Marc Lavoie - Economia Per I Cittadini

Transcript

Marc Lavoie - Economia Per I Cittadini
Marc Lavoie
Dipartimento di Economia, Università di Ottawa
[email protected]
Ottobre 2011
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo1
La crisi finanziaria globale ha messo in luce i punti deboli della teoria economica dominante fornendo
invece uno stimolo a varie teorie eterodosse, in particolare quelle di matrice keynesiana. Il concetto
prevalente sull’irrilevanza dell’attivismo fiscale è stato fortemente criticato e messo in dubbio dall’uso
attivo della politica fiscale nel pieno della crisi economica mondiale, benché a ciò abbia fatto seguito un
repentino mutamento di rotta da parte degli economisti più rappresentativi, non appena la gravità
inattesa della recessione ha dato origine a gravi deficit dei bilanci pubblici e a una crescita del debito
sovrano. La crisi e la diffusione dei social media, in particolare l’aumento esponenziale dei blog in rete,
hanno lasciato un crescente spazio agli entusiastici convinti di teorie economiche alternative. In
particolare ciò è avvenuto con il neo-cartalismo, spesso definito Modern Money Theory, o MMT, in
numerosi blog.
Lo sviluppo di una forte identità neo-cartalista da parte di economisti precedentemente associati alle
teorie economiche post-keynesiane, ha indotto alcuni osservatori a interrogarsi su quali fossero i legami
fra queste e il neo-catalismo. Alcuni economisti eterodossi, per non parlare di quelli mainstream, hanno
trovato difficili da digerire alcune delle affermazioni del neo-cartalismo.
Questi sono i due aspetti che questo lavoro si propone di analizzare, sebbene gran parte dell’analisi si
incentri sui temi relativi al sistema di compensazione e liquidazione e ai suoi rapporti con le attività dei
governi2. In altri termini, i neo-cartalisti hanno formulato delle proposte che travalicano i limiti della
politica monetaria in senso stretto, come quelle di risolvere il problema della disoccupazione
salvaguardando al tempo stesso la stabilità dei prezzi, ma di tali proposte non tratteremo in questa sede.
Il testo, quindi, si articola come segue: il primo capitolo fornisce una breve introduzione al neocartalismo, illustrandone i rapporti con l’economia post-keynesiana. Nel capitolo successivo l’autore
approfondisce quelle che ritiene essere alcune della affermazioni maggiormente controverse del neocartalismo, essenzialmente relative al sistema di compensazione e di pagamento. Il terzo capitolo illustra
come alcune di queste teorie si sono modificate nel corso del tempo. Il quarto capitolo esamina la
questione dell’Eurozona dal punto di vista neo-cartalista. La conclusione a cui l’autore giunge è che il
neo-cartalismo trova davvero un suo spazio naturale nella teoria economica post-keynesiana.
Il neo-cartalismo e i suoi legami con l’economia post-keynesiana
Bisogna ammettere che i teorici del neo-cartalismo sono riusciti a conquistarsi un ampio spazio nella
blogosfera, in cui ora numerosi blogger non accademici (come nel caso diNaked Capitalism) hanno
pienamente ed entusiasticamente aderito ai concetti e alle affermazioni dei neo-cartalisti, che quindi,
benché il campo della moneta sia piuttosto oscuro, sono riusciti, a differenza dei post-keynesiani, a
stimolare numerosissimi contributi da parte di non accademici. Anche Paul Krugman, nel suo blog, ha
pubblicato alcuni commenti e riferimenti alla MMT. Ciò è stato il risultato dello sforzo incessante di
essere fortemente attivi sui blog da parte di alcuni, in particolare Bill Mitchell, Warren Mosler, nonché
Randy Wray e i suoi colleghi della University of Missouri a Kansas City (UMKC). 3
1 Il presente lavoro è stato presentato per la prima volta in occasione della ‘Third International School on Keynesian Macroeconomics’ tenutasi
a Berlino in data 31 luglio-6 agosto 2011. Desidero rivolgere a Gary Dymski, Eckhard Hein, Keith Newman, Tom Palley, Ramanan, LouisPhilippe Rochon e Mario Seccareccia un sentito ringraziamento per i loro commenti, senza peraltro voler attribuire loro alcuna responsabilità
per le affermazioni qui contenute.
2 In un certo senso, questo testo è un ampliamento delle brevi considerazioni relative alla Modern Money Theory apparse nel mio recente studio
sull’economia monetaria post-keynesiana (Lavoie 2011), anch’esse derivate da un intervento tenuto a una precedente edizione della Summer
School keynesiana di Berlino.
3 Vedi Bill Mitchell, o il suo Billy Blog : http://bilbo.economicoutlook.net/blog/ ; Warren Mosler e il suo Center of the Universe:
http://moslereconomics.com/; il personale accademico della UMKC e il loro blog New Economic Perspectives:
http://neweconomicperspectives.blogspot.com/ . Questo sforzo di contribuire alla blogosfera ha visto anche la partecipazione di diversi studenti o
ex-studenti della UMKC. Randy Wray è anche l’autore del Modern Money Primer(MMP) on line, in cui pubblica un capitolo a cadenza
settimanale stimolando il contributo dei lettori per migliorare un testo finalizzato a fornire una spiegazione semplice e chiara della MMT:
http://neweconomicperspectives.blogspot.com/p/modern-money-primer.html
2
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Ma chi sono questi autori neo-cartalisti, e perché questo riferimento al cartalismo? Qualsiasi postkeynesiano rifiuterebbe la tesi che il denaro sia stato introdotto nell’economia per creare un’alternativa
migliore al baratto. Sulla scia di Adam Smith, Georg Friedrich Knapp e John Maynard Keynes i neocartalisti, o cartalisti moderni, sostengono che lo Stato stabilisce che cosa deve servire come moneta e
attua la sua decisione tramite la sua facoltà di imporre ai soggetti il pagamento delle imposte e
richiedendo che tale pagamento sia effettuato con la moneta di sua scelta. Si tratta quindi di una teoria
della moneta di Stato o, più specificamente, di una teoria della moneta legata alle imposte (“taxes-drivenmoney theory”) (Wray 1998, p. 18). Tale teoria è stata definita cartalismo (“chartalism”) poiché la
definizione di moneta è data dallo Stato e la possibilità di creare moneta è attribuita dallo Stato alle
banche attraverso delle concessioni (“charters”). Non approfondiremo ulteriormente le origini di tale
pratica, lasciando questo tema controverso agli specialisti e agli storici.
Chi sono i cartalisti moderni, o neo-cartalisti che dir si voglia? Si può dire che la sede centrale del gruppo
sia nella UMKC, in cui convergono autori quali Randall Wray, Mat Forstater e Stephanie Bell-Kelton,
nonché alcuni ex-studenti dello stesso istituto, come Pavlina Tcherneva, Éric Tymoigne e Felipe de
Rezende. Un’altra sede importante è rappresentata dal Center of Full Employment and Equity (CofFEE),
presso l’Università Newcastle in Australia, diretta dall’attivissimo direttore Bill Mitchell e con cui
collaborano persone come Martin Watts e James Juniper. Ma esistono anche altre importanti figure che
operano a latere, come Jan Kregel, Edward Nell e Scott Fullwiler, che offre frequenti contributi su vari
blog, pur non avendone uno proprio. Oltre ben noti autori che hanno offerto ispirazione ai moderni
cartalisti, ossia Smith, Knapp e Keynes, la Modern Money Theory affonda le proprie radici nel pensiero
di Warren Mosler, Hyman Minsky, Abba Lerner e Wynne Godley, le cui opere vengono spesso citate dai
neo-cartalisti. Pur essendo opera di un non-accademico, il lavoro di Mosler (1994) svolge un ruolo di
primaria importanza nel tema qui trattato. Mosler fu infatti il primo a porre così intensamente l’accento
sull’analisi del sistema di compensazione e liquidazione, fornendo in tal modo un sostegno alla teoria
post-keynesiana della moneta endogena.
Infine, come sottolineato da Wray in una bozza del suo nuovo libro:
“Anche altri che, in alcuni casi, avevano inizialmente avuto una visione critica di taluni aspetti di questo
approccio, hanno contribuito allo sviluppo di questa teoria: Charles Goodhart, Marc Lavoie, Mario Seccareccia,
Michael Hudson, Alain Parguez, RobParenteau, Marshall Auerback e Jamie Galbraith” (Wray2011A).
Poiché il mio nome è associato allo sviluppo di alcuni aspetti della moderna Modern Money Theory,
dovrebbe apparire ovvio che ne ho un’opinione molto favorevole, benché, come osservato da Wray,
possa nutrire alcune riserve su alcuni dei suoi aspetti.
Quali sono le argomentazioni o i tratti principali della Modern Money Theory presentata dagli autori
neo-cartalisti? Se ne possono individuare quattro principali.
Il primo, a cui si è già accennato sopra, è la questione dell’origine della moneta e l’affermazione che essa
è una creatura dello Stato.
Il secondo tema importante è la tesi che lo Stato debba agire in qualità di datore di lavoro di ultima
istanza (Employer of Last Resort o ELR), fornendo un’occupazione a chiunque lo desideri ma non
riesca a reperirla sul mercato privato. A ciò si lega anche il tema di come si possa raggiungere un livello
occupazionale molto elevato, o una condizione di piena occupazione, senza generare inflazione, poiché
secondo i neo-cartalisti il settore pubblico può costituire una riserva di lavoratori occupabili al settore
privato, quando questo decida di incrementare l’occupazione al suo interno. Esiste quindi un’importante
distinzione da fare tra le classiche politiche fiscali espansionistiche keynesiane e le politiche basate sul
datore di lavoro di ultima istanza, che si concentrerebbero maggiormente in aree a scarsa attività
economica.
3
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Un terzo tema è quello della politica fiscale. I neo-cartalisti intendono riaffermare l’importanza della
politica fiscale rispetto a quella monetaria, in contrasto con il ruolo a essa riservato dalla teoria
macroeconomica dominante. In questo contesto hanno riesumato il ruolo della finanza funzionale in
contrasto a quello della finanza solida, facendo ampi riferimenti all’opera di Abba Lerner (1943). Fanno
anche ampio uso del concetto di three-balance identity formulato soprattutto da Wynne Godley (1999A) e
dalla New Cambridge School, nel tentativo di dimostrare che il settore privato nazionale può accumulare
ricchezza finanziaria solamente se lo Stato accetta la crescita del debito pubblico (o, in un’economia
aperta, se il paese ha un bilancio corrente in attivo) ed evidenziando così che il disavanzo pubblico non è
necessariamente un male.
Un possibile quinto filone del neo-cartalismo, considerando i suoi legami con il pensiero di Hyman
Minsky, è quello dell’instabilità finanziaria, delle sue cause e dei suoi rimedi.
Anche se tutti i temi menzionati costituiscono importanti campi di indagine, in questa sede ci
concentreremo sul quarto filone di analisi affrontato dal neo-cartalismo, ossia quello dei meccanismi del
sistema di compensazione e liquidazione4,esaminandoli alla luce della relazione che intercorre tra le
transazioni del settore pubblico e il sistema monetario e del conseguente rapporto con la legittimità della
finanza funzionale. Ai meccanismi del sistema di pagamento e alla posizione dello Stato al suo interno si
lega la questione della definizione della moneta sovrana. I neo-cartalisti sostengono che le loro proposte
più controverse valgono unicamente nei paesi dotati di moneta sovrana, da cui l’importanza della
definizione data a quest’ultima.
Un altro tema importante del neo-cartalismo, collegato a questo, è la determinazione dei tassi di interesse,
in particolare del tasso interbancario overnight (Overnight Cash Rate - OCR) stabilito, che secondo alcuni
neo-cartalisti dovrebbe essere in termini nominali pari a zero (Forstater and Mosler 2005). Ma anche
questo tema non verrà qui analizzato4.
