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l`osservatore romano
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLIII n. 79 (46.323)
Città del Vaticano
venerdì 5 aprile 2013
.
Ban Ki-moon profondamente preoccupato per la gravità della crisi
Da Papa Francesco cordoglio e vicinanza alle popolazioni
Venti di guerra
dalla Corea del Nord
Tragiche conseguenze
delle alluvioni in Argentina
SEOUL, 4. Si fa sempre più tesa la situazione al 38º parallelo, dove il regime comunista di Pyongyang evoca
venti di guerra sempre più forti.
L’esercito, citato dall’agenzia di
stampa ufficiale Kcna, ha dichiarato
di aver ricevuto il «via libero definitivo» per un attacco nucleare contro
le basi degli Stati Uniti. Dall’altro
lato del Pacifico, Casa Bianca e Pentagono, che hanno inviato nel frattempo un sistema di difesa antimissile a Guam, a largo delle Filippine,
secondo la stessa Kcna, sono stati
informati direttamente dal regime di
Pyongyang che un attacco nucleare
nordcoreano «è possibile» e che le
minacce statunitensi saranno «distrutte» anche con mezzi nucleari.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si dice
«profondamente preoccupato» per
l’escalation della situazione in Corea
del Nord. «Siamo delusi e preoccupati», ha detto stamani Ban Kimoon in una conferenza stampa a
Monaco di Baviera, per le restrizioni
ai lavoratori sudcoreani impiegati
nel distretto industriale di Kaesong,
sottolineando di auspicare una rapida eliminazione di tali restrizioni.
Anche l’alto rappresentante per la
Politica estera e di sicurezza comune
dell’Ue, Catherine Ashton, «deplora» l’annuncio da parte della Corea
del Nord di riavviare il sito nucleare
di Yongbyon «compreso il reattore
da 5mw». Secondo Ashton è una ulteriore «chiara violazione» delle riso-
Soldati delle due Coree si fronteggiano nella zona di confine di Panmunjom (Afp)
luzioni Onu e degli «impegni presi
nel 2007» da Pyongyang.
Il capo Gabinetto del Governo
giapponese, Yoshide Suga, ha detto
che le continue provocazioni della
Corea del Nord sono «estremamente
riprovevoli». Il principale portavoce
del Governo nipponico ha aggiunto
che Tokyo lavora a stretto contatto
con i Paesi alleati per chiedere al regime comunista di Pyongyang il rispetto degli obblighi internazionali.
Mentre il ministro della Difesa,
Itsunori Onodera, ha affermato che
il Giappone è in stretto contatto con
gli Stati Uniti per coordinare la risposta alle minacce nordcoreane. Il
segretario alla Difesa statunitense,
Chuck Hagel, che ha parlato telefonicamente con il collega cinese, generale Chang Wanquan, per disinnescare la situazione, ha affermato che
Washington «prende seriamente» le
minacce di Pyongyang che costituiscono un «pericolo reale e chiaro»
per gli Stati Uniti e gli alleati.
Nel frattempo, la Corea del Nord
ha trasportato sulla costa orientale
un missile a medio raggio. Lo riferisce l’agenzia sudcoreana Yonhap.
«Le autorità d’intelligence sudcoreane e statunitensi hanno rilevato segnali secondo cui la Corea del Nord
ha dispiegato un oggetto visto come
un missile di media gittata sulla sua
costa orientale», ha riferito una delle
fonti. Dalle analisi fatte potrebbe
trattarsi di un vettore Musudan, capace di coprire 4.000 chilometri e
quindi di raggiungere Guam. Inoltre, per il secondo giorno consecutivo le autorità di Pyongyang hanno
vietato ai lavoratori sudcoreani di
entrare nel complesso industriale che
amministra insieme a Seoul, nella
città di confine di Kaesong.
La Comunità economica dei Paesi dell’Africa centrale condanna l’iniziativa dei ribelli della Seleka
Nessun avallo al colpo di Stato a Bangui
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BANGUI, 4. «Allo stato attuale delle
cose è impossibile riconoscere un
presidente autoproclamato»: così il
capo di Stato ciadiano, Idriss Deby,
ha riassunto la posizione della Comunità
economica
dei
Paesi
dell’Africa centrale (Ceeac) in merito
al colpo di Stato del 24 marzo nella
Repubblica Centroafricana che ha
portato al potere la coalizione ribelle
Seleka e destituito il presidente
François Bozizé.
Al termine del vertice straordinario che ha riunito nella capitale ciadiana N’Djamena i leader regionali,
insieme a rappresentanti dell’Unione
africana e della comunità internazionale, Deby ha chiesto che «un collegio eletto dalle forze vive della Nazione prenda la guida della transizione, esercitando il ruolo dell’Esecutivo». Deby ha precisato che a tale collegio spetterà eleggere il presidente della transizione che, in ogni
caso, non dovrà superare i 18 mesi.
Sarà necessaria inoltre l’istituzione
di un organo legislativo che redigerà
la Costituzione e svolgerà il ruolo
dell’Assemblea.
Nessuna apertura da parte dei
Paesi africani c’è stata quindi nei
confronti del leader di Seleka,
Cerimonia per i soldati sudafricani uccisi a Bangui (Afp)
Michel Djotodia, che si è autoproclamato presidente, ha sospeso la costituzione, ha sciolto il Parlamento,
annunciando una transizione di tre
anni guidata da lui stesso e da un
Governo di 34 membri che ha nominato nei giorni scorsi.
Una delegazione formata dai ministri degli Esteri della Ceeac e da
esponenti internazionali si recherà a
Bangui «per portare questo messaggio ai centrafricani» ha concluso
Deby, annunciando un altro vertice
al termine della missione. «Ci confronteremo con gli altri e rifletteremo», ha commentato il generale
Moussa Mohamed Dhaffane, figura
di spicco di Seleka.
A margine del vertice a N’D jamena, il presidente sudafricano Jacob
Zuma ha annunciato alla Ceeac il ritiro delle truppe del suo Paese presenti nella Repubblica Centroafricana. Deby ha però precisato che Zuma «resta disponibile di fronte alla
richiesta della Comunità di inviare
forze qualora fosse necessario».
In precedenza, il presidente ugandese Yoweri Museveni aveva deciso
di sospendere le operazioni in territorio centroafricano dei tremila soldati inviati a caccia dei miliziani,
originariamente
nordugandesi,
dell’Lra guidato da Joseph Kony.
«Questi ribelli della Seleka che hanno preso il potere sono apertamente
ostili alla nostra presenza quindi il
presidente ci ha ordinato di rimanere
nelle nostre posizioni difensive», ha
annunciato il comandante ugandese
Dick Olum.
Da parte sua, il Governo del Camerun, che ha già accolto più di cinquemila profughi centroafricani, aveva deciso di chiudere la frontiera,
nel timore di possibili attacchi e violenze ai danni della sua popolazione
e degli sfollati — per lo più dell’etnia
gbaya, quella del presidente destituito Bozizé — da parte di elementi armati della Seleka che avrebbero già
varcato i confini. In merito, il
«Journal de Bangui», il principale
quotidiano centroafricano, ha parlato di una situazione estremamente
preoccupante per l’economia nazio-
nale, già in difficoltà, dato che il 70
per cento delle importazioni centrafricane transita dal Camerun.
Nel frattempo, una settantina di
militari
regolari
centroafricani,
arrivati a Bondo, nella provincia
Orientale della Repubblica Democratica del Congo, dopo essere
sfuggiti all’avanzata della Seleka verso Bangui, hanno chiesto il rimpatrio.
Nella Repubblica Centroafricana,
intanto, non s’interrompono le violenze contro le popolazioni civili e
segnatamente contro le comunità cristiane da parte di elementi della Seleka affiancati da miliziani islamisti
giunti soprattutto da Ciad e Sudan.
Una nuova denuncia in merito è stata fatta dal vescovo di Bangassou,
Juan José Aguirre Muños, in dichiarazioni all’agenzia Fides.
Le inondazioni nella città di La Plata (Reuters)
BUENOS AIRES, 4. Tre giorni di lutto nazionale sono stati proclamati
in Argentina per le vittime delle
inondazioni che negli ultimi due
giorni hanno colpito Buenos Aires
e La Plata, il capoluogo provinciale. Il passare delle ore ha purtroppo aggravato le conseguenze del
disastro. Sono infatti 54 i morti finora accertati, 48 a La Plata e 6 a
Buenos Aires. Diverse persone sono annegate dopo essere rimaste
intrappolate nelle loro auto nelle
strade cittadine invase dall’acqua,
altre sono rimaste folgorate dopo
che la pioggia ha fatto crollare alcune linee elettriche. Più di ventimila persone sono state costrette a
lasciare le loro abitazioni nelle zone alluvionate.
Cordoglio per le vittime e vicinanza ai loro familiari e a tutte le
persone colpite sono stati espressi
da Papa Francesco in un telegramma inviato all’arcivescovo Mario
Aurelio Poli, da lui nominato suo
successore alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires. Nel telegramma, a firma del cardinale Tarcisio
Bertone, segretario di Stato, il Papa «incoraggia le istituzioni civili
ed ecclesiastiche, così come le persone di buona volontà, a portare
con carità e spirito di solidarietà
cristiana gli aiuti necessari».
Da Roma, dove si trova per partecipare all’assemblea annuale della
Pontificia Commissione per l’America Latina, l’arcivescovo di La Plata, Héctor Rubén Aguer, si è messo in contatto con i suoi vescovi
ausiliari, dando istruzioni di fornire
il massimo dell’assistenza possibile
agli alluvionati. Decine di persone
hanno già trovato rifugio nel seminario diocesano San José.
Alessandro Valignano, il gesuita dell’Estremo oriente
Come detto, le dimensioni del
disastro si rivelano di ora in ora
più gravi. Gli uffici pubblici e le
scuole sono stati chiusi, centinaia
di migliaia di cittadini sono senza
luce o gas, dato che le aziende fornitrici sono state costrette a interrompere il servizio per evitare incidenti, e diverse migliaia di persone
risultano ancora isolate. Purtroppo,
l’emergenza sembra destinata a
protrarsi, anche perché le previsioni meteorologiche parlano di nuove
precipitazioni.
Il governatore della provincia di
La Plata, Daniel Scioli, ha parlato
di «una tragedia senza precedenti»,
sottolineando che in poco più di
due ore sono caduti 400 millimetri
di pioggia. Scioli ha anche annunciato — come riferiscono le agenzie
di stampa internazionali — che circa quattrocento agenti, con l’appoggio di mezzi logistici militari,
sono impegnati a pattugliare i
quartieri allagati per cercare persone da aiutare e anche per scoraggiare possibili saccheggi nelle case
abbandonate. Il governatore ha aggiunto che si stanno disponendo
indennizzi e crediti a tassi preferenziali per chi ha perso la casa o le
attività commerciali.
Di timori della popolazione per
possibili sciacallaggi ha parlato anche il presidente della Repubblica,
Cristina Fernández de Kirchner,
recatasi ieri nelle zone alluvionate,
nelle quali si trova tra l’altro la
casa di sua madre. Il presidente
argentino ha assicurato il massimo
impegno delle autorità nel fronteggiare l’emergenza, sottolineando
che la priorità è ora il lavoro
umanitario, l’identificazione delle
vittime, ma anche la distribuzione
di aiuti di immediata necessità, come materassi, coperte e acqua potabile.
L’uomo che anticipò il futuro
NOSTRE
INFORMAZIONI
La delegazione nipponica (con al centro il gesuita portoghese padre Diogo de Mesquita)
inviata da Valignano in Europa in una stampa dell’epoca (Augsburg, 1586)
GIANPAOLO ROMANATO
ALLE PAGINE
4-5
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza:
le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali:
— Fernando Filoni, Prefetto
della
Congregazione
per
l’Evangelizzazione dei Popoli;
— James Michael Harvey, Arciprete della Basilica Papale di
San Paolo fuori le Mura;
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Piero Marini,
Arcivescovo titolare di Martirano, Presidente del Pontificio
Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea lascia i tassi fermi allo 0,75 per cento
Per il presunto occultamento di perdite miliardarie
Francoforte sceglie
la linea della prudenza
Occhi puntati
sui conti
della Deutsche Bank
FRANCOFORTE, 4. Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea
(Bce) nella riunione di oggi ha lasciato il tasso d’interesse di riferimento fermo allo 0,75 per cento. La
decisione era attesa dal mercato, ma
rappresenta comunque un segnale
importante: l’istituto di Francoforte
sceglie la linea della prudenza nella
lotta contro la crisi. L’ultima variazione risale al 5 luglio 2012, quando
la Bce tagliò dello 0,25 per cento il
tasso di riferimento. Tasso che era rimasto fermo all’un per cento dall’8
dicembre 2011.
Intanto, resta alta l’attenzione su
Cipro. I dipendenti delle banche
hanno proclamato per domani
un’astensione dal lavoro di due ore
in segno di protesta contro l’asserita
mancata protezione del fondo pensioni dei loro colleghi impiegati per
la Bank of Cyprus e la Laiki Bank, i
due maggiori istituti di credito
dell’isola che hanno subito gravi
perdite a causa del piano di salvataggio dell’economia cipriota concordato dal governo cipriota con
l’eurogruppo. In un comunicato diffuso ieri a Nicosia, il sindacato dei
bancari (Etyk, che conta 11.000
iscritti) ha denunciato il fatto che i
fondi pensione dei lavoratori impiegati nelle due banche sono a rischio
come lo sarebbero anche i fondi
pensione di altre categorie depositati
negli stessi istituti.
La sede della Bce a Francoforte (Afp)
I dettagli precisi del piano concordato con la troika (che costituisce la
base del memorandum d’intesa che
dovrà essere ratificato anche dai Paesi dell’eurozona) non sono ancora
stati resi noti. Di sicuro, però, il piano agirà pesantemente sul settore
bancario, finanze pubbliche e riforme strutturali. Con un aggiustamento fiscale pari a due punti di pil, oltre alle misure pari al cinque per
cento già decise. Serviranno poi mi-
Nuova bufera
sulle attività
finanziarie
di Goldman Sachs
WASHINGTON, 4. Nuova bufera sulla
finanza a stelle e strisce. L’ex trader
di Goldman Sachs, Matthew Taylor,
ha ammesso ieri la propria colpevolezza: ha nascosto un’attività finanziaria da 8,3 miliardi di dollari più
di cinque anni fa, una posizione dieci volte superiore ai limiti imposti alla sua divisione. «Sono veramente
dispiaciuto» afferma Taylor in tribunale, ammettendo di essere colpevole di un capo d’accusa di frode, con
il quale rischia fino a venti anni di
carcere. Secondo le autorità, Taylor
avrebbe nascosto ai suoi capi la propria posizione, che si è poi tradotta
in 118,4 milioni di perdite per
Goldman Sachs. Taylor ammette di
aver mentito in una mail a coloro
che stavano indagando all’interno
della banca. Una scommessa che
aveva deciso di fare nella speranza
di rafforzare la propria posizione in
Goldman Sachs e migliorare il proprio potenziale compenso di fine anno. «Matt Taylor si è assunto la responsabilità per la propria condotta;
si augura — ha dichiarato ieri il legale di Taylor, Thomas Rotko — di
aver l’opportunità di lasciarsi il caso
alle spalle».
Intanto, si segnala una decisione
“storica” della Sec, l’autorità statunitense dei mercati. I social network
Facebook e Twitter potranno essere
usati per comunicazioni societarie, a
patto che gli investitori vengano avvertiti di quale mezzo l’azienda intende usare. Si tratta di una vera e
propria rivoluzione — dicono gli
esperti — che si inserisce nell’ampio
dibattito in corso su come le autorità
possano monitorare le interazioni
delle società con i social media, soprattutto con il crescente ricorso da
parte delle aziende e dei loro dipendenti a Facebook e a Twitter. «Sempre più aziende quotate usano i social media per comunicare con gli
azionisti e gli investitori; apprezziamo il valore dei canali dei social media nelle comunicazioni di mercato e
sosteniamo il fatto che le aziende
cercano nuovi modi di comunicare»
afferma la Sec, sottolineando che le
comunicazioni affidate a Facebook e
Twitter dovranno rispettare le norme
che regolano la corretta diffusione
delle informazioni, ovvero non discriminare un gruppo di investitori
rispetto a un altro. Le aziende americane che usano i social media per
comunicare con gli azionisti sono il
14,4 per cento del totale.
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sure, come ha sottolineato l’Fmi, pari a un altro 4,5 per cento del pil per
raggiungere un avanzo primario del
4,5 per cento nel 2018. E questa —
sottolineano gli analisti — è la sola
“boccata d’aria” che Nicosia si è vista concedere dalla troika, che consiste in due anni in più per rimettere
in carreggiata deficit e debito. Questo perché, oltre allo smantellamento
della Laiki Bank e alla ristrutturazione della Bank of Cyprus, è stato
confermato l’aumento della tassa
sulle società dal 10 al 12,5 per cento
e il raddoppio dal 15 al 30 per cento
dell’aliquota fiscale sugli interessi attivi. E le misure non si fermano qui:
arriveranno una legge sulla responsabilità fiscale, un programma di privatizzazioni, la revisione del sistema
sociale e di quello pensionistico.
Tuttavia, assicurano Rehn e Lagarde,
le riforme garantiranno «equità sociale e sostenibilità».
