciuta.
L’allenatore, nel frattempo, ruotando sul suo asse, ha dato
spiegazioni sul regolamento interno, poi chiama al centro Erik,
riferendosi a quella bella ragazzina che avevo conosciuto
alle elementari dall’aspetto ora da maschiaccio e che due
minuti prima mi ha sorriso con quel bel faccino.
Rosso come un pomodoro
Erik(a) deve spiegarmi in sintesi la disposizione dei giocatori
in difesa.
Con il tono di voce immutato e a me familiare, inizia dicendo
che, in tutto, sono nove i giocatori che costituiscono la
squadra di Baseball. Sei di essi sono limitrofi al diamante, e
vengono chiamati interni o infielders mentre, gli esterni o, come
si dice in inglese outfielders, sono i rimanenti.
Erik(a), indicando con l’indice i compagni, elenca i giocatori
in ordine e in base al ruolo: Carlo, il lanciatore; Antonio, il
ricevitore; Michele, prima base; Gaetano, seconda base;
Aniello, terza base; Francesco, esterno sinistro; Erik, indicando
se stesso(a), esterno centro; Luigi, interbase, e... Erik(a)
retrocede procedendo di spalle e raggiunge il suo posto
iniziale lasciando la parola all’allenatore: «E, forse, Marco
sarà l’esterno destro della nostra squadra».
Quel “forse” mi trasmette una nuova ansia e, per prevenire quel
“rosso” disagio, inizio la respirazione profonda suggeritami
dalla psicologa dello sportello di ascolto, quando le ho
confessato cosa mi capitava quando mi ritrovavo in quella
condizione così particolare. Ah già, non vi ho parlato di
Valeria, la psicologa. Una maga che sa leggermi nel pensiero.
Lei mi guida e mi sostiene. Lei capisce quel che gli altri non
vogliono capire. Assumo la postura rilassata, quella che mi ha
Capitolo primo
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suggerito e che mi consente di affrontare i momenti di disagio,
di combatterli e di vincerli. Cerco di non farmi notare dagli altri,
una cosa che mi trasmetterebbe ancora più ansia. Ma vengo
interrotto l’allenatore che, fischiando, invita tutti a sedersi sulle
panchine, disposte lungo le linee del diamante. Mi accodo
agli altri.
Per un attimo mi sembra di trovarmi al circo: un megaschermo
scende dall’alto, azionato da un telecomando; è sintonizzato
sul canale che, in mondovisione, sta per trasmettere una partita
che nessun amante del baseball oserebbe perdersi.
L’allenatore apre un sacco di felpa nera e, come se stesse
maneggiando qualcosa di estremamente delicato, estrae
alcuni oggetti: un cappellino, una mazza, una palla, un guanto,
un caschetto, un paio di spikes – che sarebbero le scarpette
del baseball– una maschera, una pettorina e due schinieri;
insomma dei veri e propri trofei.
Il tempo di disporre su una panchina questi che sono gli
strumenti fondamentali per il baseball e una sigla, sparata a
mille, ci richiama all’attenzione.
The European baseball championship is about to begin!
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Rosso come un pomodoro
Capitolo secondo
Una partita indimenticabile
Dopo una settimana di allenamento e dopo la sconfitta
nell’amichevole di precampionato, arriva per noi il momento
di iniziare la partita, la prima vera e propria partita del
Campionato Europeo. Siamo tutti nello spogliatoio a ripassare
la strategia di gioco. Abbiamo riflettuto molto sulle tecniche
adottate dalle altre squadre e cercato di migliorarci studiando
gli errori commessi nella precedente partita.
Mentre ci avviamo sul campo, la mia testa è attraversata da
un solo pensiero: è necessario motivare la squadra. Questo è
più importante di tutto il resto. E non come aveva fatto Emiliano
prima della partita che avevamo perso.
In questo momento desidero con tutto il cuore che la mia
squadra vinca. Non lo sopporto proprio quell’Emiliano, e
questo smuove in me la carica necessaria per scendere in
campo motivato. È difficile essere la new entry in una squadra
in cui non tutti mi sono simpatici, allenatore compreso, e iniziare
uno sport che non so nemmeno se mi piace veramente.
Ma bisogna concentrarsi sull’obittivo: respiro profondamente e
dico: «Questa partita dobbiamo vincerla!»
Capitolo secondo
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Davanti a me, nello spogliatoio, ci sono Erika, che mi guarda
con occhi profondi ed emozionati, Carlo, Antonio, Michele,
Gaetano, Aniello, Luigi, Francesco ed Emiliano, appena ritornato in gioco.
Dietro tutti loro, Mr. Panciatonda mi squadra dal fondo della
stanza. Siamo tutti molto nervosi ed io cerco di ripetermi che
devo restare molto concentrato, non teso, perché è un’opportunità unica: l’unica che rimane alla nostra squadra per non
uscire dal Campionato Europeo.
I miei compagni di squadra sembrano tutti stupiti di esserci arrivati, nonostante la partita persa di precampionato…
Provo a raccontarvelo.
«Mettetevi in testa che questa partita dobbiamo vincerla! Tutti
in campo, ora!»
Me le ricordo bene le parole di Emiliano, il caposquadra:
pensava di motivarci con quelle due frasi. La squadra entrò in
campo, convinta di poter vincere. Carlo, il lanciatore; Antonio,
il ricevitore; Emiliano che era alla prima base; Gaetano alla
seconda; Michele alla terza; Francesco esterno sinistro; Erika
esterno centrale; Aniello esterno destro; Luigi, interbase.
Ognuno andò a sistemarsi al suo posto; mentre camminavo
sentivo l’adrenalina salire nei muscoli, e la percepivo sugli
Una partita indimenticabile
spalti, così forte che ne ebbi quasi paura. Ma dovevo mostrarmi
coraggioso, e per una volta volevo esserlo, e essere il migliore.
Intanto, attorno al campo, i tifosi gridavano i loro incitamenti:
«Wolf Boys! Wolf Boys! Who are we? We are the best! Who are
we? We are the Wolf Boys! What we are gonna do? Whe are
gonna win! Let’s go WOLF BOYS!!!»
Dal mio posto in panchina, potevo osservare le azioni in campo, perfettamente. L’inning cominciò con Gaetano alla battuta.
«Ecco la prima risposta dei Wolf Boys! La palla sale altissima!
Home run!» commentò il radiocronista. (L’home run è il
fuoricampo, in pratica è come aver fatto goal a porta vuota).
A Gaetano seguì Michele in battuta: scatto, tiro e… un altro
home run!
Dopo un tempo senza che succedesse niente, solo 3 out,
cambiarono i ruoli: toccò ad Antonio e Emanuele. Vidi che Mr.
Panciatonda li richiamava: «Questo è uno dei momenti più importanti. Dovete sforzarvi al massimo, Wolf Boys!»
Al momento di battere, Emiliano diede vita a un’altra azione
indimenticabile – l’adrenalina era alle stelle! Una volta lanciata
la palla cominciò a correre e… «Ecco il capitano dei Wolf
Boys che corre velocissimo verso la base! Corre, corre! Ma...
Attenzione! il giocatore è caduto!»
Capitolo secondo
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I tifosi reagirono e cominciarono a urlare: non potevano crederci!
Come una stella cadente Emiliano, infatti, quando stava ormai
per arrivare alla seconda base, inciampò, storcendosi un
piede. Una barella fu portata in campo ed Emiliano condotto
via. Fu così che accadde l’incredibile. L’allenatore venne verso
di me e mi chiese di sostituire Emiliano. Mi sentii immediatamente
invaso dal rossere: ero rosso come un pomodoro; fosse stato
per me, mi sarei fatto inghiottire da quel campo verde su cui
posavo i piedi. Invece ero obbligato a giocare!
«Ecco un nuovo giocatore nei Wolf Boys! Marco! Ha sulle spalle
la responsabilità di continuare il bel gioco della squadra fino
a questo momento!» commentò il cronista. Sentivo di odiare
con tutto me stesso Emiliano. E anche il baseball! Con l’uscita
di Emiliano la squadra si scoraggiò, e cominciò a giocare
male. Qella era la mia occasione per dimostrare alla squadra
e soprattutto a Emiliano che potevo essere un buon giocatore.
Ma non servì a nulla: passammo in svantaggio e perdemmo la
partita. Ci sentivamo tutti molto male per la sconfitta, ma quella
doveva essere per noi una lezione per raggiungere più alti
risultati.
«Abbiamo perso un’altra partita, ora per rimanere in gioco
dovremo battere una delle migliori squadre del Campionato:
Una partita indimenticabile
il Manchester Eagles» ci spronò il nostro allenatore. Ci disse:
«Ragazzi, abbiamo perso ancora, ma non è tutto perduto!
Dobbiamo dare il meglio nel prossimo incontro!»
«Ma com’è possibile che siamo ancora in gioco se abbiamo
perso?» domandò Emiliano che intanto si era ripreso e ci
aveva raggiunto nello spogliatoio a fine incontro.
«Perché questa era una partita amichevole», disse l’allenatore
lasciandoci tutti sopresi. «La nostra vera sfida saranno i
Manchester Eagles: la squadra che incontreremo la prossima
settimana».
Ci guardammo tutti, di nuovo speranzosi, e intonammo
emozionati il nostro inno: «Wolf Boys! Wolf Boys! Who are we?
We are the best! Who are we? We are the Wolf Boys! What we
are gonna do? Whe are gonna win! Let’s go WOLF BOYS!!!»
Capitolo secondo
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Capitolo terzo
Doppia doccia fredda!
Manca una decina di minuti all’inizio della partita. Sono teso.
Noi Wolf Boys giochiamo in casa e stiamo per ricevere la squadra dei Manchester Eagles. Cerco di tenere caldi i muscoli, di
caricarmi di energia in vista della mia entrata in campo.
L’allenatore mi si avvicina, con fare serioso e deciso. Cosa vorrà?
«Cominci la partita in panchina; Emiliano ha perfettamente
recuperato. Deciderò dopo se farti entrare o meno. Non
prendertela!»
Invece quella fu una doccia fredda. Che cos’è, un complotto
contro di me? Emiliano, ok, ha recuperato in fretta, va bene; ma
mentre tutti e nove i miei compagni sono intenti al riscaldamento prepartita, io rimango seduto in panchina! E Panciatonda?
Ci si mette pure lui; non fa altro che far crescere la mia antipatia per Emiliano. Quel ragazzo non lo sopporto, ha i fondelli
grossi quanto l’area del diamante; come fa ad avere dalla sua
la superattenzione del coach! Meglio non replicare al mister,
metterei a nudo le mie emozioni, e non ne vale la pena. E dire
Capitolo terzo
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che già pregustavo il momento in cui sarei sceso in campo con
la mia divisa nuova. Sarò riserva a vita?
I nove titolari della mia (si fa per dire) squadra entrano in
campo. I Manchester Eagles, essendo la squadra ospite,
giocheranno attaccanti; noi, in difesa. In tribuna c’è festa e
i supporter ci lanciano urla d’incitamento. Mi colpisce uno
striscione dedicato a noi: “Wolf Boys, you’re our team! We’ll
follow you everywhere!”
Nonostante il sostegno dei tifosi mi faccia sentire meno solo
resto qui a mordermi le labbra per il nervoso, lanciando occhiate invidiose alla partita già iniziata.
Cominciano i Manchester Eagles, in attacco, disposti in
campo. Gli avversari sembrano da subito, a dir la verità, non
molto pericolosi. Nei primi tre inning hanno provato la tattica
di mandare la palla il più lontano possibile, ma nessuna palla
è stata considerata buona dall’arbitro.
Una volta la palla è stata presa al volo prima che toccasse
terra; in un’altra occasione è stata dichiarata non valida per
una toccata del corridore prima del suo arrivo in base; e una
terza volta per strake house!
