Paper Progress di Ricerca Applicata r Progress di

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LABORATORIO A.N.S. LIGURIA – OSSERVATORIO SU LA COMUNICAZIONE
Progetto S.C.M.M.C.
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Progress di Ricerca 2013
“Sviluppo della media educational come strumento formativo e valoriale per una
comunicazione consapevole”
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Paper
per Progress di Ricerca Applicata – Anno 2013
“INFLUENZA DEI MASS MEDIA SULLA PERCEZIONE DELLA SICUREZZA”
A cura della Dottoressa Silvia Paternostro
In collaborazione con le Università, gli Istituiti
Istituiti di Ricerca Sociale su la
Comunicazione
e l’OIV – Osservatorio
Osservatorio Italiano di Vittimologia
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ITEM A – “L’influenza mediatica su la percezione della sicurezza da parte dell’opinione
pubblica in ambito di criminalità e politica”
Gli eventi di criminalità che negli ultimi tempi hanno riguardato il nostro Paese e non solo,
influenzano la percezione sulla sicurezza da parte della società, le opinioni, gli atteggiamenti ed il
modo di vivere delle persone. I media in tale ambito hanno di certo un ruolo importante, soprattutto,
nella relazione che intercorre tra informazione sugli atti criminosi e gli effetti che essa produce: la
frequenza delle notizie, il linguaggio e le immagini di come vegono proposte, i filmati trasmessi. Ad
una prima analisi l’attenzione cade sulla capacità dei mass media di strumentalizzare gli
avvenimenti, in particolar modo quelli di reato a persone e a cose, ad es. lo stupro, gli omicidi e le
rapine, in grado di influenzare l’opinione pubblica, altresì, “l’uso della paura” come strumento di
governo. E ciò sembrerebbe comprendere solo una parte di consapevolezza del fruitore
dell’informazione, in quanto, per taluni casi l’accaduto non ci riguarda personalmente, di converso
per altri, agisce su di noi in qualità di messaggio subliminare (anche se non ci appartiene è capace
comunque di influenzarci inconsciamente). Una Ricerca svolta dall’Osservatorio di Pavia1
fornisce dei chiarimenti in oggetto. Per spiegare questo è utile citare la teoria elaborata da Davidson
(1983) secondo cui le persone sottostimano l’effetto che i mass media hanno su di loro ed al
contempo sovrastimano quello che hanno sugli altri. Tale fenomeno prende il nome di effetto terza
persona. Ciò sembra sia dipeso dal bisogno di percepire le proprie azioni come libere da qualsiasi
forma di controllo al fine di accrescere il proprio livello di autostima. Questo induce le persone ad
attuare un confronto tra se stessi e gli altri sulla base dell’influenzabilità; così la propria capacità di
resistere all’influenza mass mediatica sarà posta in risalto dalla difficoltà degli altri a farlo. Ciò
determina l’attivazione di un meccanismo di confronto sociale per cui la propria riuscita verrà
enfatizzata dall’insuccesso altrui; in questo caso sarà enfatizzata la capacità di percepire se stessi
come liberi dai condizionamenti esercitati dai mezzi di comunicazione di massa. Studi svolti in
quest’ambito (Duck, Hogg e Terry) hanno evidenziato che l’effetto terza persona risulta essere
enfatizzato quando: 1) la fonte che veicola le informazioni viene percepita come poco attendibile o
tendenziosa; 2) l’informazione è avvertita come dannosa o socialmente indesiderabile; 3) le
persone su cui i media hanno influenza vengono percepite come una categoria estremamente
ampia e socialmente distante. Tale “potere mediatico” riguarda non solo il crimini, ma anche la
politica. Uno studio svolto da Duck, Hogg e Terry ha indagato sulla percezione dell’influenza dei
mass media nel corso delle elezioni politiche tenutesi in Australia nel 1993. Sono stati creati due
gruppi composti da soggetti che avevano espresso la loro preferenza di voto per i due maggiori
partiti contrapposti che si erano presentati alle elezioni. Ai soggetti era stato chiesto di indicare
quale secondo loro poteva essere l’influenza esercitata da diverse tipologie di trasmissioni televisive
mandate in onda durante il periodo elettorale. Sulla base dei risultati ottenuti è emerso che le
persone percepiscono la loro espressione di voto come mediamente meno influenzata dai mass
media rispetto a quella delle altre persone. Interessante notare che il grado di differenziazione varia
in base alle prerogative che presenta il gruppo con cui viene effettuato il paragone ed al grado di
identificazione della persona con il partito di appartenenza. Infatti ad una maggiore identificazione
corrisponde un aumento della tendenza a ritenere i membri del proprio schieramento politico come
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Attraverso la somministrazione di interviste con l’adozione di sondaggi di opinione e telefonici su un campione di
circa 1500 unità stratificato per età, sesso, professione ed appartenenza geografica, si è misurata l’influenza dei media
su la percezione della sicurezza da parte dell’opinione pubblica. I dati emersi, manifestano una forte indicizzazione di
notizie connesse a la criminalità e a la politica nei TG delle tv pubbliche e private italiane, in comparazione con quelle
europee, più dominate, queste ultime, da notiziabilità sociale di carattere politico-economico, altresì, esprimono una
riduzione della componente ansiogena (dal 41% del 2011 si è passati al 19% nel 2013).
Rispetto al 2008 si verificano un numero minore di eventi connessi all’immigrazione e più episodi di femminicidio e
“reati di genere” che riflettono un incremento dell’omofobia rispetto a la xenofobia come paura del malessere sociale.
