Università degli Studi di Trento Facoltà di Giurisprudenza

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Università degli Studi di Trento Facoltà di Giurisprudenza
Università degli Studi di Trento
Facoltà di Giurisprudenza
Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza
AMMORTIZZATORI SOCIALI E ENTI BILATERALI
Relatore:
Prof. LUCA NOGLER
laureanda:
STEFANIA COMAI
lavoro subordinato, reddito, ammortizzatori sociali, enti bilaterali, welfare
Anno accademico 2009/2010
INDICE
CAPITOLO I : GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI IN ITALIA
1. Definizione
2. Sistema di welfare italiano e sua anomalia
2.1 Modello europeo di protezione contro la disoccupazione
2.2 Sistema di welfare italiano
2.3 Il cammino verso la riforma degli ammortizzatori sociali
2.4 Proposte per la correzione dell'anomalia italiana
3. Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria
3.1 Cenni storici
3.2 Cause integrabili
3.3 Campo di applicazione
3.4 Misura
3.5 Durata
3.6 Finanziamento
3.7 Procedura per la richiesta CIGO
4. Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria
4.1 Campo di applicazione
4.2 Cause integrabili
4.3 Durata
4.4 Misura
4.5 Finanziamento
4.6 Procedura per la richiesta CIGS
5. Indennità di disoccupazione ordinaria
6. Indennità di disoccupazione a requisiti ridotti
7. Indennità di disoccupazione agricola
8. Indennità di disoccupazione speciale edile
9. Indennità per co.co.pro – co.co.co
10. Indennità di mobilità
11. Contratti di solidarietà
12. Prepensionamenti
13. I lavori socialmente utili
14. Ammortizzatori in deroga
14.1 Definizione
14.2 Cassa Integrazione Guadagni in deroga
14.3 Mobilità in deroga
14.4 L'Accordo 12 febbraio 2009
14.5 Modello di sviluppo degli ammortizzatori in deroga
15. La sospensione del rapporto di lavoro
16. Rapporti tra Cigo, Cigs, contratti di solidarietà, mobilità e ammortizzatori in deroga
17. Rapporto tra integrazioni salariali e altri istituti
18. Questioni controverse
19. Rapporti di lavoro ex legge Biagi e integrazioni salariali
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CAPITOLO II : IL RUOLO DEGLI ENTI BILATERALI
1. Bilateralità ed enti bilaterali
1.1 Nascita e natura giuridica
1.2 Struttura e finalità
1.3 Livelli
1.4 Funzioni tradizionali della bilateralità
1.5 La Legge n. 30/2003 e il nuovo ruolo degli enti bilaterali
1.6 Grado di adesione
1.7 Copertura erga omnes delle prestazioni mutualistiche
1.8 Enti bilaterali e diritto della concorrenza
2. La bilateralità nel settore edile
2.1 Il mercato del lavoro in edilizia
2.2 Le Casse edili: cenni storici
2.3 Le funzioni sociali delle Casse edili
2.4 Bilateralità e rappresentanza sindacale
3. La bilateralità nell'artigianato
3.1 La contrattazione interconfederale artigiana
3.2 Gli accordi interconfederali
3.3 L'ente bilaterale nazionale dell'artigianato (E.b.n.a.)
4. Gli enti bilaterali in agricoltura
5. Gli enti bilaterali nel settore del commercio, turismo e servizi
5.1 Il Ccnl del terziario
5.2 Il Ccnl del turismo
6. Gli enti bilaterali per la formazione
6.1 I fondi bilaterali per la formazione continua
7. Testi normativi in materia di bilateralità e ammortizzatori sociali
8. La legge 2/2009 e il ruolo degli enti bilaterali
9. Il legame tra politiche attive e passive
10. Il sistema Ghent
11. Il paritarisme alla francese
12. L'Histadrut
CAPITOLO III : GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI E LE COMPETENZE
DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
1. La delega alla Provincia Autonoma di Trento in materia di ammortizzatori sociali
1.1 Competenze delle Province Autonome di Trento e Bolzano
2. Gli ammortizzatori sociali nella Provincia Autonoma di Trento
2.1 Ammortizzatori nazionali
2.1.1 I lavori socialmente utili nella Provincia Autonoma di Trento
2.2.2 Il settore dell'artigianato trentino
2.1.3 E.B.A.T.
2.2 Ammortizzatori in deroga
3. Stato dell'occupazione in trentino
4. Bilancio della manovra anticrisi 2009
5. Manovra anticrisi 2010
6. Formazione
7. Il Fondo Sociale Europeo
8. Il “tavolo sugli ammortizzatori sociali”
8.1 Linee guida di intervento in materia di ammortizzatori sociali
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CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
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CAPITOLO I
GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI IN ITALIA
1. DEFINIZIONE
Per quanto possa apparire paradossale, di “ammortizzatori sociali” si è iniziato a parlare
quando è sorta l'esigenza di una loro riforma. Appare, dunque, una contraddizione: è ovvio
che nel momento in cui si parla di riforma si presuppone che la categoria giuridica in
questione esista.1 Parte della dottrina sostiene che tale nozione sia recente, visto che la sua
affermazione è contestuale all'emersione delle prime istanze di riforma del sistema di
protezione sociale.2 Nell'ambito della manualistica del diritto del lavoro mancano specifiche
definizioni, contributi organici, approfondimenti ontologici al riguardo.
Generalmente non esiste una categoria dogmatica degli “ammortizzatori sociali”, né tale
categoria è rinvenibile in alcun testo di diritto del lavoro, nel cui ambito, i singoli istituti
potenzialmente riconducibili a quella nozione sono trattati in sezioni tematiche differenti.
La questione della definizione concettuale di “ammortizzatori sociali” risulta di non facile
soluzione. La dottrina ha tentato di spiegare la causa della mancata ricostruzione degli
ammortizzatori sociali nel sistema, concludendo che il diritto “del governo delle eccedenze
di personale” si configura come particolaristico ( per le ingiustificabili differenze tra i
diversi gruppi di lavoratori) e questo rende difficile una sua lettura.3
Una definizione di “ammortizzatori sociali” potrebbe essere la seguente: “insieme di
strumenti che l'ordinamento giuridico pone a tutela dei lavoratori al fine di fronteggiare le
crisi occupazionali”. Si tratta, però, di una nozione troppo ampia.
All'interno della categoria “ammortizzatori sociali” si rinviene, solitamente, ad una
quadripartizione. Si distingue, tra le misure volte ad aumentare o facilitare l'occupazione,
quelle per agevolare l'occupazione di determinate fasce sociali, tramite incentivi diretti
all'uscita dal mercato del lavoro di soggetti appartenenti ad altre categorie, quelle che
consentono la temporanea sospensione dei rapporti di lavoro, quelle che hanno come scopo
il sostegno di iniziative incentivanti l'occupazione e quelle relative allo stato di
1 P. G. ALLEVA, E. BALLETTI, U. CARABELLI, A. DI STASI, N. FORLANI, F. LISO, M. PACI, Tutela
del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 60-61.
2 F. LISO, Il problema della riforma degli ammortizzatori sociali nell'iniziativa del Governo, in AA.VV. (a
cura di), Tutela del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Torino, Giappichelli, 2002, p. 105.
3 ALLEVA, BALLETTI, CARABELLI, DI STASI, FORLANI, LISO, PACI, ibidem, p. 64.
1
disoccupazione.4 Può effettuarsi un'ulteriore ripartizione della materia “ammortizzatori
sociali” in: misure di tutela contro la disoccupazione e strumenti di promozione
dell'occupazione. Tuttavia, bisogna ritenere che tale nozione debba essere circoscritta ai soli
strumenti di sostegno al reddito.5 Questo si spiega analizzando il significato letterale del
termine, per cui risulta evidente come non possano essere ricondotti alla nozione di
“ammortizzatori sociali” quegli istituti volti a promuovere l'occupazione. “Ammortizzare”
significa rendere morbido; evoca il passaggio da una condizione agiata ad una disagiata, ad
una sorta di durezza che si vuole evitare.6 Un noto autore lo usa quale sinonimo di
“tamponare” la crisi, ovvero promuovere una ripresa produttiva.7 Il termine “sociale” fa
riferimento all'ideologia rivendicativa di diritti e tutele propria dei lavoratori. Dalla loro
combinazione possiamo ricavare il seguente significato:”garanzia di stabilità per le persone
che hanno un lavoro, che sono in pregiudicato di perderlo e che, invece, hanno diritto al
mantenimento della propria condizione o status”.8 Ammortizzare nel senso di attenuare, ma
non di eliminare. Inoltre, è stato osservato che la categoria “ammortizzatori sociali” si
riferisce a quell'insieme di strumenti, che è nato con l'Accordo Interconfederale del 5
maggio 1965; da quel momento si sviluppa un nuovo diritto, che non aveva il fine di
eliminare le conseguenze dei provvedimenti espulsivi, ma di “ammortizzare” gli effetti sul
piano sociale.9 Dunque, non possono essere ricondotti a tale finalità istituti che mirano ad
incentivare l'occupazione.
Concludendo, possiamo ribadire come sia problematico dare una definizione univoca di
“ammortizzatori sociali” e, quindi, prendere atto di questa situazione.
2. SISTEMA DI WELFARE ITALIANO E SUA ANOMALIA
2.1 Il modello europeo di protezione contro la disoccupazione
Il lavoro costituisce una dimensione centrale della vita umana e del benessere individuale, e
collettivo. Scopo primario delle politiche del lavoro deve essere la piena occupazione, per
4 MAURIZIO CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino, Giappichelli, 1999, pp. 252-253.
5 RENGA, Il sistema di sicurezza sociale per i disoccupati: uno scenario per il futuro, in AA.VV. (a cura
di), Costo del lavoro, salario e garanzie del reddito, Napoli, 1991, p. 297.
6 P. G. ALLEVA, E. BALLETTI, U. CARABELLI, A. DI STASI, N. FORLANI, F. LISO, M. PACI, Tutela
del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 64-68.
7 M. G. GAROFALO, I licenziamenti “impossibili”: crisi aziendali e mobilità del lavoro, in Riv. Trim. Dir.
Proc. Civ., 1979, p. 1387.
8 ALLEVA, BALLETTI, CARABELLI, DI STASI, FORLANI, LISO, PACI, ibidem, p. 68.
9 BOLLANI, Razionalizzazione dei trattamenti di disoccupazione e tutela degli inoccupati, in Riv. prev.
pubbl. priv., 2001, n. 6, p. 22.
2
promuovere il benessere e combattere la precarietà, tanto che, piuttosto che di welfare si
parla di workfare.
E' significativo notare la riflessione di carattere generale, con cui inizia il documento
“Costruire un'Europa solidale”: “sebbene l'Europa sia un continente ricco e la forza della
sua economia generi ricchezza e crei posti di lavoro, un numero elevato di cittadini
continua a vivere in povertà ed è esposto all'emarginazione sociale a causa delle barriere
strutturali, e il ritmo incalzante dei cambiamenti che stanno ridefinendo la nostra economia
e società tende ad aggravare la vulnerabilità e ad accrescere i rischi”.10
La disoccupazione rappresenta il fattore principale di emarginazione sociale.11
Il modello europeo di protezione contro il rischio di disoccupazione si basa su tre pilastri:
1) assicurativo: le prestazioni sono erogate a fronte di versamenti contributivi;
2) assistenziale “particolare”: le prestazioni sono versate in base a requisiti di reddito;
3) assistenziale “generale”: le prestazioni forniscono un reddito minimo garantito a chi
si trova in condizioni di povertà.12
Negli anni Novanta, vari paesi europei hanno introdotto importanti modifiche nei sistemi di
protezione del reddito dei disoccupati. Denominatore comune di questi interventi è
incentivare il disoccupato a cercare un'occupazione, quindi una maggior attenzione alle
politiche attive del lavoro. Dunque, l'intervento pubblico non può limitarsi soltanto
all'erogazione di un sussidio.13 Queste misure si sono rivelate efficaci, in particolar modo in
Olanda, Danimarca, Svezia, Gran Bretagna.
Benché la teorizzazione dell'esistenza dei modelli di welfare non sia univoca e condivisa,
possiamo individuare quattro famiglie di welfare europeo:
•
“modello socialdemocratico” (Finlandia, Danimarca, Svezia) caratterizzato da alti
livelli di protezione sociale. Il pilastro assicurativo è volontario, quello assistenziale
fornisce una copertura senza limiti a chi è escluso dal primo;
•
“modello corporativo” (Austria, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo)
caratterizzato da interventi rivolti prevalentemente a fronteggiare rischi di invalidità,
malattia, disoccupazione e vecchiaia. Le prestazioni devono ispirarsi a principi
10 Commissione delle comunità europee, 2000b, p. 27.
11 MARINELLA SIBILLA, Sistemi comparati di welfare, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 35.
12 ISFOL, Sistemi di welfare e gestione del rischio economico di disoccupazione, Milano, Franco Angeli,
2003, pp. 14-29.
13 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, pp.
106-107.
3
assicurativi;
•
“modello liberale” (Irlanda, Regno Unito) caratterizzato da significativi interventi di
assistenza sociale e sussidi (subordinati al means testing). Nell'ambito della sanità la
copertura è totale. Un ruolo importante svolgono le politiche attive del lavoro;
•
“modello mediterraneo” (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna) simile a quello
corporativo ma
meno generoso. Le politiche attive del lavoro rivestono
un'importanza marginale. Peculiarità di tale sistema è il ruolo di ammortizzatore
sociale che viene assegnato alla famiglia (welfare society) e la mancanza di una
protezione minima garantita.14
2.2 Sistema di welfare italiano
Il sistema di protezione sociale italiano è frammentato e particolaristico.
Due fattori lo caratterizzano:
-il progressivo venir meno della corrispondenza tra rischi tutelati e bisogni effettivi
-forti vincoli al cambiamento, non solo di natura finanziaria.15
E' un sistema ancora relativamente poco sviluppato: manca uno schema generale che
fornisca un significativo sostegno al reddito dei disoccupati.
Bisogna tenere presenti due fattori fondamentali, che caratterizzano tale sistema. Il primo è
l'inefficienza della nostra amministrazione pubblica nella gestione del mercato del lavoro; il
secondo fattore riguarda l'orientamento normativo, che privilegia la tutela del posto di
lavoro, e limita fortemente il ricorso al licenziamento, piuttosto che favorire i processi di
mobilità e ricollocazione dei lavoratori.
L'Italia si differenzia, dagli altri paesi occidentali, per le peculiari modalità di sostegno ai
disoccupati. L'importo dei sussidi, erogati a cittadini rimasti senza lavoro per motivi diversi
da sospensioni o licenziamenti collettivi, è modesto, rispetto alle misure più generose degli
altri paesi europei. Un'altra differenza concerne il rilevante ruolo assegnato agli interventi
rivolti ai lavoratori sospesi dall'attività produttiva, ma formalmente ancora dipendenti dalla
propria azienda.16 Ai lavoratori dell'industria (per i quali sussistono la Cassa integrazione
guadagni e l'indennità di mobilità) si applicano schemi più generosi, soprattutto riguardo
14 MARINELLA SIBILLA, Sistemi comparati di welfare, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 102.
15 ISFOL, Sistemi di welfare e gestione del rischio economico di disoccupazione, Milano, Franco Angeli,
2003, pp. 55-73.
16 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p. 301.
4
alla durata nel tempo delle prestazioni previste.
Il sistema degli ammortizzatori sociali italiano è incentrato su due pilastri: a) tutela dei
soggetti disoccupati b) tutela dei lavoratori sospesi.17
A favore dei disoccupati spetta l'indennità ordinaria di disoccupazione (per i dipendenti del
settore privato), che si differenzia dall'indennità di disoccupazione agricola, e dall'indennità
di mobilità. Essa si articola nell'indennità ordinaria di disoccupazione con requisiti normali
e con requisiti ridotti, e viene applicata in maniera residuale rispetto al trattamento di
mobilità. E' prevista nelle sole ipotesi di disoccupazione involontaria (la Corte
Costituzionale ha precisato che lo stato di disoccupazione involontaria si riscontra anche
nei casi di dimissioni per giusta causa). 18
Per i lavoratori sospesi l'istituto è la Cassa Integrazione Guadagni (ordinaria e
straordinaria), che riguarda i casi di sospensione dell'attività aziendale, per vicende
rientranti nell'area del rischio di impresa. Per individuare l'ambito di applicazione della
cassa integrazione,si fa riferimento a due criteri: verticale (correlato alla dimensione
dell'impresa) e orizzontale (correlato al settore produttivo di appartenenza).19 Questo
ammortizzatore è stato lo strumento principale utilizzato nel corso degli anni Ottanta. La
durata dei suoi trattamenti era spesso soggetta a proroghe indefinite.
Ai vari istituti di sostegno del reddito (indennità ordinaria di disoccupazione, indennità di
disoccupazione speciale, indennità di mobilità, contratti di solidarietà, prepensionamenti,
ecc.), è seguito un complesso di norme frammentarie, dettate dalla necessità dei vari
Governi di rispondere, con provvedimenti urgenti, ad emergenze economiche e sociali.
L'esempio più eclatante è costituito dagli ammortizzatori in deroga alla normativa vigente.
Ci troviamo di fronte dunque ad un sistema disorganico, dove regnano particolarismi, quali
forme di protezione sociale “occasionali” per settori esclusi dagli istituti di sostegno al
reddito, esperienze autonome e diversificate in certi settori (ad esempio l'Artigianato).
Il sistema italiano, caratterizzato dall'eterogeneità dei suoi trattamenti, ha lasciato poco
protette ampie fasce di cittadini. Bisogna altresì sottolineare che mancano strumenti di vera
e propria assistenza, con la conseguente mancanza di tutela per molte situazioni di disagio
sociale. Inoltre, la frammentazione di questi strumenti implica una loro difficile
governabilità.
17 M. CINELLI, G. FERRARO, Lavoro, competitività, welfare, Torino, UTET, 2008, p. 512.
18 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 348-372.
19 M. CINELLI, G. FERRARO, Lavoro, competitività, welfare, Torino, UTET, 2008, p. 517.
5
Un ulteriore problema è rappresentato dall'equità: soggetti che si trovano nelle medesime
condizioni economiche, possono ricevere prestazioni molto diverse sia in termini di durata
che di importo. Questo dipende dal potere politico-contrattuale delle diverse categorie
d'appartenenza.20
2.3 Il cammino verso la riforma degli ammortizzatori sociali
Nel corso degli anni Novanta vi sono state significative modifiche nel sistema di welfare
italiano. La situazione era critica: il tasso di disoccupazione aumentava rapidamente, e le
differenze territoriali tra Nord e Sud diventavano marcate.
E' in questo periodo, che si pongono le basi per riforme strutturali innovative.
Il settore pensionistico e quello sanitario, sono stati i due ambiti in cui sono avvenute le
principali riforme (riforma Amato 1992, riforma Dini 1995).
Nel 1997, con il Governo Prodi, viene istituita una Commissione di esperti (Commissione
Onofri) al fine di formulare proposte in materia di welfare. Vengono elaborate una serie di
iniziative per affrontare l'attuale situazione, che si era venuta a creare: un sistema
disorganico e iniquo che escludeva i soggetti meno rappresentati.
L'obiettivo era fare in modo che il sistema potesse affrontare le trasformazioni
occupazionali e demografiche, i mutamenti dei rapporti sociali e familiari. Era necessaria
una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. La Commissione proponeva una
riorganizzazione degli ammortizzatori sociali, prendendo spunto da quanto avveniva negli
altri Paesi europei, i quali avevano attuato riforme che miravano a modelli più flessibili.
Il Progetto della Commissione individuava tre livelli:
1) trattamento in caso di sospensione temporanea con la conservazione del rapporto di
lavoro. Questo intervento dovrebbe basarsi su uno schema assicurativo, quindi le
prestazioni vengono erogate solo se vi è il versamento dei contributi da parte dei
lavoratori. La misura del contributo dovuto è proporzionale alla retribuzione, e il
tasso di copertura è decrescente nel tempo. La durata del trattamento è limitata per
un certo periodo.
2) trattamenti di disoccupazione riservati ai lavoratori che perdono una precedente
occupazione. Anche qui il modello rispecchia quello assicurativo. In questo
intervento vengono comprese l'indennità ordinaria e speciale di disoccupazione, la
20 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p. 308.
6
Cassa Integrazione speciale e l'indennità di mobilità.
3) Interventi di tipo assistenziale, per quei lavoratori che avessero esaurito il diritto alle
precedenti prestazioni.21
In materia previdenziale gli obiettivi fondamentali erano: la separazione tra previdenza e
assistenza, l'accelerazione nello sviluppo della previdenza complementare, la previdenza
obbligatoria a regime basata sull'unificazione dei regimi pensionistici, o sull'autonomia
gestionale e finanziaria degli enti previdenziali.
Nel 1997 la Riforma Prodi delle pensioni mantiene la pluralità di regimi, ma armonizza i
trattamenti e le regole dei vari fondi pensionistici. Nel 2000 viene approvata la Legge
Quadro sull'assistenza sociale.
Nel campo degli ammortizzatori sociali le riforme procedono lentamente.
La L. n. 144/1999, all'art. 45 “Riforma degli incentivi all'occupazione e degli
ammortizzatori sociali”, conteneva la delega al Governo per l'emanazione di uno o più
decreti legislativi, col fine di migliorare l'efficienza degli ammortizzatori sociali. La legge
aveva alla base numerose indicazioni della Commissione.
In attuazione dell'art. 45 L. n. 144/1995 sono stati emanati il D.lgs. n. 181/2000 e il D.L. n.
346/2000.
Il primo prevede che l'interessato alle prestazioni, debba adempiere agli obblighi disposti
dal Centro per l'Impiego, aderire a proposte di inserimento lavorativo o di formazione
professionale affinché possa persistere nei suoi confronti lo stato di disoccupazione. Si deve
sottolineare che politiche attive e passive continuano a rimanere separate, non vi è ancora
una vera e propria applicazione del principio di condizionalità. Tale principio stabilisce che
solo se il lavoratore partecipa a misure di attivazione, quali percorsi di formazione e/o
riqualificazione professionale , potrà percepire i trattamenti a lui destinati.
Il D.L. n. 346/2000 eleva l'importo dell'indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti
normali al 40%, al fine di non arginare tale forma di sostegno.22
Nel 2001 viene pubblicato il Libro Bianco sul mercato del lavoro, il quale contiene
un'analisi in materia di ammortizzatori sociali, Vengono avanzate delle proposte.
Innanzitutto l'estensione del livello delle tutele minime fornite dagli ammortizzatori, e il
passaggio a un regime assicurativo integrato da modelli volontaristici di integrazione al
21 G. S. MASSARA, Ammortizzatori sociali di fonte collettiva e fondi di solidarietà nella riforma del
welfare, Padova, Cedam, 2008, pp. 162-163.
22 ISFOL, Sistemi di welfare e gestione del rischio economico di disoccupazione, Milano, Franco Angeli,
2003, pp. 79-80.
7
reddito.
Ulteriore proposta è stabilire un forte legame tra politiche attive e passive: si prevede
l'applicazione del principio di condizionalità tra la percezione del sussidio e l'obbligo di
accettazione di opportunità formative e occupazionali.23
Il 23 luglio 2007 viene siglato, dalle parti sociali, il Protocollo sul welfare. Si tratta di un
accordo dal contenuto ampio ed eterogeneo, che interviene su molteplici aspetti del sistema
previdenziale pubblico, del mercato del lavoro e prevede misure per favorire la
competitività e la produttività del Paese, al fine di assicurare una crescita economica
duratura, equilibrata e sostenibile. Tale indirizzo viene perseguito dalla legge che recepisce
il Protocollo (L. n. 247/2007), attraverso una serie di innovazioni che operano in chiave
redistributiva, a favore delle categorie considerate deboli.
La legge, oltre a delegare il Governo ad introdurre una riforma complessiva degli
ammortizzatori sociali, detta norme di immediata operatività, innalzando la misura
dell'indennità di disoccupazione ordinaria e a requisiti ridotti. Inoltre prevede la
valorizzazione degli enti bilaterali, cui affida il preciso compito di individuare prestazioni
aggiuntive di quelle offerte dal sistema pubblico.24
In questi ultimi anni si sono avanzate altre proposte, tuttavia senza successo.
Oggi si è ancora in attesa di quella riforma degli ammortizzatori sociali tanto auspicata.
2.4 Proposte per la correzione dell'anomalia italiana
E' significativo evidenziare come “la crisi morale, economica e politica italiana ha
coinvolto tutte le istituzioni. Il sistema della sicurezza sociale (sanità, pensioni,
disoccupazione) ne ha fortemente risentito. Allo stato attuale, non sembra più trattarsi di
una riforma del sistema quanto piuttosto di una sua nuova costruzione”.25
Bisogna premettere, che il dibattito sulla riforma degli ammortizzatori sociali si colloca in
un contesto conoscitivo poco soddisfacente, visto che i dati disponibili sono spesso inadatti
e quasi sempre insufficienti, per una conoscenza precisa delle uscite dallo stato di
disoccupazione da un lato, e del ricorso agli strumenti di sostegno dall'altro.
Da almeno due decenni, la necessità di una riforma dell'attuale sistema di protezione sociale
si pone al centro del dibattito scientifico. I motivi della riforma sono essenzialmente tre:1)
23 P. G. ALLEVA, E. BALLETTI, U. CARABELLI, A. DI STASI, N. FORLANI, F. LISO, M. PACI, Tutela
del lavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 14-15.
24 M. CINELLI, G. FERRARO, Lavoro, competitività, welfare, Torino, UTET, 2008, pp. 518-522.
25 VITTORIO COTESTA, Il welfare italiano, Roma, Donzelli editore, 1995, p. 237.
8
rendere il sistema più governabile 2) l'equità del sistema 3) rafforzare le prestazioni per i
disoccupati. Sulla base di queste motivazioni, alcuni autori hanno proposto soluzioni che
mirano all'europeizzazione del sistema italiano, cioè un innalzamento dei livelli di
generosità degli interventi.26
Innanzitutto, sarebbe opportuno ridimensionare la CIG. A differenza degli altri Paesi
europei, in Italia questo ammortizzatore ha una quota molto elevata (assorbe più di un terzo
della spesa complessiva per ammortizzatori sociali).
Per quanto concerne il pilastro assicurativo, sarebbe utile aumentare il tasso dell'attuale
indennità ordinaria di disoccupazione (40%). Questa percentuale è molto più bassa rispetto
a quella degli altri Paesi. Inoltre bisognerebbe estendere la durata della prestazione
assicurativa. Quindi si potrebbe pensare a introdurre un pilastro assistenziale “dedicato”,
per i disoccupati bisognosi, prendendo come riferimento l'ordinamento francese e
spagnolo.27
Sarebbe utile attuare un sistema di interventi limitati nel tempo, dando un maggior rilievo
alle politiche attive del lavoro, che dovrebbero essere rivolte ai lavoratori con più elevato
rischio di permanenza nella disoccupazione.
Certo è che l'Italia non deve mutuare modelli già introdotti in altri paesi, ma sviluppare
soluzioni più adatte al contesto italiano.
Tuttavia riforme isolate o non coordinate risultano poco efficaci. Una razionalizzazione
degli ammortizzatori sociali in Italia, implica una coerente e efficace liberalizzazione e
flessibilizzazione del mercato del lavoro.28
L'obiettivo rimane la realizzazione di un sistema universalistico di protezione contro la
disoccupazione, capace di superare le ingiustificate differenziazioni particolaristiche.
3.CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI ORDINARIA
3.1 Cenni storici
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale fu istituita, con il contratto collettivo 13 giugno
1941, la Cassa Integrazione Guadagni con lo scopo di sollevare gli operai dell'industria dai
rischi derivanti dalla riduzione o sospensione dell'attività lavorativa, connesse con gli eventi
26 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, pp.
310-312.
27 ISFOL, Sistemi di welfare e gestione del rischio economico di disoccupazione, Milano, Franco Angeli,
2003, pp. 91-95.
28 GIULIO DE CAPRARIIS, ibidem, p. 17.
9
bellici. La sua funzione era integrare i salari degli operai dell'industria ,che lavoravano ad
orario ridotto.29
La CIGO è stata regolamentata per legge nel 1945 (D.lgs. n. 788/1945). La Cassa era
finanziata con contributi a carico dello Stato e delle imprese, ed era gestita dall'INPS.
Garantiva agli operai dell'industria, che lavoravano ad orario ridotto, un'integrazione pari ai
due terzi della retribuzione che sarebbe loro spettata.
Successivamente l'ambito di applicazione della CIGO è stato esteso attraverso una serie di
interventi legislativi.30
3.2 Cause integrabili
La funzione della CIGO è sostenere il reddito dei lavoratori del settore industriale, nei casi
di sospensione dal lavoro o riduzione dell'orario di lavoro determinati da:
a) situazioni aziendali dovute ad eventi transitori, e non imputabili all'imprenditore o ai
lavoratori;
b) crisi temporanea di mercato.31
Negli eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori, rientrano i cosiddetti
“eventi oggettivamente non imputabili”. Sono eventi: 1) determinati da forza maggiore o
caso fortuito 2) esterni all'azienda, improvvisi e non prevedibili 3) estranei al normale
rischio di impresa. Possiamo pensare a situazioni quali mancanza di scorte, interruzione
della fornitura dell'energia elettrica, eventi naturali, ordine di sospensione delle attività per
ragioni sanitarie, ecc.32
Per l'erogazione del trattamento di CIGO devono sussistere tre condizioni:
1. la causa oggettiva
dell'intervento non deve essere imputabile all'azienda o ai
lavoratori. Ciò significa, che non deve essere volontariamente provocata
dall'azienda o dai lavoratori. Quindi non deve esserci imperizia o negligenza, e
inoltre non imputabilità significa anche non riferibilità all'organizzazione o
programmazione aziendale. Ricorrerà dunque imputabilità quando il committente,
non osservando obblighi contrattuali o disposizioni di legge, commetta un fatto da
cui deriva la sospensione o riduzione dell'attività.
2. temporaneità dell'evento : una sospensione dell'attività può considerarsi transitoria,
29
30
31
32
Cassa integrazione guadagni, in Enciclopedia Giuridica, vol. VI, Treccani, Roma, 1988, p. 1.
EDOARDO GHERA, Diritto del Lavoro, Bari, Cacucci Editore, 2007, p. 367.
Art. 1, co. 1, n. 1, lett. a e b, Legge 20 maggio 1975, n.164.
DOSSIER LAVORO, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, Gruppo 24 ORE, 2009, p. 7.
10
quando si ritiene che la ripresa avverrà in tempi brevi dallo scadere del termine
finale del periodo richiesto.
3. ripresa dell'attività aziendale, che deve essere riferita al complesso aziendale e non
ai singoli dipendenti. Deve essere compiuto un giudizio positivo sulla capacità
dell'impresa di continuare la propria attività finito il periodo di sospensione. Questa
valutazione si basa su elementi forniti dall'azienda e sul contesto economicoproduttivo in cui la stessa opera. 33
3.3 Campo di applicazione
In origine l'intervento era a favore solo degli operai, poi è stato esteso agli impiegati e ai
quadri.34 Le aziende beneficiarie del trattamento sono:
•
aziende industriali a prescindere dal numero dei dipendenti occupati
•
imprese artigiane del settore edile e lapideo
•
cooperative di produzione e lavoro che svolgono attività similare a quella industriale
•
cooperative
agricole
e
loro
consorzi
che
trasformano,
manipolano
e
commercializzano prodotti agricoli
•
cooperative zootecniche
•
imprese addette al noleggio e produzione film, imprese che svolgono attività di
sviluppo e stampa pellicole.
Sono escluse le seguenti imprese:
•
di navigazione o ausiliarie dell'armamento
•
ferroviarie, tranviarie e di navigazione interna
•
esercenti autoservizi pubblici di linea
•
dello spettacolo
•
esercenti la piccola pesca e la pesca industriale
•
artigiane ritenute tali agli effetti degli assegni familiari
•
cooperative, gruppi, compagnie e carovane dei facchini, portabagagli e simili
•
industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato
33 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 28-32.
34 Art. 14, co. 2, L. 223/1991.
11
•
esercenti impianti di trasporto e di risalita a fune.35
3.4 Misura
L'integrazione salariale è pari all'80% della retribuzione complessiva che sarebbe spettata
per le ore di lavoro non prestate. Tuttavia, dopo il primo semestre di erogazione non può
superare un tetto massimo dettato dalla legge.36
3.5 Durata
La durata massima dell'integrazione ordinaria è tredici settimane consecutive (3mesi).
Eccezionalmente può essere prorogata trimestralmente fino a un massimo complessivo di
dodici mesi.37
3.6 Finanziamento
La cassa è finanziata con il contributo dello Stato e con i contributi a carico delle imprese,
calcolati in percentuale sulle retribuzioni, nonché con un contributo addizionale posto a
carico dell'impresa che se ne avvale.38
Di seguito viene riportata una tabella che riporta le percentuali dei due tipi di contributi:
Aziende fino a 50 dipendenti Aziende
Contributo
via
oltre
50
dipendenti
Ordinario
In
con
continuativa
1,90% della retribuzione
2,20% della retribuzione
imponibile
imponibile
mensile
Addizionale
In caso di ricorso alla
4% della integrazione salariale 8% della integrazione salariale
a carico INPS
a carico INPS
CIGO
39
35 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 20-21.
36 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p.99.
37 Cassa integrazione guadagni, in Enciclopedia Giuridica, vol. VI, Treccani, Roma, 1988, p. 3.
38 Art. 12, L. n. 164/1975.
39 DOSSIER LAVORO, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, Gruppo 24 ORE, 2009, p. 16.
12
3.7 Procedura per la richiesta CIGO
Si compone di due fasi:
1) fase di consultazione sindacale. In questa prima parte della procedura,
l'imprenditore comunica alle rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di
queste, agli organismi provinciali dei sindacati di categoria più rappresentativi, la
durata prevedibile della sospensione o contrazione lavorativa e il numero dei
lavoratori interessati. Questa fase si svolge in via preventiva rispetto alla riduzione o
sospensione dell'attività produttiva;40
2) fase amministrativa. Questa consiste nella concessione dell'integrazione salariale e
ha luogo nella sede provinciale dell'INPS. Nel caso in cui dall'omessa o tardiva
domanda derivi la perdita totale o parziale dal diritto all'integrazione salariale con
conseguente danno dei lavoratori, l'imprenditore è tenuto a corrispondere loro una
somma pari all'importo dell'integrazione non percepita.41
4. CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI STRAORDINARIA
4.1 Campo di applicazione
In origine la CIGS era un intervento istituito a favore delle imprese del settore industriale.42
Successivamente è stato esteso ai lavoratori dipendenti da:
•
imprese industriali in crisi addetti ad unità produttive destinate in modo
continuativo e prevalente alla commercializzazione dei prodotti delle stesse
imprese;
•
imprese appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione;
•
imprese appaltatrici di servizi di pulizia;
•
imprese commerciali con più di 200 addetti;
•
imprese artigiane (che presentino certi requisiti occupazionali minimi);
•
soci di cooperative di produzione e lavoro.
Con disciplina speciale, l'integrazione salariale straordinaria è stata estesa ai lavoratori
dipendenti da imprese operanti nel settore dell'informazione e dell'editoria ed al personale
40 Art. 5, L. n. 164/1975.
41 Art. 7, 8, 9, L. n. 164/1975.
42 M. PAPALEONI, R. DEL PUNTA, M. MARIANI, La nuova Cassa integrazione guadagni e la mobilità,
Padova, Cedam, 1993, p. 84.
13
dei vettori aerei.43
Il trattamento CIGS spetta ad operai, impiegati, quadri. Le imprese devono aver occupato
più di quindici dipendenti nel semestre precedente la richiesta di intervento. Nel computo
vanno ricompresi tutti i dipendenti: apprendisti, dirigenti, lavoratori a domicilio, anche se
non tutti sono beneficiari della CIGS.44
I lavoratori interessati alla CIGS devono aver conseguito un'anzianità lavorativa di almeno
novanta giorni.45 L'intervento straordinario non può essere richiesto se è stato chiesto
l'intervento CIGO per lo stesso periodo.
Vige un divieto di discriminazione diretta o indiretta per sesso per quanto riguarda
l'individuazione dei lavoratori da collocare in CIGS.46 Se l'impresa non adotta meccanismi
di rotazione tra i lavoratori, deve indicarne i motivi. Il Ministro del Lavoro valuta la
fondatezza dei motivi, e nel caso in cui li ritenga ingiustificati, cerca di promuovere un
accordo tra le parti. Se tale accordo non si raggiunge entro tre mesi, il Ministro decreta
l'adozione di meccanismi di rotazione. L'impresa sarà sanzionata se rifiuta di osservare il
decreto. Si tratta di una sanzione premiale consistente nel progressivo aumento del
contributo addizionale.47
4.2 Cause integrabili
L'intervento straordinario è finalizzato ad assicurare la continuità del reddito e
dell'occupazione dei lavoratori, temporaneamente allontanati dal processo produttivo in
presenza di situazioni di tipo strutturale. Ciò significa che c'è una durevole eccedenza di
personale.
Le cause integrabili, cioè quelle situazioni nelle quali può essere concessa l'integrazione
straordinaria, sono: a) ristrutturazione aziendale b) riorganizzazione o conversione
aziendale c) crisi aziendale d) procedure concorsuali.
Nelle ipotesi a), b), c), l'impresa non riesce a continuare ad operare nel mercato, sia per
ragioni collegate all'innovazione, sia per ragioni dovute a crisi, la quale ripercuote i propri
effetti sull'attività produttiva con conseguenze sull'occupazione. In questi casi, la legge
impone alle imprese di presentare adeguati programmi di risanamento. Questi hanno il
43
44
45
46
47
EDOARDO GHERA, Diritto del Lavoro, Bari, Cacucci Editore, 2007, pp. 376-377.