Prima di passare a discutere delle proposte neo-cartaliste relative al sistema di compensazione e
liquidazione e delle loro implicazioni per la finanza pubblica, ritengo sia utile prendere in esame il
rapporto che intercorre tra i post-keynesiani in generale e i neo-cartalisti. Come osservato
nell’introduzione, la maggioranza dei teorici del neo-cartalismo o dei loro sostenitori erano economisti
post-keynesiani ben noti che però nei blog sembrano aver acquisito un’identità a sé stante, a volte
persino indicando tra le righe che tra essi e i post-keynesiani sussistono delle incomprensioni o persino dei
disaccordi. Esiste infatti un elemento di sfiducia nei confronti del neo-cartalismo da parte di molti postkeynesiani, che considerano le proposte neo-cartaliste eccessivamente estremistiche, al tempo stesso
restando sconcertati di fronte all’atteggiamento militante di alcuni dei loro fautori o sostenitori. Su
questa duplice causa di sfiducia ritorneremo più avanti.
Anche gli osservatori esterni sembrano essere coscienti dell’esistenza di una certa tensione tra neocartalisti e(altri) post-keynesiani, come evidenziato da questa osservazione apparsa su un blog:
“Nel mondo post-keynesiano sembra esserci ancora un dibattito aperto sul fatto che il cartalismo (riguardo al
quale sono personalmente ancora alquanto scettico) vada visto come movimento di pensiero in opposizione o in
collegamento con il circuitismo (che io trovo convincente)” (Brazelton 2010).
A questo, Scott Fullwiler (2010), che è senza dubbio uno dei teorici più precisi della MMT, fornisce una
risposta molto decisa, ma anche piuttosto indicativa:
“Ma dove? Ai miei occhi non sembra sussistere alcun dibattito, almeno tra i veri cartalisti e i veri circuitisti,
sul fatto che il denaro delle banche sia endogeno/orizzontale. Sul circuito monetario, o denaro orizzontale,
siamo tutti d’accordo. Infatti esistono ben poche differenze fra il paradigma complessivo proposto da cartalisti
e circuitisti/orizzontalisti, come Marc Lavoie e Mario Seccareccia”. Qui, Fullwiler nega l’esistenza di reali
divergenze di opinione tra neo-cartalisti e post-keynesiani, ma non senza volerci qui addentrare in un
riesame dell’intero dibattito tra orizzontalisti e strutturalisti post-keynesiani sul tema del denaro, è
opportuno ricordare che le procedure più trasparenti poste in essere dalle banche centrali negli ultimi
4Una
questione che andrà affrontata in futuro è quella delle implicazioni a lungo termine della spesa a deficit dello Stato, quando viene
ripristinata la piena occupazione e i flussi commerciali sono ritornati normali. Un primo tentativo di esaminare questo tema si ritrova nei lavori
di Godley e Lavoie (2007A), Martin (2008), e Pucci e Tinel (2010).
4
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
due decenni hanno difeso la posizione orizzontalista (Lavoie 2005), e lo stesso vale per gli studi compiuti
dai neo-cartalisti sul sistema di compensazione e liquidazione (Wray 2006). La difficoltà da parte di
alcuni post-keynesiani di accettare talune argomentazioni neo-cartaliste può quindi essere attribuita,
almeno in parte, alla loro scarsa disponibilità ad affrontare i meccanismi del sistema di compensazione e
liquidazione e la posizione orizzontalista.
In risposta a un’ulteriore domanda sulla compatibilità tra neo-cartalismo e post-keynesianismo, e in
particolare sullo scetticismo espresso nei confronti del neo-cartalismo da alcuni post keynesiani, come
Steve Keen (egli stesso un Minskyano), Fullwiler (2010) riafferma che non esiste una differenza
significativa tra la visione della moneta endogena espressa dai neo-cartalisti e quella degli orizzontalisti
post-keynesiani: “Numerosi autori, tra cui Keen, ritenevano esistesse una certa incoerenza tra
MMT/cartalismo e moneta endogena. Penso di aver spiegatola questione a Keen sufficientemente da
convincerlo che tale incoerenza non esiste, ma non ne sono certo poiché questa visione è tuttora espressa da
numerosi commenti pubblicati da chi scrive sul suo sito. Come ho detto, però, vi sono orizzontalisti, come Marc
Lavoie, che affermano che fondamentalmente noi impieghiamo lo stesso modello da lui impiegato per il denaro
pubblico e il denaro delle banche”.
Alla luce di tutto questo dovrebbe risultare evidente che se sollevo delle obiezioni in merito alla visione
neo-cartalista della creazione della moneta e dei meccanismi del sistema di pagamento, non si tratta
questioni di contenuto ma di forma.(sottolineatura aggiunta da Epic, nel testo originale la presente
affermazione non viene presentata con sottolineature)
Anzi, si può senz’altro affermare che i neo-cartalisti condividono molti elementi della politica monetaria
con altri post-keynesiani, e in particolare con i post-keynesiani orizzontalisti e con i circuitisti. Senza
addentrarsi in ulteriori commenti, può essere utile semplicemente elencare quali sono i fattori condivisi
con i post-keynesiani:
primo, la creazione di moneta è endogena;
secondo, i prestiti erogati si trasformano in depositi, e i depositi costituiscono le riserve (Wray 2002, p.
25). Ovviamente, come dimostrato dalla crisi dei subprime, quest’ultima affermazione vale solamente in
tempi normali, quando il tasso di interesse della Banca Centrale non si colloca al livello più basso del
corridoio dei tassi di interesse, delineato dai tassi di interesse su crediti e depositi alla Banca Centrale;
terzo, le operazioni della Banca Centrale sono essenzialmente di tipo difensivo, poiché essa mira a
mantenere un equilibrio tra le riserve fornite e la domanda esistente;
quarto, l’obiettivo operativo della Banca Centrale è quindi relativo al tasso d’interesse overnight (OCR)
e non alla massa monetaria disponibile. Tutto questo è detto esplicitamente da Warren Mosler (1994, p. 3)
quando afferma che “la politica monetaria definisce il prezzo del denaro, che ne determina solo indirettamente
la quantità. Verrà dimostrato che lo strumento principale della politica monetaria è il tasso di interesse
overnight…Il moltiplicatore valutario è invertito. Sono le variazioni di disponibilità della moneta a modificare
le riserve bancarie e la base monetaria, e non viceversa”;
quinto, i crediti concessi dalle banche dipendono dall’affidabilità dei loro clienti e non dalla disponibilità
di riserve in eccesso5;
sesto, lo strumento delle riserve obbligatorie serve ad appianare la domanda di riserve e a ridurre le
fluttuazioni dei tassi di interesse overnight, e non a controllare gli aggregati monetari;
settimo, in un sistema a corridoio il tasso di interesse overnight fissato può essere modificato
raggiungendo l’obiettivo prestabilito senza alcuna modifica quantitativa delle riserve (Fullwiler 2008);
infine, la capacità della Banca Centrale di fissare dei tassi di interesse è legata al fatto che le banche
devono rendere conto alla Banca Centrale, un fatto spesso illustrato affermando, in maniera molto meno
illuminante, che la Banca Centrale detiene il monopolio sulla creazione di moneta a elevato potenziale.
5Questo
non era certamente chiaro a Krugman (2011) che, in uno dei suoi scritti critici sulla MMT,afferma che se le banche hanno accesso a
maggiori riserve: “le possibilità di concedere finanziamenti esistono, quindi le banche non terranno mai ferme le nuove riserve acquisite ma le
trasformeranno in valuta da prestare agli individui.
5
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Ma la Modern Money Theory ha anche ulteriori elementi in comune con la teoria circuitista francese e
italiana, e forse è proprio per questo che un circuitista come Alain Parguez ha iniziato ben presto a dare
il proprio sostegno al neo-cartalismo. Secondo la teoria circuitista esiste una sequenza precisa con la
quale i vari fattori entrano nel circuito monetario. Dapprima le imprese contraggono prestiti con le
banche e spendono quel denaro per pagare i salari (nonché i dividendi sulle azioni pre-esistenti); poi, in
una seconda fase, ottengono i mezzi necessari a finanziare interamente i propri costi attraverso la vendita
di prodotti e di attività finanziarie. Secondo la teoria neo-cartalista, il meccanismo è molto simile: il
governo (federale) prima contrae prestiti con la Banca Centrale e spende, e poi, in una fase successiva,
garantisce le proprie entrate finanziarie attraverso il fisco e la vendita di attività finanziarie al settore
privato. Come afferma Pavlina Tcherneva (2006, p. 70) “a livello logico, e pratico, la spesa pubblica precede
la riscossione delle imposte”, affermazione riscontrabile anche negli scritti di altri neo-cartalisti, come
Forstater e Mosler (2005, p. 537) ed anche in Parguez (2002, p. 88) e Bougrine e Seccareccia (2002, p. 71).
Esiste quindi una simmetria che lega circuitismo e neo-cartalismo. Nel primo il consumatore non può
effettuare acquisti fino a quando non viene pagato mentre nel secondo le famiglie non possono versare le
imposte dovute finché non ricevono la valuta della Banca Centrale; e le istituzioni finanziarie non
possono acquistare titoli pubblici prima di aver acquisito le riserve necessarie a farlo. Esiste quindi
un’interdipendenza tra circuitisti e neo-cartalisti che infatti, in alcuni casi, esprimono per iscritto il
proprio reciproco sostegno, come fa Bell (2003).
Nonostante questi stretti legami tra neo-cartalisti e altri post-keynesiani, va sottolineato che esiste una
seconda ragione che induce parecchi post-keynesiani a sposare il neo-cartalismo o Modern Money Theory.
Come la versione orizzontalista della teoria monetaria post-keynesiana negli anni ’80 scatenò una
reazione da parte di alcuni che ne ritenevano estremistiche le posizioni, così è avvenuto con il neocartalismo nel primo decennio di questo secolo. Nel corso di questi anni io stesso ho ritrovato una decina
di critiche formulate da vari studiosi di neo-cartalismo, di cui la più generale è quella pubblicata da
Perry Mehrling (2000). La metà di queste critiche si concentra sul concetto di Stato come datore di
lavoro di ultima istanza (Employer of Last Resort – ELR), come avvenuto nei lavori di Lopez-Gallardo
(2000), Aspromourgos(2000), Kadmos e O’Hara (2000), King (2001), Sawyer (2003), e Seccareccia (2004).
L’altra metà delle critiche hanno riguardato la visione monetaria, come avvenuto negli articoli di
Parguez e Seccareccia (2000), Gnos e Rochon (2002), Rochon e Vernengo (2003), Van Lear (2002-03), e
Febrero (2009).
Se formulare critiche e controbattere costituisce una sana attività in ogni ambito scientifico, a volte i
neo-cartalisti sembrano reagire alle critiche in maniera eccessiva, anche nei confronti di autori che sono
fondamentalmente dalla loro parte. A mio avviso, ad esempio, le osservazioni sulla Modern Money
Theory formulate da Eladio Febrero erano ben documentate e meritevoli di discussione, ma benché
Febrero (2009, p. 524) avesse concluso che “le implicazioni di politica economica che nascono dal neocartalismo sono essenzialmente corrette”, Fullwiler accantonò lo studio definendolo di scarso interesse e
carente dal punto di vista della ricerca6
Anche il lavoro di Malcolm Sawyer (2003) fu oggetto di una replica dura da parte di Mitchell e Wray
(2005) e di Forstater (2005), che definirono le critiche mosse da Sawyer superficiali e largamente basate
su opinioni prese a prestito da altri.
“Il lavoro di Febrero è assolutamente orribile. Nessun cartalista lo prende sul serio, perché del cartalismo dà un’interpretazione
assolutamente fuorviante… Se avesse letto la letteratura cartalista anziché quella di chi il cartalismo lo critica, forse se ne
sarebbe reso conto.” (Fullwiler 2010).
