"Mia sorella Emanuela..." terza parte

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"Mia sorella Emanuela..." terza parte
“MIA SORELLA EMANUELA...ˮ
Terza parte
Venerdì 18 maggio 2012, al quinto giorno di lavori della Polizia Scientifica nei sotterranei di Sant’Apollinare,
è emersa una novità nell’inchiesta, a lungo tenuta segreta e inaccessibile. Il quinto indagato per la
scomparsa di Emanuela ha un nome. Oltre ai quattro della Magliana, nelle indagini figura anche un
insospettabile, un ecclesiastico: è monsignor Pietro Vergari.
Rettore di Sant’Apollinare all’epoca dei fatti, venne rimosso dall’incarico il 31 agosto 1991, un anno dopo
aver perorato la causa dell’indegna sepoltura con una lettera al Cardinal Poletti, nella quale aveva descritto
il malavitoso romano come un “grande benefattoreˮ.
Concorso nel sequestro di Emanuela Orlandi è l’ipotesi di reato che ha determinato il coinvolgimento
dell’alto prelato nell’inchiesta giudiziaria. Vergari fu sentito, in qualità di persona informata sui fatti,
nell’inverno del 2009 dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Simona Maisto, e, in
quell’occasione, precisò i motivi che avevano determinato la sepoltura di De Pedis a Sant’Apollinare. Gli
inquirenti intendevano accertare, in particolare, se qualcuno avesse pagato per facilitare le pratiche per la
sepoltura del boss.
L’iscrizione del prelato nel registro degli indagati sarebbe antecedente agli accertamenti della Scientifica
nella Basilica. Circa un anno fa, infatti, monsignor Vergari era stato oggetto di una perquisizione presso il
suo domicilio, nel corso della quale gli investigatori avevano fatto copia dell’hard disk del suo computer.
Nel sito Internet del monsignore si legge: “Tra le più belle esperienze della mia vita sacerdotale in Roma mi
è stata carissima quella della visita alle carceri di Regina Coeli. Tra le centinaia di persone incontrate dei più
diversi strati sociali, parlavamo di cose religiose o di attualità; Enrico De Pedis veniva come tutti gli altri, e
fuori dal carcere, ci siamo visti più volte: normalmente nella chiesa di cui ero rettore, sapendo i miei orari e
altre volte fuori, per caso. Mai ho veduto o saputo nulla dei suoi rapporti con gli altri, tranne la conoscenza
dei suoi familiari. Aveva il passaporto per poter andare liberamente all'estero. Mi ha aiutato molto per
preparare le mense che organizzavo per i poveri. Quando seppi dalla televisione della sua morte in via del
Pellegrino, ne restai meravigliato e dispiacente. Qualche tempo dopo la sua morte i familiari mi chiesero,
per ritrovare un po' di serenità, poiché la stampa aveva parlato del caso e da vivo aveva espresso loro il
desiderio di essere un giorno sepolto in una delle antiche camere mortuarie, abbandonate da oltre cento
anni, nei sotterranei di S. Apollinare, di realizzare questo suo desiderio. Furono chiesti i dovuti permessi
religiosi e civili, fu restaurata una delle camere e vi fu deposto. Anche in questa circostanza doveva essere
valido, come sempre, il solenne principio dei Romani ‘Parce sepulto’: perdona se c'è da perdonare a chi è
morto e sepolto...ˮ.
Secondo le ultime ipotesi investigative, la giovane Orlandi, uscita dalla scuola di musica accanto alla chiesa,
sarebbe stata attirata in trappola proprio all’interno dell’edificio sacro. A supporto di ciò, c’è una lettera
anonima ricevuta a febbraio 2008 da Maria Orlandi, la mamma della ragazza, e subito consegnata alla
Procura di Roma. Una lettera che sembra scritta da chi sa bene come andarono le cose. “La sera del 22
giugno −vi si legge− Enrico (De Pedis, ndr) mi chiama e mi chiede di andare con la mia auto in via Cavour a
caricare un ospite. Lo avrei riconosciuto perché indossava una camicia gialla e aveva con sé un grosso
borsone. La destinazione era Sant’Apollinareˮ. Quindi prosegue: “Era mezzanotte e ci aprì personalmente
monsignore. Entrammo in una specie di studio o sacrestia e dalla porta vidi per terra una ragazza molto
giovane. Sembrava morta. L’uomo con la camicia gialla mi disse di accostare l’auto all’entrata con il
bagagliaio aperto. Poco dopo arrivò con la giovane avvolta in una coperta e la depose nel bagagliaio. Sentii
monsignore che diceva: Mi raccomando, in un luogo consacratoˮ.
