l`osservatore romano
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLIII n. 79 (46.323) Città del Vaticano venerdì 5 aprile 2013 . Ban Ki-moon profondamente preoccupato per la gravità della crisi Da Papa Francesco cordoglio e vicinanza alle popolazioni Venti di guerra dalla Corea del Nord Tragiche conseguenze delle alluvioni in Argentina SEOUL, 4. Si fa sempre più tesa la situazione al 38º parallelo, dove il regime comunista di Pyongyang evoca venti di guerra sempre più forti. L’esercito, citato dall’agenzia di stampa ufficiale Kcna, ha dichiarato di aver ricevuto il «via libero definitivo» per un attacco nucleare contro le basi degli Stati Uniti. Dall’altro lato del Pacifico, Casa Bianca e Pentagono, che hanno inviato nel frattempo un sistema di difesa antimissile a Guam, a largo delle Filippine, secondo la stessa Kcna, sono stati informati direttamente dal regime di Pyongyang che un attacco nucleare nordcoreano «è possibile» e che le minacce statunitensi saranno «distrutte» anche con mezzi nucleari. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si dice «profondamente preoccupato» per l’escalation della situazione in Corea del Nord. «Siamo delusi e preoccupati», ha detto stamani Ban Kimoon in una conferenza stampa a Monaco di Baviera, per le restrizioni ai lavoratori sudcoreani impiegati nel distretto industriale di Kaesong, sottolineando di auspicare una rapida eliminazione di tali restrizioni. Anche l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Catherine Ashton, «deplora» l’annuncio da parte della Corea del Nord di riavviare il sito nucleare di Yongbyon «compreso il reattore da 5mw». Secondo Ashton è una ulteriore «chiara violazione» delle riso- Soldati delle due Coree si fronteggiano nella zona di confine di Panmunjom (Afp) luzioni Onu e degli «impegni presi nel 2007» da Pyongyang. Il capo Gabinetto del Governo giapponese, Yoshide Suga, ha detto che le continue provocazioni della Corea del Nord sono «estremamente riprovevoli». Il principale portavoce del Governo nipponico ha aggiunto che Tokyo lavora a stretto contatto con i Paesi alleati per chiedere al regime comunista di Pyongyang il rispetto degli obblighi internazionali. Mentre il ministro della Difesa, Itsunori Onodera, ha affermato che il Giappone è in stretto contatto con gli Stati Uniti per coordinare la risposta alle minacce nordcoreane. Il segretario alla Difesa statunitense, Chuck Hagel, che ha parlato telefonicamente con il collega cinese, generale Chang Wanquan, per disinnescare la situazione, ha affermato che Washington «prende seriamente» le minacce di Pyongyang che costituiscono un «pericolo reale e chiaro» per gli Stati Uniti e gli alleati. Nel frattempo, la Corea del Nord ha trasportato sulla costa orientale un missile a medio raggio. Lo riferisce l’agenzia sudcoreana Yonhap. «Le autorità d’intelligence sudcoreane e statunitensi hanno rilevato segnali secondo cui la Corea del Nord ha dispiegato un oggetto visto come un missile di media gittata sulla sua costa orientale», ha riferito una delle fonti. Dalle analisi fatte potrebbe trattarsi di un vettore Musudan, capace di coprire 4.000 chilometri e quindi di raggiungere Guam. Inoltre, per il secondo giorno consecutivo le autorità di Pyongyang hanno vietato ai lavoratori sudcoreani di entrare nel complesso industriale che amministra insieme a Seoul, nella città di confine di Kaesong. La Comunità economica dei Paesi dell’Africa centrale condanna l’iniziativa dei ribelli della Seleka Nessun avallo al colpo di Stato a Bangui y(7HA3J1*QSSKKM( +%!"!&!z!\ BANGUI, 4. «Allo stato attuale delle cose è impossibile riconoscere un presidente autoproclamato»: così il capo di Stato ciadiano, Idriss Deby, ha riassunto la posizione della Comunità economica dei Paesi dell’Africa centrale (Ceeac) in merito al colpo di Stato del 24 marzo nella Repubblica Centroafricana che ha portato al potere la coalizione ribelle Seleka e destituito il presidente François Bozizé. Al termine del vertice straordinario che ha riunito nella capitale ciadiana N’Djamena i leader regionali, insieme a rappresentanti dell’Unione africana e della comunità internazionale, Deby ha chiesto che «un collegio eletto dalle forze vive della Nazione prenda la guida della transizione, esercitando il ruolo dell’Esecutivo». Deby ha precisato che a tale collegio spetterà eleggere il presidente della transizione che, in ogni caso, non dovrà superare i 18 mesi. Sarà necessaria inoltre l’istituzione di un organo legislativo che redigerà la Costituzione e svolgerà il ruolo dell’Assemblea. Nessuna apertura da parte dei Paesi africani c’è stata quindi nei confronti del leader di Seleka, Cerimonia per i soldati sudafricani uccisi a Bangui (Afp) Michel Djotodia, che si è autoproclamato presidente, ha sospeso la costituzione, ha sciolto il Parlamento, annunciando una transizione di tre anni guidata da lui stesso e da un Governo di 34 membri che ha nominato nei giorni scorsi. Una delegazione formata dai ministri degli Esteri della Ceeac e da esponenti internazionali si recherà a Bangui «per portare questo messaggio ai centrafricani» ha concluso Deby, annunciando un altro vertice al termine della missione. «Ci confronteremo con gli altri e rifletteremo», ha commentato il generale Moussa Mohamed Dhaffane, figura di spicco di Seleka. A margine del vertice a N’D jamena, il presidente sudafricano Jacob Zuma ha annunciato alla Ceeac il ritiro delle truppe del suo Paese presenti nella Repubblica Centroafricana. Deby ha però precisato che Zuma «resta disponibile di fronte alla richiesta della Comunità di inviare forze qualora fosse necessario». In precedenza, il presidente ugandese Yoweri Museveni aveva deciso di sospendere le operazioni in territorio centroafricano dei tremila soldati inviati a caccia dei miliziani, originariamente nordugandesi, dell’Lra guidato da Joseph Kony. «Questi ribelli della Seleka che hanno preso il potere sono apertamente ostili alla nostra presenza quindi il presidente ci ha ordinato di rimanere nelle nostre posizioni difensive», ha annunciato il comandante ugandese Dick Olum. Da parte sua, il Governo del Camerun, che ha già accolto più di cinquemila profughi centroafricani, aveva deciso di chiudere la frontiera, nel timore di possibili attacchi e violenze ai danni della sua popolazione e degli sfollati — per lo più dell’etnia gbaya, quella del presidente destituito Bozizé — da parte di elementi armati della Seleka che avrebbero già varcato i confini. In merito, il «Journal de Bangui», il principale quotidiano centroafricano, ha parlato di una situazione estremamente preoccupante per l’economia nazio- nale, già in difficoltà, dato che il 70 per cento delle importazioni centrafricane transita dal Camerun. Nel frattempo, una settantina di militari regolari centroafricani, arrivati a Bondo, nella provincia Orientale della Repubblica Democratica del Congo, dopo essere sfuggiti all’avanzata della Seleka verso Bangui, hanno chiesto il rimpatrio. Nella Repubblica Centroafricana, intanto, non s’interrompono le violenze contro le popolazioni civili e segnatamente contro le comunità cristiane da parte di elementi della Seleka affiancati da miliziani islamisti giunti soprattutto da Ciad e Sudan. Una nuova denuncia in merito è stata fatta dal vescovo di Bangassou, Juan José Aguirre Muños, in dichiarazioni all’agenzia Fides. Le inondazioni nella città di La Plata (Reuters) BUENOS AIRES, 4. Tre giorni di lutto nazionale sono stati proclamati in Argentina per le vittime delle inondazioni che negli ultimi due giorni hanno colpito Buenos Aires e La Plata, il capoluogo provinciale. Il passare delle ore ha purtroppo aggravato le conseguenze del disastro. Sono infatti 54 i morti finora accertati, 48 a La Plata e 6 a Buenos Aires. Diverse persone sono annegate dopo essere rimaste intrappolate nelle loro auto nelle strade cittadine invase dall’acqua, altre sono rimaste folgorate dopo che la pioggia ha fatto crollare alcune linee elettriche. Più di ventimila persone sono state costrette a lasciare le loro abitazioni nelle zone alluvionate. Cordoglio per le vittime e vicinanza ai loro familiari e a tutte le persone colpite sono stati espressi da Papa Francesco in un telegramma inviato all’arcivescovo Mario Aurelio Poli, da lui nominato suo successore alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires. Nel telegramma, a firma del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, il Papa «incoraggia le istituzioni civili ed ecclesiastiche, così come le persone di buona volontà, a portare con carità e spirito di solidarietà cristiana gli aiuti necessari». Da Roma, dove si trova per partecipare all’assemblea annuale della Pontificia Commissione per l’America Latina, l’arcivescovo di La Plata, Héctor Rubén Aguer, si è messo in contatto con i suoi vescovi ausiliari, dando istruzioni di fornire il massimo dell’assistenza possibile agli alluvionati. Decine di persone hanno già trovato rifugio nel seminario diocesano San José. Alessandro Valignano, il gesuita dell’Estremo oriente Come detto, le dimensioni del disastro si rivelano di ora in ora più gravi. Gli uffici pubblici e le scuole sono stati chiusi, centinaia di migliaia di cittadini sono senza luce o gas, dato che le aziende fornitrici sono state costrette a interrompere il servizio per evitare incidenti, e diverse migliaia di persone risultano ancora isolate. Purtroppo, l’emergenza sembra destinata a protrarsi, anche perché le previsioni meteorologiche parlano di nuove precipitazioni. Il governatore della provincia di La Plata, Daniel Scioli, ha parlato di «una tragedia senza precedenti», sottolineando che in poco più di due ore sono caduti 400 millimetri di pioggia. Scioli ha anche annunciato — come riferiscono le agenzie di stampa internazionali — che circa quattrocento agenti, con l’appoggio di mezzi logistici militari, sono impegnati a pattugliare i quartieri allagati per cercare persone da aiutare e anche per scoraggiare possibili saccheggi nelle case abbandonate. Il governatore ha aggiunto che si stanno disponendo indennizzi e crediti a tassi preferenziali per chi ha perso la casa o le attività commerciali. Di timori della popolazione per possibili sciacallaggi ha parlato anche il presidente della Repubblica, Cristina Fernández de Kirchner, recatasi ieri nelle zone alluvionate, nelle quali si trova tra l’altro la casa di sua madre. Il presidente argentino ha assicurato il massimo impegno delle autorità nel fronteggiare l’emergenza, sottolineando che la priorità è ora il lavoro umanitario, l’identificazione delle vittime, ma anche la distribuzione di aiuti di immediata necessità, come materassi, coperte e acqua potabile. L’uomo che anticipò il futuro NOSTRE INFORMAZIONI La delegazione nipponica (con al centro il gesuita portoghese padre Diogo de Mesquita) inviata da Valignano in Europa in una stampa dell’epoca (Augsburg, 1586) GIANPAOLO ROMANATO ALLE PAGINE 4-5 Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali: — Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; — James Michael Harvey, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura; Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Piero Marini, Arcivescovo titolare di Martirano, Presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea lascia i tassi fermi allo 0,75 per cento Per il presunto occultamento di perdite miliardarie Francoforte sceglie la linea della prudenza Occhi puntati sui conti della Deutsche Bank FRANCOFORTE, 4. Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (Bce) nella riunione di oggi ha lasciato il tasso d’interesse di riferimento fermo allo 0,75 per cento. La decisione era attesa dal mercato, ma rappresenta comunque un segnale importante: l’istituto di Francoforte sceglie la linea della prudenza nella lotta contro la crisi. L’ultima variazione risale al 5 luglio 2012, quando la Bce tagliò dello 0,25 per cento il tasso di riferimento. Tasso che era rimasto fermo all’un per cento dall’8 dicembre 2011. Intanto, resta alta l’attenzione su Cipro. I dipendenti delle banche hanno proclamato per domani un’astensione dal lavoro di due ore in segno di protesta contro l’asserita mancata protezione del fondo pensioni dei loro colleghi impiegati per la Bank of Cyprus e la Laiki Bank, i due maggiori istituti di credito dell’isola che hanno subito gravi perdite a causa del piano di salvataggio dell’economia cipriota concordato dal governo cipriota con l’eurogruppo. In un comunicato diffuso ieri a Nicosia, il sindacato dei bancari (Etyk, che conta 11.000 iscritti) ha denunciato il fatto che i fondi pensione dei lavoratori impiegati nelle due banche sono a rischio come lo sarebbero anche i fondi pensione di altre categorie depositati negli stessi istituti. La sede della Bce a Francoforte (Afp) I dettagli precisi del piano concordato con la troika (che costituisce la base del memorandum d’intesa che dovrà essere ratificato anche dai Paesi dell’eurozona) non sono ancora stati resi noti. Di sicuro, però, il piano agirà pesantemente sul settore bancario, finanze pubbliche e riforme strutturali. Con un aggiustamento fiscale pari a due punti di pil, oltre alle misure pari al cinque per cento già decise. Serviranno poi mi- Nuova bufera sulle attività finanziarie di Goldman Sachs WASHINGTON, 4. Nuova bufera sulla finanza a stelle e strisce. L’ex trader di Goldman Sachs, Matthew Taylor, ha ammesso ieri la propria colpevolezza: ha nascosto un’attività finanziaria da 8,3 miliardi di dollari più di cinque anni fa, una posizione dieci volte superiore ai limiti imposti alla sua divisione. «Sono veramente dispiaciuto» afferma Taylor in tribunale, ammettendo di essere colpevole di un capo d’accusa di frode, con il quale rischia fino a venti anni di carcere. Secondo le autorità, Taylor avrebbe nascosto ai suoi capi la propria posizione, che si è poi tradotta in 118,4 milioni di perdite per Goldman Sachs. Taylor ammette di aver mentito in una mail a coloro che stavano indagando all’interno della banca. Una scommessa che aveva deciso di fare nella speranza di rafforzare la propria posizione in Goldman Sachs e migliorare il proprio potenziale compenso di fine anno. «Matt Taylor si è assunto la responsabilità per la propria condotta; si augura — ha dichiarato ieri il legale di Taylor, Thomas Rotko — di aver l’opportunità di lasciarsi il caso alle spalle». Intanto, si segnala una decisione “storica” della Sec, l’autorità statunitense dei mercati. I social network Facebook e Twitter potranno essere usati per comunicazioni societarie, a patto che gli investitori vengano avvertiti di quale mezzo l’azienda intende usare. Si tratta di una vera e propria rivoluzione — dicono gli esperti — che si inserisce nell’ampio dibattito in corso su come le autorità possano monitorare le interazioni delle società con i social media, soprattutto con il crescente ricorso da parte delle aziende e dei loro dipendenti a Facebook e a Twitter. «Sempre più aziende quotate usano i social media per comunicare con gli azionisti e gli investitori; apprezziamo il valore dei canali dei social media nelle comunicazioni di mercato e sosteniamo il fatto che le aziende cercano nuovi modi di comunicare» afferma la Sec, sottolineando che le comunicazioni affidate a Facebook e Twitter dovranno rispettare le norme che regolano la corretta diffusione delle informazioni, ovvero non discriminare un gruppo di investitori rispetto a un altro. Le aziende americane che usano i social media per comunicare con gli azionisti sono il 14,4 per cento del totale. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum venerdì 5 aprile 2013 POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va sure, come ha sottolineato l’Fmi, pari a un altro 4,5 per cento del pil per raggiungere un avanzo primario del 4,5 per cento nel 2018. E questa — sottolineano gli analisti — è la sola “boccata d’aria” che Nicosia si è vista concedere dalla troika, che consiste in due anni in più per rimettere in carreggiata deficit e debito. Questo perché, oltre allo smantellamento della Laiki Bank e alla ristrutturazione della Bank of Cyprus, è stato confermato l’aumento della tassa sulle società dal 10 al 12,5 per cento e il raddoppio dal 15 al 30 per cento dell’aliquota fiscale sugli interessi attivi. E le misure non si fermano qui: arriveranno una legge sulla responsabilità fiscale, un programma di privatizzazioni, la revisione del sistema sociale e di quello pensionistico. Tuttavia, assicurano Rehn e Lagarde, le riforme garantiranno «equità sociale e sostenibilità». Il faro dell’Ue è puntato anche verso Atene. La troika è tornata ieri ad Atene per ispezionare lo stato del bilancio e delle riforme: la nuova ispezione servirà — dicono fonti europee — a garantire alla Grecia una trance di prestiti da 2,8 miliardi di euro, prevista per il mese scorso. Altri sei miliardi di euro di prestiti sono previsti in arrivo nel primo trimestre, ma dovranno aspettare metà aprile per essere rilasciati. Atene dovrà rimborsare prestiti in scadenza per 3,8 miliardi di euro in aprile e altri 3,2 miliardi di euro a maggio. Fonti del ministero delle Finanze assicurano che non ci saranno problemi per i rimborsi. Un punto molto importante per il Governo Samaras è quello della privatizzazione delle ferrovie: il primo bando ci sarà a giugno. «La privatizzazione per il momento è avviata» ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Costis Hatzidakis, in una nota. BERLINO, 4. La Bundesbank (Buba) ha lanciato un’inchiesta per il presunto occultamento di circa dodici miliardi di euro di perdite sui derivati da parte del colosso Deutsche Bank. Lo rivela il «Financial Times», citando fonti vicine all’operazione, secondo le quali gli ispettori della Buba si apprestano a volare a New York la prossima settimana nell’ambito di un’inchiesta che punta a fare luce su speculazioni che avrebbero permesso alla banca tedesca di evitare un salvataggio durante la recente crisi finanziaria. Gli ispettori della banca centrale intendono ascoltare diverse persone, tra cui ex addetti di Deutsche Bank, a conoscenza delle operazioni sui derivati. Lo scorso dicembre lo stesso «Financial Times» aveva rivelato di un’indagine della Sec (l’autorità statunitense di controllo sui mercati e sulla Borsa) sulle perdite sui derivati di Deutsche Bank. A far scattare l’inchiesta sarebbero state le rivelazioni di tre ex dirigenti della banca tedesca. Come riferisce il quotidiano italiano «Il Sole 24 Ore», la Deutsche Bank ha ripetuto ieri che le accuse, da parte di questi ex dipendenti — successivamente licenziati o usciti dalla banca dopo aver manifestato la propria opposizione alle operazioni — sono totalmente infondate e che si tratta di un caso già vecchio di almeno due anni e mezzo sottoposto a un’accurata indagine condotta da uno studio legale su incarico della banca. Il colosso bancario tedesco — riporta sempre «Il Sole 24 Ore» — ha anche espresso la propria intenzione di continuare a collaborare con le autorità di vigilanza e che i suoi tre accusatori non avevano responsabilità o conoscenza diretta delle operazioni in questione. Le posizioni sono state successivamente chiuse o cedute. Le perdite — secondo gli ispettori delle autorità americane sui mercati e sulle Borse — sarebbero state causate da errate valutazioni sulla situazione della crisi dei mercati. Dati positivi per l’economia spagnola nel 2014 Mariano Rajoy promette crescita e lavoro Per Madrid è necessario un istituto bancario europeo MADRID, 4. Il presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, ha annunciato ieri che l’economia del Paese iberico crescerà nel 2014; un rialzo è previsto anche per l’occupazione, dopo anni di crisi. «Anche se il 2013 sarà ancora duro, l’economia spagnola crescerà in modo chiaro e inizieranno a crearsi posti di lavoro» ha detto Rajoy in un discorso presso la sede del Partito popolare a Ma- Dublino centra l’obiettivo di bilancio DUBLINO, 4. Il Governo di Dublino ha compiuto una «forte attuazione» del programma di riforme e di austerità, che sta dando «risultati positivi»; tuttavia, sulle prospettive dell’economia irlandese pesa l’elevato livello dei mutui in sofferenza. Lo scrivono in un rapporto i tecnici del Fondo monetario internazionale (Fmi) incaricati di valutare i progressi di Dublino, che comunque anche nel 2012 ha mantenuto il deficit di bilancio pubblico «ampiamente entro l’obiettivo» prefissato. Ma la crescita nel 2013 dovrebbe rimanere debole — intorno all’un per cento — con forti incertezze sulle prospettive di medio termine, si legge ancora nel rapporto. Dublino è rientrata sul mercato il mese scorso, collocando con successo un bond decennale per la prima volta dal 2010, quando aveva dovuto chiedere un pacchetto di 67,5 miliardi di aiuti a Ue, Fmi e Banca centrale europea sottoponendosi così a un pesante programma di riforme e austerity. Nella sua prima emissione, l’agenzia del debito di Dublino ha collocato bond per cinque miliardi di euro, aumentando l’ammontare rispetto ai tre iniziali di fronte alla forte domanda degli investitori. Dai mercati — ha commentato il ministro delle Finanze Noonan — è arrivata una risposta «straordinaria». drid. Il presidente del Governo ha difeso le riforme effettuate finora dall’Esecutivo e ha annunciato alcune misure per i prossimi mesi, compresa la creazione di un’autorità indipendente fiscale, la riforma energetica e l’adozione di una legge per favorire gli imprenditori. La politica attuata fin qui è riuscita a «stabilizzare la situazione» in Spagna in un panorama economico caratterizzato da un forte deficit pubblico, la crisi del settore finanziario e la crisi del debito. «Stiamo riparando un disastro in cui molte persone stanno attraversando un momento difficile e molti si aspettano che la situazione migliorerà presto» ha detto Rajoy, difendendo la riforma del lavoro, che «ha evitato di distruggere molti posti» e sarà la chiave per la futura creazione di impieghi. La strada che l’Europa deve imboccare — ha detto Rajoy — è quella dell’unione bancaria, perché solo con una banca comune «la crisi di Cipro sarebbe stata evitata». Per questo ogni Paese Ue deve andare avanti nelle riforme strutturali. Nel frattempo, il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel García-Margallo, ha espresso «enorme preoccupazione» per l’imputazione dell’infanta Cristina, figlia secondogenita del re Juan Carlos, nelle indagini riguardanti lo scandalo dell’Istituto Noos. Dal canto suo, la Casa Reale spagnola ha espresso «stupore» per la vicenda. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione direttore generale Il presidente del Governo spagnolo Mariano Rajoy (Reuters) no, tra l’altro, titoli pubblici, cambiali commerciali, accettazioni bancarie». Questa mattina Haruhiko Kuroda ha ribadito, nel corso della conferenza stampa seguita al board della Boj, che la Banca centrale adotterà «misure monetarie supplementari se necessario, senza esitazione». Kuroda ha dichiarato: «La nostra strategia punta a prendere tutte le misure immaginabili per raggiungere l’obiettivo del due per cento sulla stabilità dei prezzi in due anni». Una strategia, ha detto Kuroda, che mira a sconfiggere in modo netto la deflazione. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] BERLINO, 4. La crisi finanziaria è costata alla Germania 187 miliardi di euro tra il 2009 e il 2010. È quanto sostiene uno studio dell’istituto di ricerca economica Rwi, reso noto in anteprima dal quotidiano «Die Welt». La ricerca si concentra sui bilanci pubblici federali del 2009 e 2010, comparati con i documenti di programmazione economica e finanziaria degli anni 2007 e 2008, quando la crisi non era ancora emersa in tutta la sua violenza. Rispetto alla crescita prevista del pil dell’1,5 per cento nel biennio 2009-2010, l’economia tedesca è arretrata pesantemente, come mai nel dopoguerra, provocando entrate notevolmente inferiori alle previsioni. Se a questo dato si sommano le spese aggiuntive per la stabilizzazione della situazione economica, come i sussidi per la disoccupazione, i due programmi congiunturali di sostegno all’economia e i fondi salva banche, si sale a un costo per il 2009 di settanta miliardi e per il 2010 di 117 miliardi di euro. In totale la spesa per affrontare la crisi in quel biennio è stata così pari a 187 miliardi di euro. Hollande sulla vicenda Cahuzac Il Giappone adotta una politica monetaria più aggressiva TOKYO, 4. La Boj, la Banca centrale del Giappone, ha deciso di adottare una politica monetaria più aggressiva per centrare il target di un’inflazione al due per cento nell’arco di due anni. Al termine del primo vertice sotto la guida del nuovo governatore, Haruhito Kuroda, la Boj ha annunciato un articolato panorama di spesa che include anche l’acquisto di bond governativi. «La Banca centrale — si legge in un comunicato — condurrà operazioni di money-market al fine di aumentare la sua base monetaria tra i 60.000 e i 70.000 miliardi di yen l’anno. Queste operazioni riguarda- Anche a Berlino la crisi presenta il conto Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Stretta di Pechino contro l’inflazione PECHINO, 4. Forte monito della Banca centrale cinese contro i rischi di ripresa dell’inflazione. Al termine della riunione trimestrale dell’istituto, una dichiarazione della Banca popolare ha sottolineato l’incertezza sull’andamento dei prezzi, ribadendo tuttavia la volontà di perseguire una politica monetaria prudente nel quadro di una crescita stabile. A febbraio il tasso annuale di inflazione è salito al 3,2 per cento, il livello più alto degli ultimi dieci mesi. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818, [email protected] Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, fax 06 698 85164, [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 PARIGI, 4. Rischia di avere serie ripercussioni sul mondo politico francese la vicenda dell’ex ministro al Bilancio, Jérôme Cahuzac, che ha ammesso di avere un conto non dichiarato in Svizzera. La vicenda di Cahuzac era scoppiata nel dicembre 2012, quando il sito Mediapart aveva pubblicato una notizia in base alla quale il ministro possedeva dal 2010 un conto non dichiarato presso la banca Ubs. La Procura francese aveva quindi aperto un’inchiesta. Lo scorso 19 marzo Cahuzac rassegnava le dimissioni, pur continuando a dichiararsi innocente di fronte alle istituzioni. Due giorni fa l’ex ministro ha ammesso l’esistenza del conto. Il presidente francese, François Hollande, ha definito il caso «un oltraggio alla Repubblica», precisando che Cahuzac «non ha goduto di alcuna protezione». L’opposizione ha chiesto le dimissioni del Governo e il ritorno alle urne. Nel frattempo, come riferiscono le agenzie internazionali, si è appreso che il tesoriere della campagna elettorale di Hollande nel 2012, Jean-Jacques Augier, avrebbe azioni di due società off-shore alle isole Cayman. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 5 aprile 2013 pagina 3 Annunciata una nuova visita di Kerry in Vicino Oriente Per risollevare la difficile situazione finanziaria del Cairo Tensione nei Territori palestinesi L’Fmi in aiuto dell’Egitto TEL AVIV, 4. Tensione in Cisgiordania e al confine della Striscia di Gaza. Questa mattina le truppe israeliane hanno ucciso due palestinesi. Gli scontri sono avvenuti nella notte vicino Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, dopo una giornata intensa di proteste. Intanto, da Gaza alcuni miliziani palestinesi hanno sparato un numero imprecisato di colpi di mortaio contro il territorio israeliano. Nelle località del Neghev, vicine alla Striscia di Gaza, sono risuonate le sirene di allarme. Ieri due razzi scagliati dalla Striscia di Gaza hanno colpito Israele, abbattendosi al suolo in zone desertiche alle porte di Sderot, cittadina situata appena un chilometro a est del confine con Gaza: lo hanno riferito fonti della polizia locale, secondo cui non si sono comunque registrate conseguenze di sorta. Si è trattato del terzo lancio di razzi dalla Striscia negli ultimi mesi. In Cisgiordania l’esercito israeliano ha predisposto rigide misure di sicurezza in occasione dei funerali, che si sono svolti ieri a Hebron, di Maysar Abu Hamadyia, un detenuto palestinese di 64 anni morto nei giorni scorsi, mentre scontava un ergastolo in Israele. La vicenda ha suscitato numerose proteste in tutti i Territori palestinesi, così come nelle carceri israeliane. Nelle strade della Cisgiordania si sono avuti scontri e lanci di bottiglie incendiarie. Per il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, «Israele si comporta in modo brutale» con i detenuti palestinesi. La tensione è alta anche al confine con la Siria, sulle alture del Golan: una salva di mortaio e alcuni colpi di armi automatiche sono stati esplosi dal settore siriano contro il territorio israeliano. All’attacco da parte israeliana si è reagito con un carro armato. «Risponderemo sempre con fermezza» ha detto il mini- Sanguinosi combattimenti tra esercito e ribelli a Damasco DAMASCO, 4. Violenze senza tregua in Siria. Le truppe del presidente Assad hanno assunto il controllo di Daraya, una località strategica alle porte della capitale Damasco. Lo riferisce l’emittente televisiva del partito sciita libanese Hezbollah. Da settimane si sono intensificati gli scontri tra l’esercito e i ribelli alla periferia della capitale siriana. Secondo gli attivisti, due quartieri settentrionali di Damasco si trovano sotto il fuoco dell’artiglieria delle forze di Assad. Colpi di mortaio e razzi sono esplosi contro le abitazioni civili di Jawbar e Qabun, nel nord della capitale. Testimoni indipendenti, interpellati dall’agenzia Ansa, hanno confermato la notizia. Il bilancio dei combattimenti di ieri, secondo gli attivisti, sarebbe di oltre trenta persone uccise in 24 ore a Damasco e nei suoi dintorni. I media ufficiali siriani non confermano questo bilancio, ma riferiscono dell’uccisione di «gruppi di terroristi» nella regione di Dayr Ezzor e di Homs. Intanto, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha chiesto al ministro degli Esteri francese e a quello britannico di tenere un incontro sulla Siria a margine della riunione del G8 prevista a Londra i prossimi 10 e 11 aprile. Lo riferisce la stampa araba, che cita fonti diplomatiche europee. Tali fonti hanno precisato che Kerry nella sua recente visita a Parigi ha chiesto al ministro degli Esteri francese, Lauren Fabius, la disponibilità a un incontro a Londra, a cui potrebbe partecipare anche il capo della Coalizione dell’opposizione siriana, Moaz Al Khatib. All’ordine del giorno si dovrebbe discutere, tra l’altro, di come trovare una strategia unitaria per agevolare la transizione del Paese arabo verso una nuova fase politica. Al centro dei colloqui — dicono gli analisti internazionali — dovrebbe esserci anche il nodo delle forniture di materiali militari ai ribelli. Scontri tra palestinesi e israeliani a Hebron (Afp) stro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon. Sul piano internazionale, il segretario di Stato americano, John Kerry, tornerà in Medio Oriente da domenica con una visita a Istanbul, in Turchia, alla quale faranno seguito due nuove tappe in Israele e nei Territori palestinesi. La portavoce del dipartimento di Stato, Victoria Nuland, ha spiegato che domenica il capo della diplomazia statunitense discuterà della situazione in Siria con i leader turchi e lunedì sarà a Gerusalemme, dove vedrà il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Martedì sarà a Ramallah, dove incontrerà il presidente Abu Mazen. Obiettivo delle due tappe del viaggio di Kerry, ha spiegato la portavoce, è vedere «che cosa è possibile» fare per far ripartire il dialogo tra israeliani e palestinesi. Con un occhio rivolto verso la crisi siriana. IL CAIRO, 4. Il Governo egiziano e il Fondo monetario internazionale (Fmi) hanno ripreso ieri i negoziati al Cairo per discutere il prestito da 4,8 miliardi di dollari ritenuto necessario per risollevare l’economia del Paese arabo. Lo riporta il sito web del quotidiano «Al Ahram», secondo cui le autorità egiziane presenteranno un piano di riforme economiche per convincere l’Fmi a erogare il prestito in cui sarebbero inclusi l’aumento delle tasse sui beni di lusso e un aggiustamento dei sussidi statali in campo energetico. Stando al giornale, rimarrebbero invece fuori dai negoziati l’ipotesi di tagli ai salari e alla spesa pubblica. La delegazione dell’Fmi è giunta al Cairo, all’indomani delle dichiarazioni del ministro delle Finanze, El Morsi El Hegazy, il quale ha definito «molto difficile» la situazione finanziaria del Paese, dove si calcola ci siano riserve di valuta straniera sufficienti solo per altri tre mesi. Lo stesso ministro delle Finanze El Morsi El Hegazy ha annunciato ieri che il Governo egiziano ha intrapreso un negoziato con il Fondo monetario arabo (Fma), un’organizzazione panaraba creata dal Consiglio economico degli Stati della Lega araba, per un prestito da 465 milioni di dollari. Intanto, mentre un altro comico è finito sotto accusa in Egitto — fer- mato e interrogato, oggi è stato liberato dopo aver versato una cauzione di 570 euro — il presidente egiziano, Mohammed Mursi, ha ribadito l’impegno del suo Governo a difesa della libertà di espressione.