Il faro dell’Ue è puntato anche
verso Atene. La troika è tornata ieri
ad Atene per ispezionare lo stato del
bilancio e delle riforme: la nuova
ispezione servirà — dicono fonti europee — a garantire alla Grecia una
trance di prestiti da 2,8 miliardi di
euro, prevista per il mese scorso. Altri sei miliardi di euro di prestiti sono previsti in arrivo nel primo trimestre, ma dovranno aspettare metà
aprile per essere rilasciati. Atene dovrà rimborsare prestiti in scadenza
per 3,8 miliardi di euro in aprile e
altri 3,2 miliardi di euro a maggio.
Fonti del ministero delle Finanze assicurano che non ci saranno problemi per i rimborsi.
Un punto molto importante per il
Governo Samaras è quello della privatizzazione delle ferrovie: il primo
bando ci sarà a giugno. «La privatizzazione per il momento è avviata»
ha detto il ministro dello Sviluppo
economico, Costis Hatzidakis, in
una nota.
BERLINO, 4. La Bundesbank (Buba) ha lanciato un’inchiesta per il
presunto occultamento di circa dodici miliardi di euro di perdite sui
derivati da parte del colosso
Deutsche Bank. Lo rivela il
«Financial Times», citando fonti
vicine all’operazione, secondo le
quali gli ispettori della Buba si apprestano a volare a New York la
prossima settimana nell’ambito di
un’inchiesta che punta a fare luce
su speculazioni che avrebbero permesso alla banca tedesca di evitare
un salvataggio durante la recente
crisi finanziaria. Gli ispettori della
banca centrale intendono ascoltare
diverse persone, tra cui ex addetti
di Deutsche Bank, a conoscenza
delle operazioni sui derivati. Lo
scorso
dicembre
lo
stesso
«Financial Times» aveva rivelato di
un’indagine della Sec (l’autorità
statunitense di controllo sui mercati e sulla Borsa) sulle perdite sui
derivati di Deutsche Bank.
A far scattare l’inchiesta sarebbero state le rivelazioni di tre ex dirigenti della banca tedesca. Come riferisce il quotidiano italiano «Il
Sole 24 Ore», la Deutsche Bank ha
ripetuto ieri che le accuse, da parte
di questi ex dipendenti — successivamente licenziati o usciti dalla
banca dopo aver manifestato la
propria opposizione alle operazioni
— sono totalmente infondate e che
si tratta di un caso già vecchio di
almeno due anni e mezzo sottoposto a un’accurata indagine condotta da uno studio legale su incarico
della banca. Il colosso bancario tedesco — riporta sempre «Il Sole 24
Ore» — ha anche espresso la propria intenzione di continuare a collaborare con le autorità di vigilanza
e che i suoi tre accusatori non avevano responsabilità o conoscenza
diretta delle operazioni in questione. Le posizioni sono state successivamente chiuse o cedute. Le perdite — secondo gli ispettori delle
autorità americane sui mercati e
sulle Borse — sarebbero state causate da errate valutazioni sulla situazione della crisi dei mercati.
Dati positivi per l’economia spagnola nel 2014
Mariano Rajoy promette crescita e lavoro
Per Madrid è necessario un istituto bancario europeo
MADRID, 4. Il presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, ha annunciato ieri che l’economia del
Paese iberico crescerà nel 2014; un
rialzo è previsto anche per l’occupazione, dopo anni di crisi. «Anche se
il 2013 sarà ancora duro, l’economia
spagnola crescerà in modo chiaro e
inizieranno a crearsi posti di lavoro»
ha detto Rajoy in un discorso presso
la sede del Partito popolare a Ma-
Dublino
centra
l’obiettivo
di bilancio
DUBLINO, 4. Il Governo di Dublino ha compiuto una «forte attuazione» del programma di riforme e di austerità, che sta dando «risultati positivi»; tuttavia,
sulle prospettive dell’economia irlandese pesa l’elevato livello dei
mutui in sofferenza. Lo scrivono
in un rapporto i tecnici del Fondo
monetario
internazionale
(Fmi) incaricati di valutare i progressi di Dublino, che comunque
anche nel 2012 ha mantenuto il
deficit di bilancio pubblico «ampiamente entro l’obiettivo» prefissato. Ma la crescita nel 2013
dovrebbe rimanere debole — intorno all’un per cento — con forti
incertezze sulle prospettive di
medio termine, si legge ancora
nel rapporto.
Dublino è rientrata sul mercato
il mese scorso, collocando con
successo un bond decennale per
la prima volta dal 2010, quando
aveva dovuto chiedere un pacchetto di 67,5 miliardi di aiuti a
Ue, Fmi e Banca centrale europea sottoponendosi così a un pesante programma di riforme e
austerity. Nella sua prima emissione, l’agenzia del debito di Dublino ha collocato bond per cinque miliardi di euro, aumentando
l’ammontare rispetto ai tre iniziali di fronte alla forte domanda
degli investitori. Dai mercati —
ha commentato il ministro delle
Finanze Noonan — è arrivata una
risposta «straordinaria».
drid. Il presidente del Governo ha
difeso le riforme effettuate finora
dall’Esecutivo e ha annunciato alcune misure per i prossimi mesi, compresa la creazione di un’autorità indipendente fiscale, la riforma energetica e l’adozione di una legge per
favorire gli imprenditori.
La politica attuata fin qui è riuscita a «stabilizzare la situazione» in
Spagna in un panorama economico
caratterizzato da un forte deficit
pubblico, la crisi del settore finanziario e la crisi del debito. «Stiamo
riparando un disastro in cui molte
persone stanno attraversando un
momento difficile e molti si aspettano che la situazione migliorerà presto» ha detto Rajoy, difendendo la
riforma del lavoro, che «ha evitato
di distruggere molti posti» e sarà la
chiave per la futura creazione di impieghi. La strada che l’Europa deve
imboccare — ha detto Rajoy — è
quella dell’unione bancaria, perché
solo con una banca comune «la crisi
di Cipro sarebbe stata evitata». Per
questo ogni Paese Ue deve andare
avanti nelle riforme strutturali.
Nel frattempo, il ministro degli
Esteri spagnolo, José Manuel
García-Margallo, ha espresso «enorme preoccupazione» per l’imputazione dell’infanta Cristina, figlia secondogenita del re Juan Carlos, nelle indagini riguardanti lo scandalo
dell’Istituto Noos. Dal canto suo, la
Casa Reale spagnola ha espresso
«stupore» per la vicenda.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
direttore generale
Il presidente del Governo spagnolo Mariano Rajoy (Reuters)
no, tra l’altro, titoli pubblici, cambiali commerciali, accettazioni bancarie». Questa mattina Haruhiko
Kuroda ha ribadito, nel corso della
conferenza stampa seguita al board
della Boj, che la Banca centrale
adotterà «misure monetarie supplementari se necessario, senza esitazione». Kuroda ha dichiarato: «La
nostra strategia punta a prendere
tutte le misure immaginabili per
raggiungere l’obiettivo del due per
cento sulla stabilità dei prezzi in
due anni». Una strategia, ha detto
Kuroda, che mira a sconfiggere in
modo netto la deflazione.
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BERLINO, 4. La crisi finanziaria
è costata alla Germania 187 miliardi di euro tra il 2009 e il
2010. È quanto sostiene uno studio dell’istituto di ricerca economica Rwi, reso noto in anteprima dal quotidiano «Die Welt».
La ricerca si concentra sui bilanci pubblici federali del 2009 e
2010, comparati con i documenti
di programmazione economica e
finanziaria degli anni 2007 e
2008, quando la crisi non era
ancora emersa in tutta la sua
violenza. Rispetto alla crescita
prevista del pil dell’1,5 per cento
nel biennio 2009-2010, l’economia tedesca è arretrata pesantemente, come mai nel dopoguerra, provocando entrate notevolmente inferiori alle previsioni.
Se a questo dato si sommano le
spese aggiuntive per la stabilizzazione della situazione economica, come i sussidi per la disoccupazione, i due programmi
congiunturali
di
sostegno
all’economia e i fondi salva banche, si sale a un costo per il
2009 di settanta miliardi e per il
2010 di 117 miliardi di euro. In
totale la spesa per affrontare la
crisi in quel biennio è stata così
pari a 187 miliardi di euro.
Hollande
sulla vicenda
Cahuzac
Il Giappone adotta
una politica monetaria più aggressiva
TOKYO, 4. La Boj, la Banca centrale
del Giappone, ha deciso di adottare
una politica monetaria più aggressiva per centrare il target di un’inflazione al due per cento nell’arco di
due anni. Al termine del primo vertice sotto la guida del nuovo governatore, Haruhito Kuroda, la Boj ha
annunciato un articolato panorama
di spesa che include anche l’acquisto di bond governativi.
«La Banca centrale — si legge in
un comunicato — condurrà operazioni di money-market al fine di aumentare la sua base monetaria tra i
60.000 e i 70.000 miliardi di yen
l’anno. Queste operazioni riguarda-
Anche a Berlino
la crisi
presenta il conto
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Stretta di Pechino
contro
l’inflazione
PECHINO, 4. Forte monito della
Banca centrale cinese contro i rischi di ripresa dell’inflazione. Al
termine della riunione trimestrale
dell’istituto, una dichiarazione
della Banca popolare ha sottolineato l’incertezza sull’andamento
dei prezzi, ribadendo tuttavia la
volontà di perseguire una politica
monetaria prudente nel quadro di
una crescita stabile. A febbraio il
tasso annuale di inflazione è salito
al 3,2 per cento, il livello più alto
degli ultimi dieci mesi.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818,
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Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480,
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PARIGI, 4. Rischia di avere serie
ripercussioni sul mondo politico
francese la vicenda dell’ex ministro
al
Bilancio,
Jérôme
Cahuzac, che ha ammesso di
avere un conto non dichiarato in
Svizzera. La vicenda di Cahuzac
era scoppiata nel dicembre 2012,
quando il sito Mediapart aveva
pubblicato una notizia in base
alla quale il ministro possedeva
dal 2010 un conto non dichiarato presso la banca Ubs. La Procura francese aveva quindi aperto un’inchiesta. Lo scorso 19
marzo Cahuzac rassegnava le dimissioni, pur continuando a dichiararsi innocente di fronte alle
istituzioni. Due giorni fa l’ex
ministro ha ammesso l’esistenza
del conto. Il presidente francese,
François Hollande, ha definito il
caso «un oltraggio alla Repubblica», precisando che Cahuzac
«non ha goduto di alcuna protezione». L’opposizione ha chiesto le dimissioni del Governo e
il ritorno alle urne. Nel frattempo, come riferiscono le agenzie
internazionali, si è appreso che
il tesoriere della campagna elettorale di Hollande nel 2012,
Jean-Jacques Augier, avrebbe
azioni di due società off-shore
alle isole Cayman.
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Il Sole 24 Ore S.p.A
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Aziende promotrici della diffusione de
«L’Osservatore Romano»
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Alfonso Dell’Erario, direttore generale
Romano Ruosi, vicedirettore generale
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
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L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 5 aprile 2013
pagina 3
Annunciata una nuova visita di Kerry in Vicino Oriente
Per risollevare la difficile situazione finanziaria del Cairo
Tensione
nei Territori palestinesi
L’Fmi
in aiuto dell’Egitto
TEL AVIV, 4. Tensione in Cisgiordania e al confine della Striscia di Gaza. Questa mattina le truppe israeliane hanno ucciso due palestinesi.
Gli scontri sono avvenuti nella notte
vicino Tulkarem, nel nord della Cisgiordania, dopo una giornata intensa di proteste. Intanto, da Gaza
alcuni miliziani palestinesi hanno
sparato un numero imprecisato di
colpi di mortaio contro il territorio
israeliano. Nelle località del Neghev,
vicine alla Striscia di Gaza, sono risuonate le sirene di allarme.
Ieri due razzi scagliati dalla Striscia di Gaza hanno colpito Israele,
abbattendosi al suolo in zone desertiche alle porte di Sderot, cittadina
situata appena un chilometro a est
del confine con Gaza: lo hanno riferito fonti della polizia locale, secondo cui non si sono comunque registrate conseguenze di sorta. Si è
trattato del terzo lancio di razzi dalla Striscia negli ultimi mesi.
In Cisgiordania l’esercito israeliano ha predisposto rigide misure di
sicurezza in occasione dei funerali,
che si sono svolti ieri a Hebron, di
Maysar Abu Hamadyia, un detenuto palestinese di 64 anni morto nei
giorni scorsi, mentre scontava un ergastolo in Israele. La vicenda ha suscitato numerose proteste in tutti i
Territori palestinesi, così come nelle
carceri israeliane. Nelle strade della
Cisgiordania si sono avuti scontri e
lanci di bottiglie incendiarie. Per il
presidente dell’Autorità palestinese,
Abu Mazen, «Israele si comporta in
modo brutale» con i detenuti palestinesi.
La tensione è alta anche al confine con la Siria, sulle alture del Golan: una salva di mortaio e alcuni
colpi di armi automatiche sono stati
esplosi dal settore siriano contro il
territorio israeliano. All’attacco da
parte israeliana si è reagito con un
carro armato. «Risponderemo sempre con fermezza» ha detto il mini-
Sanguinosi
combattimenti
tra esercito e ribelli
a Damasco
DAMASCO, 4. Violenze senza tregua in Siria. Le truppe del presidente Assad hanno assunto il
controllo di Daraya, una località
strategica alle porte della capitale
Damasco. Lo riferisce l’emittente
televisiva del partito sciita libanese Hezbollah. Da settimane si sono intensificati gli scontri tra
l’esercito e i ribelli alla periferia
della capitale siriana.
Secondo gli attivisti, due quartieri settentrionali di Damasco si
trovano sotto il fuoco dell’artiglieria delle forze di Assad. Colpi
di mortaio e razzi sono esplosi
contro le abitazioni civili di
Jawbar e Qabun, nel nord della
capitale. Testimoni indipendenti,
interpellati dall’agenzia Ansa,
hanno confermato la notizia. Il
bilancio dei combattimenti di ieri, secondo gli attivisti, sarebbe
di oltre trenta persone uccise in
24 ore a Damasco e nei suoi dintorni. I media ufficiali siriani non
confermano questo bilancio, ma
riferiscono
dell’uccisione
di
«gruppi di terroristi» nella regione di Dayr Ezzor e di Homs.
Intanto, il segretario di Stato
americano, John Kerry, ha chiesto al ministro degli Esteri francese e a quello britannico di tenere un incontro sulla Siria a
margine della riunione del G8
prevista a Londra i prossimi 10 e
11 aprile. Lo riferisce la stampa
araba, che cita fonti diplomatiche
europee. Tali fonti hanno precisato che Kerry nella sua recente visita a Parigi ha chiesto al ministro degli Esteri francese, Lauren
Fabius, la disponibilità a un incontro a Londra, a cui potrebbe
partecipare anche il capo della
Coalizione dell’opposizione siriana, Moaz Al Khatib. All’ordine
del giorno si dovrebbe discutere,
tra l’altro, di come trovare una
strategia unitaria per agevolare la
transizione del Paese arabo verso
una nuova fase politica. Al centro dei colloqui — dicono gli
analisti internazionali — dovrebbe
esserci anche il nodo delle forniture di materiali militari ai ribelli.
Scontri tra palestinesi e israeliani a Hebron (Afp)
stro della Difesa israeliano, Moshe
Yaalon.
Sul piano internazionale, il segretario di Stato americano, John
Kerry, tornerà in Medio Oriente da
domenica con una visita a Istanbul,
in Turchia, alla quale faranno seguito due nuove tappe in Israele e nei
Territori palestinesi. La portavoce
del dipartimento di Stato, Victoria
Nuland, ha spiegato che domenica
il capo della diplomazia statunitense
discuterà della situazione in Siria
con i leader turchi e lunedì sarà a
Gerusalemme, dove vedrà il premier
israeliano, Benjamin Netanyahu.
Martedì sarà a Ramallah, dove incontrerà il presidente Abu Mazen.
Obiettivo delle due tappe del viaggio di Kerry, ha spiegato la portavoce, è vedere «che cosa è possibile»
fare per far ripartire il dialogo tra
israeliani e palestinesi. Con un occhio rivolto verso la crisi siriana.
IL CAIRO, 4. Il Governo egiziano e
il Fondo monetario internazionale
(Fmi) hanno ripreso ieri i negoziati
al Cairo per discutere il prestito da
4,8 miliardi di dollari ritenuto necessario per risollevare l’economia
del Paese arabo. Lo riporta il sito
web del quotidiano «Al Ahram», secondo cui le autorità egiziane presenteranno un piano di riforme economiche per convincere l’Fmi a erogare il prestito in cui sarebbero inclusi l’aumento delle tasse sui beni
di lusso e un aggiustamento dei sussidi statali in campo energetico.
Stando al giornale, rimarrebbero invece fuori dai negoziati l’ipotesi di
tagli ai salari e alla spesa pubblica.