La lettera, che indirizza agli ambienti della Banda della Magliana, è già da tre anni nelle mani degli
investigatori. Sarebbero stati loro, i malfattori romani che dipendevano da Renatino De Pedis, a
preoccuparsi di far sparire il cadavere di Emanuela. “L’uomo con la camicia gialla –racconta l’anonimo− si
fece accompagnare a Ponte Milvio, poi mi disse di andare a casa e di aspettare una chiamata di Enrico, che
infatti mi chiamò verso le tre. Andai a prenderlo sulla via Cristoforo Colombo e ci dirigemmo verso il
cimitero di Prima Porta. A 50 metri dal cancello mi fece scendere, disse di aspettare, salì al posto di guida e
lampeggiò. Il cancello fu aperto da un uomo anziano. Enrico entrò. Uscì dopo 30 minuti e io ripresi la
guidaˮ. Infine, “mi consegnò una busta con dieci milioni e io gli dissi accidenti come pagano bene i preti, ma
Enrico mi rispose che i soldi erano suoi. E aggiunse: io invece dormirò coi cardinali e i santi. Emanuela riposa
a Prima Porta ma non so come e dove sia stata sepoltaˮ.
“Sono assolutamente tranquillo, non ho nulla da nascondereˮ. All'indomani dell'iscrizione nel registro degli
indagati per concorso nel sequestro di Emanuela Orlandi, monsignor Pietro Vergari si difende. Oggi Vergari
vive in Sabina ed è da questo ‘confino’ volontario che, con qualche amico, ha commentato l'inchiesta che lo
riguarda: “Non hanno trovato nulla se non appunto il corpo di De Pedisˮ, ha precisato a proposito delle
ispezioni a Sant'Apollinare. “Le ossa sono antichissime, risalenti a secoli fa, quando anche i laici venivano
sepolti nelle chiese. Ora dicono che faranno indagini approfondite, ma non vedo proprio che cosa possano
scoprireˮ.
In una recente intervista Pietro Orlandi ha fatto alcune interessanti riflessioni:
“Emanuela scomparve alla sette di sera. La prima certezza è che mai sarebbe salita su una macchina con
uno sconosciuto. La seconda è che, se l’avessero presa con la forza, a quell’ora in pieno centro, qualcuno se
ne sarebbe accorto. La persona di cui mia sorella parlò nell’ultima telefonata a casa dicendo che le avevano
offerto di distribuire dei volantini della Avon, quindi, non poteva che essersi appoggiata a qualche posto
vicino. Mio padre pensava ai servizi segreti o alla malavita, che potevano avere a disposizione un negozio da
quelle parti, ma anche l’ipotesi della basilica ha un senso: se qualcuno avesse detto ad Emanuela di seguirlo
a Sant’Apollinare per darle i volantini, lei non si sarebbe insospettita. Un luogo sacro non dovrebbe
spaventare nessuno...
Nei giorni successivi, quando cercavo disperatamente qualche testimonianza utile, le amiche della scuola di
musica di Emanuela mi dissero che suor Dolores, la direttrice, non le faceva andare a Messa o cantare nel
coro a Sant’Apollinare ma preferiva che andassero in altre chiese proprio perché diffidava, aveva una brutta
opinione di monsignor Vergari. E le stesse mi riferirono un altro dettaglio: suor Dolores non voleva che si
sapesse che nello stesso complesso aveva gli uffici Oscar Luigi Scalfaro...