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influenzati in modo minore dai media rispetto agli appartenenti al partito avversario. Questo si
rivela molto interessante soprattutto alla luce della teoria elaborata da Tajfel e Turner secondo cui
gli individui in determinate situazioni tendono a percepire se stessi come membri appartenenti a dei
gruppi piuttosto che come degli individui singoli. In queste situazioni le persone hanno la tendenza
a fare dei confronti intergruppo che favoriscono il proprio gruppo di appartenenza. Inoltre nei
soggetti in cui l’identità di partito venga percepita come forte la comparsa dell’effetto terza persona
è condizionata dall’appartenenza di gruppo e la gerarchia dell’influenza percepita vede in ordine
crescente: se stessi, i componenti del proprio gruppo, quelli del gruppo avversario e gli elettori in
genere. Vi è scarsa consapevolezza sul fatto che i mass media siano in grado di influenzarci sulle
scelte elettorali e ciò perché i mass media costituiscono la maggior fonte di informazione . Questo si
ripercuote in modo più o meno evidente sui processi decisionali in ambito politico, economico e
sociale e sulla formazione dell’opinione pubblica. I mass media ricoprono quindi un ruolo
fondamentale nella diffusione delle informazioni in quanto non solo selezionano e riportano le
notizie ma, forniscono un’interpretazione degli avvenimenti politici e, aspetto più importante,
contribuiscono a far familiarizzare i cittadini con la politica e ad informarli sull’offerta elettorale. A
la domanda di quali siano i media che influiscono maggiormente sulle scelte di voto dell’elettorato,
viene risposto attraverso un’indagine condotta dal Censis nel 2009. Essa è stata realizzata durante la
campagna elettorale che ha preceduto le elezioni europee del giugno 2009 e la rilevazione dei dati è
stata effettuata attraverso il sondaggio di opinione. Allo studio hanno partecipato 1144 soggetti tra i
18 e gli 80 anni residenti in Italia ed il campione è stato stratificato per genere, età, ripartizione
geografica e classe di ampiezza del comune di residenza. L’indagine ha evidenziato la presenza di
significative differenze nell’utilizzo dei mass media. La fruizione dei media infatti subisce delle
variazioni che sono correlate all’età degli elettori, al livello di istruzione e persino al genere ed
all’area geografica in cui risiedono. Dalla ricerca è emerso che il medium più influente e di cui i
cittadini fruiscono maggiormente per informarsi riguardo all’offerta elettorale ed agli avvenimenti
politici è la televisione, seguito dalla stampa, dai rapporti non mediati, dalla radio ed infine da
internet. Come anticipato la televisione costituisce il mezzo di comunicazione di massa più
autorevole ed in grado di influire in modo più incisivo sulle scelte di voto dell’elettorato. La
preminenza della televisione rispetto agli altri media in quest’ambito è sottolineata dal fatto che le
due fonti di informazione politica più consultate sono due format televisivi: i telegiornali ed i
programmi giornalistici di approfondimento. Il format televisivo che viene consultato con maggiore
frequenza per informarsi sull’offerta politica è il telegiornale. I notiziari televisivi sono seguiti
infatti da ben il 69,3% degli elettori; una cifra davvero impressionante in quanto costituiscono il
principale mezzo di informazione in ambito politico per oltre due italiani su tre. Il dato aumenta
ancora arrivando al 76% per quanto riguarda i soggetti che hanno un livello di istruzione più basso e
sale addirittura al 78,7% per i pensionati. La seconda fonte di informazione di cui si avvalgono gli
italiani per formarsi un’opinione sull’offerta politica sono i programmi giornalistici di
informazione, quali ad esempio “Ballarò” e “Matrix”(negli anni scorsi) “Quinta Colonna” (oggi). I
programmi giornalistici di informazione ed approfondimento sono consultati in misura nettamente
inferiore rispetto ai notiziari televisivi ma raggiungono comunque una percentuale elevata che
arriva al 30,6%. Altro dato interessante è che il pubblico che fruisce di questo format televisivo ha
una composizione molto differente rispetto a quella dei telegiornali; è costituito infatti in gran parte
da persone che hanno un livello di istruzione elevato, la percentuale sale al 37%, e che vivono in
città che sono abitate da più di 100.000 abitanti, in questo caso il dato oscilla addirittura tra il 36%
ed il 40%. Ulteriore prerogativa che caratterizza il pubblico che consulta i programmi giornalistici
di informazione in ambito politico è inerente all’età degli spettatori; si registra una forte flessione
tra i giovani elettori, nella fascia d’età tra i 18 e i 29 anni, con una percentuale che scende al 22,3%.
Il mass media di cui gli italiani fruiscono maggiormente dopo la televisione per crearsi un’opinione
politica è la carta stampata. I giornali hanno avuto un ruolo determinante nell’informazione
sull’offerta elettorale per il 25,4% degli aventi diritto al voto. Questo dato, analogamente a quanto
registrato per i programmi giornalistici di approfondimento, subisce un sensibile incremento tra gli
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elettori che hanno un livello di istruzione più alto ed arriva al 34%. Tale tendenza aumenta ancora
se si focalizza l’attenzione sugli elettori che risiedono al Nordest e nei centri più grandi e tocca il
35% per quanto concerne i liberi professionisti ed i lavoratori autonomi. In seguito alla carta
stampata vi sono i rapporti non mediati che consistono nei rapporti interpersonali; quali ad esempio
il confronto con familiari ed amici. I rapporti non mediati costituiscono un mezzo di informazione
fondamentale in ambito politico per il 19% degli aventi diritto al voto. La percentuale di elettori che
si informano sull’offerta politica attraverso le relazioni sociali sale al 22,2% per le persone che
vivono al Mezzogiorno e raggiunge il 22,5% per coloro che abitano nei centri urbani minori, tale
dato cresce ancora per quanto riguarda gli elettori più giovani, tra i 18 e i 29 anni, ed arriva al 26%.
Un altro strumento di informazione politica è il materiale di propaganda dei partiti, come volantini e
manifesti, che è stato utilizzato dal 10,9% degli elettori, con un picco di interesse al Nordest in cui
la percentuale di cittadini che consultano il materiale di propaganda sale al 17,4%. La
partecipazione diretta alle manifestazioni pubbliche organizzate dai partiti influisce in modo
limitato sulla formazione di un’opinione sull’offerta politica coinvolgendo solo il 2,2% degli
elettori, percentuale che scende ancora per quanto riguarda gli elettori più giovani fermandosi allo
0,7%. La radio, a differenza della televisione e della stampa, ha un ruolo marginale
nell’informazione politica; infatti solo il 5,5% degli elettori fruisce dei programmi radiofonici per
formarsi un’opinione in merito all’offerta elettorale. Tale dato subisce un forte incremento per
quanto concerne liberi professionisti, lavoratori autonomi, commercianti ed artigiani e raggiunge il
12,1%. Infine il medium di cui gli elettori si avvalgono in misura inferiore nel periodo preelettorale
è internet che rappresenta il fanalino di coda nell’informazione politica. La consultazione dei siti
web dei partiti si ferma al 2,3% ed il dato scende al 2,1% se si analizza la fruizione dei social
network, quali Face book, e dei blogs e dei forum di discussione. Si registra invece un’inversione di
tendenza per quanto concerne la fruizione di articoli e contenuti online da parte dei giovani elettori;
tra gli studenti infatti la consultazione dei siti internet dei partiti aumenta fino al 7,5% ed il 5,9% ha
navigato su siti di informazione e che affrontano tematiche inerenti all’ambito politico per reperire
informazioni in merito all’offerta elettorale. I risultati di questa ricerca evidenziano l’egemonia
della televisione nel campo dell’informazione, soprattutto in ambito politico, e sottolineano inoltre
l’influenza di questo “medium” sull’opinione pubblica e la sua efficacia nell’orientare le scelte
dell’elettorato. La televisione si rivela particolarmente influente in quanto riesce a raggiungere un
pubblico non solo molto vasto ma anche eterogeneo. Ciò è indicato dai dati emersi in merito alla
composizione del pubblico che fruisce dei format televisivi più consultati. Il divario più netto è
relativo al livello di istruzione degli spettatori; infatti mentre i programmi giornalistici di
informazione e approfondimento sono consultati in misura maggiore da persone con un livello di
istruzione elevato i telegiornali sono seguiti soprattutto da persone con un livello di istruzione più
basso. Anche la stampa ha un ruolo rilevante nell’informazione politica, in particolare per gli
elettori che risiedono al Nordest e nelle grandi città e con un alto livello di istruzione, ma non riesce
ad eguagliare l’influenza del medium televisivo. I media tradizionali sono quindi decisivi nella
formazione di un’opinione in ambito politico per la maggior parte degli elettori, a differenza dei
nuovi media che sono consultati da un’utenza estremamente ridotta.