DOSSIER LAVORO, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, Gruppo 24 ORE, 2009, p. 15.
GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p. 100.
Art. 8, co. 2, L. n. 236/1993.
Art. 1, co. 8, L. n. 223/1991.
14
compito di individuare le azioni intraprese, o da intraprendere, per superare le difficoltà
dell'impresa.48
Nell'ipotesi c) la crisi aziendale può essere conseguente ad un evento improvviso ed
imprevisto, esterno alla gestione aziendale.
Di fronte all'attuale crisi economica, il Ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali ha
precisato il concetto di “evento improvviso ed imprevisto” che genera la crisi aziendale, nel
senso che questo non deve necessariamente ascriversi a fattispecie interne alla singola
impresa, ma a tutte le situazioni quali “riduzione delle commesse, perdita di quote di
mercato interno o internazionale, contrazione delle esportazione, difficoltà di accesso al
credito” che – prolungandosi nel tempo – comportino ricadute negative sui volumi
produttivi e sui livelli occupazionali rientrando nelle previsioni dell'art. 1, comma 5, L. n.
223/1991.49
In riferimento all'ipotesi d) l'impresa è assoggettata a procedure concorsuali quali:
•
fallimento
•
concordato preventivo
•
liquidazione coatta amministrativa
•
amministrazione straordinaria
•
accordi di ristrutturazioni dei debiti.50
Ci troviamo in presenza di una crisi grave, per cui l'impresa per evitare che gli organi
incaricati dell'amministrazione licenzino il personale, chiede l'intervento della CIGS.
Bisogna sottolineare che l'intervento può essere chiesto dal curatore, liquidatore o
commissario, qualora non sia stata disposta o sia cessata la continuazione dell'attività
produttiva.51
4.3 Durata
In passato non erano previsti limiti massimi temporali e l'erogazione del trattamento
avveniva per periodi lunghissimi. Si faceva un uso improprio della CIGS, così che l'istituto
divenne un sostituto dell'indennità di disoccupazione, con la conseguenza che la sua
funzione risultò del tutto snaturata.
48 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 130-136.
49 Lettera circolare n. 14/005251 del 30 marzo 2009.
50 DOSSIER LAVORO, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, Gruppo 24 ORE, 2009, p. 32.
51 EDOARDO GHERA, Diritto del Lavoro, Bari, Cacucci Editore, 2007, p. 373.
15
Con la L. n. 223/1991 vengono fissati rigidi limiti temporali. Per ciascuna unità produttiva,
i trattamenti di CIGS non possono avere una durata complessiva superiore a 36 mesi
nell'arco di un quinquennio, indipendentemente dalle cause per le quali sono stati
concessi.52 Nel caso di crisi aziendale la durata del trattamento è di 12 mesi, prorogabili di
altri 12 per cessazione dell'attività. Nel caso di ristrutturazione, riorganizzazione e
riconversione aziendale, la durata è di 24 mesi, prorogabili di altri 24 per programmi
complessi. Nell'ipotesi di procedure esecutive concorsuali la durata è di 12 mesi,
prorogabili di altri 6 in presenza di una prospettiva di ripresa dell'attività certa e fondata.53
La disciplina contenuta nella L. n. 223/1991 è stata più volte derogata, soprattutto in
riferimento alla durata della concessione dei trattamenti di integrazione salariale, per
affrontare periodi caratterizzati da elevati livelli di disoccupazione.
4.4 Misura
L'integrazione è dovuta nella misura dell'80% della retribuzione globale che sarebbe
spettata per le ore di lavoro non prestate. Esistono limiti massimi mensili stabili
annualmente dalla legge. 54
4.5 Finanziamento
La contribuzione è così ripartita:
- 0,60% a carico del datore di lavoro
- 0,30% a carico del lavoratore.
Questa contribuzione è dovuta in via continuativa mensile, indipendentemente dall'effettivo
ricorso alla CIGS. Le imprese devono inoltre versare un contributo addizionale:
- 3% per le imprese fino a 50 dipendenti
- 4,5% per le imprese con oltre 50 dipendenti.55
4.6 Procedura per la richiesta CIGS
La procedura si compone di due fasi. All'inizio vi è la fase di consultazione sindacale che
coinvolge l'impresa e le r.s.a. L'impresa deve presentare la richiesta di ammissione
52 Cassa integrazione guadagni, in Enciclopedia Giuridica, vol. VI, Treccani, Roma, 1988, p. 5.
53 E.B.A.T., Vademecum delle prestazioni di sostegno al reddito nel welfare pubblico, 2009, p. 40.
54 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p. 100.
55 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009, p.
184.
16
all'intervento, che contiene il programma di risanamento e l'attestazione dell'avvenuta
consultazione sindacale. La seconda parte della procedura è la fase amministrativa, nella
quale il Ministro del Lavoro approva il programma dell'impresa, e concede con proprio
decreto l'intervento straordinario di integrazione salariale.56
5. INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE ORDINARIA
Ci sono tre tipi di indennità di disoccupazione ordinaria:
a) indennità di disoccupazione ordinaria per lavoratori licenziati
b) indennità di disoccupazione ordinaria per lavoratori sospesi per crisi aziendali e
occupazionali
c) indennità di disoccupazione ordinaria per apprendisti sospesi e licenziati per crisi
aziendali e occupazionali.
a) Questa indennità spetta ai lavoratori assicurati contro la disoccupazione involontaria che
siano stati licenziati.57 È riconosciuta anche nel caso di dimissioni per giusta causa
addebitabili al datore di lavoro (es: mobbing), o dimissioni presentate durante il periodo di
maternità.
I requisiti contributivi prevedono almeno due anni dall'inizio dell'assicurazione, e 52
settimane di contributi nell'ultimo biennio. L'indennità è calcolata sulla retribuzione media
lorda percepita dal lavoratore negli ultimi tre mesi, ed è nella misura del 60% per i primi sei
mesi; per i due mesi successivi la misura è al 50%, e per i mesi restanti è del 40%. La
durata dell'indennità è stabilita in otto mesi per lavoratori con età inferiore ai 50 anni, e in
dodici mesi per i lavoratori con più di 50 anni.58
È richiesto un adempimento al lavoratore: rendere la dichiarazione di immediata
disponibilità al Centro per l'Impiego. Il trattamento viene interrotto in caso di nuova
occupazione, di pensionamento o cancellazione dalle liste di disoccupazione.59
b) Questa indennità spetta ai lavoratori assicurati contro la disoccupazione involontaria,
sospesi dal lavoro, per crisi aziendale ed occupazionale. Per beneficiare di questo
trattamento le aziende non devono essere destinatarie di CIGO, CIGS, CIG edilizia, CIG
agricola.
56 Art. 1-2, L. n. 223/1991.
57 M. CINELLI, G. FERRARO, Lavoro, competitività, welfare, Torino, UTET, 2008, pp. 499-500.
58 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 355-363.
59 E.B.A.T., Vademecum delle prestazioni di sostegno al reddito nel welfare pubblico, 2009, pp. 18-19.
17
È necessario definire il concetto di crisi aziendale ed occupazionale. Si tratta di eventi a
carattere temporaneo, dovuti a situazioni di mercato o eventi naturali, che determinino
mancanza di lavoro, di commesse, di ordini o clienti e in particolare:
a) crisi di mercato
b) mancanza o contrazione di lavoro, commesse, clienti, prenotazioni o ordini
c) mancanza di materie prime o contrazione di attività non dipendente da
inadempimenti contrattuali dell'azienda o da inerzia del datore di lavoro
d) eventi improvvisi ed imprevisti, quali incendio, condizioni meteorologiche incerte,
calamità naturali
e) ritardati pagamenti oltre 150 giorni in caso di appalti o forniture verso la pubblica
amministrazione.60
Le categorie di lavoratori a cui spetta l'intervento sono: impiegati, operai, dirigenti,
apprendisti, lavoratori a domicilio, soci dipendenti di cooperative (con esclusione di quelle
disciplinate dal D.P.R. n. 602/70) e i lavoratori sospesi da aziende di qualsiasi settore.
Il lavoratore deve presentare determinati requisiti soggettivi: deve aver svolto un attività
lavorativa per almeno due anni con il versamento dei relativi contributi, e deve avere 52
settimane di contributi nell'ultimo biennio.
Per quanto riguarda i requisiti oggettivi devono sussistere le seguenti condizioni:
•
sospensione per crisi aziendale o occupazionale
•
erogazione del 20% della indennità da parte di un ente bilaterale
•
sottoscrizione di un apposito accordo sindacale.61
Il lavoratore deve rendere all'INPS la dichiarazione di immediata disponibilità a un
percorso formativo e di riqualificazione professionale.
È importante sottolineare che l'indennità non potrà essere erogata dall'INPS al lavoratore, se
l'ente bilaterale non ha provveduto all'intervento integrativo del 20% della prestazione. Se
manca questo intervento i lavoratori, che siano in possesso dei requisiti individuati dalla
Provincia Autonoma di Trento, accederanno direttamente agli ammortizzatori sociali in
deroga.
La legge 2/2009 stabilisce che la durata di tale indennità è di 90 giorni.62
60 M. CINELLI, G. FERRARO, Lavoro, competitività, welfare, Torino, UTET, 2008, p. 506.
61 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 348-367.
62 Art. 19, L. n. 2/2009.
18
Nelle seguenti eventualità il lavoratore sospeso perde il diritto all'indennità:
•
rifiuta un lavoro congruo
•
rifiuta di sottoscrivere la dichiarazione di immediata disponibilità
•
rifiuta di partecipare a un percorso di riqualificazione
•
intraprende attività lavorativa come dipendente/autonomo/parasubordinato
•
diventa titolare di pensione diretta.63
c) in via sperimentale per il triennio 2009-2011, la L. n. 2/2009 ha introdotto per gli
apprendisti sospesi o licenziati da qualsiasi datore di lavoro, interessati dalla crisi, questa
indennità. I requisiti oggettivi sono:
•
sospensione per crisi aziendale o occupazionale o licenziamento
•
erogazione da parte dell'ente bilaterale del 20% della indennità
•
sottoscrizione di un apposito accordo sindacale.64
Dal punto di vista dei requisiti soggettivi, i lavoratori dovranno presentare la qualifica di
apprendista e avere almeno tre mesi di servizio presso l'azienda.
È adempimento del lavoratore, nel caso di sospensione dal lavoro, rendere dichiarazione di
immediata disponibilità all'INPS a un percorso formativo e di riqualificazione
professionale. Nel caso di licenziamento, invece, tale dichiarazione sarà rilasciata al Centro
per l'Impiego.
La L. n. 2/2009 dispone che la durata del trattamento è equivalente al numero di giornate
pari a quelle di sospensione e, comunque, non oltre novanta giornate nell'anno.
L'entità del trattamento è pari al:
•
60% della retribuzione giornaliera lorda media degli ultimi tre mesi, a carico
dell'INPS;
•
20% dell'indennità a carico dell'ente bilaterale.65
Inoltre l'INPS deve integrare l'indennità a concorrenza dell'80% della retribuzione. Questo
incremento è stato previsto per gli anni 2009-2010 con l'art. 7 ter della L. n. 33/2009, con lo
scopo di assicurare ai lavoratori lo stesso trattamento individuato per i lavoratori
nell'ambito degli ammortizzatori sociali in deroga.66
63
64
65
66
E.B.A.T., Vademecum delle prestazioni di sostegno al reddito nel welfare pubblico, 2009, p. 13.
E.B.A.T., ibidem, p. 14.
Art. 19, L. n. 2/2009.
Art. 7 ter, L. n. 33/2009.
19
6. INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE A REQUISITI RIDOTTI
a) Indennità di disoccupazione a requisiti ridotti per lavoratori licenziati.
È un trattamento per quei lavoratori che non riescono ad ottenere l'indennità di
disoccupazione ordinaria, perché non presentano i requisiti di contribuzione minima.67 Lo
scopo è sostenere quei lavoratori che hanno svolto lavori brevi e discontinui nei periodi di
non occupazione. L'indennità spetta ai lavoratori dipendenti e ai lavoratori iscritti ad albi
professionali, se non prestano effettivamente attività lavorativa nell'anno di riferimento. Vi
sono alcune situazioni di incompatibilità. Questo ammortizzatore infatti è incompatibile
con: le pensioni dirette, l'assegno ordinario di invalidità, l'indennità di malattia e l'indennità
di maternità.
Per percepire l'indennità il lavoratore deve essere assicurato contro la disoccupazione
involontaria da almeno due anni, e deve aver lavorato almeno 78 giorni nell'anno di
riferimento. La durata del trattamento è pari al numero di giornate effettivamente lavorate
nell'anno precedente e per un massimo di 180 giorni. L'entità del trattamento è nella misura
del:
•
35% della retribuzione media giornaliera per i primi 120 giorni;
•
40% per i giorni successivi.68
b)Indennità di disoccupazione a requisiti ridotti per lavoratori sospesi per crisi aziendali e
occupazionali.
Tale intervento è rivolto a quei lavoratori sospesi da aziende non destinatarie per settore o
dimensione di CIGO, CIGS, che non riescono a raggiungere il requisito di contribuzione
minimo per ottenere l'indennità di disoccupazione ordinaria. I requisiti oggettivi per
percepire tale indennità sono i seguenti:
•
sospensione per crisi aziendale o occupazionale o licenziamento
•
erogazione da parte dell'ente bilaterale del 20% della indennità
•
sottoscrizione di un apposito accordo sindacale.69
Per quanto concerne i requisiti soggettivi, invece, il lavoratore deve essere assicurato contro
la disoccupazione involontaria da almeno due anni e aver lavorato almeno 78 giorni
67 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p. 58.
68 M. CINELLI, G. FERRARO, Lavoro, competitività, welfare, Torino, UTET, 2008, pp. 503-504.
69 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 372-381.
20
nell'anno considerato. Il lavoratore ha l'obbligo di rilasciare all'INPS la dichiarazione di
immediata disponibilità a un percorso formazione e di riqualificazione professionale. La L.
n. 2/2009 prevede che la durata massima del trattamento sia di 90 giorni. La misura
dell'indennità è pari al:
•
35% della retribuzione media giornaliera a carico dell'INPS;
•
20% dell'indennità a carico dell'ente bilaterale.
Inoltre l'INPS deve integrare l'indennità a concorrenza dell'80% della retribuzione. Questo
aumento è stato previsto per gli anni 2009 e 2010, con l'art. 7 ter della L. n. 33/2009, al fine
di garantire ai lavoratori lo stesso intervento riconosciuto per i lavoratori nell'ambito degli
ammortizzatori sociali in deroga. Se manca l'integrazione del 20% dell'indennità da parte
dell'ente bilaterale è previsto per i lavoratori l'accesso diretto agli ammortizzatori sociali in
deroga.70
7. INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE AGRICOLA
Questa forma di sostegno al reddito è rivolta ai lavoratori del settore agricolo. Ha la finalità
di indennizzare i periodi di non occupazione di tali lavoratori. Le categorie di lavoratori ai
quali spetta questa indennità sono:
•
gli operai agricoli iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli
•
operai agricoli a tempo determinato
•
piccoli coloni
•
compartecipanti familiari
•
piccoli coltivatori diretti che integrano le giornate di attività agricola come lavoro
•
dipendenti con giornate di lavoro autonomo
•
coloro i quali hanno lavorato come operai agricoli a tempo indeterminato per parte
dell'anno e sono stati licenziati.71
Chi richiede tale ammortizzatore deve avere almeno due anni di assicurazione contro la
disoccupazione involontaria e almeno 102 contributi giornalieri nel biennio precedente la
richiesta.72
Per quanto riguarda la durata, questo trattamento è pari al numero di giornate
70 E.B.A.T., Vademecum delle prestazioni di sostegno al reddito nel welfare pubblico, 2009, p. 22.
71 MAURIZIO CINELLI, La tutela del lavoratore contro la disoccupazione, Milano, Franco Angeli, 1982, p.
269.
72 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p. 92.
21
effettivamente lavorate nell'anno considerato. La misura dell'indennità è del 40% della
retribuzione.73 Bisogna notare che dall'1/1/2009 vi è un unica prestazione di disoccupazione
agricola. L'indennità ordinaria di disoccupazione agricola e i trattamenti di disoccupazione
speciale agricola sono stati infatti unificati. La novità sta nel fatto che è possibile cumulare
lavoro dipendente agricolo e lavoro dipendente non agricolo, purché vi sia prevalenza di
attività agricola subordinata nell'anno o nel biennio cui si riferisce la domanda.
8. INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE SPECIALE EDILE
Questa forma di sostegno spetta ai lavoratori del settore dell'edilizia. Si tratta di lavoratori
disoccupati che hanno cessato l'attività lavorativa alle dipendenze di terzi per:
•
cessazione dell'attività aziendale
•
ultimazione del cantiere
•
ultimazione delle singole fasi lavorative
•
riduzione di personale
•
fallimento di aziende edili.
Il lavoratore può scegliere tra l'indennità di disoccupazione ordinaria e l'indennità di
disoccupazione speciale edile. Nella prima ipotesi fruirà dell'indennità di disoccupazione
ordinaria con requisiti normali. Nel secondo caso fruirà del trattamento speciale di
disoccupazione per l'edilizia ai sensi della L. n. 427/1975, e al termine dei 90 giorni del
trattamento speciale potrà beneficiare del periodo residuo dell'indennità di disoccupazione
ordinaria.74
Il lavoratore deve rendere la dichiarazione di immediata disponibilità al Centro per
l'Impiego: questo è un adempimento necessario per percepire tale indennità. L'interessato
deve avere almeno 43 contributi settimanali o 10 contributi mensili versati per attività nel
settore edile nell'ultimo biennio. L'indennità viene corrisposta per un massimo di 90 giorni,
ed è nella misura dell'80% della retribuzione media giornaliera percepita nelle ultime
quattro settimane.75
La perdita di indennità si ha nei seguenti casi:
73 M. PAPALEONI, R. DEL PUNTA, M. MARIANI, La nuova Cassa integrazione guadagni e la mobilità,
Padova, Cedam, 1993, p. 233.
74 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 414-415.
75 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p. 97.
22
•
il lavoratore ha percepito tutte le giornate di trattamento speciale
•
viene avviato un nuovo lavoro
•
perde lo stato di disoccupazione
•
diventa titolare di un trattamento pensionistico diretto (pensione di vecchiaia,
pensione di anzianità, pensione anticipata, pensione di inabilità o assegno di
invalidità).76
9. INDENNITÀ PER CO.CO.PRO - CO.CO.CO
Questa indennità è stata introdotta dalla L. n. 2/2009 in via sperimentale per il triennio
2009-2011. È uno strumento di sostegno al reddito a favore dei collaboratori coordinati
continuativi e dei collaboratori coordinati a progetto; spetta nel solo caso di fine lavoro.
Non sono destinati a questo trattamento i collaboratori occasionali e i lavoratori autonomi
occasionali.
Requisito, per la percezione di questa indennità, è la dichiarazione di immediata
disponibilità al lavoro o ad un percorso di riqualificazione professionale, che il lavoratore
deve rendere all'INPS all'atto della presentazione della domanda.
Per quanto riguarda l'entità del trattamento, per il triennio 2009-2011, l'importo è pari al
20% del reddito percepito nell'anno precedente per il solo 2009, e al 10% del reddito
percepito nell'anno precedente per gli anni 2010-2011.77
10. INDENNITÀ DI MOBILITÀ
E' un'indennità sostitutiva di ogni altra prestazione di disoccupazione, e viene corrisposta ai
lavoratori nel periodo che intercorre tra la fine dell'attività lavorativa e la rioccupazione o
collocamento in pensione, o l'avvio di un'attività autonoma, o in cooperativa.
Dunque si tratta, nella maggior parte dei casi, di uno strumento utilizzato come modalità di
passaggio tra il licenziamento e la pensione. In questa ipotesi la prestazione è prolungata
fino al conseguimento del diritto alla pensione (c.d. “mobilità lunga”). 78
I periodi di godimento di tale indennità sono riconosciuti utili ai fini pensionistici.
I requisiti soggettivi per i lavoratori licenziati che hanno diritto all'indennità sono:
– iscrizione alle liste di mobilità
76 GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009, p. 420.
77 E.B.A.T., Vademecum delle prestazioni di sostegno al reddito nel welfare pubblico, 2009, p. 33.
78 EDOARDO GHERA, Diritto del Lavoro, Bari, Cacucci Editore, 2007, p. 390.
23
– anzianità aziendale complessiva di almeno 12 mesi
– almeno 6 mesi di lavoro effettivo.
Si deve trattare in ogni caso di lavoratori licenziati da imprese industriali con più di 15
dipendenti, o imprese artigiane che hanno intrapreso procedure collettive di licenziamento.
Il licenziamento è collettivo se vi sono stati nell'arco di 120 giorni almeno cinque
licenziamenti in una o più unità produttive.
Non spetta ai lavoratori che svolgono attività stagionali o saltuarie, a quelli assunti con
contratto a tempo determinato.
Il periodo massimo per percepire l'indennità è di 12 mesi, elevabile a 24 per i lavoratori che
abbiano compiuto 40 anni, e a 36 per quelli che abbiano compiuto 50 anni.
La misura dell'indennità è pari a quella del trattamento di integrazione salariale goduto (o
che sarebbe spettato) prima del licenziamento per i primi 12 mesi, mentre è dell'80% dello
stesso trattamento nei mesi successivi.79
La perdita di tale indennità avviene nei seguenti casi:
– assunzione a tempo indeterminato
– rifiuto ad essere avviati a un progetto individuale di inserimento nel mercato del
lavoro, oppure a un corso di formazione o di riqualificazione
– mancata accettazione di un'offerta di lavoro congrua
– diritto alla pensione di vecchiaia, anzianità, inabilità
– riscossione dell'indennità in un'unica soluzione per l'avvio di un'attività di lavoro
autonomo o per associazione in cooperativa (c.d. anticipazione dell'indennità di
Mobilità).80
11. CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ
A partire dagli anni Settanta ci sono stati profondi mutamenti nel mercato del lavoro. Si è
verificato un processo di crescente terziarizzazione. Sorgeva il problema della
ricollocazione della forza-lavoro espulsa dai processi produttivi e della promozione di una
nuova occupazione. Sono stati così introdotti nel nostro ordinamento i contratti di
solidarietà. Questi contratti si differenziano in due tipologie: a) interni o difensivi b) esterni
79 M. PAPALEONI, R. DEL PUNTA, M. MARIANI, La nuova Cassa integrazione guadagni e la mobilità,
Padova, Cedam, 1993, pp. 460-463.
80 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009, p.
342.
24
o espansivi.
a) Prevedono una riduzione dell'orario finalizzata a evitare la riduzione di personale e sono
stati istituiti con L. n. 863/1984.81 La formula è: lavorare meno per lavorare tutti. Possono
beneficiarne tutti i dipendenti esclusi i dirigenti, gli apprendisti e i lavoratori a domicilio.82
Quindi l'area dell'intervento è molto ampia e comprende i lavoratori dipendenti dalle
imprese industriali, da quelle appaltatrici di servizi di mensa e ristorazione, dalle imprese
editoriali. Si tratta di aziende di grandi dimensioni incluse nell'alveo della CIGS. 83 Per
quanto concerne l'ambito di questo tipo di contratto, previo accordo sindacale, trova
applicazione nelle imprese che abbiano occupato mediamente più di 15 lavoratori nel
semestre precedente. Non si applica ai rapporti di lavoro a tempo determinato per punte
produttive e per attività stagionali. Il trattamento di integrazione salariale straordinaria è
pari al 60% della retribuzione persa. L'importo è elevato all'80% per gli anni 2009 e 2010.
Inoltre vi sono benefici per il datore di lavoro, il quale può fruire di una riduzione
contributiva per i lavoratori coinvolti nei contratti di solidarietà per non più di 24 mesi.84
b) Prevedono la riduzione di orario e della retribuzione, in cambio della disponibilità del
datore di lavoro ad assumere personale a tempo indeterminato. Questa tipologia è stata
istituita con
L. n. 236/1993. Deve essere stipulato un preventivo accordo sindacale.
L'ambito di applicazione di questo contratto concerne le aziende che non sono destinatarie
dell'intervento di CIGS, che intendono evitare una riduzione di personale durante una
procedura di mobilità o licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo.
Inoltre possono stipulare questi contratti esterni anche le imprese artigiane con meno di
sedici dipendenti, a condizione che vi sia la partecipazione di un ente bilaterale, con una
quota pari alla metà dell'integrazione percepita dal lavoratore. Per il datore di lavoro è
prevista l'erogazione di un contributo pari al 50% della retribuzione persa dai lavoratori
interessati dalla riduzione di orario, per un massimo di 24 mesi, da ripartire in parti uguali
tra impresa e lavoratori.85
Di fronte alla crisi molte aziende hanno scelto questa strada. Circa 1800 pratiche sono
81 PAPALEONI, DEL PUNTA, MARIANI, La nuova Cassa integrazione guadagni e la mobilità,
Padova, Cedam, 1993, p. 147.
82 Cassa integrazione guadagni, in Enciclopedia Giuridica, vol. VI, Treccani, Roma, 1988, p. 7.
83 G. S. MASSARA, Ammortizzatori sociali di fonte collettiva e fondi di solidarietà nella riforma del
welfare, Padova, Cedam, 2008, p. 21.
84 FRANCESCA BARBIERI, Il Sole 24 ORE, lunedì 15 febbraio 2010 n. 45, p. 23.
85 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
pp. 157-158.
25
arrivate nel 2009 sui tavoli del Ministero del Lavoro, il triplo rispetto al 2008. Quest'anno a
gennaio le domande sono quasi il 30% in più rispetto a dicembre. 86 Si stima che i lavoratori
coinvolti siano diverse migliaia. Molte aziende giustificano la loro opzione per questi
contratti, affermando che in questo modo si consente a tutti di lavorare con effetti positivi
sulla motivazione del personale.
Tuttavia non mancano le critiche. I lavoratori hanno difficoltà ad adeguarsi a nuovi ritmi di
lavoro e per di più il taglio delle ore riduce le ferie, il TFR e la tredicesima mensilità,
mentre la contribuzione ai fini pensionistici rimane la stessa.
12. PREPENSIONAMENTI
I prepensionamenti sono interventi a carattere transitorio ed eccezionale. Il legislatore li ha
utilizzati per far fronte ad eccedenze definitive di personale, collegate a situazioni di crisi di
interi settori produttivi. In sostanza con questo ammortizzatore si ha la concessione
anticipata della pensione di vecchiaia.87
Nel corso degli anni Ottanta e Novanta questi interventi sono stati frequenti. La
conseguenza è stata un aggravio finanziario a danno degli enti previdenziali.88 Per questo la
mobilità lunga è preferita ad essi, anche se lo Stato deve in questo caso sopportare un costo:
l'erogazione di un'indennità di disoccupazione. Tuttavia il vantaggio è evidente: in questo
modo si ritarda il momento in cui questi lavoratori andranno a percepire la pensione di
vecchiaia.89
13. I LAVORI SOCIALMENTE UTILI
L'idea che sta alla base dei lavori socialmente utili (l.s.u.) è quello di utilizzare lavoratori
inoccupati e disoccupati in attività di beneficio collettivo. Questi non sono visti solo come
un mezzo per fronteggiare situazioni di emergenza occupazionale, ma sono un sistema per
creare nuova occupazione in quei campi di attività relativi all'ambito dei bisogni sociali.90
Le origini dei l.s.u. si rinvengono nei c.d. cantieri scuola.
Con la Legge 29 aprile 1949, n. 264 si prevedeva l'impiego di disoccupati per svolgere
86 BARBIERI F., Il Sole 24 ORE, lunedì 15 febbraio 2010 n. 45, p. 23.
87 MAURIZIO CINELLI, La tutela del lavoratore contro la disoccupazione, Milano, Franco Angeli, 1982, p.
72.
88 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, p. 74.
89 EDOARDO GHERA, Diritto del Lavoro, Bari, Cacucci Editore, 2007, p. 401.
90 ELENA D'ANGELO, Lavori socialmente utili: un ammortizzatore sociale nuovo o uno strumento di
politica attiva del lavoro?, in “Impresa”, 1995, p. 1914.
26
attività forestale e vivaistica quali “l'esecuzione di opere di rimboschimento e di
sistemazione montana o di opere di pubblica utilità”.91 I lavoratori disoccupati potevano
chiedere di essere ammessi al lavoro in qualità di volontari, in cambio di un'indennità che, a
seconda dei casi, integrava o sostituiva il sussidio di disoccupazione. Questo modello pone
al centro l'assistenza, che viene considerata la caratteristica principale.92
Successivamente la Legge 1 giugno 1977, n. 285 dà allo Stato e alle Regioni il potere di
utilizzare giovani, temporaneamente, per realizzare progetti di servizi socialmente utili.
I servizi e le opere che dovevano essere creati erano tassativamente indicati dalla legge
stessa, che all'art. 26, comma 2, individuava come ambito operativo “beni culturali e
ambientali; patrimonio forestale, difesa del suolo e censimento di terre incolte; prevenzione
degli incendi nei boschi; servizi antincendio; aggiornamenti del catasto; turismo e
recettività ; ispezione del lavoro e servizi statali dell'impiego; servizi in materia di
motorizzazione civile; servizi in materia di trattamenti pensionistici demandati alla
competenza dell'amministrazione periferica del tesoro; carte geologiche, sismiche e delle
acque; assistenza tecnica in agricoltura e nella pesca, fitopatologia e servizio ausiliario ed
esecutivo nella repressione delle frodi; attività e servizi di interesse generale e di rilevanza
sociale”. 93
La successiva riforma (Legge 4 agosto 1978, n. 479) indica che i programmi vengono
attuati mediante contratti di formazione e lavoro. Quindi, vi è una corrispondenza tra
l'utilizzazione dei giovani impegnati nei servizi socialmente utili e la tipologia lavorativa
dei c.f.l. .
In seguito si adotta un orientamento diverso. Con la Legge 24 luglio 1981, n. 390
disciplinante “ulteriori interventi straordinari di integrazione salariale in favore dei
lavoratori delle aree del Mezzogiorno”, si prevedeva che le Commissioni regionali per
l'Impiego potessero disporre, temporaneamente, dei lavoratori fruenti del trattamento
straordinario di Cassa Integrazione Guadagni “in attività non incompatibili con la loro
professionalità”, per la realizzazione di opere e servizi di pubblica utilità, ovvero “quali
istruttori, per iniziative di formazione professionale”. 94
91 Legge 29 aprile 1949, n. 264.
92 A . LUCIANI, Prestazioni d'opera dei disoccupati nei cantieri scuola e assicurazioni sociali, in “Rivista
di diritto del lavoro”, 1967, II, p. 207.
93 Art. 26, co. 2, legge 4 agosto 1978, n. 479.
94 V. A. TURSI, Disoccupazione e lavori socialmente utili. Le esperienze di Stati Uniti, Germania ed Italia,
Milano, Giuffrè, 1996, p. 18.
27
La novità è la possibilità di occupare i lavoratori prossimi ad uscire dal mercato del lavoro
in attività utili per la collettività.95 Si passa gradualmente da un sistema di welfare ad un
sistema di workfare, caratteristico dei paesi nordici.
E' necessario precisare che, con questo tipo di ammortizzatore sociale, non viene instaurato
alcun tipo di rapporto di lavoro.
Con il passare del tempo viene esteso il campo di applicazione della normativa “a tutti i
lavoratori che usufruiscono del trattamento straordinario della CIG”, ed ai lavoratori
ammessi al trattamento di disoccupazione speciale, ai cassaintegrati dipendenti da aziende
costituite o partecipate dalla GEPI o dall'INSAR e a coloro che “sono ammessi al
trattamento di cui all'art. 8 della Legge 5 novembre 1968, n. 1115”.96
Successivamente l'ambito di applicazione dei l.s.u. si allarga, includendo anche i “lavoratori
iscritti nella lista di mobilità”.97
Significativo è l'art. 14 della Legge 16 maggio 1994, n. 451 che innova l'istituto,
prevedendo che possano essere impiegati nei l.s.u. anche i lavoratori disoccupati non fruenti
di trattamenti previdenziali. Dunque si abbandona la logica assistenzialistica del welfare a
favore di un sistema di workfare.
La L. n. 196/1997 modifica il quadro frammentato e complessivo esistente, creando
un'unica ed organica normativa. Innanzitutto, all'art. 20 questa legge contiene le regole per
un allargamento dell'ambito di applicazione della normativa anche ai progetti di ricerca
presentati dagli enti pubblici, al fine di utilizzare ricercatori e tecnici che beneficino di
trattamenti di integrazione salariale e di modalità o di lavoratori, che non godono di alcun
trattamento previdenziale.98
L'art. 21 della L. n. 196/97 individuava alcune norme dirette alla semplificazione delle
procedure; si prevedeva, infatti, che durante i periodi di utilizzazione nei l.s.u., i lavoratori
venissero inseriti nelle liste regionali di mobilità.99
Infine l'art. 22 contiene una delega al Governo per la revisione della normativa in materia di
l.s.u. . Si prevede, riguardo all'iter procedurale che dovrà seguire la legge delega, un
coinvolgimento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
95 C. M. DALMASO, Utilizzazione dei lavoratori in Cassa integrazione per l'esecuzione di opere di utilità
sociali e riflessi sul rapporto di lavoro, in “Il diritto del lavoro”, 1981, I, p. 489.
96 F. AMATO, G BRONZINI, A. MANNA, S. MATTONE, F. MIANI CANEVARI, Il diritto del lavoro della
flessibilità e dell'occupazione, Padova, Cedam, 2000, p. 478.
97 Art. 6, co. 4, L. n. 223/1991.
98 Art. 20, L. n. 196/97.
99 Art. 21, L. n. 196/97.
28
Province autonome, che dovrà essere obbligatoriamente consultata. Questa previsione si
spiega in riferimento alle materie relative ai progetti di l.s.u., le quali sono riservate alla
competenza delle regioni o degli enti locali (ad es. attività di salvaguardia di beni quali la
salute nei luoghi pubblici di lavoro o la tutela degli assetti idrogeologici).100
Con il D.lgs. 1 dicembre 1997, n. 468 si ha una disciplina organica dell'istituto dei l.s.u. .
L'art. 1 definisce i l.s.u. come “quelle attività che hanno per oggetto la realizzazione di
opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l'utilizzo di particolari categorie
di soggetti”.101 Il secondo comma dell'art. 1 indica quattro tipologie di l.s.u. :
1) i lavori “di pubblica utilità miranti alla creazione di occupazione, in particolare in
nuovi bacini di impiego”. I settori sono elencati dalla legge non in maniera tassativa
(cura della persona; ambiente e territorio; agricoltura ed assetti idrogeologici;
recupero aree urbane e cultura);
2) “particolari progetti formativi volti alla crescita professionale in settori innovativi”
(la durata è di 12 mesi);
3) “realizzazione di progetti aventi obiettivi di carattere straordinario” (la durata è di 6
mesi prorogabili per un ulteriore periodo di 6 mesi). In questo caso la
“straordinarietà” esalta l'aspetto transitorio dei lavori;
4) le amministrazioni pubbliche possono utilizzare soggetti titolari di trattamenti
previdenziali in “prestazioni di attività socialmente utili”.102
I soggetti promotori dei progetti di L.p.u. e di L.s.u. sono: amministrazioni pubbliche, enti
pubblici economici, le società a prevalente o totale partecipazione pubblica, le cooperative
sociali, i consorzi. Questa elencazione non è tassativa, visto che la legge dispone che altri
soggetti possano essere indicati su proposta delle regioni e degli enti locali.103
Diverso è l'iter procedurale relativo alla redazione dei progetti, a seconda che si tratti di
progetti di lavori di pubblica utilità o di progetti di l.s.u. . Nel primo caso, si prevede la
redazione di un piano di impresa concernente le attività che si intendono promuovere. Ai
progetti deve essere allegata una dichiarazione scritta che accerti l'esistenza dei
“presupposti tecnicamente fondati”, riguardo alla realizzazione di attività nuove e stabili nel
tempo. Se sopravvengono giustificate esigenze nel corso dell'esecuzione del progetto, i
100 Art. 22, co. 1, lett. A), L. n. 196/97.
101 Art. 1, co. 1, D.lgs. 1 dicembre 1997, n. 468.
102 Art. 1, co. 2, D.lgs. 1 dicembre 1997, n. 468.
103 F. AMATO, G BRONZINI, A. MANNA, S. MATTONE, F. MIANI CANEVARI, Il diritto del lavoro
della flessibilità e dell'occupazione, Padova, Cedam, 2000, p. 490.
29
termini del piano di impresa possono essere modificati dai soggetti promotori.104
Nel secondo caso, è necessario allegare ai progetti relativi ad attività inserite in interventi
formativi il progetto formativo autorizzato; invece per quelli relativi ad attività che si
prefiggono obiettivi straordinari è necessaria la dichiarazione dell'organo competente. 105
E' importante ribadire che, in base all'art. 8 c. 1, l'utilizzazione dei lavoratori in l.s.u. “non
determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro e non comporta la sospensione e la
cancellazione dalle liste di collocamento o dalle liste di mobilità”.106
E' controversa la natura giuridica dei l.s.u. : la dottrina maggioritaria esclude che siano
riconducibili alla categoria del lavoro subordinato, mentre un filone interpretativo
minoritario li classifica come uno dei sottotipi del modello dell'art. 2094 c.c. 107
Ai fini della realizzazione dei progetti per L.s.u. possono essere utilizzati:
•
lavoratori in cerca di prima occupazione
•
disoccupati iscritti da oltre due anni nelle liste di collocamento
•
lavoratori iscritti nelle liste di mobilità che non hanno indennità economica
•
lavoratori iscritti nelle liste di mobilità percettori della relativa indennità o di altro
trattamento speciale di disoccupazione
•
lavoratori, sospesi a zero ore, che fruiscono dei trattamenti di Cigs
•
lavoratori espressamente individuati a seguito di accordi per la gestione di esuberi
da crisi aziendale o di area
•
categorie di lavoratori individuati dalla Commissione regionale per l'Impiego
•
detenuti ammessi al lavoro esterno.108
Il legislatore ha disposto alcune regole minime di garanzia per i lavoratori impiegati in l.s.u.