Beccatevi questa, Manchester Eagles! Bravi, però, ai miei
compagni! L’allenatore gongola! Ci ha saputo addestrare; ci
Doppia doccia fredda!
credo, ci ha massacrato, in queste ultime due settimane! Perciò
sono arrabbiato! Dopo tutto questo allenamento, nel quale
avevo messo dentro tutte le mie forze, come posso essere
contento di stare in panchina!
I giocatori avversari non sono stati bravi nell’intercettare la
palla, né hanno sfoggiato una buona tecnica in fase di ricezione. Invece hanno mostrato scarsa velocità di esecuzione e
poca destrezza. Per essere delle “Eagles”, di ali… non se ne
sono viste! Questi Manchester non sono poi i mostri sacri che si dice!
Mi consolo: la mia squadra può ancora farcela a vincere!
Tre giocatori eliminati… non sono bruscolini! Tre eliminazioni!
Voilà, si cambia! Evvivai! Pronti per un nuovo inning!
Qui, in panchina, il tempo non passa mai. Tanti sono i pensieri
che mi assalgono. Penso ai miei genitori, che non mi hanno
seguito qui. Sono ancora arrabbiati con me? Stanno tenendo
le distanze per farmi capire quanto sono importanti nella mia
vita, o mi stanno punendo, o ricattando per averli delusi con le
mie ripetute sospensioni a scuola, per i risultati insufficienti, per
l’essermi aggregato sempre con tipi loschi e più problematici di
me? Boh! Certo è che mi mancano da morire, proprio in questo
momento, in cui mi sento scartato, emarginato. Come di consueto, d’altronde! Forse che a scuola mi è stato mai riservato
Capitolo terzo
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32
un trattamento migliore? Per tutti, ormai, sono la peste bubbonica, l’elemento di disturbo delle attività, colui che rompe e
non muove un passo per migliorarsi… Se non fosse per Valeria,
la psicologa che mi aiuta e mi capisce, mi sentirei davvero
inutile, un peso morto. Anche l’allenatore si comporta con me
come i miei genitori; mi tiene a distanza. Evidentemente pensa
che così facendo mi addestrerà o mi domerà; forse pensa che
io sia un cavallo. Ma io non ho bisogno di zuccherini! Forse
vorrei essere più amato! Certo, a modo mio!
Penso, per la prima volta, anche a Emiliano… Lui, così privilegiato! Ma come mai, mi dico, è soggetto di tanti riguardi?
Quale storia avrà alle spalle… chi è la sua famiglia? Avrà una
famiglia? Non è che, per caso, è da solo qui in Italia e i suoi
genitori sono rimasti a Cuba? Ne conosco storie di ragazzi
affidati ad adulti che si fanno pagare per il trasporto clandestino di minori, e di genitori che danno in affidamento i figli, per
salvarli dalla povertà!…
Beh, se così fosse, sarei un verme per averlo preso a malvolere.
Mi converrà approfondire.
E poi… m’intriga molto Erika! La biondina! La bella ragazza che
mi provoca qualche turbamento, anche se nasconde i lunghi
capelli e i suoi occhioni sotto la visiera del cappellino. Mette
Doppia doccia fredda!
in moto in me qualcosa di irrefrenabile, ma la mia timidezza mi
fa tremare le gambe.
Comincio a credere che tra me e il baseball ci siano molte
più affinità di quanto creda! Io, cuore di sughero dalla scorza
di cuoio, come la palla usata in campo; uso guanto e mazza
come per difendermi e ingannare me stesso e gli altri. Mi proteggo dalle mie paure, dagli altri, dalla mia stessa ombra…
Quindi, penso che il Preside della mia scuola abbia capito
davvero parecchi aspetti di me se ha creduto di inserirmi in
questa squadra!
Uh, la partita! Mi sono distratto!
Devo riconcentrami e, soprattutto, devo sperare (sempre “sperare”…) di essere chiamato a sostituire qualcuno in campo…
Oddio! Che sta succedendo? Le squadre si stanno azzuffando!
Incredibile, nel parapiglia scorgo Erika a terra… L’allenatore è
basito: pugni, spintoni e calci la stanno facendo da padroni,
tra i giocatori. La partita, provvisoriamente, è sospesa.
Doppia doccia fredda!!
Che sarà successo? Un apprezzamento volgare a Erika da
parte di un avversario? Se le suonano si santa ragione. A questo punto, ringrazio Dio di non essere entrato in campo: avrebbero attribuito a me la colpa di tutto.
Capitolo terzo
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L’allenatore, all’improvviso, si ricorda di me, mi viene vicino e mi
dice alla ripresa della partita, forse, io potrei, forse…
Forse! Il ritornello adatto alla mia vita: forse!
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Doppia doccia fredda!
Capitolo quarto
Emozioni in... gioco
La partita viene temporaneamente sospesa. Erika sta ancora
male per il colpo subito, viene portata in barella. Il turbamento
è grande. Le voci, le urla, le minacce dei tifosi li percepisco
come rumori indistinti che riecheggiano e rimbombano nella
mia mente.
La mia mente è disseminata da tanti pensieri, sembrano palle da
baseball che rimbalzano di qua e di là, interrotti dalle parole
gridate da Mr. Panciatonda: «Non preoccupatevi, ragazzi, ho
parlato con l’arbitro: l’incontro riprenderà tra qualche minuto».
Dopo aver tranquillizzato e rasserenato la squadra e i tifosi,
l’allenatore, con passo lento e cadenzato, il mister si avvicina
a me e, con un tono deciso, mi dice: «Sei pronto per la partita?»
Un’ondata di calore percorre tutto il mio essere e m’infiamma.
Minuscole goccioline di sudore, come rugiada, inumidiscono
il mio volto, divenuto, ancora una volta, rosso come un
pomodoro. Sento le gambe che tremano, quasi non riescono
a sorreggere il peso del mio corpo, mi pare di vacillare, vorrei
scappare, sorvolare come un gabbiano le distese verdi del
campo da gioco e planare tra le braccia rassicuranti dei miei genitori.
Capitolo quarto
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Non posso, non posso tirarmi indietro proprio ora, aspettavo
da tempo questa occasione, quel “forse” si è trasformato in
certezza, è giunto il momento di mettersi “in gioco”. Riesco
a stemperare l’ansia con alcuni esercizi di respirazione,
un’improvvisa quiete si impossessa di me.
D’un tratto sento il Mister parlare con il medico sportivo e
rivolgergli domande sulle condizioni di salute di Erika. Sembra
si sia trattato, fortunatamente, di un’innocua distorsione alla
caviglia. Dal discorso tenuto tra i due, apprendo i motivi che
avevano causato quella rissa e la conseguente sospensione
della partita.
Pare che Erika, spintonata da un avversario, sia caduta a terra.
In seguito all’urto, lo spostamento del berretto le avrebbe fatto
fuoriuscire la sua chioma bionda, pertanto giocatori e i tifosi
della squadra avversaria, capendo che si trattava di una
ragazza e non di un ragazzo, avrebbero iniziato a rivolgere
insulti del tipo: «You are a beautiful girl, go home and play
with dollies! You aren’t aWolf Boy, you are a Wolf Girl!» Quelle
urla avevano agito come una miccia infuocando gli animi dei
giocatori e dei tifosi, creando così un’atmosfera tesa.
Ora sono pronto a entrare in campo e a contrastare i giocatori
del famoso Manchester Eagles.
Emozioni in... gioco
Sono stato chiamato a sostituire Erika, che è un ottimo giocatore.
Che responsabilità! Il Mister mi ha chiesto di risollevare la mia
squadra, di ristabilire la calma appianando le tensioni con i
Manchester Eagles.
Io, proprio io, Marco il violento, il ribelle, colui che ha sempre
fomentato risse e tafferugli, ora invece deve riportare a uno
stato di bonaccia un mare in tempesta. Chi lo avrebbe detto?
Mentre tutti questi pensieri si accavallano, sento la voce
dell’arbitro che richiama la squadra a rientrare in campo.
Riprende la partita, i fischi nei confronti dei Wolf Boys sono
tanti, le condizioni di gioco si fanno dure, la partita prosegue
con il pareggio del Manchester, si procede così a oltranza
con l’extrainning. Il Manchester con il suo battitore più forte
cerca di realizzare il punto che potrebbe chiudere la partita,
ma il capitano dei Wolf Boys agguanta la palla eliminando
il giocatore, cambio! Emiliano mi fa un cenno, io raggiungo
velocemente la casella del battitore. Sui primi due lanci sono in
ritardo, ma il terzo risulta essere perfetto. Non ci posso credere
ho realizzato il punto decisivo. «Clamoroso, i Wolf Boys hanno
sconfitto i Manchester Eagles grazie all’azione spettacolare di
Marco, il nuovo giocatore che ha saputo riportare l’equilibrio
all’interno della squadra!», commenta il radiocronista; le sue
Capitolo quarto
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parole mi inebriano di felicità, sto toccando il cielo con un dito!
Sono disteso sul manto erboso in prossimità del diamante, con
la pallina ben custodita nel guanto, prima di essere sepolto
dall’abbraccio di tutta la squadra. Tra le urla e gli applausi
dei tifosi, mi si avvicina Mr. Panciatonda: «Bravo ragazzo, ti sei
meritato la divisa, hai giocato con il cuore!»
Poi si rivolge all’intera squadra e dice: «Tra una settimana
andremo in trasferta, affronteremo i Lions Rouge, per la
seconda partita del campionato, a Marsiglia».
Con grande soddisfazione ci dirigiamo verso gli spogliatoi,
con la coda dell’occhio scorgo su una panca di appoggio
un foglio, mi avvicino: è la lista contenente i recapiti telefonici
di tutti i giocatori. Mi balza agli occhi il numero di Erika:
39490187 e mi sembrano dei numeri molto familiari. Che cosa
mi ricordano? Incredibile: 39 sono gli anni che ha mia mamma,
49 quelli di mio padre e … 0187 è il numero del campo! Non
ci posso credere!
Dopo circa mezz’ora arriva l’autobus che ci conduce a casa.
Una volta a destinazione inserisco le chiavi nella toppa della
serratura e silenziosamente entro in casa. Sento i miei genitori
discutere e, senza farmi vedere, mi avvicino alla sala da
pranzo per ascoltare meglio la conversazione.
Emozioni in... gioco
Capisco subito che la mia sospensione è finita e che lunedì
potrò tornare a scuola. Mi pervade la solita ondata di calore,
questa notizia mi fa restare di stucco. Saluto frettolosamente
i miei genitori impedendo loro di rivolgermi delle domande.
Sono particolarmente arrabbiato. Avrei voluto che ci fossero
stati anche loro oggi, li sento molto distanti, ma mi mancano
da morire!
Il pensiero del ritorno a scuola prende il sopravvento e spazza
via tutti gli altri o meglio li mette in standby. Penso a come mi
accoglieranno i miei amici e i miei insegnanti, saranno disposti
ad accettare di condividere nuovamente le loro giornate con
il più scontroso e il più arrabbiato della scuola? Scontroso,
arrabbiato, ribelle… inizio a provare un certo distacco,
questi aggettivi mi sembrano palline da baseball, ho voglia
di colpirle e scagliarle il più lontano possibile, ci riuscirò? Mi
sento solo, maledettamente solo.
Improvvisamente penso a Erika, afferro istintivamente il
cellulare, digito il suo numero e invio la chiamata. Aspetto
che Erika risponda… uno squillo… due squilli… tre squilli…
vorrei riattaccare, il cuore batte, sembra essere in fibrillazione.
All’improvviso dall’altra parte sento: «Pronto... Chi è? Chi parla?»
Mi colpisce quella voce flebile e incerta, rispondo «Sono
Capitolo quarto
39
Marco, come stai?»