La delegazione dell’Fmi è giunta al
Cairo, all’indomani delle dichiarazioni del ministro delle Finanze, El
Morsi El Hegazy, il quale ha definito «molto difficile» la situazione finanziaria del Paese, dove si calcola
ci siano riserve di valuta straniera
sufficienti solo per altri tre mesi. Lo
stesso ministro delle Finanze El
Morsi El Hegazy ha annunciato ieri
che il Governo egiziano ha intrapreso un negoziato con il Fondo monetario arabo (Fma), un’organizzazione panaraba creata dal Consiglio
economico degli Stati della Lega
araba, per un prestito da 465 milioni di dollari.
Intanto, mentre un altro comico è
finito sotto accusa in Egitto — fer-
mato e interrogato, oggi è stato liberato dopo aver versato una cauzione di 570 euro — il presidente
egiziano, Mohammed Mursi, ha ribadito l’impegno del suo Governo a
difesa della libertà di espressione.È
quanto sottolineato in una nota ufficiale al Cairo in cui si smentisce che
La Borsa del Cairo (Reuters)
Si teme un’offensiva su vasta scala mentre l’assalto al tribunale di Farah City si è trasformato in un massacro
Lo spettro talebano incombe su Kabul
KABUL, 4. Non è certo nuova alle
violenze la capitale afghana. Ma
questa volta si teme un’offensiva su
vasta scala, da parte dei talebani,
con l’obiettivo di mettere Kabul a
ferro e fuoco. L’allarme, riportato
dai maggiori quotidiani internazionali, è stato lanciato dall’esercito afghano, che ha denunciato l’esistenza
di piani, studiati dai miliziani, che —
si teme — potrebbero essere messi in
atto a breve termine. L’85 per cento
dei piani di attacco, ha affermato il
generale Qadam Shah Shahim, comandante della centoundicesima
unità dell’esercito a Kabul, riguarda
proprio la capitale. Il generale ha
puntato il dito contro i talebani, i
quali «vogliono colpire molte istituzioni della sicurezza». Quindi Shah
Shahim ha aggiunto: «Quest’anno i
miliziani hanno scelto di attaccare
vari obiettivi a Kabul e punteranno i
luoghi più affollati. Lo scorso anno
gli obiettivi erano seminare il panico
fra la popolazione e attaccare interessi militari. Quest’anno punteranno a compiere attacchi sia contro
obiettivi militari sia civili».
Si è nel frattempo aggravato il bilancio dell’attacco compiuto ieri dai
talebani contro il tribunale di Farah
City, nell’omonima provincia occidentale: cinquantaquattro i morti e
più di cento i feriti. Insomma, un
massacro. I miliziani hanno attaccato il tribunale con l’obiettivo di liberare un gruppo di insorti che in quel
momento erano processati. L’operazione è stata rivendicata dal portavoce dei talebani, Qari Yusuf Ahmadi.
Non si è fatta attendere la condanna
del presidente afghano, Hamid
Karzai, che ha parlato di «una vera
e propria strage di civili». Karzai ha
quindi assicurato che questo «terribile atto» non resterà impunito. Stamane poi le autorità locali, citate
dalla France Presse, hanno denunciato che in un raid delle forze della
Nato, sul distretto di Deh Yak, nella
provincia di Ghazni, quattro poliziotti e due civili sono rimasti uccisi.
E in un Paese costantemente segnato dalle violenze scatenate dai
miliziani si registra anche la protesta
scuola superiore Hazrat Bilal, a
Sharan. «I docenti — ha affermato —
appartengono alla fascia più povera
della società. Dipendono completamente dagli stipendi che da sei mesi
non vengono pagati. E ora essi hanno gravi problemi economici».
Hameed ha fatto appello al ministero dell’Istruzione affinché intervenga
per evitare che migliaia di giovani
siano costretti a rimanere a casa e ha
chiesto che venga rimosso dall’incarico il responsabile per l’Istruzione
nella provincia di Paktika.
Un civile ferito nell’attacco talebano a Farah (Ansa)
Tempi incerti per il varo
della missione dell’Onu in Mali
NEW YORK, 4. Si approfondisce
all’Onu il confronto sul progetto di
dispiegamento di una forza di peacekeeping nel Mali, anche se i tempi del varo risentono della situazione di estrema incertezza nel Paese
africano. Questo riguarda sia le
operazioni militari nel nord contro i
gruppi jihadisti sia la transizione
politica verso un ristabilimento della
democrazia. Dopo una riunione a
porte chiuse, ieri, del Consiglio di
sicurezza, la rappresentante degli
Stati Uniti all’Onu, Susan Rice, ha
detto che una risoluzione sul dispiegamento dei caschi blu, che vede favorevole la sua Amministrazione,
verrà messa a punto nelle prossime
settimane.
Nelle aspettative dell’Amministrazione di Washington, ma anche di
Parigi, le cui truppe sono tuttora
impegnate in battaglia nel nord del
Mali, i caschi blu potranno fare uso
della forza e daranno appoggio politico al Governo di transizione inse-
degli insegnanti. I docenti della provincia orientale di Paktika hanno minacciato lo sciopero a oltranza se
non riceveranno gli stipendi. Gli insegnanti delle scuole pubbliche primarie e secondarie di Sharan, capoluogo della provincia, si sono rifiutati, ieri, di entrare nelle aule. Con il
passare delle ore la protesta si è estesa anche ad altri distretti della provincia di Paktika. Alcuni docenti
non ricevono lo stipendio da mesi.
Tra i promotori della protesta figura Abdul Hameed, preside della
diato a Bamako. La forza dell’O nu
sostituirà i soldati africani della missione Misma, che affiancano attualmente le truppe francesi e quelle
governative maliane. Finora, peraltro, tutte le discussioni all’O nu
muovono dalla premessa che compito dei caschi blu sia consolidare i risultati ottenuti dalle truppe francesi,
africane e maliane contro gli jihadisti, risultati che appaiono ancora
ben lontani da un pieno successo.
Nel frattempo, dopo 28 giorni di
detenzione è tornato libero il direttore del quotidiano «Le Républicain», Boukary Daou, incriminato
per «incitamento alla disubbidienza». L’apertura del processo è prevista il 16 aprile. Al giornalista viene
contestata la pubblicazione di una
lettera dei militari che denunciavano
i persistenti privilegi concessi al capitano Amadou Haya Sanogo, alla
guida un anno fa del colpo di Stato
che aveva rovesciato il presidente
Amadou Toumani Touré.
Taglia
sui leader dell’Lra
WASHINGTON, 4. Gli Stati Uniti
offrono una ricompensa di cinque
milioni di dollari a chi fornirà informazioni utili che portino alla
cattura di Joseph Kony, il leader
del cosiddetto Lord’s Resistance
Army (Lra), il gruppo ribelle, originariamente nordugandese, responsabile da un trentennio di
atrocità. Nel rendere nota l’iniziativa, il dipartimento di Stato americano specifica che la stessa cifra
andrà anche a chi fornirà indicazioni per la cattura di ognuno dei
tre vice di Kony, cioè Okot
Odhiambo, Dominic Ongwen e
Sylvestre Mudacumura, anch’essi
come il loro leader ricercati per
crimini contro l’umanità dalla
Corte penale internazionale. Il
presidente statunitense, Barack
Obama, ha firmato lo scorso gennaio una legge che consente di
pagare informazioni utili all’arresto di cittadini stranieri incriminati da tribunali internazionali
la presidenza abbia presentato denuncia contro il comico Bassem
Youssef, accusato di aver insultato
Mursi e di offese contro l’islam. «La
presidenza ribadisce l’importanza
della libertà di espressione e il pieno rispetto per la libertà di stampa», si legge nel comunicato.
Cruento attacco
nel sud
del Pakistan
ISLAMABAD, 4. Sangue nel sud del
Pakistan. Due agenti sono morti e
altre cinque persone sono rimaste
ferite nell’esplosione di una bomba nella città portuale di Karachi.
Lo ha riferito il sito di «Express
News», precisando che l’attacco è
stato diretto contro un’auto di
agenti paramilitari nei pressi di
una zona residenziale. Sul piano
politico, intanto, si rileva che
l’Unione europea ha deciso di inviare una missione di osservatori
in Pakistan per le elezioni generali
previste per l’11 maggio. Riferisce
l’agenzia Efe che l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza
dell’Ue,
Catherine
Ashton, ha diffuso un comunicato
in cui si afferma che l’invio di
questa missione di osservatori fa
parte dell’azione di sostegno promossa dall’Unione europea al processo democratico in Pakistan.
Guiderà la missione il tedesco
Michael Gahler. Segnala sempre
l’Efe che il giorno dopo le elezioni gli osservatori Ue redigeranno
una dichiarazione con una prima
valutazione delle operazioni di voto. Catherine Ashton, nel comunicato, sottolinea che le elezioni
dell’11 maggio rappresentano per
il Pakistan un momento cruciale
in funzione di una maturazione
del processo democratico, costantemente messo a dura prova dalle
violenze scatenate dai miliziani in
varie parti del territorio.
Contrasti tra Rwanda
e Repubblica Democratica del Congo
KIGALI, 4. Nuove tensioni si registrano tra i Governi del Rwanda e
della Repubblica Democratica del
Congo riguardo alla questione dei
ribelli congolesi del Movimento del
23 marzo (M23), da oltre un anno
protagonisti della ripresa del conflitto nella regione orientale del
Nord Kivu, al confine appunto con
il Rwanda.
Il Governo di Kigali ha annunciato ieri che sono stati allontanati
dal confine e sistemati in un campo
di accoglienza del distretto di
Ngoma, a circa cento chilometri a
est della capitale, i settecento miliziani dell’M23 che il mese scorso
avevano varcato la frontiera per trovare riparo in territorio rwandese.
Secondo il ministro per i Rifugiati,
Séraphine Mukantabana, sono state
«soltanto applicate le convenzioni
internazionali che dicono che i rifugiati devono trovarsi a più di cinquanta chilometri dal confine». Il
ministro ha aggiunto che agli uomi-
ni dell’M23 è stato chiesto di fare
una scelta volontaria e definitiva sul
proprio statuto, tra quello di militari o di rifugiati, ma ha precisato che
«non sono affatto prigionieri, sono
persone entrate sul nostro territorio
in cerca di asilo».
A passare in territorio rwandese è
stata la fazione dell’M23 legata
all’ex capo ribelle Bosco Ntaganda,
attualmente detenuto presso la Corte penale internazionale e in attesa
di processo, fazione sconfitta da
quella di Sultani Makenga, i cui
uomini sono tuttora attivi nel Nord
Kivu. Le autorità congolesi, ma anche altri Governi e diverse associazioni per la tutela dei diritti umani
hanno ricordato che alcuni ribelli
passati in Rwanda sono oggetto di
sanzioni internazionali e dovrebbero essere processati per le violenze e
gli abusi commessi nel Nord Kivu
a partire dal maggio 2012. Secondo
Mukantabana, però «è prematuro
pronunciarsi su questi casi».
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L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 5 aprile 2013
Nell’ultimo quarto del Cinquecento il gesuita Alessandro Valignano portò il cristianesimo in Giappone e in Cina
Nuova veste grafica e rubriche innovative per la rivista dei gesuiti nata il 6 aprile 1850
L’uomo che anticipò il futuro
Una lunga rincorsa
per proseguire verso il futuro
di GIANPAOLO ROMANATO
ancora poco noto al di
fuori della cerchia degli
studiosi di professione.
Ma è un autentico gigante, una delle maggiori figure dell’Europa cinquecentesca.
Stiamo parlando di Alessandro Valignano (1539-1606), il gesuita che alla
fine del XVI secolo resse le missioni
in Estremo Oriente e guidò la lunga
marcia di Matteo Ricci attraverso la
Cina, fino a Pechino. Quando Valignano morì, nel 1606, Ricci, nel suo
italiano ormai traballante, lo pianse
in una lettera al generale della Compagnia di Gesù, Claudio Acquaviva,
con poche, scultoree parole: «Quest’anno, oltre agli altri travagli, che
mai ce ne mancano, avessimo questo
molto grande della morte del P. Valignano padre di questa missione,
con la perdita del quale restassimo
come orfani, e non so con che V. P.
ce lo possa ristorare».
Valignano è dunque il padre della
penetrazione del cristianesimo in Cina e in Giappone. Se teniamo presente che allora cristianesimo significava Europa, comprendiamo l’importanza che quest’uomo assume
non solo nel suo tempo ma anche
nei secoli successivi, fino ai nostri
giorni. Eppure, chi volesse conoscerne meglio l’operato faticherebbe a
trovare nelle librerie opere idonee.
Ci sono gli atti del convegno internazionale che si svolse a Chieti, la
città natale di Valignano, nel 2006,
in occasione del quarto centenario
della sua morte, apparsi nel 2008
grazie al sostegno della Fondazione
Cassa di Risparmio della provincia
di Chieti, Alessandro Valignano. Uomo
del Rinascimento. Ponte tra Oriente e
Occidente, a cura di Adolfo Tamburello, M. Antoni J. Üçerler, Marisa
Di Russo (Bibliotheca Instituti Historici Societatis Iesu, 65). Si tratta
di un’opera di valore, cui hanno
contribuito molti insigni studiosi,
ma inevitabilmente rivolta al mondo
ristretto degli specialisti. Dei numerosi libri che scrisse, l’unico accessibile è il Cerimoniale per i missionari
del Giappone, apparso in versione critica nel 1946 e ripubblicato dalle
Edizioni di Storia e Letteratura in
forma anastatica nel 2011, con una
bella introduzione di Michela Catto.
Ma neppure questa è opera alla portata di tutti. Il semplice lettore, senza particolari conoscenze, a che cosa
può fare ricorso? A due studi. Alla
biografia di Augusto Luca, Alessandro Valignano. La missione come dialogo con i popoli e le culture (Emi,
2005), oppure a Il Visitatore. Un testimone oculare nel misterioso Giappone
del XVI secolo (Piemme, 2004) di Vittorio Volpi. Gli autori sono vissuti
entrambi in Giappone, il primo come missionario, il secondo come dirigente d’azienda. Conoscono ciò di
cui scrivono. Ma le loro prospettive
sono diverse. Più ecclesiastica quella
di Luca, più laica quella di Volpi,
che considera Valignano il primo europeo che capì veramente il Giappone, un insostituibile maestro, anche
oggi, per chi voglia entrare nel mondo nipponico.
Resta però il fatto che questo gesuita che giganteggia oggi nella storia come giganteggiava allora sui
contemporanei dall’alto della sua
statura, ben superiore alla media del
tempo, non ha ancora trovato un
biografo e uno studioso capace di
coglierne e descriverne tutta l’importanza. Forse perché molti documenti, in particolare le sue innumerevoli
lettere e relazioni, giacciono ancora
intonsi negli archivi di mezzo mondo. O forse perché occorrono troppe
competenze — storiche, linguistiche,
culturali — per capire e far capire ciò
che è stato e ha significato. E così,
mentre si allarga la fama di Matteo
Ricci, sempre più al centro della cultura internazionale, conosciamo ancora poco l’uomo che ne fu il superiore, la guida, il maestro riconosciuto e venerato.
Nato a Chieti da una famiglia
dell’aristocrazia locale nel 1539, Alessandro Valignano si laureò a Padova
ed entrò nella Compagnia di Gesù
nel 1566, dopo una giovinezza movimentata e probabilmente dissipata,
che per un anno e mezzo l’aveva
portato anche in carcere, a Venezia,
con l’accusa di tentato omicidio.
Studiò nel celebre Collegio Romano
e operò in varie sedi italiane dei gesuiti finché, a trentaquattro anni, fu
destinato a un incarico delicatissimo:
quello di Visitatore delle missioni
delle Indie orientali. In pratica era
posto a capo, con poteri quasi assoluti, di tutte le missioni dell’ordine
È
venerdì 5 aprile 2013
presenti in Oriente, dall’Africa al
Giappone, passando per l’India,
Malacca (l’attuale Malesia), la Cina.
Perché proprio a lui, che non era
mai uscito dall’Italia, un simile incarico? Perché queste missioni, sotto
patronato portoghese, erano allo
sbando e occorreva una persona carismatica e di assoluta fiducia della
Compagnia, ma estraneo al mondo
lusitano (e a quello spagnolo), per
rimetterle in riga. Al generale Everardo Mercuriano, terzo successore
di sant’Ignazio a capo della Compagnia, Valignano parve la persona
idonea. E Valignano accettò.
Il 20 settembre 1573 partì da Roma alla volta di Lisbona, via Spagna. In Portogallo si fermò cinque
mesi, il tempo per rendersi conto
della situazione, imparare la lingua e
guadagnarsi l’antipatia di quasi tutti
i gesuiti portoghesi (in una lettera a
Mercuriano scriverà di «disgusti et
pochi rispetti» di cui fu oggetto),
che avevano ben capito la natura del
suo incarico. Ma anche per reclutare
quaranta padri da portare in Oriente
(solo dieci portoghesi) e per convincere il re a finanziare la spedizione.