, sia per i soggetti privi di “sostegno al reddito”, sia per quelli “beneficiari a vario titolo di
particolari trattamenti economici e/o normativi”.109 Per i primi, quando il lavoratore sia
104 ANTONIO PIZZINATO, Lavori socialmente utili:modalità di funzionamento dell'istituto, in Mercati e
rapporti di lavoro-Commentario alla legge 24 giugno 1997 n. 196 ( a cura di M. BIAGI), Milano, Giuffrè,
1997, pp. 293-303.
105 PAOLA CHIARI, ELENA D'ANGELO, La nuova disciplina dei lavori socialmente utili, in Mercati e
rapporti di lavoro-Commentario alla legge 24 giugno 1997 n. 196 ( a cura di M. BIAGI), Milano, Giuffrè,
1997, pp. 305-319.
106 Art 8, co. 1, D.lgs. 1 dicembre 1997, n. 468.
107 S. RENGA, Mercato del lavoro e diritto, Milano, Giuffrè, 1996, p. 77 ss.
108 Http://www.inca.it
109 SERGIO VERGARI, I lavori socialmente utili, in F. Carinci, Diritto del lavoro, vol. III, Il rapporto di
lavoro subordinato. Garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti (a cura di M. MISCIONE), Torino,
Utet, 1998, p. 128.
30
inadempiente ai suoi obblighi può esserci la cessazione dall'attività, mentre per i secondi il
lavoratore si troverà in questa situazione nei casi in cui egli opponga un ingiustificato
rifiuto all'avviamento, con la conseguente decadenza dalla percezione del trattamento.
La distinzione tra queste due categorie di lavoratori rileva anche riguardo alla normativa dei
diritti dei lavoratori impegnati nei l.s.u. . I lavoratori che percepiscono il trattamento di CIG
o di indennità di mobilità sono impiegati per un numero di ore settimanali “corrispondente
alla proporzione tra il trattamento stesso e il livello retributivo iniziale, calcolato al netto
delle ritenute previdenziali ed assistenziali previsto per i dipendenti che svolgono attività
analoghe presso il soggetto promotore dell'intervento e, comunque, per non meno di venti
ore settimanali e non più di otto ore giornaliere”.110 Il superamento dei suddetti limiti
comporta il diritto del lavoratore a percepire un importo integrativo “corrispondente alla
retribuzione oraria relativa al livello retributivo iniziale calcolato detraendo le trattenute
previdenziali e assistenziali previste per i dipendenti che svolgono attività analoghe presso
il soggetto utilizzatore”.111
Ai lavoratori, privi di qualsiasi sostegno al reddito, è erogato un assegno per i l.s.u. da parte
dell'Inps.112
Tutti i lavoratori impegnati in l.s.u. hanno diritto di usufruire di un adeguato periodo di
riposo, alle assenze in caso di malattia, infortuni e malattia professionale, alla
partecipazione alle assemblee delle organizzazioni sindacali.
14. AMMORTIZZATORI SOCIALI IN DEROGA
14.1 Definizione
Il sistema degli ammortizzatori sociali italiano lascia senza tutela una parte rilevante degli
occupati del nostro Paese. Precisamente sono escluse le aziende artigiane o industriali con
meno di 15 dipendenti, e le aziende di settori importanti del terziario.
Possiamo definire “ammortizzatori sociali in deroga” quegli interventi volti a sostenere il
reddito dei lavoratori, normalmente esclusi dai benefici della Cassa Integrazione
Straordinaria e della Mobilità.113
110 Art 8, D.lgs. 1 dicembre 1997, n. 468.
111 F. AMATO, G BRONZINI, A. MANNA, S. MATTONE, F. MIANI CANEVARI, Il diritto del lavoro
della flessibilità e dell'occupazione, Padova, Cedam, 2000, p. 496.
112 Http://www.inps.it
113 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
p. 185.
31
La loro nascita si ricollega a due ordini di esigenze: a) dare tutela alle aziende dell'indotto
durante la crisi degli anni 2003/2004, le quali non potevano beneficiare della Cassa
Integrazione in quanto escluse; la crisi aveva infatti fatto cadere le grandi aziende,
provocando di conseguenza anche la caduta delle piccole aziende dell'indotto. b) Tutelare
certe tipologie professionali più esposte alla crisi: lavoro temporaneo, lavoro a progetto,
somministrazione, lavoro interinale.
Il nostro ordinamento ha previsto la possibilità di ricorrere a tali ammortizzatori, derogando
alla normativa vigente, in casi di emergenze occupazionali. Introdotti, la prima volta, nel
2001, in occasione della crisi della c.d. Mucca pazza, hanno trovato di seguito conferma e
disciplina, in successione regolare e puntuale, in tutte le leggi finanziarie succedutesi sino al
2009. Leggi nelle quali era previsto che il Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministro
dell'Economia, fosse autorizzato a disporre proroghe e concessioni di trattamenti già
regolati da disposizioni di legge, anche in deroga alla normativa vigente in materia, sulla
base di specifici accordi in sede governativa.114
I vari governi, che si sono alternati in questi anni, sono intervenuti con iniziative transitorie
in sede di approvazione della legge finanziaria, accennando ad una futura riforma degli
ammortizzatori sociali, e limitandosi a stanziare risorse in favore di quei lavoratori esclusi
dal sistema degli ammortizzatori sociali, o che avevano già utilizzato tutte le disponibilità
previste per legge. Quindi questi lavoratori possono essere collocati in CIGS, percependo la
relativa indennità e, se licenziati e collocati in mobilità, percepire l'indennità di mobilità.
Possiamo individuare tre tipologie di imprese coinvolte da questo strumento:
•
imprese industriali e artigiane comunque operanti nei settori ricompresi nella
normativa delle integrazioni salariali straordinarie, ma con organico aziendale pari o
inferiore ai quindici dipendenti, e imprese con meno di quindici dipendenti di settori
non ricompresi nella normativa delle integrazioni salariali;
•
settori produttivi non compresi nella normativa CIGS con più di quindici
dipendenti;
•
tutte le altre imprese operanti in settori produttivi ricompresi nella normativa CIGS
che hanno superato il periodo massimo di integrazione salariale fruibile (36 mesi nel
quinquennio).115
114 M. CINELLI, G. FERRARO, Lavoro, competitività, welfare, Torino, UTET, 2008, p. 512.
115 http://notes1.regione.vda.it
32
Gli ammortizzatori in deroga (CIG, CIGS, mobilità) sono oggetto di accordi regionali e
diventano operativi con l'emanazione di specifici decreti interministeriali.
Tali trattamenti sono finanziati in parte dallo Stato, in parte dalle Regioni, anche con risorse
del Fondo sociale europeo per percorsi di formazione e riqualificazione professionale. 116
14.2 Cassa Integrazione Guadagni in deroga
E' un intervento a sostegno delle imprese che per qualsiasi ragione non hanno accesso alla
Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria e Straordinaria. La sua funzione è garantire al
lavoratore un reddito sostitutivo della retribuzione. Questo trattamento spetta ad operai,
impiegati, quadri sospesi dal lavoro. Le motivazioni di tale sospensione devono essere
riconducibili a crisi aziendale o occupazionale, derivanti da crisi di mercato, mancanza di
lavoro, di commesse imprevisti e improvvisi.117
Sostiene economicamente anche apprendisti, lavoratori interinali e a domicilio.
La durata della CIG in deroga può essere al massimo di 12 mesi e il suo ammontare è pari
all'80% della retribuzione.118
14.3 Mobilità in deroga
L'indennità di mobilità in deroga alla normativa vigente si propone di garantire un reddito
ai lavoratori espulsi dal mercato del lavoro e precedentemente esclusi da qualsiasi forma di
tutela. Inoltre l'istituto è rivolto anche ai disoccupati, che avendo percepito l'indennità di
disoccupazione ordinaria, l'hanno esaurita nel 2009.119
I lavoratori per richiedere tale indennità devono far valere un'anzianità aziendale di almeno
dodici mesi, con sei mesi di lavoro effettivamente prestato.120 La durata del trattamento è di
quattro mesi, mentre per i lavoratori ultracinquantenni, che maturano il diritto alla pensione
nello stesso periodo, è di dieci mesi.
Pena la decadenza dal trattamento, il lavoratore è tenuto a rilasciare la dichiarazione di
immediata disponibilità al Centro per l'Impiego, e a richiedere l'inserimento nell'apposita
lista denominata “mobilità in deroga”. Si tratta di un elenco con funzioni dichiarative, che
116 http://www.ipsoa.it
117 Http://www.provincia.milano.it
118 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa-Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009, p.
185.
119 Http://www.provincia.pd.it
120 GALLO, ibidem, p. 347.
33
non a nulla a che vedere con le liste di mobilità previste dalle leggi n. 223/91 e 236/93.121
14.4 L'Accordo 12 febbraio 2009
La concessione per l'anno 2009, in deroga alla normativa vigente, di trattamenti di Cassa
Integrazione guadagni e di mobilità a lavoratori esclusi dalla normativa generale sugli
ammortizzatori sociali (L. n. 223/1991 e successive modificazioni) trova riscontro
normativo nell'art. 19 della L. n. 2/2009 e nell'art. 7-ter della L. n. 33/2009.
La legge finanziaria 2009 rilancia lo strumento degli ammortizzatori in deroga per un
ulteriore anno, e innova l'istituto escludendo che gli accordi in sede governativa debbano
recepire intese già stipulate in sede istituzionale territoriale.
L'accordo 12 febbraio 2009 prevede la compartecipazione delle Regioni al finanziamento
dei trattamenti, e una regolamentazione a fonti plurime e di rango anche regionale. In
questo modo viene ribaltato l'assetto centralistico dell'istituto.122 Possiamo dire infatti che
l'unica disposizione statale della disciplina è l'art. 19, co. 8, della L. n. 2/2009, che afferma
che le risorse destinate al finanziamento degli ammortizzatori in deroga “possono essere
utilizzate con riferimento a tutte le tipologie di lavoro subordinato, compresi i contratti di
apprendistato e somministrazione”.123
Quindi, gli specifici accordi governativi hanno ora esclusivamente la funzione di ripartire le
risorse per il finanziamento degli ammortizzatori. In capo alle Regioni viene spostata
l'individuazione puntuale dei beneficiari degli interventi e dei requisiti per l'accesso agli
ammortizzatori in deroga, nonché la concessione degli stessi. Le Regioni e le Parti Sociali
risultano così investite di un ruolo normativo.
Bisogna tenere presenti tre linee di accordi per configurare l'istituto: a) tra lo Stato e le
Regioni, secondo il disposto dell'art. 2, co. 36, L. n. 203/2008; b) tra le Regioni e le Parti
Sociali, ai sensi dell'accordo tra Governo, Regioni e Province Autonome sottoscritto in data
12 febbraio 2009 in sede di Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome; c) tra le
singole Regioni e l'Inps, ai sensi degli accordi tra lo Stato e le singole Regioni di cui al
precedente punto a).124
Al primo accordo è riservata l'individuazione delle risorse finanziarie. Queste sono ripartite
121
122
123
124
Http://www.j4u.provincia.vr.it
Http://www.regioni.it
Art. 19, co. 8, L. n. 2/2009.
Http://www.nelMerito.com
34
tra fondi statali (per i due terzi) e Fondo Sociale Europeo (per un terzo).125
La determinazione degli ambiti di intervento, dei lavoratori destinatari dei trattamenti, della
durata di questi, dei requisiti e dei criteri di accesso ai benefici spetta all'accordo di livello
territoriale. Al terzo accordo è invece affidata la regolamentazione dei relativi compiti e
delle erogazioni del contributo a carico delle Regioni.
Questo sistema innovativo e peculiare si è dimostrato efficiente. A novembre 2009 tutte le
Regioni infatti risultavano aver sottoscritto sia gli accordi con lo Stato, sia quelli con le
Parti Sociali, sia quello con l'Inps.126 Nei settori come l'artigianato e il terziario,
tradizionalmente esclusi dal sistema degli ammortizzatori sociali generale, questi interventi
hanno fatto sì che le imprese del settore potessero affrontare l'impatto della crisi con minori
problemi. 127
Restano dei nodi da sciogliere. Primo fra tutti il finanziamento delle deroghe, che ha
gravato sino ad oggi sui Fondi nazionali anziché sul Fondo Sociale Europeo. Quindi il
sistema binario di finanziamento non funziona. L'attivazione delle risorse del Fondo sociale
europeo è rimasta marginale, con la conseguenza che le Regioni non si sono ritenute
vincolate a dover attivare per i lavoratori beneficiari dei trattamenti percorsi formativi o di
ricerca attiva dell'occupazione. Questa situazione si è venuta a creare a causa della grande
difficoltà di governare risorse, come quelle comunitarie da parte delle Regioni. Tali risorse
sono sottoposte a complessi sistemi di rendicontazione. La loro erogazione avviene
attraverso l'Inps e perciò, sono sottratte al monitoraggio regionale diretto. Si stanno
cercando soluzioni opportune per rimediare a questo problema.
Per quanto riguarda il rapporto con lo Stato, sarebbe utile l'individuazione di procedure
condivise di monitoraggio e rendicontazione.
In ogni caso non si può negare l'utilità e l'efficienza delle soluzioni normative del 2009,
tendenti all'universalizzazione delle tutele e al contenimento dei licenziamenti.
L'accordo Stato-Regioni del 12 febbraio 2009 ha chiarito che il sistema degli
ammortizzatori in deroga non costituisce una riforma degli ammortizzatori sociali, né una
devoluzione della funzione.128 Si è ancora in attesa di quella riforma degli ammortizzatori
sociali sempre annunciata e puntualmente rinviata.
125
126
127
128
Http://www.flccgil.it
Http://www.bancadati.italialavoro.it
Http://www.corriereinformazione.it
Http://www.statoregioni.it
35
14.5 Modello di sviluppo degli ammortizzatori in deroga
La realtà degli ammortizzatori in deroga si avvicina a un modello assistenziale, a differenza
del sistema di ammortizzatori sociali generale che si basa su un modello assicurativo.
Si pone quindi il problema di uno sviluppo razionale della solidarietà sociale.
Le soluzioni innovative dell'Accordo 12 febbraio 2009 tendono ad un'universalizzazione
delle tutele e ciò, richiede la definizione di un modello unitario.
Le imprese di settori come artigianato, commercio, terziario, godono di un vantaggio
competitivo rispetto alle aziende dell'alveo industriale. I datori di lavoro di questi settori,
infatti, non devono sostenere oneri contributivi e possono accedere comunque alle
integrazioni salariali. Il principio per il quale ciascuno è chiamato a ricevere in misura
corrispondente al contributo lavorativo conferito, è riconducibile all'idea di equità e
all'obiettivo della valorizzazione della responsabilità individuale e viene applicato solo in
parte.129
Ci si chiede se il modello assicurativo debba continuare a costituire la struttura portante
della riforma futura. Da notare che in questo modello sono confluiti i regimi mutualistici
privati, alimentati dagli enti bilaterali. In una prospettiva di rafforzamento delle forme di
previdenza complementare, è ragionevole promuovere e sostenere questi enti.
Tuttavia è necessario chiarire il rapporto tra previdenza pubblica e mutualità privata.
Attualmente tale rapporto si configura in termini di subalternità del primo al secondo. 130
Inoltre gli enti bilaterali dovrebbero attivarsi nella costruzione di un nuovo modello
contributivo.
Con gli ammortizzatori in deroga si gettano le basi dunque per una progressiva
universalizzazione delle tutele e proprio dal modello di sviluppo che si intenderà perseguire
dipenderà la praticabilità di questa via.
15. LA SOSPENSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO
In riferimento alla questione della sospensione del rapporto di lavoro, si era acceso un
dibattito in dottrina e in giurisprudenza.
Il problema principale era se la sospensione per CIG dovesse considerarsi una sospensione
del rapporto assimilabile a impossibilità sopravvenuta (in questo caso il datore di lavoro è
liberato da ogni obbligo contrattuale nei confronti del lavoratore), o se dovesse considerarsi
129 Http://www.nelMerito.com
130 Http://www.nelMerito.com
36
una sospensione del lavoro, in cui il datore è in via eccezionale legittimato a rifiutare la
prestazione e a corrispondere la relativa retribuzione.131
L'impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore, secondo il diritto
comune, estingue o riduce l'obbligazione se è definitiva, o dura fino a quando viene meno
la ragione del vincolo, e nei contratti con prestazioni corrispettive determina corrispondente
estinzione o riduzione dell'obbligazione reciproca.
La dottrina ritiene che l'obbligazione retributiva del datore di lavoro sia sempre possibile;
invece in relazione alla prestazione del lavoratore si può parlare di impossibilità
temporanea o assoluta. Quindi, se il datore di lavoro ricorre alla CIG non siamo in presenza
di un'impossibilità sopravvenuta e di conseguenza il datore di lavoro non è liberato da ogni
obbligazione nei confronti del lavoratore.132
La giurisprudenza è incentrata sul principio secondo il quale non si può attribuire al
lavoratore assente per qualsiasi titolo un vantaggio economico rispetto al lavoratore
occupato (o temporaneamente sospeso per CIG). Questo principio viene applicato a
qualsiasi fattispecie interruttiva del lavoro. Inoltre è necessario far riferimento alla regola
logica in virtù della quale, se il lavoratore è già sospeso per una causa, non è ammessa una
nuova sospensione per un'altra causa.133 Ad esempio l'impiegato che contrae matrimonio
durante la CIG, è già assente dal lavoro per una precedente causa e quindi non può invocare
la sospensione retribuita. Bisogna distinguere le fattispecie in cui il trattamento economico
delle assenze sia a carico dell'Inps o a carico del datore di lavoro, in sostituzione del
trattamento stesso di CIG.
Concludendo si può affermare che alla sospensione del rapporto (intesa quale legittimo
impedimento alla prestazione lavorativa e alla controprestazione retributiva), consegue la
mancanza di quella parte dell'obbligazione retributiva esposta integralmente a carico del
datore di lavoro.134
131 MARIA VITTORIA BALLESTRERO, Cassa integrazione guadagni e contratto di lavoro, Milano,
Franco Angeli, 1985, pp. 336-370.
132 FRANCESCO SANTORO PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, Casa Editrice Jovene,
1995, cap. IV.
133 Cass. 23 aprile 1982, n. 2522.
134 DOSSIER LAVORO, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, Gruppo 24 ORE, 2009, p. 54.
37
16. RAPPORTI TRA CIGO, CIGS, CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ, MOBILITÀ E
AMMORTIZZATORI IN DEROGA.
Per quanto riguarda i rapporti tra integrazione ordinaria e integrazione straordinaria,
l'impresa non può chiedere l'intervento straordinario per le unità produttive per le quali
abbia richiesto, per gli stessi periodi, l'intervento ordinario.
Eccezionalmente il contemporaneo ricorso alla CIGO e alla CIGS nella stessa unità
produttiva è consentito nei seguenti casi: a) quando le causali siano autonome b) in
riferimento a lavoratori diversi e diverse aree produttive c) siano presenti le condizioni di
legge previste per la specifica forma di intervento.135
Per quanto concerne le interferenze tra CIGO e mobilità, bisogna tener presente che i due
trattamenti rispondono a presupposti diversi. Per il primo intervento è richiesto il requisito
della temporaneità, mentre il secondo presuppone una dichiarazione di esubero strutturale
di personale, dunque si tratta di situazioni ben differenti e di conseguenza incompatibili.
E' invece compatibile con la mobilità l'utilizzo della CIGS.136
In riferimento ai rapporti tra CIGS e contratti di solidarietà, il cumulo dei due benefici è
ammesso se sussistono le seguenti condizioni:
•
i programmi CIGS siano esclusivamente quelli approvati per ristrutturazione,
riorganizzazione e conversione aziendale ovvero per crisi aziendale;
•
nei casi di crisi aziendale, un programma di risanamento basato su prospettive di
mantenimento dell'unità produttiva e di recupero occupazionale;
•
i lavoratori interessati ai due distinti trattamenti siano comunque diversi e, in
particolare, individuati attraverso appositi elenchi nominativi.137
Infine per quanto riguarda gli ammortizzatori in deroga, si può far ricorso a questi soltanto
dopo aver utilizzato gli ammortizzatori strutturali, ovvero quando ad essi non si possa far
ricorso o non spettino.
17. RAPPORTO TRA INTEGRAZIONI SALARIALI E ALTRI ISTITUTI
La Costituzione, all'art. 36, enuncia che al prestatore di lavoro devono essere assicurati per
sé e per la propria famiglia i mezzi minimi di sussistenza.138
135 BENIAMINO GALLO, Crisi d'impresa - Strumenti di sostegno al reddito, Trento, SEAC Editore, 2009,
p. 284.
136 DOSSIER LAVORO, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, Gruppo 24 ORE, 2009, pp. 78-79.
137 DOSSIER LAVORO, ibidem.
138 Art. 36 Cost.
38
Vi è il divieto, nei confronti del datore di lavoro, di sospendere o interrompere
arbitrariamente la propria controprestazione. Il datore però può “ridimensionare”
l'obbligazione retributiva, nel caso in cui esistano dei legittimi motivi di impedimento
all'adempimento della propria controprestazione. Ovviamente, ci sarà anche un
ridimensionamento della prestazione lavorativa (sospensione o riduzione delle ore per
intervento di CIG). In queste situazioni, previste dalla legge, le garanzie costituzionali che
stanno alla base dell'obbligazione retributiva cedono rispetto ad altri interessi giuridici,
meritevoli di tutela costituzionale.139
La dottrina sostiene che l'obbligazione retributiva abbia una valenza polifunzionale, cioè
attribuisce ad essa una pluralità di funzioni diverse. Si distinguono due differenti
obbligazioni:
➔ obbligazione sociale
➔ obbligazione nel senso di corrispettivo.140
Con l'intervento della CIG a favore del lavoratore, vi è una modifica della natura dei
rapporti di lavoro fra datore di lavoro e lavoratori: gli oneri economici del relativo
trattamento sono pagati direttamente dall'Inps.
L'anzianità di servizio dovrebbe maturare in modo regolare. I periodi di sospensione dal
lavoro non dovrebbero produrre nessun effetto quando vi è un'espressa previsione
legislativa, riguardo al “lavoro effettivo” per la maturazione di alcuni istituti.141
Il lavoratore ha diritto all'assegno per il nucleo familiare, in misura intera, durante il
periodo di sospensione dal lavoro per intervento della CIG.142
Per quanto concerne le attività di volontariato, non vi può essere il cumulo del compenso
erogato dalla Prefettura competente per l'attività di volontariato con l'integrazione salariale.
Nemmeno il compenso percepito dagli eletti a cariche di amministrazioni locali non è
cumulabile con l'integrazione salariale. Quindi il lavoratore sospeso non avrà diritto al
trattamento di CIG a carico dell'Inps, ma percepirà il compenso a carico dell'Ente locale.143
Riguardo al computo dei vari limiti numerici previsti da leggi o contratti collettivi, bisogna
distinguere tra sospensione dell'attività e riduzione dell'attività in tema di congedo
139 BRUNO CARUSO, CARLO ZOLI, LORENZO ZOPPOLI, La retribuzione, Napoli, Jovene editore,
1994, pp. 93-140.
140 CARUSO, ZOLI, ZOPPOLI, ibidem.
141 Http://www.studiocassone.it
142 Art. 6, Legge 5 novembre 1968, n. 1115.
143 INPS, circ. 12 dicembre 2002, n. 179.
39
matrimoniale. Il lavoratore che contrae matrimonio ha diritto a una o due settimane di
congedo straordinario. Nel caso di sospensione dell'attività, il lavoratore che contrae
matrimonio durante il periodo di sospensione percepisce il trattamento di CIG, mentre se il
congedo matrimoniale sia precedente alla sospensione dell'attività per CIG, il lavoratore
continuerà a beneficiare del congedo matrimoniale. Tuttavia il congedo matrimoniale
prevale sull'integrazione salariale. 144
Nel caso di riduzione dell'attività, se c'è stata programmazione della riduzione il lavoratore
percepirà il trattamento di CIG per le ore programmate di CIG e la normale retribuzione per
le altre ore; se non c'è programmazione della riduzione il lavoratore beneficia del congedo
matrimoniale.145
Durante i periodi di sospensione il lavoratore può esercitare i diritti sindacali. Ad esempio il
lavoratore sospeso può partecipare ad un'assemblea e rientrare così nel luogo di lavoro.
Relativamente al diritto alle ferie, parte della giurisprudenza afferma che il lavoratore
sospeso con l'intervento della CIG maturi il diritto alle ferie, a dunque abbia diritto al
pagamento dell'indennità sostitutiva visto il mancato godimento nel caso di specie.146
La giurisprudenza maggioritaria sostiene, invece, che il lavoratore sospeso con l'intervento
della CIG non matura il diritto alle ferie, dato che questa maturazione sussiste solo in
presenza di un servizio ininterrotto ed effettivo (un impegno lavorativo prolungato), per
recuperare le energie fisiche e psicofisiche. Questo orientamento ammette che vi possano
essere eccezioni a questo principio (come ad es. malattia, infortunio, gravidanza), ma la
sospensione del rapporto di lavoro per CIG non rientra in queste ipotesi.147
In tema di diritto allo studio, il lavoratore sospeso dall'attività per CIG, che era già assente
anteriormente alla sospensione, beneficia dei permessi richiesti; nelle more della CIG non
vi è alcun diritto del lavoratore ai permessi, e quindi il lavoratore rimarrà in CIG.
Nell'ipotesi di riduzione dell'attività, se manca la programmazione della riduzione, il
lavoratore ha diritto al permesso per studio, con conseguente pagamento della retribuzione
a carico dell'azienda; in caso contrario (se c'è programmazione della riduzione) il lavoratore
ha diritto al permesso e all'erogazione del trattamento di CIG per le ore programmate e la
normale retribuzione per le altre.148
144 INPS, circ. 23 ottobre 1992, n. 248.
145 INPS, circ. 23 ottobre 1992, n. 248.
146 Cass. 16 dicembre 1988, n. 6872.
147 Cass. 29 gennaio 1985, n. 504-505.
148 Http://www.webalice.it
40
Se il lavoratore beneficia dell'indennità sostitutiva del preavviso, imputabile ad un periodo
ricompreso nell'ambito di quello per il quale sussiste l'intervento straordinario della CIG,
non può essergli corrisposto il trattamento salariale straordinario. Questo perché in
quest'evenienza la retribuzione è assicurata dall'indennità, e presupposto per l'erogazione
del trattamento CIG è proprio la mancanza della retribuzione.149
Possiamo constatare che vi sono due orientamenti giurisprudenziali, in merito alla
questione del lavoratore licenziato che abbia percepito l'indennità sostitutiva del preavviso
e venga immediatamente assunto presso un altro datore di lavoro, il quale lo colloca in CIG.
La prima tesi sostiene che vi possa essere il cumulo dell'indennità di preavviso con
l'integrazione salariale, visto che comunque non esiste un principio di incumulabilità nel
nostro sistema.150 La seconda tesi invece argomenta l'incompatibilità tra la retribuzione
percepita dal lavoratore e il salario previdenziale, considerando il periodo di preavviso non
lavorato ma indennizzato come periodo lavorato.151
Se prima dell'inizio della CIG il lavoratore si infortuna o è vittima di una malattia
professionale che comporta un'inabilità temporanea assoluta, egli non può essere collocato
in cassa integrazione. Gli spetterà il trattamento a carico dell'Inail.
Nell'ambito del rapporto tra CIGS e malattia, la legge prevede, relativamente ai lavoratori
sospesi dal lavoro, che la CIGS “sostituisce in caso di malattia l'indennità giornaliera a
carico degli enti gestori dell'assicurazione contro le malattie”.152 Il lavoratore continua a
beneficiare della CIGS se durante la sospensione del lavoro sopravviene lo stato di malattia
(il lavoratore non deve comunicare la malattia e continua a percepire le integrazioni
salariali). Nell'ipotesi in cui la malattia sia anteriore all'inizio della sospensione dell'attività
lavorativa per CIGS, si avranno due fattispecie:
1) se non viene sospesa dal lavoro la totalità del personale in forza all'ufficio, reparto,
squadra o simili cui il lavoratore appartiene, il lavoratore in malattia continua a
percepire l'indennità di malattia;
2) se viene sospesa dal lavoro la totalità del personale anche il lavoratore in malattia
sarà destinatario della CIGS. 153
Per quanto concerne il rapporto tra CIGO e malattia, qualora l'attività produttiva è sospesa
149 INPS, msg. 12 maggio 1981, n. 9366.
150 Cass. 19 agosto 1993, n. 8766.
151 Cass. s.u. 29 settembre 1994, n. 7914.
152 Art. 4, L. n. 464/1972.
153 INPS, circ. 8 febbraio 1973, n. 50943, punto C.
41
per intervento CIG e il lavoratore percepisce il trattamento inerente, la malattia non
determina la sospensione del rapporto. In caso contrario, cioè se la malattia sussiste al
momento dell'intervento della cassa integrazione, l'integrazione salariale si sostituisce
all'indennità giornaliera. Questo si spiega in virtù del principio per il quale “non può
competere al lavoratore ammalato più di quanto è riconosciuto al lavoratore in servizio”
(art. 2110 c.c.).154 Questo vale, secondo la Suprema Corte, sia per la CIGO sia per la CIGS,
anche se la legge si riferisce solo alla CIGS.
La lavoratrice non può essere sospesa dall'inizio del periodo di gravidanza fino al
compimento dell'anno di età del bambino.155 La lavoratrice ha diritto al trattamento di
maternità, se all'inizio del periodo di maternità sia sospesa e in godimento del trattamento
di integrazione salariale.156
Per quanto riguarda le mensilità aggiuntive e i premi annui, essi non maturano durante i
periodi di sospensione del rapporto di lavoro, mentre maturano nei periodi di riduzione
dell'orario di lavoro.
I permessi annui retribuiti (PAR) per riduzione di orario e per le festività abolite, non
maturano durante i periodi di sospensione dal lavoro o di riduzione di orario con intervento
della cassa integrazione. Il periodo di cassa integrazione non rileva ai fini del computo del
periodo di prova, vista la sospensione del rapporto.157
Si applica, analogicamente, anche alla maturazione del diritto al premio di rendimento, il
principio in base al quale il diritto alle ferie non matura durante il periodo di cassa
integrazione.158
Se il lavoratore è chiamato a svolgere funzioni elettorali, il datore di lavoro non deve
corrispondere nulla al dipendente. Quest'ultimo ha diritto al trattamento di integrazione
salariale disposto dall'Inps. Tuttavia nel caso di riduzione di orario di lavoro, il datore di
lavoro deve al lavoratore le quote di retribuzione relative all'orario di lavoro prestato,
mentre rimangono a carico della CIG le restanti ore.159
In tema di scioperi, se il lavoratore che percepisce il trattamento CIG aderisce a uno
sciopero, non può esservi nessuna decurtazione dell'indennità erogata. Il lavoratore, infatti,
154 Cass. 23 aprile 1982, n. 2522.
155 D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
156 Http://www.miolegale.it
157 Http://www.inps.it
158 Trib. Monza 22 novembre 1983.
159 Http://www.filcams.cgil.it
42
è sospeso dall'attività di lavoro e non può partecipare allo sciopero “tecnicamente”. Nel
caso in cui i lavoratori occupino lo stabilimento, continuano a percepire l'integrazione
salariale, salvo che il fatto non costituisca causa diretta del prolungamento del periodo di
sospensione già programmato dall'azienda.160
Infine per quanto concerne il TFR, se l'attività è sospesa o ridotta per intervento della CIG,
si computa nel TFR l'equivalente della retribuzione che sarebbe stata erogata al lavoratore
(se avesse lavorato regolarmente). Il datore di lavoro è esonerato dall'obbligo di erogare
anticipazioni sul TFR ai lavoratori nel caso di ricorso alla CIGS per crisi aziendale.161
Relativamente al rimborso delle quote di TFR maturate durante la CIGS, esse sono a carico
del datore di lavoro.162
18. QUESTIONI CONTROVERSE
Vi sono molte questioni controverse inerenti all'istituto della Cassa Integrazione Guadagni.
Innanzitutto ci si chiede se nell'ipotesi di pendenza della domanda d'intervento della CIG, il
datore di lavoro debba anticipare ai dipendenti il trattamento di integrazione fino al
provvedimento di ammissione. Vi sono due filoni:
1) si rammenta che vi sia un obbligo da parte del datore di lavoro di anticipare ai
lavoratori la corresponsione dell'integrazione. Resta salva la possibilità per il datore
di lavoro di chiedere il rimborso all'Inps delle somme erogate. A fondamento di
questo orientamento sta il principio in virtù del quale, è il datore che sceglie
(unilateralmente) di ricorrere alla cassa e quindi da questo deriva l'obbligo di
erogare la retribuzione ai dipendenti. Se la domanda di ammissione è rigettata, le
somme anticipate si considerano parte della retribuzione. Non viene meno, per il
datore, l'obbligo di corrispondere la retribuzione ai dipendenti nel caso di
presentazione all'Inps della domanda di integrazione salariale.163
2) Il secondo filone sostiene, invece, che non sussiste alcun obbligo del datore di
lavoro di anticipare ai propri dipendenti il trattamento di integrazione salariale, visto
che il datore di lavoro non può essere designato come mandatario ex lege prima del
provvedimento di autorizzazione. Di conseguenza, il lavoratore non può far valere
nessun diritto all'integrazione nei confronti del datore. Con l'emanazione del
160 INPS, circ. 15 settembre 1979, n. 52020 GS.
161 Art. 4, co. 3, L. n. 297/82.
162 DOSSIER LAVORO, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, Gruppo 24 ORE, 2009, pp. 68-69.
163 Cass. 9 luglio 1983, n. 4658, Cass. 16 maggio 1984, n. 3500, Cass. 18 giugno 1998, n. 6111.
43
provvedimento amministrativo sorge il diritto all'integrazione salariale. E'
necessario ribadire, che l'intervento della CIG è considerato una causa di
impossibilità temporanea sopravvenuta, e secondo i principi di diritto comune, essa
è l'unica causa che libera l'imprenditore dal vincolo retributivo.164
Altro tema, al centro di un acceso dibattito, è quello relativo alla validità di alcune norme
contrattuali che sanciscono l'obbligo del datore di lavoro di integrare al lavoratore il
trattamento economico corrisposto dalla CIG, fino al raggiungimento della normale
retribuzione da essi percepita. La giurisprudenza prevalente non riconosce tale diritto al
lavoratore (mentre parte della giurisprudenza ritiene valevole l'opposto), in virtù del fatto
che la CIG modifica la natura dei rapporti di lavoro fra datore di lavoro e lavoratori sospesi,
visto che gli oneri economici del trattamento sono a carico dell'Inps.165
Un altro argomento concerne le conseguenze del mancato intervento della CIG. Qui vale il
principio secondo il quale il dipendente sospeso dal lavoro, quando la domanda di
ammissione al trattamento non venga accolta, può contestare la legittimità della
sospensione dell'attività lavorativa. Il lavoratore può far valere il suo diritto all'intera
retribuzione e anche il risarcimento dei danni, qualora si ribadisca l'esistenza di
un'impossibilità della prestazione derivante da causa imputabile al datore di lavoro.166
Una questione decisamente controversa, è quella inerente alla sussistenza o meno
dell'obbligo del datore di lavoro di erogare la retribuzione ai dipendenti, che non sono
ammessi al trattamento di integrazione salariale, in quanto licenziati o dimessi durante il
periodo di sospensione del lavoro. L'Inps ritiene che il diritto all'integrazione salariale
sussista fino alla data dell'eventuale risoluzione del rapporto, in quanto escludere i
lavoratori dimissionari dalla CIG sarebbe in contrasto con i fini dell'istituto, perché
comporterebbe l'inerzia del dipendente sospeso dal lavoro e ammesso all'integrazione
salariale.167
Concludendo va menzionato l'ultimo problema, solo in parte risolto. Esso concerne i criteri
di scelta dei lavoratori da collocare in Cassa Integrazione. Bisogna far riferimento alla
sentenza n. 964/1988 della Corte Costituzionale, che sancisce alcuni principi in merito alla
questione:
a) il potere di scelta dei lavoratori da collocare in cassa spetta all'imprenditore che
164 Cass. 17 novembre 1980, n. 6130, Cass, s.u. 10 ottobre 1994, n. 8275.
165 Cass. 9 febbraio 1982, n. 798.
166 Cass. 9 febbraio 1982, n. 798.
167 INPS, circ. 18 ottobre 1984, n. 212.
44
deve esercitarlo in base a valutazioni pubbliche e sindacali, e non in modo
arbitrario;
b) l'imprenditore deve tener conto degli interessi dei lavoratori;
c) il potere dell'imprenditore incontra limiti esterni e interni. Il limite interno è
rappresentato dalla coerenza delle scelte imprenditoriali; un limite generale è il
rispetto dei doveri di correttezza e di buona fede oggettiva. I limiti esterni
riguardano il divieto di discriminazioni;
d) i criteri di scelta devono essere controllabili e verificabili ex post;
e) il criterio di “rotazione” non va applicato indiscriminatamente.168
Altri giudici ritengono che debbano essere applicati, invece, i criteri di scelta stabiliti dalla
Legge 23 luglio 1991, n. 223. Questa legge disciplina i licenziamenti collettivi per
riduzione di personale, ed è incentrata sui seguenti criteri: a) esigenze tecniche e produttive
b) anzianità di servizio c) carichi di famiglia.169
19. RAPPORTI DI LAVORO EX LEGGE BIAGI E INTEGRAZIONI SALARIALI
Con il D.lgs. n. 276/2003 nascono nuove tipologie di contratti di lavoro nel nostro
ordinamento.
