Convi News, il primo giornalino cartaceo

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Convi News, il primo giornalino cartaceo
Convi
Via Manno, 14
News
Anno 1-N°2 Febbraio 2013
Via Pintus s/n
Musica
Cinema
Moda
La musica
elettronica...
Les miserables
Lo stile bon ton.
Caro Matteo.
Destinazione Lyon
Francesca Didu
Caro Matteo,
da poche ore ci hai lasciato e
grande, enorme è la tristezza
che si è impossessata dei nostri cuori. Non è normale, non
è naturale che un ragazzo così
giovane si consumi davanti ai
nostri occhi impotenti, non è
accettabile che soffra così tanto,
non è pensabile che possa morire. Eppure queste cose accadono. Le lacrime scendono, che
pensare? La morte ci ha strappato con violenza un figlio, un
amico, uno studente modello, è
vero, ma il dono della sua vita
è stato incommensurabile. Tutti dobbiamo ringraziare Dio di
averlo conosciuto e di aver ricevuto da lui una grande testimonianza di quanto sia bella,
unica, intoccabile la vita umana. La si può vivere per 99 anni,
per uno, per 18... vale sempre la
pena perchè non è la quantità
che conta, ma la qualità. Siamo
tristi e piangiamo, ma siamo
anche più ricchi dentro. La sua
salita al cielo ha un senso che
ancora non percepiamo, ma ce
l’ha. Ciao Matteo, speriamo di
rivederci un giorno in Paradiso non perchè tu non sia gia
lì che siedi felice tra schiere di
angeli, ma perchè non so se ci
andremo noi se non seguiamo
il tuo grande esempio. Grazie
per aver fatto parte della nostra
vita.
Gli animi si infiammano per l’imminente partenza. Fra gli
ultimi preparativi una bella ripassata al francese; la destinazione infatti è nientemeno che Lyon, capitale gastronomica
della Francia. Per conoscere tutti i segreti della città naturalmente ci saranno sempre i “gemelli” francesi e non parlo
di qualche strano sdoppiamento ma di un gemellaggio! 24
ragazzi della seconda Liceo Europeo del Convitto Nazionale
di Cagliari il 14 di questo mese partiranno per la città culla
dello scrittore Antonie de Saint-Exupéry, autore del famoso
romanzo “il Piccolo Principe”, in francese “Le Petit Prince”.
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di Martina Deplano
Il grido muto di un popolo
Quando si soffre troppo il solo ricordo di ciò che è accaduto a volte è
talmente doloroso che è preferibile
tacere e dimenticare più che far sentire la propria voce. Questo è quello che è successo al popolo ebraico
dopo il 1945, anno della liberazione
dai campi di concentramento, un
popolo unito dalla disperazione e
dal tacito accordo di non raccontare e non ricordare. Ma ricordare
è inevitabile e prima o poi tutto affiora e allora tutto il dolore e l’odio
chiuso dentro i sopravvissuti sgorga con prepotenza da ogni vittima.
di Roberta Cancellieri
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I Manga:
Una forma d’arte moderna
di Luca Pusceddu
Un tempo Il termine “Manga” indicava una tipologia di illustrazioni, alternative al tradizionale
disegno a china giapponese, che rappresentando scene di vita quotidiana, spesso contestavano il
sistema politico - sociale contemporaneo. Oggi viene utilizzato in tutto il mondo per indicare i
fumetti di nazionalità giapponese. Il significato giapponese della parola però è “fumetto”, senza
nessuna distinzione di nazionalità. L’origine del manga, come si intende ai giorni nostri, risale
circa al 1946 (dopoguerra) e molti manga del periodo furono ispirati appunto alle ingiustizie del
secondo conflitto mondiale.
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Attualità
Destinazione Lyon
di Martina Deplano
Gli animi si infiammano per l’imminente partenza.
Fra gli ultimi preparativi una bella ripassata al francese; la destinazione infatti è nientemeno che Lyon, capitale gastronomica della Francia. Per conoscere tutti i segreti della città naturalmente ci saranno
sempre i “gemelli” francesi e non parlo di qualche strano sdoppiamento ma di un gemellaggio! 24 ragazzi della seconda Liceo Europeo del
Convitto Nazionale di Cagliari il 14 di questo mese partiranno per
la città culla dello scrittore Antonie de Saint-Exupéry, autore del famoso romanzo “il Piccolo Principe”, in francese “Le Petit Prince”.