ITEM B – “Strumentalizzazione della notizia, sensazionalismo e spettacolarizzazione del dolore
nella comunicazione di matrice terroristica e non solo…”
L’azione terroristica esprime l’esaltazione dell’ideologia politica e religiosa con gesta estreme che
alimentano comportamenti devianti e antisociali, la quale si rafforza grazie a la
“spettacolarizzazione mediatica delle scene di terrore”, espressa dai giornalisti con scopi di
sensibilizzazione al problema della sicurezza, anche se con scene crude, violente, e al contempo,
voluta dai terroristi stessi, ma con fini connessi all’entropia, per destabilizzare la società , nonché
creare ed alimentare una “cassa di risonanza” sempre più veloce, grazie a le nuove tecnologie
mediatiche, quali internet ed i social network, abili nel soddisfare il requisito di ubiquità. Lo stato
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del terrorismo, di essere sempre presente nella percezione dei cittadini, a livello “globale”, anche e
soprattutto, attraverso il far notizia esprimendo “terrore”, soddisfa i criteri di immediatezza del
messaggio proposti da Marshall McLuhan, il quale affermava: “Il terrorismo è un modo di
comunicare. Senza comunicazione non vi sarebbe il terrorismo”.
Il “gesto-sorpresa” dell’evento terroristico, oltre a terrorizzare, ravviva i processi di emulazione
anche da parte di soggetti comuni non direttamente coinvolti nel progetto socio-politico di stampo
eversivo, rafforzati dalle tecnologie mediatiche con carattere di immediatezza e ipermediazione (il
moltiplicarsi in brevissimo tempo di strumenti diversificati di trasmissione e di modalità di
raccontare la notizia). La tecnica utilizzata dai programmi televisivi basati su riprese “live” è uno
dei tanti escamotage, cui il mezzo televisivo fa ricorso per appagare il desiderio del pubblico,
apparentemente insaziabile, di desiderare “tutto e subito” in relazione all’informazione presentata
dalle emittenti. Le tecniche, dunque, divengono “invasive dal tanto realismo delle scene e
sensazionalismo delle immagini, dei dialoghi etc.” perché il pubblico vuole questo. Dato
quest’ultimo allarmante, in quanto può generare una dipendenza a certi tipi di scope da parte
dell’osservatore-ascoltatore, che se pur brevi, risultano estremamente efficaci ad alimentare la
devianza, se per essa si intende l’imitazione di atti violenti pur di “entrare nella notizia” da parte di
chi conduce una vita di cittadino apparentemente normale. Dall’altro canto, anziché dar vita ad un
processo innocuo di sensibilizzazione a tali realtà, si procede ad influenzare l’opinione pubblica in
forma negativa, generando paura, senso di precarietà, verso la politica del governo e le istituzioni in
tema di difesa e sicurezza. Le emittenti internazionali come la CNN e ALJAZEERA, difatti, non
solo permettono di diffondere le immagini in tutto il mondo, contribuendo a reiterare gli effetti
dell’atto stesso ed aumentarne la portata, ma diventano anche gli strumenti molto forti attraverso i
quali i gruppi eversivi comunicano con il mondo istituzionale e con l’opinione pubblica. L’effetto
che si vuol ricercare, praticando questa sorta di censura dei media, è non permettere loro di riportare
gli eventi, conformarli alla politica informativa ufficiale pubblicando notizie “addomesticate”, in
modo tale da colpire direttamente le motivazioni dei terroristi, ridurre la spettacolarizzazione della
realtà e la loro volontà di ottenere visibilità ed eco nella società. Le policy adottate dai Governi non
sono tutte uguali: in esse è possibile riconoscere da un lato il modello americano, basato sulla
preferenza per una “autoregolazione” dei media, dall’altro il modello europeo, più dirigista e
propenso a un intervento censorio da parte delle istituzioni politiche e amministrative.
Il neo-terrorismo ha saputo sfruttare le potenzialità multimediali contemporanee, anche grazie ad un
utilizzo sapiente delle peculiarità di Internet: il web, infatti, non solo consente di diffondere
qualsiasi contenuto comunicativo, in tutto il pianeta, ma anche tutte quelle immagini che, per
opportunità legata alla decenza, non possono (o quantomeno non dovrebbero) andare in onda sugli
schermi televisivi tradizionali (es. esecuzioni, ostaggi decapitati, corpi straziati, mutilazioni, ecc.).
Le organizzazioni sovversive, perciò, si trovano nelle condizioni di gestire direttamente, senza la
mediazione delle reti televisive, uno spazio e uno strumento che diventa sempre più spettacolare e
potente. Internet costituisce un ottimo strumento perle finalità che il terrorismo si pone: si
contraddistingue per l’assenza di regole, la possibilità di una navigazione anonima, il vasto
potenziale di utenza e il veloce flusso delle informazioni unitamente alla sua capacità di “conglobare”, al di là di ogni frontiera fisica o culturale. È molto più di un mezzo di comunicazione, è
un mondo virtuale dove ci si può incontrare, consolidare dei legami preesistenti o crearne di nuovi,
ma anche stabilire reti clandestine terroristiche e fare propaganda. Basti pensare che, nell’ambito
dell’odierna e-versione, internet risulta essere la piattaforma privilegiata dal neo-terrorismo non
solo per fini di reclutamento ma, soprattutto, per finalità operative. La procedura strategica
impiegata dal terrorismo prevede tre diversi momenti. Dalla spettacolarizzazione del macabro
(orrorismo), attraverso la diffusione libera di registrazioni snuff che pongono lo spettatore dinanzi
lo “spettacolo” della morte in presa diretta, alla manipolazione dell’audience, attraverso il
proliferare di informazioni deliberatamente distorte, e l’e-recruitment, ovvero, il reclutamento
praticato tramite i forum, le chat, i blog, facendo ricorso a messaggi cifrati sulla rete o testi nascosti
dietro l’immagine banale di un sito: tutto si svolge in un ambiente immateriale, che evita il contatto
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diretto e, di conseguenza, la tracciabilità delle comunicazioni. Un esempio preoccupante in tal senso
è rappresentato da un manuale presente on-line e scaricabile intitolato “L’arte del reclutamento”.