Sembra che Erika abbia timore di rispondere. Che strano, mi
appare d’un tratto una persona timida e debole! Dopo alcuni
interminabili secondi Erika interrompe il silenzio e, alquanto
imbarazzata, mi dice: «Sei stato molto carino a chiamarmi, sto
decisamente meglio, si è trattata di una semplice distorsione
alla caviglia sinistra»
Felice per la risposta, anche se data con un po’ di ritardo,
mi appresto a salutarla, quando Erika mi chiede: «Come si è
conclusa la partita?»
Con grande orgoglio rispondo: «Abbiamo vinto, li abbiamo
stracciati quei presuntuosi!»
Dall’altra parte del telefono sento un grido di approvazione.
Così dopo aver inspirato un po’ di ossigeno, riprendo fiato e
le dico: «Erika,quanti anni sono passati… Come sei cambiata,
vorrei tanto conoscerti meglio, perché non ci vediamo a…»
Improvvisamente si interrompe la comunicazione. Maledetta
batteria scarica! Chissà se è stato meglio così.
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Emozioni in... gioco
Capitolo quinto
Il cambiamento di Marco
Forse dovrei richiamarla... Non so. Non mi sembra carino
lasciare la telefonata in sospeso. Dovrei chiederle di vederci,
sì, dovrei farlo!
Mentre sto componendo il numero sulla tastiera, il cellulare
inizia a suonare. È Erika!! Mi tremano le mani… Rispondo.
«Ciao, scusa, mi dispiace per prima, ma mi si è spento il telefono».
«Tranquillo, non preoccuparti. Non sono riuscita a capire che
cosa mi stavi dicendo…»
Se Erika fosse davanti a me vedrebbe le mie guance diventare
belle rosse. Cerco di raccogliere un po’ di coraggio e di
articolare le parole che vorrei, invece mi esce un “no, niente,
lascia stare”.
Erika rimane un attimo in silenzio poi aggiunge: «Allora ok,
come va a scuola?»
«Insomma, lunedì ritorno in classe. E a te, come va?»
«Abbastanza bene. Ci vediamo all’allenamento?»
«Naturalmente!! Dobbiamo prepararci al meglio se vogliamo
battere i Lions Rouge! Il mister ha detto che dovremo allenarci
Capitolo quinto
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tutti i giorni per prepararci. Ciao, a lunedì!»
Mentre chiudo la telefonata mi sento un idiota… Come è possibile che mi sia mancato il coraggio?
Mi sdraio sul letto della mia camera e rifletto.
Mia mamma bussa. Non ho proprio voglia di parlarle. Sono
ancora arrabbiato, mi avrebbe fatto piacere se i miei fossero
stati presenti alla partita: avrebbero potuto rendersi conto
che forse anche io valgo qualcosa, che sono capace di
concludere qualcosa.
Loro credono che io sia solo uno capace a fare danni e a
mettermi nei guai. Forse anche io ho fatto di tutto per farglielo
credere, in fondo mi hanno sospeso quattro volte. Ma se gli
altri mi provocano o mi danno fastidio, che cosa posso farci?!
Mia mamma insiste a bussare, le dico di entrare. Si avvicina la
mio letto e si siede vicino a me.
«Come è andata la partita?»
«Se volevi veramente saperlo, potevi venirmi a vedere».
Mi pento già di quello che ho detto, anche se lo penso.
Mi metto a sedere e mi rendo conto che ho voglia di raccontar
tutto ciò che è accaduto nel diamante e di come sono stato
fondamentale per la vittoria della squadra. Mia mamma ascolta
e sorride.
Il cambiamento di Marco
«Bravo, sono proprio contenta che ti sia trovato bene nei Wolf
Boys. Il preside lo aveva detto che poteva essere un’ottima
occasione per te».
«Non mi interessa quello che dice il preside».
«Dovrebbe, invece, perché è lui che deve concederti il permesso di assentarti per la partita di Marsiglia».
Rimango di stucco, credevo che la mia presenza fosse scontata.
«Cerca di impegnarti durante questa settimana, sia a scuola
che negli allenamenti e poi si vedrà».
«Ma io devo esserci!» Mi stupisco di me stesso. Fino a qualche
giorno fa non mi interessava nulla del baseball. Mia mamma si
alza e si avvia verso la porta.
«Ora vieni a tavola; per la partita, lo sai, dipende tutto da te».
Sono di nuovo solo con i miei pensieri. Non posso rinunciare
alla partita e neppure a Erika. Frequentare la squadra e
giocare vuol dire anche vederla e poterle parlare quindi
dovrò sforzarmi al massimo, soprattutto a scuola, per riuscire
ad andare a Marsiglia.
Mentre mi avvio in cucina un’idea si fa spazio nella mia mente:
mi impegnerò a mille questa settimana, non so quanto sarà
faticoso, ma non posso mancare. Per la prima volta sento
di appartenere a qualcosa e mi sento pervadere da una
Capitolo quinto
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44
sensazione di benessere.
Stamattina, quando mi sono alzato, mia mamma mi ha detto
che ha parlato con papà e, se tutto andrà per il meglio e
potrò partecipare alla partita, verranno a vedermi a Marsiglia.
Sono veramente contento. Questa sarà una motivazione in
più per impegnarmi! Il rientro a scuola, invece, non è stato un
granché. I miei compagni di classe mi guardano malevoli e
gli insegnanti fingono di essere gentili ma so benissimo cosa
pensano: credono che sia solo una questione di tempo e
poi mi lascerò coinvolgere in qualche altro disastro. Durante
l’intervallo non sono neppure uscito in corridoio, mi conviene
non espormi a rischi, questa settimana deve andare tutto liscio.
Tra impegni sportivi e lezioni a scuola il tempo è passato
velocissimo. Prima di iniziare l’ultimo allenamento il Mr ci chiama:
«Come around me and sit in a circle!» Ci spiega le tattiche di
gioco degli avversari: «I Lions Rouge hanno vinto lo scorso
Campionato Europeo. Hanno grinta da vendere, sono motivati
e vogliono vincere a tutti i costi per tornare a essere di nuovo
campioni».
Ascolto con attenzione e intanto mi accorgo di guardare
Erika, che è seduta di fronte a me. Accanto a lei Emiliano le
rivolge uno strano sguardo e le aggiusta il cappellino. Non
Il cambiamento di Marco
ci posso credere… Si piacciono?! Sarebbe un vero disastro;
come posso competere con il migliore della squadra? Già mi
era antipatico, adesso lo butterei a terra e… calmo, devo
stare calmo. Mi accorgo che tutti si stanno alzando. Comincia
l’allenamento. Per attirare l’attenzione di Erika corro come un
pazzo, mi impegno al massimo, vado alla battuta e cerco
di prendere tutte le palle. Dopo un’ora di allenamento sono
veramente distrutto.
«Durante questa settimana avete lavorato molto e avete
dimostrato che possiamo provare a sconfiggerli. Dovrete fare
un gioco di squadra: uniti e compatti, veloci e concentrati. Sono
molto soddisfatto di tutti voi!» Poi il Mister si gira a guardarmi,
si avvicina e mi mette una mano sulla spalla, dicendo: «Bravo,
Marco. Ho parlato con il preside, e gli ho spiegato che la
squadra ha bisogno di te. Hai fatto veramente un grande
lavoro, soprattutto qui negli allenamenti, e i tuoi insegnanti
mi hanno riferito che anche a scuola ti sei impegnato. Per cui
sarai con noi!»
Vorrei urlare dalla gioia. Sarò a Marsiglia, i miei verranno a
vedermi e giocherò contro la squadra che ha vinto lo scorso
Campionato! Si può essere più felici!
È arrivato il giorno della partenza per Marsiglia e siamo tutti un
Capitolo quinto
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po’ tesi ma nello stesso tempo eccitati. Ci aspetta una partita
importante e difficile ma noi siamo pronti alla sfida. Il pullman è
fermo davanti ai giardini e tutti i miei compagni stanno salendo.
Mi precipito alla porta, vorrei potermi sedere vicino a Erika;
la cerco con lo sguardo ma non la vedo, forse è già dentro.
Accanto all’autista è già seduto Mr. Panciatonda; mi guardo
intorno e, proprio sul fondo, vedo Erika seduta vicino a lui, a
Emiliano. Mi sale una rabbia dal cuore, le mie mani diventano
pugni chiusi. Ora vado lì e gli dico di togliersi di mezzo! Anzi,
gli tiro un bel pugno in faccia e… Cosa sto facendo!? Voglio
giocarmi la partita? Il mister non mi farebbe proprio entrare
in campo e probabilmente mi rispedirebbe a casa. Devo
concentrarmi. Respiro profondamente, cerco di pensare e non
farmi trascinare dalle sensazioni. Ho lavorato sodo questa
settimana non posso mandare tutto all’aria e poi anche gli
altri capirebbero che ho una simpatia per Erika. Meglio lasciar
perdere.
I posti sono tutti occupati. L’unico libero è proprio vicino a
Panciatonda. Mi aspetta un viaggio noioso. Mi siedo, infilo le
cuffiette e mi perdo nella musica.
Il cambiamento di Marco
CAPITOLO SESTO
In viaggio, alla scoperta della verità
Hey, my captain, I’m sinking. This sea isn’t blue…It isn’t blue among
garbage, sharks and SOS. I’m going ashore. I’m drowning…
Scivolo anch’io sul sedile, sempre più giù, come se non avessi
appiglio e nessuno potesse salvarmi, so già che per difendermi
posso essere un riccio, difficile da afferrare, indigesto per chi lo
vuole mangiare. Magari, così chiuso, potrei non vedere il mare
scuro che si chiude sopra di me... Come il mare di sera, quando
passeggiavo con mamma e papà e scalciavo la sabbia, mentre papà mi teneva dalle braccia, facendomi dondolare nel
vento caldo e profumato d'agosto.
In quelle sere di vacanza, papà mi mostrava come scegliere i
sassi da lanciare sulla superficie del mare; poi mi prendeva il
braccio e la mano e insieme lanciavamo i nostri dischi volanti
sul mare, aiutando gli alieni, nascosti in quelle pietre, a scoprire il mare sul pianeta Terra. Mi incitava, dicendo che per ogni
salto sull'acqua sarebbe aumentato il numero degli alieni in
vacanza: ormai gli alieni non vanno più in vacanza e non ho
più capitano né nave.
Capitolo sesto
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Preme sulla mia spalla la mano grande e calda di Panciatonda. Mi spavento, salto sul sedile mentre lo guardo, con aria
interrogativa, sfilarmi gli auricolari.
«Cosa succede? Stai bene?» mi chiede.
La sua espressione sembra preoccupata, ma io non capisco perché:
«Perché stai piangendo?» scopro così che avevo pianto ma,
come spesso mi accade, non so cosa dire. Sono disarmato.
«Nu... Nulla, nulla di particolare» rispondo.
«Mi ricordi proprio tuo padre!»
«Perché lo conosci?» rispondo sorpreso e tremante. Sul suo
viso si apre un sorriso, imprevedibilmente dolce e rassicurante:
«Come potrei non conoscerlo?!Siamo stati compagni di
squadra nel Campionato professionisti ‘87- ‘94».
Non riesco a crederci. Non lo avrei mai pensato. Papà non mi
ha mai raccontato nulla e mentre scopro questo suo silenzio,
stringo i denti e ingoio la saliva. Un'altra volta. Il capitano
è scomparso.
«Tuo padre era un gran giocatore, no, era un dio a battere, le
sue palle erano razzi di fuoco. Quando batteva lui, agli altri
tremavano le gambe. Possibile che non te ne abbia parlato?»
Abbasso lo sguardo perché, di nuovo, non so cosa dire.