6
6
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Anche a otto anni di distanza, alcuni dei sostenitori della ELR non erano ancora andati oltre a questo
punto. In seguito alle critiche alla MMT formulate da Paul Krugman, accusato di dare una
rappresentazione distorta del neo-cartalismo, basata più sugli scritti dei suoi detrattori che su un’analisi
dei lavori originali sulla MMT, Sawyer venne nuovamente accusato dello stesso errore metodologico in
un blog neo-cartalista.7
Nel corso degli anni ho avuto modo di ascoltare numerosi interventi tenuti da Malcolm Sawyer, e posso
testimoniare che la sua visione della politica fiscale è molto vicina a quella espressa dai neo-cartalisti.
Anzi, egli è uno dei pochi economisti, o addirittura degli economisti eterodossi, che continuano a
esprimersi a favore di un uso attivo della politica fiscale e che offrono un esplicito sostegno alla finanza
funzionale, come fanno i neo-cartalisti (Sawyer 2010).
Le sue opinioni, come le mie o quelle dei neo-cartalisti, si sono evolute negli ultimi anni, e forse può aver
cambiato idea su alcune delle cose che aveva affermato nel 2003, soprattutto in materia monetaria, ma
non ha alcun senso ritornare su disaccordi del passato quando ci si trova ormai largamente d’accordo8.
Questo tipo di discussioni, oltre alle reazioni aggressive da parte di alcuni sostenitori non-accademici del
neo-cartalismo estranei al mondo accademico ogni qualvolta viene espresso un pensiero non
perfettamente coincidente con il proprio, inducono molti economisti post-keynesiani a guardare al neocartalismo con un certo sospetto, per non dire timore. In considerazione di tutto questo, i lettori non
saranno sorpresi di notare che nelle considerazioni che seguono mi baserò unicamente sulle fonti originali
del neo-cartalismo, evitando per quanto possibile di citare qualsiasi fonte secondaria! Se interessato,
chiunque potrà cercare personalmente la conferma delle principali tesi di politica monetaria espresse dai
neo-cartalisti, quali Mosler (1994, 1997-98), Wray (1998, 2002), Fullwiler (2003, 2008), Tcherneva (2006),
oltreai numerosi contributi informativi offerti sul blog di Bill Mitchell.
Nel corso degli anni ho avuto modo di ascoltare numerosi interventi tenuti da Malcolm Sawyer, e posso
testimoniare che la sua visione della politica fiscale è molto vicina a quella espressa dai neo-cartalisti.
Anzi, egli è uno dei pochi economisti, o addirittura degli economisti eterodossi, che continuano a
esprimersi a favore di un uso attivo della politica fiscale e che offrono un esplicito sostegno alla finanza
funzionale, come fanno i neo-cartalisti (Sawyer 2010).
Le sue opinioni, come le mie o quelle dei neo-cartalisti, si sono evolute negli ultimi anni, e forse può aver
cambiato idea su alcune delle cose che aveva affermato nel 2003, soprattutto in materia monetaria, ma
non ha alcun senso ritornare su disaccordi del passato quando ci si trova ormai largamente d’accordo8.
Questo tipo di discussioni, oltre alle reazioni aggressive da parte di alcuni sostenitori non-accademici del
neo-cartalismo estranei al mondo accademico ogni qualvolta viene espresso un pensiero non
perfettamente coincidente con il proprio, inducono molti economisti post-keynesiani a guardare al neocartalismo con un certo sospetto, per non dire timore. In considerazione di tutto questo, i lettori non
7“Questo
tipo di ricerca da quattro soldi si ritrova in un articolo pubblicato nel 2004 sul Journal of Economic Issues dal Professor
Malcolm Sawyer che attacca il concetto di Job Guarantee (Occupazione Garantita). L’autore ha scelto di illustrare il pensiero del
Professor RandyWray e di me stesso citando solo fonti secondarie, di autori che non soltanto criticavano il nostro lavoro (cosa che ha
influenzato il modo in cui lo hanno rappresentato) ma non l’avevano nemmeno capito (come evidenziato chiaramente da una serie di
affermazioni erronee sull’economia monetaria)” (Mitchell 2011). E come se questo non bastasse, la questione venne nuovamente
ripresa con un ulteriore attacco a Sawyer da parte Bill Mitchell un paio di settimane più tardi: “RandyWray ed io ci siamo trovati
invischiati in una disputa accademica con un economista inglese cosiddetto “progressista”, Malcolm Sawyer, che ha scritto un articolo
di critica della Job Guarantee… di cui Sawyer offre una descrizione basata non già sulle fonti primarie, ossia il lavoro scritto (e
pubblicato)da noi,ma sulla descrizione fornita dai nostri detrattori”. (Mitchell 2011).
8Le opinioni di Sawyer sul rapporto tra deficit pubblico e moneta sono molto più chiare nella risposta con cui controbatte ai suoi
critici (Sawyer 2005) e in cui emerge una posizione piuttosto vicina a quella dei neo-cartalisti, mentre nel suo lavoro
iniziale(Sawyer 2003) le sue opinioni su questo tema erano, a mio avviso, alquanto confuse.
7
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
saranno sorpresi di notare che nelle considerazioni che seguono mi baserò unicamente sulle fonti originali
del neo-cartalismo, evitando per quanto possibile di citare qualsiasi fonte secondaria! Se interessato,
chiunque potrà cercare personalmente la conferma delle principali tesi di politica monetaria espresse dai
neo-cartalisti, quali Mosler (1994, 1997-98), Wray (1998, 2002), Fullwiler (2003, 2008), Tcherneva (2006),
oltreai numerosi contributi informativi offerti sul blog di Bill Mitchell.
Le affermazioni paradossali del neo-cartalismo
Come è noto, i neo-cartalisti e la scuola della UMKC ritengono che lo Stato debba agire da datore di
lavoro di ultima istanza (Employer of Last Resort - ELR) per i lavoratori disoccupati. Tale approccio va
anche sotto il nome di programma di Job Guarantee (occupazione garantita) o “programma di
occupazione con buffer stock” (buffer stock employment program), denominazioni impiegate
all’Università di Newcastle in cui tali concetti hanno conosciuto uno sviluppo indipendente. E’ mia
opinione che l’importanza attribuita all’analisi della modalità con la quale lo Stato potrebbe finanziare la
propria spesa, e quindi all’indagine dei meccanismi di compensazione e liquidazione, derivi dal desiderio
di dimostrare che ci sarebbe sempre la possibilità di finanziare i programmi di ELR. Era intenzione dei
neo-cartalisti dimostrare che il concetto di finanza funzionale andava considerato con molta serietà,
sebbene potesse indurre una crescita marcata del disavanzo pubblico, poiché, almeno in certe condizioni,
non esisteva per un governo centrale alcun problema a finanziare un importante debito pubblico.9
Sotto questo profilo, la tesi principale del neo-cartalismo può essere vista come una reazione alle classiche
argomentazioni del crowding-out, secondo le quali il disavanzo pubblico induce o un aumento
incontrollato dell’inflazione o una crescita dei tassi di interesse. Secondo una delle tesi principali del neocartalismo il deficit pubblico tenderebbe invece a ridurre i tassi di interesse, o, più precisamente, i tassi di
interesse overnight. I neo cartalisti sostengono pertanto che, in determinate condizioni, non può
sussistere alcun vincolo finanziario alla spesa pubblica. I vincoli, se esistono, sono vincoli politici
autoimposti artificialmente, o vincoli della supply side, ad esempio nel caso in cui la capacità produttiva
è stata materialmente menomata da un evento esterno, o quando si è raggiunta la piena occupazione, nel
qual caso i programmi di ELR possono comunque essere gradualmente soppressi.
E’ importante sottolineare che i neo-cartalisti non sostengono che la loro ricetta sia applicabile sempre e
comunque, ma che lo sia unicamente nei paesi con “moneta sovrana” (USA, Canada, Giappone,
Australia) (Wray 2002, p. 24). Esistono vari gradi di sovranità monetaria, ed essa è massima nel caso di
un paese in cui la valuta interna è usata come unità di conto, dove le imposte e la spesa pubblicavengono
pagate con questa moneta nazionale, dove la Banca Centrale è libera da vincoli, dove i titoli pubblici
sono emessi nella valuta interna ed esiste un regime di pura fluttuazione dei tassi di cambio10.
9Mi
sono reso conto a posteriori che questa era già la mia opinione nella mia recensione del libro di Wray (1998) che affermava
che lo scopo della sua illustrazione della creazione di moneta era quello di “alleviare i timori legati al disavanzo pubblico
dimostrando che esso svolge un ruolo positivo nelle economie capitaliste monetizzate. Pertanto, la possibilità che un programma
di ELR possa causare un forte deficit pubblico non dev’essere vista come un ostacolo alla sua applicazione” (Lavoie 1999, p.
370).
10I neo-cartalisti, pertanto, sono a favore di una flessibilità dei tassi di cambio, mentre diversi altri post-keynesiani – sebbene
non certo tutti – sostengono un regime di tassi di cambio fissi: altro motivo di controversia! “In termini molto realistici, un paese
che adotta un sistema di tassi di cambio fissi cede gran parte della propria sovranità… Gli economisti eterodossi che adottano
l’approccio della ‘moneta endogena’ e, al tempo stesso, si dichiarano a favore dei tassi di cambio fissi sembrano non capire che in
una situazione di questo tipo la Banca Centrale non potrebbe esercitare un controllo esogeno sui tassi overnight.” (Wray 2002, p.
36). I tassi di interesse divengono endogeni nel senso che è probabile che il tasso stabilito dalla Banca Centrale possa essere
influenzato da un deficit della bilancia dei pagamenti (Wray 2006). Quando però un paese ha un saldo attivo, come dimostra
chiaramente il caso della Cina, questa pressione viene a mancare e quindi, a mio avviso, i tassi di interesse rimangono ‘esogeni’.
8
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
In particolare, va ricordato che gli autori neo-cartalisti erano estremamente critici nei confronti della
creazione dell’Eurozona e del sistema monetario europeo e avevano previsto i problemi finanziari che
sarebbero insorti in alcuni dei paesi dell’Eurozona, proprio perché essi non avrebbero avuto una moneta
sovrana nei termini prima illustrati (in quanto alla Banca Centrale europea non era concesso acquistare
direttamente il debito sovrano dei paesi stessi). Non si può quindi ricorrere all’esempio di paesi come la
Grecia, l’Irlanda o il Portogallo, o anche la Spagna e l’Italia, per controbattere alle teorie sostenute dai
neo-cartalisti.(sottolineatura aggiunta da Epic, manca nell’originale).
