Divieto di acquisizione di beni per gli enti locali e possibili effetti
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Divieto di acquisizione di beni per gli enti locali e possibili effetti
Divieto di acquisizione di beni per gli enti locali e possibili effetti sulle procedure per il riscatto degli impianti di illuminazione pubblica A cura di Maria Cristina Colombo Avvocato Professore a contratto al Politecnico di Milano 1. Premessa Come è noto, per effetto dell’art. 1, comma 138 della Legge n. 228/2012, sono state introdotte forti limitazioni in ordine all’acquisto di immobili da parte delle Pubbliche Amministrazioni. In particolare, l’art. 12, comma 1-quater della Legge n. 111/2011 ha previsto che “per l'anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti…... Tale norma è stata oggetto, dapprima, di interventi interpretativi da parte della Corte dei Conti e, da ultimo, di un intervento correttivo sulla sua portata applicativa dello stesso legislatore. Un problema - ad avviso di chi scrive - rimane aperto: la portata di tale divieto si estende anche alla possibilità per le pubbliche amministrazioni di acquisire, nell’ambito dei procedimenti di riscatto previsti dalla normativa di settore, la proprietà dei pali di illuminazione pubblica? 2. Il servizio di pubblica illuminazione e le procedure di riscatto Come è noto, in tema di pubblica illuminazione, plurime sono le questioni operative aperte per le pubbliche amministrazioni: dalla esatta collocazione giuridica su un piano definitorio (appalto o servizio?); alle modalità procedurali per il riaffidamento del servizio; da ultimo, alle problematiche in tema di riscatto degli impianti di proprietà del gestore uscente. Riguardo la qualificazione della pubblica illuminazione come appalto di servizi o servizio pubblico locale, l’orientamento oggi maggioritario, dando prevalenza all’individuazione del soggetto beneficiario (la comunità locale) rispetto alle modalità di remunerazione del servizio, qualifica l’attività di illuminazione pubblica come servizio pubblico locale. In particolare, il Consiglio di Stato ha osservato che «la subordinazione al pagamento di un corrispettivo, rilevante nella prospettiva abbracciata dal Codice dei Contratti pubblici in sede di distinzione tra la figura dell’appalto e quella della concessione, dipende dalle caratteristiche tecniche del servizio e dalla volontà politica dell’ente, ma non incide sulla sua qualifica di servizio pubblico locali». Cons. Stato, Sez. V, sent. 25 novembre 2010, n. 8232). Sulla stessa linea si pone anche l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture che, da ultimo, richiamando peraltro posizioni conformi assunte negli anni precedenti, ha affermato Deliberazione n. 110 del 19 dicembre 2012 - che il servizio di illuminazione sia servizio pubblico locale, trattandosi di attività caratterizzata «sul piano oggettivo dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionata in base a scelte di carattere eminentemente politico quanto alla destinazione delle risorse economicamente disponibili ed all’ambito di intervento e su quello soggettivo dalla riconduzione diretta o indiretta ad una figura soggettiva di rilievo pubblico». Nell’ipotesi in cui gli impianti di pubblica illuminazione siano di proprietà del gestore del servizio uscente, il Comune, prima di bandire la nuova gara, deve riscattare gli impianti quantificando l’indennizzo spettante al gestore. Il procedimento di riscatto è previsto dal D.P.R. n. 902/1986, agli artt. 8-14, e dal R.D. n. 2578/1925, all’art. 24 ed ha come presupposto la redazione dello stato di consistenza, documento che, costituendo una sorta di fotografia dell’impianto, ne descrive lo stato, l’estensione le condizioni, le operazioni di manutenzione, sostituzione, rinnovo eventualmente effettuati dal gestore nel corso dell’affidamento. La sua determinazione è importante in quanto costituisce la base del calcolo dell’indennità di riscatto, nell’osservanza dei criteri fissati dall’art. 24 del R.D. n. 2578/1986. Si ricorda che la normativa vigente non subordina la possibilità del riscatto al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sulla quantificazione dell’indennizzo. La disciplina, infatti, prevede espressamente la possibilità, in caso di mancato accordo, di rimettere la questione ad un apposito collegio arbitrale, «ma in nessun punto è espressamente previsto che il trasferimento degli impianti risulti procrastinato ad un momento successivo all’avvenuta definizione e liquidazione dell’indennizzo dovuto». (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, sent. 27 maggio 2010, n. 2165- Cons. Stato, Sez. V, sent. 28 settembre 2011, n. 5403). 