È quanto sottolineato in una nota ufficiale al Cairo in cui si smentisce che La Borsa del Cairo (Reuters) Si teme un’offensiva su vasta scala mentre l’assalto al tribunale di Farah City si è trasformato in un massacro Lo spettro talebano incombe su Kabul KABUL, 4. Non è certo nuova alle violenze la capitale afghana. Ma questa volta si teme un’offensiva su vasta scala, da parte dei talebani, con l’obiettivo di mettere Kabul a ferro e fuoco. L’allarme, riportato dai maggiori quotidiani internazionali, è stato lanciato dall’esercito afghano, che ha denunciato l’esistenza di piani, studiati dai miliziani, che — si teme — potrebbero essere messi in atto a breve termine. L’85 per cento dei piani di attacco, ha affermato il generale Qadam Shah Shahim, comandante della centoundicesima unità dell’esercito a Kabul, riguarda proprio la capitale. Il generale ha puntato il dito contro i talebani, i quali «vogliono colpire molte istituzioni della sicurezza». Quindi Shah Shahim ha aggiunto: «Quest’anno i miliziani hanno scelto di attaccare vari obiettivi a Kabul e punteranno i luoghi più affollati. Lo scorso anno gli obiettivi erano seminare il panico fra la popolazione e attaccare interessi militari. Quest’anno punteranno a compiere attacchi sia contro obiettivi militari sia civili». Si è nel frattempo aggravato il bilancio dell’attacco compiuto ieri dai talebani contro il tribunale di Farah City, nell’omonima provincia occidentale: cinquantaquattro i morti e più di cento i feriti. Insomma, un massacro. I miliziani hanno attaccato il tribunale con l’obiettivo di liberare un gruppo di insorti che in quel momento erano processati. L’operazione è stata rivendicata dal portavoce dei talebani, Qari Yusuf Ahmadi. Non si è fatta attendere la condanna del presidente afghano, Hamid Karzai, che ha parlato di «una vera e propria strage di civili». Karzai ha quindi assicurato che questo «terribile atto» non resterà impunito. Stamane poi le autorità locali, citate dalla France Presse, hanno denunciato che in un raid delle forze della Nato, sul distretto di Deh Yak, nella provincia di Ghazni, quattro poliziotti e due civili sono rimasti uccisi. E in un Paese costantemente segnato dalle violenze scatenate dai miliziani si registra anche la protesta scuola superiore Hazrat Bilal, a Sharan. «I docenti — ha affermato — appartengono alla fascia più povera della società. Dipendono completamente dagli stipendi che da sei mesi non vengono pagati. E ora essi hanno gravi problemi economici». Hameed ha fatto appello al ministero dell’Istruzione affinché intervenga per evitare che migliaia di giovani siano costretti a rimanere a casa e ha chiesto che venga rimosso dall’incarico il responsabile per l’Istruzione nella provincia di Paktika. Un civile ferito nell’attacco talebano a Farah (Ansa) Tempi incerti per il varo della missione dell’Onu in Mali NEW YORK, 4. Si approfondisce all’Onu il confronto sul progetto di dispiegamento di una forza di peacekeeping nel Mali, anche se i tempi del varo risentono della situazione di estrema incertezza nel Paese africano. Questo riguarda sia le operazioni militari nel nord contro i gruppi jihadisti sia la transizione politica verso un ristabilimento della democrazia. Dopo una riunione a porte chiuse, ieri, del Consiglio di sicurezza, la rappresentante degli Stati Uniti all’Onu, Susan Rice, ha detto che una risoluzione sul dispiegamento dei caschi blu, che vede favorevole la sua Amministrazione, verrà messa a punto nelle prossime settimane. Nelle aspettative dell’Amministrazione di Washington, ma anche di Parigi, le cui truppe sono tuttora impegnate in battaglia nel nord del Mali, i caschi blu potranno fare uso della forza e daranno appoggio politico al Governo di transizione inse- degli insegnanti. I docenti della provincia orientale di Paktika hanno minacciato lo sciopero a oltranza se non riceveranno gli stipendi. Gli insegnanti delle scuole pubbliche primarie e secondarie di Sharan, capoluogo della provincia, si sono rifiutati, ieri, di entrare nelle aule. Con il passare delle ore la protesta si è estesa anche ad altri distretti della provincia di Paktika. Alcuni docenti non ricevono lo stipendio da mesi. Tra i promotori della protesta figura Abdul Hameed, preside della diato a Bamako. La forza dell’O nu sostituirà i soldati africani della missione Misma, che affiancano attualmente le truppe francesi e quelle governative maliane. Finora, peraltro, tutte le discussioni all’O nu muovono dalla premessa che compito dei caschi blu sia consolidare i risultati ottenuti dalle truppe francesi, africane e maliane contro gli jihadisti, risultati che appaiono ancora ben lontani da un pieno successo. Nel frattempo, dopo 28 giorni di detenzione è tornato libero il direttore del quotidiano «Le Républicain», Boukary Daou, incriminato per «incitamento alla disubbidienza». L’apertura del processo è prevista il 16 aprile. Al giornalista viene contestata la pubblicazione di una lettera dei militari che denunciavano i persistenti privilegi concessi al capitano Amadou Haya Sanogo, alla guida un anno fa del colpo di Stato che aveva rovesciato il presidente Amadou Toumani Touré. Taglia sui leader dell’Lra WASHINGTON, 4. Gli Stati Uniti offrono una ricompensa di cinque milioni di dollari a chi fornirà informazioni utili che portino alla cattura di Joseph Kony, il leader del cosiddetto Lord’s Resistance Army (Lra), il gruppo ribelle, originariamente nordugandese, responsabile da un trentennio di atrocità. Nel rendere nota l’iniziativa, il dipartimento di Stato americano specifica che la stessa cifra andrà anche a chi fornirà indicazioni per la cattura di ognuno dei tre vice di Kony, cioè Okot Odhiambo, Dominic Ongwen e Sylvestre Mudacumura, anch’essi come il loro leader ricercati per crimini contro l’umanità dalla Corte penale internazionale. Il presidente statunitense, Barack Obama, ha firmato lo scorso gennaio una legge che consente di pagare informazioni utili all’arresto di cittadini stranieri incriminati da tribunali internazionali la presidenza abbia presentato denuncia contro il comico Bassem Youssef, accusato di aver insultato Mursi e di offese contro l’islam. «La presidenza ribadisce l’importanza della libertà di espressione e il pieno rispetto per la libertà di stampa», si legge nel comunicato. Cruento attacco nel sud del Pakistan ISLAMABAD, 4. Sangue nel sud del Pakistan. Due agenti sono morti e altre cinque persone sono rimaste ferite nell’esplosione di una bomba nella città portuale di Karachi. Lo ha riferito il sito di «Express News», precisando che l’attacco è stato diretto contro un’auto di agenti paramilitari nei pressi di una zona residenziale. Sul piano politico, intanto, si rileva che l’Unione europea ha deciso di inviare una missione di osservatori in Pakistan per le elezioni generali previste per l’11 maggio. Riferisce l’agenzia Efe che l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Catherine Ashton, ha diffuso un comunicato in cui si afferma che l’invio di questa missione di osservatori fa parte dell’azione di sostegno promossa dall’Unione europea al processo democratico in Pakistan. Guiderà la missione il tedesco Michael Gahler. Segnala sempre l’Efe che il giorno dopo le elezioni gli osservatori Ue redigeranno una dichiarazione con una prima valutazione delle operazioni di voto. Catherine Ashton, nel comunicato, sottolinea che le elezioni dell’11 maggio rappresentano per il Pakistan un momento cruciale in funzione di una maturazione del processo democratico, costantemente messo a dura prova dalle violenze scatenate dai miliziani in varie parti del territorio. Contrasti tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo KIGALI, 4. Nuove tensioni si registrano tra i Governi del Rwanda e della Repubblica Democratica del Congo riguardo alla questione dei ribelli congolesi del Movimento del 23 marzo (M23), da oltre un anno protagonisti della ripresa del conflitto nella regione orientale del Nord Kivu, al confine appunto con il Rwanda. Il Governo di Kigali ha annunciato ieri che sono stati allontanati dal confine e sistemati in un campo di accoglienza del distretto di Ngoma, a circa cento chilometri a est della capitale, i settecento miliziani dell’M23 che il mese scorso avevano varcato la frontiera per trovare riparo in territorio rwandese. Secondo il ministro per i Rifugiati, Séraphine Mukantabana, sono state «soltanto applicate le convenzioni internazionali che dicono che i rifugiati devono trovarsi a più di cinquanta chilometri dal confine». Il ministro ha aggiunto che agli uomi- ni dell’M23 è stato chiesto di fare una scelta volontaria e definitiva sul proprio statuto, tra quello di militari o di rifugiati, ma ha precisato che «non sono affatto prigionieri, sono persone entrate sul nostro territorio in cerca di asilo». A passare in territorio rwandese è stata la fazione dell’M23 legata all’ex capo ribelle Bosco Ntaganda, attualmente detenuto presso la Corte penale internazionale e in attesa di processo, fazione sconfitta da quella di Sultani Makenga, i cui uomini sono tuttora attivi nel Nord Kivu. Le autorità congolesi, ma anche altri Governi e diverse associazioni per la tutela dei diritti umani hanno ricordato che alcuni ribelli passati in Rwanda sono oggetto di sanzioni internazionali e dovrebbero essere processati per le violenze e gli abusi commessi nel Nord Kivu a partire dal maggio 2012. Secondo Mukantabana, però «è prematuro pronunciarsi su questi casi». pagina 4 L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 5 aprile 2013 Nell’ultimo quarto del Cinquecento il gesuita Alessandro Valignano portò il cristianesimo in Giappone e in Cina Nuova veste grafica e rubriche innovative per la rivista dei gesuiti nata il 6 aprile 1850 L’uomo che anticipò il futuro Una lunga rincorsa per proseguire verso il futuro di GIANPAOLO ROMANATO ancora poco noto al di fuori della cerchia degli studiosi di professione. Ma è un autentico gigante, una delle maggiori figure dell’Europa cinquecentesca. Stiamo parlando di Alessandro Valignano (1539-1606), il gesuita che alla fine del XVI secolo resse le missioni in Estremo Oriente e guidò la lunga marcia di Matteo Ricci attraverso la Cina, fino a Pechino. Quando Valignano morì, nel 1606, Ricci, nel suo italiano ormai traballante, lo pianse in una lettera al generale della Compagnia di Gesù, Claudio Acquaviva, con poche, scultoree parole: «Quest’anno, oltre agli altri travagli, che mai ce ne mancano, avessimo questo molto grande della morte del P. Valignano padre di questa missione, con la perdita del quale restassimo come orfani, e non so con che V. P. ce lo possa ristorare». Valignano è dunque il padre della penetrazione del cristianesimo in Cina e in Giappone. Se teniamo presente che allora cristianesimo significava Europa, comprendiamo l’importanza che quest’uomo assume non solo nel suo tempo ma anche nei secoli successivi, fino ai nostri giorni. Eppure, chi volesse conoscerne meglio l’operato faticherebbe a trovare nelle librerie opere idonee. Ci sono gli atti del convegno internazionale che si svolse a Chieti, la città natale di Valignano, nel 2006, in occasione del quarto centenario della sua morte, apparsi nel 2008 grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio della provincia di Chieti, Alessandro Valignano. Uomo del Rinascimento. Ponte tra Oriente e Occidente, a cura di Adolfo Tamburello, M. Antoni J. Üçerler, Marisa Di Russo (Bibliotheca Instituti Historici Societatis Iesu, 65). Si tratta di un’opera di valore, cui hanno contribuito molti insigni studiosi, ma inevitabilmente rivolta al mondo ristretto degli specialisti. Dei numerosi libri che scrisse, l’unico accessibile è il Cerimoniale per i missionari del Giappone, apparso in versione critica nel 1946 e ripubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura in forma anastatica nel 2011, con una bella introduzione di Michela Catto. Ma neppure questa è opera alla portata di tutti. Il semplice lettore, senza particolari conoscenze, a che cosa può fare ricorso? A due studi. Alla biografia di Augusto Luca, Alessandro Valignano. La missione come dialogo con i popoli e le culture (Emi, 2005), oppure a Il Visitatore. Un testimone oculare nel misterioso Giappone del XVI secolo (Piemme, 2004) di Vittorio Volpi. Gli autori sono vissuti entrambi in Giappone, il primo come missionario, il secondo come dirigente d’azienda. Conoscono ciò di cui scrivono. Ma le loro prospettive sono diverse. Più ecclesiastica quella di Luca, più laica quella di Volpi, che considera Valignano il primo europeo che capì veramente il Giappone, un insostituibile maestro, anche oggi, per chi voglia entrare nel mondo nipponico. Resta però il fatto che questo gesuita che giganteggia oggi nella storia come giganteggiava allora sui contemporanei dall’alto della sua statura, ben superiore alla media del tempo, non ha ancora trovato un biografo e uno studioso capace di coglierne e descriverne tutta l’importanza. Forse perché molti documenti, in particolare le sue innumerevoli lettere e relazioni, giacciono ancora intonsi negli archivi di mezzo mondo. O forse perché occorrono troppe competenze — storiche, linguistiche, culturali — per capire e far capire ciò che è stato e ha significato. E così, mentre si allarga la fama di Matteo Ricci, sempre più al centro della cultura internazionale, conosciamo ancora poco l’uomo che ne fu il superiore, la guida, il maestro riconosciuto e venerato. Nato a Chieti da una famiglia dell’aristocrazia locale nel 1539, Alessandro Valignano si laureò a Padova ed entrò nella Compagnia di Gesù nel 1566, dopo una giovinezza movimentata e probabilmente dissipata, che per un anno e mezzo l’aveva portato anche in carcere, a Venezia, con l’accusa di tentato omicidio. Studiò nel celebre Collegio Romano e operò in varie sedi italiane dei gesuiti finché, a trentaquattro anni, fu destinato a un incarico delicatissimo: quello di Visitatore delle missioni delle Indie orientali. In pratica era posto a capo, con poteri quasi assoluti, di tutte le missioni dell’ordine È venerdì 5 aprile 2013 presenti in Oriente, dall’Africa al Giappone, passando per l’India, Malacca (l’attuale Malesia), la Cina. Perché proprio a lui, che non era mai uscito dall’Italia, un simile incarico? Perché queste missioni, sotto patronato portoghese, erano allo sbando e occorreva una persona carismatica e di assoluta fiducia della Compagnia, ma estraneo al mondo lusitano (e a quello spagnolo), per rimetterle in riga. Al generale Everardo Mercuriano, terzo successore di sant’Ignazio a capo della Compagnia, Valignano parve la persona idonea. E Valignano accettò. Il 20 settembre 1573 partì da Roma alla volta di Lisbona, via Spagna. In Portogallo si fermò cinque mesi, il tempo per rendersi conto della situazione, imparare la lingua e guadagnarsi l’antipatia di quasi tutti i gesuiti portoghesi (in una lettera a Mercuriano scriverà di «disgusti et pochi rispetti» di cui fu oggetto), che avevano ben capito la natura del suo incarico. Ma anche per reclutare quaranta padri da portare in Oriente (solo dieci portoghesi) e per convincere il re a finanziare la spedizione. Salpò da Lisbona il 21 marzo 1574 con direzione Goa, in India. Nei trentadue anni che gli restavano da vivere non sarebbe più tornato, non avrebbe più rimesso piede in Europa. La grandezza di questi uomini (sarà lo stesso per Matteo Ricci) consiste anche nella loro capacità di darsi totalmente alla causa con scelte Ma bisogna anche aggiungere che, secondo lo studioso indiano Paolo Aranha, intervenuto nel convegno di Chieti, egli avrebbe maturato sugli indiani — come d’altronde sugli