Come già detto da Fullwiler, mi trovo d’accordo con molte affermazioni dei neo-cartalisti in rapporto al
nesso monetario-fiscale. Il mio timore è che da parte loro il desiderio di dimostrare che non esistono
ostacoli finanziari all’introduzione di un programma di ELR o di altri programmi di spesa pubblica sia
così intenso da rischiare di rendere i loro sforzi controproducenti. A quanto ho constatato, quando i miei
studenti leggono per proprio conto articoli come quello di Stephanie Bell (2000) che negano che la spesa
di un paese debba essere finanziata dal gettito fiscale e dai titoli di debito pubblico, tutti loro, anche i più
aperti intellettualmente, rimangono molto interdetti. Se da un lato alcune affermazioni apparentemente
paradossali dei neo-cartalisti sembrano giustificate – ad esempio quando si dice che uno Stato non è
sottoposto ai vincoli bilancio simili a quelli di una famiglia, o che avere un bilancio pubblico in attivo
non significa necessariamente allentare la pressione sui tassi di interesse od offrire ai privati maggiore
disponibilità di prestito, o, ancora, che un bilancio pubblico in attivo in questo momento non servirà a
far fronte alla domanda futura di una popolazione che sta invecchiando, ogni altra affermazione
potrebbe essere superflua, una volta accettate queste tre condizioni. Per esempio, è’ proprio necessario
dire, come fa Wray (2011B, p. 158-9), che il ruolo del prelievo fiscale non è quello di finanziare la spesa
pubblica, che il governo federale non prende a prestito il capitale privato per finanziare il proprio deficit
o che la persistenza prolungata di un bilancio pubblico in rosso non aumenterà la pressione fiscale per le
generazioni future? Benché, come vedremo più avanti, queste tre affermazioni non siano prive di una
logica intrinseca, c’è il rischio che queste dichiarazioni paradossali finiscano per fare più male che bene al
tentativo di convincere gli economisti che non sussistono vincoli finanziari per uno Stato dotato di
sovranità monetaria. C’è anche un problema terminologico, che implica il rischio che le parole assumano
significati leggermente diversi da quelli comunemente intesi11. Partiamo dal problema terminologico di
più semplice soluzione. I neo-cartalistisono giunti a parlare di una componente orizzontale e di una
componente verticale della moneta, aggiungendo che la prima rappresenta una quota leveraged della
seconda. Gli esempi sono numerosi:
“Si può concepire una componente verticale del processo di offerta di moneta che consiste nell’erogazione da
parte dello Stato di moneta fiat; la moneta scende verticalmente dallo Stato al settore privato (…) D’altro
canto, il processo di offerta di moneta da parte delle banche rappresenta un processo orizzontale, che può essere
visto come una sorta di leveraging della moneta fiat verticale accumulata”. (Wray 1998, p. 111);
“L’attività orizzontale rappresenta un’attività leveraged della componente verticale (…) La creazione di
prestiti bancari con i relativi depositi costituisce un leveraging monetario...”(Mosler e Forstater 1999, p. 168).
Una figura che illustra questo uso di una componente verticale leveraged è presentata anche da Wray
(1998, p. 112) e da Mitchell and Muysken (2008, p. 214).
Senza dubbio, l’impiego di questa terminologia ha indotto una certa confusione tra gli economisti
eterodossi come Keen (come appare evidente dalla osservazione di Fullwiller prima citata) o come
Parguez e Seccareccia (2000, p. 120) o Febrero (2009). In realtà, basandosi sul testo di Basil Moore (1988),
gli autori eterodossi spesso associano una componente verticalista alla disponibilità di moneta di origine
esogena, mentre il leveraging è associato alla teoria del moltiplicatore del denaro che Mosler stesso aveva
precedentemente abbandonato. A chiunque abbia dedicato abbastanza tempo alla lettura approfondita
dei lavori del neo-cartalisti appare evidente che essi non sostengono nulla che si avvicini anche
vagamente all’idea di una moneta esogena a elevato potenziale o di un meccanismo moltiplicatore.
11Ancora
una volta, mi sono reso conto a posteriori di aver espresso un concetto simile in Lavoie (1999, p. 371), sostenendo che
“tali affermazioni sono logiche eppure fuorvianti perché le definizioni non corrispondono alla loro accezione comune”.
9
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Personalmente, non vedo che utilità possa avere fare riferimento a componenti verticali o a componenti
orizzontali leveraged, eppure queste espressioni continuano ad essere utilizzate mentre dovrebbero invece
essere accantonate12. Un’altra affermazione problematica è quella secondo cui lo Stato dovrebbe, almeno
a lungo termine, operare in regime di deficit di bilancio perché la gente potesse avere accesso a una
maggiore liquidità (denaro ad elevato potenziale). Nelle parole di Wray (1998, p. 123) “I deficit persistenti
sono la normalità”, ossia “normalmente, l’insieme delle imposte dovrebbe essere inferiore alla spesa pubblica
complessiva poiché la gente preferisce mantenere delle riserve di moneta fiat” (Wray 1998, p. 81).
Nel caso in cui lo Stato operasse in un regime di saldo attivo prolungato, la gente “perderebbe la propria
tesaurizzazione netta” (Wray 1998, p. 79). Se, da un lato, mi trovo perfettamente d’accordo sul fatto che
in un ambiente in fase di crescita il deficit pubblico sia opportuno in quanto fornisce una garanzia di
capitale al settore privato, che può crescere parallelamente al capitale dei privati stessi, presumibilmente
meno sicuro, trovo che sostenere che il disavanzo pubblico sia necessario per rispondere alla domanda di
liquidità sia ben diverso. Anche se uno Stato continua ad operare in pareggio di bilancio, la Banca
Centrale può fornire liquidità ogni volta che concede anticipazioni al settore privato. Lo stesso Wray
(1998, p. 79-80) lo riconosce, aggiungendo che “un attivo nei conti del Tesoro è possibile purché la Banca
Centrale inietti riserve nel sistema mediante l’acquisto di assets o il prestito di riserve”.
A quanto sembra, come vedremo tra un attimo, per Wray la spesa pubblica complessiva include la ‘spesa’
sostenuta dalla Banca Centrale nel momento in cui acquista consistenze attive o crediti dai privati
portandole in attivo nel proprio bilancio. Questo, però, è un modo strano di definire la spesa pubblica.
Questo passo è spesso ignorato perché i neo-cartalisti preferiscono riunire la Banca Centrale e la pubblica
amministrazione in un’unica entità: lo Stato. Questa unificazione concettuale non è di per sé illogica e la
si ritrova a volte in altri autori, come ad esempio Godley (1999B). Questo consolidamento è però
inopportuno in questo contesto poiché crea ulteriore confusione nei lettori già in difficoltà nel tentativo
di comprendere i meccanismi del sistema di compensazione e liquidazione e abituati a pensare allo Stato
e alla Banca Centrale come a due unità distinte. Wray è stato uno dei principali fautori di questa
unificazione concettuale, ritenendo che servisse a rendere tutto più semplice: “L’unica logica che è
necessario comprendere è che lo Stato ‘spende’ emettendo le proprie passività… trasferendo riserve monetarie al
sistema bancario.”(Wray 2002, p. 32). Ma egli stesso riconosce che ciò lascia confusi numerosi suoi
colleghi:“Una Banca Centrale può acquistare il debito del Tesoro e accreditare sul deposito del Tesoro presso
la Banca Centrale stessa, ma ciò non ha alcun impatto sulle riserve del sistema bancario fino a quando il
Tesoro impiega i propri depositi (…) Pertanto si dovrebbero ignorare i movimenti puramente interni che
coinvolgono solamente la Banca Centrale e il Tesoro, ed è questo che giustifica il consolidamento dei loro conti
(…) A molti economisti questo ragionamento appare estremamente ostico…“(Wray 2003, p. 92)13.
Ecco quindi che questa fusione tra Tesoro e Banca Centrale porta a ignorare la prima fase, la vendita di
titoli di Stato alla Banca Centrale, vista come una semplice transazione interna.
Se si accetta questa fusione concettuale di Banca Centrale e Stato in un’unica entità, cominciano ad
acquistare senso anche altre affermazioni molto controverse. Come accennato all’inizio del capitolo,
un’altra tesi che colpisce dei neo-cartalisti è quella secondo cui la spesa pubblica non sarebbe finanziata
né dalle entrate fiscali né dai titoli di Stato. E’ una tesi sostenuta più e più volte: “Il Tesoro non ha
‘necessità’ di raccogliere denaro per poter spendere a deficit” (Wray 1998, p. 117);
“Non sono le tasse a finanziare la spesa” (Forstater e Mosler 2005, p. 538);
“… In realtà, in base a qualsiasi definizione sensata del termine ‘finanziare’, né il gettito fiscale né i titoli di
--Stato servono veramente a finanziare la spesa pubblica” (Bell e Wray 2002-03, p. 269);
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------12Sempre in Lavoie (1999, p. 371), affermo che “se le riserve bancarie sono endogene fino al livello richiesto, allora l’espressione
‘leverage’ non sembra appropriata”. Perché non ricorrere a espressioni standard, come “inside money” e “outside money”?
In realtà numerosi economisti trovano questo poco chiaro, e molti altri, come Gnos and Rochon (2002, p. 54), ritengono errato procedere a
questa unificazione.
13
10
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
“Indubbiamente, sembra che lo scopo del prelievo fiscale e della vendita di titoli di Stato sia quello di
finanziare la spesa (…) Le tasse potrebbero quindi essere viste come uno strumento per creare e mantenere la
domanda di denaro pubblico, mentre i titoli di Stato (…) servirebbero a mantenere positivi i tassi di interesse
overnight” (Bell 2000, p. 613-4);
“In altri termini, lo Stato spende semplicemente accreditando su un conto bancario privato presso la Banca
Centrale. Operativamente parlando questo processo è indipendente da qualsiasi entrata pregressa, compresa
quella derivante dalle imposte o dalla vendita di titoli pubblici” (Mitchell e Muysken 2008, p. 209).
Come già detto, a mio avviso queste affermazioni sono basate sul presupposto della fusione concettuale
nonché su quello che lo Stato venda i propri titoli alla Banca Centrale.
La Tabella 1 illustra il modo in cui, nella visione neo-cartalista, gli Stati possono finanziare la spesa
pubblica quando sono dotati di moneta sovrana. La prima fase, riportata sulla prima riga della tabella,
coinvolge solamente lo Stato e la Banca Centrale, poiché il Tesoro emette e vende titoli che vengono
acquistati dalla Banca Centrale. Questa è la fase spesso ignorata dai neo-cartalisti per i quali Stato e
Banca Centrale si sovrappongono14. Il presupposto dal quale si parte in questo caso è che 100 unità
monetarie(dollari, sterline) vengano emesse e quindi vendute. La seconda fase vede il coinvolgimento del
settore bancario privato, poiché nel momento in cui lo Stato spende le 100 unità di valuta, ad esempio
pagando gli stipendi dei dipendenti pubblici, il denaro viene trasferito dai depositi dello Stato presso la
Banca Centrale ai conti dei dipendenti pubblici presso le banche commerciali.
Con il passaggio di questi pagamenti attraverso il meccanismo di compensazione e liquidazione, le
banche commerciali maturano un saldo di liquidazione positivo nella stanza di compensazione, che a fine
giornata dovrà venire trasferito come saldo attivo del loro conto alla Banca Centrale, costituendo in tal
modo una riserva bancaria pari a 100 unità di valuta. A meno che la Banca Centrale non esegua
un’operazione di compensazione, non c’è nulla che le banche commerciali nel loro complesso possano fare
per liberarsi di tali riserve accumulate. La terza fase riportata nella Tabella 1 è il risultato di tale azione
di compensazione. Supponiamo che le famiglie decidano di tenere altre10 unità monetarie sotto forma di
banconote e di conservare le restanti 90 sotto forma di deposito. Supponiamo anche che venga richiesto
un livello minimo obbligatorio di riserve pari al 10% sui depositi presso le banche commerciali. Una
volta che le famiglie hanno prelevato 10 unità di valuta allo sportello bancomat, e la Banca Centrale ha
fornito i liquidi necessari alla sostituzione, le banche commerciali rimangono con un livello di riserve pari
a 90 unità, il che significa 81 unità in eccesso, che in questo caso saranno assorbite da operazioni sul
mercato libero, con le banche commerciali che decidono di acquistare titoli di Stato per 81 unità che
renderanno degli interessi invece di mantenere le riserve infruttifere, o con una redditività
presumibilmente inferiore a quella dei titoli di Stato.15
14 E’ interessante notare che quando Mosler (1994, p. 13) effettua un’analisi analoga parte, e giustamente, dall’ipotesi che i depositi presso la
Banca Centrale vengano ridotti di 100 unità. Ma non si parla di come lo Stato alimenti o ri-alimenti il suo conto presso la Banca Centrale. Bell
(1999) invece include questo primo passaggio nella sua Figura 1 che rassomiglia molto alla Tabella 1 qui contenuta.