In viaggio, alla scoperta della verità
«Francesco» riprende Panciatonda «Faceva gioco di squadra, coinvolgeva tutti e, per questo, nonostante il suo talento
non suscitava invidia negli altri. Finché è stato capitano, la
nostra squadra è rimasta imbattuta per cinque anni consecutivi». Pancia ha il viso illuminato e i suoi occhi, anche se rivolti
a me,guardano nel passato. «Non ha mai inveito contro gli
altri, anzi ci incoraggiava. Poi l'ho perso di vista. Come sta?»
«È cambiato, penso, rispetto a quegli anni…. Ora» lo dico tra
me e me «Non fa più gioco di squadra».
«Davvero? In che senso?»
Non sapendo cosa dire (che ne so di com’era mio padre?),
mento: «Da quando lavora ha cambiato stile di vita».
«Perché ora che lavoro fa?»
È camionista. Parte per lunghi viaggi e quando torna è sempre
stanco. Quando non è stanco, aiuta mia madre con Flavia, mia sorella».
«Ah, hai una sorella? Quanti anni?»
«Ne ha sette».
«Bah! Non è tanto piccola!»
«È vero, ma è come se lo fosse»
«In che senso?»
«Soffre di atrofia muscolare con gravi complicazioni respiratoCapitolo sesto
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rie, perciò ha sempre bisogno di aiuto».
«Mi dispiace, non lo sapevo!»
«Mia sorella è così, le voglio bene» parlo e sono costretto
sempre a difendermi su questo terreno, come se fosse un dramma. Lo è! Lo è! Ma è mia sorella. «Anch'io aiuto, aiutavo miei ad
accudirla. Da piccolo le giravo intorno, giocavo ai piedi del
suo letto, le raccontavo le fiabe che mi piacevano. Le tenevo
la mano, quando loro non c’erano. Allora…»
«Sì, scusami» l’allenatore intuisce il mio disagio «Insomma, penso sia complicato…»
«Abbastanza… Ma lei e mio padre eravate anche amici?»
glielo chiedo a bruciapelo. Mi interessa saperlo. Mi interessa
battere, non ricevere.
«Lo siamo stati, ma non da subito!Nessuno dei due era facile…» E parla delle loro bravate, delle loro giocate. Lo fa con
il suo stile secco e un po’ stanco, al punto che mi chiedo come
sia stato possibile un passato agonistico in quest’uomo. Mi
parla di mio padre: non riesco ad immaginarlo giovane, sicuro
di sé, capitano di una squadra. Intanto il racconto del Pancia,
piano piano, mi tranquillizza. Lo fa apposta? Si sta inventando
qualcosa? Chissà!
In viaggio, alla scoperta della verità
«Come mai vi siete persi di vista?» gli chiedo. Sorrido e mi
fermo, quasi timoroso di aver detto troppo.
«Succede, sai, quando si cresce. Senza nessun particolare
motivo, le strade si dividono. Magari il resto te lo farai raccontare da tuo padre. Come mai non l’ho mai visto alle partite?»
«Sempre per Flavia, penso». Panciatonda mi guarda incredulo.
Ha un’espressione interrogativa. Non so spiegare quello che
ho detto e mi lascio sfuggire un augurio: «Spero che a questa
partita venga».
«Che bello forse lo potrò rivedere! Ora cerca di riposare, ne
abbiamo tutti bisogno, va bene?»
Annuisco. Troppe cose mi ha raccontato. Sono frastornato e
non ho la forza di chiedere ancora, per paura di scoprire altre
cose che non so.
In pullman, tutti sono felici, non mancano risate, scherzi e
racconti di episodi divertenti di ognuno dei miei compagni.
Questo mi distrae. Mi addormento. Mio padre mi viene incontro. Voglio abbracciarlo, ma lui non mi vede e mi attraversa
come se fossi un fantasma.
“Ehi papà! torna qua! Non te ne andare! Rimani con me… Con
mamma e con Flavietta!”
Capitolo sesto
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Mi sveglio di colpo,tutto sudato. È buio. Forse siamo vicini. Mi
giro. E Panciatonda? Lo sento parlare con i miei compagni sul
fondo dell’autobus. Guardo Emiliano con Erika. Ingoio la saliva
e resto calmo. Cerco la bottiglietta d’acqua nello zaino e gli
auricolari. Quando, ancora stordito, mi raddrizzo sul sedile,
mi accorgo che qualcuno è sul mio lato. È Emiliano: «Posso
sedermi?»
Mi irrigidisco. Perché si avvicina? Che vuole? Stringo i denti e
mi fingo tranquillo: «Certo!»
«Vorrei chiederti se vuoi provare con me e Carlo, durante
gli allenamenti, una strategia di cui ho già parlato al mister,
vediamo se funziona, potrebbe essere un asso nella manica
contro i Rouge».
Mi parla di tattiche, chiede il mio aiuto, certo, per la squadra… Non ce l’ha con me per la zuffa a scuola? Come fa a
starmi vicino come se niente fosse? Mi fa sentire piccolo, in
colpa: «Farò tutto ciò che può aiutarci a vincere».
Il pullman rallenta, mette la freccia, si ferma.
Davanti a noi l’Hotel Paradise. Che dire: mi sembra anche di
lusso per una squadra di scapestrati come noi!
In viaggio, alla scoperta della verità
CAPITOLO SETTIMO
Ostriche avariate e vecchi amici
Sono le 18:30 e io e i miei compagni ci sistemiamo nelle camere. All'ora di cena scendiamo nella sala ristorante e, alla tv,
sentiamo che un telegiornale locale parla di noi e del match
che giocheremo il giorno successivo.
Prendiamo posto ai nostri tavoli e, scorrendo il menù, vediamo
che comprende molte portate a base di pesce; Mr Panciatonda ordina un piatto di ostriche. Dopo aver mangiato facciamo
un sopralluogo del campo su cui disputeremo la partita.
Verso le 10:00 rientriamo in albergo per metterci a dormire. "I
miei genitori saranno alla partita? Vinceremo? Sono preoccupato!" penso mentre mi infilo sotto le coperte.
Ecco che suona la sveglia, la notte è passata così velocemente da non accorgersi che è mattina. Sono le 9:30, quindi ho
solo mezz’ora per prepararmi e fare colazione, per poi andare
all'allenamento. Mi precipito giù per le scale e incontro il Mister
nella hall che cammina con fatica ed è pallido come un cencio. La fretta non mi permette di accertare le sue condizioni di
salute; vado nella sala da pranzo dove si trovano ancora tutti
Capitolo settimo
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i miei compagni.
Li saluto e chiedo: «Ma il Mister sta bene?» I compagni mi
rispondono in coro: «Ce lo siamo chiesto anche noi!»
Ad un certo punto Emiliano si alza e dice: «Ragazzi é tardi!
Dobbiamo andare ad allenarci!»
Noi usciamo di corsa e raggiungiamo il campo, felici di allenarci con quella bella giornata. Tuttavia il Mister non si fa vedere,
al suo posto c'è l'insopportabile Emiliano, che si crede il capo
perchè ha sostituito Panciatonda.
Incomincia l'allenamento: io sto alla battuta, mentre Erika...
dov'è Erika? Non la vedo! Lo chiedo ai miei compagni, ma
nessuno mi sa rispondere.
L'allenamento procede bene, però, ad un certo punto, Aniello,
che si allena con Emiliano, gli lancia una palla molto forte, che
avrebbe potuto ferirlo.
Non ci penso due volte e corro in suo aiuto; appena in tempo
devio la palla e cambio la traiettoria!! Ed ecco che Emiliano
mi ringrazia e cominciamo a parlare. Devo ammettere che
è proprio simpatico, lo avevo giudicato male fino a questo
momento. Mi racconta la sua tristissima storia: «Sono nato in
un piccolo quartiere dell'Avana, la capitale di Cuba; i miei
Ostriche avariate e vecchi amici
genitori erano poveri e non potevano tenermi, così sono stato
abbandonato davanti ad un orfanotrofio. Tra quelli della mia
età sono stato l'ultimo ad essere adottato. Non conservo alcun ricordo dei miei genitori e a volte vorrei rivederli: chissà se
sono ancora vivi!» Il suo racconto mi fa capire perché Emiliano
ha un carattere duro e spigoloso.
Arrivati in albergo ci salutiamo. Salendo le scale, incontro Erika
e le chiedo: «Come mai non sei venuta all'allenamento?» e lei
mi risponde: «Ho aiutato il Mister che questa notte è stato male,
le ostriche che ha mangiato erano avariate». «Ecco spiegato
tutto, infatti questa mattina l'ho incontrato e la sua faccia era
pallida». Ci diamo appuntamento sul campo alle 16:30 per la
partita delle 17:00.
È arrivato il momento dell'incontro. La tensione è al massimo,
gli spogliatoi sono carichi di energia mentre Panciatonda ci
spiega lo schema di gioco.
Si aprono le porte di accesso al diamante ed entriamo con
passo deciso.
Le urla dagli spalti ci incoraggiano, mentre il telecronista annuncia le formazioni.
Io guardo Erika pensieroso e anche preoccupato per la partita.
Capitolo settimo
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Nel primo inning Michele si prepara a lanciare. La pallina sfreccia ad alta velocità ed è battuta con la massima potenza
dai Lions Rouge. Gli avversari conquistano un fuori campo e si
aggiudicano un vantaggio. Al quinto inning il punteggio è di 5
a 3 per i Lions Rouge che mandano in campo come battitore il
numero 8, uno dei giocatori più forti.
Nel frattempo Panciatonda si accascia a terra.
Siamo smarriti e preoccupati mentre l'arbitro fischia la sospensione del gioco e manda i soccorsi per assistere l'allenatore.
Io mi precipito da lui che, con una flebile voce, mi dice di
chiamare mio padre.
Intanto mio padre Giovanni lascia gli spalti per correre da
Panciatonda, che lo prega di sostituirlo.
Giovanni, senza indugio, si infila il cappello da baseball,
assume il controllo dei Wolf Boys e, grazie ai suoi consigli,
durante il nono inning conquistiamo 7 punti che ci permettono di ottenere la parità.
Per fortuna l'inning non è ancora finito e abbiamo la possibilità
di segnare il punto decisivo. Erika si prepara alla battuta, anche se risente dell'infortunio della scorsa partita. La palla viene
lanciata rapidamente ed Erika la colpisce con forza lontano.
Ostriche avariate e vecchi amici
La ragazza corre alla prima casa, supera la seconda, la terza
e si precipita alla casa base, ma inciampa e viene avvolta da
una nube di polvere. Siamo tutti con il fiato sospeso, ma dopo
pochi secondi intravediamo la sagoma di Erika con il braccio
teso verso la casa base. La nostra compagna ce l'ha fatta! Il
cronista riferisce che Podestà Erik(a) ha segnato il punto decisivo.
Abbiamo vinto! Con i miei compagni vado a portarla in trionfo.
All'uscita dello spogliatoio vedo mio padre con il volto raggiante. Da quanto tempo non lo vedevo così felice e pieno di
gioia! Credo che sia anche molto fiero di me. «Sei stato molto
bravo» mi dice, dandomi una pacca sulla spalla, «E la palla
che hai tirato nel quinto inning, é stata magnifica!»
Divento rosso per l'emozione e rispondo: «Grazie papà! Ho saputo
che tu da giovane eri un grande campione di baseball!»
«Sì, è vero, giocavo e, non lo nascondo, ero abbastanza
bravo, ma a te chi lo ha detto?»
«Il Mister mi ha raccontato di voi due quando giocavate
insieme tanti anni fa!»
Giovanni continua: «A quei tempi non era soprannominato
Panciatonda ma Babe, come il più grande giocatore di baseball della storia, e siamo stati nella stessa squadra per diverse
Capitolo settimo
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stagioni fra il 1987 e il 1994, se non ricordo male. Che bei
tempi! Babe era uno dei migliori».