africani, conosciuti nella sosta in Mozambico, sulla via dell’India — un giudizio fondamentalmente negativo, tanto da escluderli dal progetto inculturativo rivolto a cinesi e giapponesi. Si tratta di una tesi certamente controcorrente, che tuttavia conferma Salpò da Lisbona il 21 marzo 1574 quanto ci sia ancora da esplorare nella vita Nei trentadue anni successivi e negli scritti del geoperò su un duplice fronte suita abruzzese, come Far capire all’Europa anche nel complessivo metodo di approccio la realtà della missione alle culture non crie al Giappone la realtà europea stiane posto in opera dai gesuiti in Oriente (e in America) all’alba della civiltà più riottosi, avviò il risanamento delmoderna. Il dialogo con i popoli la missione. Tuttavia, tra beghe innuovi, la comprensione delle loro terne e condizionamenti politici del culture e credenze non sbocciò da Governo di Lisbona, rimase impiarmonie prestabilite ma fu una lenta, gliato in una situazione che non gli faticosa acquisizione, nella quale anpermise di esprimere tutta la sua geche i migliori conobbero incertezze nialità, anche se in India ebbe per la ed errori. L’Europa aveva appena prima volta la chiara percezione che scoperto l’altro, il diverso, il lontano senza apprendere bene le lingue del e non si era ancora riavuta dallo luogo («senza essa non si fa niente o shock. I missionari come Valignano, poco») nessuna missione avrebbe come Ricci, come De Nobili (operò mai avuto successo. Il possesso dei in India), che navigarono fino ai lilinguaggi locali era il primo indimiti estremi del mondo e cominciaspensabile gradino di quell’inculturono a convivere con questi popoli, razione del cristianesimo nelle cultuvincendo la solitudine, i pericoli, le re orientali, di cui avrà in Giappone fatiche, l’abbandono, spesso inconla piena consapevolezza. trando la morte, furono i veri battistrada della modernità e aprirono col loro sangue le vie che hanno portato all’interculturalità odierna. La cultura contemporanea deve al sacrificio e all’intelligenza di questi uomini, ancora per la maggior parte sconosciuti, molto più di quanto abbia loro riconosciuto. Da Goa si spostò in Malesia e poi a Macao. Era il 1578. A Macao, nelle sue incessanti peregrinazioni lungo le rotte orientali, Valignano tornerà quattro volte, l’ultima per morirvi, nel 1606, ed esservi sepolto. È nel corso di questi soggiorni che impostò tutta la strategia della penetrazione in Cina, che sarà messa in pratica da Michele Ruggeri e Matteo Ricci, i gesuiti che egli scelse personalmente per gestire l’impresa. La sua strategia si fondava su tre presupposti, come ha spiegato Ronnie Po-Chia Hsia al convegno di Chieti: inculturazione del cattolicesimo nelle strutture cinesi, ammissione dei cinesi nella Compagnia, rifiuto di ogni progetto (di cui aveva “orrore”) di penetrazione militare, come suggerito alla corona di Spagna da alcuni sconsiderati gesuiti delle Filippine. Fino alla proibizione dei riti cinesi da parte di Roma, sarà questa la strategia adottata dai gesuiti per farsi accettare dai cinesi e trasmettere loro il cristianesimo. Per più di un secolo, cioè, i padri in Cina si ispireranno a questa metodologia lasciata loro in eredità da Valignano, cercando di scongiurare le condanne romane e sforzandosi di convincere Roma che delle cose cinesi si può giudicare non da «fora e lontano» ma solo con «la lunga esperienza». Un avvertimento che non ha ancora perUn ritratto di Alessandro Valignano duto di attualità. definitive, totali, senza vie di fuga, senza ripensamenti. Rimase in India due anni e mezzo, girando il Paese in lungo e in largo e spingendosi fino a Ceylon, per visitare le missioni («ora per terra, ora per mare» percorse migliaia di chilometri, molti a piedi) e capire la situazione. Con interventi mirati, coinvolgendo tutto il personale del luogo ma rispedendo in Europa i Nel luglio del 1579 partì per la sua prima visita in Giappone, dove si fermò tre anni. In Giappone tornò poi altre due volte (1590-1592, 15981603). Sono questi tre soggiorni che hanno definitivamente consegnato Valignano alla storia dei rapporti fra l’Europa e il lontano Oriente. Aveva raccolto tutte le possibili informazioni, ma niente di ciò che gli era stato detto somigliava anche lontanamente a ciò che vide. Il Giappone era un altro mondo, dove tutto era diverso, modi di vita e di pensare, codici di comportamento, forme culturali, abitudini, strutture mentali e argomentative, per non parlare della lingua, che nonostante tutti i suoi sforzi pare sia riuscito ad apprendere solo superficialmente. «Sono così differenti dagli europei e da tutti gli altri popoli — scrive al termine della prima visita — che sembra si adoperino apposta per fare tutto il contrario degli altri... Qui c’è un altro mondo, un altro modo di procedere, altri costumi e altre leggi, di modo che molte delle cose che in Europa sono giudicate cortesi e onorevoli, qui sono ritenute come grandi affronti e offese; e molte delle cose che qui sono così comuni che senza di esse non si riesce a vivere, né a trattare con i giapponesi, in Europa sono ritenute meschine e indegne». Per il primo anno, scrive a Claudio Acquaviva, succeduto a Mercuriano a capo della Compagnia di Gesù, stette «muto come una statua», senza trovare «soluzioni» al suo disorientamento. Solo al terzo anno di soggiorno, dopo aver visto quasi tutto il Paese, aggiunse, «sono in grado di comprendere come bisogna guidare il Giappone». Quale fu l’intuizione di Alessandro Valignano? Che il cristianesimo, per avere qualche possibilità di successo in questo lembo estremo e sconosciuto del mondo, doveva farsi giapponese, come in Cina doveva farsi cinese. Ma in Cina egli dettò la linea e lasciò che altri la applicassero. Qui invece dovette dare le diret- on sappiamo se è possibile immaginare una rivista di cultura che possa ospitare articoli scritti solamente da gesuiti, una rivista scritta da specialisti ma che usi un linguaggio per non «addetti ai lavori», una rivista che esca da oltre 160 anni ogni quindici giorni con fascicoli di oltre 100 pagine, una rivista le cui proposte culturali sono caratterizzate da una sintonia speciale con la Santa Sede, una rivista che addirittura arriva con la valigia diplomatica a tutte le nunziature del mondo. Anche se è difficile pensare una rivista di questo genere, essa è «La Civiltà Cattolica». Il lettore oggi la riceve in un veste grafica differente rispetto a quella alla quale era abituato da ormai 41 anni. Ma chi ha un po’ di memoria storica forse riconoscerà nel font (o “carattere”) della nuova testata lo stesso “bodoni” che ha caratterizzato da sempre «La Civiltà Cattolica», e in particolare nella forma che aveva prima del 1971. Il bodoni è un tipo di font disegnato da Giovanni Battista Bodoni (1740-1813), caratterizzato da un alto contrasto tra le linee spesse e quelle sottili. È il classico esempio moderno di font con piccoli allungamenti ortogonali alle estremità, detti “grazie”. L’enfasi è sui tratti verticali, dando al font un aspetto pulito ed elegante. Per proseguire verso il futuro, la nostra rivista ha preso la rincorsa, andando indietro per avere più forza per correre avanti, anche nell’aspetto grafico. E il cambio di veste avviene oggi, 6 aprile, lo stesso giorno nel quale è uscito il primo numero della rivista nel lontano 1850. Cambia anche il font delle pagine de «La Civiltà Cattolica»: abbiamo scelto il “cardo”, un tipo di carattere open source, cioè libero, molto usato negli ambienti accademici e di ricerca per la sua flessibilità e l’ampio numero di segni propri delle varie lingue del mondo. Oltre che per la sua eleganza e ariosità, lo abbiamo scelto come un segno di apertura alle culture. La rivista avrà inoltre rubriche impaginate in una o due colonne per garantire una maggiore leggibilità e un migliore “movimento” grafico complessivo. La nostra rivista ha una tradizione che la rende una testimone privilegiata degli eventi importanti del nostro Paese, essendo nata prima dell’unità d’Italia. In realtà, scorrendo le annate de «La Civiltà Cattolica», dato il suo carattere di rivista di attualità, si può avere un panorama abbastanza completo anche delle vicende religiose e politiche mondiali dal 1850 a oggi. Ad esempio: diede un’amplissima informazione sul concilio Vaticano II, al quale alcuni suoi scrittori parteciparono anche in qualità di periti. Ispiratore e primo direttore della rivista, lo ricordiamo, fu il padre Carlo Maria Curci, ma a volerla fu soprattutto Papa Pio IX . Si regge, infatti, su un suo “breve”, il Gravissimum supremi, del 12 febbraio N Una delle prime navi portoghesi sbarca a Nagasaki nel Vittorio Volpi considera anche oggi, quattrocento anni dopo, un indispensabile vademecum per ogni occidentale desideroso di capire il mondo nipponico. Era consapevole che i gesuiti erano stranieri, ospiti, perennemente a rischio di essere fraintesi o percepiti come l’avanguardia di un’invasione militare. Per questo obbligò tutti ad astenersi da qualsiasi coinvolgimento nella politica locale e cercò di impedire (senza riuscirci) l’arrivo di altri ordini religiosi, che valendosi di differenti metodologie e sicuramente meno attenti alle forme avrebbero insospettito le guardinghe autorità governative e compromesso l’equilibrio di una cristianità piccola e ancora molto gracile. E sconsigliò anche la nomina di un vescovo, inutile in quella prima fase di costruzione di quella che oggi chiameremmo una Fino ad allora nella mente chiesa locale. Sapeva che il suo metodo dei missionari portoghesi dell’accomodamento erano i giapponesi a doversi fare europei comportava delle incognite, che era diffiValignano capovolse il progetto cile farlo accettare a pensando forse a ciò che avevano fatto Roma, arroccata attorno ai decreti tridentii primi cristiani quando giunsero a Roma ni. Che c’era il pericolo, a forza di concestive e dovette anche applicarle. Fino sioni e di annacquamenti, di convera quel momento i missionari portotirsi anziché convertire. Che era righesi avevano ragionato all’opposto: schioso consacrare clero locale e erano i giapponesi che dovevano farpensare a un episcopato autoctono. si europei. Valignano capovolse il Solo oggi, in fondo, quattro secoli progetto, probabilmente pensando a dopo, quest’idea è entrata nella prasciò che avevano fatto i cristiani prisi ecclesiastica. Averla pensata allora mitivi quando erano venuti a Roma fu un azzardo, un’anticipazione del e avevano latinizzato la loro credenfuturo che accresce la genialità e il za. La sua opera più nota è perciò Il coraggio del Visitatore, peraltro pieCerimoniale per i missionari del Giapnamente consapevole di muoversi pone, una sorta di galateo che i missul filo del rasoio, in una realtà che sionari avrebbero dovuto osservare tornava a sfuggirgli ogni volta che rapportandosi coi locali (a partire credeva di averla in pugno. «C’è dalla pulizia personale, assai trascusempre una certa difficoltà a comrata dagli europei del tempo, mentre prendere bene i pensieri più intimi era un’inderogabile regola di vita dei giapponesi», scrive nel 1592. per i giapponesi), uno studio che XVI Valignano aveva però almeno la certezza di essere coperto e compreso dal suo superiore, il padre generale Claudio Acquaviva, benché la corrispondenza con l’Europa, spedita per sicurezza in più copie, viaggiasse con i tempi e le incognite delle navi del tempo: più o meno un anno per arrivare a destinazione (se arrivava) e un altro anno per il viaggio di ritorno della risposta. Erano soli questi gesuiti, disperatamente soli. Non erano le direttive romane che potevano aiutarli, ma la consapevolezza morale di avere l’approvazione dei superiori. Anche per questo era necessario non confondere le idee degli interlocutori europei con false notizie, con inutili abbellimenti della situazione o con interessate reticenze. Solo la verità poteva salvare la missione. Giunto in Oriente scoprì che la situazione era ben diversa da come se l’era immaginata dalle lettere dei missionari. Che bisognava rivedere criteri di giudizio e comportamenti. Se Roma doveva decidere, dare istruzioni, orientare, non poteva essere fuorviata con false informazioni. Ordinò perciò «che si scrivano le cose con simplicità et verità et certezza, non ingrandendo la verità più di quello conviene». Se era indispensabile far capire in Europa la realtà della missione, era altrettanto necessario far conoscere ai giapponesi la realtà europea. Valignano concepì così un progetto ambizioso e grandioso: mandare in Europa una delegazione giapponese perché vedesse, si rendesse conto, capisse e riferisse poi tornando in patria. Preparata con cura, l’ambasceria, di sei giovani giapponesi, si svolse tra il 1582 e il 1590. Fu un evento senza precedenti, il primo contatto diretto del Giappone col vecchio continente. Tra contrattempi, venti contrari, difficoltà varie, i sei giovani nipponici (erano stati scelti in giovane età perché potessero reggere le fatiche del viaggio) restarono in giro per il mondo otto anni, anche se il secolo tour europeo durò meno di due anni, dal 10 agosto 1584 al 13 aprile 1586. Via Lisbona e Madrid gli ambasciatori orientali visitarono Roma e molte città italiane: Firenze, Bologna, Venezia, Padova, Vicenza, Mantova, Milano, Genova. Valignano non poté accompagnarli di persona, ma diede minuziose istruzioni circa l’accoglienza che doveva essere loro fatta. Dovunque furono ospitati con incredibile sfarzo, di cui rimangono ampie tracce negli archivi italiani e nell’editoria del tempo, come ha dimostrato Adriana Boscaro in un volume pubblicato nel 1994 dall’Istituto Giapponese di Cultura di Roma (Il Giappone scopre l’Occidente). Fu Valignano, insomma, a provocare il primo contatto diretto dell’Europa con il Giappone, a far scoprire agli europei un popolo sconosciuto, dove la gente, «che non ha niente del barbaro», come si legge nei commenti del tempo, si toglie la vita per un nonnulla, scrive dall’alto in basso e non beve mai vino ma acqua calda (cioè te, allora sconosciuto in Europa). Valignano vinse la battaglia (alla sua morte la piccola pianta della cattolicità giapponese era fiorente e in crescita) ma perdette la guerra. Pochi anni dopo la sua scomparsa quella piccola pianta fu distrutta dalla spietata persecuzione scatenata durante lo shogunato dei Tokugawa, che troncarono poi per duecento anni ogni rapporto con l’occidente. Su questa vicenda scrisse un romanzo di grande spessore lo scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo, Silenzio, pubblicato in Italia da Rusconi nel 1982. La tesi di Endo è che il Giappone è una palude che inghiotte tutto e che impedisce a tutto ciò che è esterno di mettere radici. Ha ragione Endo o aveva ragione Valignano, che a far fruttare quelle radici dedicò tutta la vita? Qualunque sia la risposta a tale quesito, solo il fatto di avere creato le condizioni perché noi oggi ce lo poniamo ne dimostra la grandezza e gli merita un posto nella storia. Il missionario di Chieti riuscì a stabilire contatti diretti e approfonditi tra due mondi geograficamente e culturalmente lontanissimi Dai primi viaggi degli ambasciatori del Sol levante in Europa alle navi nere del commodoro Perry di UMBERTO VATTANI* Alessandro Valignano è stato il maestro di Matteo Ricci. Eppure l’allievo è molto più famoso del suo mentore. Ricci è raffigurato in quell’Olimpo cinese che è il Museo del Millennium a Pechino, unico straniero insieme con Marco Polo; e al grande gesuita maceratese è stato recentemente dedicato nella capitale asiatica un intero museo. Qualcuno dirà che quello dell’allievo che supera il maestro non è un caso isolato. Cimabue fu il maestro di Giotto, ma la fama del suo allievo fu ben presto maggiore. Il paragone però non regge. Senza nulla togliere ai meriti di Matteo Ricci, che “aprì la porta” — sono le sue stesse parole — della civiltà e della cultura cinese all'Occidente e fece conoscere le arti e le scienze europee all’Impero di Mezzo, si può tranquillamente affermare che Valignano non fu inferiore per ta- lento e lungimiranza al suo allievo. Anzi, mentre Ricci non riuscì a favorire contatti diretti e approfonditi tra i due mondi che aveva esplorato, Valignano organizzò alla fine del Cinquecento la prima missione di ambasciatori giappo- quasi eretica, prefigurava