15 L’operazione di compensazione può avvenire tramite un’operazione di pronti contro termine o un trasferimento dei depositi dello Stato dai
suoi conti presso le banche commerciali a quelli presso la Banca Centrale. La Banca Centrale può anche decidere di emettere titoli propri al fine
di ridurre le riserve in eccesso.
11
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Tabella 1: La visione neo-cartalista del deficit spending.
BancaCentrale
BancheCommerciali
Attivo
Passivo
Attivo
Passivo
Buoni del Tesoro +100
Depositi del Governo +100
Buoni del Tesoro +100
Depositi delle Banche +100
Riserve +100
Depositi delle Famiglie +100
Buoni del Tesoro +19
Depositi delle banche +9
Banconote +10
Riserve +9
Depositi delle Famiglie +90
Buoni del Tesoro +81
Il risultato sorprendente di questo processo di spesa pubblica a deficit è che, se la Banca Centrale non
attiva delle operazioni di compensazione, il disavanzo pubblico fa scendere i tassi di interesse overnight o,
per dirla con Mosler (1994, p. 12), “la spesa a deficit (…) farebbe crollare il Fed Funds rate (interesse della
Banca centrale d’America)”. Devo ammettere che la prima volta che lessi queste parole nel 1995, quando
Pavlina Tcherneva, allora assistente di Mosler, mi inviò il suo articolo pubblicato nel 1994, ebbi la
sensazione che Mosler, nonostante il suo uso del conto a T (conto con rappresentazione del dare e l’avere,
la partita doppia), fosse uno dei tanti mitomani monetaristi di cui parlava Keynes nella sua General
Theory.
Siamo ormai talmente abituati al discorso dei fondi-prestiti e della curva IS/LM, secondo cui un aumento
della spesa pubblica tende a spingere verso l’alto i tassi di interesse, che è difficile prendere la distanze da
questo ragionamento.
Tuttavia una lettura approfondita del sistema di pagamento rivela che non si può fare altrimenti.
Quando lo Stato paga le proprie spese attraverso il proprio conto presso la Banca Centrale, al sistema di
compensazione vanno ad aggiungersi i saldi di liquidazione (riserve). Ciò tende a deprimere il tasso
overnight poiché le banche rimangono con un eccesso di riserve16 che le altre banche non vogliono
assorbire. Mantenere il tasso al livello fissato richiede un intervento difensivo da parte della Banca
Centrale.
E’ interessante notare che Joan Robinson aveva già fatto la medesima osservazione molti anni fa, e
meriterebbe quindi di essere considerata creatrice onoraria della Modern Money Theory17. Aveva infatti
affermato che: “Un deficit pubblico finanziato mediante prestiti della Banca Centrale ha degli effetti analoghi
a quelli dell’estrazione di oro da una miniera (…) poiché la Banca Centrale, erogando prestiti allo Stato,
aumenta la liquidità delle banche, proprio come avviene quando acquista titoli oppure oro (…). L’aumento del
denaro circolante, che si verifica in modo cumulativo fino a quando permane il deficit, tenderà a indurre un
calo dei tassi di interesse” (Robinson 1937, p. 88). Analogamente, la relazione tra Stato, Banca Centrale e
riserve valutarie era perfettamente chiara anche a Godley e Cripps (1983, p. 158): “La Banca Centrale
deve finanziare le operazioni dello Stato, ma questo di per sé non costituisce un problema. Gli assegni emessi
dallo Stato sono universalmente accettati, e quando vengono depositati nelle banche commerciali divengono
immediatamente delle ‘riserve’. Le banche possono sbarazzarsi in qualsiasi momento delle riserve in eccesso
acquistando obbligazioni” (Godley and Cripps 1983, p. 158).
16 Per questa ragione, come già detto prima, alcuni neo-cartalisti sostengono che il livello ‘naturale’ del tasso di interesse overnight dovrebbe
essere pari a zero poiché, senza misure difensive e senza pagamento di interessi sulle riserve, i deficit pubblici ridurrebbero a zero il tasso
overnight.
17Ed Nell ha portato alla mia attenzione questo fatto nel corso di una conferenza in onore di Alain Parguez, tenutasi a Ottawa nel maggio del
2011.
12
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Naturalmente, se lo Stato applica la tassazione questi effetti si invertono. Quando le tasse vengono
riscosse e il gettito fiscale viene accreditato nel conto dello Stato presso la Banca Centrale, il saldo
complessivo della liquidazione detenuta dalle banche diviene negativo e pertanto il livello di riserve delle
banche commerciali si riduce spingendo verso l’alto il tasso di interesse overnight18.
Si comprende meglio, a questo punto, l’affermazione di Bell, già citata, secondo la quale “Le tasse
potrebbero quindi essere viste come uno strumento per creare e mantenere la domanda di denaro pubblico,
mentre i titoli (…)servirebbero a mantenere positivi i tassi di interesse overnight” (Bell 2000, p. 613-4). Se
accettiamo le tesi espresse nella Tabella 1 possiamo concordare che lo Stato può inizialmente finanziare
la spesa pubblica mediante la vendita di titoli alla sua Banca Centrale. Si aumentano le imposte per
limitare la domanda aggregata, mentre i titoli di Stato vengono immessi sul mercato privato per evitare
un crollo dei tassi overnight. Ma se da un lato possiamo convenire sulle conseguenze di questa
impostazione all’interno di un sistema di compensazione e liquidazione, dobbiamo concludere che le
imposte e l’emissione di titoli di Stato non finanziano la spesa pubblica? Questo aiuta a comprendere il
processo di finanziamento? In particolare, è chiaro che perché lo Stato possa effettuare le proprie spese è
necessario che i titoli di Stato trovino un compratore, anche se solamente la Banca Centrale.
E possiamo dire altrettanto anche nel caso in cui la Banca Centrale non possa acquistare direttamente i
titoli di Stato? Affronteremo questo punto nel prossimo capitolo. La principale lezione da trarre dalla
Tabella 1 è che il governo centrale di un paese “sovrano”, ossia quello in cui lo Stato può vendere i propri
titoli alla Banca Centrale, può sempre finanziare la propria spesa o rinnovare il proprio debito ricorrendo
al credito della Banca Centrale. Se le banche non vogliono detenere titoli di Stato significa che
preferiscono conservare riserve a interesse zero piuttosto che una massa attiva che genera il pagamento
di interessi. Nei paesi in cui le riserve generano interessi in misura solitamente simile al tasso d’interesse
pagato sui titoli di Stato a breve termine, è ovvio che c’è ben poca differenza tra mantenere il debito
sotto forma di riserve bancarie o sotto forma di Buoni del Tesoro (gli operatori possono non voler
detenere obbligazioni a lungo termine per il maggior rischio di perdita di capitale).
Il default è praticamente impossibile, ed è per questo che i tassi di interesse sui titoli di Stato negli USA e
in Giappone sono così bassi nonostante l’enormità del debito pubblico.(sottolineatura aggiunta da Epic,
manca nel testo originale)
Proprio mentre scrivo, dopo che il 6 agosto 2011 la valutazione di Standard & Poor del debito pubblico
americano è scesa da AAA a AA+, il rendimento dei Buoni del Tesoro americani a 10 anni è calato al 2%
quando pochi mesi prima del declassamento era al 3,3%. Nel caso del Giappone, che ha visto la
valutazione di Standard &Poor’s scendere a AA- il 27 gennaio 2011,il rendimento dei titoli di Stato
decennali nazionali era dell’1% nonostante un rapporto debito/PIL superiore al 200%. Ovviamente, i
mercati ritengono il Giappone che sia in grado di pagare gli interessi su qualsiasi livello di debito
pubblico il governo accumuli.
Questo non vale però per numerosi paesi dell’Eurozona. Al tempo stesso, nell’agosto del 2011, nonostante
il rapporto di indebitamento in alcuni paesi europei fosse più ridotto, il rendimento dei Buoni del Tesoro
decennali oscillava tra il 10 e il 15% in Grecia, Portogallo e Irlanda e tra il 3,1 e il 5,2% in Italia, Spagna,
Belgio e Francia. Nel caso del Canada, che effettivamente aveva un rapporto di indebitamento minore, il
dato era pari al 2,4%. Che differenza c’è tra Canada, Stati Uniti e Giappone da un lato e i paesi europei
dell’Eurozona dall’altro? Affronteremo questo interrogativo nel prossimo capitolo.
18
Un elenco di questi effetti è fornito da Bougrine e Seccareccia (2002, p. 69).
13
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Variazioni sulla tesi principale dei neo-cartalisti
Fino a questo punto siamo partiti dal presupposto che la Banca Centrale fosse in grado di acquistare
titoli di Stato sul mercato primario o fornire anticipazioni dirette al governo centrale. Ma se non fosse
così? In una pubblicazione precedente (Lavoie 2003), ho sostenuto che si dovrebbe anche considerare una
situazione alternativa “post-cartalista” nella quale lo Stato avvia la procedura di spesa emettendo titoli,
che verrebbero venduti all’asta sul mercato privato. La Tabella 2 riproduce le stesse tre fasi osservate
nella Tabella 1, ma a partire, questa volta, dalla vendita dei titoli di Stato alle banche commerciali19.
Tabella 2: La visione post-cartalista del deficit spending.
BancaCentrale
Attivo
Buoni del Tesoro +19
BancheCommerciali
Passivo
Depositi delle Banche
+9;Banconote +10
Attivo
Passivo
Buoni del Tesoro +100
Depositi del Governo +100
Buoni del Tesoro +100
DepositidelleFamiglie+100
Riserve +9
Depositi delle Famiglie +90
Buoni del Tesoro +81
Mentre la prima fase riguarda solamente la vendita dei titoli, come nella Tabella1, nella seconda fase ho
ipotizzato che lo Stato paghi i salari ai propri dipendenti. La liquidità dello Stato presso le banche
commerciali scende quindi a zero mentre quella dei privati cresce di 100, come indicato nella seconda riga.
Come nella Tabella 1, possiamo anche ipotizzare che le famiglie decidano di trasformare 10 unità del loro
deposito in contanti, e che le banche debbano obbligatoriamente detenere un livello minimo di riserve
pari al 10% dei depositi. Per acquisire le 19 unità di moneta ad alto potenziale esse dovranno vendere 19
unità di titoli di Stato alla Banca Centrale. Quest’ultima dovrà adattarsi, poiché la Banca Centrale è
tenuta a fornire il denaro liquido su richiesta e deve eliminare le riserve in eccesso per mantenere il tasso
overnight desiderato. Il risultato finale di questo meccanismo, indicato nella terza riga, non differisce da
quello indicato nella Tabella 1: le banche commerciali detengono 81 unità di Titoli di Stato e la Banca
Centrale ne detiene 19 unità, corrispondenti alla crescita della domanda di denaro della Banca Centrale.
Mentre il risultato finale di questi due processi illustrati nelle Tabelle 1 e 2 è identico, se tutto va bene (!)
i due meccanismi sono di per sé diversi. Quale delle due descrizioni è più probabile? Questo è quanto ho
scritto quasi 10 anni fa.
Ciascuna delle due tesi può essere più corrispondente all’impostazione istituzionale esistente. In Europa,
con la Banca Centrale Europea, gli Stati non hanno in realtà la possibilità di vendere i propri titoli di
nuova emissione né alle proprie Banche Centrali né alla Banca Centrale Europea. Debbono vendere titoli
o Buoni del Tesoro alle banche private. Regole analoghe vigono negli Stati Uniti. “La legge proibisce alla
Federal Reserve di accrescere la propria posizione netta attraverso acquisti diretti di titoli dal Tesoro. In
altri termini, la Federal Reserve non può prestare direttamente denaro al Tesoro.