Eppure Lyon non è certo famosa solo per i suoi artisti; terza
città, “ville”, della Francia per grandezza, ospita uno dei musei,
le musée des Beaux-Arts, fra i più ricchi d’Europa, con opere di
tutti i generi, dalla pittura all’arte antica alle stampe e i disegni. I
ragazzi saranno ospitati dai corrispondenti francesi, con i quali hanno già avuto contatti tramite i social network, e per una
settimana vivranno proprio come vive un normale adolescente
francese con la sua famiglia, andando a scuola e uscendo con gli
amici. Un grazie particolare va alla professoressa Angiletti che si
è occupata dell’organizzazione del viaggio. I ragazzi avranno la
possibilità di approfondire lo studio della lingua e di conoscere
le abitudini e i modi di fare conformi alla cultura francese; non è
poi questo il fine del Liceo Europeo? Aprire la mente alle diverse
culture europee e non. Non bisogna dimenticare che nel mese di
aprile saranno gli alunni ad ospitare i gemelli francesi per una
settimana, che potranno assaporare i gustosi piatti tipici della
cultura sarda e viverla dal vivo. Sarà un’esperienza educativa e
divertente; obbiettivamente parlando, dopotutto, i gemellaggi
sono più utili per migliorare il modo di rapportarsi con gli altri
e talvolta anche lo spirito di adattamento! Non è facile vivere a
stretto contatto con una cultura diversa dalla propria e, anche se
la cultura francese non è troppo diversa da quella italiana, condividere l’esperienza con ragazzi adolescenti rende le cose molto
più semplici anche grazie alla complicità che si crea tra di essi.
Il grido muto di un popolo
di Roberta Cancellieri
Quando si soffre troppo il solo ricordo di ciò che è accaduto a volte è talmente doloroso che è
preferibile tacere e dimenticare più che far sentire la propria voce. Questo è quello che è successo al popolo ebraico dopo il 1945, anno della liberazione dai campi di concentramento, un
popolo unito dalla disperazione e dal tacito accordo di non raccontare e non ricordare. Ma ricordare è inevitabile e prima o poi tutto affiora e allora tutto il dolore e l’odio chiuso dentro i
sopravvissuti sgorga con prepotenza da ogni vittima. L’occasione per gli Ebrei di far conoscere
al mondo la loro storia si è presentata nel 1962 durante il processo Eichmann, ovvero il processo ad uno degli organizzatori dell’olocausto; Eichmann non ordinò esecuzioni, non uccise
mai un ebreo, non affermò mai di odiare tutte queste persone, ma organizzò meticolosamente
un sistema di trasporto grazie, o per meglio dire a causa, del quale fu permesso ai nazisti di
uccidere più di sei milioni di ebrei. Era un esperto in ebraismo e proprio per questo fece carriera nelle SS. Nel 1962 il Mossad, il servizio segreto israeliano, trovò Eichmann in Argentina
e dopo un lungo periodo di organizzazione lo rapì e lo portò segretamente in Israele, poiché il
governo argentino ne avrebbe vietato l’estradizione. Nella nuova nazione, formata dai sopravvissuti ai campi di sterminio, fu fatto il processo a un uomo che era stato determinante per il
genocidio di quasi un’intera razza e, per la prima e ultima volta nel neo-stato israeliano, un
uomo fu condannato a morte. Questo processo acquisisce una particolare importanza perché
a differenza del processo di Norimberga qui le prove non sono documenti scritti e nomi su un
pezzo di carta, ma più di cento superstiti che finalmente decidono di raccontare quello che hanno passato anche a causa di quell’uomo. Eichmann per tutto il processo dichiarò di aver solo
eseguito degli ordini e davanti a tutte le persone che lo accusavano e raccontavano in lacrime i
loro ricordi rimase impassibile; rappresentava, come disse Hannah Arendt, la “banalità del male”.
Quel processo vuol dire tanto per molte persone e rappresenta il riscatto per le vittime davanti
alle nuove generazioni che le accusano di non aver reagito, di essersi lasciate trattare in quel modo
senza combattere; ma come giustamente hanno obbiettato loro, ribellarsi per cosa? Chi si ribella
ha una speranza e lì, nei lager, speranza non ce ne era più. Chi si ribella ha un posto dove andare,
mentre loro erano circondati da nemici, troppi per chi era malnutrito e maltrattato, prostrato
fisicamente e psicologicamente. No, non c’è niente per cui si debbano giustificare o vergognare.
Ci sarebbe solo da chiedere scusa, bisogna solo ascoltare, conoscere e ricordare, perché si impara
dai propri sbagli, anche se ci sono errori che l’umanità non avrebbe mai dovuto commettere.