alcune conclusioni che quattro secoli dopo sarebbero state accettate dal concilio Vaticano II. In particolare la pluralità delle culture, la rinuncia alla pretesa di imporre costumi europei ai cristiani dell’Asia, la necessità del rispetto e della conoscenza dell’altro e Nel concerto di musica rinascimentale del diverso. Valignano studiò la lineseguito nel 2002 a Villa I Tatti gua giapponese prii brani erano forse gli stessi ma di intraprendere a fondo la sua opeascoltati dai diplomatici nipponici ra di evangelizzaospiti dei Medici nel 1585 zione, combatté l’idea di una pretesa superiorità della civiltà occinesi in Europa e in Italia, vero e dentale, aprì un dialogo politico proprio Grand Tour, due secoli con la classe dirigente nipponica prima che i nobili di tutta Europa che dette copiosi frutti nel lungo compissero questo rito di passagperiodo. L’apertura del Giappone gio. all'Occidente attribuita a metà del Non oserei addentrarmi nel valore religioso dell’insegnamento XIX secolo alle “navi nere” del dei due grandi gesuiti, ma studiocommodoro Perry fu in qualche si di indiscusso valore hanno osmisura anche una vittoria di Alesservato che la visione di Alessansandro Valignano, tanto che molti dro Valignano, allora considerata protagonisti della Restaurazione Meiji si ispirarono dichiaratamente ai suoi insegnamenti. Viene dunque da chiedersi come mai Valignano non venga onorato come avviene invece per Matteo Ricci. Qualcuno ricorda che la persecuzione dei cattolici dalla metà del Seicento fu molto più sanguinosa in Giappone che in Cina e che la memoria di quel rigetto culturale e religioso aleggia ancora. Il punto però non può essere questo, poiché anche in Italia, patria di Valignano, la sua opera non è apprezzata appieno. La Fondazione Italia Giappone, che ho l’onore di presiedere, intende svolgere un’azione decisa per far conoscere nel mondo intero questo “principe del rinascimento”. La Fondazione non è certo nuova a operazioni culturali di vasta portata. Quattordici anni fa, il 20 ottobre 1998, toccò proprio a me, allora segretario generale del Ministero degli Esteri, di firmare a Villa Madama con l’ambasciato- Francobollo commemorativo emesso nel 2006 dalle poste di Macao re giapponese Hiromoto Seki il protocollo d’intesa che dette il via a un’interessante operazione culturale, il famoso anno dell’Italia in Giappone 2001-2002 che portò nell’arcipelago nipponico ottocento eventi nel giro di quindici mesi. Ricordo che allora molti erano scettici sulle prospettive dell’iniziativa. Ma l’azione decisa del Ministero degli Esteri e la capacità organizzativa della Fondazione portarono a un successo senza precedenti. L’Italia, nelle sue innumerevoli sfaccettature culturali ed economiche, si presentò a decine di milioni di giapponesi. La Torre di Tokyo risplendette con i colori della bandiera italiana per tutta la durata della rassegna. Il 13 giugno 2012 la Fondazione ha organizzato un convegno alla Biblioteca degli Uffizi a Firenze, al quale hanno partecipato la sovrintendente al Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini, il ministro Yuzo Ota dell’Ambasciata del Giappone, il consigliere d’ambasciata Marco Giungi del Ministero degli Affari Esteri e due biografi del gesuita di Chieti: Augusto Luca e Vittorio Volpi. Nella stessa occasione il Centro di studi rinascimentali dell’università di Harvard — che ha la sua sede nella Villa I Tatti, un tempo dimora di Bernard Berenson — ha presentato un concerto di musica rinascimentale eseguito dal complesso inglese dei Fagiolini: i brani erano probabilmente gli stessi ascoltati dai quattro ambasciatori nipponici nel 1585, ospiti dei Medici. Il convegno di Firenze si è svolto ai margini delle tre splendide mostre organizzate a Palazzo Pitti sugli incanti della civiltà giapponese del XVI secolo. La Fondazione si propone, con la collaborazione delle autorità locali e di agenzie turistiche, di creare inoltre percorsi in grado di far conoscere ai viaggiatori giapponesi i tesori d’arte e di cultura che cinquecento anni fa stupirono i primi autori del Grand Tour italiano, imitato secoli dopo dagli aristocratici di tutta Europa. Siamo decisi a proseguire quest’azione culturale per porre rimedio alla lacuna grave rappresentata — sia in Italia sia in Giappone — dalla perdurante scarsa conoscenza di Alessandro Valignano. Abbiamo in programma un convegno in Giappone, presso l’università di Waseda per l’autunno prossimo; e un altro a Roma. Il nostro obiettivo è far entrare nell’olimpo giapponese il gesuita di Chieti. «L’Osservatore Romano» ha approfondito la figura e l’opera di Valignano, pubblicando recentemente anche documenti finora inediti. La Fondazione Italia Giappone desidera contribuire a far meglio conoscere questo grande italiano. *Ambasciatore Presidente Fondazione Italia Giappone pagina 5 fronto continuo tra di noi in occaPaolo VI: «Ovunque nella Chiesa, 1866. L’idea che spinse alla fondazione della rivista fu quella di disioni formali e informali. Ma la noanche nei campi più difficili e di fendere «la civiltà cattolica» come stra calma apparente è densa di punta, nei crocevia delle ideologie, allora la si concepiva. La nuova ricontatti col mondo che ci circonda, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è vista ebbe subito un notevole sucanche grazie alla Rete. Inoltre, il confronto tra le esigenze bruciancesso. Del primo fascicolo, stampaspesso i gesuiti della rivista partoti dell’uomo e il perenne messaggio to in 4.200 copie, si dovettero fare no per conferenze e incontri in Itadel Vangelo, là vi sono stati e vi ben sette successive edizioni. Dopo lia e nel mondo e tornano arricchiti sono i Gesuiti». Benedetto XVI, in quattro anni la tiratura salì a 13.000 e pronti per tradurre in articoli le un’udienza privata nel febbraio del copie: numero davvero notevole loro esperienze e le loper l’epoca, tanto che il tipografo ro riflessioni. La nodovette acquistare in Inghilterra stra casa ospita dibatuna “macchina celere” in sostitutiti e seminari da noi zione di quella per la stampa a maorganizzati. È la nono. Non si tratta di un dettaglio stra “piazza” nella puramente tecnico, ma dell’apertuquale invitiamo i Il 5 aprile alle ore 11.30 nella Sala Stampa della ra di una prospettiva legata a una “mondi vitali” della Santa Sede viene presentata la nuova veste della tiratura in grado di diffondere cultura. «Civiltà Cattolica», di cui anticipiamo quanto più è possibile il messaggio Ciò che «La Civiltà l’editoriale. Moderati da padre Federico della rivista. Lo stesso Pio IX nella Cattolica» intende ofLombardi, intervengono l’arcivescovo Claudio Gravissimum supremi chiedeva ai frire ai suoi lettori è la Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio gesuiti, riferendosi ai loro scritti, di condivisione di un’amdelle Comunicazioni Sociali, monsignor «spargerli e diffonderli ampiamenpia esperienza intelletAntoine Camilleri, sotto-segretario per i te in tutti i Paesi». I primi gesuiti tuale illuminata dalla rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, e della rivista furono innovatori, imfede cristiana e proil direttore padre Antonio Spadaro. Alla rivista fondamente innestata maginando l’uso della stampa, che «L’Osservatore Romano» esprime le nella vita culturale, soera il mezzo stesso di cui si servivafelicitazioni e gli auguri più cordiali. ciale, economica, polino i rivoluzionari, i liberali e gli tica dei nostri giorni. anarchici. Così oggi è naturale che E soprattutto è una il nostro messaggio sia diffuso anrivista che vuole conche su supporti digitali per essere dividere le proprie riflessioni non 2006, ci aveva detto: «In questo fruibile da parte di un numero solamente con il mondo cattolico, maggiore di persone. Così «La Cinostro tempo in cui il Signore Gema con ogni uomo e ogni donna viltà Cattolica» da oggi arriva ansù chiama la sua Chiesa ad annunimpegnati seriamente nel mondo e che sotto forma di “applicazione” ciare con nuovo slancio il Vangelo desiderosi di avere fonti di formasu iPad, iPhone, i tablet Android, di salvezza, non ci si può tuttavia zione affidabili, capaci di far penKindle Fire e quelli Windows 8. dispensare dalla ricerca di nuovi sare e di far maturare il giudizio Le applicazioni saranno anche miapprocci alla situazione storica in personale. La riflessione che nasce gliorate col tempo. La presenza sul cui oggi vivono gli uomini e le al nostro interno, oggi più che mai, digitale è complementare a quella donne, per presentare ad essi in dunque è chiamata a diventare su carta, per cui tutti i nostri abboforme efficaci l’annuncio della nati potranno leggere la rivista sia “condivisa”. L’evoluzione del monBuona Notizia». Ascoltando il in forma tradizionale messaggio di Papa Francesco ai sia in forma digitale. rappresentanti dei mezzi di comuSarà possibile anche fanicazione sociale riuniti il 16 marzo re l’abbonamento esclunell’Aula Paolo VI, ci hanno colpito sivamente digitale, e ciò alcune espressioni che sembrano sarà utile e conveniente definire la vocazione del giornalista per coloro che vivono così come noi ci sentiamo chiamati all’estero. Ma non ci a viverla: «Voi avete la capacità di fermeremo qui. Con ocraccogliere ed esprimere le attese e chio molto attento al le esigenze del nostro tempo, di ofpassato cercheremo, frire gli elementi per una lettura grazie alla collaboraziodella realtà. Il vostro lavoro ne di Google, di rendenecessita di studio, di sensibilità, di re disponibili in forma esperienza, come tante altre digitale tutti i fascicoli professioni, ma comporta una parpubblicati sin dal 1850. ticolare attenzione nei confronti Immaginiamo anche della verità, della bontà e della belforme differenti di publezza». blicazione digitale di «La Civiltà Cattolica» è una riviinstant book, capaci di sta che intende fare da ponte, inunire la riflessione degli terpretando il mondo per la Chiesa articoli pubblicati nel e la Chiesa per il mondo, raccopassato e quelli che si gliendo ed esprimendo le attese e pubblicano nel presenle esigenze del nostro tempo, e te, per dare al lettore contribuendo a un dialogo rispetelementi di riflessione e toso e intelligente, frutto di studio approfondimento nel e di esperienza. Per questo abbiacaso di eventi di partimo sentito il bisogno di modificare colare interesse. la struttura della rivista. ScompaioLa specificità della rino le “cronache” in un mondo in vista, il contributo procui la cronaca è affidata ai quotiprio che la sua redaziodiani, e oggi anche ai blog e ai ne può offrire, nascono La copertina della «Civiltà Cattolica» del 6 aprile 2013 tweets in tempo reale. Insisteremo da una peculiarità: il invece sui “ponti”, cioè sulle riflesfatto che essa è frutto sioni, le valutazioni critiche, i radi scrittori tutti gesuiti. Il nostro do dell’informazione, anche quella gionamenti, anche sulla contempotesoro è la spiritualità di Ignazio di più classica, sta decisamente viranraneità più attuale, grazie alla ruLoyola, una spiritualità incarnata, do, sotto la pressione del web 2.0, brica Focus con articoli legati umanistica, curiosa e attenta alla riin questa direzione. Per cui ormai è all’attualità di carattere politico, cerca della presenza di Dio nel raro trovare una testata che non economico, internazionale, di somondo, che nei secoli ha forgiato permetta la condivisione e il comcietà, di diritto. La riflessione sulla santi, intellettuali, scienziati e formento dei contenuti su Facebook, Chiesa avrà un posto fisso al cuore, matori, e adesso anche un Papa. Twitter e altre piattaforme di social cioè al centro, della rivista. AppariPrincipio ispiratore di questa spirinetworking. Anche il giornalismo ranno nuove rubriche mobili quali tualità è un criterio molto semplidunque funziona non solamente il Profilo e l’Intervista. «La Civiltà ce: «cercare e trovare Dio in tutte per trasmissione, ma anche per Cattolica» per tradizione e natura le cose», come scrive sant’Ignazio. condivisione. Da qui l’apertura di esprime una forma “alta” di giornaDal 1850 al 1933 la rivista non una pagina Facebook (facelismo culturale. L’approccio ai temi firmava gli articoli, per significare book.com/civiltacattolica) e di un e il linguaggio piano la propongoche essi erano espressione non di account Twitter (@civcatt) che col no come una testata che fa ricerca, un singolo, ma di una comunità, il tempo cercheremo di potenziare. ma che intende essere, come dicecosiddetto «collegio degli scrittoLa nostra volontà di coinvolgere vano i nostri predecessori, un “pari». Oggi gli articoli sono firmati, il lettore anche nell’ambiente digiscolo intellettuale” accessibile anma «La Civiltà Cattolica» resta tale nasce da un pensiero che «La che ai non specialisti nei singoli l’espressione del lavoro di una Civiltà Cattolica» formulava nel campi di studio e riflessione. Queéquipe, e dunque di una ricerca e 1851 e che resta attualissimo: «Tra sto approccio ampio alla cultura di una fatica condivisa: ogni articochi scrive e chi legge corre una coper linguaggio e temi (dalla politilo prima della sua pubblicazione è municazione di pensieri e di affetti ca alla storia, dalla letteratura alla sottoposto al giudizio del gruppo che tiene molto dell’amicizia, spespsicologia, dal cinema all’econoed è il frutto di un dialogo interno. so giunge ad essere quasi una semia, dalla filosofia alla teologia, Noi scrittori siamo, come ci scrisse greta intimità: soprattutto quando dal costume alla scienza, dall’arte Leone XIII nel “breve” Sapienti conla lealtà da una parte e la fiducia alla musica...) la rende particolardall’altra vengono a raffermarla». I silio, «uniti in comunanza di vita e mente adatta ai nostri tempi. Sin gesuiti che oggi compongono la redi studi». Il direttore coordina il dall’editoriale del primo fascicolo dazione sono convinti che una rivilavoro collegiale. Ovviamente quedel 1850 la nostra rivista ha intersta culturale debba aprire scenari, sta attività coinvolge anche gesuiti pretato così la propria “cattolicità”: ispirare l’azione e la sensibilità del che non fanno parte del Collegio «Una “Civiltà cattolica” non sareblettore. ma che danno il loro contributo a be cattolica, cioè universale, se non «“La Civiltà Cattolica” — scrivequesta opera dai cinque continenti, potesse comporsi con qualunque vano i nostri predecessori nel 1851 inviando testi che vengono tradotti forma di cosa pubblica». È questo — ti entra in casa per recarti novelin lingua italiana. Tutti i redattori lo spirito della rivista: comprendere le, per proporti dubbi, per darti sono corresponsabili in solidum di come essere cattolici oggi significhi schiarimenti su questa o quella quitutto ciò che si pubblica. Come si essere aperti al mondo, alle culture stione delle più dibattute». Per legge nelle Memorie della Civiltà e a ogni dimensione pubblica della «La Civiltà Cattolica» essere fedele Cattolica del 1854, «tutto in certo vita degli uomini. E dunque, come alla Chiesa significa sostanzialmenmodo è opera di tutti». ci disse Benedetto XVI, «“La Civiltà te avere a che fare con tali “quistioChi venisse a visitarci avrebbe Cattolica”, per essere fedele alla ni dibattute” e così rispondere forse l’impressione di un “monastesua natura e al suo compito, non all’appello dei Pontefici rivolto alla ro” dove i gesuiti studiano e scrivomancherà di rinnovarsi continuaCompagnia di Gesù nel suo comno nelle loro stanze. Eppure questa plesso, e in particolare a quello di apparente calma nasconde un conmente». La presentazione L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 5 aprile 2013 A Washington l’incontro dell’Ecumenical Advocacy Days for Global Peace with Justice Quasi ultimata la costruzione della chiesa ortodossa russa di Santa Maria Maddalena Un corretto rapporto con beni alimentari e ambiente Cupole d’oro nel cielo di Madrid di RICCARD O BURIGANA «L’amore di Dio è il filo rosso dell’intera storia biblica: questo amore si manifesta anche attraverso il dono del cibo che viene fatto a ogni uomo e a ogni donna»: è questa la riflessione alla base dell’incontro ecumenico dal titolo «At God’s Table: Food Justice for a Healthy World», che si svolge a Washington dal 5 all’8 aprile. L’iniziativa è promossa dall’Ecumenical Advocacy Days for Global Peace with Justice (Ead), un’organizzazione cristiana per la promozione del dialogo