19Ho
recentemente notato che la Figura 2 di Bell (1999) è molto simile alla Tabella 2
14
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Di conseguenza, le acquisizioni di titoli all’asta del Tesoro possono al massimo essere pari ai titoli in
scadenza detenuti” (Akhtar 1997, p. 37). Pertanto, almeno in Europa o negli USA, la tesi post-cartalista
sembra essere la più valida in questo caso (Lavoie 2003, p. 528).
Solitamente i neo-cartalisti citano gli USA o il Giappone come i classici esempi di paesi con moneta
sovrana. Tuttavia, anche gli USA possono non essere un esempio perfetto. Negli Stati Uniti infatti
sussistono due limitazioni autoimposte. Innanzitutto, la Fed può solamente “acquistare direttamente e
detenere una somma supplementare di 3 miliardi di dollari in obbligazioni pubbliche per ciascun periodo
stabilito…”20. Come sottolineato da Akhtar nella citazione sopra riportata, ciò significa che la Fed può
principalmente acquistare titoli di Stato sui mercati secondari e non su quello primario. Pertanto, a
quanto pare, la tesi post-cartalista illustrata nella Tabella 2 rappresenta più fedelmente la situazione
americana.
In secondo luogo, come molti sanno dopo la crisi del tetto del debito pubblico del luglio 2011, esiste una
limitazione imposta dal Congresso all’entità del debito pubblico che il governo americano può acquisire.
Questo tetto va innalzato periodicamente e molto probabilmente darà origine a una nuova crisi attorno
al 2013. Di queste limitazioni sono coscienti Bell and Wray (2002-03, p. 270), che sostengono che “la
maggioranza dei paesi ha deciso di imporsi autonomamente dei vincoli. Tra questi quello di non permettere che
il Tesoro vada ‘in rosso’, nonché quello previsto dalla normativa sul ‘tetto del debito’”.
Ciononostante, Bell and Wray (2002-03, p. 266) hanno continuato a ritenere che la Tabella 1
rispecchiasse più fedelmente la situazione americana e hanno criticato coloro che hanno sollevato la
questione di queste limitazioni autoimposte, sostenendo che la sovrapposizione di Federal Reserve e
Governo americano in un’unica entità permetteva di sottrarsi a queste restrizioni: “I post-keynesiani
come Lavoie (2002) e Van Lear (2002-03) si sono fatti fuorviare dalla questione delle proibizioni formali
imposte al Tesoro. E’ vero: il Tesoro non è autorizzato a “stampare moneta” in senso fisico o a vendere
titoli direttamente alla Fed…Preferiamo riunire assieme Fed e Tesoro, lasciando da parte le minuzie
relative a come si debbano coordinare tra loro21..Tuttavia, bisogna dire che i neo-cartalisti hanno un po’
annacquato la propria tesi, ammettendo alla fine che le cose non sono così semplici e nette come le
avevano inizialmente dipinte, come evidenziano anche i due recenti commenti sul blog riportati qui sotto,
pubblicati da alcuni leader del neo-cartalismo. Il primo di essi riconosce che non esiste un’esigenza logica
di sostenere che la spesa pubblica debba avvenire prima dell’applicazione delle tasse.
“Mi sono sempre opposta alla tendenza da parte di molti fautori della MMT a sostenere che il Tesoro venda i
titoli di Stato ex-post al fine di ridurre le riserve in eccesso… La mia posizione è sempre stata più sfumata. Il
Tesoro coordina le proprie operazioni (spesa, uso della leva fiscale e vendita di titoli) allo scopo di ridurre al
minimo l’impatto sul sistema bancario privato. In assenza di un coordinamento, le banche vedrebbero
costantemente grandi fluttuazioni delle proprie riserve, e questo sarebbe dannoso. Fondamentalmente, ciò
costringerebbe la Fed a interventi di ben più vasta portata” (Kelton 2010). Il secondo commento apparso sul
blog riconosce che il governo americano può aver bisogno di prendere a prestito dal settore privato prima
di procedere alla spesa. Quindi non è più così chiaro che la spesa pubblica non sia finanziata dal fisco e
dai titoli di Stato! “La cosa più semplice da fare sarebbe venderli [i titoli] direttamente alla Fed,
accreditando nel suo bilancio i depositi delle somme richieste dal Tesoro …ma le norme attuali non permettono
alla Fed di acquistare titoli dal Tesoro…; può comprare titoli da chiunque tranne che dal Tesoro. Strana
proibizione da applicare su chi ha il potere di emettere moneta sovrana…Si ritiene che ciò serva a evitare che la
Fed possa semplicemente ‘battere moneta’ per ‘finanziare’ livelli di disavanzo pubblico tali da causare
un’elevata inflazione” (Wray 2011C).
20Vedi
U.S. Code, Chapter 31 Money and Finance, # 5301. Buying obligations of the United States Government at
http://www.law.cornell.edu/uscode/usc_sec_31_00005301----000-.html17
21 Il riferimento bibliografico a Lavoie (2002) riguarda in realtà la bozza della versione pubblicata di Lavoie (2003).
15
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
La Tabella 3 illustra ciò che sembra effettivamente avvenire negli USA. Essa riproduce in un conto a
T[come da partita doppia, i conti in dare/avere] la sequenza descritta di recente da Wray nello stesso blog:
“Il Tesoro, invece, vende i titoli di Stato alle banche private dando così origine a depositi che il Tesoro può poi
trasferire ai suoi depositi presso la Fed. A quel punto, ‘Helicopter Ben’ [Ben Bernanke, attuale Presidente
della Federal Reserve. NdT] acquista titoli di Stato dalle banche private … La Fed si ritrova in possesso dei
titoli e il Tesoro si ritrova con i depositi richiesti accreditati sul suo conto presso la Fed, che è esattamente ciò
che voleva ottenere,ma che non era autorizzato a fare direttamente (Wray 2011C). Come nella Tabella 2, nella
prima fase lo Stato vende i propri titoli alle banche commerciali. Nella seconda i depositi dello Stato
vengono trasferiti dalle banche commerciali alla Banca Centrale, creando così un saldo negativo di
riserve per le banche. La Banca Centrale assume quindi delle misure compensatorie di protezione
riacquistando i titoli di Stato sui mercati secondari ed eliminando così la carenza di riserve presso la Fed.
Tabella 3: La versione modificata della visione neo-cartalista del deficit spending.
BancaCentrale
Attivo
BancheCommerciali
Passivo
Attivo
Passivo
Buoni del Tesoro +100
Depositi del Governo +100
Depositi del Governo +100
Depositi delle Banche -100
Buoni del Tesoro +100
Depositi del Governo 0
Buoni del Tesoro +100
Depositi del Governo +100
Buoni del Tesoro 0
Riserve 0
Depositi del Governo 0
Buoni del Tesoro +100
Depositi delle Banche +100
Riserve +100
Depositi delle Famiglie +100
Buoni del Tesoro +19
Depositi delle Banche +9
Banconote +10
Riserve +9
Depositi delle Famiglie +90
Riserve -100
Buoni del Tesoro +81
Male cose non si fermano qui. Lo Stato ha emesso titoli prevedendo di spendere a deficit. Esistono quindi
una quarta e una quinta fase, che in realtà sono identiche alla seconda e alla terza descritte nella Tabella
1. Come prosegue Wray (2011C) “A quel punto il Tesoro stacca gli assegni ed effettua i propri pagamenti. I
depositi vengono accreditati su conti presso le banche private su cui vengono contemporaneamente accreditate le
riserve della Fed…Ciò tende a far scendere il Fed funds rate al disotto del livello stabilito, attivando una
vendita di titoli sul libero mercato per ridurre le riserve in eccesso. I titoli escono quindi dal bilancio della Fed
per rientrare nel settore bancario”. Ciò è evidenziato nella quarta e nella quinta riga della Tabella 3. La Fed
manterrà alcuni titoli pubblici nel caso ci fosse un’ulteriore richiesta di riserve o di liquidità, come
precedentemente ipotizzato.
Tutto questo ragionamento è finalizzato a dimostrare che non ha senso fare l’affermazione illogica che i
titoli di Stato e il gettito fiscale non finanzino la spesa pubblica nei paesi con moneta sovrana. Anche nel
caso del governo federale degli USA, una spesa a deficit richiede l’emissione di titoli di Stato che
dovranno inizialmente essere acquistati dal settore finanziario privato. A mio avviso, la tesi della
sovrapposizione concettuale tra Banca Centrale e Stato non può escludere che, in base alle regole vigenti,
16
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
il governo americano debba richiedere prestiti al settore privato. Quindi, se anche gli USA non
soddisfano questa teoria c’è da chiedersi se esista qualche altro paese in cui i vincoli del neo-cartalismo
siano effettivamente applicabili 22.
Ironicamente, esiste un altro paese che risponde maggiormente alla descrizione neo-cartalista della
Tabella 1. Il Canada si avvicina parecchio alla definizione di paese con moneta sovrana, ma esso “è
l’unico tra i paesi sovrani esaminati in cui la Banca Centrale può accedere alle aste senza restrizioni e non
in modo complementare… La partecipazione della Bank of Canada è arrivata al 15% nelle aste di
obbligazioni nominali e al 25% in quelle di Buoni del Tesoro. Durante la fase di valutazione, essa ha
avuto una partecipazione costante pari al 10% in tutte le aste biennali e del 15% in quelle quinquennali.
Nel settore dei titoli decennali e trentennali, gli acquisti minimi da parte della Bank of Canada sono
passati dal 10 al 15% nel gennaio del 2008” (Ministero delle Finanze canadese 2011).
Inoltre, per mantenere la propria posizione, gli operatori primari devono acquistare tutto ciò che esce sul
mercato primario, a prezzi almeno lievemente inferiori a quelli praticati sul mercato secondario23. Si
potrebbe quindi sostenere che il Canada goda del massimo grado di sovranità monetaria, poiché la sua
Banca Centrale è libera da vincoli normativi, i suoi titoli di debito pubblico vengono emessi in dollari
canadesi e il suo regime dei tassi di cambio è un regime di libera fluttuazione (la Banca Centrale non è più
intervenuta sui mercati valutari dalla fine degli anni ’90 in poi)24 . Comunque sia, indipendentemente
dalle particolari regole istituzionali vigenti in paesi come il Canada o gli Stati Uniti, sembra chiaro che in
questi paesi la Banca Centrale ha la possibilità di definire i tassi di interesse e perfino i tassi a lungo
termine sui titoli di Stato. Questo può avvenire annunciando l’obiettivo di tasso a lungo termine e il
potenziale acquisto di titoli in quantità illimitata, “ossia, se la Fed mirasse a un calo dei tassi, potrebbe
avere la certezza di ottenerlo solamente annunciando pubblicamente il nuovo tasso voluto e la sua disponibilità
ad acquistare tutti i titoli offerti al prezzo corrispondente” (Fullwiler e Wray 2010, p. 9). A chi obietta che
ciò accrescerebbe le riserve bancarie producendo inflazione, la risposta è che in un sistema a corridoio in
cui il tasso di interesse voluto è il tasso minimo (ossia quello pagato sui depositi alla Banca Centrale), le
riserve bancarie possono avere qualsiasi entità, come dimostrato durante la crisi finanziaria dei subprime.
(Lavoie 2010)25.
Neo-cartalismo e l’Eurozona
Per contrasto, i paesi dell’Eurozona con la loro Banca Centrale Europea (BCE) e le varie Banche Centrali
nazionali (l’Eurosistema) godono di un grado di sovranità monetaria scarso, per non dire nullo.
Numerose norme contenute nelle linee-guida e nelle procedure della Banca Centrale Europea (BCE 2011)
e che risalgono persino al Trattato di Maastricht del 1992, vincolano il comportamento della BCE e delle
Banche Centrali dei vari paesi membri. Esse non hanno facoltà di concedere anticipi ai governi nazionali
né di acquistare titoli di Stato sui mercati primari26. Le loro principali operazioni di rifinanziamento
(creazione di liquidità) si verificano sotto forma di transazioni inverse (pronti contro termine) o più
semplicemente di prestiti collateralizzati. Le operazioni allo scoperto sui mercati secondari (quelle che gli
economisti anglosassoni definirebbero operazioni sul mercato libero) sono considerate irregolari
oeccezionali27.