«Perchè non me ne hai mai parlato papà?»
«Perchè volevo farti provare la stessa esperienza che ho vissuto io con il baseball. Anch'io facevo sempre a botte ed ero
insofferente, ma quando ho scoperto questo sport sono cambiato, mi sono appassionato e ho capito che con le parole è
molto più semplice risolvere le difficoltà!»
Penso che mio padre abbia ragione e che anche io sto
cambiando in meglio.
«È stata una bella chiacchierata».
«Lo credo anche io, Marco».
Insieme pronunciamo il nostro motto: «Wolf Boys, Wolf Boys,
Who are we? We are the best!»
Mio padre mi abbraccia e mi dice: «Scusa se ti dedico poco
tempo, ma tua sorella ha bisogno di me e io devo lavorare
molto per riuscire a mantenere la nostra famiglia, lo capisci vero?»
«Sì, lo capisco. Ti prometto che non farò più a botte e cercherò
di prendere bei voti. Sono cambiato, vedrai». Ci abbracciamo
e siamo torniamo all'albergo.
Ostriche avariate e vecchi amici
CAPITOLO OTTAVO
Dialoghi rivelatori
Quella sera, i miei compagni di squadra, nell'entusiasmo
della vittoria, decidono di chiedere a mio padre di sostituire
Panciatonda per tutto il periodo della sua convalescenza.
Non ci sono, quasi, neppure discussioni, ma una specie di
sentimento comune mette tutti d'accordo: l'entusiasmo fa
miracoli. Lo raggiungono immediatamente al bar dell'albergo,
dove, seduto a un tavolino, solo e sovrappensiero, ha appena
cominciato a sorseggiare un caffè.
«Vorresti allenarci?» dice uno di loro, rappresentando il desiderio di tutti e tagliando corto.
Mio padre tace un attimo, poi risponde: «Si potrebbe fare,
forse, ma in ogni caso sarebbe corretto, prima di tutto, parlarne
al mister». In quel preciso istante a mio padre squilla il telefono.
Il suo volto muta espressione: è mia madre che, in ansia, gli
comunica il peggioramento delle condizioni di Flavia. Mio
padre deve tornare subito a casa. È evidente che di quella
sostituzione non è il caso di parlarne, almeno in quel momento.
Va via senza salutare nessuno e i ragazzi si allontanano.
L’eccitazione che pochi minuti prima si rifletteva sui nostri volti,
Capitolo ottavo
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adesso è sparita.
Raggiungo mio padre e gli dico: «Papà, voglio venire con te
da Flavia, ma prima voglio vedere il mister e, soprattutto, un’altra persona. Ci metterò pochissimo, tu quando pensi di partire?»
Lui mi risponde: «Mi fa piacere che tu voglia tornare con me,
a costo di lasciare i tuoi compagni. Questo dimostra che stai
maturando. Però, hai tutto il tempo che vuoi per sbrigare le tue
cose. Oramai è troppo tardi per mettersi in macchina: partiremo
domattina all’alba, se veramente sei deciso a fare il viaggio
con me».
Gratificato dalle parole di riconoscimento di mio padre e nello
stesso tempo preoccupato per mia sorella, rispondo semplicemente: «Va bene papà!»
Lascio solo mio padre e vado a trovare Panciatonda nella
sua stanza. Giunto alla porta, busso e una voce irriconoscibile
mi risponde con una cadenza trascinata, sofferta, che sembra
giungere da un altro mondo: «Chi è?»
Entro e mi siedo su una sedia vicino al letto. Gli chiedo: «Come
va, mister?» ma, mentre lo dico, mi scappa un sorrisetto fuori
luogo. Non si sorride di fronte a un malato, con la flebo ancora
addosso per disintossicarsi: il fatto è che, all’improvviso, penso
che il soprannome di Panciatonda gli calza proprio a penDialoghi rivelatori
nello. Mangia sempre in maniera sconsiderata e non riesco a
capire come abbia potuto ingozzarsi con tutte quelle ostriche
senza neppure accorgersi che erano andate a male.
Mi mordo le labbra per togliermi a forza quel sorriso imbarazzante, mentre lui con un filo di voce risponde: «Sto un po’
meglio, ma ancora non sono in gran forma».
Allora io gli chiedo: «Mister lei sa che mia sorella ha seri problemi di salute?»
Risponde che in passato ne aveva parlato con mio padre, che
lo sapeva ed era molto dispiaciuto. Senza far giri di parole
gli dico il motivo per cui sono andato a parlargli: «Mister, il
baseball per me è diventato importante, così come l’impegno
che ho preso con lei. Ma vorrei tornare a casa con mio padre
domani mattina, per stare un po’ con mia sorella. Mi sento quasi
in colpa per averla trascurata e vorrei…»
Il mister mi interrompe, dicendo: «Non devi neanche chiedermelo:
certo che puoi andare a casa, ragazzo. Non preoccuparti, in
una squadra tutti sono importanti, ma nessuno è insostituibile,
neanche l’allenatore». Lo dice in un tono malinconico e allora
capisco che egli ha intuito quanto era poco prima accaduto,
quella sorta di tradimento. Arrossisco, neanche a dirlo.
Lo saluto riconoscente e lascio la sua stanza.
Capitolo ottavo
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Dopo aver parlato con il mister, voglio assolutamente incontrare Erika. Ho la fortuna di vederla passare nel corridoio e mi
faccio coraggio, imponendomi di non arrossire ancora. Invece
divento paonazzo, ma ho la forza di invitarla a prendere un
gelato.
«Voglio parlarti» le dico in modo deciso. In quel “voglio”,
pronunziato con decisione, sento come una liberazione di
tutto me stesso.
«Ci vediamo tra un po’, vado a sistemarmi e ti raggiungo sotto»
mi risponde lei.
Raggiante di felicità, nell’attesa al bar, rimugino: “E adesso
che le dico? Le dirò tutto. O adesso o mai più: questa è l'occasione che non deve sfuggirmi”.
Era bellissima quando mi raggiunse, leggermente truccata, ma
in modo semplice e armonioso.
«Prima che tu lo sappia da altri te lo dico io: ho problemi di
autocontrollo, dicono così. Mi hanno pure affibbiato una
psicologa. Ma non pensare che io possa essere un pericolo
per te. Sono solo problematico» le dico con una vena d’ironia.
«E chi non ha problemi a questo mondo!» dice dopo aver
tolto dalla bocca un cucchiaino di gelato. «Anche io ne ho a
palate…. Pensi che sia facile per una ragazza giocare in una
Dialoghi rivelatori
squadra maschile? Travestirsi coi panni di un uomo, per poter
giocare, è frustrante, ti fa sentire un maschio».
«Guarda, ieri ho cercato su Wikipedia la parola “femmina” ed
è venuta fuori la tua foto, senza una riga di commento» le dico
come imbambolato.
Erika sorride e mi stringe entrambe le mani con forza.
«Volevo anche dirti che domattina parto con mio padre. Mia
sorella sta male e dobbiamo tornare a casa. Ma quando tornerete, voglio parlarti ancora. Credo di avere più bisogno di
parlare a te, che alla mia strizzacervelli» le dico sorridendo e
arrossendo, ma di un rossore nuovo, mai provato prima, diverso
dal solito e per nulla imbarazzante.
«In effetti, credo che abbiamo molto da dirci ancora. See you
soon and enjoy your trip!» mi risponde Erika alzandosi.
Mi abbraccia e provo una vertigine. Quindi ci congediamo,
augurandoci la buona notte. La notte la trascorro a dormir
poco e male, pensando a lei, a Flavia, a mio padre e al
viaggio che avremmo intrapreso, soli in macchina, a dover
parlare per forza di cose, così vicini e per tante ore, di ciò su
cui è imbarazzante dire ed è imbarazzante tacere.
Capitolo ottavo
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CAPITOLO NONO
In viaggio verso casa
Dopo una lunga notte insonne, finalmente arriva il mattino. Le
prime luci dell’alba filtrano tra i fori delle tapparelle lasciando
intravedere l’inizio di una giornata radiosa. Mi alzo silenziosamente, non voglio svegliare Carlo che dorme tranquillo
nel letto accanto al mio. Con il cuore gonfio di emozione mi
preparo velocemente e scendo giù nella hall dell’hotel: è lì
che ho dato appuntamento a mio padre nel movimentato e
sorprendente dopopartita della sera precedente.
Mi guardo intorno, ma papà non è ancora arrivato.
Nell’atmosfera ovattata e sonnolenta dell’hotel, un cameriere
dai modi gentili si rivolge a me : «Bon jour, garçon!» E poi con
un italiano un po’ incerto: «Cosa volere per colazione?»
Certamente il mio francese è peggiore del suo italiano, allora
ricorro all’inglese che, per quanto io non sia mai stato “the best
student of my class”, mi consente oggi di ordinare qualcosa da
mangiare. Quindi dico: «Can I have a croissant and a cappuccino, please?»
Il giovane cameriere mi sorride e risponde: «Yes, of course.
Capitolo nono
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Here you are!»
Ah, se ci fosse stata la mia teacher! Sarebbe stata orgogliosa di me!
Mentre sorseggio il mio cappuccino e gusto un delizioso croissant, giunge mio padre che, con l’aria un po’ preoccupata
e un fare frettoloso, alla luce delle notizie che giungono da
casa, mi invita a seguirlo.
Allora prendo il mio borsone, saluto in fretta la signora alla
reception ed esco in strada. L’hotel si trova in un vicolo
caratteristico di Marsiglia, dalle case color albicocca e
mandorla. L’auto di mio padre è lì davanti, salgo a bordo,
guardo quell’uomo che sembra così provato e dico: «Ciao,
papà! È bello ritornare a casa insieme!» Lui non risponde, ma
sorride e avvia il motore.
La strada scorre velocemente dalla Costa Azzurra in territorio
francese verso sud, passando da Cannes, Nizza e Monaco.
I colori vivaci della vegetazione circostante catturano la
nostra attenzione: le spiagge dorate, le rocce di un colore
rosso fiammante, le acque limpide di un azzurro intensissimo.
Il profumo quasi stordente di essenze inebrianti provenienti
dai finestrini un po’ abbassati ci immergono all’interno di un
panorama mozzafiato, ma i nostri silenzi e i nostri pensieri lo
In viaggio verso casa
rattristano. Tutto sembra grigio nonostante il contorno e la
splendida giornata di sole e avverto un profondo disagio,
come se avessi al mio fianco un estraneo.
Ma qualcosa cambia a Ventimiglia, quando entrammo in
territorio italiano.
Gli occhi di mio padre improvvisamente si illuminano. Comincia
a raccontare l’emozione del suo esordio nel campionato
nazionale di baseball: «Era il lontano 1987 quando iniziò
la mia avventura in questo fantastico mondo. Prima di allora
ero un ragazzino timido che non riusciva a interagire con gli
altri e che spesso si richiudeva in se stesso o batteva i pugni
per farsi sentire. Ma, grazie a un supplente di scienze motorie,
grande lanciatore della nostra squadra locale e socio della
Federazione Italiana Baseball Softball (FIBS), un mondo nuovo
si aprì davanti ai miei occhi».
Mentre mio padre ripercorre la sua breve, ma intensa
esperienza di esterno destro, ritrovo e rivivo nelle sue parole
situazioni e stati d’animo a me familiari. Chi avrebbe mai potuto
immaginare, che dietro quell’uomo di mezz’età discreto e
taciturno ci fosse tanta passione sportiva e tanto rispetto per
gli spazi e le scelte altrui!
Capitolo nono
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Un sentimento nuovo fa capolino nel mio cuore, e una forza
fino ad allora sconosciuta sembra pervadere il mio corpo. Ora
non sono più solo! Mio padre sarebbe stato sempre al mio
fianco, pronto a sostenermi nei momenti di difficoltà e a gioire
per i miei successi.