3. Divieto di acquisizione di immobili: qualche considerazione generale di riepilogo Come accennato, l’art. 1, comma 138 della Legge n. 228/2012, ha fortemente limitato l’acquisto di immobili da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Nell’immediatezza della entrata in vigore della normativa, la Corte dei Conti per la Liguria, con parere n. 9 del 31 gennaio 2013, aveva sottolineato che “si deve ritenere necessaria l’estensione dei divieti anche alle procedure espropriative, che nel disegno del T.U. 8.06.2001 n. 327 dovrebbero divenire peraltro residuali rispetto agli accordi di diritto pubblico, in quanto nel caso contrario si consentirebbe, con riferimento ai terreni, un’agevole possibilità di eludere tali divieti stimolando la scelta di moduli”. Non solo, sempre secondo la Corte dei Conti, durante il corso del 2013 le Amministrazioni non avrebbero potuto procedere all’emanazione di decreti di esproprio ovvero alla stipula di accordi bonari di trasferimento delle aree, nemmeno a fronte dell’intervenuta approvazione del progetto definitivo o della dichiarazione di pubblica utilità (Sul procedimento espropriativo, si era espressa anche la Corte dei Conti Lombarda, con parere n. 169 dell’11 aprile 2013). Invero la Corte Ligure affrontava anche altri aspetti della questione, quali la possibile stipula di contratti definitivi di compravendita a fronte di preliminari sottoscritti prima del 1 gennaio 2013, ed anche in tale caso il giudice contabile offriva un’ interpretazione negativa, condivisa anche dalla Corte dei Conti per la Basilicata nel parere del 5 marzo 2013 n. 36/2013. D’altre parte, la Corte dei Conti pe le Marche, con il parere del 12 febbraio 2013 n. 7/2013, aveva ritenuto incluso nel divieto anche la fattispecie della permuta nonostante si tratti di istituto che non avrebbe rilievo finanziario, ma esclusivamente patrimoniale; in ogni caso, ad avviso della Corte il contratto di permuta non potrebbe essere annoverato tra quelli a titolo gratuito. Non sono invero mancate interpretazioni meno restrittive: la Corte dei Conti per la Puglia, con parere n. 89 del 3.5.2013, ha evidenziato come la norma si applicherebbe solo agli acquisti a titolo derivativo, escludendo quindi le fattispecie espropriative, quali acquisti a titolo originario. Le interpretazioni restrittive della maggioranza dei Giudici Contabili, di impatto significativo specie sulle procedure espropriative in corso, hanno poi condotto lo stesso legislatore ad intervenire con l'art. 10-bis del D.L. n. 35/2013, convertito con modificazioni dalla Legge n. 64/2013, precisando che “nel rispetto del patto di stabilità interno, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso, di cui all'articolo 12, comma 1-quater, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, non si applica alle procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, nonché alle permute a parità di prezzo e alle operazioni di acquisto programmate da delibere assunte prima del 31 dicembre 2012 dai competenti organi degli enti locali e che individuano con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni e alle procedure relative a convenzioni urbanistiche previste dalle normative regionali e provinciali”. Allo stato quindi parrebbero esclusi dal divieto solo i seguenti procedimenti: - procedure relative all’acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate per pubblica utilità ai sensi del DPR n. 327/2001 (TU Espropriazioni); - permute a parità di prezzo; - operazioni di acquisto programmate da delibere degli enti locali assunte prima del 31/12/2012 che individuano con esattezza i compendi immobiliari oggetto delle operazioni; - procedure relative a convenzioni urbanistiche previste dalle normative regionali e provinciali. 