22 In particolare, ben pochi paesi possono ricercare finanziamenti nella propria valuta sui mercati finanziari internazionali, e ciò riduce il numero
di monete sovrane disponibili.
23Ringrazio Mathieu Frigon, della Canadian Parliamentary Library, di avermi evidenziato questa particolarità del processo di emissione di titoli
di Stato in Canada.
24 Il governo canadese emette titoli in euro o dollari USA, ma non lo fa per necessità: lo scopo è quello di coprire la sua esposizione con riserve in
valuta estera.
25 Oppure si può effettuare una manipolazione operativa sui tassi di interesse, in cui la Banca Centrale acquista titoli a lunga scadenza e al tempo
stesso vende titoli a breve.
26 Ciò è stabilito dall’articolo 123 del Trattato di Lisbona, anche noto come Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. La stessa norma è
contenuta anche nell’articolo 21(1) dello Statuto del Sistema Europeo di Banche Centrali e della Banca Centrale Europea (protocollo 4). Vedi
Unione Europea (2010).
27Vedi BCE (2011, capitolo 3). Ciò avviene nonostante il fatto che l’articolo 18 dello Statuto (Unione Europea 2010) non preveda alcuna
limitazione alle operazioni sui mercati secondari.
17
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Si è anche stabilito che la BCE e le Banche Centrali nazionali non avrebbero condotto operazioni sul
libero mercato, e quindi non avrebbero acquistato titoli di Stato sui mercati secondari, per aiutare i paesi
dell’Eurozona che avessero difficoltà a rimborsare il proprio debito o a finanziare il proprio deficit di
bilancio. Infine, benché le autorità monetarie europee abbiano facoltà di accettare titoli pubblici come
garanzia nel momento in cui forniscono liquidità alle banche, ciò può avvenire solamente se il rating del
debito è elevato. Con queste prassi e limitazioni autoimposte, la BCE e l’Eurosistema rappresentano
puramente un sistema scoperto, in cui la Banca Centrale si limita a concedere anticipi alle banche
commerciali senza detenere alcun titolo di Stato. In realtà, nei primi dieci anni dalla nascita
dell’Eurozona, l’entità di debito pubblico detenuta dalle Banche Centrali dell’Eurosistema era pari a zero.
Va riconosciuto che diversi neo-cartalisti o loro sostenitori hanno detto fin dall’inizio che l’Eurozona,
organizzata e impostata come appena descritto, rappresentava un esperimento istituzionale molto
dubbio (Wray 1998, p. 92), poiché il debito sovrano dei paesi dell’Eurozona non era più libero dal rischio
di default, trasformando così gli stati nazionali in una sorta di governi locali. Godley (1992) lamentò ben
presto l’assenza di una forte autorità fiscale a livello federale, ma sostenne anche per il governo di un
paese l’impossibilità di ottenere anticipazioni della propria Banca Centrale all’interno di un’Europa con
una moneta unica significava trasformarsi in un mero governo locale, privo di un’indipendenza
nazionale28.
Bell (2003) illustrò questo punto in modo molto dettagliato, aggiungendo che le regole monetarie
dell’Eurozona erano assolutamente discrepanti rispetto alla finanza funzionale e avrebbero posto i paesi
alla mercé dei mercati finanziari, costringendoli ad adottare misure di austerità ogni qualvolta la loro
posizione fiscale non corrispondesse ai desideri degli operatori finanziari, cosa già precedentemente
affermato da Parguez (1999). Più di recente, Kelton e Wray (2009) hanno sostenuto che il costo crescente
dei ‘credit default swaps’ sul debito pubblico dei paesi dell’Eurozona era giustificato, poiché tali paesi non
avevano i mezzi monetari per evitare il default nel caso in cui i timori crescenti inducessero un aumento
dei tassi obbligazionari, poiché la BCE non sarebbe intervenuta acquistando titoli di Stato. Il titolo di
questo loro articolo – Can Euroland survive? – giungeva puntuale, in un momento in cui, nonostante
qualche segno di ansia, i mercati erano ancora abbastanza tranquilli. Ricordiamo che il lavoro uscì prima
dell’esplosione dei rendimenti obbligazionari in Grecia e in Irlanda avvenuta all’inizio del 2010. Devo
ammettere che per molto tempo sono rimasto piuttosto scettico rispetto a queste argomentazioni,
ritenendo che i politici e le Banche Centrali dell’Europa avrebbero messo da parte i propri dogmi e nel
momento in cui i fatti avessero dimostrato i loro errori avrebbero modificato le regole, analogamente a
quanto avvenuto su scala mondiale tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 quando, di fronte a tassi di
crescita negativi, tutti i paesi decisero di avviare un programma keynesiano di stimolo dell’economia
nonostante le precedenti promesse di non abbandonare una politica fiscale severa. Durante la crisi
successiva anche i responsabili delle Banche Centrali europee modificarono il tiro ma ciò avvenne sempre
con troppo ritardo, quando i rendimenti obbligazionari avevano già raggiunto livelli catastrofici. Persino
la BCE fu costretta a tornare sui suoi passi e ad annunciare, il 10 maggio 2010, che avrebbe acquistato i
titoli di Stato greci sui mercati secondari per prevenire un’ulteriore crescita dei rendimenti. Al tempo, la
BCE affermò che le circostanze eccezionali dei mercati finanziari ostacolavano i meccanismi di
trasmissione della politica monetaria, mettendo a rischio la politica di stabilità dei prezzi (!), e quindi ciò
richiedeva l’introduzione temporanea di un programma di misure sui mercati dei titoli che prevedesse
interventi in blocco sui mercati secondari. Fu poi necessario adottare provvedimenti analoghi per i Buoni
del Tesoro portoghesi e irlandesi. L’inanità delle norme della BCE venne ulteriormente evidenziata l’8
agosto del 2011, quando la BCE annunciò che avrebbe proceduto all’acquisto dei Buoni del Tesoro
anche di Spagna e Italia, ancora una volta per scongiurare la crescita dei rendimenti. Inoltre la BCE
dovette anche modificare i propri criteri di selezione.
Ciò può essere ricollegato alla precedente affermazione di Godley che una Banca Centrale senza vincoli “può vendere o riacquistare titoli senza
alcun limite” ed ha quindi potenzialmente il potere “di fissare unilateralmente prezzi e redditività degli stessi a qualsiasi livello” (Godley e
Cripps 1983, p. 158).
28
18
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Originariamente, il rating richiesto per le operazioni di vendita con patto di riacquisto o per i prestiti
collateralizzati era un A-. Esso venne ridotto a BBB- nell’ottobre del 2008, in seguito all’avvento della
crisi dei subprime. I requisiti di rating vennero poi interamente sospesi per i titoli emessi dalla Grecia a
maggio del 2010. La stessa modifica venne introdotta a marzo e a luglio del 2011 per i titoli emessi,
rispettivamente da Irlanda e Portogallo, ancora una volta chiamando in causa delle “circostanze
eccezionali” prevalenti sui mercati finanziari. Fu necessario abbandonare i requisiti di rating o le banche
dei paesi interessati sarebbero rimaste senza liquidità, dovendo quindi scatenare un’ondata di vendita di
titoli o andare in default al momento del pagamento, mettendo così in pericolo l’intero sistema di
pagamento dell’Eurozona. Gli eventi attuali hanno sicuramente dimostrato la fondatezza dei timori
espressi dai neo-cartalisti e dai loro sostenitori.
Qual è l’impostazione dell’Eurozona? La illustra la Tabella 4, ipotizzando ancora una volta che lo Stato
intenda effettuare una spesa a deficit pari a 100 unità monetarie, che i risparmiatori privati vogliano
mantenere il 10% del proprio saldo in forma di denaro liquido e che le banche debbano rispettare la
regola di un livello di riserve obbligatorio pari al 10%. Supponendo che la Banca Centrale di ciascun
paese svolga il ruolo di agente fiscale per lo Stato, le prime due righe della Tabella 4 sono identiche a
quelle della Tabella 3, poiché le somme derivanti dalla vendita dei titoli sono trasferite sul conto dello
Stato presso la Banca Centrale.29Nella terza riga, lo Stato spende a deficit, i risparmiatori privati
acquisiscono la liquidità e la Banca Centrale asseconda la domanda di riserve e liquidità. La terza riga
evidenzia che le banche commerciali hanno un’esigenza sistemica di acquisire prestiti dalla Banca
Centrale del proprio paese, che normalmente non acquista titoli di Stato né sul mercato primario né su
quello secondario30.
L’ultima riga della Tabella 4 mette in evidenza che le banche commerciali debbono prendere a prestito le
riserve che detengono presso la Banca Centrale e la liquidità richiesta dai propri clienti. Ciò significa che,
in contrasto con quanto prospettato dai neo-cartalisti nella Tabella 1, la spesa a deficit dello Stato
tenderà a far crescere i tassi di interesse overnight, a meno che le Banche Centrali non attivino operazioni
di fornitura di liquidità. Va ricordato nuovamente che questa caratteristica del sistema dell’Eurozona
non si scontra assolutamente con la teoria neo-cartalista, i cui sostenitori hanno sempre affermato con
chiarezza che l’Eurozona non si è attenuta alle condizioni che si applicano a una moneta sovrana.
L’Articolo 21(2) dello Statuto (BCE 2011) specifica che ogni Banca Centrale nazionale può svolgere il ruolo di agente fiscale per lo Stato.
I saldi a credito della Banca Centrale presso le banche commerciali“derivano principalmente dalle operazioni di rifinanziamento della politica
monetaria dell’Eurosistema” (Bundesbank 2011, p. 34)
29
30
19
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Tabella 4: Il caso del deficit spending dell’Eurozona.
BancaCentrale
Attivo
Anticipi alle Banche
Nazionali +19
BancheCommerciali
Passivo
Attivo
Passivo
Buoni del Tesoro +100
Depositi del Governo +100
Depositi del Governo +100
Buoni del Tesoro +100
Depositi del Governo 0
Depositi delle Banche -100
Riserve -100
Depositi delle Banche +9
Banconote +10
Riserve +9
Buoni del Tesoro +100
DepositiFamiglie +90
Anticipi da BC +19
In generale, si sa che la BCE e le Banche Centrali dei paesi forniscono liquidità della Banca Centrale su
richiesta. Il problema nell’Eurozona non è il fatto che la moneta sia esogena. La moneta in questo caso è
chiaramente endogena31.
Il problema è interamente legato alle regole che proibiscono o scoraggiano con forza l’acquisto di titoli
sul mercato primario o secondario da parte della Banca Centrale Europea e delle Banche Centrali
nazionali. Come evidenziato con l’aiuto delle simulazioni in Godley e Lavoie(2007), gli interessi sui titoli
emessi dai vari paesi dell’Eurozona tendono facilmente a divergere a meno che la BCE accetti di cedere
quelli per i quali c’è un’elevata domanda netta sui mercati privati e di acquistare invece quelli per i quali
la domanda è scarsa. In altri termini, la BCE deve accettare di svolgere il ruolo di compratore o
venditore residuale dei titoli di Stato dell’Eurozona, altrimenti i governi dei paesi saranno esposti ai
capricci dei mercati finanziari. Il problema non nasce dai movimenti del sistema di compensazione e
liquidazione, il sistema TARGET2 vigente, che è un sistema ben concepito.
Questo può essere confermato dall’analisi della fuga di capitali dai paesi meridionali a quelli
settentrionali dell’Eurozona osservata con l’avvento della crisi finanziaria globale. Tale fuga di capitali è
indotta dal timore di un default sul debito pubblico dei paesi del sud, e quindi dalla paura che le banche
commerciali di quei paesi subiscano delle gravi perdite di capitale rischiando esse stesse di fallire32.