Salpò da Lisbona il 21 marzo 1574
con direzione Goa, in India. Nei
trentadue anni che gli restavano da
vivere non sarebbe più tornato, non
avrebbe più rimesso piede in Europa. La grandezza di questi uomini
(sarà lo stesso per Matteo Ricci)
consiste anche nella loro capacità di
darsi totalmente alla causa con scelte
Ma bisogna anche aggiungere
che, secondo lo studioso indiano
Paolo Aranha, intervenuto nel convegno di Chieti, egli avrebbe maturato sugli indiani — come d’altronde
sugli africani, conosciuti nella sosta
in Mozambico, sulla via dell’India —
un giudizio fondamentalmente negativo, tanto da escluderli dal progetto
inculturativo rivolto a cinesi e giapponesi. Si tratta di una tesi certamente controcorrente,
che tuttavia conferma
Salpò da Lisbona il 21 marzo 1574
quanto ci sia ancora
da esplorare nella vita
Nei trentadue anni successivi
e negli scritti del geoperò su un duplice fronte
suita abruzzese, come
Far capire all’Europa
anche nel complessivo
metodo di approccio
la realtà della missione
alle culture non crie al Giappone la realtà europea
stiane posto in opera
dai gesuiti in Oriente
(e in America) all’alba della civiltà
più riottosi, avviò il risanamento delmoderna. Il dialogo con i popoli
la missione. Tuttavia, tra beghe innuovi, la comprensione delle loro
terne e condizionamenti politici del
culture
e
credenze
non sbocciò da
Governo di Lisbona, rimase impiarmonie prestabilite ma fu una lenta,
gliato in una situazione che non gli
faticosa acquisizione, nella quale anpermise di esprimere tutta la sua geche i migliori conobbero incertezze
nialità, anche se in India ebbe per la
ed errori. L’Europa aveva appena
prima volta la chiara percezione che
scoperto l’altro, il diverso, il lontano
senza apprendere bene le lingue del
e non si era ancora riavuta dallo
luogo («senza essa non si fa niente o
shock. I missionari come Valignano,
poco») nessuna missione avrebbe
come Ricci, come De Nobili (operò
mai avuto successo. Il possesso dei
in India), che navigarono fino ai lilinguaggi locali era il primo indimiti estremi del mondo e cominciaspensabile gradino di quell’inculturono a convivere con questi popoli,
razione del cristianesimo nelle cultuvincendo la solitudine, i pericoli, le
re orientali, di cui avrà in Giappone
fatiche, l’abbandono, spesso inconla piena consapevolezza.
trando la morte, furono i veri battistrada della modernità e aprirono
col loro sangue le vie che hanno
portato all’interculturalità odierna.
La cultura contemporanea deve al
sacrificio e all’intelligenza di questi
uomini, ancora per la maggior parte
sconosciuti, molto più di quanto abbia loro riconosciuto.
Da Goa si spostò in Malesia e poi
a Macao. Era il 1578. A Macao, nelle
sue incessanti peregrinazioni lungo
le rotte orientali, Valignano tornerà
quattro volte, l’ultima per morirvi,
nel 1606, ed esservi sepolto. È nel
corso di questi soggiorni che impostò tutta la strategia della penetrazione in Cina, che sarà messa in pratica da Michele Ruggeri e Matteo
Ricci, i gesuiti che egli scelse personalmente per gestire l’impresa. La
sua strategia si fondava su tre presupposti, come ha spiegato Ronnie
Po-Chia Hsia al convegno di Chieti:
inculturazione del cattolicesimo nelle
strutture cinesi, ammissione dei cinesi nella Compagnia, rifiuto di ogni
progetto (di cui aveva “orrore”) di
penetrazione militare, come suggerito alla corona di Spagna da alcuni
sconsiderati gesuiti delle Filippine.
Fino alla proibizione dei riti cinesi
da parte di Roma, sarà questa la
strategia adottata dai gesuiti per farsi accettare dai cinesi e trasmettere
loro il cristianesimo. Per più di un
secolo, cioè, i padri in Cina si ispireranno a questa metodologia lasciata
loro in eredità da Valignano, cercando di scongiurare le condanne romane e sforzandosi di convincere Roma
che delle cose cinesi si può giudicare
non da «fora e lontano» ma solo
con «la lunga esperienza». Un avvertimento che non ha ancora perUn ritratto di Alessandro Valignano
duto di attualità.
definitive, totali, senza vie di fuga,
senza ripensamenti.
Rimase in India due anni e mezzo, girando il Paese in lungo e in
largo e spingendosi fino a Ceylon,
per visitare le missioni («ora per terra, ora per mare» percorse migliaia
di chilometri, molti a piedi) e capire
la situazione. Con interventi mirati,
coinvolgendo tutto il personale del
luogo ma rispedendo in Europa i
Nel luglio del 1579 partì per la sua
prima visita in Giappone, dove si
fermò tre anni. In Giappone tornò
poi altre due volte (1590-1592, 15981603). Sono questi tre soggiorni che
hanno definitivamente consegnato
Valignano alla storia dei rapporti fra
l’Europa e il lontano Oriente. Aveva
raccolto tutte le possibili informazioni, ma niente di ciò che gli era stato
detto somigliava anche lontanamente
a ciò che vide.
Il Giappone era un altro mondo,
dove tutto era diverso, modi di vita
e di pensare, codici di comportamento, forme culturali, abitudini,
strutture mentali e argomentative,
per non parlare della lingua, che nonostante tutti i suoi sforzi pare sia
riuscito ad apprendere solo superficialmente. «Sono così differenti dagli europei e da tutti gli altri popoli
— scrive al termine della prima visita
— che sembra si adoperino apposta
per fare tutto il contrario degli altri... Qui c’è un altro mondo, un altro modo di procedere, altri costumi
e altre leggi, di modo che molte delle cose che in Europa sono giudicate
cortesi e onorevoli, qui sono ritenute
come grandi affronti e offese; e molte delle cose che qui sono così comuni che senza di esse non si riesce
a vivere, né a trattare con i giapponesi, in Europa sono ritenute meschine e indegne». Per il primo anno, scrive a Claudio Acquaviva, succeduto a Mercuriano a capo della
Compagnia di Gesù, stette «muto
come una statua», senza trovare «soluzioni» al suo disorientamento. Solo al terzo anno di soggiorno, dopo
aver visto quasi tutto il Paese, aggiunse, «sono in grado di comprendere come bisogna guidare il Giappone».
Quale fu l’intuizione di Alessandro Valignano? Che il cristianesimo,
per avere qualche possibilità di successo in questo lembo estremo e sconosciuto del mondo, doveva farsi
giapponese, come in Cina doveva
farsi cinese. Ma in Cina egli dettò la
linea e lasciò che altri la applicassero. Qui invece dovette dare le diret-
on sappiamo se è
possibile immaginare
una rivista di cultura
che possa ospitare articoli scritti solamente
da gesuiti, una rivista scritta da
specialisti ma che usi un linguaggio per non «addetti ai lavori»,
una rivista che esca da oltre 160
anni ogni quindici giorni con fascicoli di oltre 100 pagine, una rivista
le cui proposte culturali sono caratterizzate da una sintonia speciale
con la Santa Sede, una rivista che
addirittura arriva con la valigia diplomatica a tutte le nunziature del
mondo. Anche se è difficile pensare una rivista di questo genere, essa
è «La Civiltà Cattolica». Il lettore
oggi la riceve in un veste grafica
differente rispetto a quella alla
quale era abituato da ormai 41 anni. Ma chi ha un po’ di memoria
storica forse riconoscerà nel font (o
“carattere”) della nuova testata lo
stesso “bodoni” che ha caratterizzato da sempre «La Civiltà Cattolica», e in particolare nella forma
che aveva prima del 1971. Il bodoni
è un tipo di font disegnato da Giovanni Battista Bodoni (1740-1813),
caratterizzato da un alto contrasto
tra le linee spesse e quelle sottili. È
il classico esempio moderno di font
con piccoli allungamenti ortogonali
alle estremità, detti “grazie”. L’enfasi è sui tratti verticali, dando al
font un aspetto pulito ed elegante.
Per proseguire verso il futuro, la
nostra rivista ha preso la rincorsa,
andando indietro per avere più forza per correre avanti, anche
nell’aspetto grafico. E il cambio di
veste avviene oggi, 6 aprile, lo stesso giorno nel quale è uscito il primo numero della rivista nel lontano 1850.
Cambia anche il font delle pagine de «La Civiltà Cattolica»: abbiamo scelto il “cardo”, un tipo di
carattere open source, cioè libero,
molto usato negli ambienti accademici e di ricerca per la sua flessibilità e l’ampio numero di segni propri delle varie lingue del mondo.
Oltre che per la sua eleganza e
ariosità, lo abbiamo scelto come un
segno di apertura alle culture. La
rivista avrà inoltre rubriche impaginate in una o due colonne per garantire una maggiore leggibilità e
un migliore “movimento” grafico
complessivo.
La nostra rivista ha una tradizione che la rende una testimone privilegiata degli eventi importanti del
nostro Paese, essendo nata prima
dell’unità d’Italia. In realtà, scorrendo le annate de «La Civiltà
Cattolica», dato il suo carattere di
rivista di attualità, si può avere un
panorama abbastanza completo anche delle vicende religiose e politiche mondiali dal 1850 a oggi. Ad
esempio: diede un’amplissima informazione sul concilio Vaticano II,
al quale alcuni suoi scrittori parteciparono anche in qualità di periti.
Ispiratore e primo direttore della
rivista, lo ricordiamo, fu il padre
Carlo Maria Curci, ma a volerla fu
soprattutto Papa Pio IX . Si regge,
infatti, su un suo “breve”, il Gravissimum supremi, del 12 febbraio
N
Una delle prime navi portoghesi sbarca a Nagasaki nel
Vittorio Volpi considera anche oggi,
quattrocento anni dopo, un indispensabile vademecum per ogni occidentale desideroso di capire il
mondo nipponico.
Era consapevole che i gesuiti erano stranieri, ospiti, perennemente a
rischio di essere fraintesi o percepiti
come l’avanguardia di un’invasione
militare. Per questo obbligò tutti ad
astenersi da qualsiasi coinvolgimento
nella politica locale e cercò di impedire (senza riuscirci) l’arrivo di altri
ordini religiosi, che valendosi di differenti metodologie e sicuramente
meno attenti alle forme avrebbero
insospettito le guardinghe autorità
governative e compromesso l’equilibrio di una cristianità piccola e ancora molto gracile. E sconsigliò anche la nomina di un vescovo, inutile
in quella prima fase di costruzione
di quella che oggi
chiameremmo
una
Fino ad allora nella mente
chiesa locale. Sapeva
che il suo metodo
dei missionari portoghesi
dell’accomodamento
erano i giapponesi a doversi fare europei
comportava delle incognite, che era diffiValignano capovolse il progetto
cile farlo accettare a
pensando forse a ciò che avevano fatto
Roma, arroccata attorno ai decreti tridentii primi cristiani quando giunsero a Roma
ni. Che c’era il pericolo, a forza di concestive e dovette anche applicarle. Fino
sioni e di annacquamenti, di convera quel momento i missionari portotirsi anziché convertire. Che era righesi avevano ragionato all’opposto:
schioso consacrare clero locale e
erano i giapponesi che dovevano farpensare a un episcopato autoctono.
si europei. Valignano capovolse il
Solo oggi, in fondo, quattro secoli
progetto, probabilmente pensando a
dopo, quest’idea è entrata nella prasciò che avevano fatto i cristiani prisi ecclesiastica. Averla pensata allora
mitivi quando erano venuti a Roma
fu un azzardo, un’anticipazione del
e avevano latinizzato la loro credenfuturo che accresce la genialità e il
za. La sua opera più nota è perciò Il
coraggio del Visitatore, peraltro pieCerimoniale per i missionari del Giapnamente consapevole di muoversi
pone, una sorta di galateo che i missul filo del rasoio, in una realtà che
sionari avrebbero dovuto osservare
tornava a sfuggirgli ogni volta che
rapportandosi coi locali (a partire
credeva di averla in pugno. «C’è
dalla pulizia personale, assai trascusempre una certa difficoltà a comrata dagli europei del tempo, mentre
prendere bene i pensieri più intimi
era un’inderogabile regola di vita
dei giapponesi», scrive nel 1592.
per i giapponesi), uno studio che
XVI
Valignano aveva però almeno la
certezza di essere coperto e compreso dal suo superiore, il padre generale Claudio Acquaviva, benché la
corrispondenza con l’Europa, spedita per sicurezza in più copie, viaggiasse con i tempi e le incognite delle navi del tempo: più o meno un
anno per arrivare a destinazione (se
arrivava) e un altro anno per il viaggio di ritorno della risposta. Erano
soli questi gesuiti, disperatamente
soli. Non erano le direttive romane
che potevano aiutarli, ma la consapevolezza morale di avere l’approvazione dei superiori. Anche per questo era necessario non confondere le
idee degli interlocutori europei con
false notizie, con inutili abbellimenti
della situazione o con interessate reticenze. Solo la verità poteva salvare
la missione. Giunto in Oriente scoprì che la situazione era ben diversa
da come se l’era immaginata dalle
lettere dei missionari. Che bisognava
rivedere criteri di giudizio e comportamenti. Se Roma doveva decidere,
dare istruzioni, orientare, non poteva
essere fuorviata con false informazioni. Ordinò perciò «che si scrivano le
cose con simplicità et verità et certezza, non ingrandendo la verità più
di quello conviene».
Se era indispensabile far capire in
Europa la realtà della missione, era
altrettanto necessario far conoscere ai
giapponesi la realtà europea. Valignano concepì così un progetto ambizioso e grandioso: mandare in Europa una delegazione giapponese
perché vedesse, si rendesse conto, capisse e riferisse poi tornando in patria. Preparata con cura, l’ambasceria, di sei giovani giapponesi, si svolse tra il 1582 e il 1590. Fu un evento
senza precedenti, il primo contatto
diretto del Giappone col vecchio
continente. Tra contrattempi, venti
contrari, difficoltà varie, i sei giovani
nipponici (erano stati scelti in giovane età perché potessero reggere le fatiche del viaggio) restarono in giro
per il mondo otto anni, anche se il
secolo
tour europeo durò meno di due anni, dal 10 agosto 1584 al 13 aprile
1586. Via Lisbona e Madrid gli ambasciatori orientali visitarono Roma e
molte città italiane: Firenze, Bologna, Venezia, Padova, Vicenza, Mantova, Milano, Genova. Valignano
non poté accompagnarli di persona,
ma diede minuziose istruzioni circa
l’accoglienza che doveva essere loro
fatta. Dovunque furono ospitati con
incredibile sfarzo, di cui rimangono
ampie tracce negli archivi italiani e
nell’editoria del tempo, come ha dimostrato Adriana Boscaro in un volume pubblicato nel 1994 dall’Istituto
Giapponese di Cultura di Roma (Il
Giappone scopre l’Occidente). Fu Valignano, insomma, a provocare il primo contatto diretto dell’Europa con
il Giappone, a far scoprire agli europei un popolo sconosciuto, dove la
gente, «che non ha niente del barbaro», come si legge nei commenti del
tempo, si toglie la vita per un nonnulla, scrive dall’alto in basso e non
beve mai vino ma acqua calda (cioè
te, allora sconosciuto in Europa).
Valignano vinse la battaglia (alla
sua morte la piccola pianta della cattolicità giapponese era fiorente e in
crescita) ma perdette la guerra. Pochi anni dopo la sua scomparsa
quella piccola pianta fu distrutta
dalla spietata persecuzione scatenata
durante lo shogunato dei Tokugawa,
che troncarono poi per duecento anni ogni rapporto con l’occidente. Su
questa vicenda scrisse un romanzo di
grande spessore lo scrittore cattolico
giapponese Shusaku Endo, Silenzio,
pubblicato in Italia da Rusconi nel
1982. La tesi di Endo è che il Giappone è una palude che inghiotte tutto e che impedisce a tutto ciò che è
esterno di mettere radici. Ha ragione
Endo o aveva ragione Valignano,
che a far fruttare quelle radici dedicò
tutta la vita? Qualunque sia la risposta a tale quesito, solo il fatto di avere creato le condizioni perché noi
oggi ce lo poniamo ne dimostra la
grandezza e gli merita un posto nella storia.
Il missionario di Chieti riuscì a stabilire contatti diretti e approfonditi tra due mondi geograficamente e culturalmente lontanissimi
Dai primi viaggi degli ambasciatori del Sol levante in Europa alle navi nere del commodoro Perry
di UMBERTO VATTANI*
Alessandro Valignano è stato il
maestro di Matteo Ricci. Eppure
l’allievo è molto più famoso del
suo mentore. Ricci è raffigurato
in quell’Olimpo cinese che è il
Museo del Millennium a Pechino,
unico straniero insieme con Marco Polo; e al grande gesuita maceratese è stato recentemente dedicato nella capitale asiatica un
intero museo.
Qualcuno dirà che quello
dell’allievo che supera il maestro
non è un caso isolato. Cimabue
fu il maestro di Giotto, ma la
fama del suo allievo fu ben presto
maggiore. Il paragone però non
regge. Senza nulla togliere ai
meriti di Matteo Ricci, che “aprì
la porta” — sono le sue stesse parole — della civiltà e della cultura
cinese all'Occidente e fece conoscere le arti e le scienze europee
all’Impero di Mezzo, si può
tranquillamente affermare che Valignano non fu inferiore per ta-
lento e lungimiranza al suo allievo.
Anzi, mentre Ricci non riuscì a
favorire contatti diretti e approfonditi tra i due mondi che aveva
esplorato, Valignano organizzò alla fine del Cinquecento la prima
missione di ambasciatori giappo-
quasi eretica, prefigurava alcune
conclusioni che quattro secoli dopo sarebbero state accettate dal
concilio Vaticano II.