L'Inps ha dato spiegazioni, relativamente al rapporto tra queste nuove forme di contratto di
lavoro e le integrazioni salariali.
Riguardo al contratto di somministrazione (il contratto tramite il quale viene regolata la
fornitura di prestatori di lavoro dall'impresa di somministrazione all'impresa utilizzatrice
per il soddisfacimento di esigenze di quest'ultima), le agenzie di somministrazione non
sono ricomprese tra le aziende destinatarie delle integrazioni salariali (salvo le ipotesi di
accesso ai trattamenti in deroga previsti dall'art. 19 L. n. 2/2009).170
Con il distacco un datore di lavoro mette a disposizione temporaneamente a un altro
soggetto uno o più lavoratori, per soddisfare un proprio interesse.171 Il lavoratore distaccato
rimane dipendente dell'azienda di origine e, quindi, non è destinatario delle integrazioni
salariali dell'azienda presso cui è distaccato.172
Il contratto di lavoro ripartito si configura quando due lavoratori assumono in solido
168 Cort. Cost. 23 giugno 1988, n. 694.
169 Legge 23 luglio 1991, n. 223.
170 Artt. 20-28 D.lgs. n. 276/2003.
171 Art. 30 D.lgs. n. 276/2003.
172 Http://www.webalice.it
45
l'adempimento di un'unica obbligazione lavorativa.173 Questi lavoratori sono assimilati ai
lavoratori a tempo parziale e, dunque, la prestazione verrà divisa nel caso di pagamento
delle integrazioni salariali.174
Il contratto di inserimento ha come scopo quello di realizzare l'inserimento o il
reinserimento nel mercato del lavoro di specifiche categorie di lavoratori. 175 A questo
contratto si applica, in quanto compatibile, la disciplina del lavoro a tempo determinato. I
lavoratori assunti con questo tipo di contratto possono essere destinatari delle integrazioni
salariali.176
Per quanto concerne il contratto di apprendistato, bisogna ricordare che il D.lgs. n.
276/2003 ha previsto tre tipologie di apprendistato. Gli apprendisti non sono ricompresi tra
i destinatari delle integrazioni salariali. Questa regola non vale in riferimento ai trattamenti
in deroga introdotti nel 2009.177
Relativamente al lavoro a progetto, i collaboratori coordinati e continuativi a progetto sono
esclusi dai benefici delle integrazioni salariali, vista la loro non “subordinazione”.178
Per quanto riguarda il lavoro occasionale, è utile precisare che le prestazioni occasionali
non hanno una durata superiore a trenta giorni e il loro compenso non supera i 5000 euro. 179
Il lavoratore occasionale non è un lavoratore subordinato e, quindi, non può beneficiare
delle integrazioni salariali. Si definiscono prestazioni accessorie, le attività lavorative di
natura occasionale svolte nell'ambito di lavori domestici; lavori di giardinaggio, pulizia e
manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti; insegnamento privato supplementare;
manifestazioni sportive, culturali, fieristiche e di lavori di emergenza o di solidarietà anche
in caso di committente pubblico; di attività agricole di carattere stagionale effettuate da
pensionati, da casalinghe, da giovani;...180
La L. n. 33/2009 ha disposto che le prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese nel
limite massimo di 3000 euro per anno solare (in tutti i settori produttivi), da chi percepisce
prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. Il limite è che i beneficiari di
questi trattamenti abbiano sottoscritto apposita dichiarazione di immediata disponibilità al
173 Artt. 41-45 D.lgs. n. 276/2003.
174 DOSSIER LAVORO, Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, Gruppo 24 ORE, 2009, p. 84.
175 Artt. 54-59-bis D.lgs. n. 276/2003.
176 INPS, circ. 6 ottobre 2006, n. 107.
177 INPS, circ. 5 aprile 1955, n. 446GS.
178 DOSSIER LAVORO, ibidem, p. 85.
179 Art. 61, co. 2, D.lgs. n. 276/2003.
180 Artt. 70-74, D.lgs. n. 276/2003.
46
lavoro, o a un percorso di riqualificazione professionale. L'Inps, con una propria circolare,
ha consentito il cumulo delle prestazioni integrative del salario con i redditi derivanti da
lavori accessori entro il limite di 3000 euro per anno solare.181
Infine, rimane da analizzare il contratto di lavoro intermittente, contratto tramite il quale il
lavoratore si mette, a tempo determinato o indeterminato, a disposizione del datore di
lavoro che può, rispettando un periodo minimo di preavviso, utilizzarne la prestazione
lavorativa.182 Bisogna distinguere due eventualità:
1) il lavoratore risponde alla chiamata del datore anteriormente al verificarsi della
causa, che ha determinato la richiesta delle integrazioni salariali. In questo caso, la
retribuzione persa può essere integrata (è iniziato un rapporto di lavoro a tempo
determinato). Si sostiene che la risposta del lavoratore abbia efficacia costitutiva del
rapporto di lavoro: il vincolo contrattuale per il lavoratore sorge solo nel momento
della risposta alla chiamata del datore di lavoro;
2) nel caso in cui la causa di sospensione dell'attività lavorativa sia precedente alla
chiamata del lavoratore, non può esservi alcuna integrazione della retribuzione, dato
che non esiste nessuna retribuzione persa da integrare.183
181 INPS, circ. 26 maggio 2009, n. 75.
182 Artt. 33-40, D.lgs. n. 276/2003.
183 Http://www.webalice.it
47
CAPITOLO II
IL RUOLO DEGLI ENTI BILATERALI
1. BILATERALITÀ ED ENTI BILATERALI
Fra gli strumenti di “welfare contrattuale”, che più originalmente hanno concorso a
surrogare la carenza di strumenti universalistici per la tutela del reddito, possiamo di sicuro
annoverare l'esperienza della bilateralità.
Le parti sociali possono infatti concorrere a integrare le politiche e le risorse pubbliche,
finalizzate al conseguimento di un sistema più inclusivo ed equo di protezione sociale. Un
tema, quello della bilateralità, su cui si sono formulate varie proposte, ma anche
contrapposizioni e tensioni.
Il sindacato persegue lo scopo di esercitare un condizionamento, sia sul mercato del lavoro
che sui sistemi di welfare nel loro complesso. Tale condizionamento, storicamente, ha
assunto forme di realizzazione di diverso tipo: esclusivo, bilaterale/paritetico o tripartito.
Un esempio del primo tipo si rinviene in quei paesi in cui il sindacato amministra i fondi di
assicurazione contro la disoccupazione (sistema Ghent); dunque, una gestione sindacale
tendenzialmente monopolistica.184 Esempi di amministrazione tripartita sono, invece, quelli
in cui, a fianco delle parti sociali, è stabilmente presente l'attore pubblico. Vi è poi, a metà
strada fra queste due possibilità, il modello della bilateralità o di ciò che in Francia
chiamano “paritarisme”.185 In questi casi, ad occuparsi della gestione di taluni beni di
interesse più o meno pubblico (assicurazione sociale, previdenza integrativa, formazione
professionale, ecc. ), sono le associazioni di rappresentanza delle maggiori organizzazioni
delle parti sociali.
E' necessario definire il concetto di bilateralità. Con tale termine si designa una prassi, di
origine sindacale, mediante la quale le rappresentanze dei datori di lavoro e dei lavoratori
concorrono alla gestione di importanti segmenti di welfare nazionale. Tale parola,
composta dai termini latini bi (a due) e laterale (proprio del lato) , attribuisce all'oggetto a
cui è riferita qualità di concernere due parti.
Questo termine, nel diritto sindacale, viene usato in riferimento a quei tipi di rapporti per i
184 MAURIZIO BALLISTRERI, Bilateralità e diritto del lavoro in Italia, “Diritto e pratica del lavoro” n.
48/2009, p. 2731.
185 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 258.
48
quali è opportuno che le parti sociali operino in modo congiunto su una determinata
materia.186 Nel panorama delle relazioni industriali in Italia, dopo una fase in cui si
succedevano tensioni antagonistiche e antisindacali, nascono forme di collaborazione e di
condivisione degli interessi, basate su un dialogo tra le parti sociali. Un dialogo inteso, non
nel senso di reciproca tolleranza e sopportazione, ma che ha come presupposto
fondamentale il reciproco riconoscimento delle parti, quali protagonisti indiscussi per
garantire lo sviluppo competitivo del sistema economico, in quanto portatori di interessi
rilevanti.
Caratteristica delle forme bilaterali è il principio di pariteticità, in base al quale nell'ambito
delle iniziative bilaterali, l'apporto e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti deve
essere paritario e condiviso. Quindi la bilateralità contribuisce a regolamentare il conflitto
industriale, al fine di favorire forme collaborative e partecipative, benché non sia in grado
di eliminare tale conflitto. La conseguenza è stata lo sviluppo di un sistema dinamico di
relazioni industriali, dove le parti si incontrano regolarmente.187
Per rendere concretamente operative le funzioni assegnate alla bilateralità, sono stati creati
organismi bilaterali, aventi lo scopo di conseguire quello che le parti si sono poste negli
accordi di collaborazione. Gli enti bilaterali sono enti privati, costituiti dalle associazioni
sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori di una determinata categoria professionale.
Sono costituiti liberamente, di solito in attuazione di previsioni del contratto collettivo.
Esprimono una concreta ed efficace forma di collaborazione tra capitale e lavoro, indicativa
della tendenza al superamento del modello esasperatamente conflittuale.188
Sono molto diversi per denominazione, funzione, tipologia, provenienza delle risorse e
ambito d'intervento, e costituiscono entità ben distinte dalle organizzazioni fondatrici.
Tuttavia si tratta di un'autonomia solo formale, vista la necessità, per il loro funzionamento,
del sostegno e della promozione da parte delle organizzazioni sindacali dei datori e dei
lavoratori. E' possibile individuare tre principali livelli d'autorità della bilateralità sui
processi decisionali:
1) un livello base, dove troviamo gli osservatori paritetici, che hanno il compito di
raccogliere informazioni sull'andamento di determinati fenomeni, che caratterizzano
186 Http://www.entibilaterali.va.it
187 G. S. MASSARA, Ammortizzatori sociali di fonte collettiva e fondi di solidarietà nella riforma del
welfare, Padova, Cedam, 2008, pp. 16-17.
188 GIANPIERO PROIA, Enti bilaterali e riforma del mercato del lavoro, “Il diritto del lavoro”, n. 6/2003,
pp.647-657.
49
un certo settore economico o sociale, con l'obiettivo di fornire alle parti analisi e
informazioni precise, circostanziate e qualificate;
2) un livello intermedio dove si possono collocare gli istituti, le commissioni e i
comitati paritetici. Questi hanno funzioni tecniche consultive o arbitrali e
favoriscono la regolarità degli incontri tra le parti, creando aree di condivisione e di
accordo;
3) al livello più elevato si possono porre i fondi e gli enti bilaterali, nei quali si
completa il procedimento decisionale. Le decisioni formulate vengono, infatti,
concretizzate in iniziative, riguardanti le tematiche condivise dalle parti. Questi
organismi differiscono in maniera significativa rispetto ai precedenti: hanno
autonoma personalità giuridica e sono regolati da propri statuti costitutivi, a
differenza degli organismi dei primi due livelli, caratterizzati dall'informalità;
inoltre sono completamente sufficienti sia a livello organizzativo, sia a livello
economico.189
Dunque, la bilateralità rappresenta un contributo efficace ed una risposta adeguata al
bisogno di consolidare una democrazia pluralista, in cui l'espletamento delle funzioni
sociali non può essere riservato all'apparato pubblico e alla mera amministrazione, ma deve
coinvolgere direttamente le rappresentanze sociali, che nelle società avanzate sono
costituite, innanzitutto, dalle grandi organizzazioni sindacali. Questo naturalmente è tanto
più vero per le materie economico-sociali riguardanti il lavoro, i diritti sociali e le
condizioni di vita dei lavoratori, e soprattutto non significa ridurre lo spazio della libera
negoziazione, che anzi così si accresce, dal momento che gli enti bilaterali e le loro stesse
competenze traggono radici e sostentamento dall'azione contrattuale tra le parti.
1.1 Nascita e natura giuridica
Gli enti bilaterali hanno un'antica tradizione; infatti, affondano le loro radici nella tradizione
dell'associazionismo mutualistico e cooperativistico. Si presume che l'ascendente di questi
enti siano state le casse di mutuo soccorso dell'Ottocento. 190
Quindi un'origine mutualistica, con la quale le parti sociali hanno tentato di surrogare o,
comunque, di integrare autonomamente dallo Stato, le storiche e gravi tare del sistema
189 Http://www.entibilaterali.va.it
190 DOMENICO PAPPARELLA, La bilateralità nel sistema di relazioni industriali italiane, in
“http://www.cesos.org"
50
italiano della protezione sociale. Gli enti bilaterali nascono in settori connotati dalla
discontinuità dell'impiego e dalla frammentazione produttiva, dove vi erano difficoltà
oggettive e soggettive per organizzare la rappresentanza associativa e negoziale.191
In un sistema, nel quale meno di tre disoccupati su dieci gode di una qualche forma di
ammortizzatore sociale, l'istituzione di fondi bilaterali ha mirato ad ovviare, seppur in modo
parziale, alle inaccettabili iniquità di un modello che di fatto esclude milioni di lavoratori
precari o, comunque, addetti in settori esclusi dai benefici della Cassa Integrazione e della
Mobilità.
Gli enti bilaterali vengono considerati associazioni non riconosciute e, quindi, disciplinate
dagli artt. 36 ss. del codice civile.192 L'associazione non riconosciuta ha come caratteristici, i
seguenti elementi:
a) il fine che trascende i singoli componenti;
b) l'organizzazione collettiva;
c) la costituzione di un fondo comune;
d) la mutevolezza dei componenti;
e) la rappresentanza conferita ai dirigenti.193
Tale associazione si configura come un ente collettivo, costituente un centro autonomo di
interessi, fornito di un patrimonio distinto da quello dei singoli soci e, se pur priva di
personalità giuridica, rappresenta comunque un soggetto di diritto. Essa ha un proprio
patrimonio, costituito dal fondo comune, una propria capacità sostanziale e processuale, che
esplica attraverso persone fisiche (legate da un rapporto organico e non di mera
rappresentanza volontaria degli associati), una propria organizzazione, interna e esterna,
regolata dai patti dell'accordo associativo o in difetto, ove non incompatibili, dalle norme
disciplinanti le associazioni riconosciute e le società, quali elementi integrativi di quei
patti.194
La giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., sez. lav., 6 marzo 1986, n.1502, MGL, 1986) ,
con una sentenza, non recente, ha ribadito che gli enti bilaterali possono essere configurati
come enti di fatto, dotati di autonomia ed idonei ad essere titolari di rapporti giuridici
191 CARLO CESTER, Il futuro degli enti bilaterali: collaborazione e antagonismo alla prova della riforma
del mercato del lavoro, “Lavoro e Diritto”, n. 2/2003, p. 212.
192 RICCARDO SALOMONE, Enti bilaterali e contrattazione: un nuovo modello di relazioni industriali,
“Contratti e contrattazione collettiva”, n. 5/2002, p. 81.
193 Artt. 36 ss., c.c. .
194 Cass. Civ., sez. I, 14 aprile 1986, n. 2601, MGL, 1986.
51
propri, distinti dai soggetti che ad essa hanno dato vita, e da coloro (datori di lavoro e
lavoratori) ai quali sono destinati i servizi e le prestazioni, che ne costituiscono gli scopi;
pertanto essi hanno la capacità processuale di stare in giudizio, in persona dell'organo
(presidente) che ne ha per statuto la rappresentanza legale. In tal modo la giurisprudenza li
ha assimilati alle associazioni non riconosciute; ma non ha mancato di sottolineare come
l'assimilazione non equivalga ad identità. Tra gli enti bilaterali e le associazioni non
riconosciute, infatti, è possibile individuare delle diversità, che possono ricondursi al fatto
che, mentre nell'associazione non riconosciuta, la comunanza di scopo caratterizza
direttamente e nella stessa maniera la posizione giuridica degli associati, viceversa,
nell'ente bilaterale, appare caratterizzante la presenza di due centri di interesse ben
diversificati, in quanto sindacati antagonisti.
1.2 Struttura e finalità'
Gli enti bilaterali costituiscono un sottosistema del sistema delle relazioni industriali.195
Sia in una prospettiva funzionale, sia a livello territoriale, appare un quadro molto
diversificato e complesso di questi enti. Essi sono considerati di derivazione contrattuale, in
quanto sono stati istituiti ed inseriti, con accordo tra le parti sociali (associazioni sindacali
dei datori di lavoro e associazioni sindacali dei lavoratori), nei Contratti Collettivi
Nazionali di Lavoro.196
Sono stati costituiti in settori produttivi (artigianato, edilizia, agricoltura, commercio e
turismo) tradizionalmente connotati da una forte frammentazione produttiva, da instabilità
dell'impiego, da elevata presenza di lavoro atipico e irregolare, dalla conseguente debolezza
associativa e negoziale del sindacato nei luoghi di lavoro. Aree produttive, dunque, dove
era indispensabile istituzionalizzare per via contrattuale un assetto di relazioni industriali,
con il fine di sostituire procedure della negoziazione collettiva, altrimenti agibili soltanto in
sede di conflitto permanente.
Questi enti sono ben diversi da quelle realtà presenti in Belgio, nei paesi scandinavi e, fino
a non molto tempo fa, in Israele, dove solo il sindacato dei lavoratori è istituzionalmente
dotato di forti compiti gestionali nell'amministrazione di alcuni istituti di Welfare (come
l'assicurazione in caso di disoccupazione). Inoltre si differenziano anche da quegli
195 SALVO LEONARDI, Gli enti bilaterali tra autonomia e sostegno normativo, “Giornale di diritto del l
lavoro e di relazioni industriali”, n. 103/2004, p. 444.
196 LUIGI MARIUCCI, Interrogativi sugli enti bilaterali, “Lavoro e Diritto”, 2/2003, p. 167.
52
organismi in cui è presente in maniera stabile l'attore pubblico (le sedi di concertazione
tripartita). 197
Attraverso l'esperienza relativamente collaudata degli enti bilaterali, le parti sociali e il
legislatore hanno inteso, e intendono oggi, favorire uno sviluppo di ammortizzatori sociali,
finanziati e gestiti su base mutualistica ed extra-statuale, senza che ciò comporti eccessivi
oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Un'intuizione che può concorrere, sia pure
in chiave complementare e non certo sostitutiva, ad attenuare quegli aspetti di iniquità e
inefficienza del nostro sistema, rispetto ai quali rimane invece indispensabile una revisione
strutturale e di stampo universalistico delle politiche sociali pubbliche, a cui solo il
legislatore può porre rimedio.
1.3 Livelli
Peculiare, alla tradizione delle relazioni industriali, è il modello di multi-level governance,
che caratterizza il sottosistema della bilateralità. Vi è dunque un livello nazionale, che può
essere interconfederale (artigianato; formazione), o settoriale (edilizia, agricoltura,
commercio, turismo), ed un livello territoriale, che può essere regionale (artigianato,
formazione professionale) o provinciale (edilizia, agricoltura). A quest'ultimo livello sono
ammesse ulteriori o diverse articolazioni sub-regionali, come i rappresentanti di bacino
previsti nell'artigianato.198
Si notano somiglianze con l'assetto della contrattazione collettiva, ma i due modelli si
distinguono. Nel sistema degli enti bilaterali il livello nazionale è dotato di compiti di
indirizzo e coordinamento generale. Si pensi alle Casse Edili (Cnce) e all'Ente Nazionale
dell'Artigianato (Ebna). Da sottolineare che qui il livello territoriale precede geneticamente
il livello nazionale. Nel sistema contrattuale, invece, è il livello nazionale, interconfederale
o settoriale, che svolge un ruolo primario.199
Tuttavia ci sono anche enti bilaterali che esistono solo a livello nazionale.
Accanto agli enti bilaterali indicati, esistono anche enti introdotti da provvedimenti
legislativi o da accordi non unitari come, ad esempio, i fondi previdenziali o quelli
interprofessionali.
197 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, pp. 289-316.
198 LAURALBA BELLARDI, Contrattazione territoriale ed enti bilaterali: alcune osservazioni, “Lavoro e
Informazione”, n. 1/1997, p. 21.
199 ALBERTO TAMPIERI, L'accordo nel settore artigiano per assetti contrattuali e enti bilaterali, “Guida al
Lavoro”, n. 9/2006, pp. 96-102.
53
1.4 Funzioni tradizionali della bilateralità'
Gli enti bilaterali hanno svolto tradizionalmente sul territorio una serie di funzioni:
a) la mutualizzazione di alcuni obblighi retributivi derivanti dal contratto di lavoro
(ferie, tredicesima mensilità, anzianità professionale, ecc.);
b) la gestione mutualistica di prestazioni integrative di Welfare (sostegno al reddito in
caso di disoccupazione temporanea, previdenza integrativa, ecc.);
c) la formazione professionale;
d) servizi sociali supplementari (abbigliamento di lavoro, soggiorni turistici, borse di
studio, cure termali, ecc.);
e) la rappresentanza sindacale a livello locale e pluri-aziendale.200
a) Questa prestazione ha il fine di mutualizzare alcune prestazioni, che altrimenti non
potrebbero essere mai adeguatamente maturate, restando monetizzate o pagate solo in parte,
o nella peggiore delle ipotesi per nulla. Ne sono esempi il trattamento economico per ferie e
gratifica natalizia e il premio annuo per l'anzianità professionale edile (Ape). La
mutualizzazione è diffusa nel settore edile.201
b) Nel settore artigiano è previsto il sostegno al reddito dei lavoratori nei periodi di
sospensione dell'attività produttiva, e interventi anche a favore delle imprese (80% ai
lavoratori 20% alle imprese). Questo rappresenta uno degli sviluppi più significativi della
bilateralità; infatti, la diffusione nell'artigianato degli enti è dovuto anche a questi incentivi
a favore delle imprese. All'interno dell'ente bilaterale si trovano: 1) il Fondo bilaterale per la
salvaguardia del patrimonio di professionalità di lavoro dipendente e imprenditoriale; 2) il
Fondo per la rappresentanza sindacale. Scopo di questi fondi è mutualizzare gli oneri
derivanti da obblighi contrattuali.202 In edilizia ed agricoltura sono presenti modelli specifici
di sostegno al reddito, caratterizzati da una gestione pubblica. Queste forme di intervento
mirano a coprire i periodi di disoccupazione, dovuti alla tipica stagionalità del lavoro di
questi settori. In agricoltura il pilastro del modello è rappresentato dall'istituto della
disoccupazione agricola, regolato da norme di legge e gestito direttamente dallo stato.203 Si
200 MICHELE MISCIONE, Il sostegno al reddito degli enti bilaterali, “Diritto a pratica del lavoro”, n.
36/1997, p. 2578.
201 LAURALBA BELLARDI, Istituzioni bilaterali e contrattazione collettiva, Milano, Franco Angeli, 1989,
p. 170.
202 G. DE LUCIA, S. CIUFFINI, Il sistema degli enti bilaterali nell'artigianato: un'esperienza italiana al
servizio del dialogo sociale europeo, in Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del
lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Collana AdaptFondazione Marco Biagi, n. 2, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 679-693.
203 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, pp. 175-176.
54
comprende come in questo settore il ruolo della bilateralità sia più indiretto, rispetto al
settore artigiano.
c)Il Protocollo del 23 luglio 1993 prevede, per gli enti bilaterali, significativi poteri di
indirizzo in materia di contratti di apprendistato e di formazione e lavoro. La L. n. 236/1993
all'art. 9, riconosce agli organismi paritetici, costituiti delle associazioni maggiormente
rappresentative sul piano nazionale, la possibilità di stipulare convenzioni con Regioni e
Province Autonome “per l'analisi e l'approfondimento delle situazioni occupazionali locali e
lo svolgimento di indagini mirate ai fabbisogni di professionalità”.
E' solo con la L. n. 196/1997 che vengono destinate concretamente le risorse della L. n.
236/1993 a uno o più fondi nazionali, articolati regionalmente o territorialmente, aventi
configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti con la partecipazione delle parti sociali
. 204 Si vuole in questo modo finanziare piani formativi aziendali o territoriali, concordati tra
le parti sociali. La legge finanziaria 2001 stabilisce, in maniera più esplicita, la possibilità
di istituire “fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, per ciascuno dei
settori economici dell'industria, del terziario e dell'artigianato, in base ad accordi stipulati
dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente
rappresentative sul piano nazionale”. In seguito si sono costituiti, così, nuovi fondi
interprofessionali. Bisogna sottolineare che la natura formale di questi fondi non coincide
con quella degli enti bilaterali.
A livello settoriale, la formazione professionale ha portato a risultati soddisfacenti. Si pensi
alla predisposizione di moduli formativi per Cfl e apprendistato. La formazione
professionale si è rivelata, così, un solido pilastro della bilateralità.205 Al di fuori di questi
ambiti, il processo di entrata a regime degli enti bilaterali è stato lento e macchinoso.
d) A livello territoriale troviamo numerosi interventi riguardo alle prestazioni integrative
supplementari. Si tratta di solito di trattamenti di malattia, infortunio e malattie
professionali. Fra questi rientra l'assistenza sanitaria integrativa, che riguarda visite
specialistiche, protesi dentarie, ricoveri ospedalieri e cure termali. Questo tipo di intervento
è presente, maggiormente, nell'edilizia e nell'agricoltura, che non nell'artigianato.206
e) Le modalità, tramite le quali opera il sistema della bilateralità, sono: gli osservatori
204 Art. 17, L. n. 196/1997.
205 PIER ANTONIO VARESI, Azione sindacale e tutela nel mercato del lavoro: il bilateralismo alla prova,
“Diritto delle relazioni industriali”, n. 2/2004, p. 232.
206 MICHELE MISCIONE, Il sostegno al reddito degli enti bilaterali, “Diritto a pratica del lavoro”, n.
36/1997, p. 2579.
55
congiunti e, nell'artigianato i rappresentanti sindacali di bacino (Rsb). I primi sono sia
nazionali che locali e sono presenti da anni in tutti i settori; hanno una composizione
paritetica e svolgono i loro compiti su temi ad hoc: mercato del lavoro, azioni positive,
salute e sicurezza, immigrazione, inquadramento professionale. Abbiamo poi la realtà della
rappresentanza sindacale locale, per quelle aree produttive caratterizzate dalla presenza di
piccole e piccolissime imprese. Ci si riferisce, in particolar modo, al modello
dell'artigianato. L'ambito territoriale è quello del “bacino” che, di norma, coincide con gli
ambiti provinciali entro cui opera la rappresentanza associativa e negoziale delle parti
sociali. L'attività dei rappresentanti sindacali di bacino non è ascrivibile alla bilateralità in
senso stretto; possiamo dire che si configura nell'ambito dei normali assetti dialettici della
rappresentanza collettiva e negoziale del lavoro.207 E' necessario rilevare che esiste, da
sempre, la difficoltà di stabilire forme durevoli di rappresentanza sindacale nei luoghi di
lavoro in questi settori produttivi, con la conseguente difficoltà di fare iscritti fra i
lavoratori. La possibilità di realizzare forme alternative di finanziamento dell'attività
sindacale rappresenta un incentivo allo sviluppo delle diverse forme di bilateralità.
1.5 La Legge n. 30/2003 e il nuovo ruolo degli enti bilaterali
Il ruolo degli enti bilaterali risulta assai valorizzato nella Legge 14 febbraio 2003, n. 30 e
nel suo decreto attuativo (D.lgs. 276/2003).
Nella Relazione di accompagnamento al D.lgs. n. 276/2003 si afferma che il Governo,
attraverso le misure contenute nella L. n. 30/2003, si propone di incentivare lo sviluppo di
altre competenze e funzioni, affinché tali enti bilaterali possano definire la sperimentazione
di nuove tecniche regolatorie, diverse non solo dalla legge, ma anche rispetto alla stessa
contrattazione collettiva.
Le aree investite dalla bilateralità sono tre: a) la strutturazione del mercato del lavoro e la
gestione di prestazioni integrative o sostitutive rispetto al sistema generale obbligatorio di
sostegno al reddito; b) la programmazione delle attività formative e la determinazione delle
modalità di attuazione della formazione professionale in azienda, in particolar riferimento
al nuovo contratto di apprendistato; c) la funzione certificatoria dei contratti di lavoro, in
vista della prevenzione delle controversie giudiziali sul piano dell'esatta qualificazione del
contratto, nonché dei processi di esternalizzazione, in funzione di un corretto utilizzo dei
207 SALVO LEONARDI, Gli enti bilaterali tra autonomia e sostegno normativo, “Giornale di diritto del
lavoro e di relazioni industriali”, n. 103/2004, pp. 460-461.
56
contratti di somministrazione di lavoro e di appalto.208
In particolare nella L. n. 30/2003 è previsto, riguardo alle nuove funzioni degli enti
bilaterali:
•
all'art. 1, 2° comma, lett. l) che alle associazioni non riconosciute ovvero ad enti
organismi bilateri, costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai
consulenti del lavoro, nonché alle università ed agli istituti di scuola secondaria di
secondo grado, prevedendo, altresì, che non vi siano oneri o spese a carico dei
lavoratori, sono riconosciute funzioni di intermediazione nel mercato del lavoro;
•
art. 1, 2° comma, lett. m), nel punto primo, che gli enti bilaterali sono autorizzati a
costituire agenzie per il lavoro, per poter svolgere la somministrazione di lavoro;
•
art. 2, 1° comma, lett. h) che è possibile la sperimentazione di orientamenti, lineeguida e codici di comportamento al fine di determinare i contenuti dell'attività
formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro,
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche
all'interno di enti bilaterali, ovvero in difetto di accordo, determinati con atti delle
regioni, di intesa con il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali;
•
art. 5, 1° comma, lett. b) che agli enti bilaterali viene affidata la funzione di
certificazione del rapporto di lavoro;
•
art 5, 1° comma,lett. f) che si può esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione,
previsto dall'art. 410 c.p.c., innanzi all'organo preposto alla certificazione, quando si
intenda impugnare l'erronea qualificazione dello stesso, o la difformità tra il
programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli
effetti dell'accertamento, svolto dall'organo preposto alla certificazione, permangano
fino al momento in cui venga provata l'erronea qualificazione del programma
negoziale, o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede
di certificazione e il programma attuato. In caso di ricorso in giudizio, l'introduzione
dell'obbligo, in capo all'autorità giudiziaria competente, di accertare anche le
dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all'organo preposto alla
certificazione del contratto di lavoro;
208 GAETANO ZILIO GRANDI, Enti bilaterali e problemi di rappresentanza sindacale nella legge delega
n. 30/2003, “Lavoro e Diritto”, n. 2/2003, p.190.
57
•
art. 5, 1° comma, lett. g) che è attribuito agli enti bilaterali la competenza a
certificare non solo la qualificazione del contratto di lavoro e il programma
negoziale concordato dalle parti, ma anche le rinunzie e transazioni di cui all'art.
2113 c.c. A conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse.209
La L. n. 30/2003 è stata attuata dal D.lgs. n. 276/2003, e quest'ultimo è stato a sua volta
modificato ed integrato dal D.L. 6 ottobre 2004, n. 251. All'art. 2, 1° co., lett. h) il D.lgs. n.
276/2003 precisa che agli enti bilaterali spetta la funzione di regolamentazione del mercato
del lavoro, attraverso la promozione di una occupazione regolare e di qualità;
l'intermediazione nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di
attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione
professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per
l'inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione
e l'integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o
congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni
altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento.210
Possiamo dire che le nuove funzioni sembrano una forma di aggiornamento delle originarie
funzioni degli enti bilaterali. Quindi il D.lgs. n. 276/2003 mira allo sviluppo e
all'incentivazione di attività sussidiarie, rispetto alla sicurezza sociale di natura pubblica, al
sostegno alla bilateralità nel campo delle relazioni industriali, “ossia come sviluppo del
dialogo tra organizzazioni datoriali e sindacati dei lavoratori al fine di regolamentare in
maniera concordata taluni aspetti del mercato del lavoro”.211
In merito alle nuove funzioni attribuite agli enti bilaterali, si è parlato di “Modello Ghent”.
Questo sistema si è sviluppato in Belgio e successivamente nei Paesi Scandinavi e prevede
che i sindacati svolgano un ruolo da attori nel Welfare, gestendo in modo autonomo i
servizi legati al mercato del lavoro, i sussidi di disoccupazione e la formazione
professionale. Il modello ha effetti positivi: alti tassi di iscrizione e fidelizzazione al
sindacato.212
209 Legge 14 febbraio 2003, n. 30.
210 Art. 2, co. 1, lett. h, D.lgs. n. 276/2003.
211 FLAVIA PASQUINI, Il ruolo degli organismi bilaterali nel decreto attuativo della legge 14 febbraio
2003, n. 30: problemi e prospettive, in Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro.
Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Collana AdaptFondazione Marco Biagi, n. 2, Giuffrè, Milano, 2004, p. 651.
212MAURIZIO BALLISTRERI, Bilateralità e diritto del lavoro in Italia, Diritto e pratica del lavoro n.
48/2009, p. 2731.
58
Sulla base di questo quadro normativo, si sono diffuse due opposte opinioni: la prima
considera gli enti bilaterali “come una sorta di frontiera del futuro, come il modo specifico
con cui i sindacati possono rivalorizzare la loro funzione”, e la seconda, invece, li considera
come “strumento di corruzione delle stesse funzioni naturali della rappresentanza
sindacale”.
1.6 Grado di adesione
La bilateralità costituisce un'esperienza molto significativa nel nostro Paese.
Riguardo ai lavoratori iscritti ai tanti enti bilaterali esistenti, risulta difficile stabilire con
precisione il loro numero. Al centro-nord si stima che il livello di adesione sia del 60%, una
percentuale quindi elevata, mentre si raggiunge il 65% nel settore dell'edilizia. 213
Nell'artigianato, dove sono previsti interventi anche a favore delle imprese, il livello di
adesione è ancora più alto, in particolare in quelle regioni (Emilia Romagna, Veneto,
Lombardia, Toscana, Marche) dove la realtà artigiana è ben radicata. E' il caso di accennare
all'esperienza dell'Ebav (Ente Bilaterale Artigianato Veneto), le cui prestazioni sono
distribuite secondo proporzioni diverse da quelle stabilite negli accordi interconfederali
nazionali (80% ai lavoratori e 20% alle imprese). L'ente veneto infatti favorisce
maggiormente le aziende. La conseguenza è stato un tasso di adesione all'ente più elevato,
rispetto alle altre regioni (si stima una quota del 90%).214 Nel terziario (commercio, turismo
e servizi) il tasso è del 70% per il Quas, e del 50% per la Cassa Portieri. Il grado di
adesione è, invece, mediamente più basso per gli enti bilaterali che svolgono funzioni di
osservatori e di analisi dei fabbisogni formativi (intorno al 15%), e in agricoltura dove
opera il Fislaf (35%).
La copertura e la qualità degli interventi da parte di questi enti dipendono dai seguenti
fattori: a) l'entità dei contributi stabiliti dagli accordi nazionali b) il numero dei contribuenti
c) l'effettiva e tempestiva esigibilità dei versamenti d) l'efficienza gestionale delle risorse
accumulate. 215
213 SALVO LEONARDI, Gli enti bilaterali tra autonomia e sostegno normativo, “Giornale di diritto del
lavoro e di relazioni industriali”, n. 103/2004, p. 466.
214 G. DE LUCIA, S. CIUFFINI, Il sistema degli enti bilaterali nell'artigianato: un'esperienza italiana al
servizio del dialogo sociale europeo, in Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del
lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Collana AdaptFondazione Marco Biagi, n. 2, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 679-693.
215 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, pp. 50-55.
59
1.7 Copertura erga omnes delle prestazioni mutualistiche
La distinzione tra parte obbligatoria e parte economica e normativa dei contratti ha assunto,
negli ultimi tempi, una notevole importanza.
La giurisprudenza ha definito, in maniera piuttosto ambigua, cosa si intenda per parte
obbligatoria del contratto collettivo. La Cassazione distingue la parte economica, che
concerne il trattamento retributivo dei lavoratori, e la parte normativa, che è destinata a
regolamentare i rapporti individuali dei lavoratori a cui si applica il contratto; si definiscono
invece obbligatorie quelle clausole che disciplinano esclusivamente i rapporti tra le
associazioni sindacali stipulanti il contratto, creando obblighi e diritti per le parti stipulanti
e non per i singoli lavoratori.216
Rilevano due questioni: a) la qualificazione delle clausole contrattuali in materia di Enti
bilaterali; b) se dall'art. 10 L. n. 30/2003 possa discendere un obbligo di integrale rispetto
dei contratti collettivi, ossia se le clausole contrattuali, che istituiscono Enti bilaterali e
prevedono l'iscrizione e il versamento di contributi ordinari per ciascun dipendente, siano
vincolanti e quindi tutte le aziende debbano provvedere all'iscrizione e a versare
regolarmente i contributi.
Riguardo al primo quesito, si ritiene pacificamente che le clausole contrattuali in materia di
Enti bilaterali siano da considerarsi meramente obbligatorie, destinate come tali a
impegnare esclusivamente le parti contraenti.217 La definizione, di parte obbligatoria del
contratto collettivo, data dalla giurisprudenza non aiuta granché, perché queste clausole
prevedono a favore dei lavoratori iscritti una serie di prestazioni, a cui i lavoratori hanno
diritto, e quindi creano diritti per i lavoratori iscritti.