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Cultura
Les Misèrables
di Denise Paulis
Les Misérables è finalmente arrivato nelle sale
cinematografiche italiane! Da un colossal di questo livello non ci si può che aspettare il meglio,
ancor di più se diretto dal celebre regista Tom
Hooper (“Il discorso del re”) a cui va un applauso sincero per essere stato letteralmente fedele
al romanzo. Inoltre la scelta di trasposizione sul
grande schermo è davvero originale: poiché si
tratta di un musical, ma, a differenza di “Mamma mia!”, questo è totalmente cantato dal vivo. A
parte qualche battuta flash recitata, il film è solo
cantato. La presenza di numerose canzoni può infastidire per chi non ama il genere, ma la scelta è
più che azzeccata! Una storia di così grande spessore emotivo e psicologico richiede una grande
capacità di saper trasmettere i suoi significati più
profondi. E cosa c’è di meglio se non le canzoni
per far emozionare? Al cast prendono parte, tra
i più importanti, Hugh Jackman (Jean Valjean),
Russel Crowe (Javert), Anne Hathaway (Fantine),
Amanda Seyfried (Cosette adulta). Attori tutti a
loro agio con la musica (e ricordiamo che è tutto cantato dal vivo sul set, senza playback e pre/
post registrazioni, infatti è stato mantenuto in
inglese sottotitolato). Numerosi sono i primi piani che la maggior parte del tempo dominano le
sequenze del film, e molti li hanno ritenuti spesso inopportuni, ma cantare dal vivo porta l’attore a recitare la canzone sia con la voce che con
il corpo, e questo dona una grande libertà di interpretazione e di realismo che con registrazioni
in playback non si potevano ottenere.Straordinaria capacità interpretativa della Hathaway con “I
dreamed a dream”, che con la sua grande fragilità
vocale ha saputo rappresentare magistralmente
la ragazza-madre Fantine, simbolo del degrado
sociale della Francia rivoluzionaria. Scenografie
e costumi vogliono donare un’atmosfera magica
e grottesca, pur restando nei limiti della realtà.
Ottenendo così un risultato di realtà accentuata,
i cui sfondi non vogliono rendere il film un documentario sulla rivoluzione francese, bensì il
musical di un romanzo finalizzato a emozionare e
a rendere il più reale possibile la storia. Parlando
dei protagonisti Hugh Jackman e Russel Crowe
possiamo dire siano perfetti per i ruoli, nonostante quest’ultimo appaia vocalmente inespressivo,
forse perché vuole mantenere la freddezza e rigidità che è propria del suo personaggio. Però si
può avvertire un notevole cambiamento emotivo
quando interpreta “Stars” dove la sua voce non è
più fredda e incolore, ma al contrario riaccende le
emozioni. Momento in cui le sue parole si addolciscono rendendo la sua morte uno dei momenti più riusciti del film. Su Hugh Jackman, invece,
ruota la storia, dimostrando di saper interpretare
con grande spessore emotivo e personale questo
ruolo. Dalla sua voce traspare una corrente di
emozioni che trascina lo spettatore in un turbine
passionale che arriva fino al cuore del personaggio, dandoci una delle più belle interpretazioni
con il “Soliloquy”. Nel finale si avverte un’emotività intensa che non può che concludere degnamente un opera di tale spessore! Riprese aeree delle
immense barricate ove stanno le vittime di questa
vita miserabile chiudono un musical creato per
farci vivere il sogno che Victor Hugo ha scritto col
suo cuore e che la musica ha trasmesso ai nostri.
Convi
News
Mensile scolastico fondato nel 2012
Docenti Direttori
Redattori
Grafico
Fotografo
Web Master
Francesca Didu, Marco Fisanotti
Carlo Miceli, Umberto Corda, Carlotta Massidda, Martina Deplano,Mathias
Anedda, Roberta Cancellieri, Tocco Nicolò
Luca Pusceddu
Luca Lai
Gloria Serra
Pag.4
Cultura
La musica elettronica non è solo “Panico Paura”
Cari Ragazzi in questo articolo vorrei parlare della musica elettronica, spiegare cos’è e cercare di sfatare lo stereotipo che identifica ogni
sua branca come house commerciale “stupida” come le ormai passate
di moda “Panico Paura” e “Pompo Nelle Casse”. La musica elettronica
è infatti una cosa seria, essa iniziò a espandersi in modo concreto
intorno agli anni settanta, quando si diffusero i primi sintetizzatori
- strumenti, più precisamente piani elettronici, collegabili al computer, con i quali è possibile comporre melodie e modificare il suono
che le caratterizza - ed i primi sequencer, ossia dei programmi per
comporre musica (Fl Studio, Ableton, Cubase etc..). Possiamo quindi
definire musica elettronica tutta quella musica prodotta con strumenti elettronici come quelli sopra citati ed anche campionatori, monitor da
studio etc.. All’interno della musica elettronica si sono sviluppati vari generi, partendo dai più vecchi e antenati di molti, troviamo la House e la
Techno. Negli anni novanta si diffuse la Trance, sottogenere della Techno, mentre più recentemente, all’inizio degli anni duemila, si sono sviluppati generi come la Hardstyle, nata da forti condizionamenti dell’Hardcore e dell’ Hardtrance, la Dubstep e la Progressive. Per quanto riguarda
la Dubstep essa si è diffusa soprattutto in questi ultimi anni mentre la Trance, nonostante sia tutt’ora diffusissima grazie anche a produttori
come Armin Van Buuren (parlando di Trance è impossibile non citarlo), ha avuto il suo “Boom” intorno agli anni 2000 in quanto ora alcuni
artisti come Tiesto ed gli Infected Mushrooms, grandi produttori, hanno “mollato” il genere per dedicarsi l’uno all’House e gli altri all’Electro.