In particolare la pluralità delle
culture, la rinuncia alla pretesa di
imporre costumi europei ai cristiani dell’Asia, la necessità del rispetto e della conoscenza dell’altro e
Nel concerto di musica rinascimentale
del diverso. Valignano studiò la lineseguito nel 2002 a Villa I Tatti
gua giapponese prii brani erano forse gli stessi
ma di intraprendere
a fondo la sua opeascoltati dai diplomatici nipponici
ra di evangelizzaospiti dei Medici nel 1585
zione,
combatté
l’idea di una pretesa superiorità della civiltà occinesi in Europa e in Italia, vero e
dentale, aprì un dialogo politico
proprio Grand Tour, due secoli
con la classe dirigente nipponica
prima che i nobili di tutta Europa
che dette copiosi frutti nel lungo
compissero questo rito di passagperiodo. L’apertura del Giappone
gio.
all'Occidente attribuita a metà del
Non oserei addentrarmi nel valore religioso dell’insegnamento
XIX secolo alle “navi nere” del
dei due grandi gesuiti, ma studiocommodoro Perry fu in qualche
si di indiscusso valore hanno osmisura anche una vittoria di Alesservato che la visione di Alessansandro Valignano, tanto che molti
dro Valignano, allora considerata
protagonisti della Restaurazione
Meiji si ispirarono dichiaratamente ai suoi insegnamenti.
Viene dunque da chiedersi come mai Valignano non venga
onorato come avviene invece per
Matteo Ricci. Qualcuno ricorda
che la persecuzione dei cattolici
dalla metà del Seicento fu molto
più sanguinosa in Giappone che
in Cina e che la memoria di quel
rigetto culturale e religioso aleggia ancora. Il punto però non
può essere questo, poiché anche
in Italia, patria di Valignano, la
sua opera non è apprezzata appieno. La Fondazione Italia
Giappone, che ho l’onore di presiedere, intende svolgere un’azione decisa per far conoscere nel
mondo intero questo “principe
del rinascimento”.
La Fondazione non è certo
nuova a operazioni culturali di
vasta portata. Quattordici anni fa,
il 20 ottobre 1998, toccò proprio a
me, allora segretario generale del
Ministero degli Esteri, di firmare
a Villa Madama con l’ambasciato-
Francobollo commemorativo emesso nel 2006 dalle poste di Macao
re giapponese Hiromoto Seki il
protocollo d’intesa che dette il via
a un’interessante operazione culturale, il famoso anno dell’Italia
in Giappone 2001-2002 che portò
nell’arcipelago nipponico ottocento eventi nel giro di quindici mesi. Ricordo che allora molti erano
scettici sulle prospettive dell’iniziativa. Ma l’azione decisa del
Ministero degli Esteri e la capacità organizzativa della Fondazione
portarono a un successo senza
precedenti.
L’Italia, nelle sue innumerevoli
sfaccettature culturali ed economiche, si presentò a decine di milioni di giapponesi. La Torre di
Tokyo risplendette con i colori
della bandiera italiana per tutta la
durata della rassegna.
Il 13 giugno 2012 la Fondazione
ha organizzato un convegno alla
Biblioteca degli Uffizi a Firenze,
al quale hanno partecipato la sovrintendente al Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini, il ministro Yuzo Ota dell’Ambasciata
del Giappone, il consigliere d’ambasciata Marco Giungi del Ministero degli Affari Esteri e due biografi del gesuita di Chieti: Augusto Luca e Vittorio Volpi.
Nella stessa occasione il Centro
di studi rinascimentali dell’università di Harvard — che ha la sua
sede nella Villa I Tatti, un tempo
dimora di Bernard Berenson — ha
presentato un concerto di musica
rinascimentale eseguito dal complesso inglese dei Fagiolini: i brani erano probabilmente gli stessi
ascoltati dai quattro ambasciatori
nipponici nel 1585, ospiti dei Medici.
Il convegno di Firenze si è
svolto ai margini delle tre splendide mostre organizzate a Palazzo
Pitti sugli incanti della civiltà
giapponese del XVI secolo.
La Fondazione si propone, con
la collaborazione delle autorità
locali e di agenzie turistiche, di
creare inoltre percorsi in grado di
far conoscere ai viaggiatori giapponesi i tesori d’arte e di cultura
che cinquecento anni fa stupirono
i primi autori del Grand Tour italiano, imitato secoli dopo dagli
aristocratici di tutta Europa.
Siamo decisi a proseguire quest’azione culturale per porre rimedio alla lacuna grave rappresentata — sia in Italia sia in Giappone
— dalla perdurante scarsa conoscenza di Alessandro Valignano.
Abbiamo in programma un convegno in Giappone, presso l’università di Waseda per l’autunno
prossimo; e un altro a Roma. Il
nostro obiettivo è far entrare
nell’olimpo giapponese il gesuita
di Chieti. «L’Osservatore Romano» ha approfondito la figura e
l’opera di Valignano, pubblicando
recentemente anche documenti finora inediti. La Fondazione Italia
Giappone desidera contribuire a
far meglio conoscere questo grande italiano.
*Ambasciatore Presidente
Fondazione Italia Giappone
pagina 5
fronto continuo tra di noi in occaPaolo VI: «Ovunque nella Chiesa,
1866. L’idea che spinse alla fondazione della rivista fu quella di disioni formali e informali. Ma la noanche nei campi più difficili e di
fendere «la civiltà cattolica» come
stra calma apparente è densa di
punta, nei crocevia delle ideologie,
allora la si concepiva. La nuova ricontatti col mondo che ci circonda,
nelle trincee sociali, vi è stato e vi è
vista ebbe subito un notevole sucanche grazie alla Rete. Inoltre,
il confronto tra le esigenze bruciancesso. Del primo fascicolo, stampaspesso i gesuiti della rivista partoti dell’uomo e il perenne messaggio
to in 4.200 copie, si dovettero fare
no per conferenze e incontri in Itadel Vangelo, là vi sono stati e vi
ben sette successive edizioni. Dopo
lia e nel mondo e tornano arricchiti
sono i Gesuiti». Benedetto XVI, in
quattro anni la tiratura salì a 13.000
e pronti per tradurre in articoli le
un’udienza privata nel febbraio del
copie: numero davvero notevole
loro esperienze e le loper l’epoca, tanto che il tipografo
ro riflessioni. La nodovette acquistare in Inghilterra
stra casa ospita dibatuna “macchina celere” in sostitutiti e seminari da noi
zione di quella per la stampa a maorganizzati. È la nono. Non si tratta di un dettaglio
stra “piazza” nella
puramente tecnico, ma dell’apertuquale
invitiamo
i
Il 5 aprile alle ore 11.30 nella Sala Stampa della
ra di una prospettiva legata a una
“mondi vitali” della
Santa Sede viene presentata la nuova veste della
tiratura in grado di diffondere
cultura.
«Civiltà Cattolica», di cui anticipiamo
quanto più è possibile il messaggio
Ciò che «La Civiltà
l’editoriale. Moderati da padre Federico
della rivista. Lo stesso Pio IX nella
Cattolica» intende ofLombardi, intervengono l’arcivescovo Claudio
Gravissimum supremi chiedeva ai
frire ai suoi lettori è la
Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio
gesuiti, riferendosi ai loro scritti, di
condivisione di un’amdelle Comunicazioni Sociali, monsignor
«spargerli e diffonderli ampiamenpia esperienza intelletAntoine Camilleri, sotto-segretario per i
te in tutti i Paesi». I primi gesuiti
tuale illuminata dalla
rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, e
della rivista furono innovatori, imfede cristiana e proil direttore padre Antonio Spadaro. Alla rivista
fondamente innestata
maginando l’uso della stampa, che
«L’Osservatore Romano» esprime le
nella vita culturale, soera il mezzo stesso di cui si servivafelicitazioni e gli auguri più cordiali.
ciale, economica, polino i rivoluzionari, i liberali e gli
tica dei nostri giorni.
anarchici. Così oggi è naturale che
E soprattutto è una
il nostro messaggio sia diffuso anrivista che vuole conche su supporti digitali per essere
dividere le proprie riflessioni non
2006, ci aveva detto: «In questo
fruibile da parte di un numero
solamente con il mondo cattolico,
maggiore di persone. Così «La Cinostro tempo in cui il Signore Gema con ogni uomo e ogni donna
viltà Cattolica» da oggi arriva ansù chiama la sua Chiesa ad annunimpegnati seriamente nel mondo e
che sotto forma di “applicazione”
ciare con nuovo slancio il Vangelo
desiderosi di avere fonti di formasu iPad, iPhone, i tablet Android,
di salvezza, non ci si può tuttavia
zione affidabili, capaci di far penKindle Fire e quelli Windows 8.
dispensare dalla ricerca di nuovi
sare e di far maturare il giudizio
Le applicazioni saranno anche miapprocci alla situazione storica in
personale. La riflessione che nasce
gliorate col tempo. La presenza sul
cui oggi vivono gli uomini e le
al nostro interno, oggi più che mai,
digitale è complementare a quella
donne, per presentare ad essi in
dunque è chiamata a diventare
su carta, per cui tutti i nostri abboforme efficaci l’annuncio della
nati potranno leggere la rivista sia
“condivisa”. L’evoluzione del monBuona Notizia». Ascoltando il
in forma tradizionale
messaggio di Papa Francesco ai
sia in forma digitale.
rappresentanti dei mezzi di comuSarà possibile anche fanicazione sociale riuniti il 16 marzo
re l’abbonamento esclunell’Aula Paolo VI, ci hanno colpito
sivamente digitale, e ciò
alcune espressioni che sembrano
sarà utile e conveniente
definire la vocazione del giornalista
per coloro che vivono
così come noi ci sentiamo chiamati
all’estero. Ma non ci
a viverla: «Voi avete la capacità di
fermeremo qui. Con ocraccogliere ed esprimere le attese e
chio molto attento al
le esigenze del nostro tempo, di ofpassato
cercheremo,
frire gli elementi per una lettura
grazie alla collaboraziodella realtà. Il vostro lavoro
ne di Google, di rendenecessita di studio, di sensibilità, di
re disponibili in forma
esperienza,
come
tante
altre
digitale tutti i fascicoli
professioni, ma comporta una parpubblicati sin dal 1850.
ticolare attenzione nei confronti
Immaginiamo
anche
della verità, della bontà e della belforme differenti di publezza».
blicazione digitale di
«La Civiltà Cattolica» è una riviinstant book, capaci di
sta che intende fare da ponte, inunire la riflessione degli
terpretando il mondo per la Chiesa
articoli pubblicati nel
e la Chiesa per il mondo, raccopassato e quelli che si
gliendo ed esprimendo le attese e
pubblicano nel presenle esigenze del nostro tempo, e
te, per dare al lettore
contribuendo a un dialogo rispetelementi di riflessione e
toso e intelligente, frutto di studio
approfondimento
nel
e di esperienza. Per questo abbiacaso di eventi di partimo sentito il bisogno di modificare
colare interesse.
la struttura della rivista. ScompaioLa specificità della rino le “cronache” in un mondo in
vista, il contributo procui la cronaca è affidata ai quotiprio che la sua redaziodiani, e oggi anche ai blog e ai
ne può offrire, nascono
La copertina della «Civiltà Cattolica» del 6 aprile 2013
tweets in tempo reale. Insisteremo
da una peculiarità: il
invece sui “ponti”, cioè sulle riflesfatto che essa è frutto
sioni, le valutazioni critiche, i radi scrittori tutti gesuiti. Il nostro
do dell’informazione, anche quella
gionamenti, anche sulla contempotesoro è la spiritualità di Ignazio di
più classica, sta decisamente viranraneità più attuale, grazie alla ruLoyola, una spiritualità incarnata,
do, sotto la pressione del web 2.0,
brica Focus con articoli legati
umanistica, curiosa e attenta alla riin questa direzione. Per cui ormai è
all’attualità di carattere politico,
cerca della presenza di Dio nel
raro trovare una testata che non
economico, internazionale, di somondo, che nei secoli ha forgiato
permetta la condivisione e il comcietà, di diritto. La riflessione sulla
santi, intellettuali, scienziati e formento dei contenuti su Facebook,
Chiesa avrà un posto fisso al cuore,
matori, e adesso anche un Papa.
Twitter e altre piattaforme di social
cioè al centro, della rivista. AppariPrincipio ispiratore di questa spirinetworking. Anche il giornalismo
ranno nuove rubriche mobili quali
tualità è un criterio molto semplidunque funziona non solamente
il Profilo e l’Intervista. «La Civiltà
ce: «cercare e trovare Dio in tutte
per trasmissione, ma anche per
Cattolica» per tradizione e natura
le cose», come scrive sant’Ignazio.
condivisione. Da qui l’apertura di
esprime una forma “alta” di giornaDal 1850 al 1933 la rivista non
una
pagina
Facebook
(facelismo culturale. L’approccio ai temi
firmava gli articoli, per significare
book.com/civiltacattolica) e di un
e il linguaggio piano la propongoche essi erano espressione non di
account Twitter (@civcatt) che col
no come una testata che fa ricerca,
un singolo, ma di una comunità, il
tempo cercheremo di potenziare.
ma che intende essere, come dicecosiddetto «collegio degli scrittoLa nostra volontà di coinvolgere
vano i nostri predecessori, un “pari». Oggi gli articoli sono firmati,
il lettore anche nell’ambiente digiscolo intellettuale” accessibile anma «La Civiltà Cattolica» resta
tale nasce da un pensiero che «La
che ai non specialisti nei singoli
l’espressione del lavoro di una
Civiltà Cattolica» formulava nel
campi di studio e riflessione. Queéquipe, e dunque di una ricerca e
1851 e che resta attualissimo: «Tra
sto approccio ampio alla cultura
di una fatica condivisa: ogni articochi scrive e chi legge corre una coper linguaggio e temi (dalla politilo prima della sua pubblicazione è
municazione di pensieri e di affetti
ca alla storia, dalla letteratura alla
sottoposto al giudizio del gruppo
che tiene molto dell’amicizia, spespsicologia, dal cinema all’econoed è il frutto di un dialogo interno.
so giunge ad essere quasi una semia, dalla filosofia alla teologia,
Noi scrittori siamo, come ci scrisse
greta intimità: soprattutto quando
dal costume alla scienza, dall’arte
Leone XIII nel “breve” Sapienti conla lealtà da una parte e la fiducia
alla musica...) la rende particolardall’altra vengono a raffermarla». I
silio, «uniti in comunanza di vita e
mente adatta ai nostri tempi. Sin
gesuiti che oggi compongono la redi studi». Il direttore coordina il
dall’editoriale del primo fascicolo
dazione sono convinti che una rivilavoro collegiale. Ovviamente quedel 1850 la nostra rivista ha intersta culturale debba aprire scenari,
sta attività coinvolge anche gesuiti
pretato così la propria “cattolicità”:
ispirare l’azione e la sensibilità del
che non fanno parte del Collegio
«Una “Civiltà cattolica” non sareblettore.
ma che danno il loro contributo a
be cattolica, cioè universale, se non
«“La Civiltà Cattolica” — scrivequesta opera dai cinque continenti,
potesse comporsi con qualunque
vano i nostri predecessori nel 1851
inviando testi che vengono tradotti
forma di cosa pubblica». È questo
— ti entra in casa per recarti novelin lingua italiana. Tutti i redattori
lo spirito della rivista: comprendere
le, per proporti dubbi, per darti
sono corresponsabili in solidum di
come essere cattolici oggi significhi
schiarimenti su questa o quella quitutto ciò che si pubblica. Come si
essere aperti al mondo, alle culture
stione delle più dibattute». Per
legge nelle Memorie della Civiltà
e a ogni dimensione pubblica della
«La Civiltà Cattolica» essere fedele
Cattolica del 1854, «tutto in certo
vita degli uomini. E dunque, come
alla Chiesa significa sostanzialmenmodo è opera di tutti».
ci disse Benedetto XVI, «“La Civiltà
te avere a che fare con tali “quistioChi venisse a visitarci avrebbe
Cattolica”, per essere fedele alla
ni dibattute” e così rispondere
forse l’impressione di un “monastesua natura e al suo compito, non
all’appello dei Pontefici rivolto alla
ro” dove i gesuiti studiano e scrivomancherà di rinnovarsi continuaCompagnia di Gesù nel suo comno nelle loro stanze. Eppure questa
plesso, e in particolare a quello di
apparente calma nasconde un conmente».
La presentazione
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 5 aprile 2013
A Washington l’incontro dell’Ecumenical Advocacy Days for Global Peace with Justice
Quasi ultimata la costruzione della chiesa ortodossa russa di Santa Maria Maddalena
Un corretto rapporto
con beni alimentari e ambiente
Cupole d’oro
nel cielo di Madrid
di RICCARD O BURIGANA
«L’amore di Dio è il filo rosso
dell’intera storia biblica: questo
amore si manifesta anche attraverso
il dono del cibo che viene fatto a
ogni uomo e a ogni donna»: è questa la riflessione alla base dell’incontro ecumenico dal titolo «At God’s
Table: Food Justice for a Healthy
World», che si svolge a Washington
dal 5 all’8 aprile. L’iniziativa è promossa dall’Ecumenical Advocacy
Days for Global Peace with Justice
(Ead), un’organizzazione cristiana
per la promozione del dialogo ecumenico nella testimonianza quotidiana dell’evangelo, con base negli
Stati Uniti. La Ead si propone di
realizzare l’unità dei cristiani con la
definizione di programmi concreti
con i quali rafforzare la testimonianza comune su alcuni temi, come la
lotta per la pace fondata sulla giustizia, partendo dagli Stati Uniti.
ma senza limitarsi all’orizzonte nazionale. Nella scelta del tema per
l’incontro annuale, che quest’anno è
giunto alla undicesima edizione,
forte è stato il richiamo alla Sacra
Scrittura, alla luce della quale collocare la riflessione sulla fame nel
mondo e il suo rapporto con la salvaguardia del creato.