In riferimento alla seconda questione, l'art. 10 L. n. 30/2003 subordina, per alcune imprese
(artigiane, del commercio e del turismo), il riconoscimento dei benefici normativi e
contributivi “all'integrale rispetto dei contratti collettivi stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi”. Tuttavia per queste imprese, il mancato rispetto
delle norme sugli Enti bilaterali (e quindi la mancata iscrizione, il mancato versamento dei
contributi, il mancato adempimento degli obblighi imposti dal contratto collettivo), non
impedisce il godimento dei benefici contributivi e normativi previsti dalla legge (Min.
Welfare, Circ. 15 gennaio 2004, n. 4; Inps, Circ. 7 giugno 2005, n. 74; Cass. 10 maggio
216 LISA GIOMETTI, Enti bilaterali e oneri di contribuzione fra parte obbligatoria e normativa del
contratto collettivo, “Rivista critica di diritto del lavoro”, n. 2/2003, pp. 365-368.
217 Cass. 10 maggio 2001, n. 6530.
60
2001, n. 6530). Se si intendesse, infatti, nel senso di imporre l'applicazione anche delle
norme riguardanti gli Enti bilaterali, che sono enti di derivazione sindacale, la disposizione
dell'art. 10 L. n. 30/2003 si porrebbe in contrasto con i principi di libertà sindacale, e di
libertà sindacale negativa in particolare.218 La Costituzione tutela, sia la libertà di aderire ad
un sindacato, sia la libertà (negativa) di non aderire ad alcun sindacato; per cui una
disposizione di legge che imponesse l'iscrizione a un sindacato o a Enti di derivazione
sindacale, come gli Enti bilaterali, si porrebbe in contrasto con principi costituzionali (art.
39 Cost.).
Si ritiene che, sia per le aziende iscritte alle associazioni datoriali che hanno stipulato il
contratto collettivo, sia per quelle non iscritte, le clausole riguardanti gli Enti bilaterali,
obbligatorie per le prime e non vincolanti per le seconde, comunque non rilevano ai fini del
godimento dei benefici normativi e contributivi previsti dall'art. 10 L. n. 30/2003.219
Dunque il riconoscimento di questi benefici rimane subordinato alla integrale applicazione
della sola parte economica e normativa dei contratti collettivi, non di quella obbligatoria. In
questo modo si accoglie l'unica interpretazione compatibile con il nostro ordinamento nel
suo complesso. La giurisprudenza sostiene, infatti, che tra le diverse interpretazioni in
astratto possibili, si debbano privilegiare quelle che non si pongono in contrasto con la
Costituzione.
1.8 Enti bilaterali e diritto della concorrenza
Un ulteriore problema è il rapporto tra gli organismi bilaterali e gli altri soggetti concorrenti
nel mercato dei servizi (all'impiego, alla formazione, all'assistenza ecc.).
Nel campo della formazione professionale gli enti bilaterali operano godendo di un
vantaggio competitivo. Le parti sociali ed il Governo, infatti, agevolano tali enti
nell'acquisizione di risorse, destinate all'organizzazione dell'offerta di formazione
professionale. Ad esempio, sono favoriti nell'accesso ai finanziamenti europei rispetto ai
soggetti che operano liberamente sul mercato.220 Si sono sollevate obiezioni da parte del
218 MICHELE TIRABOSCHI, Il sostegno alla contrattazione collettiva e alla bilateralità nella riforma
Biagi: alcune osservazioni critiche sull'art. 10 della legge 14 febbraio 2003, n. 30, in Tiraboschi M. (a
cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.lgs. 10
settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, Collana Adapt-Fondazione Marco
Biagi, n. 2/2004, Giuffrè, Milano.
219 GAETANO ZILIO GRANDI, Enti bilaterali e problemi di rappresentanza sindacale nella legge delega
n. 30/2003, “Lavoro e Diritto”, n. 2/2003, pp. 194-195.
220 PAOLO PERULLI, CHARLES F. SABEL, Gli enti bilaterali dopo l'inizio: tre approcci a una
interpretazione operativa, “Diritto delle relazioni industriali”, n. 2/1996, p. 37.
61
sistema pubblico della formazione professionale e, in particolare, del sistema regionale.
Le Regioni si sentono surrogate nel loro ruolo dalle parti sociali, che diventano così veri e
propri partner delle istituzioni.
La L. n. 30/2003 e il suo decreto attuativo attribuiscono agli enti bilaterali rilevanti funzioni
nell'intermediazione nel mercato del lavoro, sia nella somministrazione di manodopera. Ci
sono vantaggi per tali enti anche in questi ambiti, vista la loro composizione paritetica, che
riflette gli interessi di chi cerca
e di chi offre lavoro: potranno porsi come gestori
monopolistici del servizio di intermediazione e somministrazione di manodopera, oltre che
di quello di certificazione.
In ogni caso, gli enti bilaterali dovrebbero agire nel rispetto della concorrenza, poiché non
si riconosce in capo ad essi una maggiore legittimazione istituzionale, benché le loro
funzioni siano di natura pubblica. 221
2. LA BILATERALITÀ NEL SETTORE EDILE
2.1 Il mercato del lavoro in edilizia
Il mercato del lavoro in edilizia è tradizionalmente caratterizzato da un'elevata
frammentazione produttiva, da instabilità dell'impiego a da debolezza sindacale nei luoghi
di lavoro.222 Di fronte a ciò si sono cercati rimedi regolativi.
L'esperienza della bilateralità in questo settore è stata particolarmente positiva. Si è creato
dunque un articolato assetto di relazioni industriali territoriali, che ha la funzione di
sostituire le procedure della negoziazione collettiva, altrimenti praticabili solo a condizioni
di conflittualità.
Inoltre, il mercato del lavoro edile è connotato da una forte precarizzazione e da impieghi
occasionali. Gran parte dei lavoratori sarebbe impiegata in imprese con meno di cinque
dipendenti. Si stima che una quota del 40-50% dei lavoratori edili sono impiegati in
rapporti atipici, autonomi e parasubordinati.223 In più la presenza di lavoro irregolare, in
questo settore, raggiunge tassi molto elevati, dovuti all'immigrazione extracomunitaria.
221 FRANCESCA TORELLI, La promozione degli enti bilaterali sul mercato del lavoro: una iniziativa dal
successo assicurato?, “Lavoro e Diritto”, n. 2/2003, pp. 259-260.
222 LAURALBA BELLARDI, Istituzioni bilaterali e contrattazione collettiva, Milano, Franco Angeli, 1989,
pp. 67-90.
223 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, pp. 95-97.
62
2.2 Le Casse edili: cenni storici
La prima cassa edile, la “Cassa per i sussidi di disoccupazione involontaria per gli operai
edili”, nasce l'1 aprile 1919, a seguito di un accordo sottoscritto tra il Collegio dei
capomastri e l'Associazione mutuo miglioramento fra muratori, badilanti, manovali e
garzoni di Milano.
Nel secondo dopoguerra, i sindacati rivendicavano l'esperienza di un welfare state
improntato a principi di sussidiarietà. Il Ccnl dell'edilizia del 1957 riconosce per la prima
volta “l'importanza delle finalità perseguite dalle Casse edili”, e quello del 1959 definisce il
criterio di pariteticità della contribuzione, per finanziare le Casse edili tra datori di lavoro e
lavoratori. 224
La Casse edili pertanto, “nascono e si sviluppano come enti bilaterali di mutualità ed
assistenza per i lavoratori del settore delle costruzioni, caratterizzandosi come un'esperienza
di cogestione paritetica, nata su base contrattuale, nazionale e territoriale, e poi divenuta
uno strumento rilevante di sostegno al reddito operaio”.225
Oggi tra le parti intercorrono regolari relazioni sindacali e ciò in attuazione degli accordi
interconfederali. L'esperienza della bilateralità e delle casse edili è fortemente radicata nel
territorio, soprattutto a livello provinciale.
2.3 Le funzioni sociali delle Casse edili
Il sistema degli organismi paritetici nazionali si basa su tre livelli:
1) Commissione nazionale paritetica per le Casse edili (Cnce), con compiti di
coordinamento, controllo e indirizzo delle casse edili;
2) Ente nazionale per la formazione e l'addestramento professionale nell'edilizia
(Formedil) e relative articolazioni regionali e provinciali, competenti riguardo
l'attività formativa nel settore. Le scuole edili, pilastro di tutto il sistema formativo
edile, sono coordinate dal Formedil;
3) Commissione nazionale per la prevenzione infortuni, l'igiene e l'ambiente di
lavoro.226
La Cassa edile ha funzioni nell'ambito della previdenza integrativa, dell'assistenza, della
rappresentanza associativa delle parti. L'iscrizione e la contribuzione alle Cc. Ee. è
224 LAURALBA BELLARDI, Istituzioni bilaterali e contrattazione collettiva, Milano, Franco Angeli, 1989,
pp. 161-165.
225 MAURIZIO BALLISTRERI, Sindacato e riformismo, P & M, Messina, 1991, p. 46.
226 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, pp. 104-105.
63
obbligatoria per tutte le imprese, che applicano il contratto nazionale e territoriale di lavoro,
e per tutte le imprese aderenti alle associazioni imprenditoriali stipulanti il contratto.
La giurisprudenza maggioritaria configura il mancato pagamento alla Cassa edile dei
contributi, reato di appropriazione indebita.227
Con l'iscrizione alla Cassa edile, i datori di lavoro e gli operai sono vincolati ad osservare la
contrattazione collettiva di settore.
Le prestazioni erogate dalle Casse edili sono le seguenti:
•
il trattamento economico per ferie e gratifica natalizia che le imprese accantonano
presso la Cassa edile;
•
il premio annuo per l'anzianità professionale edile (Ape);
•
il premio per l'anzianità professionale edile straordinaria (Apes);
•
l'indennità complementare di disoccupazione;
•
l'integrazione al trattamento economico nei casi di malattia e infortunio;
•
forme pensionistiche complementari;
•
prestazioni sanitarie integrative (rimborso spese dentarie, cure termali);
•
abiti da lavoro, assegni e borse studio, soggiorni estivi per i figli, ecc.228
Per quanto riguarda il finanziamento alle casse edili, il contributo è stabilito in un massimo
del 3% sugli elementi che compongono la retribuzione, ed è dovuto nella misura del 2,5% a
carico dei datori e, 0,5% a carico dei lavoratori. La quota di contribuzione, spettante
all'operaio, è trattenuta dal datore di lavoro sulla retribuzione.229
2.4 Bilateralità e rappresentanza sindacale
Per quanto riguarda i profili che ineriscono ai rapporti collettivi, è opportuno menzionare
che il settore edile si caratterizza per una debole e non durevole rappresentanza sindacale in
ciascuna unità lavorativa. L'unità produttiva è il cantiere, dove operano una molteplicità di
soggetti datoriali, e si presenta come luogo non ideale per stabili relazioni industriali. Di
conseguenza entra in gioco il livello provinciale con la contrattazione settoriale di secondo
livello.230 Attraverso le prestazioni erogate dagli organismi bilaterali, diventa possibile la
227 Cass. 21 dicembre 1991, n. 13834.
228 MICHELE MISCIONE, Il sostegno al reddito degli enti bilaterali, “Diritto a pratica del lavoro”, n.
36/1997, pp. 2577-2582.
229 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, pp. 107-108.
230 LAURALBA BELLARDI, Istituzioni bilaterali e contrattazione collettiva, Milano, Franco Angeli, 1989,
pp. 144-152.
64
nascita di rapporti fra i lavoratori e le loro rappresentanze collettive, non realizzabili
altrimenti, dato il carattere mobile dei rapporti di lavoro di questo settore.
Quindi viene a crearsi un nesso imprescindibile tra il contratto collettivo, come fonte di
regolazione, e l'ente bilaterale come organo di gestione.
3. LA BILATERALITÀ NELL'ARTIGIANATO
3.1 La contrattazione interconfederale artigiana
L'obiettivo del sindacato è quello di negoziare sempre più avanzati punti di intesa tra parti
diverse, contrapposte ma accomunate dal lavoro come valore comune.
“Il sindacato è dei lavoratori, fatto da lavoratori, a tutela e difesa del lavoro, delle
lavoratrici e dei lavoratori”. 231
Negli ultimi decenni il mondo dell'artigianato è molto cambiato: terziarizzazioni e
privatizzazioni hanno portato a modifiche nel sistema produttivo.
Il primo accordo della contrattazione interconfederale artigiana “moderna” è dell'11
dicembre 1946. Nel periodo che va dal 1943 al 1946, furono stipulati molti accordi tra Cgil
e Confindustria (almeno una trentina). In riferimento al comparto artigiano, prendendo
come esempio i contratti collettivi nazionali dell'industria, la Cgil e la CNA sottoscrivono
un'intesa Confederale per la costruzione di un sistema unitario retributivo, con una
retribuzione tripartita: minimo, contingenza, terzo elemento.232
Con l'Accordo Interconfederale del 21 febbraio 1964 vengono individuati due livelli
contrattuali: confederale e categoriale; si pone al centro il CCNL (di categoria e/o di
settore).233
Il 24 aprile 1975, la Confederazione Generale Italiana dell'Artigianato (CGIA), la
Confederazione Nazionale dell'Artigianato (CNA), la Confederazione Artigiani Sindacati
Autonomi (CASA), la Confederazione delle Libere Associazioni Artigiane Italiane
(CLAAI), e la Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL sottoscrivono l'intesa per l'adozione
del meccanismo della scala mobile e la regolamentazione dell'indennità di contingenza nel
settore dell'artigianato.234 Una novità è rappresentata dall'impegno da parte delle parti di
promuovere una Cassa Integrazione Guadagni, autonoma per il settore artigiano. In questo
231 FRANCO LAGO, 60 anni di Accordi Interconfederali nell'artigianato, (a cura di UIL), Spoleto,
Panetto&Petrelli S.p.A., 2007, p. 10.
232 Accordo Interconfederale Artigianato 11 dicembre 1946.
233 Accordo Interconfederale Artigianato 21 febbraio 1964.
234 Intesa Interconfederale 24 aprile 1975.
65
comparto si hanno ancora forti differenze retributive e normative tra i dipendenti.
L'accordo del 1983 apporta notevoli novità e cambiamenti. In tema di diritti sindacali, si
stabiliscono dieci ore di assemblea e il delegato nelle imprese con almeno otto dipendenti.
Inoltre viene istituita la Commissione Provinciale di Conciliazione per la gestione dei
licenziamenti individuali.235
Le Parti Sociali, vista la peculiarità del sistema artigiano, riscontrano nella bilateralità uno
strumento a favore dell'impresa e dei lavoratori.
Nel febbraio del 1987 viene stipulato un accordo definito “pesante”. Esso disciplina i
contratti Formazione e Lavoro e contiene il testo di una bozza di Statuto della costituzione
dell'Ente Bilaterale. L'intesa del 1987, infatti, si caratterizza sulla bilateralità. In tale
accordo si parla riguardo l'istituzione del Fondo nazionale per l'artigianato, in applicazione
della L. n. 443/85 e si enfatizza il ruolo di Artigiancassa, quale mezzo di sostegno
dell'imprenditoria artigiana. In tema di c.f.l. nascono le Commissioni bilaterali (a livello
provinciale e/o territoriale), le quali hanno il compito di rilasciare la dichiarazione di
conformità dei progetti presentati dalle imprese artigiane. Viene scritto che “... il progetto
delle imprese artigiane dovrà contenere: la qualifica e l'inquadramento d'ingresso, la durata
del c.f.l., la qualifica e l'inquadramento al termine del contratto, indicazione della
formazione teorica e pratica necessaria, eventuale struttura formativa interessata, i contenuti
dell'attività formativa teorica, prospettive occupazionali alla fine del c.f.l. . La durata del
periodo di prova è quella prevista dai contratti collettivi applicati. La durata dei c.f.l. sarà
strettamente correlata al tipo di professionalità da conseguire e sarà non inferiore a sei mesi
e non superiore ai 24 mesi...”.236
Una nuova intesa viene firmata il 21 luglio 1988, con la quale viene istituito il fondo
nazionale e regionale di sostegno al reddito, e il Delegato di bacino, una figura
intercategoriale territoriale, centrale nella tutela e rappresentanza dei lavoratori artigiani.
Inoltre si rende operativo l'Ente Bilaterale Nazionale.237
Tra il 1992 e il 1993 si ha una fase positiva, grazie alla stipulazione dell'Accordo sulla
Concertazione. Successivamente ci si trova in una fase di stallo, ancora oggi non superata,
nonostante siano stati sottoscritti altri accordi. Quell'Accordo (in seguito disdetto) resta
importante perché sono stati raggiunti grandi obiettivi: retribuzione programmata, i due
235 Accordo Interconfederale 21 dicembre 1983.
236 Accordo Interconfederale 27 febbraio 1987.
237 Accordo Interconfederale 21 luglio 1988.
66
livelli, la bilateralità contenitore di possibili Fondi specifici.238
Nel 1999 nasce ARTIFOND, il fondo per la previdenza complementare, ma diventerà
operativo solo nel 2006/2007.239 Il problema è che manca una negoziazione certa e
continuativa.
Nel 2001 si ha l'Intesa che istituisce FONDARTIGIANATO. Sia l'istituzione di
Fondartigianato che di Artifond, danno origine ad entità bilaterali e paritetiche.240
Gli accordi interconfederali sottoscritti nel 2004 e nel 2006 danno avvio a una nuova
stagione di relazioni. Viene costruito un moderno sistema di contrattazione ispirato ai
principi della sussidiarietà territoriale, del federalismo, della bilateralità e della
partecipazione.241 Le parti attribuiscono un'ampia rilevanza alla bilateralità nell'artigianato,
quale elemento fondamentale per dare risposte efficaci alle nuove esigenze dei lavoratori e
delle imprese. Un moderno sistema di relazioni sindacali è di aiuto per superare la crisi di
competitività, la caduta della produttività, la scarsa crescita, la precarietà del lavoro. Inoltre
può contribuire anche a instaurare un clima di fiducia tra le parti, presupposto per la
crescita dell'occupazione e dell'economia.
Tuttavia permane un problema spinoso: la difficoltà di applicare gli accordi. Servono rapide
intese su temi quali la previdenza complementare, gli ammortizzatori sociali e la
bilateralità.
IL Fondo sostegno al reddito non è più in grado di garantire, in futuro, un sostegno alla
imprese ed ai lavoratori sospesi. Si sono introdotti gli ammortizzatori in deroga, ma è il
sistema che va rivisto. Il tavolo ministeriale sulla riforma del sistema degli ammortizzatori
sociali è aperto da anni. Il sistema bilaterale nazionale non funziona.
Occorre che tutte le imprese aderiscano alla bilateralità (serve quindi l'universalità di
adesione). Dunque, bisognerebbe contrattualizzare prestazioni che la bilateralità eroga.
L'accordo di revisione di Fondartigianato è stato stipulato il 18 aprile 2007. Relativamente
al Fondo Formazione Interprofessionale per l'Artigianato si sono espressi pareri positivi.
All'interno del Fondo opera un Comitato di direzione, che coinvolge tutte le Parti sociali
che hanno costituito il fondo. Vi sono tre consulte: a) delle parti sociali b) delle categorie
238 FRANCO LAGO, 60 anni di Accordi Interconfederali nell'artigianato, (a cura di UIL), Spoleto,
Panetto&Petrelli S.p.A., 2007, p. 19.
239 Accordo Interconfederale 11 febbraio 1999.
240 Accordo Interconfederale 6 giugno 2001.
241 UIL, 60 anni di accordi interconfederali nell'artigianato, Spoleto, Panetto&Petrelli S.p.A., 2007, pp. 2021.
67
nazionali c) delle articolazioni regionali. L'intesa ritiene che l'attività delle articolazioni
regionali deve essere bilaterale. Viene destinata una parte delle risorse alle articolazioni,
in base al numero degli iscritti e ai progetti formativi approvati. I piani formativi sono
sottoscritti dalle parti sociali ai diversi livelli. I progetti vanno presentati alla RSU o ai
Delegati di bacino a livello territoriale per la condivisione.242
L'intesa dà un ampio spazio alle categorie nazionali, ma anche un ruolo non minore a quelle
periferiche.
Da ultimo rimangono da analizzare gli accordi interconfederali del 2008 e del 2009.
Con la sottoscrizione dell'Accordo Interconfederale del 21 novembre 2008, le Parti
confermano un modello articolato su due livelli di contrattazione: nazionale e regionale.
Se il datore di lavoro applica il contratto collettivo nazionale di lavoro, ne consegue
l'obbligo per lo stesso di applicare anche il contratto collettivo di lavoro di secondo livello.
La titolarità della contrattazione appartiene al soggetto confederale ed al soggetto di
categoria, articolati a loro volta a livello nazionale o regionale.
Nell'accordo viene attribuito un ruolo rilevante alla bilateralità, definita come “lo strumento
primario per dare risposte di sistema ad un comparto caratterizzato da una rilevante quantità
di imprese con dimensioni contenute”.243
La bilateralità può essere il fattore di sviluppo di iniziative per estendere la rappresentatività
e, quindi, favorire l'applicazione degli accordi e dei contratti collettivi nazionali e regionali.
Per un moderno sistema di welfare non può mancare l'elemento della bilateralità.
Le parti si impegnano ad affidare i compiti operativi ad un sistema di enti bilaterali
articolato su due livelli: nazionale e regionale.
Si ribadisce la necessità di realizzare un sistema specifico di ammortizzatori sociali
nell'artigianato, tema connesso alla bilateralità. La Legge 14 marzo 2005, n. 80 è molto
importante perché riconosce il ruolo sociale svolto dagli enti bilaterali. Si sottolinea che
l'esperienza dei fondi di sostegno al reddito va conservata.
Le Parti indicano la necessità di una riforma del trattamento di indennità ordinaria di
disoccupazione con requisiti normali (in caso di sospensioni del rapporto di lavoro), nel
senso di garantire a tutti i lavoratori un'indennità complessiva (quota Inps più quota E.b.),
maggiore al trattamento attualmente erogato.
Tuttavia, occorre una norma che richiami l'obbligatorietà del sistema; infatti, vista la natura
242 Accordo Interconfederale 18 aprile 2007.
243 Accordo Interconfederale 21 novembre 2008.
68
previdenziale dell'istituto, l'impresa che non aderisce all'ente bilaterale deve (in caso di
sospensione) pagare per intero la prestazione (indennità di disoccupazione più
integrazione).244
E' significativo che sia espressamente previsto che “le prestazioni e i servizi offerti dal
sistema bilaterale rappresentano, in ogni caso, un diritto contrattuale riconosciuto ai singoli
lavoratori, i quali pertanto maturano esclusivamente nei confronti delle imprese non
aderenti al sistema della bilateralità, il diritto all'erogazione diretta delle prestazioni
riconosciute attraverso modalità mutualistiche, solidaristiche o contrattuali, a carico
dell'impresa datrice di lavoro non aderente all'ente bilaterale”.245
Il successivo Accordo Interconfederale è del 23 luglio 2009. Per far fronte alla crisi, si
prevede un incremento dei minimi retributivi dei CCNL nella misura dell'1,5%. Le Parti
confermano la centralità della bilateralità e ribadiscono che i trattamenti previsti dalla
bilateralità sono vincolanti per tutte le imprese, che rientrano nella sfera di applicazione
degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali dell'artigianato.246
3.2 Gli accordi interconfederali
Nell'artigianato l'esperienza degli enti bilaterali è ben radicata e strutturata.
La bilateralità svolge una funzione primaria in questo settore, e il suo sviluppo parte dal
livello territoriale regionale. Come è stato scritto: “l'artigianato è stato il settore che ha fatto
compiere un salto decisivo alle relazioni industriali nelle piccole imprese, riformulando il
modello delle Casse edili in una diversa prospettiva, con un forte impatto sia quantitativo
ma anche regolativo”.247
Negli anni Ottanta e Novanta sono stati sottoscritti una serie di accordi interconfederali, i
quali reggono le strutture e le funzioni della bilateralità. Alle regole contrattuali è seguita un
a legislazione di sostegno, avente lo scopo di consolidare i compiti attribuiti agli enti
bilaterali.
Il primo accordo interconfederale è quello del 21 dicembre 1983. Con esso si individuano le
aree di intervento degli enti bilaterali, e viene stabilito che “ in caso di crisi strutturali di
244 UIL, 60 anni di accordi interconfederali nell'artigianato, Spoleto, Panetto&Petrelli S.p.A., 2007, pp. 119.
245 Accordo Interconfederale 21 novembre 2008.
246 Accordo Interconfederale 23 luglio 2009.
247 M. GIACCONE, La differenza della contrattazione territoriale: il caso del Veneto, in “Economia e
lavoro”, n. 37/2003.
69
settore e/o di aree territoriali o di calamità naturali dalle quali possano conseguire riduzioni
di orario di lavoro, le organizzazioni firmatarie si impegnano a promuovere, ai livelli
territoriali interessati, incontri tra le parti per la ricerca di possibili soluzioni da confrontare
eventualmente con le istituzioni pubbliche ed enti interessati per un loro coinvolgimento”.
Il livello territoriale privilegiato, da questo accordo, è quello provinciale.248
Il successivo accordo interconfederale è quello del 27 febbraio 1987, il quale specifica ed
estende le prerogative in capo agli enti bilaterali. Il livello privilegiato ora è quello
regionale. Inoltre si chiarisce la distinzione fra soci fondatori (le Oo. Ss. di Cgil, Cisl e Uil
e le Oo. Aa. Confartigianato, Cna, Casa e Claai) e iscritti (imprese e lavoratori).
Quindi le imprese per aderire agli enti bilaterali dovranno: a) disporre dei requisiti richiesti
dalla L. n. 443/85 b) essere aderenti ad una delle quattro organizzazioni dell'artigianato
fondatrici. Vengono precisati gli scopi degli enti bilaterali: a) gestire con criteri di
mutualizzazione l'erogazione delle prestazioni di malattia, maternità, infortunio; b)
promuovere corsi di formazione professionale. Questo accordo dispone anche la
costituzione del Fondo per l'Artigianato, in attuazione della L. n. 443/85.249
Un accordo importante è quello del luglio dell'88, che articola la bilateralità su due livelli:1)
la rappresentanza sindacale; vengono istituiti i rappresentanti sindacali di bacino (Rsb) e
inoltre “si istituiscono sedi permanenti di incontro e confronto fra le rispettive
rappresentanze delle parti”. 2) Sostegno alle imprese e ai lavoratori artigiani: “allo scopo di
contribuire alla salvaguardia del patrimonio professionale di lavoro dipendente e
imprenditoriale delle imprese artigiane, le parti istituiranno al livello regionale un fondo
intercategoriale, che provvederà ad erogare provvidenze per il sostegno al reddito dei
lavoratori delle imprese interessate da sospensioni temporanee delle attività causate da
eventi di forza maggiore, indipendenti dalla volontà dell'imprenditore e ad erogare
prestazioni per gli imprenditori artigiani e per il sostegno all'impresa”.
Quindi viene costituito un fondo intercategoriale a livello regionale, che sarà gestito in
maniera paritetica dalle articolazioni regionali delle Oo. Aa. e dalle Oo. Ss. firmatarie.
Vengono poi elencate le causali dell'intervento: calamità naturali; difficoltà di utilizzo delle
materie prime già acquisite, dovute a fattori esterni non legati al sistema economico
produttivo e di mercato; eventi atmosferici eccezionali che provochino danni documentati e
248 E.B.N.A., Accordi interconfederali nazionali artigianato 1983-1997, Bologna, LITOSEI s.r.l, 1997, pp. 510.
249 UIL, 60 anni di accordi interconfederali nell'artigianato, Spoleto, Panetto&Petrelli S.p.A., 2007, pp. 5998.
70
tali da richiedere la sospensione delle attività; interruzione dell'erogazione delle fonti
energetiche.
Per quanto riguarda i finanziamenti, è stabilito che le imprese dovranno contribuire al fondo
con una quantità pari a dieci ore annue di retribuzione contrattuale. Le dieci ore sono così
ripartite: otto ore destinate agli interventi di sostegno al reddito dei lavoratori e due ore ad
interventi per le imprese artigiane (ad es: ripristino del ciclo produttivo, riallocazione o
riorganizzazione dell'attività produttiva, ecc.).250
Il successivo accordo interconfederale è del 1992 e regola, principalmente, il sistema
contrattuale (principi, finalità, livelli). Nell'accordo si trova scritto che “il sistema degli enti
bilaterali è realizzato in maniera piena e generalizzata a livello regionale”, benché i livelli
della bilateralità siano due: nazionale e regionale.251 Questi accordi dimostrano che la
dimensione regionale anticipa quella nazionale, e l'originalità del modello di relazioni
sindacali del comparto artigiano. I contratti nazionali di settore hanno recepito indirizzi e
contenuti degli accordi interconfederali. Bisogna sottolineare che il sistema degli enti
bilaterali è parte integrante della struttura contrattuale, ed è dunque obbligatorio per le parti
contraenti. All'interno dell'ente bilaterale si trovano due fondi: a) il Fondo bilaterale per la
salvaguardia del patrimonio di professionalità di lavoro dipendente e imprenditoriale; b) il
Fondo per la rappresentanza sindacale. Questi fondi hanno autonomia giuridica e
gestionale, e costituiscono i mezzi economici per l'adempimento degli obblighi
contrattualmente previsti.252
3.3 L'ente bilaterale nazionale dell'artigianato (E.b.n.a.)
Successivamente all'istituzione degli enti bilaterali regionali, si colloca la nascita dell'Ente
bilaterale nazionale dell'artigianato. La sua funzione principale è coordinare, promuovere e
sostenere gli enti bilaterali dell'artigianato regionali. In particolare le sue attività sono le
seguenti:
•
coordinamento degli enti bilaterali regionali;
•
presenza e ruolo di rappresentanza nelle sedi istituzionali;
250 G. DE LUCIA, S. CIUFFINI, Il sistema degli enti bilaterali nell'artigianato: un'esperienza italiana al
servizio del dialogo sociale europeo, in Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del
lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Collana AdaptFondazione Marco Biagi, n. 2, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 683-684.
251 E.B.N.A., Accordi interconfederali nazionali artigianato 1983-1997, Bologna, LITOSEI s.r.l, 1997, pp.
61-76.
252 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 140.
71
•
interventi di solidarietà (l'ente ha un ruolo di coordinamento per quanto concerne gli
interventi di solidarietà favore delle imprese e dei lavoratori delle aree interessate
da calamità naturali);
•
formazione e aggiornamento gruppi dirigenti;
•
indagine nazionale sui fabbisogni formativi nell'artigianato;
•
raccolta e pubblicazione di accordi, normative e contratti. 253
4. GLI ENTI BILATERALI IN AGRICOLTURA
L'esperienza
della
bilateralità
in
agricoltura
è
stata
poco
soddisfacente.
Pilastro fondamentale del settore è stato l'istituto della disoccupazione agricola,
caratterizzato da una gestione pubblica. Lo Stato interveniva a governare il mercato del
lavoro; inoltre controllava e finanziava la copertura previdenziale e assistenziale.
Si era in presenza di un governo tripartito del mercato del lavoro: rappresentanze dei
lavoratori, rappresentanze dei datori di lavoro e Commissioni provinciali di collocamento.
Queste avevano la funzione di iscrivere i lavoratori per l'avviamento al lavoro, e di
approvare gli elenchi anagrafici (dai quali derivano i diritti previdenziali e di tutela dei
lavoratori agricoli). Inoltre, il Servizio contributi agricoli unificato (Scau) aveva il compito
di controllare l'iscrizione negli elenchi anagrafici e di riscuotere i contributi.254
C'era una situazione di deresponsabilizzazione dei vari soggetti a causa di questa divisione
del lavoro, con il conseguente indebolimento del controllo sull'effettiva riscossione dei
contributi stessi. All'istituto della disoccupazione agricola, si affiancava l'Enpaia, per gli
impiegati agricoli (con compiti di assistenza integrativa sanitaria e antinfortunistica), e le
Casse extra legem, definite come “diverse forme di piccola mutualità”, relative soprattutto
all'integrazione di malattia e infortunio.255
Nel corso degli anni Novanta si dà l'avvio a una serie di riforme, incentrate su un modello
basato sulla contrattazione collettiva.256
Il contratto del '98 è significativo, in quanto realizza una profonda modificazione del
253 G. DE LUCIA, S. CIUFFINI, Il sistema degli enti bilaterali nell'artigianato: un'esperienza italiana al
servizio del dialogo sociale europeo, in Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del
lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Collana AdaptFondazione Marco Biagi, n. 2, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 679-693.
254 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, pp. 175-177.
255 LEONARDI, ibidem, pp. 186-191.
256 G. ROTELLA, Collocamento, lavoro, previdenza nel settore agricolo: cosa cambia con la legge 608/96,
supplemento al n. 14 di “Agenzia Flai Cgil, nov. 1997.
72
sistema di relazioni sindacali in agricoltura. L'obiettivo è il superamento dell'istituto del
collocamento pubblico, con un insieme di strumenti e relazioni bilaterali. All'art. 5 tale
contratto afferma che i rapporti sistematici tra le parti, su temi di comune interesse, possano
svolgersi in seno ad appositi soggetti bilaterali istituiti dal contratto. Tuttavia questo
modello resta ancora sulla carta.
5. GLI ENTI BILATERALI NEL SETTORE DEL COMMERCIO, TURISMO E SERVIZI
Gli Enti Bilaterali del Terziario e del Turismo nascono nella seconda metà degli anni
Ottanta, a seguito della stipula dei rispettivi Contratti Collettivi Nazionali di settore, ed
esprimono la volontà delle organizzazioni, che rappresentano le imprese e i lavoratori, di
impegnarsi in una comune azione per sostenere i processi di sviluppo e di riorganizzazione,
sia della distribuzione commerciale e dei servizi, sia del settore turistico ricettivo, delle
agenzie di viaggio e dei pubblici esercizi.257
L'esperienza di questi enti si rivela particolarmente ampia: 19 sono gli enti bilaterali
nazionali e 90 quelli territoriali. La loro diffusione sul territorio si presenta disomogenea.
In origine nascono da esigenze formative. In seguito le loro funzioni diventano
mutualistiche-integrative dell'intervento pubblico.258
Per quanto concerne la contribuzione a tali enti, in media essa è dello 0,10% a carico dal
lavoratore e dello 0,10% a carico dell'azienda. Vale anche in questi settori il principio
secondo cui, se un'impresa non versa il contributo dovuto all'ente bilaterale, dovrà
corrispondere la somma equivalente direttamente ai suoi dipendenti.259
5.1 Il Ccnl del terziario
Il Ccnl del 20 gennaio 1999 prevede per l'ente bilaterale nazionale per il terziario diversi
compiti: il coordinamento degli enti bilaterali territoriali, la promozione di studi sui
fabbisogni di formazione, iniziative in materia di formazione continua, l'istituzione e la
gestione dell'Osservatorio nazionale, il coordinamento dell'attività degli Osservatori
territoriali, la promozione dello sviluppo di forme integrative nel campo della previdenza e
257 Http://www.unionelombardia.it
258 DOMENICO PAPPARELLA, La bilateralità nel sistema di relazioni industriali italiane, in
“http://www.cesos.org", pp. 6-7.
259 ALESSANDRO MASSIMO NUCARA, Gli enti bilaterali nel turismo dopo la riforma Biagi, in
Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazioni e proposte di
lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Collana Adapt-Fondazione Marco Biagi, n. 2, Giuffrè,
Milano, 2004, pp. 694-712.
73
dell'assistenza, ecc.
L'Osservatorio nazionale è lo strumento dell'ente bilaterale nazionale per il terziario. Le sue
funzioni sono studiare e realizzare tutte le iniziative (in materia di occupazione, mercato del
lavoro, formazione), che discendono dagli accordi tra le parti sociali. Il contratto dispone
che le stesse prerogative dell'Ebn siano svolte a livello territoriale dagli enti bilaterali
territoriali.260
5.2 Il Ccnl del turismo
Il Ccnl dispone che “il sistema degli enti bilaterali del turismo, nelle sue diverse
articolazioni, ha assunto come propria priorità lo sviluppo di un sistema di formazione
continua”, e identifica negli enti bilaterali “la sede idonea per l'esame concertato delle
relative problematiche e la promozione delle conseguenti iniziative”.
L'ente bilaterale nazionale svolge attività in materia di occupazione, mercato del lavoro,
formazione e qualificazione professionale. Il contratto prevede che gli enti bilaterali
territoriali vengano costituiti a livello regionale. Bisogna osservare come il capitolo delle
relazioni sindacali, in questo contratto, rimanga separato da quello sugli enti bilaterali.
E' presente anche in questo settore l'Osservatorio del mercato del lavoro, con il compito di
studiare le iniziative proposte dalle parti in ambito di occupazione, mercato del lavoro,
formazione.261
6. GLI ENTI BILATERALI PER LA FORMAZIONE
Dal 1993 sono presenti sul nostro territorio gli enti bilaterali per la formazione. In
quell'anno vengono stipulati i primi accordi bilaterali in materia di formazione ed enti
bilaterali. E' significativo l'Accordo Confindustria, Cgil, Cisl, Uil del 1993, nel quale si
afferma che il metodo bilaterale – attraverso gli enti appena istituiti – rappresenta il
principale “snodo operativo” del nuovo sistema.262
La L. n. 236/93, all'art. 9, riconosce agli organismi paritetici costituiti dalle associazioni
maggiormente rappresentative sul piano nazionale, la possibilità di stipulare convenzioni
260 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 208.
261 ALESSANDRO MASSIMO NUCARA, Gli enti bilaterali nel turismo dopo la riforma Biagi, in
Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazioni e proposte di
lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Collana Adapt-Fondazione Marco Biagi, n. 2, Giuffrè,
Milano, 2004, pp. 694-712.