Sant’Apollinare può essere stato un luogo intermedio, utile per nascondere Emanuela dopo averla attirata
in una trappola. Poi possono essere successe due cose: o un incidente, chiamiamolo così, e in questo
drammatico caso davvero può essere stata gettata nella botola dell’ossario della basilica; oppure è stata
tenuta per qualche ora al riparo e poi portata fuori per dare corso al progetto del rapimento, a mio avviso
realizzato in quanto mia sorella era cittadina vaticana, e quindi come strumento di pressione nei confronti
del Vaticanoˮ.
Due anni fa, la giornalista Angela Camuso, sul quotidiano “L’Unitàˮ , scrisse che Emanuela Orlandi venne
rapita dalla Banda della Magliana per assecondare i desideri sessuali di un alto prelato, che venne poi
eliminata per farla tacere per sempre, e che quel delitto sarebbe diventato un’arma micidiale nelle mani dei
criminali per ricattare il Vaticano.
Ora, la speranza di trovare viva Emanuela è ridotta ad un lumicino. Il più grande desiderio di Pietro e di
tutta la sua famiglia è quello di vedere finalmente aprirsi le porte della verità giudiziaria, auspicio che non
sembra più un’utopia considerato l’intenso lavoro svolto dalla Procura di Roma in questi ultimi giorni. Ma le
tessere che mancano per completare il mosaico di questo incredibile mistero italiano ancora non si
contano.
Domenica prossima 27 maggio, intanto, sarà esposta in Campidoglio la gigantografia di Emanuela Orlandi.
Lo ha reso noto Pietro Orlandi, da sempre impegnato nella soluzione del mistero più clamoroso che la
cronaca italiana ricordi. Per quel giorno, Pietro Orlandi ha lanciato l'iniziativa di una giornata di
mobilitazione per la verità e la giustizia in Italia, alla quale hanno aderito diversi comuni italiani. Dal
Campidoglio, intorno alle 10:30, alla presenza del sindaco Gianni Alemanno e del presidente della provincia
di Roma Nicola Zingaretti −a quanto riferito dallo stesso Orlandi− partirà un corteo che giungerà a piazza
San Pietro per mezzogiorno, quando il Papa reciterà l’Angelus.
Il 13 maggio 2011 (non casualmente), a trent’anni esatti dal giorno dell’attentato alla vita di Giovanni Paolo
II, è stato pubblicato il libro-intervista “Mia sorella Emanuela. Sequestro Orlandi: voglio tutta la veritàˮ. Per
la prima volta Pietro Orlandi, insieme al giornalista del “Corriere della Seraˮ Fabrizio Peronaci, ha ripercorso
28 anni di misteri, raccontando in un lungo diario la storia degli anni in cui Emanuela fu rapita, e rilanciando
una nuova pista rispetto ad un caso che non può essere chiuso e per il quale si chiede ancora verità e
giustizia.
Recentemente è stata presentata una nuova edizione di questo libro, contenente la trascrizione integrale
del colloquio tra Pietro e Alì Agca avvenuto in Turchia nel 2010, ed una “nota riservataˮ sul caso Orlandi
scritta nel gennaio 2012 dal portavoce vaticano e destinata a papa Ratzinger (divulgata in seguito da
qualcuno della Santa Sede). In questa riedizione del libro, Pietro Orlandi riferisce anche la sua opinione
circa la scomparsa della sorella Emanuela. L’uomo annota un colloquio abbastanza recente avuto con il
cardinale Giovanni Battista Re, ex prefetto della Congregazione dei Vescovi, che ai tempi della scomparsa
della ragazzina era assessore della Segreteria di Stato vaticana. “Non escludo che i responsabili
dell’attentato a Papa Wojtyla del 13 maggio 1981, i Paesi dell’Est, abbiano rapito Emanuela per impedire ad
Alì Agca di fare i nomi dei mandanti, promettendogli la libertà. Orlandi, mi intenda bene: questa è soltanto
una mia ideaˮ.