L’analisi del manuale ci fornisce la misura dell’importanza assunta dalla propaganda e del
proselitismo quali attività necessarie per il risveglio, nei giovani musulmani, del sentimento di
appartenenza e della voglia di combattere. Anche l’indottrinamento e la formazione operativa dei
militanti passano per il web: riviste on-line propagandistiche e militari; centri studi che forniscono
analisi delle situazioni politiche e sociali dei Paesi d’attaccare; manuali per assemblare esplosivo
con ingredienti comuni e per apprendere le tecniche d’assalto; programmi di allenamento fisico;
istruzioni su come raccogliere soldi necessari al finanziamento delle cellule terroristiche. I terroristi
così possono confondersi con i milioni di messaggi scambiati all’interno delle web-chat, nei
newsgroup, nei forum. In aree virtuali private, quindi, possono passare inosservati adottando alcuni
accorgimenti, come l’uso di lingue diverse dall’inglese, il russo, l’arabo, il cinese, lingue elaborate
automaticamente, l’utilizzo di modi di dire dialettali e lo scambio di indicazioni/informazioni
utilizzando riferimenti noti solo a chi comunica. Il reclutamento on-line è anche in grado di
risvegliare le “cellule dormienti” in qualsiasi momento, grazie al “filo diretto” col web. A tal
proposito, l’FBI ha indetto una gara d’appalto, il 19 gennaio 2012, per lo sviluppo di un software
che gli permetta di controllare ogni attività sospetta su Face book, Twitter e altri social network, al
fine di ricercare tutte quelle parole chiave, correlate al terrorismo e a altri crimini federali.
Il terrorismo “estorce consenso” sulle popolazione facendo leva sui fabbisogni primari, quali
sicurezza civile e sopravvivenza economica, mirando su le debolezze dei Governi in procinto delle
Compagne elettorali, similmente, agisce la persuasione mediatica in genere, non solo quella di
matrice eversiva, in virtù di accrescere “nuovi adepti-customers”, come fanno il marketing di rete e
lo stesso internet.
Le organizzazioni internazionali devono tra loro interagire per garantire la legacy e la privacy
dell’informazione per limitare il più possibile fenomeni devianti di natura terroristica e criminale
attraverso i network, altresì, monitorare l’operato dei mass media, al fine di limitare il più possibile
la strumentalizzazione del dolore e dell’orrore per aumentare i livelli di audience. Ecco perché è
importante un osservatorio internazionale sulla comunicazione che sia garante di una
informatizzazione democratica da parte di tutti i mass media e di Internet, a tutela dei diritti umani
senza la necessità di ricorrere all’obbligo di censure; con l’obiettivo di ridurre, anche, le cosiddette
“netwars”, guerre combattute in rete, che hanno per oggetto, non più risorse o territori ma,
l’informazione e la capacità di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica.
Diverse iniziative sono state avviate allo scopo di limitare il terrorismo in internet. La “Task Force
ONU” per l’Attuazione delle strategie Contro il Terrorismo (CTITF), in occasione di un workshop,
si è fatta promotrice della revisione delle misure legali esistenti e possibili per limitare l’utilizzo di
internet a scopi terroristici. I rappresentanti dei Paesi membri dell’Organizzazione si sono scambiati
esperienze sull’efficacia delle misure legali esistenti relative all’utilizzo di internet a scopi
terroristici, in aree quali quelle della propaganda e l’incitamento, il reclutamento, l’organizzazione
di atti terroristici, il finanziamento del terrorismo e gli attacchi diretti ai network e ai sistemi
informatici. La risposta censoria attraverso la chiusura dei siti, la denuncia dei gestori fino
all’arresto non ha dato ad oggi i frutti sperati. La disponibilità di svariate piattaforme informative
rende infatti la risposta censoria limitata. Siti web cancellatisi materializzano, immediatamente
dopo, in un altro Stato e in un’altra forma ma con medesimi contenuti. Pertanto, non si ritiene che
l’oscuramento dei siti possa costituire la soluzione al problema dell’utilizzo di internet da parte del
neo-terrorismo che, invece, necessita di una attenta e
continua azione di monitoraggio della rete ed in particolare dei forum di discussione e delle riviste
on-line. “Inspire”, ad esempio, è il nome di una nuova rivista on-line, in lingua inglese, di Al Qaida
e all’interno di essa spiccano servizi dal titolo “Costruisci una bomba in cucina”, “Informazioni di
servizio per inviare e ricevere messaggi terroristici criptati” e “Reportage sulla guerra tra le
montagne”. In considerazione dei numerosi aspetti rilevati e delle relative criticità emerse, è
auspicabile una riflessione più attenta e accurata da parte dei governi e dell’intera società in merito
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all’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa nella modernità, dato che i gruppi terroristici
trovano in questi strumenti ottimi veicoli per diffondere i loro messaggi e per amplificare gli effetti
simbolici, psicologici e sociali oltre che materiali delle loro azioni. È necessario uno sforzo unanime
teso ad individuare delle contromisure e realizzare qualche forma di prevenzione ricercando
strumenti multidisciplinari che mirino alla dissuasione, alla prevenzione e alla repressione del
terrorismo interno e internazionale, nonché al contenimento dei danni da esso causati. Questi
strumenti sottendono l’intelligence, l’apporto dei cittadini e delle organizzazioni private,
un’impostazione antiterroristica equilibrata e coerente, le convenzioni e i protocolli internazionali,
la diplomazia, la collaborazione bilaterale e multilaterale tra Stati, il ruolo appropriato delle forze
armate, le operazioni speciali1 nonché un’imprescindibile sensibilità ed attenzione da parte dei vari
settori della comunicazione affinché si astengano dal diffondere immagini sensazionalistiche e
scioccanti contribuendo, così, a non amplificarne gli effetti.