Da anni la Ead è particolarmente
attiva su questi temi, anche con una
serie di iniziative locali, che si realizzano grazie all’attiva e qualificata
partecipazione dei cattolici. Secondo l’organizzazione, i cristiani devono denunciare una società nella
quale «la produzione alimentare
sembra obbedire alla logica per la
quale sempre maggiori spazi agricoli
devono essere destinati alla produzione di colture per il carburante; si
debba convivere con lo spreco di un
terzo del cibo comprato e cucinato
e si debba accettare come ineluttabile il fatto che milioni di uomini e
donne siano condannate alla fame»
Questa situazione, si osserva, non
riguarda solo alcune parti del mondo, ma gli stessi Stati Uniti dove
«milioni di persone vivono una situazione di insicurezza riguardo al
cibo, talvolta patendo la fame e al-
tre volte facendo ricorso a alimenti
poco sani». Il sistema di produzione alimentare a livello nazionale e
globale, è aggiunto, «ha perso di vista la centralità della sua dimensione umana. Il cibo è visto come uno
dei prodotti tra i tanti, sul quale si
può e si deve speculare».
Alla luce della Parola di Dio l’incontro di Washington vuole quindi
affrontare alcune questioni, come il
costo per l’ambiente dell’attuale sistema di produzione alimentare, le
conseguenze a lungo termine dell’uso massiccio di prodotti chimici e
la coltivazione di cibi geneticamente
modificati. E ancora, l’assenza, di
fatto, di regole per la circolazione di
prodotti alimentari e le forme di sostegno nei confronti di coloro che in
tante parti del mondo cercano di
combattere, anche a rischio della
propria vita, il selvaggio sfruttamento dell’agricoltura. Si tratta di questioni sulle quali i partecipanti non
si propongono di dare delle risposte, ma sulle quali si attendono un
confronto con confronto con le istituzioni statunitensi. Per questo, durante la “tre giorni”, avverrà anche
un confronto tra una delegazione
della Ead e un gruppo di senatori e
deputati del Congresso di Washington. Nel corso dei lavori sarà dato
spazio anche allo stato del dibattito
e ai progetti per la lotta alla fame
nel mondo, all’interno di un cammino ecumenico per l’affermazione di
un mondo fondato sulla giustizia e
sulla pace. Il convegno vuole quindi
essere un’occasione per affrontare il
tema della lotta alla fame del mondo e della salvaguardia del creato
così da rispondere ecumenicamente
«all’invito di Gesù per preparare un
banchetto al quale tutti sono invitati. Questo significa pensare a un
nuovo rapporto con il cibo e a un
nuovo sistema di produzione alimentare, fondato sulla giustizia,
ecologicamente sostenibile così che
il creato possa essere veramente riconosciuto un dono di Dio all’umanità».
MADRID, 4. Con l’installazione, una
settimana fa, della cupola centrale,
la chiesa ortodossa di Santa Maria
Maddalena, in costruzione a Madrid, ha ormai assunto il suo aspetto definitivo. La conclusione dei lavori è prevista per la fine del mese
di aprile, giusto in tempo per consentire la celebrazione dei servizi divini della Settimana santa e della
Pasqua, che, per coloro che seguono
il calendario giuliano, quest’anno è
fissata al 5 maggio. Come ha dichiarato il rettore della chiesa, l’arciprete
Andrey Kordochkin, già parroco
della Natività di Cristo a Madrid, la
costruzione è stata effettuata da ditte spagnole con il sostegno attivo
del fondo di beneficenza Transsoyuz delle Ferrovie russe.
La croce della prima cupola dorata era stata benedetta il 7 febbraio
scorso da Nestor (Sirotenko), vescovo della diocesi di Korsun (o Chersoneso), che raggruppa le parrocchie del Patriarcato di Mosca in
Francia, Spagna, Svizzera e Portogallo. Era stato invece lo stesso
Kordochkin, il 19 marzo, a benedire
le tredici campane installate nel luogo di culto. «Non si costruisce una
chiesa solo per quelli che vi verranno a pregare ma anche come testimonianza per coloro che si trovano
fuori dal tempio e fuori dalla Chiesa», ha detto il rettore.
Santa Maria Maddalena sorge
lungo la Gran Vía de Hortaleza,
nella zona nord-orientale della città,
vicino al quartiere di Pinar del Rey,
ed è la prima chiesa ortodossa costruita nel tipico stile architettonico
russo nella capitale spagnola. Potrà
ospitare al massimo quattrocento
persone. A fianco vi sorge un edificio che ospiterà l’alloggio per il clero e sale per i fedeli. Fino a ora la
parrocchia celebrava i riti liturgici in
un piccolo locale adattato per il
culto.
Secondo statistiche ufficiali, vivono in Spagna circa 34.000 russi,
70.000 ucraini e 3.000 bielorussi;
piccole comunità ortodosse russe si
trovano in una dozzina di città spagnole (alcune parrocchie celebrano i
servizi liturgici in edifici “prestati”
dai cattolici). Santa Maria Maddalena è anche la prima chiesa del Patriarcato di Mosca costruita in pietra nel Paese iberico; ad Altea, a
nord di Alicante, sorge la chiesa di
Michele Arcangelo, di legno, benedetta nel novembre 2007 da Cirillo,
all’epoca presidente del Dipartimento per le relazioni esterne e oggi Patriarca. Nel dicembre scorso è stato
annunciato che un’altra chiesa potrebbe essere edificata in Spagna,
nella comunità autonoma di Catalogna: secondo il progetto, sarà tre
volte più grande di quella madrilena
e accoglierà, oltre alla “scuola della
domenica” (per il catechismo), un
centro culturale dove sarà possibile
imparare lo spagnolo e il russo.
Oltre a reliquie di santa Leocadia
di Toledo e a un’icona di santa Maria Maddalena, inviata dalla parrocchia ortodossa di San Giorgio a Rosario, in Argentina, la chiesa di Madrid ospiterà un’urna contenente
una piccola parte delle reliquie di
Eulalia di Mérida, martire bambina,
santa venerata sia dai cattolici (festa
il 10 dicembre) sia dagli ortodossi
(22 agosto). A donare le reliquie —
gesto altamente simbolico da un
punto di vista ecumenico — è stata
la cattedrale di Oviedo, diocesi della quale santa Eulalia è patrona. Era
stato l’arciprete Kordochkin a manifestare all’arcivescovo di Oviedo,
monsignor Jesús Sanz Montes, il
desiderio di poter avere alcune reliquie di Eulalia di Mérida, nata nel
292 e morta nel 304, in modo da
dedicare alla santa una cappella della nuova chiesa.
Il rettore di Santa Maria Maddalena, che ha periodici incontri con
la piccola comunità ortodossa di
Oviedo, ha sottolineato «l’universalità, la trascendenza cultuale, l’ecumenismo» della figura di Eulalia,
martire e santa riconosciuta da tutti
i cristiani (anche dagli anglicani
spagnoli i quali le hanno dedicato
la parrocchia del capoluogo del
Principato delle Asturie).
Lettera pastorale dei vescovi in vista delle elezioni in programma nel 2013
Per lo Zimbabwe
un’opportunità da non perdere
Il segretario generale del Wcc dopo il sì dell’Onu al Trattato sul commercio delle armi
Pietra miliare
per la sicurezza delle popolazioni
GINEVRA, 4. «Una pietra miliare negli sforzi per portare il commercio
di armi letali sotto i tanto necessari
controlli»: con queste parole il segretario generale del World Council
of Churches (Wcc), Olav Fykse
Tveit, ha commentato l’approvazione mercoledì, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite,
del primo Trattato internazionale
sul commercio delle armi. Un’iniziativa che da parte del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, è
stata definita come «una vittoria per
la gente del mondo». E proprio alla
gente del mondo si è ispirato anche
il commento del rappresentante del
Wcc, l’organizzazione ecumenica internazionale con base a Ginevra, in
Svizzera. «Questo atto della comunità internazionale, atteso da troppo
tempo — ha affermato Tveit — ha
come effetto che le persone che vivono in molte parti del pianeta con
preoccupazione per le proprie vite
ora potranno essere più al sicuro».
Il Trattato prevede rigidi standard
internazionali per la compravendita
delle armi, legando il commercio al
rispetto dei diritti umani. A favore
dell’adozione dell’intesa hanno dato
il loro contributo anche numerose
associazioni e movimenti ecumenici,
che hanno aderito alla campagna di
pressione guidata proprio dal Wcc.
Il segretario generale ha, a tale riguardo, elogiato questo impegno:
«Insieme ci siamo adoperati al fine
di rendere il Trattato forte ed efficace, in modo da poter salvare vite
umane e proteggere le comunità».
Le comunità ecclesiali, ha aggiunto
Tveit, «condividono le sofferenze
causate dalla violenza armata e ora
tutti possiamo dire grazie alle autorità nazionali competenti per la sicurezza pubblica e il benessere che
hanno adottato finalmente norme
vincolanti per il commercio mondiale delle armi».
La campagna di sensibilizzazione
del Wcc aveva ricevuto forte impul-
so, in particolare, dopo lo svolgimento dell’International Ecumenical
Peace Convocation svoltasi nel maggio 2011, a Kingston, in Giamaica.
In un incontro dell’ottobre 2011, a
New York, il segretario generale
Olav Fykse Tveit, aveva affermato
che le comunità religiose intendono
promuovere un accordo internazionale «in grado di controllare efficacemente il commercio delle armi, a
tutela della pace e della vita quotidiana delle persone e delle comunità». Inoltre, già nel 2006, il Wcc
aveva accolto favorevolmente il progetto di risoluzione delle Nazioni
Unite relativo al controllo delle armi. L’allora segretario generale, Samuel Kobia, aveva sottolineato la
necessità di creare un controllo giuridicamente stringente, a livello internazionale, perché «ogni settimana, in ogni luogo, la proliferazione
delle armi porta con sé morti violente, sofferenze profonde e l’uso
inaccettabile di quelle risorse, che
invece potrebbero dare slancio per
incoraggiare la pace».
La campagna di sensibilizzazione,
è spiegato in una nota del Wcc che
accompagna le parole di Tveit a seguito dell’approvazione del Trattato,
«si è concentrata sui modi in cui il
Trattato potesse contribuire a salvare vite umane e a proteggere le comunità. I promotori hanno avuto ripetuti contatti con i Governi dei loro Paesi, svolgendo contemporaneamente una attività di sensibilizzazione ecumenica in occasione delle sessioni delle Nazioni Unite». Questo
si è tradotto nella volontà concreta
di oltre un centinaio di leader di comunità di varie confessioni e religioni e rappresentanti di organizzazioni di base e che avevano aderito a
un appello promosso nel settembre
2011 dall’Interfaith Working Group
of the Control Arms Coalition, proprio al fine di organizzare una efficace opera di pressione sulle autorità dei vari Stati nel mondo.
HARARE, 4. «Speriamo che il 2013
sia per lo Zimbabwe l’anno nel quale sboccia il fiore»: lo scrive la Conferenza episcopale dello Zimbabwe
(Zcbc) nella lettera pastorale, diffusa nei giorni scorsi, con la quale affronta la delicata questione delle
elezioni legislative e presidenziali in
programma a giugno, le prime dopo
quelle, contestate, del 2008, che
aprirono un periodo di violenze e
intimidazioni. «Per lo Zimbabwe il
2013 rappresenta una seconda possibilità», sottolineano i vescovi nel
documento intitolato And the God of
Second Chances, del quale l’agenzia
Misna riporta alcuni stralci. «Come
Chiesa chiediamo un’atmosfera pacifica prima, durante e dopo le elezioni», affermano i presuli, evidenziando come nel Paese africano sia
ancora vivo il ricordo degli scontri
che si scatenarono in occasione del
voto del 2008.
Nella lettera pastorale — firmata
tra gli altri dal presidente della
Conferenza episcopale, Angel Floro
Martínez, vescovo di Gokwe — le
prossime elezioni sono presentate
come una tappa cruciale nel percorso cominciato nel 1980 con la fine
del regime coloniale (sancita dalle
elezioni vinte dall’Unione nazionale
africana-Fronte patriottico di Robert
Mugabe) e la proclamazione della
Repubblica. «Nei primi quindici anni dopo l’indipendenza — sottolineano i vescovi — lo Zimbabwe ha
compiuto enormi progressi in tutti
gli ambiti della vita pubblica; era
pieno di speranze e suscitava l’invidia degli altri Paesi a sud del Sahara». Questo cammino di sviluppo è
stato però interrotto bruscamente da
una crisi allo stesso tempo politica,
economica e sociale: «L’ultimo decennio è stato caratterizzato dalla
politicizzazione del Paese intero»,
denuncia la Zcbc, rivolgendo un appello ai cittadini dello Zimbabwe affinché «vivano la loro vita come fratelli e sorelle e non anzitutto come
creature politiche e politicanti».
La crisi — spiega Misna — si è
manifestata in una corruzione diffusa, in un collasso dell’economia, in
un’emigrazione di massa e in rinnovate divisioni etniche e tribali. Secondo i vescovi, ora bisogna ripartire facendo leva su una nuova ripresa, consentita grazie all’entrata in
carica nel 2009 di un Governo di
unità nazionale. Ma questa seconda
opportunità deve arrivare attraverso
un processo elettorale credibile, candidati di qualità, una leadership responsabile. «Nel 2013 lo Zimbabwe
festeggia i trentatré anni di indipendenza ma deve anche ritrovare la
sua anima come nazione», si legge
nel documento. Il traguardo non è
tanto la vittoria di questo o quel
partito politico, dello Zanu-Pf dell’attuale presidente della Repubblica
Robert Mugabe, o del Movimento
per il cambiamento democratico del
primo ministro Morgan Tsvangirai.
Più delle appartenenze, suggeriscono i vescovi, contano l’etica e l’impegno per il bene comune.
Com’è noto, il 16 marzo i cittadini dello Zimbabwe hanno approvato
a larga maggioranza una nuova Costituzione che dovrebbe consentire
al Paese di tornare presto al voto. E
proprio per offrire un contributo affinché siano scongiurate violenze
prima, durante e dopo le elezioni, il
Consiglio delle Chiese dello Zimbabwe (organismo nel quale sono
rappresentati anche i vescovi cattolici) ha creato un osservatorio ecumenico per la pace con il compito di
favorire il dialogo, la mediazione e
la risoluzione dei conflitti. Durante
la campagna — ha spiegato il direttore Tendai Maregere — l’osservatorio organizzerà incontri pubblici ed
effettuerà un monitoraggio della regolarità del voto e di eventuali violazioni dei diritti umani.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 5 aprile 2013
pagina 7
In un volume la raccolta degli interventi dell’ordinario militare per l’Italia
Raccolta di fondi promossa dall’episcopato degli Stati Uniti
Con fede
testimoniando la pace
Campagna
per le Home Missions
Pubblichiamo la prefazione che l’arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio
per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha scritto per il libro
dell’ordinario militare per l’Italia, l’arcivescovo Vincenzo Pelvi, intitolato Sui
Sentieri della Pace (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2013, pagine
875, euro 29). Il volume raccoglie gli
interventi dell’ordinario militare nel
triennio 2009-2012.
di RINO FISICHELLA
«Fin dall’inizio del mio ministero
come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce
con sempre maggiore evidenza la
gioia e il rinnovato entusiasmo
dell’incontro con Cristo». Con queste parole, nella lettera apostolica
Porta fidei, Papa Benedetto XVI motivava la scelta di indire l’Anno della fede, iniziato solennemente l’11
ottobre 2012 nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II e a
vent’anni dalla pubblicazione del
Catechismo della Chiesa Cattolica.
L’intenzione del Papa è che questo
anno «susciti in ogni credente
l’aspirazione a confessare la fede in
pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà
un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede
nella liturgia, e in particolare
nell’Eucaristia, che è “il culmine
verso cui tende l’azione della Chiesa
e insieme la fonte da cui promana
tutta la sua energia”. Nel contempo,
auspichiamo che la testimonianza di
vita dei credenti cresca nella sua credibilità» (Porta fidei 9). Un tempo
di grazia, quindi, offerto innanzitutto a ogni cristiano perché possa
confermare la propria fede nel Signore Gesù, unico salvatore del
mondo, e ritrovare motivazioni autentiche per impegnarsi a vivere,
nella vita di ogni giorno, gli impegni battesimali.