262 Accordo Confindustria/Cgil, Cisl, Uil 1993.
74
con Regioni e Province autonome “per l'analisi e l'approfondimento delle situazioni
occupazionali locali e lo svolgimento di indagini mirate ai fabbisogni di professionalità”.263
Il Protocollo del 23 luglio '93 attribuisce agli enti bilaterali ampi poteri di indirizzo e di
verifica, in materia di contratti di apprendistato e di formazione e lavoro. Va sottolineato
che con questo accordo, per la prima volta nel nostro Paese, di dà l'avvio a un sistema di
formazione continua. Viene istituito, infatti, un fondo bilaterale.
Le azioni per la formazione professionale assumono rilievo nell'intesa del '96, denominata
“Patto per il lavoro”. In quest'accordo, si richiama il fatto che la formazione debba
diventare uno strumento primario per lo sviluppo. La riforma – si ribadisce – non deve
rivolgersi solo ai giovani ma anche a chi ha già un lavoro, attraverso l'aggiornamento e la
riqualificazione professionale.264
L'Italia prende come esempio le esperienze europee, improntate ad attribuire alla
formazione continua un ruolo fondamentale.
Gli enti bilaterali per la formazione nascono dall'accordo tra i rappresentanti delle maggiori
associazioni datoriali e da quelle dei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil. Le loro funzioni
riguardano:
•
la necessità di una migliore informazione fra le Parti sociali e gli organismi
nazionali e comunitari;
•
il coordinamento delle attività regionali, svolte da autonomi organismi bilaterali,
costituiti nell'ambito degli accordi nazionali;
•
l'analisi dei fabbisogni formativi, al fine di scovare i nuovi profili professionali che
occorreranno sul mercato del lavoro;
•
la predisposizione di moduli formativi sperimentali e non (rivolta anche ai giovani
in cerca di occupazioni o donne, disoccupati di lunga durata, portatori di handicap,
ex tossicodipendenti).265
L'accordo Confapi, Cgil, Cisl, Uil riconosce un “posto di primo piano alla formazione
professionale in un moderno sistema economico, produttivo e sociale di un Paese” e
sottolinea che “la formazione professionale non deve essere un fatto puramente economico
ma anche sociale e di primaria importanza”.266
263 Art. 9, L. n. 236/93.
264 Patto per il lavoro 1996.
265 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 234.
266 Accordo Confapi-Cgil, Cisl, Uil 1994.
75
Tutti gli accordi evidenziano la necessità di una riforma del sistema dal punto di vista
normativo e organizzativo, e del miglioramento dell'informazione e della comunicazione.
Tratto peculiare di questi organismi bilaterali, è quello di sperimentare e programmare
forme di cooperazione bilaterale – nazionale e regionale – nel campo delle politiche della
formazione professionale (orientamento, riqualificazione), e sviluppare la formazione
continua.
Particolare rilievo assume la dimensione comunitaria: “partecipare attivamente alle
politiche formative della comunità europea, sia promuovendo il ruolo del dialogo sociale e
delle strutture paritetiche, sia concorrendo ai programmi e alle azioni comunitarie”.267
L'attività degli enti bilaterali è incentrata sui moduli formativi per l'apprendistato, i contratti
formazione e lavoro (c.f.l.), la sicurezza e l'ambiente, e particolare riguardo si ha per i
soggetti “deboli” del mercato del lavoro (donne, ex tossicodipendenti, disoccupati di lunga
durata, portatori di handicap).
E' compito dell'ente nazionale coordinare le attività degli enti bilaterali regionali e stabilire
contatti con gli attori pubblici e privati nazionali.
Un punto importante è costituito dall'analisi dei fabbisogni formativi, il cui scopo è
assumere iniziative per una sistematica rilevazione dei bisogni professionali e formativi
delle imprese e dei lavoratori, al fine di orientare in modo conforme le attività formative
realizzate dal sistema della formazione professionale. 268
L'esperienza degli enti bilaterali per la formazione è stata problematica: lenta e macchinosa
è stata la loro entrata a regime.
Con riguardo alla predisposizione di moduli formativi per c.f.l. e apprendistato, i risultati
sono stati soddisfacenti. Vari progetti sono stati realizzati in tema di formazione continua
(ad es. Leonardo da Vinci).269
Difficoltà si sono trovate nell'ambito dell'analisi dei fabbisogni formativi. Hanno avuto
luogo diverse ricerche, a partire dalla metà degli anni '90, con la conseguente produzione di
un'enorme quantità di materiali relativi ai fabbisogni formativi e professionali, alle tendenze
del mercato. Il lavoro è reso difficile dalla parzialità quantitativa dei settori e dai metodi
diversi con cui queste ricerche sono state eseguite.270
267 Accordo Confapi-Cgil, Cisl, Uil 1994.
268 DARIO MISSAGLIA, ROBERTO PETTENELLO, Scuola e patti formativi territoriali, Milano, RCS
Libri S.p.A., 2001, pp. 55-60.
269 MISSAGLIA, PETTENELLO, ibidem, pp. 123-126.
270 Http://www.cnos-fop
76
L'attività degli enti bilaterali può esplicarsi facilmente in questo ambito; le parti sociali
hanno infatti indicato tali enti come il mezzo principale di questo impegno.
Vi è però un problema strutturale: il nesso tra gestione previsionale dell'occupazione e
sistema della formazione è complicato sul piano operativo. I fattori che potrebbero minare
il sistema sono: difficoltà di individuare i contenuti professionali che saranno richiesti agli
individui, la coerenza delle diverse azioni che formano la politica delle risorse umane,
l'interpretazione dei risultati dell'analisi.271
6.1 I fondi bilaterali per la formazione continua
E' con la L. n. 236/93 che si prevede la costituzione di un Fondo per la formazione
continua, gestito dalle parti sociali, che destina lo 0,30% alla formazione dei lavoratori. 272
Con questa legge si dà l'avvio a molti progetti di formazione continua, spesso promossi
dagli enti bilaterali (sono state avviate anche molte delle analisi dei fabbisogni formativi).
Sono state esperienze quantitativamente limitate. Tuttavia è rimasta la consapevolezza che
la formazione è uno scopo fondamentale della bilateralità.
Con la L. n. 196/97 si destinano le risorse a uno o più “Fondi nazionali, articolati
regionalmente o territorialmente aventi configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti
con la partecipazione delle parti sociali, per realizzare piani di formazione aziendali o
territoriali concordati tra le parti sociali”.273 Bisognerà attendere tre anni per l'emanazione
del regolamento attuativo di questa legge.
Quindi si sono costituiti i seguenti fondi:
•
Fondimpresa: Confindustria, Cgil, Cisl, Uil; raggruppa grandi e medie imprese.
•
For.Te: Confcommercio, Abi, Ania, Confetra, Cgil, Cisl, Uil; raggruppa imprese dei
settori commercio-turismo-servizi, creditizio-finanziario, assicurativo.
•
Fon.Ter: Confesercenti, Cgil, Cisl, Uil; raggruppa imprese del turismo, distribuzione
e servizi.
•
Fondo formazione Piccole e medie imprese: Confapi, Cgil, Cisl, Uil; raggruppa
piccole e medie imprese.
•
Fondo artigianato formazione: Confartigianato, Cna, Claai, Cgil, Cisl, Uil;
raggruppa imprese artigiane.
271 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 239.
272 Art. 9, L. n. 236/93.
273 Art. 17, L. n. 196/97.
77
•
Foncoop: Confcooperative, Legacoop, Agci, Cgil, Cisl, Uil; raggruppa imprese
cooperative.
•
Fondo professioni: Consilp, Conprofessioni, Confedertecnica, Cgil, Cisl, Uil.274
La Cgil ha dimostrato preoccupazione per queste nuove competenze in campo formativo
del sindacato italiano; nonostante ciò ha comunque sempre rispettato gli accordi stipulati.
L'Italia resta ancora agli ultimi posti della classifica europea, concernente il numero di
imprese che svolgono attività formative.275 Questo è un dato negativo perché nella nostra
società la conoscenza ha un ruolo sempre più rilevante.
Il sindacato dovrà svolgere un ruolo contrattuale: innanzitutto, dovrà confrontarsi con le
Regioni riguardo alla destinazione delle risorse per la formazione continua. Questo per
evitare sovrapposizioni di interventi tra i fondi e le Regioni.
7. TESTI NORMATIVI IN MATERIA DI BILATERALITÀ E AMMORTIZZATORI
SOCIALI
Di seguito si riportano i testi normativi più significativi in tema di bilateralità e
ammortizzatori sociali.
- Accordo interconfederale sull'artigianato, 21 luglio 1988
“Allo scopo di contribuire alla salvaguardia del patrimonio professionale di lavoro
dipendente e imprenditoriale delle imprese artigiane, le parti istituiranno a livello regionale
un fondo intercategoriale […] che provvederà ad erogare provvidenze per il sostegno al
reddito dei lavoratori delle imprese interessate da sospensioni temporanee delle attività
causate da eventi di forza maggiore, indipendenti dalla volontà dell'imprenditore […] ; ad
erogare prestazioni per gli imprenditori artigiani e per il sostegno all'impresa”.276
- Protocollo d'intesa interconfederale sull'artigianato, 3 dicembre 1992
4. Enti bilaterali - “Nel quadro di relazioni sindacali coerenti sia con gli obiettivi di
sviluppo e qualificazione produttiva e occupazionale delle imprese artigiane, sia con la
struttura contrattuale definita nel presente accordo, le parti convengono di costituire un
sistema di enti bilaterali paritetici articolato su due livelli, nazionale e regionale. Tale
sistema di enti bilaterali, essendo parte integrante della struttura contrattuale prevista dal
274 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 242.
275 DARE VALORE ALLE PRATICHE, Economia sociale e formazione continua per lo sviluppo del
territorio – Esperienze EQUAL in Europa, Trento, 2008, p. 110.
276 Accordo Interconfederale Artigianato 21 luglio 1988.
78
presente accordo, è obbligatorio per le parti contraenti. Esso è finalizzato all'erogazione di
prestazioni e di servizi per le imprese e i lavoratori di comune utilità per entrambe le parti,
in un quadro di trasparenza di metodi e intenti, ed è teso a valorizzare le opportunità
derivanti dall'autonomia e originalità del modello di relazioni sindacali del comparto
artigiano”.277
“All'interno dell'ente bilaterale si collocano i vari fondi, promossi dalla contrattazione
interconfederale e categoriale, che rappresentano gli strumenti economico-finanziari per
l'adempimento di obblighi contrattualmente previsti, che non possono essere adempiuti se
non attraverso i fondi stessi. Pertanto, all'ente bilaterale devono associarsi i fondi indicati
dalle parti firmatarie il presente accordo, la cui utilizzazione è contrattualmente
obbligatoria. I fondi derivano la loro specifica funzione da accordi sindacali, confederali o
di categoria, che stabiliscono degli obblighi che per le loro caratteristiche e/o finalità ne
richiedono necessariamente l'istituzione ai fini della raccolta delle relative risorse
economiche e dell'erogazione delle corrispondenti prestazioni; pertanto, i fondi non sono, in
nessun caso, sede di trattativa o di confronto tra le parti”.
“Allo stato tali fondi sono il Fondo bilaterale per la salvaguardia del patrimonio di
professionalità di lavoro dipendente e imprenditoriale e il Fondo per la rappresentanza
sindacale, costituiti ai sensi e secondo le modalità e le forme di gestione rispettivamente per
essi indicati dall'Accordo Interconfederale 21 luglio 1988”.
“[...] Questi fondi sono infatti costituiti al fine di mutualizzare gli oneri derivanti da
obblighi contrattuali che possono essere adempiuti sia attraverso il fondo che tramite
l'erogazione diretta ai singoli lavoratori da parte dell'imprenditore”.278
- Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 – Attuazione delle deleghe in materia di
occupazione e di mercato del lavoro di cui alla Legge 14 dicembre 2003, n. 30.
Art. 2, co.1, lett h)- Gli enti bilaterali sono definiti come “associazioni non riconosciute
ovvero enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di lavoro e di
prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale”.
Ad essi sono attribuite nuove funzioni: “la promozione di una occupazione regolare e di
qualità; l'intermediazione nell'incontro fra domanda e offerta di lavoro; la programmazione
di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione
professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per
277 Protocollo d'intesa sull'artigianato 3 dicembre 1992.
278 Protocollo d'intesa sull'artigianato 3 dicembre 1992.
79
l'inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione
e l'integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o di
congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro;
ogni altra attività o funzione assegnata loro”.279
- Legge 14 maggio 2005, n. 80 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto
legge 14 marzo 2005, n. 35 recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per
lo sviluppo economico, sociale e territoriale.
Art. 13 co. 8: “L'indennità ordinaria di disoccupazione è riconosciuta ai dipendenti da
imprese del settore artigiano, subordinatamente ad un intervento integrativo pari almeno
alla misura del 20% a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva o
alla somministrazione da parte degli stessi enti di attività di formazione e qualificazione
professionale, di durata non inferiore a 120 ore”.280
- Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività
Integrazione al reddito - “In una prospettiva di universalizzazione degli strumenti, la
riforma, pur prevedendo specificità di funzionamento, dovrà tendere alla progressiva
estensione e unificazione della Cassa integrazione ordinaria e straordinaria con forme di
regolazione basate sulla finalità sostanzialmente diversa che hanno le due attuali casse. La
prima tipologia è quella degli interventi a seguito di eventi congiunturali negativi e la
seconda è volta ad affrontare problemi strutturali ed eventuali eccedenze di mano d'opera”.
“Nel disegno di riforma è incluso un forte ruolo degli enti bilaterali sia allo scopo di
provvedere eventuali coperture supplementari, sia per esercitare un capillare controllo sul
funzionamento di questi strumenti nel caso di applicazioni estese soprattutto alle aziende di
minori dimensioni e alle aziende dell'artigianato”.
“Tutta la tematica della riforma sarà oggetto di concertazione. Si ritiene che la rilevanza
della riforma richieda una sede permanente di confronto e di verifica con le parti sociali per
valutarne gli effetti e apportare eventuali modifiche e integrazioni anche ai fini dell'avvio
delle successive fasi del processo riformatore”.281
- Legge 24 dicembre 2007, n. 247 – Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007
su previdenza lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché
ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.
279 Art. 2, co. 1, lett. h), D.lgs. n. 276/2003.
280 Art. 13, co. 8, L. n. 80/2005.
281 Protocollo 23 luglio 2007.
80
Comma 29 “La delega di cui al comma 28 è esercitata nel rispetto dei seguenti principi e
criteri direttivi:
[…]
“f) valorizzazione del ruolo degli enti bilaterali, anche al fine dell'individuazione di
eventuali prestazioni aggiuntive rispetto a quelle assicurate dal sistema generale;
[...]”.282
- Cgil, Cisl e Uil – Linee di riforma della struttura della contrattazione, estate 2008
“La bilateralità offre una serie di strumenti attuativi esclusivamente al servizio della
contrattazione; deve essere rafforzata e qualificata sia a livello nazionale che nei territori,
qualificandola anche sui temi del welfare contrattuale in modo da garantire la natura
integrativa”.283
- Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, 25 luglio 2008 – Libro verde
sul futuro del modello sociale “La vita buona in una società attiva”
“26. il sostegno alla bilateralità e alla partecipazione dei lavoratori agli utili d'impresa,
comprese le forme di azionariato, non potrebbe rappresentare la soluzione più autorevole e
credibile per avviare un'alleanza tra imprese e lavoratori sui temi della crescita, dello
sviluppo e della giustizia sociale? La dimensione territoriale può essere luogo di
contrattazione collettiva? Può essa consentire, attraverso la completa valorizzazione del
sistema degli enti bilaterali, la gestione condivisa dei servizi che danno valore alla persona
quali sicurezza, formazione, integrazione del reddito, ricollocamento, certificazione del
contratto di lavoro, previdenza complementare, assistenza sanitaria?”284
- Confindustria – Ipotesi di accordo, 12 settembre 2008
“E' inoltre competenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria lo sviluppo di
fondi per la gestione in forma paritetica di servizi a favore dei lavoratori in materia, ad es.,
di collocamento, ammortizzatori sociali, formazione continua, sanità integrativa, salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro, certificazione dei contratti, anche sulla base di specifici
accordi interconfederali conclusi in relazione ad un quadro normativo adeguato che assicuri
benefici fiscali ad incentivazione della creazione e del funzionamento dei fondi stessi”.285
- Confindustria, Cisl e Uil – Proposte di linee guida per la riforma della contrattazione
282 Legge 24 dicembre 2007, n. 247.
283 Cgil, Cisl e Uil – Linee di riforma della struttura della contrattazione, estate 2008.
284 Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, 25 luglio 2008 – Libro verde sul futuro del
modello sociale “La vita buona in una società attiva”.
285 Confindustria – Ipotesi di accordo, 12 settembre 2008.
81
collettiva, 10 ottobre 2008
“Il contratto nazionale può definire ulteriori forme di bilateralità, anche sulla base di
specifici accordi interconfederali conclusi in relazione ad un quadro normativo che assicuri
benefici fiscali ad incentivazione del funzionamento di servizi integrativi di welfare”.286
- Cgil – Libro verde sul welfare: tutela universale e pubblica addio, 23 ottobre 2008
“[...] La riduzione per legge delle prestazioni che il cittadino può richiedere, la
sollecitazione ai cittadini e alle loro rappresentanze sociali a “fare da sé”, individualmente
tramite le assicurazioni, o collettivamente se le parti sociali trasformeranno la bilateralità in
uno strumento sostitutivo della contrattazione per trasferire risorse contrattuali alla
copertura e gestione di servizi sociali, sanitari, assistenziali o di tutela del reddito. Insomma
l'intenzione è quella di eliminare il welfare universale per passare a un welfare
corporativo”.287
La Cgil critica duramente la bilateralità, sostenendo che è stato enfatizzato enormemente il
suo ruolo e le sue funzioni. Essa ha avuto e ha tuttora spazio solo nei limiti riconosciuti
dalla contrattazione tra le parti sociali. Secondo la Cgil si sono stravolti i risultati conseguiti
con il Protocollo del 23 luglio perché si è introdotto un modello in cui il sindacato assume
un atteggiamento “complice” con l'impresa (la quale deve avere meno obblighi di coesione
sociale). Il problema è che si assegnano, in questo modo alla bilateralità funzioni sostitutive
e non integrative, con la conseguenza del venir meno dell'universalità del sistema. Quindi le
tutele dipenderanno dal grado di disponibilità economica del singolo settore. Questo è
evidente nella riforma degli ammortizzatori sociali, visto il ruolo attribuito alla bilateralità.
Secondo la Cgil non è giusto nemmeno affidare alla bilateralità compiti concernenti il
collocamento, la certificazione dei contratti di lavoro e la gestione del contenzioso, visto
che questi sono temi estranei alla bilateralità. 288
Il risultato sarà un aggravamento delle differenze tra Nord e Sud, tra settori forti e aree
deboli e un arretramento della coesione sociale.
“Ne consegue – afferma la Cgil – che l'intero peso dell'accresciuta precarietà del lavoro si
scarichi sul sindacato, chiamato quindi non solo a farsi carico dei costi della
globalizzazione, ma anche a collocarsi fuori dall'impresa in una funzione di “emulsionante
286 Confindustria, Cisl e Uil – Proposte di linee guida per la riforma della contrattazione collettiva, 10
ottobre 2008.
287 Cgil – Libro verde sul welfare: tutela universale e pubblica addio, 23 ottobre 2008.
288 Cgil – ibidem.
82
sociale” tramite un'enfatizzazione enorme della bilateralità”.289
Infine la Cgil ribadisce l'utile ruolo integrativo e non sostitutivo della bilateralità riguardo
alle provvidenze pubbliche. L'obiettivo deve essere una riduzione delle distanze (sistema
universale).
8. LA LEGGE 2/2009 E IL RUOLO DEGLI ENTI BILATERALI
La situazione economica, che si sta attraversando, richiede al legislatore interventi
straordinari sul versante degli ammortizzatori sociali, al fine di sostenere le imprese e
tutelare il reddito dei lavoratori.
Le politiche di sostegno al mercato del lavoro si concretizzano sia mediante la concessione
di Cassa integrazione in deroga, sia della disoccupazione ordinaria, con requisiti normali e
ridotti, in deroga. Essi si affiancano ai consueti ammortizzatori già presenti nel nostro
ordinamento.
Con il decreto anticrisi, D. L. n. 185/2008, convertito nella L. n. 2/2009, il Governo ha
introdotto un'estensione degli strumenti a tutela del reddito, in caso di sospensione dal
lavoro o di disoccupazione. Infatti, l'aggravarsi delle condizioni economiche, sta
determinando forti tensioni e problematiche anche sul piano occupazionale.
L'art. 19 della citata L. n. 2/2009 modifica l'attuale disciplina degli ammortizzatori sociali,
per la gestione dei momenti di crisi di quelle aziende che non rientrano nel campo di
applicazione della Cassa Integrazione. L'art. 19 L. n. 2/2009 reca una serie di disposizioni
in materia di ammortizzatori sociali, estendendo a categorie finora escluse, gli strumenti a
tutela del reddito in caso di disoccupazione o sospensione del lavoro. Nei limiti delle risorse
stanziate, è riconosciuto l'accesso a una serie di istituti di tutela del reddito, secondo
modalità e criteri di priorità che dovranno essere stabiliti con decreto del Ministro del
Lavoro, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento
legislativo.290 In particolare, è riconosciuto l'accesso, per specifiche categorie di lavoratori:
a) all'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali (art. 19,
comma 1, lett. a)
b) all'indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti (art. 19,
comma 1, lett. b)
c) ad un trattamento, in via sperimentale, per il triennio 2009-2011, pari all'indennità di
289 Cgil – Libro verde sul welfare: tutela universale e pubblica addio, 23 ottobre 2008.
290 Art. 19, co. 3, L. n. 2/2009.
83
disoccupazione con requisiti normali per i lavoratori assunti con la qualifica di
apprendista (art. 19, comma 1, lett. c)
d) all'istituto sperimentale di tutela del reddito per i lavoratori a progetto in possesso di
determinati requisiti, previsto, in via sperimentale, per il triennio 2009-2011, e pari
al 10% del reddito percepito l'anno precedente (art. 19, comma 2).
a), b) la L. n. 2/2009 dispone la concessione dell'indennità ordinaria di disoccupazione non
agricola, con requisiti normali e ridotti, per i lavoratori sospesi per crisi aziendali o
occupazionali, e che siano in possesso dei requisiti contributivi previsti (almeno due anni di
anzianità assicurativa con almeno 52 contributi versati nel biennio precedente per
l'indennità ordinaria, ovvero anzianità assicurativa di almeno due anni e lavoro per almeno
78 giorni nell'anno precedente per l'indennità con requisiti ridotti). In entrambi i casi, la
concessione dell'indennità è subordinata all'intervento integrativo, pari almeno alla misura
del 20% dell'indennità stessa, a carico degli Enti bilaterali previsti dalla contrattazione
collettiva. La durata massima del trattamento non può superare 90 giorni. Le disposizioni
suddette non si applicano ai lavoratori dipendenti da aziende destinatarie di trattamenti di
integrazione salariale, nonché nei casi di contratti di lavoro a tempo indeterminato con
previsione di sospensioni lavorative programmate, o di contratti di lavoro a tempo parziale
verticale.291
c) Agli apprendisti con almeno tre mesi di servizio presso aziende che sospendono il
lavoratore per crisi aziendali o occupazionali, ovvero in caso di licenziamento, spetta
un'indennità pari all'indennità di disoccupazione con requisiti normali, per la durata
massima di 90 giorni nell'intero periodo di durata del contratto di apprendista. Il trattamento
è concesso subordinatamente ad un intervento integrativo, pari almeno alla misura del 20%
a carico dell'ente bilaterale.292
Il comma 4 dell'art. 19 prevede la possibilità per l'Inps di stipulare con gli enti bilaterali,
convenzioni, per la gestione dei trattamenti e lo scambio di informazioni, anche tramite la
costituzione di un'apposita banca dati. Tale banca dati avrebbe la funzione di garantire una
trasparente circolazione delle informazioni a tutti i servizi competenti (comprese le agenzie
private del lavoro), riguardo i beneficiari dei sussidi. Una banca dati del genere deve essere
una banca dati viva, non un mero elenco. Essa dovrebbe registrare non solo la percezione
dei sussidi da parte dell'Inps, ma anche tutti gli eventuali contratti tra agenzie e lavoratori.
291 Art. 19, co. 1, lett. a e b, L. n. 2/2009.
292 Art 19, co. 1, lett. c, L. n. 2/2009.
84
Tuttavia è necessario capire quale sia il modus operandi della banca dati, cioè gli incentivi e
le modalità in base ai quali le agenzie e i singoli datori di lavoro, rivolgeranno la loro
attenzione ai soggetti inclusi nella banca dati medesima.
Un punto fermo sarebbe la necessaria presenza di un forte soggetto pubblico, che operi con
procedure trasparenti e presidi determinati passaggi. Tale soggetto potrebbe anche non
svolgere alcuna azione concreta nel mercato, ma il suo compito dovrebbe essere quello di
verificare cosa fanno effettivamente le agenzie.293
A ogni buon conto va riconosciuta l'utilità e l'efficacia delle novità normative del 2009, che
hanno sin qui contribuito, in un'ottica universalistica, al notevole allargamento delle tutele
ed al contenimento della deriva dei licenziamenti.
9. IL LEGAME TRA POLITICHE ATTIVE E PASSIVE
L'art 19 precisa che i lavoratori interessati, per beneficiare del trattamento, devono
rilasciare dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o ad un percorso di
riqualificazione professionale, all'atto della presentazione della domanda.294 Quindi viene
disposto il necessario legame tra ammortizzatori sociali e politiche attive.
Le politiche attive rivestono un ruolo rilevante con interventi sul mercato del lavoro,
complementari alle politiche passive. Queste ultime hanno lo scopo di sostenere
temporaneamente il reddito dei lavoratori e si estendono automaticamente a tutti i
lavoratori, in presenza di certi requisiti. Il lavoratore perde il beneficio nel momento in cui
trova un'occupazione, quindi il beneficio stesso crea un incentivo a rimanere disoccupati.
Le politiche attive permettono di ridurre questo inconveniente. E' necessario concepire
l'attività di formazione non come condizione per poter beneficiare di un sostegno al reddito,
ma come strumento per migliorare le probabilità di trovare un lavoro.295
In base all'art. 19, al lavoratore viene chiesta solo la sua dichiarazione di immediata
disponibilità alla partecipazione, non gli si chiede la preventiva partecipazione ad un
percorso formativo o ad un'altra iniziativa di politica attiva. Saranno i pubblici poteri che
dovranno attivarsi con proposte concrete.
In altri Paesi la logica è ben diversa. Non è la politica attiva a seguire quella passiva, ma al
293 PAOLO SESTITO, Ammortizzatori e offerta congrua di lavoro: come valorizzare le novità, in “Bollettino
Adapt”, 5 marzo 2009, n. 7.
294 Art. 19, co. 1-bis, L. n. 2/2009.
295 GIULIO DE CAPRARIIS, Mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, Bologna, il Mulino, 1999, pp.
260-265.
85
contrario, la politica passiva costituisce il beneficio per la partecipazione a percorsi di
reinserimento lavorativo. Il principio di condizionalità così risulta capovolto, e si potrebbe
esemplificare in questo modo: “tu fai qualcosa di utile per la tua occupabilità, e io di
conseguenza, ti sostengo economicamente nel tuo percorso”.296
L'ordinamento danese, con il suo modello di flexicurity, ne costituisce un esempio. Questo
sistema è universale e eroga sussidi molto alti; si prevedono sanzioni per i lavoratori che
rifiutino di collaborare ai processi di riqualificazione professionale e di ricerca del lavoro,
esercitando così una forte pressione sull'individuo nei programmi di attivazione alla ricerca
di nuovi percorsi di reinserimento nel mercato del lavoro.297
Concludendo possiamo affermare che ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro
sono i due punti cardini da cui partire, due leve, la prima passiva e la seconda attiva, su cui
puntare tutte le risorse raccolte per il fondo sostegno al reddito dei lavoratori.
La priorità sarà lavorare alla salvaguardia del sistema economico, della produttività delle
imprese e conservazione del posto di lavoro/riqualificazione professionale. Questi ultimi
strumenti saranno indispensabili al fine di uscire dalla crisi economica che attanaglia il
nostro Paese.
10. IL SISTEMA GHENT
Il sistema Ghent (o Gand, dal nome della cittadina fiamminga dove nacque nel lontano
1901) caratterizza Paesi come Svezia, Finlandia, Danimarca, Belgio.
Si tratta di un peculiare regime di assicurazione, che protegge i lavoratori in caso di perdita
dell'occupazione. Il sistema prevede un programma volontario di adesione, finanziato dallo
Stato e in minima parte dagli associati; la sua gestione compete alle organizzazioni
sindacali. Pilastro fondamentale del modello è il sostegno statale, tramite la fiscalità
generale. Quindi i fondi vengono finanziati con in contributi dei lavoratori in modo ridotto.
Inoltre sono previste ulteriori forme di assicurazione collettive in caso di malattia e
vecchiaia.298
La persona disoccupata , che percepisce il beneficio, dovrà attivarsi alla ricerca di un
lavoro, e sarà obbligata ad accogliere offerte di lavoro congrue. Intanto il soggetto
disoccupato dovrà svolgere gratuitamente attività di formazione e riqualificazione
296 SERGIO VERGARI, Ammortizzatori sociali, Regioni e politiche attive del lavoro, in
“http://www.nelMerito.com”, 4 dicembre 2009.
297 M. CINELLI, G. FERRARO, Lavoro, competitività, welfare, Torino, UTET, 2008, p. 525.
298 SALVO LEONARDI, Sindacati e welfare state: il sistema Ghent, in “Italianieuropei” n. 3/2005.
86
professionale.
Bisogna sottolineare che la percentuale di spesa sociale nei Paesi nordici è la più elevata, a
livello di comparazione, fra tutti i paesi dell'Ocse e dell'Ue.
I riflessi di questo sistema sulla sindacalizzazione sono positivi. I sindacati acquisiscono
notevoli rendite di posizione. Fra sindacato e welfare si instaura un particolare nesso, per
cui il primo viene a godere di indiscutibili benefici. Esso infatti, amministrando i fondi
assicurativi, rivolta a proprio vantaggio la disoccupazione, che incombe sia sul lavoratore
dipendente, sia sul sindacato che lo affilia. Non sorprende dunque che i sindacati di questi
paesi abbiano un alto numero di iscritti.299 Quanto più alto è il rischio per la propria
occupazione, tanto maggiore diviene la propensione a rivolgersi al sindacato e ai suoi fondi
assicurativi. Da ciò consegue la crescita della scelta di affiliarsi sindacalmente. Si tratta di
un artificio un po' burocratico e parastatale del sistema Ghent.300
Non mancano gli aspetti negativi di questo modello. Primo tra tutti il ruolo del sindacato,
che non si mostra attivo, vitale, ma anzi dovrebbe essere maggiormente conflittuale.
Inoltre rileva il fatto che il sistema si regga su una volontà politica di salvaguardare quote
rilevanti di potere sociale a favore delle organizzazioni sindacali. Questo sembra rischioso
se si ipotizzano ripensamenti da parte dello Stato. Tuttavia finora il sistema ha retto la
politica sociale dei Paesi nordici, e non si presume una rottura dell'ordine politico costituito.
11. IL PARITARISME ALLA FRANCESE
Il modello francese di welfare è chiamato “paritarisme”, e caratteristico di tale sistema è il
rilevante ruolo esercitato dalle parti sociali nella gestione degli istituti dello Stato sociale.
Alla base di questi istituti si trovano i grandi accordi interconfederali e nazionali.301
Il modello francese è di tipo “continentale”, dove lo Stato viene ad assumere un ruolo
complementare. Bisogna sottolineare che esso rappresenta uno dei sistemi di sicurezza
sociale più strutturati d'Europa.302
Caratteristici dello Stato francese è il suo interventismo in materia sociale e un sindacato
protagonista nelle politiche sociali. Oggi la Francia destina ben il 29,7% del proprio PIL
299 MAURIZIO BALLISTRERI, Bilateralità e diritto del lavoro in Italia, Diritto e pratica del lavoro n.
48/2009, p. 2731.
300 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 265.
301 Http://www.italianieuropei.net
302 MARINELLA SIBILLA, Sistemi comparati di welfare, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 102.
87
alla spesa sociale.303
Il sistema dell'assistenza previdenziale e sanitaria si presenta però frammentato, vista la
complessa
articolazione
intercategoriale
(dipendenti
pubblici,
privati,
autonomi
nell'industria e nel commercio, nell'artigianato, nell'agricoltura, nelle professioni) e infracategoriale (dirigenti, quadri, operai).
Vi sono quattro fondi nazionali (ciascuno a sua volta articolato regionalmente):
1) Agenzia centrale degli organismi della sicurezza sociale (Acoso)
2) Cassa nazionale malattie (Cnam)
3) Cassa nazionale assicurativa per le pensioni (Cnav)
4) Cassa nazionale per sostegno alle famiglie (Cnaf).304
La storia degli enti bilaterali francesi presenta ripetutamente scontri fra le parti, relativi alla
composizione interna di tali organismi. Periodicamente il legislatore è intervenuto per
sostenere il carattere paritetico o maggioritario.
Anche nel campo della formazione professionale alle parti sociali spettano autonomi
compiti sia negoziali che gestionali. La formazione professionale è intesa come mezzo di
“garanzia sociale”, che affonda le sue radici nella negoziazione collettiva e nella gestione
paritetica.305
L'orientamento della giurisprudenza francese obbliga i lavoratori a partecipare ai corsi di
formazione e riqualificazione, e i datori di lavoro devono assicurare ai lavoratori la
possibilità, nel caso di modifica del loro lavoro, di adattamento.306
Le parti sociali hanno significative prerogative, anche nell'amministrazione della giustizia
in materia di lavoro. Con una legge napoleonica (1806) vengono istituiti i “Prud'hommes”,
giurisdizioni elettive e paritarie che regolano in via conciliativa le controversie in materia di
lavoro. Solo se questo tentativo (che è obbligatorio e preliminare) ha avuto esito negativo,
essi giudicano le controversie individuali (non quelle collettive). I Conseils presentano una
composizione paritetica fra i membri eletti dai datori di lavoro e quelli eletti dai lavoratori,
e godono delle tutele attribuite dalla legge ai rappresentanti sindacali in azienda.307
Quindi gli organismi paritetici che gestiscono i principali settori del welfare francese hanno
303 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 270.
304 Http://www.italianieuropei.net
305 A. JOBERT, Negoziare la formazione professionale: la posta in gioco per i sindacati francesi, in
“Quaderni di rassegna sindacale”, n. 2/2001, pp. 101 e ss.
306 P. A. VARESI, La formazione professionale. La prestazione di lavoro temporaneo e i lavoratori in
mobilità, in F. LISO, U. CARABELLI, Il lavoro temporaneo, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 304 e ss.
307 SALVO LEONARDI, ibidem, pp. 281-282.
88
carattere bilaterale. Dunque, un numero molto alto di funzionari viene eletto in
rappresentanza delle parti sociali.
Il tasso di sindacalizzazione in Francia è intorno al 9%: una percentuale molto bassa che
dimostra la grande debolezza rappresentativa dei sindacati.308 Le organizzazioni sindacali
dispongono di risorse finanziarie molto modeste rispetto ai sindacati italiani, inglesi,
tedeschi. Nonostante ciò, il welfare francese è uno dei più strutturati dell'Occidente.
Di fronte a questa situazione i sindacati francesi utilizzano risorse pubbliche, come i
congedi e i permessi sindacali nel settore pubblico, le agibilità gratuite di locali e
strumentazioni presso le aziende, ecc.
Dunque il sistema francese presenta tratti peculiari: la gestione paritetica del welfare e
l'interventismo dello Stato. Quest'ultimo agisce per equilibrare le relazioni tra datori di
lavoro e lavoratori, vista la debolezza del sistema di contrattazione collettiva.
Bisogna però sottolineare che il paritarisme (inteso come gestione bilaterale dell'intero
sistema pensionistico, assicurativo e formativo) sembra contraddire con la conflittualità
delle relazioni industriali. Questo si può spiegare sostenendo che, il modello della
bilateralità è caratterizzato da un forte potere di ingerenza da parte dell'attore pubblico, e
viene isolato rispetto al resto del sistema delle relazioni sindacali.309
Benché sia evidente il declino del sindacato francese, i lavoratori francesi esercitano
liberamente il diritto di sciopero, eleggono un terzo dei giudici del lavoro, presidiano gli
istituti che gestiscono il welfare, vanno in pensione ad un'età fra le più basse in Europa.310
12. L'HISTADRUT
La vicenda dell'Histadrut, la Confederazione generale israeliana del lavoro, rappresenta
un'esperienza del tutto particolare.
L'Histadrut era un'istituzione complessa, a cui erano attribuiti poteri diversi da quelli tipici
del sindacato. Nello Stato di Israele si ha prima la nascita di un sindacato, poi quella dello
Stato nazionale. L'Histadrut nei suoi ottant'anni di storia è stato qualcosa di assai diverso di
un normale sindacato. Dal 1995 l'Histadrut diventa un sindacato “normale”, dato che gli
vengono tolte le sue tradizionali prerogative parastatali. 311
308 U. REFHELDT, Francia: la mappa della frammentazione, in “I sistemi sindacali svedese, francese e
tedesco”, Supplemento di “Rassegna Sindacale” n. 26 dell'11 luglio 1994.