Senza accorgercene, ci ritroviamo sotto casa uniti come
non mai, con la stessa luce di riscatto negli occhi e la stessa
preoccupazione nel cuore: «Come starà Flavietta?» dico
sommessamente.
Mio padre con piglio deciso e con voce rassicurante risponde:
«Lotteremo insieme e anche la nostra amata Flavietta vincerà
la partita più importante della sua vita. Non sarà mai sola…
Non saremo mai più soli. La nostra famiglia unita troverà la forza
di affrontare e superare tutti gli ostacoli. Figliolo, ricorda, nella
vita come nel baseball puoi perdere una partita, ma la cosa
più importante è sapersi rialzare e continuare a lottare per ciò
in cui si crede e per la felicità dei propri cari. Non arrenderti
mai Marco! Never give up! Questa è la grande lezione che
purtroppo avevo dimenticato in questi tristi anni. Ma adesso
tutto cambierà!»
Entriamo nell’androne del mio palazzo ansiosi di rivedere
In viaggio verso casa
Flavia. Non appena ci vede, il suo volto si illumina di felicità
e di gioia di vivere. Una rinnovata fiducia invade tutti noi…
Ci stringiamo in un caloroso abbraccio che dissolve in un attimo
tutta la tensione, la freddezza, la distanza che ci avevano
tenuto lontani per troppo tempo.
Felice della ritrovata serenità familiare e incoraggiato dalle
parole di mio padre, mi dirigo verso il Centro sportivo, determinato a non mollare e desideroso di mostrare in campo tutta
la mia nuova energia… Il mio nuovo “me”.
Avrei aspettato il ritorno dei miei compagni e mi sarei allenato
insieme a loro in vista del match finale a Termoli. Tutto ha un
sapore nuovo, in quei momenti di grande fibrillazione scopro
cosa realmente significa lavorare in team, avere degli amici su
cui contare ed una ragazza da conquistare, la mia amata Erika.
Capitolo nono
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CAPITOLO DECIMO
Vittoria in tutti i sensi
Finalmente è arrivato il momento di iniziare il primo allenamento
dopo la vittoria della squadra contro i Lions Rouges.
Sono passati tre giorni dalla partenza da Marsiglia con mio
padre. Sono contentissimo.
D’ora in poi mio padre mi vedrà durante tutte le partite, ma
non solo perché ora è diventato l'assistente di Panciatonda:
adesso crede in me. Arrivati al campo notiamo subito che
l'allenatore sta molto meglio ed è pronto per prepararci. Vado
verso gli spogliatoi. Vedo che Panciatonda prepara il campo
e mi distraggo a guardarlo.
Mi avvicino per parlargli ma mi accorgo che è tardi e devo
andare a cambiarmi per entrare in campo. Mi vesto veloce
come un fulmine e raggiungo gli altri sul diamante.
Oggi il mister ci spiega una nuova tattica: il “bunt”, che è una
particolare tecnica d’attacco che serve per far avanzare un
giocatore dalla base uno alla due. Funziona così: il battitore
cambia la posizione di battuta mettendosi quasi frontalmente
e il lanciatore cambia impugnatura sulla mazza.
Sul campo tutto bene.
Capitolo decimo
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Arrivo a casa, saluto frettolosamente i miei e mi chiudo in camera deciso a prepararmi al meglio per la verifica di matematica
di domani. Sono ormai due ore circa che studio quando suona
il mio cellulare: sul display lampeggia esattamente il nome che
avrei voluto vedere.
«Ciao Marco, come va?»
«Bene grazie, tu Erika?»
«Molto stanca per l’allenamento. A proposito di baseball… Ti
ho chiamato per informarti dei dettagli della finale: giocheremo
a Termoli, tra quattro giorni contro i Tiburones Blancos».
«Grazie mille, ci vediamo domani?»
«Certo! Buona notte».
Il giorno dopo vedo Erika dopo scuola, trovo che sia diversa
dal solito:un misto tra triste e arrabbiata. Le chiedo se sta bene
e lei mi risponde che la finale del campionato è l'ultima partita
che potrà giocare con i Wolf Boys. Infatti tra due settimane
compie 15 anni e secondo le regole del baseball maschi e
femmine possono giocare insieme fino ai 14 anni.
Resto sbalordito per la notizia ma sono felicissimo che si sia
confidata con me.
Così, ricambio le confidenze e le racconto di mia sorella che
ha una malattia molto grave; diversi medici l’hanno visitata
Vittoria in tutti i sensi
però non hanno ancora trovato una cura efficace perché ci
sono pochi casi noti di questo tipo di malattia. L’unica speranza, come per altre malattie rare, è la ricerca.
«Ora però» confido alla mia amica «un centro sperimentale
delle Tremiti prova una nuova cura che finora non è mai stata
usata e Flavia è entrata nel protocollo di sperimentazione».
«I miei genitori alla notizia si sono parecchio sollevati perciò,
a breve, ci trasferiremo alle Tremiti per testare questa nuova cura».
«Quindi a breve partirai? Mi mancherai molto» mi confida Erika
in un sospiro.
«Beh non sarà per sempre, se tutto va bene si tratta di due
settimane, giusto il periodo della premiazione della squadra,
sempre se vinciamo il campionato».
«Un vecchio amico di papà ci ospiterà da lui, Flavia andrà al
centro e inizierà la terapia».
«Speriamo bene e concentriamoci sulla finale».
I quattro giorni di allenamento trascorrono in un battito di
ciglia e mi trovo catapultato nel diamante, al sesto inning
della finale. Vedo Emiliano avvicinarsi a me. Cosa vorrà? Il suo
sguardo si fa serio mi fa segno di seguirlo. Mi avvicino e mi
dice: «È una cosa seria… Da quando sei arrivato ti ho tenuto
d’occhio… Ho visto che sei migliorato, non solo nel baseball
Capitolo decimo
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74
ma anche nel comportamento». Rimango sorpreso, non mi sarei
aspettato nessuna lode da uno come Emiliano. «Per questo»
continua «ho deciso di cederti la leadership della squadra.
Ho visto come sproni gli altri: ti ascoltano tutti. Per la finale è
quello che ci vuole».
Provo a replicare, non mi sento ancora pronto per questo
ruolo, ma Emiliano mi stoppa: «Sei meglio di me» dice laconico.
Non ho parole e non so cosa dirgli, mi fa cenno che è tutto a
posto e torniamo in panchina. «Da qui in avanti il capo sarà
Marco!» Emiliano informa la squadra.
Sono perplessi ma poi il silenzio viene rotto da un caloroso applauso.
Emiliano continua: «Quindi adesso seguirete Marco. Ci sono
domande?»
Nessuno risponde, così torniamo in campo per terminare la partita.
Durante il tragitto sparo la mia frase ad effetto: «You hit home
runs not by chance but by preparation» dico serio «È una frase
di Roger Maris, per chi non l’avesse capito» e poi davanti ai
pochi volti ancora perplessi, traduco «Si fa un giro completo
in base non per caso ma per preparazione».
«Wolf Boys, Wolf Boys, Who are we? We are the best!» rimbomba
l'inno della squadra. «E ora andiamo a vincere!» urlo esaltato.
Sudati e accaldati, entriamo negli spogliatoi. È finita, ed è finita
Vittoria in tutti i sensi
bene, per questo entriamo vittoriosi. Mi levo la divisa lentamente
perché la amo, e non la toglierei per nessun motivo... neppure
di notte! Salgo in piedi in equilibrio sulla panca e comincio
emozionato: «Sono felice di essere capitano di questa squadra
perché quest’esperienza mi ha cambiato. Prima di giocare con
voi ero considerato uno zoticone violento ma io, in fondo al
cuore, sapevo di non esserlo. Facevo continuamente a botte,
per un nonnulla poi, e sono stato sospeso quattro volte da
scuola. Tutti mi odiavano. Poi il preside mi ha mandato qui a
giocare con voi. All'inizio pensavo fosse l’ennesima punizione
e se prima ero arrabbiato, ora non so come ringraziarlo per
avermi dato questa possibilità».
Sono commosso e lo sono tutti. Vengo sommerso dagli
abbracci e mi accorgo solo ora che Panciatonda, mamma e
papà hanno assistito al discorso e sorridono fieri.
Dietro la mamma spunta un visino a me conosciuto, Flavietta! La
stringo forte, sembra stare meglio, e anch’io con lei!Abbraccio
anche i miei genitori, che mi dicono: «Siamo fieri di te, Amore!»
Sto toccando il cielo con un dito.
Capitolo decimo
75
CAPITOLO UNDICESIMO
Pugni chiusi
Quel dito che fino a pochi mesi fa avrei tenuto chiuso col
resto della mano per dare pugni e botte, adesso sta alto a
toccare il cielo. Anch’io mi sento come quel dito, aperto, alto,
consapevole.
Con uno splendido fuoricampo ho salvato la partita e adesso
i miei compagni, che fino a ieri mi consideravano un bullo
e che io ritenevo degli impiastri, ora mi portano in trionfo e
sono diventati parte della mia famiglia, anche Emiliano, quel
ragazzo che fino a ieri ho odiato con tutto me stesso.
Mentre questo vortice di pensieri turbina nella mia testa, sento
che dal campo chiamano NOI, i campioni, per la cerimonia
di premiazione: ho voglia di avere quella coppa tra le mani,
avere tra le mani un momento di gioia!
Entriamo in campo acclamati da una folla festante; davanti
a noi vediamo la spettacolare coppa di fine campionato
in mezzo al diamante. Mi guardo attorno e vedo le facce
sbalordite dei miei compagni, tutte tranne una, quella di Erika.
É triste... e immagino anche il perché. É un peccato che se ne
dovrà andare dalla squadra per colpa di una regola ingiusta,
Capitolo undicesimo
77
78
secondo me.
La coppa è bellissima, lucida, splendente, sembra lei un diamante. È su quel tavolo da mezz’ora e noi aspettiamo di averla
tra le nostre mani.
Finalmente, dopo alcuni minuti di attesa e le procedure di rito,
la posso alzare al cielo con il resto dei compagni. Il cronista
urla il nostro nome, “Wolf boys”, e dall’altoparlante del campo
partono le note dell’inno più bello del mondo:
“We are the champions my friends
and we’ ll keep on fighting
till the end
we are the champions
we are the champions
no time for losers
‘cause we are the champions of the World”.
Mi sento un eroe...
La Società ha organizzato per questa sera una festa in pizzeria
per festeggiare questa vittoria: ci sarà anche il Preside della
scuola e ne approfitterò per ringraziarlo di questa magnifica
opportunità che mi ha cambiato la vita.
Appena entrato in pizzeria sono travolto da una atmosfera
di festa: ci sono tutti, sono già seduti intorno al lungo tavolo
Pugni chiusi
e stanno chiacchierando; Carlo è il primo che si accorge del
mio arrivo, mi viene incontro dicendo: «Finalmente sei arrivato!
Stavo morendo di fame! Sbrigati, ti ho tenuto un posto vicino a me».
Sono contento, ma non oso dirgli che avrei preferito Erika a
lui. Invece lei, che si è sistemata dall’altra parte del tavolo,
mi sta salutando sorridendo, e sembra capire i miei pensieri…
Non importa, le parlerò dopo. Spero soltanto di non arrossire
come al solito.
Per tutta la serata mi diverto con Michele e Carlo. Ad un certo
punto i ragazzi impazziscono e incominciano a lanciarsi la
coppa come se fosse una palla da baseball.
«Dopo tutto quello che abbiamo dovuto faticare per ottenerla,
ora volete distruggerla?» urla Panciatonda dritto sulla porta
della pizzeria.