Queste sarebbero state le parole del Cardinale Re; poche ma significative, anche considerando che
all’epoca dei fatti, Re fu uno degli esponenti vaticani che maggiormente seguirono la vicenda, facendo
continuamente la spola tra gli appartamenti del Papa e la casa degli Orlandi. Ma perchè il rapimento di
Emanuela avrebbe dovuto impedire ad Agca di fare il nome di coloro che avevano armato la sua mano in
Piazza San Pietro? Emanuela era cittadina vaticana e allo stesso tempo una ragazzina, una giovane fanciulla
appena quindicenne: la vittima ideale se si voleva richiamare l’attenzione pubblica sul caso, che, una volta
esploso, sarebbe stato l’espediente adatto a piegare la volontà vaticana e quella italiana. La libertà di Agca
sarebbe stata scambiata con quella di Emanuela. Se Agca avesse taciuto, ovviamente!
Ecco alcune clamorose rivelazioni fatte da Pietro, tratte da un’intervista di cinque mesi fa:
“Questa storia è iniziata nell’81 con l’attentato a Papa Giovanni Paolo II, nel tentativo di intimorire e gestire
la volontà del Papa stesso. La vicenda di Emanuela inizia pochi mesi dopo, quando in Vaticano arriva
un’informativa dei Servizi segreti francesi, nella persona del direttore Alexandre de Marenches. L’allarme
riguardava il rischio di rapimento di cittadini vaticani. Emanuela fu rapita esclusivamente per la sua
cittadinanza (è quanto ci ripetevano i presunti rapitori). Forse, questa è una delle ipotesi, per contrastare la
politica finanziaria di Giovanni Paolo II a favore della Polonia e di Solidarnosc (il sindacato polacco
anti−comunista di Lech Walesa). Alla fine penso che Emanuela sia stata messa sulla bilancia di vari interessi,
politici ed economici. Non credo ci sia un unico responsabile. Sono diverse le persone che hanno avuto un
ruolo sia in ambienti vaticani che in ambienti italiani.
La pista della Banda della Magliana...a mio parere rappresenta una verità parziale, una verità che fa
comodo a chi per tanti anni ha cercato di far dimenticare questa storia...La Banda della Magliana, se ha
avuto un ruolo in questa vicenda, fu solo come manovalanza. La stessa Sabrina Minardi riferì che De Pedis le
disse che non fu un sequestro a scopo estorsivo, ma un rapimento ‘indicato’ per fare pressioni su qualcuno
molto in alto in Vaticano.
Io credo che i nuovi indizi potrebbero cambiare il corso delle indagini. Come per esempio la pista di Bolzano.
Un mese e mezzo dopo il rapimento, Emanuela, secondo una testimone, fu vista in una casa di Terlano
(vicino Bolzano). La testimone notò che questa ragazza indossava un girocollo non metallico, con colori
sbiaditi, (di questo particolare non ne avevo mai saputo nulla. L’ho notato solo di recente, rileggendo la
sentenza, mentre scrivevo il libro su Emanuela). Due giorni dopo, il 19 agosto, arrivò una persona a bordo di
una macchina, prese questa ragazza e la portò in Germania. Devo dire che in principio gli inquirenti si
concentrarono su questa pista con molto interesse. Quattro persone furono indagate per sequestro di
persona, prosciolte poi nel 1997. Quando venne identificata la persona che portò, secondo la testimone,
Emanuela in Germania, questa pista prese una piega diversa. Un funzionario del Sismi, di istanza a Monaco,
in Germania, ben conosciuto a Roma, fu indagato per sequestro di persona, poi prosciolto poichè i
magistrati accertarono che questo signore, quel giorno, non era in ferie (il suo periodo di ferie sarebbe
iniziato il 20 agosto) e quindi non poteva trovarsi a Terlano. Questo è quanto dichiararono gli inquirenti
nella sentenza di proscioglimento. Nel 2011 lui stesso ha dichiarato ad un giornalista che effettivamente
quel 19 agosto lui si trovava a Terlano, ed esiste un documento in cui io stesso ho letto che le sue ferie
iniziavano proprio il 19 agosto. Adesso spero che i magistrati vogliano fare chiarezza.