309 REFHELDT, ibidem.
310 Http://www.unich.it
311 Http://www.pbmstoria.it
89
L'Histadrut nasce nel 1920 ad Haifa, ad opera di giovani lavoratori provenienti dall'Europa
orientale. L'ideologia dell'Histadrut è socialista e nazionalista-sionista: lo scopo è costituire
uno Stato ebraico in Palestina (i quattro pilastri dell'ideologia erano il primato della
nazione, il socialismo costruttivo, il comunitarismo organicista, l'unità assoluta
dell'organizzazione sociale e politica dei lavoratori).312
Fino al 1948 (data ufficiale della nascita dello Stato di Israele) l'Histadrut svolge funzioni
pre-statuali: organizza proprie strutture produttive, cooperative agricole, abitazioni, scuole e
ospedali, servizi assistenziali, istituti di credito. L'attività sindacale ha un ruolo marginale.
Nel 1948 con la proclamazione dello Stato di Israele, l'Histadrut lascia che sia lo Stato ad
occuparsi di tutte quelle attività che prima gli erano affidate, restando l'organizzazione di
tutti i lavoratori ebrei di Israele.313
Per molti anni l'Histadrut ha svolto funzioni in campo economico e sociale. Esso possedeva
numerose aziende e società di costruzioni, cooperative di produzione e consumo. Inoltre
gestisce i collocamento e ha un controllo monopolistico nel settore agricolo. L'istituzione
svolge sia il ruolo di datore di lavoro, sia di organizzazione sindacale dei lavoratori.
Suo compito è anche l'amministrazione dei fondi pensione dei lavoratori. Esso creò il
Fondo generale per le malattie nel 1923, che assicurò per molto tempo il 70% della
popolazione israeliana.314
Per quanto riguarda l'attività sindacale, attualmente l'Histadrut organizza una trentina di
organizzazioni sindacali. In azienda il sistema è quello del single channel, in base al quale i
delegati sono eletti dal personale sul modello dei consigli d'azienda. La contrattazione
collettiva si basa su più livelli: quello nazionale si articola nel rapporto tra Histadrut e
l'Ufficio di coordinamento nazionale delle organizzazioni economiche nel settore privato, e
nel rapporto tra Histadrut e governo nel settore pubblico. 315
L'Histadrut è da sempre contrario all'interventismo legislativo.
Questa istituzione, giuridicamente, è un'associazione volontaria, a cui si aderisce
liberamente. I lavoratori che non si iscrivono sono, comunque. tenuti a pagare una quota
pari all'1% della retribuzione. Il tasso di sindacalizzazione è stato per anni intorno al 90%:
312 ZEEV STERNHELL, Nascita di Israele. Miti, Storia, contraddizioni, Milano, Baldini&Castoldi, 1999.
313 ANTONIO MOSCATO, Israele senza confini, Roma, Sapere 2000, 1984, pp. 12-13.
314 R. CHERMASH, A state within a State. Industrial relations in Israel: 1965-1987, Greenwood Press,
1989, p. 239.
315 STERNHELL, ibidem, pp. 410-424.
90
una quota talmente alta mai raggiunta in altri Paesi.316
L'elezione dei dirigenti dell'Histadrut è stata sempre un evento politico significativo, dato il
grande potere dell'istituzione.
Oggi la percentuale di iscritti all'Histadrut è diminuita in maniera considerevole.317
L'Histadrut resta un'istituzione politica importante, anche dopo il 1948; per più di
settant'anni ha dominato la scena politica israeliana.
Grandi cambiamenti demografici, sociali e politici affiorano a metà degli anni '90 in Israele.
Questi si ripercuotono anche sul sindacato, il quale perde una percentuale consistente dei
propri affiliati. Il declino sindacale israeliano si differenzia singolarmente da quelli avutasi
negli altri Stati per tre fattori:
➔ la sua entità
➔ la sua repentinità
➔ il suo non essere causato da un cambiamento radicale dell'ordinamento politico.318
Questo si spiega prendendo in considerazione le peculiarità di questo Paese, che è stato
scosso da “un terremoto socio-demografico di portata tanto vasta nell'arco di un
decennio”.319
La conseguenza è stata una modifica radicale delle condizioni strutturali del Paese.
L'Histadrut deve cercare le basi del suo potere nella rappresentanza sociale e negoziale del
mondo del lavoro. Esso ha dimostrato il suo impegno a favore della contrattazione
collettiva, della rappresentanza delle donne lavoratrici e del lavoro atipico.
Un problema sono i lavoratori arabi, a lungo discriminati rispetto a quelli ebrei. L'Histadrut
dovrà superare queste discriminazioni, mostrandosi un sindacato democratico.
E' necessario evidenziare che con l'avvento della II Intifada, le relazioni israelo-palestinesi
si sono aggravate e questo ha avuto conseguenze anche riguardo ai rapporti intersindacali
fra le due comunità.320
Si esclude che l'Histadrut possa ritornare quello di un tempo, tuttavia è essenziale che
l'Histadrut mostri il proprio impegno a favore dei negoziati di pace con i palestinesi.
316 Http://www.worldlingo.com
317 Http://www.ires.it
318 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, p. 311.
319 LEONARDI, ibidem, p. 312.
320 W. GOLDKRON, Cinque tribù per quattro Israele, su “Limes - La Terra Stretta”, n. 1/2001.
91
CAPITOLO III
GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI E LE COMPETENZE DELLA PROVINCIA
AUTONOMA DI TRENTO
1. LA DELEGA ALLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO IN MATERIA DI
AMMORTIZZATORI SOCIALI
Con l'approvazione della Legge Finanziaria statale per l'anno 2010 sono state poste le
premesse per l'adozione di norme provinciali, volte a costituire un organico sistema
provinciale di ammortizzatori sociali, coordinato con la normativa regionale e statale.
L'articolo 114 della Legge Finanziaria 2010 stabilisce che “sono delegate alle Province
Autonome di Trento e Bolzano le funzioni in materia di gestione di Cassa Integrazione
Guadagni, disoccupazione e mobilità, da esercitare sulla base di conseguenti intese con il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per coordinare e raccordare gli interventi, ivi
compresa la possibilità di avvalersi dell'Inps sulla base di accordi con quest'ultimo. Le
predette province autonome possono regolare la materia sulla base dei principi della
legislazione statale con particolare riguardo ai criteri di accesso, utilizzando risorse
aggiuntive del proprio bilancio, senza oneri a carico dello Stato”.321
La competenza è stata delegata dal Governo alla Provincia con l'accordo, siglato a dicembre
a Milano con i ministri Tremonti e Calderoli, riguardante il federalismo fiscale.
La Provincia di Trento ha recepito la delega sugli ammortizzatori sociali e ha posto le basi
per un nuovo modello di welfare. Un welfare sempre più in linea con le migliori pratiche
europee. La “rivoluzione trentina degli ammortizzatori sociali” avvicina la Provincia ai
sistemi di welfare del Nord Europa.322
La delega ha radici profonde, basti pensare che la prima legge provinciale sull'argomento è
del 1953 (l.p. n. 19/83), legge che costituì l'Agenzia del Lavoro. La ragione principale della
delega si rinviene nella contraddittorietà dell'attuale sistema degli ammortizzatori sociali:
vengono esclusi i lavoratori più esposti al rischio di disoccupazione.
La Costituzione, all'art. 38, enuncia il diritto al lavoratore, in caso di disoccupazione
involontaria, a ricevere i mezzi adeguati alle esigenze di vita.
Risulta necessaria un'organica riforma in materia, data l'enorme eterogeneità dei trattamenti
321 Art. 114, Legge Finanziaria 2010.
322 L'ADIGE, lunedì 3 maggio 2010, p. 17.
92
di disoccupazione vigenti attualmente in Italia.
1.1 Competenze delle Province Autonome di Trento e Bolzano
E' opportuno fare un breve cenno al sistema delle competenze locali, in particolare alla
differenza tra competenze proprie e delegate.
Le competenze cosiddette “proprie” non derivano, per trasferimento o delega, dallo Stato,
ma sono di stretta derivazione costituzionale.323 E' lo Statuto regionale di autonomia,
approvato con legge costituzionale, che stabilisce l'appartenenza di queste competenze a tali
enti. In base all'art. 116 Cost., infatti, gli enti sopra citati, dispongono “di forme e
condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge
costituzionale”. Riguardo ai contenuti, le potestà legislative proprie “consistono, in ordine
di importanza, nella capacità di emanare norme giuridiche in determinate materie e di
adottare i conseguenti provvedimenti amministrativi. L'autonomia si risolve, per quel che
concerne l'ambito della competenza regionale o provinciale, nella indipendenza da
ingerenze o interferenze esterne”.324
Ai fini di una classificazione, si distingue tra potestà legislative “esclusive”, “concorrenti” o
“integrative”. Le prime sussistono se le Province e la Regione hanno poteri propri, dovendo
osservare solo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. Le seconde
ricorrono quando allo Stato spetti definire previamente i principi fondamentali della
materia, e tali enti debbano attenersi a queste “linee guida” nella loro opera di legificazione.
Le competenze integrative prevedono che la potestà di questi enti possa derogare o
specificare le norme statali, in materie che sono, in via di principio, riservate alla
legislazione statale.
La Regione e le Province hanno competenze normative in materie diverse.
Alle Province spettano: a) le competenze esclusive in materia di “commissioni per
l'assistenza e l'orientamento dei lavoratori nel collocamento” e di “addestramento e
formazione professionale”; b) quelle concorrenti in materia di “commissioni di controllo sul
collocamento” e di “apprendistato, libretti di lavoro, categorie e qualifiche; c) quelle
integrative in materia di “collocamento e avviamento al lavoro”.325 La Regione Autonoma
323 SERGIO VERGARI, Mercati e diritto del lavoro nelle Province Autonome di Trento e Bolzano, Padova,
Cedam, 2004, p. 15.
324 E. REGGIO D'ACI, La Regione Trentino Alto Adige, Milano, II ed., 1994, p. 38.
325 Art. 8, 9, 10, Statuto Autonomia Trentino Alto Adige.
93
ha potestà legislativa integrativa in materia di previdenza e assicurazioni sociali.326
Con riferimento alle competenze delegate, alle Province Autonome di Trento e di Bolzano
sono state attribuite, per delega dello Stato, le funzioni dell'ispettorato del lavoro e i
compiti degli uffici territoriali del lavoro. Mediante la delega, si sono conferite alle
Province Autonome, senza specificazione, tutte le prerogative delle due strutture sopra
richiamate.327 Si tratta di una delegazione aperta, quindi significa che se lo Stato assegna
nuove funzioni ai suoi uffici periferici, di conseguenza ci sarà l'attribuzione automatica, di
questi nuovi compiti, alle due Province. 328
La questione sulla natura delle deleghe è problematica. In dottrina si riscontra la seguente
definizione di “delega”: “l'atto dispositivo di un soggetto o dell'organo di un soggetto
mediante il quale quest'ultimo, fondandosi sulla propria competenza a provvedere in ordine
ad una determinato oggetto, attribuisce ad altro soggetto od organo i poteri e le facoltà che
reputa necessari affinché questo possa provvedere in modo altrettanto legittimo, in ordine
all'oggetto stesso, entro i limiti e secondo i criteri stabiliti nell'atto di delegazione”. 329 In
base a ciò, il soggetto delegante mantiene il potere di riappropriarsi delle funzioni conferite,
un potere discrezionale che può portare anche alla revoca delle funzioni stesse.
La giurisprudenza costituzionale è di tutt'altro avviso. Corte Cost. 19 maggio 1988, n. 559
ritiene che “ la delega amministrativa sia un nomen più che un istituto positivamente e
concettualmente definito, da intendere come fenomeno estremamente vario e complesso,
non riconducibile ad un'unica soluzione interpretativa generale valida per tutte le ipotesi
previste dal diritto positivo. La delegazione amministrativa può infatti presentarsi ora come
interorganica ora come intersoggettiva, può avere ad oggetto sia la titolarità di funzioni e
attribuzioni sia il mero esercizio delle stesse, e infine può configurarsi come atto
discrezionale oppure come necessario e dovuto”.330
La giurisprudenza individua tre diversi tipi di delega: a) delega “libera”, connessa a ragioni
di opportunità organizzativa del soggetto delegante; b) delega “parziale”, quando vi è un
riparto di funzioni tra Stato e Regioni; c) delega “devolutiva”, tesa a realizzare il pieno
326 Art. 6 Statuto Autonomia Trentino Alto Adige.
327 SERGIO VERGARI, Mercati e diritto del lavoro nelle Province Autonome di Trento e Bolzano, Padova,
Cedam, 2004, p. 85.
328 I compiti più recenti sono quelli in materia di apprendistato, di immigrazione di lavoratori
extracomunitari, di controllo sul lavoro a tempo parziale e a termine, di maternità e paternità, di lavoro in
cooperativa.
329 MARCO CAMMELLI, Delega amministrativa, in Enciclopedia giuridica, Treccani, X, Roma, 1988, p. 1.
330 Corte Cost. 19 maggio 1988, n. 559.
94
trasferimento alle Regioni dei poteri relativi ad una determinata materia, mentre lo Stato
mantiene i compiti di indirizzo.331
La fondamentale sentenza della Corte, sopra citata, ha fornito indicazioni sulla
qualificazione giuridica della delega statale, sostenendo il carattere devolutivo delle
deleghe. Tale carattere comporta “il pieno trasferimento a livello regionale dei poteri
inerenti alla materia, salvo i residui compiti statali di indirizzo”.332 Di conseguenza i
soggetti delegati (le Province) aumentano la loro competenza. Secondo la Corte, si avrebbe
una delega devolutiva nei casi in cui “le competenze delegate, per il modo in cui sono
disciplinate e per il fine in vista del quale sono conferite, costituiscono un'integrazione
necessaria delle competenze proprie, di modo che la lesione delle prime comporti anche
una menomazione delle seconde”.333
Quindi la delegazione consente un “esercizio organico” delle competenze trasferite. Si
rafforza così l'autonomia organizzativa delle due Province, visto che la realizzazione di
“sistemi organici” sulle materie conferite ha come presupposto l'esercizio combinato,
congiunto e coordinato delle competenze delegate e delle competenze proprie. La Stato
deve astenersi dal fornire indirizzi sull'organizzazione delle funzioni delegate, per evitare il
rischio di possibili interferenze con le potestà proprie delle Province.334
Questo legame tra funzioni delegate e competenze proprie delle due Province Autonome, si
è rafforzato per effetto della riforma del Titolo V Cost., in virtù della quale la materia del
collocamento, i servizi all'impiego, le politiche attive del lavoro e le attività ispettive
rientrano nelle competenze proprie ripartite.
Dunque funzioni delegate e funzioni proprie formano un unico sistema di competenze.335 Il
solo vincolo è costituito dal rispetto dei principi fondamentali della legge statale. Quindi vi
è una totale responsabilità amministrativa delle Province Autonome in materia di lavoro.
Questo aspetto mette in evidenza le differenze con le Regioni a Statuto ordinario e con gli
altri enti regionali a statuto speciale. Riguardo alle Regioni ordinarie, ad esempio,
l'attribuzione ad esse delle funzioni in materia di collocamento ha comportato una forte
ingerenza statale.336
331 Corte Cost. 19 maggio 1988, n. 559.
332 A. ANZON, I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale, Torino, Giappichelli, 2002, p. 123.
333 Corte Cost. 19 maggio 1988, n. 559.
334 SERGIO VERGARI, Mercati e diritto del lavoro nelle Province Autonome di Trento e Bolzano, Padova,
Cedam, 2004, p. 103.
335 VERGARI, ibidem, p. 91.
336 S. PALLADINI, La legislazione regionale: tipi, modelli e varianti, in F. CARINCI, R. DE LUCA
95
Possiamo concludere affermando che “il coraggio istituzionale dimostrato dallo Stato in
sede di delega trova riscontro nelle risposte positive fornite dalle due Province, la cui
esperienza potrà aiutare a riflettere sull'opportunità di estendere alcune competenze
provinciali anche alle Regioni”.337
2. GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI NELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
2.1 Ammortizzatori nazionali
Si tratta degli stessi strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori previsti per il resto
d'Italia:
•
Cassa Integrazione Guadagni
•
Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria
•
indennità di disoccupazione ordinaria
•
indennità di disoccupazione a requisiti ridotti
•
indennità di disoccupazione agricola
•
indennità di disoccupazione speciale edile
•
indennità di disoccupazione per co.co.pro.-co.co.co.
•
indennità di mobilità
•
contratti di solidarietà
•
prepensionamenti
•
lavori socialmente utili.
Si aggiunge l'importante intervento dell'E.b.a.t. (Ente Bilaterale Artigianato Trentino) nel
settore dell'artigianato.
2.1.1 I lavori socialmente utili nella Provincia Autonoma di Trento
Essi rappresentano un'esperienza significativa nel mercato del lavoro locale sin dagli anni
Ottanta. Per “lavori socialmente utili” (l.s.u.) si intendono “i lavori effettuati a beneficio
della collettività nell'ambito di progetti organizzati da soggetti pubblici, da parte di
particolari categorie di lavoratori”.338 Essi offrono occupazione ai lavoratori che hanno
TAMAJO, P. TOSI, T. TREU (a cura di), I servizi per l'impiego tra pubblico e privato, Torino, UTET,
1999, p. 31.
337 SERGIO VERGARI, Mercati e diritto del lavoro nelle Province Autonome di Trento e Bolzano, Padova,
Cedam, 2004, p. 107.
338 SERGIO VERGARI, ibidem, p. 264.
96
difficoltà a trovare un impiego, ed inizialmente esclusi da interventi di sostegno a carattere
nazionale.
L'avvio di questa esperienza si ha con un progetto elaborato nel 1985, e nell'anno
successivo con il “Progetto speciale per l'occupazione attraverso la valorizzazione delle
potenzialità turistiche ed ecologico-ambientali”. Inizialmente fu l'Agenzia del Lavoro ad
occuparsi dei progetti. In una seconda fase, si è istituito un organismo per la gestione del
secondo progetto: il Servizio per il ripristino e la valorizzazione ambientale.339
Quindi il sistema provinciale dei lavori di pubblica utilità si articola su due colonne: da una
parte i l.s.u. relativi agli interventi di ripristino e valorizzazione ambientale (l.p. n.
32/1990), gestiti dal Servizio; dall'altra i l.s.u. legati agli interventi di politica del lavoro,
gestiti dall'Agenzia del Lavoro. Lo strumento non ha carattere assistenziale. Lo schema è
unico per le due strutture, non si hanno differenze sostanziali. Le diversità si ricollegano,
piuttosto, alle tipologie dei soggetti coinvolti, alle finalità perseguite, ai settori di
riferimento.
I progetti dell'Agenzia realizzano occasioni di inserimento lavorativo, e riguardano soggetti
disoccupati di lunga durata e di difficile occupabilità, e soggetti disabili.340
I progetti del Servizio Ripristino rispondono a una logica diversa, in quanto permettono ai
lavoratori espulsi dal mercato e privi di chances occupazionali, di poter maturare i requisiti
per la pensione (c.d. “Progettone”).341
Il modello trentino è peculiare rispetto alla normativa nazionale, che stabilisce che
l'utilizzazione di lavoratori in l.s.u. non comporta l'instaurazione di alcun tipo di rapporto di
lavoro (art. 8, 1° co., D.lgs. n. 468/1997). Nella Provincia, invece, il lavoratore è utilizzato
in forza di un normale rapporto di lavoro.342 Ulteriore particolarità del sistema trentino è la
“polivalenza”: il lavoratore realizza i suoi interessi personali (il potersi pensionare o
integrare socialmente), e sono altresì garantiti gli interessi pubblici (opere o attività a
beneficio della collettività).343 Un esempio, per comprendere l'utilità dei l.s.u., è dato dalla
realizzazione di una rete importante di ciclopiste, che oggi sono un punto di attrattività
339 Http://www.agenzialavoro.tn.it
340 Il sistema trentino dei lavoratori socialmente utili si rivolge anche ai soggetti in condizione di marginalità
sociale o portatori di handicap fisici, psichici o sensoriali.
341 VERGARI, ibidem, p. 264 ss.
342 I. MARIMPIETRI, La disciplina dei lavori socialmente utili, in “Lavoro e Informazione”, n. 9/1997, p.
13 ss.
343 A. TURSI, I lavori socialmente utili come misura di workfare, in “Rivista italiana di diritto del lavoro”,
1995, I, p. 361 ss.
97
significativo e che rafforzano l'offerta turistica trentina. Le persone che hanno operato su
quest'azione,
hanno
contribuito
a
realizzare
un'infrastruttura
utile
ai
cittadini,
guadagnandosi la pensione, senza essere una voce di costo a carico dell'amministrazione,
come sarebbe stato in caso di cassa integrazione.
Il Protocollo d'Intesa 2010 prevede nuovi requisiti per l'ingresso nel “Progettone” e
introduce limiti massimi di permanenza nel sistema. L'obiettivo è far in modo che al
compimento del 65° anno di età ciascun lavoratore occupato nel Progettone, possa maturare
il requisito minimo per il pensionamento. Viene previsto, inoltre, l'innalzamento
progressivo fino al 2013 sia dei requisiti contributivi che anagrafici, per adeguare le
risposte fornite dal Progettone alla riforma pensionistica statale.344
2.1.2 Il settore dell'artigianato trentino
Nelle Regioni settentrionali si concentra la maggior percentuale di imprese artigiane (30%
nel nord-ovest e 24% nel nord-est). Quindi si nota una maggior vocazione artigiana nelle
regioni del Nord Italia.345
Il Trentino Alto Adige è una realtà piccola ma competitiva. L'economia trentina è costituita
da aziende di piccole dimensioni: il 94% delle imprese ha meno di dieci addetti. Questo
porta a vantaggi concernenti la flessibilità e l'adattamento, ma problemi in termini di
capacità di innovazione tecnologica e di competizione.346
Uno svantaggio è rappresentato dalle infrastrutture (soprattutto le reti e i servizi di supporto
alle imprese e alle famiglie), la cui dotazione è molto bassa rispetto alla media italiana.
L'artigianato costituisce una componente importante per la Regione. Nel territorio si
concentra una percentuale di imprese artigiane del 38,6%. Queste ultime hanno
un'incidenza maggiore nelle “costruzioni” (80,3%), “altri sevizi pubblici, sociali e
personali” (72, 3%) e “attività manifatturiere” (70,6%). C'è una scarsa presenza nella
“pesca, pescicoltura e servizi connessi” (0,0%), nell' “agricoltura, caccia e silvicoltura”
(1,4%), nella “ristorazione” (0,1%) e nell' “intermediazione monetaria e finanziaria”
344 IL TRENTINO, febbraio 2010, p.10.
345 G. DE LUCIA, S. CIUFFINI, Il sistema degli enti bilaterali nell'artigianato: un'esperienza italiana al
servizio del dialogo sociale europeo, in Tiraboschi M. (a cura di), La riforma Biagi del mercato del
lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Collana AdaptFondazione Marco Biagi, n. 2, Giuffrè, Milano, 2004, p. 686.
346 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, Programma operativo, Obiettivo 2 Fondo Sociale Europeo
2007-2013, 2008, p.7.
98
(0,1%).347
Per quanto riguarda il tasso di crescita imprenditoriale artigiano, si deve notare che esso è
maggiore rispetto alla media del Paese. Inoltre, risulta elevata la capacità media di
creazione di ricchezza.
Tuttavia si osservano degli elementi di criticità del sistema. Nell'ambito delle esportazioni
vi è una modesta apertura sui mercati internazionali delle aziende trentine.
Bisogna altresì sottolineare la bassa percentuale degli addetti di sesso femminile nel settore
(19,6%). Da un altro punto di vista, si osserva un basso livello di imprenditorialità del
singolo nell'artigianato trentino, vista la rilevante componente di lavoro dipendente
(52,6%). 348
Dal Terzo Rapporto sullo stato dell'artigianato trentino (Rapporto 2009) emerge una realtà
costituita da 14.000 imprese con 37.000 addetti. Una forza economica, quella
dell'artigianato, diffusa, piccola e legata al proprio territorio. Questi sono i punti di forza,
che hanno permesso al settore di reagire alla crisi economica.
Lorenzo Dellai, Presidente della Provincia di Trento, ha parlato di “forza quieta”
dell'artigianato, neologismo che appare appropriato al sistema trentino.
Il Presidente degli artigiani, Roberto de Laurentis, non esagera nell'attribuire alle aziende
artigiane la qualifica di veri e propri “enti morali”, in quanto caratteristica principale della
realtà artigiana è la forza lavoro, il capitale umano, cioè uomini e donne che lavorano con le
loro mani.349
2.1.3 E.B.A.T.
L'Ente Bilaterale Artigianato Trentino (Ebat) è stato costituito, nel 1995, dall'Associazione
artigiani della Provincia di Trento e dalle confederazioni Cgil, Cisl e Uil del Trentino.
L'ente è operativo dal 1996 ed inizialmente il suo obiettivo principale era la gestione di due
fondi:
1. il fondo dell'assistenza contrattuale, con la funzione di dirimere le vertenze
aziendali, e con compiti conciliativi riguardo alle vertenze individuali;
347 UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TRENTO, (a cura di Carlo Borzaga e Francesco Damiani), I laureati
nell'artigianato e nelle piccole imprese trentine: l'affermazione di un fenomeno nuovo, Trento, Bertelli
Editori s.n.c., 2007, p.16.
348 PIERLUIGI ASCANI, Artigianato e politiche industriali - Secondo rapporto sull'artigianato in Italia,
Bologna, Il Mulino, 2007, p. 92.
349 IL TRENTINO, gennaio 2010, p. 26.
99
2. il fondo sostegno al reddito, il cui scopo è sostenere il reddito dei dipendenti e delle
aziende artigiane.350
Gli interventi a favore dei dipendenti sono erogati in presenza di eventi quali:
a. riduzione-sospensione dell'attività lavorativa causata da:
•
crisi di mercato
•
mancanza di lavoro, commesse e ordini
•
eventi naturali
•
incendio non imputabile a dolo
•
difficoltà a reperire materie prime già acquisite, dovute a fattori e soggetti
esterni non legati al sistema economico
•
interruzione dell'erogazione delle fonti energetiche causate da fattori e soggetti
esterni all'impresa;
b. malattia di lunga durata;
c. maternità;
d. assunzioni di dipendenti ultra 45enni dalle liste di mobilità o disoccupati da più di
30 giorni (per favorire l'inserimento nel mercato del lavoro di questi lavoratori, il
fondo potrà erogare contributi alle imprese artigiane che assumono a tempo
indeterminato questi dipendenti);
e. anzianità professionale aziendale (è prevista l'erogazione di premi a favore dei
dipendenti, che abbiano compiuto almeno 30 anni di anzianità di lavoro presso la
stessa azienda o come dipendenti del settore artigiano). 351
Inoltre il fondo mette a disposizione assegni di studio per i figli a carico dei dipendenti, ed
eroga contributi per spese sanitarie. Se il lavoratore stipula il cosiddetto contratto di
solidarietà, ammortizzatore che comporta riduzioni dell'orario di lavoro, il fondo sostiene il
dipendente con provvidenze.352
Per quanto concerne gli interventi a favore delle aziende, il fondo provvede alla loro
erogazione se sussiste almeno una delle seguenti cause:
a) sospensione dell'attività superiore ad una settimana (dovuta ad eventi atmosferici
eccezionali che provochino danni documentati, calamità naturali, incendio non
350 SALVO LEONARDI, Bilateralità e servizi, Roma, Ediesse s.r.l., 2005, pp. 154-155.
351 E.B.A.T., Contratto per le imprese e i lavoratori del settore metalmeccanico e installazione di impianti,
Trento, “La Reclame” s.n.c., 2002, pp. 34-37..
352 Http://www.cgil.tn.it
100
doloso);
b) malattia di lunga durata;
c) maternità;
d) trasformazione di contratti di apprendistato (allo scopo di inserire gli apprendisti in
azienda, il fondo eroga contributi alle imprese che trasformano il contratto di
apprendistato in contratto a tempo indeterminato);
e) formazione e aggiornamento professionale (il fondo eroga contributi ai titolari e soci
delle imprese artigiane, che frequentano corsi di formazione e aggiornamento
professionale);
f) interventi per la promozione e/o internazionalizzazione delle aziende (si tratta in
questo caso di sostenere le aziende artigiane che intendono far conoscere i propri
prodotti sia sul mercato interno che all'estero).353
Bisogna sottolineare che potranno beneficiare di questi interventi solo le aziende artigiane
in regola con i versamenti all'Ente bilaterale.
Il Fondo è finanziato: a) dai contributi a carico delle imprese artigiane aderenti (come
previsto dagli Accordi interconfederali del 1988 e successivi) b) dagli eventuali contributi a
carico dei dipendenti c) da contributi pubblici e privati.354
Oggi l'E.b.a.t. è una “casa” formata da quattro pilastri:
1) sostegno al reddito
2) sicurezza
3) formazione
4) solidarietà.355
Molto significativa è stata anche l'attivazione di corsi di formazione in tema di sicurezza
(grazie al concorso finanziario dell'Agenzia del Lavoro). L'ente si è occupato anche di
informatica, lingue straniere e procedure antincendio.
Le imprese artigiane attualmente versano in uno stato di difficoltà. Va ricordato che l'Ebat
si occupa delle realtà artigiane diverse dalle imprese edili e dei trasporti. L'Ebat oggi
sostiene il reddito di 600 lavoratori artigiani (5%).356 Inoltre sostiene anche gli imprenditori
mediante incentivi. Possiamo affermare che il sistema trentino sta funzionando di fronte
alla crisi.
353 E.B.A.T., Regolamento fondo sostegno al reddito, Trento, “La Reclame” s.n.c., 2007, pp. 26-34.
354 Http://www.ebat.tn.it
355 Convegno “Ammortizzatori in deroga ed enti bilaterali”, del 24/4/2009.
356 Convegno “Ammortizzatori in deroga ed enti bilaterali”, del 24/4/2009.
101
Un ostacolo è rappresentato dal fatto che questo ente è poco conosciuto.
L'E.b.a.t richiama l'attenzione sul vero capitale del mondo artigiano: la forza lavoro delle
imprese. I valori più importanti del sistema artigiano, sono gli uomini e le donne che vi
lavorano con professionalità e passione. Non si deve dimenticare, che il vero spirito della
realtà artigiana trentina è sempre stato, e dovrà essere, il grande rispetto per l'individuo e
per il lavoro.
2.2 Ammortizzatori in deroga
L'accordo del 24 aprile 2009 ha introdotto anche in Provincia di Trento gli ammortizzatori
sociali in deroga. E' un documento storico, infatti è la prima volta che si attivano in
Trentino gli ammortizzatori sociali in deroga.
Il 2009 è stato un anno difficile per l'economia trentina, e questo ha portato ad una crescita
imponente del ricorso alla cassa integrazione. E' stato quindi necessario un intervento sugli
ammortizzatori sociali, con riguardo, in particolare, a quei lavoratori privi di ogni forma di
sostegno al reddito di fronte alla crisi economica.
L'accordo, definito “transitorio”, visto il successivo accordo quadro (Accordo del
25/6/2009) per l'utilizzazione dell'intero ammontare delle risorse destinate agli
ammortizzatori in deroga, è stato sottoscritto dalla Provincia Autonoma di Trento, dal
Ministero del Lavoro e dalle parti sociali.357
Il documento riguarda l'utilizzo dell'anticipo di 500.000 euro delle risorse statali, per
assicurare la cassa integrazione guadagni anche ai dipendenti delle piccole imprese, finora
poco tutelati di fronte alla crisi economica. Destinatari dell'intervento sono stati i lavoratori
subordinati, anche a tempo determinato, somministrati e apprendisti, con un'anzianità
aziendale di almeno 90 giorni. Queste prime risorse hanno finanziato la cassa integrazione
in deroga per un massimo di 692 ore per lavoratore (non oltre il 31/12/2009).358
Metà della somma (250.000 euro) è riservata ai datori di lavoro artigiani, l'altra metà ai
datori di lavoro classificati, ai fini previdenziali, nel settore terziario.
I lavoratori interessati sono quelli appartenenti ai settori dell'artigianato, terziario, ma anche
industriale, dipendenti di aziende che la normativa ordinaria esclude dall'applicazione della
Cassa Integrazione.359
357 Http://www.servizilavoro.it
358 Http://www.italialavoro.it
359 Http://www.cgil.tn.it
102
L'accordo prevede un primo finanziamento statale di 7,5 milioni di euro, al quale si
aggiunge un finanziamento provinciale pari a 3 milioni di euro (facendo ricorso al Fondo
Sociale Europeo).
Il Presidente della Provincia, Lorenzo Dellai, dopo la firma dell'importante accordo,
manifestò la sua soddisfazione per l'attivazione di uno strumento che può garantire il
mantenimento del rapporto di lavoro, allontanando il rischio del licenziamento. “Il Trentino
– commentò il Presidente – dispone ora di un ventaglio di ammortizzatori sociali
assolutamente all'avanguardia in ambito nazionale, sia a favore dei lavoratori sospesi, che
licenziati (lo scudo della CIG in deroga contro i licenziamenti per i lavoratori sospesi, il
paracadute dell'indennità di sostegno al reddito per quelli che già sono stati licenziati),
coniugando altresì interventi di politica attiva, volti al mantenimento della professionalità e
alla ricerca attiva di lavoro. L'accordo va nella direzione delle nuove forme di tutela sociale
e di un nuovo welfare, che vede il sostegno ai lavoratori delle aziende messe in difficoltà
dalla crisi, indipendentemente dalle categorie contrattuali di appartenenza. Si tratta –
concluse il Presidente – di un accordo che porta positive ricadute sul nostro sistema, e che
rappresenta un ulteriore atto di condivisione da parte delle categorie economiche delle
misure e strumenti anticrisi messi in campo dalla Provincia”.360
L'intesa quadro è stata firmata il 25 giugno da Provincia, Confindustria, Associazione
artigiani, Unione Commercio, Confesercenti, Associazione albergatori, Cooperazione e dai
sindacati confederali (Cgil-Cisl-Uil).361 Dunque la Cassa Integrazione in deroga viene
estesa a tutti i lavoratori con contratti a termine, apprendisti e somministrati di ogni settore.
Imprese
artigiane, del terziario e industriali che non hanno accesso ad alcun
ammortizzatore sociale, o che hanno esaurito gli strumenti ordinari o la “straordinaria” per
crisi aziendale, potranno evitare di licenziare i propri dipendenti.
Per i casi in cui il lavoratore benefici anche dell'indennità di disoccupazione in deroga,
cofinanziata da un ente bilaterale, il trattamento di Cassa in deroga segue l'esaurimento del
precedente intervento.362 Va sottolineato, che non si tratta però solo di garanzia del reddito: i
lavoratori che beneficiano della Cig in deroga sono stati coinvolti in percorsi di
riqualificazione e aggiornamento, mentre corsi di formazione sono stati svolti per i
licenziati. La Provincia, dunque, ha interpretato bene questo difficile momento di crisi,
360 Http://www.lavocedelnordest.it
361 Http://www.marketpress.info.it
362 Http://www.unione.tn.it
103
intervenendo tempestivamente e con mezzi finanziari consistenti.
3. STATO DELL'OCCUPAZIONE IN TRENTINO
Benché il Trentino abbia sofferto della non favorevole situazione dovuta alla crisi
economica, la struttura del suo mercato del lavoro ha tenuto, dimostrando una buona
capacità del sistema nell'attutire l'impatto di spinte negative e nello sfruttare, con un buon
grado di reattività, i primi segnali di recupero.
Paragonato al Nord-Est e ai singoli territori regionali, il mercato del lavoro trentino
presenta il più basso tasso di disoccupazione, 3,6%, e un tasso di occupazione, del 68,5%,
che vede la Provincia di Trento attestata su un valore equivalente a quello medio
dell'Unione Europea.363 Il tasso di disoccupazione giovanile (giovani tra i 15 e i 24 anni)
era, lo scorso anno, del 10,1%, quindi una percentuale minore rispetto alle altre Regioni
italiane.364
In Trentino nel 2009 risultavano poveri (si considerano povere quelle famiglie con un
reddito equivalente, cioè che tiene conto dei componenti del nucleo familiare, al netto delle
tasse inferiore a 8800 euro all'anno) circa 43.000 individui (8,2%). La percentuale è rimasta
sostanzialmente invariata dal 2004.365 Tutto sommato si nota come il Trentino sia una realtà
con ridotti fenomeni di disuguaglianza e con livelli relativamente elevati di benessere.
Negli ultimi quindici anni il mercato del lavoro trentino ha conosciuto un periodo di forte
espansione occupazionale. I dati mostrano una condizione di salute del mercato del lavoro
provinciale. Il lavoro dipendente rappresenta lo sbocco occupazionale del 77% dei
lavoratori occupati, mentre il lavoro autonomo il restante 23% circa. L'incidenza del settore
terziario risulta elevata e questo deriva dalla valenza turistica del territorio. Si nota una
prevalenza del lavoro a tempo pieno e del lavoro con contratto stabile.366 Va segnalata
comunque la crescita del lavoro a termine, che coinvolge soprattutto i giovani in ingresso
nel mercato del lavoro.
Di fronte alla carenza di manodopera, la risposta del mercato trentino è stato il ricorso alla
manodopera straniera, che è diventata fondamentale in determinati settori.
Nonostante le buone performances occupazionali, non mancano segnali preoccupanti. E' “in
363 http//www.clandestinoweb.com
364 L'ADIGE, lunedì 3 maggio 2010, p. 4.
365 IL TRENTINO, maggio 2010, p. 8.
366 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, OSSERVATORIO DEL MERCATO DEL LAVORO, XXI
Rapporto sull'occupazione in provincia di Trento, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 26-28.