Fra una pizza e l’altra scoppiano risate, qualcuno ha esagerato
troppo con la Coca Cola e barcolla nella sala. Probabilmente
è arrivato il momento per me di andare via: domani partiremo
presto per le Tremiti. Cerco Erika che nell’euforia della serata
ho perso di vista da un po’. La vado a cercare, forse è uscita
a prendere una boccata d’aria. Mi dirigo al guardaroba e...
Erika ed Emiliano si stanno abbracciando!
Ho caldo! Sento il vecchio “me” che tenta di uscire dalla gabCapitolo undicesimo
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80
bia di diamante che avevo costruito intorno a lui. Mi contengo,
raccolgo quel poco d’orgoglio che mi è rimasto e scappo via.
Si è messo a piovere: non so se quella che sento scorrere sulla
mia faccia sia una lacrima o una goccia di pioggia: tutte e
due sono fredde, comunque...
Toccavo il cielo con un dito e ora non riesco neanche più
a vederlo...
Sono fradicio dalla testa ai piedi e ora anche il letto è
bagnato. Metto gli auricolari per ascoltare un po’ di musica
cercando di distrarmi. All’improvviso sento il telefono vibrare:
un messaggio di Erika mi riporta alla realtà. Non sono dell’umore
giusto per leggerlo. Spengo il telefono aspettando che Morfeo
si impossessi di me...
La sveglia non è ancora suonata. Guardo il soffitto: per tutta
la notte ho rivisto quell’immagine tanto temuta. Avrei dovuto
capirlo quel giorno sul pullman che c’era qualcosa tra loro.
Perché allora Erika mi ha illuso tanto? Ora mi manda anche
un messaggio! Cosa vuole ancora da me? Mentre farnetico,
mi rendo conto di essere rimasto bagnato per tutta la notte e
adesso mi sento come cartapesta, fragile e vulnerabile come
una marionetta.
«Sveglia! È ora di alzarsi! Ci aspetta una giornata lunga e
Pugni chiusi
intensa» urla mio padre, aprendo la porta della mia stanza.
Mi alzo, vado a fare la doccia e mi vesto. Ora possiamo partire.
Siamo sul traghetto, pronti a salpare. È arrivata tutta la squadra a salutarci, persino Panciatonda. Mi giro ancora una volta
a guardarli, quando vedo Erika che arriva di corsa con la mia
giacca in mano. Si ferma trafelata e inizia a dire qualcosa, ma
il suono della sirena che annuncia la partenza, mi impedisce
di capirla. Così parto con un pensiero nella testa: magari Erika
voleva dirmi qualcosa di importante, chissà, forse quell’abbraccio non ha significato niente... Adesso, però, non ho tempo
per pensare a queste cose, devo concentrarmi su Flavietta.
Per la prima volta mi accorgo che non sono rosso come un
pomodoro.
Arriviamo alle Tremiti che il sole splende alto. Ci accoglie un
mare splendido, candido e limpido con le sue sfumature di verde e azzurro. Le cinque isolette che costituiscono l’arcipelago
hanno delle forme particolari: un pesciolino, un dinosauro,
addirittura uno scoglio è chiamato “Elefante”. Si narrano tante
leggende su di esse. Il risveglio della natura fa di questo posto
un vero incanto.
Attracchiamo all’isola di San Domino. È qui che alloggeremo
per due settimane, qui Flavietta avrà modo di irrobustire il suo
Capitolo undicesimo
81
fisico provato, e affrontare meglio le cure sperimentali. L’isola
è ricoperta di pini d’Aleppo, ci sono fiori d’ogni colore, e ora
capisco perché dicono che i monaci benedettini la chiamassero “Orto di Paradiso”!
È da un giorno che siamo sull’isola. Ho notato che ci sono dei
ragazzi nell’albergo, e mi piacerebbe conoscerli. Dall’aspetto
mi sembrano simpatici. Mi rendo conto, ancora una volta, che
sto cambiando. In passato li avrei ignorati, avrei ignorato
qualunque cosa, anche la bellezza di questo luogo. E invece
adesso penso a me come ai diamanti grezzi, che fuori sono duri
e taglienti, ma che nascondono dentro di sé una brillantezza e
una purezza inaspettate.
Guardo l’ora sul cellulare e mi accorgo che non ho letto
un messaggio. Lo apro: “Ciao Marco, sei scappato? Mi è
“mancato” soltanto il tuo abbraccio! Spero di potertelo
dare domani...ti devo dire tante cose... tvb... Erika!
P.S. Hai lasciato la giacca in pizzeria!”
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“I diamanti grezzi possono spesso essere scambiati per sassi
senza valore”
(Sir T. Browne)
Pugni chiusi
Rosso come il pomodoro
Una partita indimenticabile
Doppia doccia fredda
Emozioni in… gioco
Il cambiamento di Marco
In viaggio, alla scoperta della verità
Ostriche avariate e vecchi amici
Dialoghi rivelatori
In viaggio verso casa
Vittorie in tutti i sensi
Pugni chiusi
APPENDICE
1. Rosso come il pomodoro
Istituto Comprensivo III "Castaldi-Rodari" Boscoreale (NA) - classe II C
Dirigente Scolastico
Teresa Mirone
Docente referente della Staffetta
Carmela Casinelli
Docenti responsabili dell’azione formativa
Carmela Casinelli, Ida La Rana
Gli studenti/scrittori della classe II C
Nunzia Aquino, Gaetano Barone, Maria L. Cassaro, Rosa Cherillo, Sonia Erman,
Caterina Formisano, Michele Gallo, Valentina Gargiulo, Rossana Guarro, Federica
Izzo, Nunziapia Malafronte, Antonella Manzo, Francesco Manzo, Valentina Nappo,
Aniello Serpe, Luigi Sorrentino, Mariarosaria Severino, Marica Severino, Maria
Vernillo
Il disegno è stato realizzato da da Maria Rosaria Severino
Hanno scritto dell’esperienza:
“...Scrivere il primo capitolo è di una responsabilità maggiore.
In esso, sparsi qua e là, alcuni input che, similmente a dei semini, troveranno nel
corso d'opera uno sviluppo narratologico i cui pronostici evolutivi ci entusiasmano.
Lavorare sui pensieri, le sensazioni e le reazioni del protagonista, come di
un qualsiasi altro personaggio, costituisce l'inizio di un percorso di lettura e
conoscenza del proprio 'io', un mondo da esplorare mediante l'ascolto di quella
'vocina' che dimora nella nostra mente, guidati dalla volontà di 'essere', 'realizzarsi'
e 'farsi com/prendere'”.
APPENDICE
2. Una partita indimenticabile
Collegio “Leonardo Da Vinci” BogotÀ - classe II C
Dirigente Scolastico
Maite Bressan
Docente referente della Staffetta
Angela Bernardi
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Angela Bernardi
Gli studenti/scrittori della classe II C
Maria Paulina Acosta, Vincenzo Andrade, Juan Pablo Arias, Mariana Arroyo, Lucia
Bertieri, Giovanni Filippo Capece Minutolo, Sebastian Cordoba, Anamaria Cuervo,
Daniela Espinosa, Maria Josè Fontanilla, Gabriela Forero, Maria Juliana Gamboa,
Antonio Gomez, Pablo Gutierrez, Sofia Huertas, Tomàs La Rotta, Adriano Lazazzera,
Sara Lopez, Maria Alejandra Molina, Felipe Olaya, Manuela Ortiz, Isabella Ramirez,
Micaela Tello, Valeria Torres
Il disegno è stato realizzato da: Juan Pablo Arias, Daniela Espinosa, Antonio Gomez, Maria Alejandra Molina
Hanno scritto dell’esperienza:
“...Scrivere per la Staffetta ci è piaciuto, dicono i ragazzi di II C di Bogotà, “perché
così ci siamo messi in collegamento con l’Italia”; “perché abbiamo potuto dare vita
ai personaggi e farli seguire la strada che ci piaceva di più”; “perché il lavoro di
squadra ci ha entusiasmato“; “perché siamo orgogliosi del capitolo che abbiamo
scritto e non vediamo l’ora di vederlo pubblicato”.
A leggere queste motivazioni dei ragazzi, penso di aver scelto bene. Partecipare
con una classe che conosco tutto sommato poco, appena arrivata come insegnate
a Bogotà, è stata una buonissima idea.
Mi unisco al loro coro e non sto nella pelle: non vedo l’ora di leggere il romanzo
per intero!"
APPENDICE
3. Doppia doccia fredda
Scuola Sec. di I grado “G. Marconi” Como Albate - classe II A
Dirigente Scolastico
Giuliano Fontana
Docente referente della Staffetta
Anna Eleonora Cancelliere
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Anna Eleonora Cancelliere
Gli studenti/scrittori della classe classe II A
Tissjan Bajrami, Giorgia Balossi, Mattia Bassini, Silvia Bocchietti, Alessia Cappelletti,
Sara Cappellin, Giulia Casarin, Martina Ciulla, Melek Fazani, Angelo Galatà, Alessio
Giussani, Rami Kaddada, Maroua Kasraoui, Amira Khlifi, Mariangela Lopriore, Daniel
Nani, Sergio Nocera, Martina Palmas, Manuel Paradiso, Simone Volpe
Il disegno è stato realizzato da tutta la classe
Hanno scritto dell’esperienza:
“. . . è stata una bella esperienza, faticosa, corposa, intrigante. Siamo soddisfatti del
capitolo che abbiamo prodotto e speriamo di ripetere l’esperienza anche l’anno
prossimo”.
APPENDICE
4. Emozioni in…gioco
Istituto Comprensivo di Siano (SA) - classe I B
Dirigente Scolastico
Eufrasia Lepore
Docente referente della Staffetta
Angiola D’Amaro
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Antonella Falbo
Gli studenti/scrittori della classe I B
Grazia Aliberti, Davide Andretta, Alessandro Ascoli, Carmine Ascoli, Agnese Botta,
Sara Caiazza,Fatima Carruba, Riccardo Castiglia, Paolo D’ Amato, Claudio De
Maio, Fanny Guastaferro, Alessio Leo, Elda Masi, Maria Grazia Morrone, Andrea
Navarra, Andrea Pio Navarra, Morena Pendolo, Yusra Raza, Giovanni Rumma,
Tommaso Rumma
Il disegno è stato realizzato da Yusra Raza
Hanno scritto dell’esperienza:
“...La condivisione, l’entusiasmo, il divertimento e una trepidante attesa hanno
animato questo percorso di Scrittura Creativa.
Stimolante opportunità di confronto tra i ragazzi, l’esperienza ha affermato la
possibilità concreta di imparare a gestire le diverse personalità del gruppo, ha
offerto a ciascuno la possibilità di esprimersi creativamente,consentendo di gustare
il fascino della narrazione!”
APPENDICE
5. Il cambiamento di Marco
Convitto Nazionale “C. Colombo” Genova - gruppo misto classi I/II A
Dirigente Scolastico
Paolo Cortigiani
Docente referente della Staffetta
Maria Agostini
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Daniela Guidi
Gli studenti/scrittori del gruppo misto classi I/II A
Angelica Battaglia, Federico Hatem Cammaroto, Gianluca Cernigliaro, Serena
De Vecchi, Dennis Di Via, Thomas Di Via, William Amedeo Guzzone, Gianfranco
Improta, Mattia Irrera, Greta Piccinini, Sophia Rocha,Giada Tassetti, Chiara Vallone,
Gian Pier Vargas Vera, Brian Venegas, Martina Violi, Edward Zambrano, Brandon
Alcarraz, Max Pincay, Andrea Carnevale, Joabaer Nasear, Giuseppe Morinello, Eric
Starnini, Alessandro Prezzo, Samuele Ranasinghe
Il disegno è stato realizzato da tutta la classe
Hanno scritto dell’esperienza:
“...Questa attività ha coinvolto un gruppo formato da ragazzi di prima e di
seconda; non è stato facile collaborare e scrivere insieme. Alcuni hanno lavorato
alla progettazione e alla costruzione del capitolo, altri hanno disegnato. Nel
complesso possiamo dire che si è trattato di un compito impegnativo ma anche
stimolante. Non molti conoscevano le regole e il gioco del baseball, per cui
abbiamo cercato un po’ di materiale e abbiamo ascoltato le spiegazioni di alunni
che, invece, lo avevano praticato”.