ITEM C - "La comunicazione di massa oltre i vincoli spazio-temporali: dalla carta stampata ai
new media con nuove forme di spettacolarizzazione nelle immagini e nei contenuti”
Negli ultimi anni in Italia si è assistito ad un aumento della “spettacolarizzazione delle news”,
sesso, soldi e sangue risultano le prerogative, a tale circostanza si aggiunge una flessione degli
ascolti televisivi per dar spazio ad un costane incremento del numero di lettori dei periodici; il
nostro paese è l’unico stato europeo con due periodici, mentre i restanti costituiscono una stampa di
nicchia e specializzata di settore. Se nel 2001 il pubblico italiano era più colpito da testate eversive,
quali gli eventi dell’11 Settembre o quelli in Afghanistan; oggi lo è per il tragico episodio di
Boston, a differenza degli Stati Uniti, che anche in quel contrastato periodo come nel presente
continuano ad amplificare il gossip per indirizzarlo a pubblici specifici. Un andamento che non
sembra essere particolarmente variato allo stato attuale: si continua a comparare i quotidiani più per
i gadgets, che per informarsi, la fascia del pubblico televisivo comprensiva fra i 18 ed i 25 anni è
andata riducendosi nel tempo a partire dal gli ultimi 13 anni, spostandosi verso gli ascolti
radiofonici. Altro fattore da considerare sono i condizionamenti derivanti dalla proprietà editoriale
dei media, che sono concentrati nelle mani di grandi gruppi imprenditoriali (Fiat con Rizzoli,
Mondadori, Caltagirone, De Benedetti, CONFINDUSTRIA, partiti politici) che da tempo hanno
esercitato pressioni su ciò che può essere detto e ciò che va censurato o lede gli interessi delle
aziende, che finanziano. Conseguenze di questo è una guida editoriale mediocre dei media, causata
da queste pressioni, che non portano persone di spessore a dirigere i media, e la dipendenza dalla
pubblicità e dai finanziamenti aziendali dei proprietari. I bilanci aziendali sono attivi e i giornali
sono uno strumento per realizzare strategie di pressione politica e di finanziamento, oltre che uno
strumento per trarre profitti. Oggi pochissimi giornali vivono con il 50% di vendite e 50% di
pubblicità. Il rapporto è sbilanciato verso un rapporto 65 a 35 a favore della pubblicità, con effetti
sui contenuti dei media: più pubblico, più ascolti portano più vendite, e maggiori spazi pubblicitari,
più finanziamenti. Vi è poi una spiegazione tecnica: l’innovazione tecnologica e l’uso del PC danno
maggior rilievo ai titoli rispetto all’articolo. Ne risulta una specie d’assoggettamento ad un altro
“padrone editoriale”. Come attrarre maggior pubblico? Vendere di più ? Quale la linea dei media
commerciali? Puntare su un’informazione che stimoli la curiosità e soddisfi i bisogni dei lettori,
secondo la succitata filosofia delle tre esse. La cronaca nera quindi punta sempre più sull'interesse
morboso verso il particolare macabro e lo spettacolo, più che sulla cronaca dei fatti, violando il
diritto alla privacy soprattutto dei minori. Una corsa al ribasso nella vendita delle notizie. Il risultato
è che gli utenti aumentano e sono attratti verso lo spettacolo, la violenza della cronaca nera e
immagini sessuali esplicite, ma ciò non porta alla fidelizzazione degli utenti. La fedeltà del lettore o
ascoltatore è legata alla qualità, soprattutto se sono offerte informazioni su temi specifici. E’ ciò che
emerge da molte indagini di mercato sulle preferenze del pubblico: la salute al primo posto,
seguono l’ambiente, la scuola, l’economia familiare, lo sport, seguito dalla politica e fra ultimi la
religione. La televisione, la stampa non pagano in termini di ascolto. Il giudizio dell’utente punta
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sulla qualità del prodotto dei media. Le nuove tecnologie della comunicazione e l’informatica
stanno rapidamente deificando il nostro modo di vivere. Oggi il problema consiste nel riuscire ad
orientarsi e saper scegliere distinguendo le buone dalle cattive informazioni,quelle utili da quelle
inutili, quelle reali da quelle artificiali. Uno dei primi e più completi rapporti sugli effetti di una
eccessiva e acritica esposizione al teleschermo, fu quello prodotto dall’istituto delle comunicazioni
Annemberg di Filadelfia. Questo studio segnalava il fenomeno del mainstreaming, ossia di una
sorta di semplificazione sistematica delle notizie e dei messaggi che provengono dal teleschermo
per rendere più facile e senza sforzo la loro assimilazione da parte degli spettatori. A forza di
semplificare, però, si finisce per influenzare, non informare. Per venire a capo della veridicità di una
notizia è necessario sentire più voci. La buona stampa cerca di mettere in prospettiva agli
avvenimenti, di ragionare valutando i vari punti di vista, di compilare una sintesi. Ma col
diffondersi del mezzo televisivo è diventata di moda la notizia-flash. È questo un fenomeno ancora
più accentuato in televisione dove al pubblico viene fornito una sorte di “modellino” semplice,
definito e facilmente riconoscibile, sia che si tratti di teleromanzi che di talk-show che di
telegiornali. È così che si impongono gli stereotipi, i “personaggi”, gli slogan, le mode. Per chi si
affida acriticamente al mezzo televisivo la realtà virtuale finisce per essere più “vera” di quella del
mondo reale. La televisione, che inizialmente fu considerata “una finestre sul mondo”, finisce per
essere sempre più spesso un mondo a sé, con le sue regole, i suoi personaggi, i suoi punti di
riferimento. In televisione si vede anche molta pubblicità in quanto molti programmi sia delle reti
private che delle pubbliche, sono pagati dagli sponsor. La pubblicità ha raggiunto livelli di
professionalità estremamente elevati in quanto ad essa si dedicano non solo validi artisti, ma anche
psicologi ed esperti in comunicazione di massa. Funzione della pubblicità non è tanto reclamizzare
un prodotto quanto promuovere a modo di vita il consumo. La propaganda commerciale ha una
duplice funzione:promuovere il consumismo come alternativa all’insoddisfazione e trasformare in
merce l’alienazione stessa. Per quanto riguarda il primo punto uno studioso di marketing, Paul
Nystrom, ha osservato come si sia diffusa una “filosofia della futilità”, una “insoddisfazione per le
realizzazioni” che trova sbocco nella sostituzione continua delle cose più frivole, seguendo i dettami
della moda. L’altra funzione della pubblicità è quella di proporre il consumismo come rimedio a
forme di infelicità che essa stessa induce ad esaspera. I mass media possono anche mettersi al
servizio dei partiti e degli uomini politici e “vendere” la loro immagine. Oggi per comunicazione di
massa s'intende la trasmissione di dati informativi, regolativi e stimolatori ad un'anonima massa di
persone che non sono unite da relazioni e vincoli sociali e che non hanno una connessione diretta
con chi comunica2. Ma i mass-media veri e propri sono gli strumenti tecnici (come stampa, radio,
cinema, televisione etc.) per la produzione di messaggi e meta-messaggi. Oggi le nuove tecnologie