104
atto una trasformazione del mercato del lavoro trentino”367, per cui lo stesso tende “a
conferire occupazioni meno garantite, più precarie e più difficilmente stabilizzabili a
soggetti che presentano caratteristiche ben individuate: giovane età, provenienza da ambiti
extraprovinciali, curriculum formativo meno brillante, e non ultimo, appartenenza al sesso
femminile”.368
Due fattori di potenziale criticità, su cui si dovrà concentrare l'attenzione dell'analisi per
l'immediato futuro, sono:
•
un monitoraggio sull'andamento delle disponibilità partecipative della manodopera
femminile che, dopo un lungo periodo di crescita, ha dato negli ultimi anni segnali
di calo. La componente femminile risulta penalizzata principalmente nella fascia
centrale di età e spesso nella fase di rientro al lavoro dopo un'assenza per maternità;
•
un monitoraggio sulle modalità di inserimento al lavoro dei giovani, con particolare
attenzione agli aspetti della stabilizzazione del loro rapporto di lavoro e ai tempi di
questa stabilizzazione.
Inoltre non si riduce, ed anzi figura in crescita, la consistenza dei lavoratori in lista di
mobilità.
Possiamo concludere affermando che il Trentino possiede “una particolare forma di
permeabilità alle vicende economiche nazionali e internazionali:risente delle fluttuazioni di
contesto, ma quando il quadro internazionale o nazionale denota segni di crisi, è in grado (o
per lo meno lo è stato finora) di attutirne l'impatto negativo (rallentando o circoscrivendo la
portata del fenomeno), mentre quando si innescano meccanismi di ripresa sembra capace di
cogliere immediatamente le opportunità occupazionali che essi offrono”.369
4. BILANCIO DELLA MANOVRA ANTICRISI 2009
Il Trentino ha retto meglio di altri territori gli effetti della recessione mondiale, grazie in
particolare alla manovra anticrisi straordinaria varata dalla Provincia Autonoma.
La manovra complessiva è stata definita in un importo pari a 1250 milioni di euro, così
367 ANTONIO M. CHIESI, La dimensione qualitativa del lavoro: margini di migliorabilità, in PROVINCIA
DI TRENTO – AGENZIA DEL LAVORO, Analisi e proposte per la politica provinciale del lavoro, 2001,
p. 105.
368 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, OSSERVATORIO DEL MERCATO DEL LAVORO, XVII
Rapporto sull'occupazione in provincia di Trento, Milano, Franco Angeli, 2003, p, 82.
369 PIER ANTONIO VARESI, in XXI Rapporto sull'occupazione in provincia di Trento, (a cura di)
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, OSSERVATORIO DEL MERCATO DEL LAVORO, Milano,
Franco Angeli, 2007, p. 7.
105
ripartiti:
✔ 135 milioni destinati al sostegno delle fasce sociali in difficoltà;
✔ 338 milioni destinati agli aiuti alle imprese;
✔ 78 milioni destinati al miglioramento della produttività e competitività del sistema;
✔ 669
milioni
destinati
alla
realizzazione
di
investimenti
in
funzione
anticongiunturale.370
La Cassa Integrazione in deroga è stata pagata a 767 lavoratori sospesi da 198 aziende non
rientranti nel campo della Cassa Integrazione; nei confronti dei lavoratori disoccupati sono
state erogate 1360 indennità di sostegno al reddito e 2900 integrazioni al reddito per i
lavoratori sospesi. Inoltre sono stati coinvolti 300 lavoratori in percorsi di formazione
aziendale (nell'ambito degli interventi cofinanziati dal F.S.E.) e sono stati avviati 184 corsi
per lavoratori sospesi e disoccupati.371
E' stato introdotto uno strumento innovativo di welfare, il reddito di garanzia, che mira a
superare le condizioni di povertà delle famiglie trentine, tramite una integrazione
monetaria. Si è rivelata una misura significativa, in quanto ha riguardato 3000 nuclei
familiari.372
Non mancano le misure a sostegno delle imprese: mutui di riassetto finanziario, contributi
per gli investimenti, sostegno dei progetti di ricerca industriali. In particolare, alle imprese
artigiane sono stati concessi contributi per una quota di circa 19,4 milioni di euro, e sempre
alle stesse è stata destinata una quota consistente dei mutui di riassetto finanziario.373
Concludendo possiamo dire che il bilancio si mostra positivo in Provincia, dove la crisi
sembra mordere meno che altrove.
Lorenzo Dellai, Presidente della Provincia, affermò: “la manovra anticongiunturale varata
all'inizio del 2009 dalla Provincia, a fronte della grave crisi economico-finanziaria
mondiale, non ha eguali a livello nazionale e può, anzi, essere confrontata con le più
importanti iniziative varate a livello internazionale. Quando parliamo di responsabilità
derivanti dal nostro particolare status autonomistico – proseguì il Presidente – è anche a
questo che ci riferiamo: alla capacità di utilizzare le nostre prerogative, e le nostre risorse,
in maniera efficace, mirata, tempestiva. In questo senso, la manovra è stata un banco di
370 Http://anteprime.provincia.tn.it
371 IL TRENTINO, maggio 2010, pp. 8-9.
372 Http://www.cgil.tn.it
373 IL TRENTINO, ibidem.
106
prova, ci ha consentito di testare la maturità della nostra macchina amministrativa, la
velocità di reazione del sistema economico nel suo complesso, la tenuta stessa del corpo
sociale. Se dovessimo ricavarne una lezione, potremmo dire che essa ci ha fatto crescere,
che ci lascerà in eredità un tessuto produttivo e dei servizi più competitivo, ma anche un
welfare più moderno e aggiornato”.374
5. MANOVRA ANTICRISI 2010
A febbraio è stato siglato, tra la Giunta provinciale e le parti sociali, il protocollo d'intesa
che stabilisce le misure di politica del lavoro, per affrontare l'emergenza occupazionale
conseguente alla crisi economica.
La Commissione provinciale per l'Impiego, sulla base di questo protocollo, ha emanato una
serie di delibere che comportano l'operatività, con valenza retroattiva (dal 1° gennaio 2010)
delle azioni indicate dall'intesa.375 Le azioni di sostegno all'occupazione sono state
confermate nel loro impianto anche per il 2010, ma si sono aggiornati i provvedimenti,
estendendone la portata e introducendo alcune novità al fine di tutelare meglio le lavoratrici
e i lavoratori.
In particolare, oltre ad adottare gli ammortizzatori in vigore nel resto del Paese, la Provincia
con questo piano ha deciso di andare oltre, rafforzando le condizioni per favorire la
conservazione dei rapporti di lavoro in luogo dei licenziamenti e conferendo ai lavoratori
,comunque licenziati, sostegni al reddito nei casi di esclusione dalle prestazioni sociali
statali. I beneficiari di queste ultime, invece, riceveranno trattamenti più adeguati e
dignitosi.
La crisi economica ha messo a nudo gli elementi di contraddittorietà e discriminazione
dell'impianto statale delle tutele del reddito dei lavoratori in difficoltà, facendo scoprire
diversità di trattamento dei lavoratori licenziati molto pronunciate. Al tempo stesso, essa ha
fatto emergere aree e categorie di lavoratori totalmente esclusi da qualsiasi forma di tutela,
tra cui i lavoratori precari.
La Provincia Autonoma di Trento, da sempre apripista nella promozione di soluzioni
innovative, ha attivato un pacchetto di misure che non ha uguali nel resto del Paese, dove
invece si è operato esclusivamente nel solco degli ammortizzatori sociali in deroga.376
374 Http://www.ufficiostampa.provincia.tn.it
375 Http://www.cgil.tn.it
376 Http://www.infonordest.it
107
Il piano anticrisi persegue tre obiettivi fondamentali:
1) per favorire la conservazione del rapporto di lavoro, esso estende a tutti i settori
economici il contributo riservato ai datori di lavoro firmatari di contratti di solidarietà.
Inoltre conferma la previsione di un contributo agli enti bilaterali che siano disponibili a
garantire, ai lavoratori dipendenti sospesi dal lavoro, un sostegno al reddito integrativo di
quello statale, o riferito a soggetti non aventi titolo;
2) per sostenere il reddito dei lavoratori vengono stabiliti tre interventi:
– l'erogazione di un assegno integrativo, per un massimo di 200 euro mensili, a favore
dei lavoratori in CIG, anche in deroga, che siano rimasti sospesi dal lavoro nel
semestre di riferimento per almeno 120 ore;
– l'erogazione di un assegno integrativo, per un massimo di 200 euro mensili, a favore
dei lavoratori aventi titolo all'indennità di disoccupazione ordinaria o speciale
dell'edilizia erogata dallo stato o di mobilità statale, anche in deroga, e regionale;
– l'erogazione di una specifica indennità provinciale di disoccupazione a favore dei
soggetti esclusi dalle provvidenze statali, purché licenziati per ragioni riconducibili
alla crisi economica, ed in possesso del requisito di un'anzianità lavorativa presso
l'ultimo datore di lavoro di almeno sei mesi. La misura di tale indennità è pari a 600
euro per un massimo di sei mesi;
3) per favorire e sostenere l'occupabilità dei lavoratori è introdotto un pacchetto di
interventi di sostegno e di supporto, anche di orientamento e formativi, tesi a potenziare le
opportunità dei lavoratori di consolidare la propria posizione in azienda o sul mercato del
lavoro.377
La previsione di un assegno provinciale integrativo dei trattamenti statali di CIG,
disoccupazione e mobilità, ambisce a realizzare una più ampia uniformità tra i trattamenti
previsti in precedenza. In base ai contratti, sarà garantito il trasferimento di 200, 400 o 600
euro mensili, a integrazione del reddito di chi è già assistito da provvidenze statali,
regionali e provinciali. L'effetto è che tutti i lavoratori che perdono il lavoro, anche i
precari, arriveranno a una quota di 1000 euro al mese.378 E' stata introdotta anche la mobilità
in deroga, con una durata di otto mesi.
377 PROTOCOLLO D'INTESA per l'anno 2010 in materia di azioni per affrontare l'emergenza
occupazionale e conseguente alla crisi economica, ammortizzatori sociali in deroga e lavori socialmente
utili.
378 Http://www.cisltn.it
108
Le misure approvate dalla Provincia si distinguono anche per un altro profilo, che attiene al
principio di condizionalità degli interventi. In base a tale principio, il beneficio delle somme
di sostegno al reddito erogate dalla Provincia, rimane condizionato alla partecipazione da
parte dei soggetti beneficiari alle iniziative organizzate a loro favore.
Si genera, in questo modo, uno stretto legame tra politica passiva e politica attiva del
lavoro, ispirato all'esigenza di un'ampia responsabilizzazione sociale e all'obiettivo che, pur
nella crisi, possano sorgere i presupposti per una più agevole ripresa del lavoro o, per i
lavoratori licenziati, per un pronto ritorno nel mercato del lavoro.
Gli interventi della Provincia sono ispirati, inoltre, al principio di residualità, cioè essi
introducono tutele per i soggetti non considerati dallo Stato. Nel caso in cui l'intervento
della Provincia si sovrapponga a quello dello Stato, lo stesso sarà integrativo delle misure
di rango statale.379
Si tratta di un accordo unico in Italia, che va nella direzione di una maggiore equità e
universalità della tutela dei lavoratori trentini. Un ruolo decisivo l'hanno avuto i sindacati,
che da tempo chiedono alla Provincia questi provvedimenti, in uno spirito di concertazione
che, nonostante la crisi, è rimasto intatto in Trentino.
6. FORMAZIONE
Tra le politiche attive del lavoro, le attività formative hanno una valenza notoriamente
strategica. Possono riguardare sia soggetti privi di occupazione per migliorare o rafforzare
le loro competenze, sia neo-assunti per facilitarne l'inserimento lavorativo, sia lavoratori già
occupati per aggiornare o adeguarne le competenze, laddove divenute insufficienti o
obsolete.
In Trentino ci troviamo di fronte a un sistema di offerta formativa articolato, di qualità,
monitorato costantemente e oggetto di valutazione periodica da parte dell'amministrazione
provinciale. Esiste un sistema consolidato di orientamento, formazione e inserimento
professionale, con particolare riferimento ai giovani e alle fasce deboli del mercato del
lavoro.380 Va sottolineato, come il Rapporto 2007 sulla Formazione continua in Italia ponga
il Trentino Alto Adige su un piano di assoluta eccellenza a livello nazionale, per quanto
riguarda la domanda potenziale di formazione e l'adesione ai fondi paritetici
379 Http://www.adapt.it
380 DARE VALORE ALLE PRATICHE, Economia sociale e formazione continua per lo sviluppo del
territorio – Esperienze EQUAL in Europa, Trento, 2008, p. 106.
109
interprofessionali.
Quindi siamo in presenza di una efficiente ed efficace amministrazione delle politiche attive
del lavoro. I dati ci mostrano come la maggior parte della popolazione, che partecipa alle
attività formative permanenti, sia compresa tra i 25 e i 64 anni.
Nel corso degli anni, notiamo un incremento dell'indice di lifelong learning in provincia di
Trento. La formazione permanente è intesa, come strumento in grado di rispondere ai
fabbisogni di competenza delle persone lungo l'intero corso della vita lavorativa.381
Fondamentale è il ruolo di raccordo svolto dal Fondo Sociale Europeo, sia nei confronti dei
sistemi di istruzione e formazione, sia nell'ambito delle politiche comunitarie, nazionali e
provinciali di sviluppo. Si osserva che circa i 2/3 dei partecipanti alle attività formative,
risulta occupato a dodici mesi di distanza dalla fine del corso.382
Ma non mancano i punti di debolezza del sistema trentino. Sono principalmente due:
1) il coinvolgimento delle fasce deboli (giovani, donne, immigrati, over 50,
caratterizzati da bassi livelli di istruzione e qualificazione);
2) la formazione continua in azienda nelle imprese di minori dimensioni. 383
La Provincia, nell'ambito delle azioni straordinarie a sostegno dell'occupazione varate a
seguito della crisi economica, promuove un ampio programma di servizi formativi e
orientativi, dedicati a persone sospese dal lavoro, in mobilità o che hanno perso il lavoro a
seguito della crisi. L'iniziativa è cofinanziata dal Fondo Sociale Europeo. Si tratta di un
programma integrativo dei servizi ordinari di formazione e orientamento, già attivi sul
territorio provinciale, che offre opportunità di potenziamento della preparazione
professionale e dell'occupabilità dei lavoratori esposti alla crisi occupazionale, con la
convinzione che, anche grazie a questo supporto, i lavoratori in difficoltà possano
ricollocarsi al più presto.384
Si registra un tendenza verso il miglioramento continuo del sistema e verso una
diversificazione dell'offerta formativa. L'occupazione e l'apprendimento continuo sono i
pilastri del welfare attivo promosso in sede europea. Un welfare, che investe i cittadini della
381 ROSANGELA LODIGIANI, Welfare attivo, Trento, Edizioni Erickson, 2008, p. 163 ss.
382 MICHELE COLASANTO, LUCIANO GALETTI, Valutare la qualità – Gli interventi valutativi delle
azioni del Fondo Sociale Europeo Obiettivo 3 (2000-2006) della Provincia Autonoma di Trento, Milano,
Franco Angeli, 2007, p. 149.
383 DARE VALORE ALLE PRATICHE, Economia sociale e formazione continua per lo sviluppo del
territorio – Esperienze EQUAL in Europa, Trento, 2008, p. 110.
384 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, Programma operativo, Obiettivo 2 Fondo Sociale Europeo
2007-2013, 2008, pp. 7-23.
110
responsabilità del proprio benessere e sostiene le capacità individuali di autoprotezione dai
rischi e di risposta ai bisogni. Se il lavoro retribuito è la più efficace strategia di inclusione
sociale e di tutela, il lifelong learning è la migliore leva per sviluppare l'occupabilità e la
partecipazione attiva.
7. IL FONDO SOCIALE EUROPEO
Il Fondo Sociale Europeo è uno dei Fondi strutturali previsti dall'Unione Europea.
Il suo scopo è ridurre il divario tra le varie Regioni europee e rafforzare la coesione
economica e sociale in Europa. Ha la funzione di sostenere misure al fine di contrastare la
disoccupazione, sviluppare l'integrazione sociale nel mercato del lavoro, la parità tra i sessi
e realizzare uno sviluppo economico e sociale stabile.385
L'azione del Fondo Sociale Europeo in Provincia ha rappresentato, in modo particolare
negli ultimi anni, una formidabile leva per agire sull'innovazione degli strumenti utilizzati
dalla Pubblica Amministrazione, al fine di rafforzare, migliorandone la qualità, il proprio
sistema di welfare. Di tale azione si è reso protagonista l'Ufficio Fondo Sociale Europeo
che, raccordandosi di volta in volta con i singoli settori di intervento, ha progettato e
sperimentato un rilevante set di nuovi dispositivi e meccanismi di funzionamento, destinati
a favorire l'adeguamento e l'ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione,
formazione e occupazione. 386
Il Programma operativo Fse 2000-2006 della Provincia si è articolato in sei Assi prioritari
(adattabilità – occupabilità – inclusione sociale – capitale umano – transnazionalità e
interregionalità – assistenza tecnica). Tra gli orientamenti strategici del programma 20002006, vi è il rafforzamento del sistema di istruzione e formazione secondo tre dimensioni:
qualità – integrazione – innovazione.387 L'intervento del Fondo Sociale Europeo nella
Provincia Autonoma di Trento è risultato orientato alla logica del lifelong learning.
Le risorse, poco più di 230 milioni di euro, sono state così ripartite:
- 45% Fondo Sociale Europeo
- 44% Stato
- 11% Provincia Autonoma di Trento.388
385 IL TRENTINO, aprile 2010, p.60.
386 Http://www.fse.provincia.tn.it
387 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, Programma operativo, Obiettivo 2 Fondo Sociale Europeo
2007-2013, 2008, p. 21.
388 IL TRENTINO, ibidem.
111
Queste risorse sono state interamente utilizzate nel corso della programmazione 2000-2006.
Si sono realizzati maggiori interventi rispetto a quelli previsti inizialmente; quelli destinati
alle persone (interventi formativi, incentivi, Work Esperience, percorsi integrativi) hanno
coinvolto 98.500 soggetti. Tra le azioni innovative merita attenzione l'offerta formativa in
ambito informatico e linguistico, realizzata tramite i buoni formativi. Scopo di tale
strumento è coinvolgere un numero crescente di cittadini in percorsi di formazione lungo
tutto l'arco della vita, così come richiesto a livello comunitario. Una quota consistente di
persone di mezza età e una percentuale significativa di donne costituiscono i principali
destinatari di questi interventi. 389
Il Trentino è collocato nella fascia alta della classifica che riguarda la capacità e la qualità
di utilizzo dei fondi strutturali da parte delle Regioni italiane.
Nel Programma Operativo FSE provinciale 2007-2013 sono state recepite quattro priorità:
adattabilità, accesso al lavoro, inclusione sociale, attivazione di riforme.
Con riferimento alla prima priorità, l'adattabilità dei lavoratori, si raccomanda il
rafforzamento della diffusione della formazione continua. La seconda priorità inerisce al
rafforzamento dei percorsi di accesso al lavoro, con la necessità di concentrare l'attenzione
sulle donne e sulla popolazione immigrata. La terza priorità riguarda il rafforzamento
dell'inclusione sociale dei soggetti svantaggiati. L'ultima priorità concerne l'attivazione
delle riforme nei settori dell'occupazione e dell'integrazione (concertazione a livello locale,
sviluppo del partenariato).390
8. IL “TAVOLO SUGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI”
E' stato attivato, nei primi mesi del 2010, uno specifico tavolo di confronto per la riforma
strutturale ed organica degli ammortizzatori sociali provinciali, da coordinare con la
normativa regionale e statale. I provvedimenti previsti per il 2010, infatti, vanno intesi
come una sorta di ponte tra gli strumenti di sostegno al reddito attuali e il futuro sistema
organico di ammortizzatori sociali provinciali, reso praticabile dalla delega che la Provincia
ha recepito.
Il “tavolo sugli ammortizzatori sociali” è formato da quattro pilastri:
389 MICHELE COLASANTO, LUCIANO GALETTI, Valutare la qualità – Gli interventi valutativi delle
azioni del Fondo Sociale Europeo Obiettivo 3 (2000-2006) della Provincia Autonoma di Trento, Milano,
Franco Angeli, 2007.
390 DARE VALORE ALLE PRATICHE, Economia sociale e formazione continua per lo sviluppo del
territorio – Esperienze EQUAL in Europa, Trento, 2008, p. 110.
112
1) lavoro, formazione lavoro, riforma ammortizzatori sociali, delega del Governo,
politiche attive, rapporti con l'Inps
2) reddito di garanzia
3) previdenza integrativa
4) politiche familiari.
Alla vigilia del 1° maggio (data fortemente simbolica), il Presidente della Provincia conformemente all'impegno assunto alla fine dello scorso anno - ha comunicato le linee
guida della prossima legge che riformerà, ampliandoli e fortificandoli, alcuni istituti del
welfare, a seguito delle nuove competenze ottenute dalla Provincia da parte dello Stato.391
8.1 Linee guida di intervento in materia di ammortizzatori sociali
Le linee guida sono state approvate il 30 aprile dalla Giunta provinciale.
L'obiettivo è dare agli ammortizzatori sociali tre caratteri fondamentali: universalità –
innovatività – responsabilità.
Universalità significa includere tutti i lavoratori, esclusi dai provvedimenti ordinari e
straordinari di sostegno al reddito per insufficienza dei requisiti di accesso, in particolare
quelli più deboli, come i lavoratori atipici. Si deve adottare un criterio di equità, ma anche
tener conto delle condizioni personali dei lavoratori.
In riferimento alla responsabilità, si chiarisce che il sistema degli ammortizzatori sociali
deve essere basato sul principio di solidarietà di tutti gli attori sociali, nel senso che gli
oneri e i benefici devono essere ripartiti equamente. Inoltre si richiama il legame tra
politiche passive e politiche attive, con la conseguenza che ogni beneficiario deve attivarsi
per migliorare la propria professionalità e facilitare così la probabilità di ricollocarsi nel
mercato del lavoro.
Il concetto di innovatività si riferisce all'esigenza di una semplificazione del sistema, vista
la sua complessità, al fine di renderlo razionale e coerente dal punto di vista sia dei criteri di
accesso da parte dei lavoratori, sia riguardo alle modalità di gestione.392
Sulla base di queste premesse si devono garantire quattro tipi di prestazioni:
1) Reddito di continuità
Lo scopo è valorizzare gli istituti della Cassa integrazione, per garantire la
continuità dell'occupazione, sulla base della normativa statale, ma il processo
391 L'ADIGE, lunedì 3 maggio 2010, p. 17.
392 Http://www.lavocedelnordest.it
113
decisionale dovrebbe avere luogo in sede provinciale (la Provincia dovrebbe
garantire trattamenti minimi).393 In quest'ambito potrà essere valorizzata l'esperienza
degli enti bilaterali, che, alcuni più di altri in Trentino, hanno svolto un ruolo
prezioso nella tutela dei lavoratori. Un ruolo che potrebbe essere confermato, anche
grazie al sostegno della Provincia.
2) Reddito unico di attivazione
Questo reddito ha la funzione di sostituire le varie prestazioni di disoccupazione e
assicurare una tutela anche ai lavoratori esclusi. Vanno ridefiniti i criteri di accesso
(i requisiti, le misure e la durata), tenendo conto della capacità contributiva dei
soggetti, ma stabilendo una soglia minima di protezione per tutti. “Attivazione”
significa che il beneficiario della misura di sostegno deve partecipare alle politiche
attive promosse nei suoi confronti.394 Viene in rilievo, ancora una volta, lo stretto
collegamento tra politiche attive e politiche passive.
3) Reddito di qualificazione e specializzazione a favore dei giovani
I giovani nel nostro Paese non trovano tutela. La disoccupazione giovanile è pari al
26% in Italia, mentre nella Provincia di Trento il tasso è minore (11%), ma è
cresciuto negli ultimi anni.395 Va sottolineato come in quasi tutti i Paesi Europei, i
giovani, che usciti dal sistema scolastico non trovano un lavoro in tempi brevi, sono
tutelati. Quindi si vogliono erogare redditi, in particolare ai giovani tra i 18 e i 24
anni privi di un diploma, affinché possano concludere i loro percorsi formativi.
Inoltre va valutata la possibilità di estendere la concessione di borse di lavoro e
stage aziendali in Italia e all'estero e sostenere i tirocini post-diploma e postlaurea.396
4) Reddito di garanzia
E' uno strumento di inclusione sociale del tutto nuovo nel panorama del welfare
italiano, ma non su scala europea dove si è affermato da molti anni. E' uno schema
di reddito minimo garantito, come quelli previsti in tutti i Paesi dell'Unione Europea
ad eccezione di Grecia e Italia. Il Trentino è l'unico territorio in Italia ad aver attuato
questa misura anticongiunturale. Si tratta di uno strumento permanente di contrasto
alla povertà, stabilito dalla legge provinciale n. 13/2007. Questa legge pone dei
393 Http://www.ufficiostampa.provincia.tn.it
394 Http://www.marketpress.info
395 L'ADIGE, lunedì 3 maggio 2010, p. 4.
396 Http://www.vitatrentina.it
114
vincoli: per accedere al beneficio uno dei familiari deve essere residente in Trentino
da almeno tre anni e avere un indice ICEF idoneo; il sostegno infatti è rivolto al
nucleo familiare, non al singolo individuo. Questa scelta si spiega con la volontà di
scoraggiare qualsiasi forma di “turismo assistenziale”, che porti i poveri di altre
regioni a riversarsi nell'unica provincia italiana che prevede uno schema di questo
tipo. In questa sede, si vuole sottolineare la funzione di protezione del reddito di
garanzia, contro il rischio di perdere le indennità di sostegno al reddito, quando
decadono i termini di copertura e sopraggiungono situazioni di indigenza.397
In riferimento al principio di condizionalità, va evidenziato come esso riguardi tutti i
quattro redditi sopra richiamati. Il lavoratore è obbligato a partecipare ad azioni di politica
attiva. Si potrebbe far corrispondere all'erogazione della prestazione economica, anziché
l'accettazione formale, un atto di effettiva partecipazione. In questo modo si renderebbe più
rigido questo principio, con la conseguenza di una maggiore responsabilità degli uffici
competenti nei servizi per l'impiego e nelle politiche attive.398
La formazione è una colonna portante della condizionalità. Essa può contribuire a una
maggior qualità del lavoro, a migliorare la posizione dei lavoratori e comportare una più
elevata efficienza nel mercato del lavoro (dal punto di vista della coerenza tra preparazione
dei lavoratori e fabbisogni delle imprese).
La delega sugli ammortizzatori sociali va correlata alla delega sull'università, istituzione
che sostiene l'offerta di formazione continua. La Provincia di Trento ha infatti raggiunto un
accordo con lo stato per la delega in materia di gestione finanziaria dell'ateneo, in
attuazione di quanto previsto dall'intesa, intervenuta nel novembre scorso, nell'ambito
dell'ultima legge finanziaria. Il Trentino arriva, così, a farsi carico dell'intero percorso
formativo, con il vantaggio di poterlo gestire in stretto raccordo con le caratteristiche del
territorio, anziché rimanere inchiodato a normative indifferenziate, valide in tutta Italia.
La Provincia potrà così utilizzare con maggior efficacia e efficienza il budget di spesa di 73
milioni di euro l'anno, fin qui manovrato da Roma; 399 con indubbi benefici destinati a
potenziare il già elevato livello scientifico e didattico dell'università di Trento.
Viene richiamato anche il principio di sussidiarietà, che deve caratterizzare le politiche
397 Http://www.2010.festivaleconomia.eu
398 Http://www.lavocedelnordest.it
399 Http://www.ufficiostampa.provincia.tn.it
115
pubbliche, nel senso di un più ampio coinvolgimento di enti, associazioni, organizzazioni
(patronati, agenzie per il lavoro, enti bilaterali, cooperative).400 Gli enti bilaterali, in
particolare, possono svolgere un ruolo da protagonisti sia nell'ambito delle politiche
passive, sia in quello delle politiche attive.
Per quanto concerne l'organizzazione degli interventi, deve sussistere contestualità tra le
azioni di politica attiva e quelle di politica passiva.
La Provincia farà affidamento sull'Agenzia del Lavoro. Quest'ultima si caratterizza, nel
disegno trentino, per essere “emanazione diretta del governo locale, al quale è riservato, se
pur con la partecipazione e il controllo della Commissione provinciale per l'Impiego, la
definizione degli obiettivi e dei programmi degli interventi di politica del lavoro”.401 Essa è
quindi “incardinata nell'ambito dell'amministrazione provinciale, assumendo collocazione
stabile e organica a fianco degli altri soggetti preposti alle politiche del lavoro”402 (la Giunta
provinciale e la Commissione provinciale per l'Impiego). Caratteristica dell'Agenzia del
Lavoro di Trento è la sua funzione di sostegno diretto al mercato del lavoro. Essa si
configura come un organismo “gestionale”403, che dà concretezza alle politiche del lavoro
locali, realizzando programmi di sostegno alle imprese per elevare i livelli occupazionali,
favorire l'elevazione professionale dei lavoratori, sostenere le fasce più deboli del mercato
del lavoro. Si tratta di un modello organizzativo “forte”, a fondamento del quale sta un
chiaro statuto normativo degli interventi di politica del lavoro. Lo schema della Provincia
autonoma è ben diverso da quello delle altre agenzie regionali, che si configurano come
organi tecnici.404
L'Agenzia del Lavoro trentina ha invece compiti gestionali e dunque non si limita a
realizzare il piano degli interventi di politica del lavoro, ma lo definisce. Essa non è dotata
di personalità giuridica ma ha autonomia gestionale, amministrativa e contabile (art. 7 l.p.
19/6/1983 n. 19).405 Tra le sue competenze rientrano le funzioni di collocamento: infatti essa
è responsabile da sempre sull'orientamento professionale e sull'assistenza nel collocamento.
400 Http://www.marketpress.info
401 MARIO NAPOLI, Il modello dell'Agenzia del lavoro di Trento nella legge provinciale n. 19/83, in
Politiche del lavoro, occupazione, diritto: idee ed esperienze: (1983-1986), Milano, Angeli, 1988, p. 152.
402 SERGIO VERGARI, Mercati e diritto del lavoro nelle Province Autonome di Trento e Bolzano, Padova,
Cedam, 2004, p. 113.
403 MARIO NAPOLI, Mercato del lavoro e autonomia regionale in Italia, in Politiche del lavoro,
occupazione, diritto: idee ed esperienze: (1983-1986), Milano, Angeli, 1988, p. 155.
404 VERGARI, ibidem, pp. 115-117.
405 P. GARONNA, F. PANIZON, Sperimentazione e innovazioni nel disegno di Agenzia del lavoro della
Provincia di Trento, in AA. VV., Il ragno e la ragnatela. Le politiche attive del lavoro a livello locale,
Milano, 1986, p. 41.
116
L'Agenzia del Lavoro costituisce ancora oggi il soggetto istituzionale di riferimento per
l'attività di mediazione nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Una questione problematica che il nuovo sistema di ammortizzatori sociali impone, è quella
della sostenibilità della spesa sociale. La riforma comporterà maggiori costi, relativi
all'applicazione di criteri di carattere universalistico e derivanti dal rafforzamento delle
politiche di attivazione. Il problema potrà essere risolto, spostando l'attenzione sulla
solidarietà di tutti gli attori coinvolti e valutando la possibilità di contribuzione volontaria a
carico dei soggetti attualmente esclusi dai benefici.406
I sindacati condividono la riforma ma ribadiscono che tutte le categorie devono contribuire
al nuovo welfare, cioè devono partecipare alla copertura dei costi (quindi anche parte del
settore turistico, del commercio e dell'artigianato), e che i controlli dovranno essere severi
per evitare abusi e forme di parassitismo.
In definitiva, il documento, varato alla vigilia del 1° maggio, rappresenta un quadro di
riferimento per la successiva fase legislativa e come tale suscettibile di eventuali
suggerimenti, osservazioni ed integrazioni, che le parti sociali vorranno avanzare.
406 Http://www.vitatrentina.it
117
CONCLUSIONI
Questo lavoro vuole fornire un quadro normativo e descrittivo degli ammortizzatori sociali
del sistema di welfare italiano, soffermandosi in particolare sul ruolo svolto dagli enti
bilaterali, e concludendo con l'analisi degli ammortizzatori e delle competenze in materia
della Provincia Autonoma di Trento.
Dopo aver passato in rassegna, nel primo capitolo, i vari tipi di ammortizzatori sociali del
sistema di protezione sociale italiano, si evidenzia come tale sistema sia ancora
relativamente poco sviluppato. Dall'analisi dei vari ammortizzatori sociali, emerge un
quadro frammentato ed eterogeneo, e la mancanza di uno schema generale che fornisca un
significativo sostegno al reddito dei disoccupati. Questo contrasta con l'art. 38 Cost., che
enuncia il diritto al lavoratore, in caso di disoccupazione involontaria, a ricevere i mezzi
adeguati alle esigenze di vita, dato che vengono lasciate senza protezione ampie fasce di
cittadini. Da anni si parla della necessità di riformare l'attuale sistema di protezione sociale.
L'obiettivo principale è rappresentato dalla realizzazione di un sistema universalistico di
protezione contro la disoccupazione.
Come viene spiegato nel primo capitolo, il legislatore ha cercato di risolvere questi
problemi introducendo i c.d. “ammortizzatori sociali in deroga”. Questo strumento sostiene
il reddito di quei lavoratori esclusi dal sistema degli ammortizzatori sociali generale. E'
importante sottolineare come questi ammortizzatori, inizialmente, fossero previsti solo in
casi di emergenze occupazionali. In seguito, invece, hanno trovato disciplina in tutte le
leggi finanziarie, varate di anno in anno. Di fronte alla crisi economica, che ha investito il
Paese, gli ammortizzatori in deroga sono stati confermati anche lo scorso anno.
Successivamente viene preso in considerazione l'Accordo 12 febbraio 2009, che porta
soluzioni innovative, per contrastare la crisi, che mirano all'universalizzazione delle tutele e
al contenimento dei licenziamenti. L'aggravarsi delle condizioni economiche, nel 2009, ha
provocato tensioni anche sul piano occupazionale. Il legislatore è intervenuto con la Legge
2/2009, la quale prevede un'estensione degli strumenti a tutela del reddito, in caso di
sospensione dal lavoro o di disoccupazione. Questa legge viene analizzata nel secondo
capitolo, puntando l'attenzione anche sulla valorizzazione del ruolo degli enti bilaterali.
Dopo aver dato una definizione al concetto di bilateralità e di ente bilaterale, viene
118
presentato un quadro descrittivo di tali organismi, molto diversi per denominazione,
funzioni e tipologia. Viene riservata particolare attenzione, a come questi enti privati
abbiano contribuito a surrogare la carenza di strumenti universalistici per la tutela del
reddito. Gran parte della tesi è dedicata a questi enti, che hanno il fine di ovviare alle
inaccettabili iniquità di un modello che esclude milioni di lavoratori precari.
Nel terzo capitolo, relativo agli ammortizzatori sociali della Provincia Autonoma di Trento,
si spiega il prezioso ruolo che svolge l'Ente Bilaterale dell'Artigianato Trentino (E.B.A.T),
che oggi sostiene il reddito di gran parte dei lavoratori artigiani trentini.
Attraverso l'esperienza degli enti bilaterali, le parti sociali ed il legislatore intendono
favorire uno sviluppo di ammortizzatori sociali finanziati e gestiti su base mutualistica ed
extrastatuale, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Questo può concorrere,
sia pure in una prospettiva complementare, ad attenuare quegli aspetti di iniquità del nostro
sistema. Tuttavia, resta indispensabile una revisione strutturale e di stampo universalistico
delle politiche sociali pubbliche. E' necessario da parte del legislatore una presa di
coscienza dell'attuale sistema.
Nel corso della tesi vengono presi in considerazione, seppur brevemente, i sistemi di
protezione sociale di alcuni Paesi del Nord Europa (Olanda, Svezia, Danimarca, Gran
Bretagna), osservando che l'Italia dovrebbe prendere come esempio le misure efficienti
adottate in questi Stati. Dal punto di vista del legame tra politiche passive e politiche attive,
soprattutto, la logica degli Stati sopra citati è ben diversa da quella italiana: la politica
passiva segue quella attiva. Va apprezzato lo sforzo compiuto dal legislatore con la L.
2/2009, nel disporre il necessario legame tra ammortizzatori sociali e politiche attive, anche
se si è ancora lontani dalla mentalità che caratterizza i Paesi sopra menzionati.
Nell'ultimo capitolo vengono analizzati gli ammortizzatori sociali e le competenze della
Provincia Autonoma di Trento in materia. In virtù della delega sugli ammortizzatori sociali
che la Provincia ha recepito, si sono poste le premesse per un nuovo modello di welfare che
avvicina la Provincia ai sistemi di welfare del Nord Europa. Questa delega rende praticabile
un futuro sistema organico di ammortizzatori sociali provinciali, coordinato con la
normativa statale e regionale. Risulta chiara la ragione della delega: la contraddittorietà
dell'attuale sistema di ammortizzatori sociali, visto che i lavoratori più esposti al rischio di
disoccupazione sono privi di tutela. Si rileva come la Provincia Autonoma di Trento
diventerà peculiare rispetto alle altre Regioni, grazie a questa delega conferitale dal
119
Governo.
A livello nazionale si ribadisce la necessità di un'organica riforma in materia, sempre
puntualmente rinviata. L'Italia non deve mutuare modelli già introdotti in altri paesi, ma
sviluppare le soluzioni più adatte al contesto italiano. L'obiettivo rimane la realizzazione di
un sistema universalistico di protezione contro la disoccupazione, capace di superare le
ingiustificate differenziazioni particolaristiche.
120
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