4. Riscatto dei pali e divieto di acquisizione di immobili a titolo oneroso: un problema aperto Questione spesso trascurata, ma decisiva nell’ambito del procedimento di riscatto dei pali di illuminazione, è la questione se l’ipotesi di acquisizione dei pali di proprietà dei gestori uscenti sia da ricondurre o meno nel divieto introdotto dalla L. n. 228/2012 (c.d. Legge di Stabilità 2013) in merito all’acquisizione di beni immobili a titolo oneroso da parte della pubbliche amministrazione. Nuovamente il problema che si pone è anzitutto definitorio: i pali di illuminazione pubblica sono beni immobili? In base alle disposizioni del codice civile ed in particolare dell’art. 812, comma 1, cod. civ. è bene immobile anche “tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo”. Stando a tale definizione, i pali di illuminazione pubblica sembrerebbero rispondere agli indici previsti dalla normativa ai fini della classificazione come bene immobile: a) l’incorporazione del bene nel suolo; b) la non necessarietà del fatto che si tratti di una incorporazione stabile, duratura e permanente, dal momento che l’art. 812 cod. civ. legittima l’unione al suolo effettuata anche solo “a scopo transitorio”; c) l’irrilevanza del fatto che l’incorporazione al suolo sia avvenuta naturalmente oppure artificialmente. Del resto, anche ad avviso della Corte di Cassazione, “la nozione di costruzione non è limitata a realizzazioni di tipo strettamente edile, ma si estende ad un qualunque manufatto, avente caratteristiche di consistenza e stabilità, per le quali non rileva la qualità del materiale adoperato” (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 26 febbraio 2009, n. 4679). Su tali presupposti, autorevole dottrina ha sottolineato che “l’indice rilevante per la qualificazione di un bene come immobile è la connessione del bene con il suolo, intesa come capacità di essere oggetto di diritti non in sé isolatamente considerato, ma in quanto incorporato o unito al suolo. In altri termini, si tratta di beni che - ad eccezione di quelli “naturalmente immobili” quali il suolo ed i corsi d’acqua -, ove considerati soltanto intrinsecamente, sarebbero mobili ma che, a causa della loro connessione strumentale con il suolo, “diventano”, per così dire, immobili” [cfr. A. Busani, Ma…la Tour Eiffel è un bene mobile? (Riflessioni sulla natura immobiliare dell’impianto fotovoltaico), in Notariato, 2011, 3]. Una volta acclarato che i pali di illuminazione potrebbero essere considerati beni immobili, occorre a questo punto capire se debbano essere soggetti o meno al divieto di acquisto previsto dalla Legge di Stabilità 2013. In altri termini, occorre chiedersi se tale divieto valga per ogni categoria di immobili, quali definiti dall’art. 812 del codice civile. Ratio dichiarata della disciplina in esame è la “ necessità di consentire una riduzione della complessiva spesa pubblica. Ne consegue, per rimanere fedeli alla voluntas legis, la necessità di una sua ampia applicazione” (cfr. Corte dei Conti Regione Liguria, Deliberazione 25 gennaio 2013, n. 9). La giurisprudenza contabile, a fronte di una richiesta di delucidazioni in merito all’applicabilità del divieto di acquisizione ai soli “fabbricati” o a tutti gli immobili in generale, ha chiarito che “poiché il concetto di “immobile”, come descritto dall’art. 812 c.c., ricomprende “il suolo, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni anche se unite al suolo a scopo transitorio” appare evidente come l’ambito di applicazione dell’articolo sopra menzionato – trattasi dell’articolo in esame, ovvero dell’art.1, comma 138, della L. n. 228/2012 – non possa essere limitato ai fabbricati in senso stretto, ovvero al trasferimento del diritto di proprietà, ma debba essere esteso anche ai terreni e alle aree agricole” (cfr. Corte dei Conti Regione Liguria, Deliberazione 25 gennaio 2013, n. 9; in tal senso cfr. altresì Corte dei Conti Regione Veneto, Deliberazione 12 luglio 2013, n. 175). In conclusione, seguendo, e portando alle estreme conseguenze, il metodo interpretativo del giudice contabile, dovremmo ritenere che, perdurando l’operatività del divieto della Legge di Stabilità 2013, sarebbe precluso alle amministrazioni locali il riscatto dei pali della pubblica illuminazione. D’altra parte invece, ove ritenessimo di ancorare il divieto normativo di acquisizione, con una lettura meno restrittiva di quella operata dai giudici contabili, ai soli fabbricati e terreni, allora non ci sarebbero allo stato preclusioni al perfezionamento delle procedure di riscatto. In ogni caso, permane il dubbio giuridico ed una situazione di incertezza anche causata dal nostro legislatore che, allorchè interviene in un campo del diritto, come nel caso della Legge di Stabilità, non ne affronta tutte le possibili sfaccettature su un piano operativo.