della comunicazione stanno rapidamente modificando il nostro modo di vivere, contribuendo al
superamento di distanze culturali e barriere fisiche, mettendo in comunicazione ogni parte del
villaggio globale (basti pensare ad Internet e alle Chat-Line). Ma questi ultimi sono il risultato di un
processo evolutivo iniziato intorno agli anni '30 del '900: in quel periodo i mass-media utilizzati
erano i giornali, la radio e il cinema, fino ad arrivare al boom degli anni '50 con l'avvento della
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La massificazione delle notizie, nonché, l’aspetto etero diretto del messaggio si fa più forte attraverso i Tg delle reti
nazionali: dalle rilevazioni dell’Osservatorio sulla comunicazione di Pavia e del CENSIS per l’anno 2013, emerge che
le emittenti televisive tendano a confondere il fruitore dell’informazione, in quanto, pur di fare “auditel”, trattano con
più frequenza alcune notizie rispetto ad altre, indipendentemente dal loro grado di importanza. Si fa riferimento, in
proposito, alle news sui suicidi degli imprenditori e di coloro che hanno perso il posto di lavoro, quale riflesso della
crisi economica, alternate con “notizie-flash” di cronaca sul femminicidio, come il delitto di Sara Scarsi, ove, la
famiglia rappresentata, appare una soap opera, intenta ad occultare l’avvenimento con l’ausilio di sotterfugi fra i sui
membri e dei giochi di ruolo; così facendo, gli stessi media, oscurano, l’esperienza collettiva di dolore riguardante la
perdita della giovane adolescente. Parimenti, l’omicidio a scopo di rapina dei due coniugi a Lignano Sabbiadoro, altresì,
il sequestro dell’imprenditore Calevo, vengono “offuscati a livello mediatico”, per dar spazio a lo spread, e poco dopo,
a la questione ambientale riferita all’Ilva di Taranto: la scarsa continuità settoriale del flusso informativo, manifestata
dai media, può aumentare nell’opinione pubblica il senso di precarietà sulla percezione della sicurezza, e in ambito
sociale e, in quello politico-economico.
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televisione. Ma la tv nel corso degli anni ha avuto un iter evolutivo: nei primi anni erano trasmessi
programmi solo in determinate ore del giorno ed erano in bianco e nero senza interruzioni
pubblicitarie. L'unico blocco pubblicitario era rappresentato dal celebre "carosello", motivo di
divertimento per i bambini che lo aspettavano con ansia. Negli anni i programmi televisivi si sono
moltiplicati, fino a raggiungere un massimo di frequenza 24 ore no-stop, con il conseguente
aumento delle interruzioni pubblicitarie e dell'uso del colore, che rende la televisione il mezzo di
comunicazione più persuasivo e pervasivo, quindi più fruibile al pubblico. Quest'ultimo è vasto ed
eterogeneo e comprende anche i bambini, la fascia d'età esposta ai rischi dei messaggi e dei metamessaggi televisivi. Infatti, la tv è un mezzo di comunicazione che ha una valenza educativa e i
bambini imparano ciò che vedono, di conseguenza, se alla televisione guardano scene violente,
imparano a comportarsi in maniera aggressiva. Un occhio di riguardo è d'obbligo puntarlo sui
cartoni animati prodotti appositamente per i bambini; infatti, in questi abbonda la violenza che
diventa il mezzo per ottenere qualcosa. Pertanto molti problemi sono risolti con successo per
mezzo di un atto aggressivo e raramente si mostrano le conseguenze della violenza. In tal modo il
bambino non si rende conto di quanto sia negativa e dolorosa l'aggressività. Ma la televisione non
ha solo un'influenza negativa sui bambini; tanti programmi riescono a stimolare la creatività e la
fantasia dei piccoli telespettatori. In conclusione la televisione presenta aspetti positivi e negativi. E'
compito della famiglia fornire i mezzi necessari ai propri figli per operare una distinzione e, ancora
più importante, è cercare di evitare che la televisione (con i suoi aspetti positivi e negativi) diventi
una sorta di "mamma" con il compito di fare compagnia ai bambini per farli sentire meno soli. In
una società dominata dai mezzi di informazione di massa e facilitata da ritrovati tecnici sempre più
nuovi e sofisticati, ha ancora un senso leggere un giornale? Per molti la risposta è no. Agli inizi del
terzo millennio le frontiere dell’informazione e della comunicazione si sono spinte oltre ogni
immaginazione ed ipotesi futuristica o fantascientifica, e con ciò, la tecnologia avanzata ha
perfezionato i mezzi di comunicazione rendendoli sempre più veloci e completi: in tempo reale è
possibile ricevere notizie da tutte le parti del mondo, interagire con le fonti. Addirittura, grazie alla
rete telematica, qualsiasi individuo munito di palmare e smartphone potrebbe attingere direttamente
alle fonti da lui desiderate, scegliendo e creando egli stesso il “giornale” in base a ciò che più lo
interessa o che lo colpisce. I nuovi mezzi di comunicazione permettono inoltre di annullare i limiti
dello spazio e del tempo, consentono all’utente di fruire del servizio in qualsiasi momento e in
qualsiasi luogo, lo rendono soggetto attivo dell’informazione e non più un semplice lettore passivo.
Da un punto di vista generale poi, internet, la rete, i mass media, accomunano milioni e milioni di
persone, li avvicinano ad un sistema culturale omogeneo,una sorta di omologazione di gusti e di
idee. Nello stesso tempo i new media possono offrire un’infinita pluralità di notizie, commenti,
opinioni, immagini che, secondo me, può degenerare in un eccesso di informazione, un sistema
incontrollabile in cui il semplice cittadino può perdersi o, peggio, confondersi ed essere oggetto di
pericolose strumentalizzazioni. Viene da pensare ovviamente che in questo scenario il giornale, il
quotidiano vero e proprio, non abbia più un ruolo, i fogli di carta che ci hanno abituato ad avere le
notizie in modo regolare e pacato. Già con l’avvento dei talk show televisivi e delle tv satellitari
sembrava la fine per la cultura della carta stampata, ma secondo me non è così. Innanzitutto il
sistema telematico è ancora privo di regole e di controllo sociale per cui spesso rappresenta un
rischio ( chi ha controllato la fonte? Chi mi assicura che la notizia sia vera?), poi l’avere un flusso
infinito di informazione riduce la capacità di riflessione, il piacere della lettura personale, il gusto di
una notizia inattesa che si può cogliere sfogliando un giornale. Altro punto importante è che al
giorno d’oggi le notizie sembrano essere divulgate dai mass media come se venisse seguita una
moda. Certi argomenti, a volte, godono di incredibile priorità fino ad annullare altri fatti della
stessa importanza, oppure allo stesso modo queste notizie perdono in brevissimo tempo la loro
attualità a causa del bombardamento incessante di altre nuove informazioni. Infine dobbiamo anche
tenere conto della complessità del linguaggio telematico che richiede comunque una minima
competenza tecnologica, una conoscenza della lingua inglese e un certo livello economico culturale.