Tornando all’argomento principale, ossia spiegare che la musica elettronica non è una cosa stupida come si pensa, posso dire che la maggior
parte dei produttori famosi sono esperti pianisti - essendo sardo mi viene naturale citare Dusty Kid - e inseriscono nelle loro produzioni
melodie veramente degne di nota. Anche per questo motivo molti esperti di questo genere apprezzano la musica classica. Invito perciò chiunque classifichi negativamente questa stupenda branca della musica a rivalutarla ed ascoltarla in modo diverso, senza più nessun preconcetto.
di Mathias Anedda
Lo stile bon ton
di Alessia Vargiu
I Manga:
Una forma d’arte moderna
di Luca Pusceddu
Mi sono molto informata sulle tendenze e sui colori in voga questa stagione autunno/inverno 2012/13 e sono pronta a svelarvi le ultime novità. Punto numero 1: come sempre ogni stilista sceglie un accessorio o un capo che non dovrebbe mancare nel guardaroba di tutte le donne... Conclusione : non devono
mai mancare né un capo maschile (cappotto) né le nostre storiche migliori amiche, le borse, né dei tacchi alti affiancati a delle scarpe più basse e più comode.
Punto numero 2: cosa non fare per avere un perfetto stile Bon ton ?
- Niente pantaloni;
- Niente scarpe da ginnastica;
- Niente in tinta unita;
- Niente scollature esagerate o gonne troppo lunghe.
Per quanto riguarda il make-up in perfetto stile bon ton non bisogna utilizzare dei
colori sgargianti; infatti gli esperti sottolineano che debba essere l’abbigliamento
a fare risaltare la persona e non il trucco. Ma veniamo dunque al make-up che,
pur non essendo esagerato, è senza ombra di dubbio una caratteristica indispensabile per il look bon ton. Partiamo dal blush: la tonalità deve essere naturalmente
omogenea con il resto del corpo quindi è soggettiva. Applichiamo quindi il blush
(o un fondo tinta) evidenziando leggermente gli zigomi e i punti luce e coprendo eventualmente le imperfezioni. Veniamo dunque all’ombretto. Questa è una
delle fasi a mio parere più complesse: infatti si deve abbinare l’ombretto all’abbigliamento senza però forzare il colore. Passata questa fase possiamo scegliere di
applicare o meno una leggera linea di aye-lyner e procedere applicando il mascara tentando di rendere le ciglia ricurve. Per quanto concerne le labbra sono sconsigliati i lip-gloss. Infatti sono prediletti i rossetti che varino dal rosso intenso a
delle tonalità color carne. Per concludere lo smalto deve sempre essere abbinato
all’abbigliamento. Anche se uno smalto rosso si può abbinare a qualsiasi colore.
Un tempo Il termine “Manga” indicava una tipologia di illustrazioni, alternative al tradizionale
disegno a china giapponese, che rappresentando
scene di vita quotidiana, spesso contestavano il
sistema politico - sociale contemporaneo. Oggi
viene utilizzato in tutto il mondo per indicare i
fumetti di nazionalità giapponese. Il significato
giapponese della parola però è “fumetto”, senza
nessuna distinzione di nazionalità. L’origine del
manga, come si intende ai giorni nostri, risale
circa al 1946 (dopoguerra) e molti manga del
periodo furono ispirati appunto alle ingiustizie
del secondo conflitto mondiale. Osamu Tezuka,
presunto creatore dei manga, per questo chiamato “dio dei manga”, si ispira per lo più ai disegni
di Walter Disney (creatore dell’omonima casa
produttrice di film d’animazione e fumetti americani) da cui nascono gli occhi molto grandi e
il deformed, cioè le alterazioni delle proporzioni
umane. Con il passare degli anni le tematiche
sono cambiate, creando anche vari stili diversi,
che vanno dai manga romantici a quelli horror.
In una società dove la realtà diventa sempre più
monotona e pesante, è senz’altro un bene avere
a disposizione una forma d’arte che ti aiuta a
sognare, a distrarti dalla routine di tutti i giorni,
alla portata di tutti, giovanile e facile da capire.