In questo contesto, trova un suo
spazio significativo il nuovo libro di
monsignor Vincenzo Pelvi, odinario
militare in Italia, che raccoglie i
suoi interventi ufficiali degli ultimi
tre anni, la maggior parte dei quali
sono omelie, tenuti nelle diverse circostanze della vita di quella singolare porzione della Chiesa che è l’O rdinariato. Sono interventi che spesso intrecciano pagine dolorose della
vita della Nazione italiana, come nel
caso delle esequie di militari morti
nel compimento del loro dovere nelle operazioni umanitarie che vedono
l’Italia impegnata in diverse parti
del mondo. Altri, invece, sono la testimonianza dell’impegnativo lavoro
di formazione e catechesi che egli
ha proposto ai sacerdoti e a quanti
sono diversamente impegnati in
questa pastorale. Interventi che, accompagnando la vita quotidiana di
una comunità cristiana nel succedersi dei tempi liturgici e delle feste,
offrono un contributo all’impegno
di «riscoprire i contenuti della fede
professata, celebrata, vissuta e pregata» e a «riflettere sull’atto con cui
si crede» (Porta fidei 9), che il Papa
indica a ogni cristiano come sempre
più necessario.
La situazione nella quale siamo
immersi è segnata da una profonda
crisi in molti aspetti del vivere comune. Anche la Chiesa non ne è rimasta immune, come ha lucidamente ricordato Papa Benedetto XVI durante il discorso rivolto alla Curia
romana il 22 dicembre 2011: «Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se a essa
non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando
una profonda convinzione e una
forza reale grazie all’incontro con
Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci». Tale constatazione non deve però far perdere di
vista la consapevolezza del primato
della grazia di Dio, che interviene
in momenti che l’uomo non può determinare, secondo un piano di salvezza che solo Lui conosce. La grazia raggiunge il cuore dell’uomo, là
dove ognuno dovrebbe decidersi
per Dio e viene interpellato nella
sua libertà, chiamato ad accogliere
l’amore che salva e che dona senso
definitivo all’esistenza. La persona
scopre che, per trovare una risposta
alle tante domande presenti nella
sua vita, non può puntare unicamente sulle proprie sicurezze, ma
deve affidarsi al richiamo dell’amore. E si rende conto che la fede scaturisce dall’amore e a esso ritorna
come suo compimento più significativo.
Tale consapevolezza emerge continuamente dagli interventi raccolti
in questo volume, che tratteggiano
una proposta formativa volta a
prendere in seria considerazione la
condizione di disorientamento e di
confusione nella quale si trova coinvolto il nostro contemporaneo, vittima talvolta inconsapevole di un
progetto che ha perseguito l’esclusione di qualsiasi riferimento a Dio
come condizione di emancipazione
dell’uomo. Con tenacia, anche nei
momenti in cui questo risulta difficile, monsignor Pelvi richiama la necessità di lasciarsi raggiungere dalla
grazia di Dio in Gesù Cristo, coltivando quel rapporto personale con
Lui che si radica e matura nell’esperienza della comunità cristiana. La
preghiera liturgica comunitaria, la
vita sacramentale e in particolare
l’Eucaristia — temi questi trattati
nelle lettere pastorali — diventano
pilastri costitutivi di una spiritualità
essenziale all’uomo di oggi per vivere il compito di rendere ragione della sua speranza (cfr. Prima Lettera di
Pietro, 3, 15). Da essi scaturisce
l’esperienza della preghiera personale, perché più cresce la fede più si
intensifica la preghiera. Più la vita
di preghiera si fa forte, più si radica
in noi l’esperienza della fede, cioè
l’esperienza dell’abbandono di noi
stessi nelle mani del Padre. Per il
cristiano pregare è entrare nella contemplazione del volto di Dio come
Gesù stesso ci ha rivelato. La preghiera, inoltre, consente di prendere
coscienza della nostra povertà e nel-
lo stesso tempo apre all’accoglienza
della volontà di Dio. Consente di
entrare in noi stessi, di scrutare il
cuore, di allargare l’intelligenza a
comprendere la verità che Dio comunica nell’incontro personale con
Gesù Cristo.
Tutto ciò è essenziale nella vita
del cristiano per sostenerlo nella testimonianza e nella carità. Ricorda
Benedetto XVI che «è la fede che
permette di riconoscere Cristo ed è
il suo stesso amore che spinge a
soccorrerlo ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita. Sostenuti dalla fede, guardiamo
con speranza al nostro impegno nel
mondo, in attesa di “nuovi cieli e
una terra nuova, nei quali abita la
giustizia” (Seconda lettera di Pietro,
3, 13; cfr. Apocalisse di Giovanni, 21,
1)» (Porta fidei 14). La promessa di
questo compimento alimenta la fede
di tanti militari e delle loro famiglie
che si sforzano di testimoniare che
la costruzione di un mondo migliore non può prescindere dal contributo del cristianesimo che apre la
possibilità di un cammino condiviso
perché consente all’uomo di dare
una risposta piena e definitiva alla
sua ricerca di verità e di bene. Queste pagine, insomma, sono un valido aiuto per quanti desiderano vivere con intensità e in comunione con
tutta la Chiesa la grazia di questo
Anno della fede, ed essere confermati nell’impegno di testimonianza.
Una via per affrontare con audacia
l’entusiasmante sfida della nuova
evangelizzazione.
WASHINGTON, 4. È il decimo Stato
per estensione della federazione: oltre 250.000 chilometri quadrati di
superficie, ma vi sono soltanto 47
sacerdoti al servizio di 50.000 fedeli
cattolici sparsi in comunità molto
distanti fra loro. Il Wyoming, con la
sua diocesi più grande, quella di
Cheyenne, è uno degli esempi citati
nel sito della Conferenza episcopale
degli Stati Uniti per descrivere la
realtà delle home missions, ovvero le
missioni interne considerate di frontiera per le difficili condizioni sociali e ambientali. Anche per il 2013
l’episcopato ha annunciato il lancio
del Catholic Home Missions Appeal
al fine di coinvolgere tutte le parrocchie in una raccolta fondi per il
sostegno delle attività pastorali nelle
diocesi carenti di sacerdoti e religiosi e di luoghi di culto, che includono anche centri abitati scarsamente
popolati, poveri e per la maggior
parte spesso anche difficili da raggiungere.
L’iniziativa, come si legge nel sito
dei vescovi statunitensi, si svolgerà
dal 27 al 28 aprile. La colletta, è
spiegato, costituisce la principale
fonte di finanziamento dei progetti
promossi dal Subcommitee on Catholic Home Missions della United
States Conference of Catholic Bishops. Nel Paese, è aggiunto, il 44
per cento di tutte le arcidiocesi, diocesi ed eparchie ricevono aiuti, tramite questa colletta, per il loro programmi base essenziali, quali l’evangelizzazione, la catechesi, la formazione dei seminaristi e quella dei
laici. «Molti cattolici nel nostro Paese — ha commentato il presidente
del Subcommitee, il vescovo di Superior, Peter F. Christensen — non si
rendono conto di quante diocesi
stanno spesso lottando “nella porta
accanto”». Attualmente sono 84 le
diocesi che si trovano in queste condizioni. Il Catholic missions appeal,
promosso fin dal 1998, ogni anno
trova un riscontro favorevole: per
esempio, nel solo 2010, sono stati
raccolti circa nove milioni di dollari.
Il Subcommittee on Catholic Home Missions è stato fondato nel
1924 come parte dell’American
Board of Catholic Missions: nel
2011, i fondi messi a disposizione
per le home missions sono stati 8.3
milioni.
Le esigenze sono molteplici.
L’episcopato offre un altro esempio:
la diocesi di Pensacola-Tallahassee
copre diciotto contee dello Stato
della Florida. Tre di queste contee
non hanno un sacerdote residente e
una non ha neppure una chiesa. A
questo si deve aggiungere le lunghe
distanze e la varietà etnica della popolazione locale. La colletta consentirà di finanziare 57 progetti. Una
delle sfide è poi quella della lingua:
nella diocesi di Brownsville, nello
Stato del Texas, la maggioranza dei
residenti adulti parla ancora soltanto lo spagnolo, mentre tra i giovani
la lingua corrente è quella inglese.
La diocesi ha dunque la necessità di
poter contare su sacerdoti e religiosi
bilingue. Inoltre una priorità per
Brownsville, ma naturalmente anche
per numerose altre diocesi, è quella
di favorire le vocazioni. Nella sola
diocesi texana ogni sacerdote deve
garantire sostegno spirituale a oltre
12.000 fedeli. Nella diocesi di Fairbanks (Stato dell’Alaska), per esempio, 41 delle 46 parrocchie necessitano di personale religioso. In alcuni
centri abitati si può assicurare la
presenza di un sacerdote addirittura
soltanto una volta al mese. Nel 2013
sono stati messi a disposizione delle
diocesi più bisognose 8.4 milioni di
dollari. Si tratta di fondi che servono a coprire in gran parte le spese
per l’evangelizzazione e la catechesi
di giovani e adulti. Mediamente, un
altro 18-20 per cento delle donazioni raccolte sono destinate alla formazione del clero. Alla diocesi di
L’impegno della Caritas italiana
Con la solidarietà degli episcopati
Vicina alle popolazioni
colpite dal sisma
Ad Haiti un passo avanti
per la ricostruzione
ROMA, 4. A quattro anni dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo e a
quasi un anno dal sisma in Emilia
Romagna, Lombardia e Veneto,
l’impegno solidale di Caritas italiana continua a dare frutti concreti.
A oggi, sono stati raccolti oltre
trentacinque milioni di euro, di cui
cinque milioni messi a disposizione dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) dai fondi dell’otto per
mille. In base alla lettura del territorio e dei bisogni della popolazione, Caritas italiana, in stretto
accordo con la Chiesa dell’Aquila,
ha definito fin da subito le linee di
sviluppo dell’intervento, coinvolgendo anche le delegazioni regionali delle Caritas: emergenza e primo aiuto, ascolto e accompagnamento della popolazione, ricostruzione e riabilitazione socio-economica.
Sabato 4 maggio — si legge in
un comunicato di Caritas italiana
— verrà inaugurata a Villa
Sant’Angelo, in provincia dell’Aquila una struttura che ospiterà
spazi da adibire al riavvio di attività commerciali, un centro di ascolto parrocchiale, attività di formazione e un salone comunitario.
«La Chiesa è accanto alle vostre
sofferenze» aveva detto Benedetto
XVI in visita a Onna, e così è tuttora. Una promessa che, sempre
Benedetto XVI, ha ripetuto visitando i luoghi colpiti dal sisma che
nel maggio del 2012 ha messo a
dura
prova
la
popolazione
dell’Emilia Romagna e anche di
Lombardia e del Veneto «La Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con
la sua preghiera e con l’aiuto concreto… in particolare della Caritas».
Anche in questa nuova emergenza la pronta mobilitazione della rete Caritas — e i tre milioni di euro
subito stanziati dalla Conferenza
episcopale italiana in fase di emergenza — hanno dato risposte ai bisogni immediati e consentito l’attivazione di significative esperienze
di gemellaggi. Sono state circa dieci milioni di euro le offerte pervenute a Caritas italiana che, d’intesa
con le realtà colpite, ha avviato la
realizzazione di diciassette centri
di comunità, per riaggregare e rafforzare il tessuto sociale delle località colpite.
Domenica prossima, dopo i due
già realizzati nell’arcidiocesi di
Modena-Nonantola, a Gallo di
Poggio Renatico, nell’arcidiocesi
di Bologna, verrà inaugurato il terzo di questi centri, alla presenza
del vicario generale monsignor
Giovanni Silvagni. Alla realizzazione del centro hanno contribuito
anche le Caritas della Liguria.
Sempre in aprile è prevista
l’inaugurazione di altri cinque centri di ascolto parrocchiale. Tre
nell’arcidiocesi di Modena-Nonantola: domenica 21 aprile a Cavezzo
e a San Prospero, domenica 28
aprile a Solara; due nella diocesi
di Carpi: venerdì 26 aprile a Fossa
di Concordia e a Budrione.
A seguire verranno consegnati
gli altri centri in fase di completamento, nelle diocesi di Carpi, di
Adria-Rovigo e di Ferrara-Comacchio.
PORT-AU-PRINCE, 4. A oltre tre anni
dal devastante sisma, e dopo mesi
di discussioni sui criteri da applicare
nei progetti, ha finalmente assunto
un ritmo più veloce la ricostruzione
delle chiese di Haiti. A metà marzo
due nuovi progetti relativi alla capitale sono stati approvati dal Proche,
l’agenzia appositamente creata dalla
Chiesa cattolica, mentre nel mese di
febbraio è stata consacrata la prima
chiesa ricostruita con parte dei 33
milioni dollari raccolti tra i fedeli. A
renderlo noto è il Catholic News
Service, l’agenzia dell’episcopato
statunitense, che sottolinea la mole
impressionante di lavoro che ancora
occorre compiere. «Il problema è
più grande di noi», ha ammesso
l’arcivescovo di Miami, Thomas Gerard Wenski, membro del comitato
direttivo di Proche. Infatti, gli stessi
responsabili del comitato sottolineano come la sfida per la ricostruzione
di chiese, scuole, conventi e seminari sia così complessa che ci vorranno
ancora milioni di dollari in donazioni e anni di pianificazioni prima che
si possa completare la ricostruzione
degli edifici ecclesiali distrutti dal
potente terremoto del gennaio 2010.
Attualmente sono in fase di elaborazione trentasei progetti, mentre
uno solo è stato già realizzato. Ma
ancora decine di situazioni relative a
edifici di culto da ricostruire devono
essere affrontate. I fondi per la ricostruzione delle chiese di San Luigi
dei Francesi e di Cristo Re sono stati gli ultimi progetti a ottenere l’approvazione del comitato direttivo di
Proche, l’agenzia che coordina gli
sforzi degli episcopati haitiano, sta-
tunitense, francese e di Adveniat,
l’organizzazione dell’episcopato tedesco che si occupa degli interventi
di solidarietà in America latina.
I primi due anni di lavoro, viene
sottolineato, sono stati abbastanza
complessi perché si è dovuto soprattutto mettere a punto i criteri di elaborazione dei progetti che tenessero
conto di standard qualitativi e di sicurezza affidabili. «Adesso stiamo
procedendo più velocemente, rispondendo così alle aspettative di
molte persone», ha detto l’arcivescovo Wenski. Infatti, «per costruire
delle costruzioni che sia resistenti
agli uragani e ai terremoti non ci sono scorciatoie. Bisogna costruirle
bene. Per questo abbiamo impiegato
più tempo di quello che ci eravamo
proposti inizialmente».
Padre Jaun Molina, direttore
dell’ufficio dell’episcopato statunitense per l’America latina, ha reso
noto che finora Proche ha assegnato
più di 17 milioni di dollari, poco più
della metà, cioè, dell’intera somma
stanziata per i progetti di ricostruzioni di edifici di culto e di pastorale. A questo scopo Proche può disporre di circa 33 milioni di dollari,
stornati dagli 80 milioni, che rappresenta la cifra totale donata dai
fedeli nei mesi successivi al disastro.
I rimanenti 47 milioni sono invece
andati ai programmi che il Catholic
Relief Services ha approntato ad
Haiti. La prima chiesa a essere stata
completata è stata quella di San
Francesco d’Assisi, a 35 chilometri
dalla capitale. Mentre altri cinque
progetti saranno pronti nelle prossime settimane.
Cheyenne è stato concesso un contributo pari a 75.000 dollari per coprire i costi della formazione di undici seminaristi. A El Paso (Stato
del Texas) i 105.000 dollari raccolti,
grazie alla colletta del 2012, servono
invece alla copertura di programmi
di evangelizzazione in 9 parrocchie
e in 15 missioni. Nel 2002 l’episcopato aveva promosso una ricerca
sulle missioni interne. Nello studio
si sottolinea che «il cattolicesimo
negli Stati Uniti si trova in una
nuova situazione sociale e culturale.
Nuovi modi di “essere Chiesa”
stanno emergendo e ciò appare ancor più evidente nei territori di missione».
La Chiesa
in El Salvador
chiede
maggior rispetto
delle leggi
SAN SALVAD OR, 4. La Chiesa cattolica in El Salvador ha chiesto
al Parlamento di rispettare la decisione della Corte Suprema di
giustizia, che lo scorso 21 marzo
ha annullato ancora una volta
l’elezione dei giudici della Corte
dei Conti della Repubblica
(Ccr).
«L’assemblea legislativa deve
rispettare la decisione della Corte
che è necessaria per il bene di
tutti. Spero — ha sottolineato
l’arcivescovo di San Salvador,
monsignor José Luis Escobar
Alas — che questo possa avvenire
al più presto, altrimenti precipiteremo in una situazione critica che
ci coinvolgerà tutti. Auspico, pertanto, che nella prossima elezione
verranno presi in considerazione
gli interessi particolari per il bene
comune».
La Camera costituzionale della
Corte Suprema di giustizia ha dichiarato, nei giorni scorsi, incostituzionale la nuova elezione del
Ccr dell’assemblea legislativa,
due mesi dopo che la Corte aveva annullato la prima designazione fatta nel 2011, con un mandato in scadenza nel 2014.
La Camera ha ribadito nel suo
secondo giudizio gli argomenti
della sentenza precedente, emessa
il 24 gennaio scorso, compresi i
giudici del Ccr che non devono
avere nessuna militanza a partiti
politici e devono soddisfare i requisiti di «onestà e competenza»,
stabiliti dalla Costituzione salvadoregna.