Infatti non tutti nel mondo possono permettersi un computer e quindi internet. Quindi la carta
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stampata effettivamente, nei paesi più ricchi, conoscerà (o ha già conosciuto) una certa crisi, ma non
tale da scomparire, e, soprattutto, continuerà a vivere e a svilupparsi dove la nuova tecnologia non
ha ancora messo piede. Per concludere direi che pur considerando la straordinaria potenzialità
dell’informazione multimediale, il giornale resta ancora uno strumento fondamentale per la libera
circolazione delle idee, per un’informazione che arrivi a tutti, all’operaio come al manager, al
ragazzo della mia età come alla persona anziana. Occorre riflettere sul potere dei new media e sul
rischio di una comunicazione totalmente meccanizzata a cui non tutti ancora possono accedere e
comprendere.
ITEM D - “Dall'infotainment e il sistema dei generi ai due livelli d'ibridazione: la carta
stampata, la TV del dolore, la diretta di Vermicino, lo show di Garlasco, le gemelle K di Fabrizio
Corona e la medium, le variegate scene del crimine sino ad oggi”
Punto di partenza fondamentale per una riflessione sull'argomento della informazione-spettacolo è il
tema del genere. La stessa parola utilizzata per descrivere questa nuova frontiera dell'informazione
e dello spettacolo è una parola composta, derivata dalla crasi tra i termini inglesi “information” ed
“entertainment”: infotainment. Anche ad una prima e superficiale analisi, di matrice strettamente
linguistica, appare evidente che, parlando di informazione-spettacolo, ci si riferisce ad un genere
totalmente nuovo, che racchiude in sé elementi dell'informazione giornalistica ma anche dello
spettacolo televisivo, della fiction. Una mescolanza di più generi, questa, nata a causa di diversi
fattori, tra i quali la necessità (a partire dalla riforma Rai del 1975) di adeguare i contenuti televisivi
a nuove logiche di mercato, per venire incontro alle esigenze di un pubblico sempre più vasto ed
eterogeneo. L'infotainment supera quindi le distinzioni di genere e si classifica come un elemento
del tutto nuovo, caratteristico di quella che Umberto Eco chiama neo-televisione, quella che vede la
fine del monopolio di Stato ed il passaggio ad un sistema concorrenziale a causa dell'entrata in
scena delle emittenti private, la televisione che deve attirare il pubblico e “fare audience” a tutti i
costi. Quello dell'infotainment è un giornalismo i cui contenuti informativi sono resi sempre più
popolari ed accattivanti, proprio a causa della nuova ottica commerciale che, nella seconda metà
degli anni settanta, inizia a prendere il posto di quella pedagogica che aveva dominato lo scenario
della informazione televisiva fino a quel periodo.
L'infotainment è classificato dagli studiosi dei media come una sorta di macro-genere, una tipologia
ibrida nella quale possono confluire numerosi programmi e format televisivi di oggi. Non è, però,
soltanto il mondo dell'informazione ad essersi “spettacolarizzato”. Anche molte trasmissioni
televisive di intrattenimento, infatti, puntano ora su scoop e reportage come mezzo per attirare
milioni di spettatori. Basti pensare a programmi come “Striscia la notizia” o “Le Iene”, sempre in
testa alle classifiche dei dati d'ascolto Auditel e a quelle di gradimento del pubblico. Al di là di
questi due programmi, quelli che più evidentemente si muovono al confine tra informazione di
servizio pubblico e spettacolo di intrattenimento, i palinsesti di oggi presentano molte trasmissioni
che, pur non essendo registrate come testate giornalistiche, fanno dell'informazione il loro punto di
forza. Tra queste ci sono le storiche: “Report” e “Mi manda RaiTre”, più orientate verso il servizio
al pubblico ed al consumatore; “Porta a Porta”, “Ballarò”, “Matrix”, “Anno Zero” ed altri talk show
a contenuto informativo; “Uno Mattina”, “Insieme sul due”, “Mattino Cinque”, “Verissimo”,
accanto alle attuali multi gender “Quarto Grado”, “Quinta Colonna” ed altri spazi classificabili più
come magazine informativi. I programmi del primo gruppo propendono in maniera decisa verso il
polo dell'informazione, in quanto sono spesso condotti da giornalisti, hanno un forte aggancio alla
realtà e forniscono un servizio al pubblico, considerato più cittadino che spettatore. I talk-show a
contenuto informativo si trovano sempre in bilico tra informazione ed intrattenimento: non sempre
il conduttore è un giornalista e sia il tono che i contenuti del programma cambiano in base
all'argomento di cui si parla. I magazine informativi, infine, sono trasmissioni che mettono insieme
notizie, collegamenti, interviste, servizi di costume, cronaca, spettacolo e gossip. Spesso il
conduttore non è un giornalista e sia i contenuti che il tono del programma tendono verso
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l'intrattenimento. Lo stesso concetto di informazione televisiva è cambiato e ne fornisce una
definizione particolarmente efficace Aldo Grasso: - “Macrogenere televisivo, comprendente tutti i
programmi a finalità informativa, quali i telegiornali, le rubriche di approfondimento, gli speciali, i
rotocalchi, i documentari, le inchieste, i dibattiti, i talk show”.