ecumenico nella testimonianza quotidiana dell’evangelo, con base negli Stati Uniti. La Ead si propone di realizzare l’unità dei cristiani con la definizione di programmi concreti con i quali rafforzare la testimonianza comune su alcuni temi, come la lotta per la pace fondata sulla giustizia, partendo dagli Stati Uniti. ma senza limitarsi all’orizzonte nazionale. Nella scelta del tema per l’incontro annuale, che quest’anno è giunto alla undicesima edizione, forte è stato il richiamo alla Sacra Scrittura, alla luce della quale collocare la riflessione sulla fame nel mondo e il suo rapporto con la salvaguardia del creato. Da anni la Ead è particolarmente attiva su questi temi, anche con una serie di iniziative locali, che si realizzano grazie all’attiva e qualificata partecipazione dei cattolici. Secondo l’organizzazione, i cristiani devono denunciare una società nella quale «la produzione alimentare sembra obbedire alla logica per la quale sempre maggiori spazi agricoli devono essere destinati alla produzione di colture per il carburante; si debba convivere con lo spreco di un terzo del cibo comprato e cucinato e si debba accettare come ineluttabile il fatto che milioni di uomini e donne siano condannate alla fame» Questa situazione, si osserva, non riguarda solo alcune parti del mondo, ma gli stessi Stati Uniti dove «milioni di persone vivono una situazione di insicurezza riguardo al cibo, talvolta patendo la fame e al- tre volte facendo ricorso a alimenti poco sani». Il sistema di produzione alimentare a livello nazionale e globale, è aggiunto, «ha perso di vista la centralità della sua dimensione umana. Il cibo è visto come uno dei prodotti tra i tanti, sul quale si può e si deve speculare». Alla luce della Parola di Dio l’incontro di Washington vuole quindi affrontare alcune questioni, come il costo per l’ambiente dell’attuale sistema di produzione alimentare, le conseguenze a lungo termine dell’uso massiccio di prodotti chimici e la coltivazione di cibi geneticamente modificati. E ancora, l’assenza, di fatto, di regole per la circolazione di prodotti alimentari e le forme di sostegno nei confronti di coloro che in tante parti del mondo cercano di combattere, anche a rischio della propria vita, il selvaggio sfruttamento dell’agricoltura. Si tratta di questioni sulle quali i partecipanti non si propongono di dare delle risposte, ma sulle quali si attendono un confronto con confronto con le istituzioni statunitensi. Per questo, durante la “tre giorni”, avverrà anche un confronto tra una delegazione della Ead e un gruppo di senatori e deputati del Congresso di Washington. Nel corso dei lavori sarà dato spazio anche allo stato del dibattito e ai progetti per la lotta alla fame nel mondo, all’interno di un cammino ecumenico per l’affermazione di un mondo fondato sulla giustizia e sulla pace. Il convegno vuole quindi essere un’occasione per affrontare il tema della lotta alla fame del mondo e della salvaguardia del creato così da rispondere ecumenicamente «all’invito di Gesù per preparare un banchetto al quale tutti sono invitati. Questo significa pensare a un nuovo rapporto con il cibo e a un nuovo sistema di produzione alimentare, fondato sulla giustizia, ecologicamente sostenibile così che il creato possa essere veramente riconosciuto un dono di Dio all’umanità». MADRID, 4. Con l’installazione, una settimana fa, della cupola centrale, la chiesa ortodossa di Santa Maria Maddalena, in costruzione a Madrid, ha ormai assunto il suo aspetto definitivo. La conclusione dei lavori è prevista per la fine del mese di aprile, giusto in tempo per consentire la celebrazione dei servizi divini della Settimana santa e della Pasqua, che, per coloro che seguono il calendario giuliano, quest’anno è fissata al 5 maggio. Come ha dichiarato il rettore della chiesa, l’arciprete Andrey Kordochkin, già parroco della Natività di Cristo a Madrid, la costruzione è stata effettuata da ditte spagnole con il sostegno attivo del fondo di beneficenza Transsoyuz delle Ferrovie russe. La croce della prima cupola dorata era stata benedetta il 7 febbraio scorso da Nestor (Sirotenko), vescovo della diocesi di Korsun (o Chersoneso), che raggruppa le parrocchie del Patriarcato di Mosca in Francia, Spagna, Svizzera e Portogallo. Era stato invece lo stesso Kordochkin, il 19 marzo, a benedire le tredici campane installate nel luogo di culto. «Non si costruisce una chiesa solo per quelli che vi verranno a pregare ma anche come testimonianza per coloro che si trovano fuori dal tempio e fuori dalla Chiesa», ha detto il rettore. Santa Maria Maddalena sorge lungo la Gran Vía de Hortaleza, nella zona nord-orientale della città, vicino al quartiere di Pinar del Rey, ed è la prima chiesa ortodossa costruita nel tipico stile architettonico russo nella capitale spagnola. Potrà ospitare al massimo quattrocento persone. A fianco vi sorge un edificio che ospiterà l’alloggio per il clero e sale per i fedeli. Fino a ora la parrocchia celebrava i riti liturgici in un piccolo locale adattato per il culto. Secondo statistiche ufficiali, vivono in Spagna circa 34.000 russi, 70.000 ucraini e 3.000 bielorussi; piccole comunità ortodosse russe si trovano in una dozzina di città spagnole (alcune parrocchie celebrano i servizi liturgici in edifici “prestati” dai cattolici). Santa Maria Maddalena è anche la prima chiesa del Patriarcato di Mosca costruita in pietra nel Paese iberico; ad Altea, a nord di Alicante, sorge la chiesa di Michele Arcangelo, di legno, benedetta nel novembre 2007 da Cirillo, all’epoca presidente del Dipartimento per le relazioni esterne e oggi Patriarca. Nel dicembre scorso è stato annunciato che un’altra chiesa potrebbe essere edificata in Spagna, nella comunità autonoma di Catalogna: secondo il progetto, sarà tre volte più grande di quella madrilena e accoglierà, oltre alla “scuola della domenica” (per il catechismo), un centro culturale dove sarà possibile imparare lo spagnolo e il russo. Oltre a reliquie di santa Leocadia di Toledo e a un’icona di santa Maria Maddalena, inviata dalla parrocchia ortodossa di San Giorgio a Rosario, in Argentina, la chiesa di Madrid ospiterà un’urna contenente una piccola parte delle reliquie di Eulalia di Mérida, martire bambina, santa venerata sia dai cattolici (festa il 10 dicembre) sia dagli ortodossi (22 agosto). A donare le reliquie — gesto altamente simbolico da un punto di vista ecumenico — è stata la cattedrale di Oviedo, diocesi della quale santa Eulalia è patrona. Era stato l’arciprete Kordochkin a manifestare all’arcivescovo di Oviedo, monsignor Jesús Sanz Montes, il desiderio di poter avere alcune reliquie di Eulalia di Mérida, nata nel 292 e morta nel 304, in modo da dedicare alla santa una cappella della nuova chiesa. Il rettore di Santa Maria Maddalena, che ha periodici incontri con la piccola comunità ortodossa di Oviedo, ha sottolineato «l’universalità, la trascendenza cultuale, l’ecumenismo» della figura di Eulalia, martire e santa riconosciuta da tutti i cristiani (anche dagli anglicani spagnoli i quali le hanno dedicato la parrocchia del capoluogo del Principato delle Asturie). Lettera pastorale dei vescovi in vista delle elezioni in programma nel 2013 Per lo Zimbabwe un’opportunità da non perdere Il segretario generale del Wcc dopo il sì dell’Onu al Trattato sul commercio delle armi Pietra miliare per la sicurezza delle popolazioni GINEVRA, 4. «Una pietra miliare negli sforzi per portare il commercio di armi letali sotto i tanto necessari controlli»: con queste parole il segretario generale del World Council of Churches (Wcc), Olav Fykse Tveit, ha commentato l’approvazione mercoledì, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, del primo Trattato internazionale sul commercio delle armi. Un’iniziativa che da parte del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, è stata definita come «una vittoria per la gente del mondo». E proprio alla gente del mondo si è ispirato anche il commento del rappresentante del Wcc, l’organizzazione ecumenica internazionale con base a Ginevra, in Svizzera. «Questo atto della comunità internazionale, atteso da troppo tempo — ha affermato Tveit — ha come effetto che le persone che vivono in molte parti del pianeta con preoccupazione per le proprie vite ora potranno essere più al sicuro». Il Trattato prevede rigidi standard internazionali per la compravendita delle armi, legando il commercio al rispetto dei diritti umani. A favore dell’adozione dell’intesa hanno dato il loro contributo anche numerose associazioni e movimenti ecumenici, che hanno aderito alla campagna di pressione guidata proprio dal Wcc. Il segretario generale ha, a tale riguardo, elogiato questo impegno: «Insieme ci siamo adoperati al fine di rendere il Trattato forte ed efficace, in modo da poter salvare vite umane e proteggere le comunità». Le comunità ecclesiali, ha aggiunto Tveit, «condividono le sofferenze causate dalla violenza armata e ora tutti possiamo dire grazie alle autorità nazionali competenti per la sicurezza pubblica e il benessere che hanno adottato finalmente norme vincolanti per il commercio mondiale delle armi». La campagna di sensibilizzazione del Wcc aveva ricevuto forte impul- so, in particolare, dopo lo svolgimento dell’International Ecumenical Peace Convocation svoltasi nel maggio 2011, a Kingston, in Giamaica. In un incontro dell’ottobre 2011, a New York, il segretario generale Olav Fykse Tveit, aveva affermato che le comunità religiose intendono promuovere un accordo internazionale «in grado di controllare efficacemente il commercio delle armi, a tutela della pace e della vita quotidiana delle persone e delle comunità». Inoltre, già nel 2006, il Wcc aveva accolto favorevolmente il progetto di risoluzione delle Nazioni Unite relativo al controllo delle armi. L’allora segretario generale, Samuel Kobia, aveva sottolineato la necessità di creare un controllo giuridicamente stringente, a livello internazionale, perché «ogni settimana, in ogni luogo, la proliferazione delle armi porta con sé morti violente, sofferenze profonde e l’uso inaccettabile di quelle risorse, che invece potrebbero dare slancio per incoraggiare la pace». La campagna di sensibilizzazione, è spiegato in una nota del Wcc che accompagna le parole di Tveit a seguito dell’approvazione del Trattato, «si è concentrata sui modi in cui il Trattato potesse contribuire a salvare vite umane e a proteggere le comunità. I promotori hanno avuto ripetuti contatti con i Governi dei loro Paesi, svolgendo contemporaneamente una attività di sensibilizzazione ecumenica in occasione delle sessioni delle Nazioni Unite». Questo si è tradotto nella volontà concreta di oltre un centinaio di leader di comunità di varie confessioni e religioni e rappresentanti di organizzazioni di base e che avevano aderito a un appello promosso nel settembre 2011 dall’Interfaith Working Group of the Control Arms Coalition, proprio al fine di organizzare una efficace opera di pressione sulle autorità dei vari Stati nel mondo. HARARE, 4. «Speriamo che il 2013 sia per lo Zimbabwe l’anno nel quale sboccia il fiore»: lo scrive la Conferenza episcopale dello Zimbabwe (Zcbc) nella lettera pastorale, diffusa nei giorni scorsi, con la quale affronta la delicata questione delle elezioni legislative e presidenziali in programma a giugno, le prime dopo quelle, contestate, del 2008, che aprirono un periodo di violenze e intimidazioni. «Per lo Zimbabwe il 2013 rappresenta una seconda possibilità», sottolineano i vescovi nel documento intitolato And the God of Second Chances, del quale l’agenzia Misna riporta alcuni stralci. «Come Chiesa chiediamo un’atmosfera pacifica prima, durante e dopo le elezioni», affermano i presuli, evidenziando come nel Paese africano sia ancora vivo il ricordo degli scontri che si scatenarono in occasione del voto del 2008. Nella lettera pastorale — firmata tra gli altri dal presidente della Conferenza episcopale, Angel Floro Martínez, vescovo di Gokwe — le prossime elezioni sono presentate come una tappa cruciale nel percorso cominciato nel 1980 con la fine del regime coloniale (sancita dalle elezioni vinte dall’Unione nazionale africana-Fronte patriottico di Robert Mugabe) e la proclamazione della Repubblica. «Nei primi quindici anni dopo l’indipendenza — sottolineano i vescovi — lo Zimbabwe ha compiuto enormi progressi in tutti gli ambiti della vita pubblica; era pieno di speranze e suscitava l’invidia degli altri Paesi a sud del Sahara». Questo cammino di sviluppo è stato però interrotto bruscamente da una crisi allo stesso tempo politica, economica e sociale: «L’ultimo decennio è stato caratterizzato dalla politicizzazione del Paese intero», denuncia la Zcbc, rivolgendo un appello ai cittadini dello Zimbabwe affinché «vivano la loro vita come fratelli e sorelle e non anzitutto come creature politiche e politicanti». La crisi — spiega Misna — si è manifestata in una corruzione diffusa, in un collasso dell’economia, in un’emigrazione di massa e in rinnovate divisioni etniche e tribali. Secondo i vescovi, ora bisogna ripartire facendo leva su una nuova ripresa, consentita grazie all’entrata in carica nel 2009 di un Governo di unità nazionale. Ma questa seconda opportunità deve arrivare attraverso un processo elettorale credibile, candidati di qualità, una leadership responsabile. «Nel 2013 lo Zimbabwe festeggia i trentatré anni di indipendenza ma deve anche ritrovare la sua anima come nazione», si legge nel documento. Il traguardo non è tanto la vittoria di questo o quel partito politico, dello Zanu-Pf dell’attuale presidente della Repubblica Robert Mugabe, o del Movimento per il cambiamento democratico del primo ministro Morgan Tsvangirai. Più delle appartenenze, suggeriscono i vescovi, contano l’etica e l’impegno per il bene comune. Com’è noto, il 16 marzo i cittadini dello Zimbabwe hanno approvato a larga maggioranza una nuova Costituzione che dovrebbe consentire al Paese di tornare presto al voto. E proprio per offrire un contributo affinché siano scongiurate violenze prima, durante e dopo le elezioni, il Consiglio delle Chiese dello Zimbabwe (organismo nel quale sono rappresentati anche i vescovi cattolici) ha creato un osservatorio ecumenico per la pace con il compito di favorire il dialogo, la mediazione e la risoluzione dei conflitti. Durante la campagna — ha spiegato il direttore Tendai Maregere — l’osservatorio organizzerà incontri pubblici ed effettuerà un monitoraggio della regolarità del voto e di eventuali violazioni dei diritti umani. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 5 aprile 2013 pagina 7 In un volume la raccolta degli interventi dell’ordinario militare per l’Italia Raccolta di fondi promossa dall’episcopato degli Stati Uniti Con fede testimoniando la pace Campagna per le Home Missions Pubblichiamo la prefazione che l’arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha scritto per il libro dell’ordinario militare per l’Italia, l’arcivescovo Vincenzo Pelvi, intitolato Sui Sentieri della Pace (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2013, pagine 875, euro 29). Il volume raccoglie gli interventi dell’ordinario militare nel triennio 2009-2012. di RINO FISICHELLA «Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo». Con queste parole, nella lettera apostolica Porta fidei, Papa Benedetto XVI motivava la scelta di indire l’Anno della fede, iniziato solennemente l’11 ottobre 2012 nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II e a vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. L’intenzione del Papa è che questo anno «susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità» (Porta fidei 9). Un tempo di grazia, quindi, offerto innanzitutto a ogni cristiano perché possa confermare la propria fede nel Signore Gesù, unico salvatore del mondo, e ritrovare motivazioni autentiche per impegnarsi a vivere, nella vita di ogni giorno, gli impegni battesimali. In questo contesto, trova un suo spazio significativo il nuovo libro di monsignor Vincenzo Pelvi, odinario militare in Italia, che raccoglie i suoi interventi ufficiali degli ultimi tre anni, la maggior parte dei quali sono omelie, tenuti nelle diverse circostanze della vita di quella singolare porzione della Chiesa che è l’O rdinariato. Sono interventi che spesso intrecciano pagine dolorose della vita della Nazione italiana, come nel caso delle esequie di militari morti nel compimento del loro dovere nelle operazioni umanitarie che vedono l’Italia impegnata in diverse parti del mondo. Altri, invece, sono la testimonianza dell’impegnativo lavoro di formazione e catechesi che egli ha proposto ai sacerdoti e a quanti sono diversamente impegnati in questa pastorale. Interventi che, accompagnando la vita quotidiana di una comunità cristiana nel succedersi dei tempi liturgici e delle feste, offrono un contributo all’impegno di «riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata» e a «riflettere sull’atto con cui si crede» (Porta fidei 9), che il Papa indica a ogni cristiano come sempre più necessario. La situazione nella quale siamo immersi è segnata da una profonda crisi in molti aspetti del vivere comune. Anche la Chiesa non ne è rimasta immune, come ha lucidamente ricordato Papa Benedetto XVI durante il discorso rivolto alla Curia romana il 22 dicembre 2011: «Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se a essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione e una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci». Tale constatazione non deve però far perdere di vista la consapevolezza del primato della grazia di Dio, che interviene in momenti che l’uomo non può determinare, secondo un piano di salvezza che solo Lui conosce. La grazia raggiunge il cuore dell’uomo, là dove ognuno dovrebbe decidersi per Dio e viene interpellato nella sua libertà, chiamato ad accogliere l’amore che salva e che dona senso definitivo all’esistenza. La persona scopre che, per trovare una risposta alle tante domande presenti nella sua vita, non può puntare unicamente sulle proprie sicurezze, ma deve affidarsi al richiamo dell’amore. E si rende conto che la fede scaturisce dall’amore e a esso ritorna come suo compimento più significativo. Tale consapevolezza emerge continuamente dagli interventi raccolti in questo volume, che tratteggiano una proposta formativa volta a prendere in seria considerazione la condizione di disorientamento e di confusione nella quale si trova coinvolto il nostro contemporaneo, vittima talvolta inconsapevole di un progetto che ha perseguito l’esclusione di qualsiasi riferimento a Dio come condizione di emancipazione dell’uomo. Con tenacia, anche nei momenti in cui questo risulta difficile, monsignor Pelvi richiama la necessità di lasciarsi raggiungere dalla grazia di Dio in Gesù Cristo, coltivando quel rapporto personale con Lui che si radica e matura nell’esperienza della comunità cristiana. La preghiera liturgica comunitaria, la vita sacramentale e in particolare l’Eucaristia — temi questi trattati nelle lettere pastorali — diventano pilastri costitutivi di una spiritualità essenziale all’uomo di oggi per vivere il compito di rendere ragione della sua speranza (cfr. Prima Lettera di Pietro, 3, 15). Da essi scaturisce l’esperienza della preghiera personale, perché più cresce la fede più si intensifica la preghiera. Più la vita di preghiera si fa forte, più si radica in noi l’esperienza della fede, cioè l’esperienza dell’abbandono di noi stessi nelle mani del Padre. Per il cristiano pregare è entrare nella contemplazione del volto di Dio come Gesù stesso ci ha rivelato. La preghiera, inoltre, consente di prendere coscienza della nostra povertà e nel- lo stesso tempo apre all’accoglienza della volontà di Dio. Consente di entrare in noi stessi, di scrutare il cuore, di allargare l’intelligenza a comprendere la verità che Dio comunica nell’incontro personale con Gesù Cristo. Tutto ciò è essenziale nella vita del cristiano per sostenerlo nella testimonianza e nella carità. Ricorda Benedetto XVI che «è la fede che permette di riconoscere Cristo ed è il suo stesso amore che spinge a soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo con speranza al nostro impegno nel mondo, in attesa di “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (Seconda lettera di Pietro, 3, 13; cfr. Apocalisse di Giovanni, 21, 1)» (Porta fidei 14). La promessa di questo compimento alimenta la fede di tanti militari e delle loro famiglie che si sforzano di testimoniare che la costruzione di un mondo migliore non può prescindere dal contributo del cristianesimo che apre la possibilità di un cammino condiviso perché consente all’uomo di dare una risposta piena e definitiva alla sua ricerca di verità e di bene. Queste pagine, insomma, sono un valido aiuto per quanti desiderano vivere con intensità e in comunione con tutta la Chiesa la grazia di questo Anno della fede, ed essere confermati nell’impegno di testimonianza. Una via per affrontare con audacia l’entusiasmante sfida della nuova evangelizzazione. WASHINGTON, 4. È il decimo Stato per estensione della federazione: oltre 250.000 chilometri quadrati di superficie, ma vi sono soltanto 47 sacerdoti al servizio di 50.000 fedeli cattolici sparsi in comunità molto distanti fra loro. Il Wyoming, con la sua diocesi più grande, quella di Cheyenne, è uno degli esempi citati nel sito della Conferenza episcopale degli Stati Uniti per descrivere la realtà delle home missions, ovvero le missioni interne considerate di frontiera per le difficili condizioni sociali e ambientali. Anche per il 2013 l’episcopato ha annunciato il lancio del Catholic Home Missions Appeal al fine di coinvolgere tutte le parrocchie in una raccolta fondi per il sostegno delle attività pastorali nelle diocesi carenti di sacerdoti e religiosi e di luoghi di culto, che includono anche centri abitati scarsamente popolati, poveri e per la maggior parte spesso anche difficili da raggiungere. L’iniziativa, come si legge nel sito dei vescovi statunitensi, si svolgerà dal 27 al 28 aprile. La colletta, è spiegato, costituisce la principale fonte di finanziamento dei progetti promossi dal Subcommitee on Catholic Home Missions della United States Conference of Catholic Bishops. Nel Paese, è aggiunto, il 44 per cento di tutte le arcidiocesi, diocesi ed eparchie ricevono aiuti, tramite questa colletta, per il loro programmi base essenziali, quali l’evangelizzazione, la catechesi, la formazione dei seminaristi e quella dei laici. «Molti cattolici nel nostro Paese — ha commentato il presidente del Subcommitee, il vescovo di Superior, Peter F. Christensen — non si rendono conto di quante diocesi stanno spesso lottando “nella porta accanto”». Attualmente sono 84 le diocesi che si trovano in queste condizioni. Il Catholic missions appeal, promosso fin dal 1998, ogni anno trova un riscontro favorevole: per esempio, nel solo 2010, sono stati raccolti circa nove milioni di dollari. Il Subcommittee on Catholic Home Missions è stato fondato nel 1924 come parte dell’American Board of Catholic Missions: nel 2011, i fondi messi a disposizione per le home missions sono stati 8.3 milioni. Le esigenze sono molteplici. L’episcopato offre un altro esempio: la diocesi di Pensacola-Tallahassee copre diciotto contee dello Stato della Florida. Tre di queste contee non hanno un sacerdote residente e una non ha neppure una chiesa. A questo si deve aggiungere le lunghe distanze e la varietà etnica della popolazione locale. La colletta consentirà di finanziare 57 progetti. Una delle sfide è poi quella della lingua: nella diocesi di Brownsville, nello Stato del Texas, la maggioranza dei residenti adulti parla ancora soltanto lo spagnolo, mentre tra i giovani la lingua corrente è quella inglese. La diocesi ha dunque la necessità di poter contare su sacerdoti e religiosi bilingue. Inoltre una priorità per Brownsville, ma naturalmente anche per numerose altre diocesi, è quella di favorire le vocazioni. Nella sola diocesi texana ogni sacerdote deve garantire sostegno spirituale a oltre 12.000 fedeli. Nella diocesi di Fairbanks (Stato dell’Alaska), per esempio, 41 delle 46 parrocchie necessitano di personale religioso. In alcuni centri abitati si può assicurare la presenza di un sacerdote addirittura soltanto una volta al mese. Nel 2013 sono stati messi a disposizione delle diocesi più bisognose 8.4 milioni di dollari. Si tratta di fondi che servono a coprire in gran parte le spese per l’evangelizzazione e la catechesi di giovani e adulti. Mediamente, un altro 18-20 per cento delle donazioni raccolte sono destinate alla formazione del clero. Alla diocesi di L’impegno della Caritas italiana Con la solidarietà degli episcopati Vicina alle popolazioni colpite dal sisma Ad Haiti un passo avanti per la ricostruzione ROMA, 4. A quattro anni dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo e a quasi un anno dal sisma in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, l’impegno solidale di Caritas italiana continua a dare frutti concreti. A oggi, sono stati raccolti oltre trentacinque milioni di euro, di cui cinque milioni messi a disposizione dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) dai fondi dell’otto per mille. In base alla lettura del territorio e dei bisogni della popolazione, Caritas italiana, in stretto accordo con la Chiesa dell’Aquila, ha definito fin da subito le linee di sviluppo dell’intervento, coinvolgendo anche le delegazioni regionali delle Caritas: emergenza e primo aiuto, ascolto e accompagnamento della popolazione, ricostruzione e riabilitazione socio-economica. Sabato 4 maggio — si legge in un comunicato di Caritas italiana — verrà inaugurata a Villa Sant’Angelo, in provincia dell’Aquila una struttura che ospiterà spazi da adibire al riavvio di attività commerciali, un centro di ascolto parrocchiale, attività di formazione e un salone comunitario. «La Chiesa è accanto alle vostre sofferenze» aveva detto Benedetto XVI in visita a Onna, e così è tuttora. Una promessa che, sempre Benedetto XVI, ha ripetuto visitando i luoghi colpiti dal sisma che nel maggio del 2012 ha messo a dura prova la popolazione dell’Emilia Romagna e anche di Lombardia e del Veneto «La Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l’aiuto concreto… in particolare della Caritas». Anche in questa nuova emergenza la pronta mobilitazione della rete Caritas — e i tre milioni di euro subito stanziati dalla Conferenza episcopale italiana in fase di emergenza — hanno dato risposte ai bisogni immediati e consentito l’attivazione di significative esperienze di gemellaggi. Sono state circa dieci milioni di euro le offerte pervenute a Caritas italiana che, d’intesa con le realtà colpite, ha avviato la realizzazione di diciassette centri di comunità, per riaggregare e rafforzare il tessuto sociale delle località colpite. Domenica prossima, dopo i due già realizzati nell’arcidiocesi di Modena-Nonantola, a Gallo di Poggio Renatico, nell’arcidiocesi di Bologna, verrà inaugurato il terzo di questi centri, alla presenza del vicario generale monsignor Giovanni Silvagni. Alla realizzazione del centro hanno contribuito anche le Caritas della Liguria. Sempre in aprile è prevista l’inaugurazione di altri cinque centri di ascolto parrocchiale. Tre nell’arcidiocesi di Modena-Nonantola: domenica 21 aprile a Cavezzo e a San Prospero, domenica 28 aprile a Solara; due nella diocesi di Carpi: venerdì 26 aprile a Fossa di Concordia e a Budrione. A seguire verranno consegnati gli altri centri in fase di completamento, nelle diocesi di Carpi, di Adria-Rovigo e di Ferrara-Comacchio. PORT-AU-PRINCE, 4. A oltre tre anni dal devastante sisma, e dopo mesi di discussioni sui criteri da applicare nei progetti, ha finalmente assunto un ritmo più veloce la ricostruzione delle chiese di Haiti. A metà marzo due nuovi progetti relativi alla capitale sono stati approvati dal Proche, l’agenzia appositamente creata dalla Chiesa cattolica, mentre nel mese di febbraio è stata consacrata la prima chiesa ricostruita con parte dei 33 milioni dollari raccolti tra i fedeli. A renderlo noto è il Catholic News Service, l’agenzia dell’episcopato statunitense, che sottolinea la mole impressionante di lavoro che ancora occorre compiere. «Il problema è più grande di noi», ha ammesso l’arcivescovo di Miami, Thomas Gerard Wenski, membro del comitato direttivo di Proche. Infatti, gli stessi responsabili del comitato sottolineano come la sfida per la ricostruzione di chiese, scuole, conventi e seminari sia così complessa che ci vorranno ancora milioni di dollari in donazioni e anni di pianificazioni prima che si possa completare la ricostruzione degli edifici ecclesiali distrutti dal potente terremoto del gennaio 2010. Attualmente sono in fase di elaborazione trentasei progetti, mentre uno solo è stato già realizzato. Ma ancora decine di situazioni relative a edifici di culto da ricostruire devono essere affrontate. I fondi per la ricostruzione delle chiese di San Luigi dei Francesi e di Cristo Re sono stati gli ultimi progetti a ottenere l’approvazione del comitato direttivo di Proche, l’agenzia che coordina gli sforzi degli episcopati haitiano, sta- tunitense, francese e di Adveniat, l’organizzazione dell’episcopato tedesco che si occupa degli interventi di solidarietà in America latina. I primi due anni di lavoro, viene sottolineato, sono stati abbastanza complessi perché si è dovuto soprattutto mettere a punto i criteri di elaborazione dei progetti che tenessero conto di standard qualitativi e di sicurezza affidabili. «Adesso stiamo procedendo più velocemente, rispondendo così alle aspettative di molte persone», ha detto l’arcivescovo Wenski. Infatti, «per costruire delle costruzioni che sia resistenti agli uragani e ai terremoti non ci sono scorciatoie. Bisogna costruirle bene. Per questo abbiamo impiegato più tempo di quello che ci eravamo proposti inizialmente». Padre Jaun Molina, direttore dell’ufficio dell’episcopato statunitense per l’America latina, ha reso noto che finora Proche ha assegnato più di 17 milioni di dollari, poco più della metà, cioè, dell’intera somma stanziata per i progetti di ricostruzioni di edifici di culto e di pastorale. A questo scopo Proche può disporre di circa 33 milioni di dollari, stornati dagli 80 milioni, che rappresenta la cifra totale donata dai fedeli nei mesi successivi al disastro. I rimanenti 47 milioni sono invece andati ai programmi che il Catholic Relief Services ha approntato ad Haiti. La prima chiesa a essere stata completata è stata quella di San Francesco d’Assisi, a 35 chilometri dalla capitale. Mentre altri cinque progetti saranno pronti nelle prossime settimane. Cheyenne è stato concesso un contributo pari a 75.000 dollari per coprire i costi della formazione di undici seminaristi. A El Paso (Stato del Texas) i 105.000 dollari raccolti, grazie alla colletta del 2012, servono invece alla copertura di programmi di evangelizzazione in 9 parrocchie e in 15 missioni. Nel 2002 l’episcopato aveva promosso una ricerca sulle missioni interne. Nello studio si sottolinea che «il cattolicesimo negli Stati Uniti si trova in una nuova situazione sociale e culturale. Nuovi modi di “essere Chiesa” stanno emergendo e ciò appare ancor più evidente nei territori di missione». La Chiesa in El Salvador chiede maggior rispetto delle leggi SAN SALVAD OR, 4. La Chiesa cattolica in El Salvador ha chiesto al Parlamento di rispettare la decisione della Corte Suprema di giustizia, che lo scorso 21 marzo ha annullato ancora una volta l’elezione dei giudici della Corte dei Conti della Repubblica (Ccr). «L’assemblea legislativa deve rispettare la decisione della Corte che è necessaria per il bene di tutti. Spero — ha sottolineato l’arcivescovo di San Salvador, monsignor José Luis Escobar Alas — che questo possa avvenire al più presto, altrimenti precipiteremo in una situazione critica che ci coinvolgerà tutti. Auspico, pertanto, che nella prossima elezione verranno presi in considerazione gli interessi particolari per il bene comune». La Camera costituzionale della Corte Suprema di giustizia ha dichiarato, nei giorni scorsi, incostituzionale la nuova elezione del Ccr dell’assemblea legislativa, due mesi dopo che la Corte aveva annullato la prima designazione fatta nel 2011, con un mandato in scadenza nel 2014. La Camera ha ribadito nel suo secondo giudizio gli argomenti della sentenza precedente, emessa il 24 gennaio scorso, compresi i giudici del Ccr che non devono avere nessuna militanza a partiti politici e devono soddisfare i requisiti di «onestà e competenza», stabiliti dalla Costituzione salvadoregna. La Corte Suprema ha annullato la nuova elezione perché il Parlamento ha ratificato solo la nomina di Gregorio Sánchez e di Javier Bernal, rispettivamente presidente e primo magistrato della Ccr, mentre Silvia Aguilar è stata eletta in sostituzione di Andres Rovira, che ha respinto la ratifica. Aguilar per essere eletta ha rinunciato alla sua militanza al partito Gran Alianza por la Unidad Nacional. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 5 aprile 2013 Il Pontificio Consiglio della Famiglia per Papa Francesco Dallo stupore alla realtà della speranza Messa del Pontefice a Santa Marta La pace non ha prezzo La pace non si compra né si vende: è un dono di Dio. E lo dobbiamo chiedere. Lo ha ricordato Papa Francesco giovedì mattina, 4 aprile, parlando dello “stupore” manifestato dai discepoli di Emmaus davanti ai miracoli di Gesù. L’occasione è stata il commento del brano evangelico di Luca (24, 35-48), proclamato nella liturgia della consueta messa mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, alla presenza di dipendenti vaticani, questa mattina una cinquantina di responsabili e operatori della Tipografia Vaticana. «I discepoli che sono stati testimoni della guarigione dello storpio e adesso vedono Gesù — ha detto il Pontefice — sono un po’ fuori di sé, ma non per una malattia mentale: fuori di sé per lo stupore». Ma cos’è questo stupore? «È qualcosa — ha detto il Santo Padre — che fa sì che siamo un po’ fuori di noi, per la gioia: questo è grande, è molto grande. Non è un mero entusiasmo: anche i tifosi nello stadio sono entusiasti quando vince la loro squadra, no? No, non è un entusiasmo, è una cosa più profonda: è lo stupore che viene quando ci incontriamo con Gesù». Questo stupore, ha spiegato il Pontefice, è l’inizio «dello stato abituale del cristiano». Certamente, ha fatto notare, non possiamo vivere sempre nello stupore, ma questa condizione è l’inizio che permette di lasciare «l’impronta nell’anima, e la consolazione spirituale». Infatti, lo stato del cristiano deve essere la consolazione spirituale, nonostante i problemi, i dolori, le malattie. «L’ultimo scalino della consolazione — ha detto il Papa — è la pace: si incomincia con lo stupore, e il tono minore di questo stupore, di questa consolazione è la pace». Il cristiano, pur nelle prove più dolorose, non perde mai «la pace e la presenza di Gesù» e con «un po’ di coraggio, possiamo dirlo al Signore: “Signore, dammi questa grazia che è l’impronta dell’incontro con te: la consolazione spirituale”». E, soprattutto, ha sottolineato, «mai perdere la pace». Guardiamo al Signore, il quale «ha sofferto tanto, sulla Cro- ce, ma non ha perso la pace. La pace, questa, non è nostra: non si vende né si compra». È un dono di Dio che dobbiamo chiedere. La pace è come «l’ultimo scalino di questa consolazione spirituale, che incomincia con lo stupore di gioia». Per questo, non dobbiamo farci «ingannare dalle nostre o da tante altre fantasie, che ci portano a credere che queste fantasie siano la realtà». Infatti, è più cristiano «credere che la realtà non possa essere tanto bella». Il Papa ha concluso chiedendo la grazia della consolazione spirituale e della pace, che «incomincia con questo stupore di gioia nell’incontro con Gesù Cristo». Insieme con il Pontefice hanno concelebrato, tra gli altri, monsignor Santo Marcianò, arcivescovo di Rossano-Cariati, i salesiani don Sergio Pellini, direttore generale della Tipografia Vaticana Editrice L’O sservatore Romano, e don Marek Kaczmarczyk, direttore commerciale. Erano presenti anche Domenico Nguyen Duc Nam, direttore tecnico, Antonio Maggiotto e Giuseppe Canesso. Messaggio per la giornata mondiale dell’autismo Sulla via del servizio e della tenerezza Autismo. Una parola che fa paura solo a sentirla pronunciare. Indica lo svilupparsi di un disordine cerebrale complesso che coinvolge molti aspetti dello sviluppo dei bambini, incluso il modo di parlare, di giocare e di interagire. È una malattia in rapido sviluppo nel mondo: solo negli Stati Uniti d’America — secondo una recente ricerca curata dal centro per il controllo dei disturbi in età pediatrica — un bambino su centocinquanta soffre di autismo. Anzi il fenomeno ha assunto dimensioni tali da spingere la comunità internazionale a istituire una giornata mondiale di sensibilizzazione. Quest’anno la giornata, la sesta, è caduta proprio nel periodo delle celebrazioni pasquali, il 2 aprile. La Chiesa ha sempre seguito con attenzione le problematiche legate a questa particolarissima categoria di malati e alle loro famiglie. Attenzione ribadita anche quest’anno dal messaggio diffuso proprio in occasione della giornata mondiale dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, a firma del presidente, l’arcivescovo Zigmunt Zymowski. Il presule ha preso spunto da una riflessione sull’atteggiamento di Gesù che si accosta ai due discepoli che vanno verso Emmaus e cammina con loro. «Lo sguardo segnato dallo smarrimento e, ancor più, dallo stupore che cadenza il passo di Clèopa e Simone — ha scritto — potrebbe essere tratto analogo, e altrettanto analogamente ritrovarsi, in quello che segna il volto e i cuori dei genitori che hanno un figlio o una figlia affetta da autismo». Di fronte ai problemi e alle difficoltà che incontrano questi bambini e i loro genitori, la Chiesa propone la via del servizio al fratello sofferente, accompagnandolo con compassione e tenerezza nel suo tortuoso percorso umano e psico-relazionale, avvalendosi dell’aiuto delle parrocchie, delle associazioni, dei movimenti ecclesiali e delle persone di buona volontà. Naturalmente «al porsi dell’ascolto — raccomanda l’arcivescovo — deve accompagnarsi necessariamente una autentica solidarietà fraterna. Non deve mai mancare l’attenzione globale alla persona “fragile” come può essere un malato di autismo: questa si concretizza con il senso di vicinanza che ogni operatore, ognuno nel suo ruolo, deve saper trasmettere al suo malato e alla sua famiglia, non facendolo sentire un numero ma rendendo concreta la situazione di un cammino condiviso, fatto di gesti, atteggiamenti, parole — magari non eclatanti — ma suggestivi di una quotidianità più vicina alla normalità». Ciò significa ascoltare l’esortazione, imperiosa, a non perdere di vista la persona nella sua integralità: «nessuna procedura, per quanto perfetta, potrà risultare “efficace” se privata del “sale” dell’amore, di quell’amore che ognuno di questi malati, se lo guardate negli occhi, vi chiede. Il loro sorriso — si legge ancora nel messaggio — la serenità di una famiglia che vede il suo caro al centro della complessa articolazione che ognuno di noi, per il suo specifico compito, è chiamato a gestire per la sua vita, la condivisione percepita e realizzata: sarà questo il miglior “bilancio” che ci arricchirà». In pratica il messaggio invita ad accogliere i bambini autistici nei diversi settori delle attività sociali, educative, catechistiche, liturgiche, in un modo corrispondente e proporzionato alla loro capacità relazionale. «Tale solidarietà, per chi ha ricevuto il dono della fede, diventa presenza amorosa e vicinanza compassionevole a chi soffre, sull’esempio e ad imitazione di Gesù Cristo, il buon Samaritano che con la sua passione, morte e risurrezione ha redento l’umanità» ha scritto l’arcivescovo Zimowski. Il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, nell’ Anno della fede, «desidera condividere con le persone che soffrono per l’autismo, la speranza e la certezza che l’adesione all’amore ci permette di riconoscere Cristo Risorto ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita». A questo proposito il presidente del dicastero, dopo aver ricordato quanto detto in proposito dal beato Giovanni Paolo II, per rafforzare le motivazioni che devono spingere alla solidarietà, ha citato le parole di Papa Francesco nei primi giorni del suo pontificato: «Dobbiamo tenere viva nel mondo la sete dell’assoluto, non permettendo che prevalga una visione della persona umana ad una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma: è questa una delle insidie più pericolose per il nostro tempo». «Papa Francesco ha generato in tutta la comunità argentina, non solo tra cattolici o credenti, un senso di comunione e speranza, inedito nella nostra storia recente». Lo affermano María Rosa Barbarán e Rómulo Alejandro Scarano, che in occasione dell’elezione del nuovo Pontefice hanno voluto offrire la loro testimonianza sul rinnovato sito internet del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Quello dei due coniugi argentini è uno degli omaggi tributati online dal dicastero che nel consiglio di presidenza annoverava l’arcivescovo di Buenos Aires divenuto Pontefice. Il sito www.familia.va riporta infatti anche stralci di omelie dedicate al tema della famiglia durante il suo ministero pastorale nella sede primaziale del Paese latinoamericano. Il Pontificio Consiglio presieduto dall’arcivescovo Vincenzo Paglia ha inoltre attivato di recente un servizio di newsletter in quattro lingue, ricco di informazioni sulle tematiche di maggiore attualità e interesse, soprattutto in vista dei due grandi appuntamenti che maggiormente coinvolgono le realtà familiari cattoliche: il pellegrinaggio alla tomba di San Pietro per l’Anno della fede, in programma il 26 e 27 ottobre prossimi; e l’Incontro mondiale delle famiglie fissato per il 2015 a Philadelphia, negli Stati Uniti d’America. Tra i relatori al recente Incontro mondiale svoltosi a Milano con la partecipazione di Benedetto XVI, i coniugi Scarano sono una coppia molto impegnata nel loro Paese: lei è decano della facoltà di scienze dell’educazione dell’Universidad Católica de Santiago del Estero, lui è avvocato e docente di dottrina sociale della Chiesa. Nella loro testimonianza esprimono i sentimenti di «incredulità, sorpresa, gioia», che ha suscitato nel loro Paese l’elezione del cardinale Bergoglio, senza nascondere anche «un certo timore per la complessità delle circostanze che deve affrontare il successore di Pietro». E rivelano come «settori politici caratterizzati dall’intolleranza e dal confronto non riconciliabile, hanno avuto gesti di rispetto e perfino di autocritica». Del resto negli ultimi decenni il cardinale Bergoglio «ha costituito un punto di riferimento morale», oltre che pastorale, per tutta la comunità argentina. Un uomo — ricordano — «venuto da una generazione di giovani sacerdoti latinoamericani segnata dai grandi ideali di rinnovamento religioso e sociale degli anni ‘60 e ‘70, illuminati dal Vaticano II». In particolare «il popolo argentino non dimentica la sua forza e la sua coerenza nella dura crisi economica, politica e morale, che nel dicembre 2001 produsse il collasso del governo nazionale e di tutto il sistema di indebitamento consumista». E in quel drammatico contesto, «un popolo ferito e sconcertato di fronte allo spettacolo della migrazione di migliaia di giovani alla ricerca di una possibilità di vita», ha ricevuto l’incoraggiamento della parola e dei gesti del futuro Pontefice, «come un padre che corregge, annuncia e avverte». Per Maria Rosa e Romulo Alejandro «la sua immagine è stata una luce che accende la speranza in mezzo al naufragio». E citano in proposito la sua omelia sulla parabola del buon samaritano del 25 maggio 2003, alla presenza delle massime autorità politiche della nazione. «I briganti della strada — disse in quella circostanza — hanno avuto come alleati coloro che passano per la strada guardando dall’altra parte. Si chiude il cerchio tra coloro che usano e ingannano la nostra società per derubarla e quanti si suppone mantengano la purezza nella loro funzione critica, ma vivono di questo sistema e delle nostre risorse per sfruttarle fuori o mantengono la possibilità del caos per guadagnare terreno. Non dobbiamo ingannarci, l’impunità del delitto, dell’uso delle istituzioni della comunità per il profitto personale o corporativo e altri mali che non riusciamo a sradicare, hanno come risvolto la permanen- Bergoglio con una famiglia di Buenos Aires in un’immagine del marzo 2011 te disinformazione e il discredito di tutto». In quell’occasione il porporato mise in guardia dall’atteggiamento di chi semina costantemente il sospetto, «che fa diffondere la sfiducia e la perplessità» e «alimenta il disincanto e la disperazione». Quando «si fa sprofondare un popolo nello scoraggiamento — affermò — si chiude perfettamente un circolo perverso: la dittatura invisibile degli interessi veri, quegli interessi occulti che si sono impadroniti delle risorse e della nostre capacità di giudizio e di pensiero». Attraverso questo stile pastorale padre Bergoglio ha generato in Argentina un debito di gratitudine; e poiché «ha sempre chiesto e chiede che preghiamo per lui — spiegano i due coniugi — siamo migliaia che abbiamo preso quest’impegno di sostenerlo con la preghiera». Si tratta di «una sfida — concludono — alla speranza di tempi migliori che verranno in tutta la Chiesa. Francesco alimenta in ognuno dei suoi gesti il sogno di una Chiesa povera e solidale, al servizio della vita minacciata, la cui gloria e forza emana dalla croce. Gli vogliamo molto bene. E ci sentiamo molto impegnati con tutta la Chiesa attraverso il suo ministero». Un tweet sull’amore di Dio «Dio ci ama. Non dobbiamo aver paura di amarlo. La fede si professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l’amore». Così Papa Francesco, in un nuovo tweet postato poco dopo mezzogiorno di giovedì 4 aprile, rilancia il messaggio sull’amore di Dio proposto nella catechesi tenuta durante l’udienza generale di ieri, mercoledì 3. In cammino verso Philadelphia 2015 La «campana della libertà» è il simbolo per eccellenza della città statunitense di Philadelphia, dove dal 22 al 27 settembre 2015 si terrà l’VIII Incontro mondiale delle famiglie. Essa fu suonata nel 1776 per radunare i cittadini americani in occasione della lettura della Dichiarazione d’indipendenza, entrando nell’immaginario collettivo nazionale come la bandiera a stelle e strisce. Per questo c’è una campana al centro del logo del prossimo raduno internazionale delle famiglie cattoliche, in modo da evidenziare il ruolo avuto della città della Pennsylvania nel riconoscimento e nella difesa dei diritti civili e della libertà religiosa. Evocativi anche i richiami religiosi del simbolo scelto: la campana suona per annunciare la buona notizia della famiglia. E in tal modo la piccola bianca campana d’argento di Philadelphia diventa il simbolo delle tante campane del mondo che chiamano le famiglie a raccolta in chiesa. Dentro la campana, come parte integrante che compone una croce, segno della centralità di Cristo nella vita familiare e della Chiesa, è raffigurata una famiglia con cinque persone di diversa grandezza ed età, che rappresentano i differenti ruoli nell’unità: i genitori, i figli, i fratelli, le sorelle, i nonni, gli zii. I colori sono caldi, attinenti alla stagione dell’anno in cui si terrà l’appuntamento. Il carattere grafico scelto per il titolo è forte e dinamico. La spiegazione del logo si trova sul sito ufficiale www.worldmeeting2015.org attivato di recente in quattro lingue. Nel dare il benvenuto ai navigatori virtuali, l’arcivescovo Charles J. Chaput sottolinea che Philadelphia è la prima città nordamericana a ospitare l’avvenimento. «Fin dalla sua istituzione nel 1994 da parte di Giovanni Paolo II, questo incontro ha come scopo di rafforzare nel mondo i legami sacri della famiglia. Infatti, il tema di ogni incontro ha lo scopo di sottolineare la novità della famiglia e il suo valore per il bene della società». Il presule conclude il suo messaggio ringraziando il governatore della Pennsylvania, Tom Corbett, e il sindaco di Philadelphia, Michael Nutter, per aver accettato l’invito ad assumere la presidenza onoraria dell’Incontro mondiale. «Il loro appoggio nei riguardi di questo evento, — spiega — la cui durata copre una settimana, dimostra come esso sia importante per la città e per l’intero Stato della Pennsylvania». E in proposito l’arcivescovo si dice fermamente convinto che questo avvenimento abbia in sé le potenzialità «per trasformare positivamente e in profondità non solo la Chiesa Cattolica del posto, ma anche l’intera comunità locale».