Inoltre, alcuni detentori di depositi bancari tentano di spostare i propri saldi attivi dalle banche del sud a
quelle del nord dell’Eurozona. A quanto pare, poi, numerosi paesi del sud messi attualmente sotto
pressione dagli speculatori hanno un saldo corrente negativo all’interno dell’Eurozona. Di norma, tali
squilibri vengono assorbiti all’interno dell’Eurozona mediante concessioni di crediti dalle banche del nord
a quelle del sud, meccanismo che sarebbe costantemente in atto fino a quando le banche debitrici fossero
ritenute solvibili. Anzi, l’indebitamento esterno netto a breve termine delle banche ha costituito il
principale fattore di compensazione nelle bilance dei pagamenti dell’area Euro. Attualmente, però, le
banche del nord concedono sempre meno credito a quelle del sud sul mercato overnight o su altri mercati
a più lungo termine. Tuttavia il sistema di compensazione e liquidazione continua a funzionare. Come
mai?
31A
meno che i requisiti di rating fissati per le garanzie fornite sullo scoperto alla banca Centrale , ad esempio l’A- citato nella nota precedente,
siano effettivamente applicati, il che non è più avvenuto non appena il rating di un debito sovrano è sceso al di sotto di A-.
20
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Supponiamo che un’impresa italiana importi merce dalla Germania ed effettui il pagamento tramite la
propria banca, diciamo la Banca Nazionale del Lavoro (BNL). Il pagamento si inserisce nel TARGET2 e
appare come accredito sul conto della banca tedesca dell’impresa esportatrice, diciamo la Deutsche Bank
(DB). A questo punto la banca italiana ha una posizione debitoria presso la Banca d’Italia mentre la
banca tedesca vanta un credito presso la Bundesbank. Inoltre, quest’ultima addebita la somma sul conto
della Banca d’Italia. Tutto ciò avviene senza alcun problema poiché tra le banche centrali dell’Eurozona
esistono linee di credito illimitate e senza garanzie. Tutti questi movimenti di dare e avere sono registrati
nella prima riga della Tabella 5.33 A fine giornata, però, anche le banche centrali nazionali devono saldare
le proprie pendenze reciproche. I saldi attivi e passivi vengono inseriti nella contabilità della BCE, in cui
ciascuna banca centrale nazionale ha un saldo netto rispetto al resto del Sistema Europeo delle Banche
Centrali (ESCB). Il dato è riportato nella seconda riga della Tabella 5. Inoltre è molto probabile che la
Deutsche Bank usi il proprio saldo positivo (o le proprie riserve) per ridurre il proprio scoperto presso la
Bundesbank34.
Va ricordato che non esistono limiti al livello di debito che una banca centrale nazionale può registrare
nei libri contabili della BCE, ossia non è previsto un tetto massimo al suo passivo rispetto al resto del
sistema. “Questo passivo può continuare a tempo indefinito poiché non è prescritta alcuna scadenza per il suo
saldo” (Garber 2010, p. 2).
Inoltre, alle banche centrali nazionali in debito viene applicato il tasso ufficiale principale, che è lo stesso
di cui godono i creditori del sistema Euro. Pertanto questi saldi passivi possono continuare ad esistere
indefinitamente poiché, per ritornare al nostro esempio, la BNL otterrebbe anticipazioni dalla Banca
d’Italia all’1,5% (supponendo che questo sia il principale tasso di rifinanziamento), mentre la Banca
d’Italia accumulerebbe delle passività all’interno del sistema Euro alle stesse condizioni, essendo
sottoposta anch’essa a un tasso di interesse dell’1,5%. Pertanto, se ci fosse una scarsità di fiducia nel
sistema, si osserverebbe una crescita dei bilanci delle banche centrali dei paesi più sospettati,nonché una
crescita dei bilanci della BCE.
32 Nel caso dell’Irlanda la preoccupazione di un default è soprattutto dovuta al timore che le banche irlandesi non riescano a riprendersi dal
colpo subito con i crediti inesigibili, nonostante gli aiuti concessi in passato dallo Stato irlandese.
33Sono grato a Ramanan, di Mumbai, per le numerose discussioni avute via e-mail relativamente al meccanismo TARGET2 e per tutte le
informazioni che mi ha fornito. Anche un breve lavoro di John Whittaker (2011) mi è stato utile per comprendere le modalità dei pagamenti
nell’Eurosistema. Più tardi, Vincent Grossman ha portato alla mia attenzione anche un lavoro pubblicato da Bindseil König (2011).
34 In realtà sta avvenendo proprio questo. Tra l’inizio del 2007 e la fine del 2010 le anticipazioni concesse dalla Bundesbank agli istituti di credito
tedeschi sono scese da €250 miliardi a €100 miliardi (Bundesbank 2011, p. 35).
21
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Tabella 5: Sistema di compensazione e pagamento dell’Eurozona con l’esclusione dei mercati overnight
attivi
Banca Nazionale del
Lavoro (BNL)
Banca d’Italia (BI)
Deutsche Bank (DB)
Bundesbank (BB)
BCE
Attivo
Passivo
Attivo
Passivo
Attivo
Passivo
Attivo
Passivo
Attivo
Passivo
Deposito
dell’Import
atore -10
Anticipi
alla BNL
+10
Anticipi
dalla
BB +10
Riserve a
BB +10
Deposito
dell’Esport
atore +10
Anticipi
alla BS
+10
Deposito
della DB
+10
Anticipi
alla BNL
+10
Debito
verso il
Sistema
Euro
+10
Deposito
dell’Esport
atore +10
Crediti
verso il
Sistema
Euro +10
Posizione
di Debito
della BI
+10
Posizion
e di
Debito
della BI
+10
Posizione
di Credito
della BB
+10
Anticipi
dalla BS
+10
Deposito
dell’Import
atore -10
Anticipi
dalla BS
+10
Anticipi
dalla BB
-10
Anticipi
alla DB
-10
In realtà – e qui vediamo un modo di riacquistare un certo grado di sovranità monetaria senza
intervenire sulla indisponibilità della BCE ad acquistare debito sovrano – un paese che si trova
sottoposto a una forte pressione da parte dei mercati finanziari internazionali e fatica a indurre le
istituzioni finanziare estere a rinnovare i propri titoli, potrebbe indurre le proprie banche commerciali
nazionali di proprietà pubblica ad acquisire obbligazioni di nuova emissione al prezzo da esso voluto (o,
se non ve ne fossero più a disposizione, potrebbe nazionalizzare alcune banche private e imporre le
medesime regole). I proventi di queste vendite, inizialmente accumulati come depositi presso la banca
interna, potrebbero essere impiegati per rimborsare le obbligazioni che le banche estere rifiutassero di
rinnovare. Al termine di questo processo, immaginando che il paese in difficoltà finanziarie fosse l’Italia
nelle condizioni in cui si trovava nell’estate del 2011, la contabilità avrebbe un aspetto molto simile a
quello descritto nell’ultima riga della Tabella 5. La Banca d’Italia erogherebbe un anticipo alla BNL
usando il debito pubblico come garanzia, e aumenterebbe il suo passivo nei confronti del sistema euro.
Finché la redditività dei titoli è superiore al tasso ufficiale, questa operazione fornisce un utile alle
banche nazionali (a meno che lo Stato non vada in default). Ma naturalmente, come sosterrebbero i neocartalisti, sarebbe molto più semplice se la BCE e le banche centrali dei paesi potessero acquistare debito
sovrano con regolarità, o perlomeno nel momento in cui i rendimenti uscissero dalla norma.35
35 Un’altra possibilità sarebbe l’emissione di Eurobond, come proposto da Yanis Varoufakis, dell’Università di Atene, nonché dal finanziere
George Soros.
22
Marc Lavoie-Il nesso monetario-fiscale del neo-cartalismo. Un esame critico benevolo.
Conclusioni
Il Neo-cartalismo, o Modern Money Theory, ha acquisito molto spazio in rete, attraendo l’attenzione di
numerosi non-economisti con una passione per le questioni monetarie. Ma la visione neo-cartalista si
trova anche ad affrontare una notevole opposizione, anche da parte di autori eterodossi, poiché alcune
delle tesi sostenute sembrano illogiche e sono state difese con una veemenza poco consona a degli studiosi.
Questa resistenza ai concetti della Modern Money Theory non sorprende del tutto, poiché, al di là della
sua novità, essa è compatibile con quella visione orizzontalista dell’economia monetaria post-keynesiana
anch’essa molto criticata da altri autori eterodossi.
Il presente lavoro si è concentrato sull’analisi del nesso tra il sistema di compensazione e liquidazione e i
vincoli finanziari della spesa pubblica. Non si è voluto andare al di là di questo tema. Fondamentalmente,
si è cercato di chiarire che quella neo-cartalista è un’analisi essenzialmente corretta. In particolare, si può
affermare che l’impostazione della Modern Money Theory ha trovato conferma della sua analisi dei
principali difetti del sistema dell’Eurozona ben prima che tali difetti divenissero evidenti a tutti in
seguito alla crisi nata al suo interno nel 2010. Ancora una volta, a nostro avviso, il principale difetto
dell’Eurosistema è rappresentato dal fatto che è un sistema interamente basato sullo scoperto, in cui (più
per prassi consolidata che per norme specifiche) la BCE non può acquistare e vendere titoli di Stato come
più ritiene opportuno, diversamente da quanto accade nel Regno Unito, gli Stati Uniti, il Canada o il
Giappone 36 .
A nostro avviso, tuttavia, il neo cartalismo si trascina dietro qualche peso di troppo, di cui dovrebbe
sbarazzarsi. Nel tentativo di convincere gli economisti e l’opinione pubblica che non esistono veri vincoli
finanziari alle politiche fiscali espansionistiche, ma esistono solo vincoli costruiti artificialmente da
politici e burocrati che credono ciecamente nelle teorie ufficiali e nei principi della finanza sana, i neocartalisti ricorrono ad argomentazioni che finiscono per essere controproducenti. Non serve a nulla
sostenere che uno Stato può spendere semplicemente accreditando una somma su un conto, che deve
prima effettuare la spesa e poi il prelievo fiscale, che nel lungo periodo la creazione di moneta sovrana
richiede un deficit pubblico, che gli anticipi delle banche centrali possono essere assimilati a una spesa
pubblica o che le tasse e l’emissione di obbligazioni non finanziano la spesa pubblica. Tutte queste
affermazioni che appaiono paradossali sono basate principalmente su una logica che poggia sul concetto
di un’unificazione delle attività finanziarie dello Stato con le operazioni della Banca Centrale,
modificando così la terminologia comunemente usata. Riteniamo che tale sovrapposizione porti a
ignorare delle fasi cruciali nell’analisi del nesso tra le attività dello Stato e il sistema di compensazione e
liquidazione in cui la Banca Centrale è coinvolta, inducendo così confusione e malintesi. E lo stesso dicasi
per i riferimenti a una componente verticale leveraged della disponibilità di moneta.
I sostenitori della Modern Money Theory hanno costretto i post-keynesiani a occuparsi a fondo dei
dettagli del sistema di compensazione e liquidazione e a considerare il ruolo dello Stato nel sistema di
pagamento, mentre in passato i post-keynesiani si erano dedicati quasi esclusivamente ad analizzare i
rapporti tra banche commerciali e Banca Centrale. La Modern Money Theory, pertanto, costituisce
senz’altro un passo avanti, ma deve mettere da parte tutte le affermazioni controproducenti e la logica
convoluta basata sull’unificazione fittizia dello Stato con la Banca Centrale.
36 In altri termini, come sottolineato da Bini Smaghi (2011), il problema della BCE è che è stata creata partendo dal presupposto che i mercati
finanziari avessero sempre ragione, e che quindi non potessero mai entrare in crisi.
23