APPENDICE
6. In viaggio, alla scoperta della verità
Istituto Comprensivo “Manzoni-Poli” Molfetta (BA) - classe I D
Dirigente Scolastico
Michele Laudadio
Docente referente della Staffetta
Lorenza Minervini
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Lorenza Minervini
Gli studenti/scrittori della classe I D
Elvira Airoldi, Chiara Altamura, Fabio Altamura, Corrado Azzollini, Miriam Azzollini,
Vanessa Cantatore, Claudia Antonia Cappelluti, Francesco Ivan Cappelluti,
Vincenzo De Vincenzo, Gabriella Gagliardi, Angelica Gaudio, Grazia Gaudio,
Nicolò La Forgia, Giulia Leci, Gaetano Mattia Lezoche, Anna Mastropierro,
Alessio Messina, Giulio Angelo M. Modugno, Diana Pappagallo, Daniel Pociecha,
Leonardo Salvemini, Matteo Sciancalepore, Corrado Simone, Serena Soldani,
Isabella Spadavecchia, Imma Valla
Il disegno è stato realizzato da Gabriella Gagliardi
Hanno scritto dell’esperienza:
“...Il lavoro svolto ha stimolato in noi la voglia di leggere e di entrare nel testo
per capire meglio i personaggi e la storia. Anzi, attraverso la vicenda di Marco,
un nostro coetaneo, abbiamo scoperto che i libri sono emozioni, coraggio, sfide,
gioco. Abbiamo messo in campo la nostra fantasia, imparando che anche questa
va educata e nutrita con molti stimoli diversi: il confronto, la riflessione, la lettura,
l’ascolto, l’immedesimazione nel personaggio, ma anche nel lettore. Siamo entrati
così dentro la storia che abbiamo ripensato alle nostre emozioni, al ruolo che
gli adulti possono avere nella nostra crescita. Però più di ogni altra dimensione
scoperta con questa attività, è stato bello lavorare tutti insieme e creare una parte
significativa di un tutto”.
APPENDICE
7. Ostriche avariate e vecchi amici
Istituto Onnicomprensivo ann. al Convitto Nazionale “C. Colombo” Genova - classe I H
Dirigente scolastico:
Paolo Cortigiani
Docente referente della staffetta:
Maria Agostini
Docente responsabile dell’azione formativa:
Luisa Fornili
Gli studenti/scrittori della classe I H
Elena Bajano, Federico Biancardi, Sara Cabona, Ludovica Catterina, Ahmed Chafik,
Valerio Corbelli, Davide Costa, Simone De Gaetano, Elisa De Luigi, Alexander
Durighello, Francesca Gobbi, Pietro Lobina, Vittoria Malusel, Gabriele Manciola,
Alice Merani, Alessandro Musenich, Yu-Hao Ni, Lorenzo Passerini, Francesco Pozzo,
Lorenzo Ragazzi, Martina Saracino, Federico Scarra’, Alessandro Zerboni
Il disegno è stato realizzato da Federico Biancardi
Hanno scritto dell’esperienza
“...Ci è piaciuto molto lavorare alla staffetta creativa perchè abbiamo fatto un bel
gioco di squadra. Ci siamo divertiti anche a leggere i capitoli precedenti al nostro,
composti da tante classi sparse per l’Italia.
Durante lo svolgimento dell’attività abbiamo chiacchierato e scherzato, ma
pensiamo che ridere insieme ci abbia permesso di lavorare meglio, rispettando le
idee di tutti. Ognuno ha contribuito a costruire la storia e siamo riusciti a trovare
il giusto accordo e a scrivere un capitolo, a nostro parere, mozzafiato. Abbiamo
provato tante emozioni e felicità perché abbiamo anche la fortuna di costituire
un bellissimo gruppo classe. Ci auguriamo di ripetere l’esperienza l’anno prossimo!”
APPENDICE
8. Dialoghi rivelatori
Istituto Comprensivo “Pascoli - Crispi” Messina Scuola Sec. di I grado - classe I A
Dirigente Scolastico
Gianfranco Rosso
Docente referente della Staffetta
Linda Midiri
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Paolo Casuscelli
Gli studenti/scrittori della classe I A
Aurelio Amato, Andrea Arcidiacono, Antonio Bellamacina, Francesca Bellantone,
Federico Caroè, Alessandro Crisafulli, Angela Falanga, Antonino Frisone, Giulia
Giaconia, Giulia Lanza, Samuele Leo, Mariachiara Lombardo, Alessandro Macris,
Fabrizio Macris, Giuseppe Randazzo, Giorgia Rao, Nicola Roberti, Sara Rogolino,
Giorgio Romeo, Francesco Rosso, Francesco Santalucia, Gabriele Serini, Bianca
Timpanaro, Gabriele Vitale, Silvia Rosa Zappalà
Il disegno è stato realizzato da Francesca Bellantone, Giulia Lanza
Hanno scritto dell’esperienza:
“...Sono stato contento di questo lavoro di Scrittura Creativa, poiché è stato
occasione di un’esperienza operativa attraverso la quale gli alunni hanno assunto
consapevolezza del fatto che, nella costruzione di una storia, attraverso il
linguaggio, le persone mettono in gioco la loro identità, in quanto danno forma
a ciò che pensano e sentono; hanno assunto consapevolezza del fatto che la
scrittura consente di andare ben oltre l’applicazione di regole sintattiche e la
definizione di uno stile, ma diventa conduttrice di realtà personali e ne disegna
il senso. L’idea di una progressione corale del racconto, che si conforma a più
voci, per assonanze e contrappunti, finalizzata alla costruzione di un tessuto
armonico, diventa, fuori da ogni retorica del politicamente corretto, un esempio,
significativamente educativo, del valore del dialogo che rispetta le differenze e
lascia loro spazio (Paolo Casuscelli)”.
APPENDICE
9. In viaggio verso casa
Istituto Comprensivo I “Zumbini” Cosenza - classe II I
Dirigente Scolastico
Maria Gabriella Greco
Docente referente della Staffetta
Francesca Stumpo
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Gabriella Sannuti, Stefania Parise
Gli studenti/scrittori della classe II I
Francesca Caira, Alessandra Carbone, Giulia De Marco, Giovanbattista Fotino,
Aurora GagliardiI, Laura Garrafa, Elisabetta Guido, Maria Teresa Iadanza,
Benedetta Iaquinta, Luigi Perrotta, Caterina Trombino
Il disegno è stato realizzato da: Davide Corbelli, Tilde De Benedittis, Pia Morelli,
Filippo Noviello, Gabriele Pranno, Alessandro Rodighiero, Martina Rossi, Maria Rita
Russo, Maria Antonietta Siniscalchi
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Partecipare al progetto ci ha consentito di vivere un’esperienza
straordinariamente intensa ed emotivamente appagante. Siamo stati coinvolti
in un percorso di scrittura creativa del tutto nuovo e, pertanto, molto stimolante.
La sfida principale che abbiamo dovuto affrontare, guidati dalle nostre prof, è
stata quella di leggere, analizzare e rielaborare i capitoli ideati da altri scrittori in
erba. Confrontandoci con loro e entrando nelle loro storie, ci siamo cimentati nella
stesura del capitolo assegnatoci sviluppando la trama dal nostro punto di vista.
Alla fine Marco è diventato un compagno di viaggio. Lo abbiamo visto cambiare,
maturare. Passo dopo passo ha imparato, insieme a noi, il piacere di condividere,
apprezzare il senso di appartenenza e ad affrontare le proprie paure…finalmente
libero di sentirsi se stesso”.
APPENDICE
10. Vittorie in tutti i sensi
Convitto Nazionale “C. Colombo” Genova - classe II G
Dirigente
Paolo Cortigiani
Docente referente della Staffetta
Maria Agostini
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Maria Agostini
Gli studenti/scrittori della classe II G
Riccardo Asso, Michele Bisio, Federico Bossi, Manuel Juan Cafferata, Andrea
Careddu, Federico Luigi Cavagnaro, Eleonora Zurita Cedeno, Tommaso Conti,
Giulia Cozzani, Diego Damonte, Filippo Di Marco, Sofia Letizia Di Scala, Stefan
Dumitrascu, Matteo Ferrari, Silvia Filza, Ludovica Ivaldi, Luca Lanzone, Jasmine
Marchione, Lucia Mazzoni, Luca Ranalli, Leonardo Sacco, Filippo Serra, Guglielmo
Trinetti, Elena Villa, Maria Vittoria Zacchetti
Il disegno è stato realizzato da tutta la classe
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Anche quest’anno abbiamo partecipato alla staffetta creativa e ci siamo
entusiasmati e intrigati nell’avventura dello scrivere insieme…”
APPENDICE
11. Pugni chiusi
Scuola Sec. di I grado “Vida – Pertini” Alba (CN) – classe II B
Dirigente Scolastico
Silvana Carbone
Docente referente della Staffetta
Angela Palumbo
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Angela Palumbo
Gli studenti/scrittori della classe II B
Giacomo Ambrois, Stefania Artuccio, Francesca Bonardo, Sofia Boschiazzo,
Lucrezia Carbone, Andrea Theodora Draganescu, Nizar El–Ankouri, Elisa Finotto,
Italo Luigi Lezzi, Cristian Merlo, Mario Pietoso, Camilla Raimondo, Manuela Roagna,
Andrea Rojas, Carlotta Rojas, Mariano Rojas, Andrea Scarlata, Evdokija Stojanoska
Il disegno è stato realizzato da Stefania Artuccio
Hanno scritto dell’esperienza:
“…Per il secondo anno partecipiamo alla bellissima esperienza della Staffetta.
Questa volta ci è toccato il capitolo conclusivo: pensavamo sarebbe stato più
difficile porre il punto ad una storia che si era protratta per dieci capitoli, e invece
ci siamo ritrovati ad avere tante idee, ad entusiasmarci, a divertici cercando di
trovare una frase che non fosse banale, di un finale che non fosse scontato…
Abbiamo voluto giocare con le metafore, con la poesia, abbiamo sperimentato
che si può imparare tanto e molto meglio (anche la noiosissima grammatica!) in una
settimana di scrittura creativa e collaborativa, che in un mese di studio canonico!
Perciò, W la Staffetta!...”
INDICE
Incipit di GUIDO SGARDOLI ....................................................................... pag 17
Cap. 1 Rosso come un pomodoro ....................................................................» 19
Cap. 2 Una partita indimenticabile ...............................................................» 23
Cap. 3 Doppia Doccia fredda! .......................................................................» 29
Cap. 4 Emozioni… in gioco ..............................................................................» 35
Cap. 5 Il cambiamento di Marco .....................................................................» 41
Cap. 6 In viaggio, alla scoperta della verità ...........................................» 47
Cap. 7 Ostriche avariate e vecchi amici ....................................................» 53
Cap. 8 Dialoghi rivelatori ..................................................................................» 59
Cap. 9 In viaggio verso casa ..........................................................................» 65
Cap. 10 Vittoria in tutti i sensi ..........................................................................» 71
Cap. 11 Pugni chiusi .............................................................................................» 77
Appendici .................................................................................................................» 91
Finito di stampare nel mese di aprile 2015
dalla Tipografia Gutenberg di Fisciano (SA), Italy
ISBN 978-88-6908-100-2