La Corte Suprema ha annullato la nuova elezione perché il
Parlamento ha ratificato solo la
nomina di Gregorio Sánchez e di
Javier Bernal, rispettivamente
presidente e primo magistrato
della Ccr, mentre Silvia Aguilar è
stata eletta in sostituzione di Andres Rovira, che ha respinto la
ratifica. Aguilar per essere eletta
ha rinunciato alla sua militanza
al partito Gran Alianza por la
Unidad Nacional.
L’OSSERVATORE ROMANO
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venerdì 5 aprile 2013
Il Pontificio Consiglio della Famiglia per Papa Francesco
Dallo stupore
alla realtà della speranza
Messa del Pontefice a Santa Marta
La pace non ha prezzo
La pace non si compra né si vende: è
un dono di Dio. E lo dobbiamo chiedere. Lo ha ricordato Papa Francesco
giovedì mattina, 4 aprile, parlando
dello “stupore” manifestato dai discepoli di Emmaus davanti ai miracoli
di Gesù. L’occasione è stata il commento del brano evangelico di Luca
(24, 35-48), proclamato nella liturgia
della consueta messa mattutina nella
cappella della Domus Sanctae Marthae, alla presenza di dipendenti vaticani, questa mattina una cinquantina
di responsabili e operatori della Tipografia Vaticana.
«I discepoli che sono stati testimoni della guarigione dello storpio e
adesso vedono Gesù — ha detto il
Pontefice — sono un po’ fuori di sé,
ma non per una malattia mentale:
fuori di sé per lo stupore». Ma cos’è
questo stupore? «È qualcosa — ha
detto il Santo Padre — che fa sì che
siamo un po’ fuori di noi, per la
gioia: questo è grande, è molto grande. Non è un mero entusiasmo: anche i tifosi nello stadio sono entusiasti quando vince la loro squadra, no?
No, non è un entusiasmo, è una cosa
più profonda: è lo stupore che viene
quando ci incontriamo con Gesù».
Questo stupore, ha spiegato il
Pontefice, è l’inizio «dello stato abituale del cristiano». Certamente, ha
fatto notare, non possiamo vivere
sempre nello stupore, ma questa condizione è l’inizio che permette di lasciare «l’impronta nell’anima, e la
consolazione spirituale». Infatti, lo
stato del cristiano deve essere la consolazione spirituale, nonostante i problemi, i dolori, le malattie. «L’ultimo
scalino della consolazione — ha detto
il Papa — è la pace: si incomincia con
lo stupore, e il tono minore di questo
stupore, di questa consolazione è la
pace». Il cristiano, pur nelle prove
più dolorose, non perde mai «la pace
e la presenza di Gesù» e con «un po’
di coraggio, possiamo dirlo al Signore: “Signore, dammi questa grazia
che è l’impronta dell’incontro con te:
la consolazione spirituale”». E, soprattutto, ha sottolineato, «mai perdere la pace». Guardiamo al Signore,
il quale «ha sofferto tanto, sulla Cro-
ce, ma non ha perso la pace. La pace,
questa, non è nostra: non si vende né
si compra». È un dono di Dio che
dobbiamo chiedere. La pace è come
«l’ultimo scalino di questa consolazione spirituale, che incomincia con
lo stupore di gioia». Per questo, non
dobbiamo farci «ingannare dalle nostre o da tante altre fantasie, che ci
portano a credere che queste fantasie
siano la realtà». Infatti, è più cristiano «credere che la realtà non possa
essere tanto bella». Il Papa ha concluso chiedendo la grazia della consolazione spirituale e della pace, che
«incomincia con questo stupore di
gioia nell’incontro con Gesù Cristo».
Insieme con il Pontefice hanno
concelebrato, tra gli altri, monsignor
Santo Marcianò, arcivescovo di Rossano-Cariati, i salesiani don Sergio
Pellini, direttore generale della Tipografia Vaticana Editrice L’O sservatore
Romano, e don Marek Kaczmarczyk,
direttore commerciale. Erano presenti
anche Domenico Nguyen Duc Nam,
direttore tecnico, Antonio Maggiotto
e Giuseppe Canesso.
Messaggio per la giornata mondiale dell’autismo
Sulla via del servizio e della tenerezza
Autismo. Una parola
che fa paura solo a
sentirla pronunciare.
Indica lo svilupparsi
di un disordine cerebrale complesso che
coinvolge molti aspetti
dello sviluppo dei
bambini, incluso il
modo di parlare, di
giocare e di interagire.
È una malattia in rapido sviluppo nel mondo: solo negli Stati
Uniti d’America — secondo una recente ricerca curata dal centro
per il controllo dei disturbi in età pediatrica
— un bambino su centocinquanta soffre di
autismo. Anzi il fenomeno ha assunto dimensioni tali da spingere la comunità internazionale a istituire
una giornata mondiale
di
sensibilizzazione.
Quest’anno la giornata, la sesta, è caduta proprio nel periodo delle celebrazioni pasquali, il 2 aprile.
La Chiesa ha sempre seguito con
attenzione le problematiche legate a
questa particolarissima categoria di
malati e alle loro famiglie. Attenzione
ribadita anche quest’anno dal messaggio diffuso proprio in occasione
della giornata mondiale dal Pontificio
Consiglio per gli Operatori Sanitari,
a firma del presidente, l’arcivescovo
Zigmunt Zymowski.
Il presule ha preso spunto da una
riflessione sull’atteggiamento di Gesù
che si accosta ai due discepoli che
vanno verso Emmaus e cammina con
loro. «Lo sguardo segnato dallo
smarrimento e, ancor più, dallo stupore che cadenza il passo di Clèopa e
Simone — ha scritto — potrebbe essere tratto analogo, e altrettanto analogamente ritrovarsi, in quello che segna il volto e i cuori dei genitori che
hanno un figlio o una figlia affetta da
autismo».
Di fronte ai problemi e alle difficoltà che incontrano questi bambini e
i loro genitori, la Chiesa propone la
via del servizio al fratello sofferente,
accompagnandolo con compassione e
tenerezza nel suo tortuoso percorso
umano e psico-relazionale, avvalendosi dell’aiuto delle parrocchie, delle associazioni, dei movimenti ecclesiali e
delle persone di buona volontà.
Naturalmente «al porsi dell’ascolto
— raccomanda l’arcivescovo — deve
accompagnarsi necessariamente una
autentica solidarietà fraterna. Non
deve mai mancare l’attenzione globale alla persona “fragile” come può essere un malato di autismo: questa si
concretizza con il senso di vicinanza
che ogni operatore, ognuno nel suo
ruolo, deve saper trasmettere al suo
malato e alla sua famiglia, non facendolo sentire un numero ma rendendo
concreta la situazione di un cammino
condiviso, fatto di gesti, atteggiamenti, parole — magari non eclatanti —
ma suggestivi di una quotidianità più
vicina alla normalità».
Ciò significa ascoltare l’esortazione,
imperiosa, a non perdere di vista la
persona nella sua integralità: «nessuna procedura, per quanto perfetta,
potrà risultare “efficace” se privata
del “sale” dell’amore, di quell’amore
che ognuno di questi malati, se lo
guardate negli occhi, vi chiede. Il loro sorriso — si legge ancora nel messaggio — la serenità di una famiglia
che vede il suo caro al centro della
complessa articolazione che ognuno
di noi, per il suo specifico compito, è
chiamato a gestire per la sua vita, la
condivisione percepita e realizzata:
sarà questo il miglior “bilancio” che
ci arricchirà».
In pratica il messaggio invita ad
accogliere i bambini autistici nei diversi settori delle attività sociali, educative, catechistiche, liturgiche, in un
modo corrispondente e proporzionato alla loro capacità relazionale. «Tale
solidarietà, per chi ha ricevuto il dono della fede, diventa presenza amorosa e vicinanza compassionevole a
chi soffre, sull’esempio e ad imitazione di Gesù Cristo, il buon Samaritano che con la sua passione, morte e
risurrezione ha redento l’umanità» ha
scritto l’arcivescovo Zimowski.
Il Pontificio Consiglio per gli
Operatori Sanitari, nell’ Anno della
fede, «desidera condividere con le
persone che soffrono per l’autismo, la
speranza e la certezza che l’adesione
all’amore ci permette di riconoscere
Cristo Risorto ogni volta che si fa nostro prossimo nel cammino della vita». A questo proposito il presidente
del dicastero, dopo aver ricordato
quanto detto in proposito dal beato
Giovanni Paolo II, per rafforzare le
motivazioni che devono spingere alla
solidarietà, ha citato le parole di Papa
Francesco nei primi giorni del suo
pontificato: «Dobbiamo tenere viva
nel mondo la sete dell’assoluto, non
permettendo che prevalga una visione
della persona umana ad una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che
consuma: è questa una delle insidie
più pericolose per il nostro tempo».
«Papa Francesco ha generato in
tutta la comunità argentina, non
solo tra cattolici o credenti, un
senso di comunione e speranza,
inedito nella nostra storia recente». Lo affermano María Rosa
Barbarán e Rómulo Alejandro Scarano, che in occasione dell’elezione del nuovo Pontefice hanno voluto offrire la loro testimonianza
sul rinnovato sito internet del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
Quello dei due coniugi argentini
è uno degli omaggi tributati online
dal dicastero che nel consiglio di
presidenza annoverava l’arcivescovo di Buenos Aires divenuto Pontefice. Il sito www.familia.va riporta infatti anche stralci di omelie
dedicate al tema della famiglia durante il suo ministero pastorale
nella sede primaziale del Paese latinoamericano.
Il Pontificio Consiglio presieduto dall’arcivescovo Vincenzo Paglia
ha inoltre attivato di recente un
servizio di newsletter in quattro
lingue, ricco di informazioni sulle
tematiche di maggiore attualità e
interesse, soprattutto in vista dei
due grandi appuntamenti che
maggiormente coinvolgono le realtà familiari cattoliche: il pellegrinaggio alla tomba di San Pietro
per l’Anno della fede, in programma il 26 e 27 ottobre prossimi; e
l’Incontro mondiale delle famiglie
fissato per il 2015 a Philadelphia,
negli Stati Uniti d’America.
Tra i relatori al recente Incontro
mondiale svoltosi a Milano con la
partecipazione di Benedetto XVI, i
coniugi Scarano sono una coppia
molto impegnata nel loro Paese:
lei è decano della facoltà di scienze dell’educazione dell’Universidad Católica de Santiago del Estero, lui è avvocato e docente di
dottrina sociale della Chiesa. Nella
loro testimonianza esprimono i
sentimenti di «incredulità, sorpresa, gioia», che ha suscitato nel loro
Paese l’elezione del cardinale Bergoglio, senza nascondere anche
«un certo timore per la complessità delle circostanze che deve affrontare il successore di Pietro». E
rivelano come «settori politici caratterizzati dall’intolleranza e dal
confronto non riconciliabile, hanno avuto gesti di rispetto e perfino
di autocritica».
Del resto negli ultimi decenni il
cardinale Bergoglio «ha costituito
un punto di riferimento morale»,
oltre che pastorale, per tutta la comunità argentina. Un uomo — ricordano — «venuto da una generazione di giovani sacerdoti latinoamericani segnata dai grandi ideali
di rinnovamento religioso e sociale
degli anni ‘60 e ‘70, illuminati dal
Vaticano II». In particolare «il popolo argentino non dimentica la
sua forza e la sua coerenza nella
dura crisi economica, politica e
morale, che nel dicembre 2001 produsse il collasso del governo nazionale e di tutto il sistema di indebitamento consumista». E in
quel drammatico contesto, «un
popolo ferito e sconcertato di fronte allo spettacolo della migrazione di
migliaia di giovani alla
ricerca di una possibilità
di vita», ha ricevuto l’incoraggiamento della parola e dei gesti del futuro
Pontefice, «come un padre che corregge, annuncia e avverte».
Per Maria Rosa e Romulo Alejandro «la sua immagine
è stata una luce che accende la
speranza in mezzo al naufragio».
E citano in proposito la sua omelia
sulla parabola del buon samaritano del 25 maggio 2003, alla presenza delle massime autorità politiche della nazione.
«I briganti della strada — disse
in quella circostanza — hanno avuto come alleati coloro che passano
per la strada guardando dall’altra
parte. Si chiude il cerchio tra coloro che usano e ingannano la nostra
società per derubarla e quanti si
suppone mantengano la purezza
nella loro funzione critica, ma vivono di questo sistema e delle nostre risorse per sfruttarle fuori o
mantengono la possibilità del caos
per guadagnare terreno. Non dobbiamo ingannarci, l’impunità del
delitto, dell’uso delle istituzioni
della comunità per il profitto personale o corporativo e altri mali
che non riusciamo a sradicare,
hanno come risvolto la permanen-
Bergoglio con una famiglia di Buenos Aires in un’immagine del marzo 2011
te disinformazione e il discredito
di tutto».
In quell’occasione il porporato
mise in guardia dall’atteggiamento
di chi semina costantemente il sospetto, «che fa diffondere la sfiducia e la perplessità» e «alimenta il
disincanto e la disperazione».
Quando «si fa sprofondare un
popolo nello scoraggiamento — affermò — si chiude perfettamente
un circolo perverso: la dittatura invisibile degli interessi veri, quegli
interessi occulti che si sono impadroniti delle risorse e della nostre
capacità di giudizio e di pensiero».
Attraverso questo stile pastorale
padre Bergoglio ha generato in Argentina un debito di gratitudine; e
poiché «ha sempre chiesto e chiede che preghiamo per lui — spiegano i due coniugi — siamo migliaia che abbiamo preso quest’impegno di sostenerlo con la preghiera».
Si tratta di «una sfida — concludono — alla speranza di tempi migliori che verranno in tutta la
Chiesa. Francesco alimenta in
ognuno dei suoi gesti il sogno di
una Chiesa povera e solidale, al
servizio della vita minacciata, la
cui gloria e forza emana dalla croce. Gli vogliamo molto bene. E ci
sentiamo molto impegnati con tutta la Chiesa attraverso il suo ministero».
Un tweet
sull’amore
di Dio
«Dio ci ama. Non dobbiamo
aver paura di amarlo. La fede si
professa con la bocca e con il
cuore, con la parola e con
l’amore». Così Papa Francesco,
in un nuovo tweet postato poco
dopo mezzogiorno di giovedì 4
aprile, rilancia il messaggio
sull’amore di Dio proposto nella catechesi tenuta durante
l’udienza generale di ieri, mercoledì 3.
In cammino
verso Philadelphia 2015
La «campana della libertà»
è il simbolo per eccellenza
della città statunitense
di Philadelphia, dove dal 22
al 27 settembre 2015 si terrà
l’VIII Incontro mondiale
delle famiglie. Essa fu suonata
nel 1776 per radunare i cittadini
americani in occasione
della lettura della Dichiarazione
d’indipendenza, entrando
nell’immaginario collettivo
nazionale come la bandiera
a stelle e strisce. Per questo
c’è una campana al centro
del logo del prossimo raduno
internazionale delle famiglie
cattoliche, in modo
da evidenziare il ruolo avuto
della città della Pennsylvania
nel riconoscimento e nella difesa
dei diritti civili e della libertà
religiosa. Evocativi anche
i richiami religiosi del simbolo
scelto: la campana suona
per annunciare la buona notizia
della famiglia. E in tal modo
la piccola bianca campana
d’argento di Philadelphia
diventa il simbolo delle tante
campane del mondo
che chiamano le famiglie
a raccolta in chiesa. Dentro
la campana, come parte
integrante che compone
una croce, segno della centralità
di Cristo nella vita familiare
e della Chiesa, è raffigurata
una famiglia con cinque persone
di diversa grandezza ed età,
che rappresentano i differenti
ruoli nell’unità: i genitori, i figli,
i fratelli, le sorelle, i nonni,
gli zii. I colori sono caldi,
attinenti alla stagione dell’anno
in cui si terrà l’appuntamento.
Il carattere grafico scelto
per il titolo è forte e dinamico.
La spiegazione del logo
si trova sul sito ufficiale
www.worldmeeting2015.org
attivato di recente in quattro
lingue. Nel dare il benvenuto
ai navigatori virtuali,
l’arcivescovo Charles J. Chaput
sottolinea che Philadelphia
è la prima città nordamericana
a ospitare l’avvenimento.
«Fin dalla sua istituzione
nel 1994 da parte di Giovanni
Paolo II, questo incontro
ha come scopo di rafforzare
nel mondo i legami sacri
della famiglia. Infatti, il tema
di ogni incontro ha lo scopo
di sottolineare la novità
della famiglia e il suo valore
per il bene della società».
Il presule conclude
il suo messaggio ringraziando
il governatore della Pennsylvania,
Tom Corbett, e il sindaco
di Philadelphia, Michael Nutter,
per aver accettato l’invito
ad assumere la presidenza
onoraria dell’Incontro mondiale.
«Il loro appoggio nei riguardi
di questo evento, — spiega —
la cui durata copre
una settimana, dimostra
come esso sia importante
per la città e per l’intero Stato
della Pennsylvania».
E in proposito l’arcivescovo
si dice fermamente convinto
che questo avvenimento
abbia in sé le potenzialità
«per trasformare positivamente
e in profondità non solo
la Chiesa Cattolica del posto,
ma anche l’intera
comunità locale».