In questa storia non c’è mai stata collaborazione, per arrivare alla verità, tra lo Stato italiano e quello
vaticano...Credo che la Chiesa abbia bisogno di un rinnovamento e Benedetto XVI, in questo momento, è la
persona che può aiutarci a dare un segnale importante, abbattendo quel muro di silenzio che dura da troppi
anni...La gente non può più accettare uno Stato e una Chiesa che giustificano, che coprono la criminalità. La
sepoltura del boss della Banda della Magliana nella Basilica di Sant’Apollinare è la prova evidente, il
crocevia, lo snodo dell’intreccio massonico, inteso come legame indissolubile tra Stato, Chiesa e criminalitàˮ.
Pietro prosegue emozionato il suo racconto:
“Quando sparì Emanuela io ero un ragazzo ventenne, pieno di voglia di vivere...Da quel momento la mia vita
non è stata più la stessa ed io, mio padre, mia madre e le mie sorelle ci siamo dovuti sorreggere gli uni con
gli altri...In casa nostra piombarono investigatori, magistrati, esponenti dei Servizi segreti, giornalisti e
anche tanti sciacalli.Dal Vaticano ci facevano sapere che se ne stavano occupando ma che era anche
opportuno che la famiglia mantenesse il silenzio per non rischiare nulla sulla sorte di Emanuela. Noi
eravamo irretiti dalla paura di perderla, di non rivederla mai più e per questo, anche se dal Vaticano non
avevamo mai alcuna notizia, mantenemmo il silenzio. Comunque abbiamo ripetutamente fatto richieste di
collaborazione alla Santa Sede e alla persona di Giovanni Paolo II, ma il silenzio, l’omertà o un’oscura ragion
di Stato hanno impedito che ciò avvenisse...ˮ
Per concludere, vorrei citare alcuni frammenti di un’altra intervista fatta a Pietro, realizzata il 18 maggio
2011.
“Wojtyla è stato molto vicino, anche personalmente, alla mia famiglia, e questo ci è stato di grande
conforto...Il 27 luglio, quando convocò i miei in Vaticano, Giovanni Paolo II, in lacrime, parlò per la prima
volta di ‘un‘organizzazione terroristica’. E alla vigilia del Natale 1983, quando venne a casa nostra per
portarci un regalo e gli auguri, si mostrò fin troppo chiaro. Ho ancora nelle orecchie la sua voce, le sue
parole : “Cari Orlandi, voi sapete che esistono due tipi di terrorismo, uno nazionale e uno internazionale. La
vostra vicenda è un caso di terrorismo internazionaleˮ. Disse proprio così, come se avesse delle prove...ˮ.
PIETRO ORLANDI CON PAPA WOJTYLA
Alla fine dell’intervista gli viene domandato come conviva con il suo dolore. “Come se mi muovessi su un
doppio binario −racconta− da una parte il lavoro, la famiglia, le piccole grandi cose della
quotidianità...Dall’altra questa sensazione disperata della mancanza. Una voce interna che, se mi capita di
ridere o di sentirmi felice per qualcosa, mi frena immediatamente, ricordandomi che non posso
permettermelo. Perchè, dopo 28 anni e nonostante tutto, l’incontenibile desiderio di riabbracciare Emanuela
o, perlomeno, di portare un fiore là dove oggi è lei, continua ad essere il mio presenteˮ.
Vorrei in ultimo ricordare che è ancora possibile aderire alla petizione nazionale promossa dalla famiglia
Orlandi mandando una semplice e.mail con i propri dati anagrafici e di residenza a:
[email protected] e specificando nell’oggetto: “aderisco alla petizione nazionale a
S.S.Benedetto XVI per la verità su Emanuela Orlandi”. Un piccolo grande gesto di vicinanza e solidarietà
verso una famiglia che non ha ancora ottenuto giustizia e risposte concrete sulla scomparsa della cara figlia.
FINE
Isadora Quarta