Le parole di Umberto Eco, invece, forniscono una interessante quanto impietosa panoramica di
quello che è stato l'impatto dell'infotainment sui giornali e sulla carta stampata in generale: [...]
parla della trasformazione del quotidiano in settimanale che avviene nel momento in cui la
televisione diventa la prima fonte di diffusione delle notizie. I quotidiani sono costretti a dedicare
uno spazio enorme al varietà, alla discussione dei fatti di costume, di pettegolezzi sulla vita politica,
di attenzione al mondo dello spettacolo. Devono anche aumentare le pagine, anche per avere più
pubblicità aumentano e poi inventano i supplementi. Per occupare tutte queste cose devono andare
oltre la notizia secca. Eco continua, dicendo che ormai i giornali sono appendici del mezzo
televisivo, il quale ha ora il potere di scrivere la loro agenda. I cambiamenti apportati dalla nuova
ottica dell'infotainment al mondo giornalistico, per quanto riguarda la carta stampata, hanno un
punto chiave in quella che è possibile definire settimanalizzazione dei giornali (e, in seguito, della
notizia); si ha un adeguamento del giornale quotidiano alla formula dei settimanali, attraverso
l'aumento delle pagine, delle illustrazioni, la creazione di inserti, supplementi e l'inserimento di
argomenti come la moda, la salute, i viaggi, la cucina, il bricolage e l’arredamento. La notizia in sé,
in quanto contenuto della mutata forma giornalistica, vede la sua dilatazione in un duplice senso:
ogni evento di un certo rilievo si spezzetta e si rifrange in una serie di eventi, minori e specifici,
ciascuno dei quali ne rispecchia un’immagine; l’evento di cui si parla è poi considerato da una
molteplicità e pluralità di punti di vista, ai quali corrisponde una gamma sempre più ampia di
specializzazioni professionali.
Tra gli aspetti più controversi dell'infotainment e dei cambiamenti che questo ha portato nel mondo
dell'informazione c'è la nascita del giornalismo della cosiddetta “TV del dolore”. Proprio per fare
audience si iniziano a prediligere i contenuti che possono suscitare forti emozioni nel pubblico e da
questo nasce la tendenza a fare dei sentimenti delle persone comuni l'oggetto dello spettacolo
televisivo. I primi programmi che operano la rottura dei generi, portata dall'infotainment, sono della
seconda metà degli anni '70. Odeon, trasmissione culturale ed informativa del 1976, di Brando
Giordani ed Emilio Ravel, è il primo a spettacolarizzare la notizia, svolgendo la sua funzione
informativa facendo ricorso all'ironia e alla leggerezza. Non c'è soltanto approfondimento
giornalistico, ma anche attenzione al mondo del cinema, della musica e del costume. Nel corso di
tutti gli anni '80, l'infotainment prosegue la sua corsa verso la conquista dei palinsesti televisivi, con
la nascita di Samarcanda(RaiTre, 1987) di Michele Santoro e Mixer di Gianni Minoli ed Aldo
Bruno (1980). Con il tempo, però, cambia anche il modo di fare informazione: cadono alcuni tabù
ed il giornalismo italiano arriva a trovare un suo punto di forza nelle persone stesse, quelle toccate
dalle notizie che racconta. E' un nuovo giornalismo televisivo che indaga, sempre più indiscreto, tra
i volti dei protagonisti delle vicende, nelle loro vite private e nelle loro sensazioni. Mette in mostra
tutto questo perché ha capito che il dolore attira milioni persone davanti alla televisione, che la
sofferenza è incisiva, colpisce il pubblico come poche altre cose. La rappresentazione del dolore è
una modalità di fare informazione che, dal punto di vista commerciale, funziona più di qualunque
altra. L'Italia ha scoperto questo giornalismo nel tempo ma, forse, c'è stato un evento che è stato alla
base di questa scoperta. Nel corso dei capitoli che seguono, si è tentato di descrivere questo
avvenimento televisivo senza precedenti, per poi tornare ad oggi e vedere che cosa è l'informazionespettacolo, ventotto anni dopo.
Corre l'anno 1971 e l'Italia che fa da sfondo a questa tragica vicenda è un Paese nella tempesta. E' il
10 giugno. Sette mesi prima, il terremoto dell'Irpinia ha fatto tremila vittime e distrutto interi paesi,
mettendo in luce una macchina dei soccorsi lenta ed inefficiente. Il 13 maggio, appena un mese
prima, Papa Giovanni Paolo II è sopravvissuto all'attentato del turco Ali Agca. Lo scandalo della P2
sta facendo tremare l'Italia, il cui governo Forlani ha perso ogni credibilità ed è stato costretto alle
dimissioni. Proprio nei giorni del dramma di cui si parlerà, il presidente della Repubblica Sandro
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Pertini affiderà l'incarico di formare un nuovo esecutivo al repubblicano Giovanni Spadolini, il
primo Presidente del Consiglio non democristiano in 35 anni di Repubblica. Sono gli anni del
terrorismo e le Brigate Rosse, proprio il 10 giugno, sequestrano Roberto Peci, fratello di Patrizio, il
primo pentito delle BR. Si teme per la sua sorte e per quella di altri ostaggi. Per tre giorni, però,
“l'Italia riuscirà a dimenticare tutto” questo e la tragedia di un bambino cambierà qualcosa
nell'intero Paese e, di certo, nel modo di fare informazione. Alfredo Rampi, un bambino di sei anni,
cade in un pozzo artesiano intorno alle 19 del 10 giugno 1981. Accade a Vermicino,una minuscola e
sconosciuta località della provincia romana. Per tre giorni saranno compiuti sforzi incredibili per
salvarlo, ma questo non sarà possibile. La morte di Alfredino, così il bambino sarà chiamato da
tutti, avverrà in diretta televisiva, dopo giorni di attenzione da parte dei giornalisti e dell'Italia
intera. Dopo una diretta lunga diciotto ore, un evento televisivo senza precedenti nella storia della
Rai. La sola telecamera presente sul posto porterà per giorni, nelle case degli italiani, ogni momento
dell'agonia di Alfredino, insieme alle sue grida, ai suoi pianti e all'angoscia dei genitori. I
telegiornali Rai seguiranno tutto questo, portando al pubblico una informazione-spettacolo fatta di
eroi, colpi di scena e sensazioni forti. Questo sarà fatto nella speranza di poter raccontare una
favola, quella di un bambino salvato in diretta dalle forze dello Stato. Si rivelerà invece la cronaca
di una morte lenta e terribile, ma la macchina dell'informazione sarà allora inarrestabile. La tragedia
di Alfredo Rampi inizia il percorso che la porterà a divenire un evento mediatico unico e,
probabilmente, irripetibile intorno alle ore 2.02 dell'11 giugno 1981. L'Ansa, infatti, diffonde per la
prima volta una nota che parla di un bambino caduto nel pozzo a Vermicino: il bimbo è
cardiopatico, è precipitato a venti metri di profondità (in realtà sono inizialmente trenta e
diventeranno più di sessanta) ed è ferito. Il diametro del pozzo è strettissimo, di circa 30 centimetri,
e per questo i vigili del fuoco già accorsi sul posto dichiarano che il salvataggio del piccolo sarà un
intervento lungo e difficile. Autori delle prime immagini da Vermicino saranno però l’allora inviato
del Tg2 Pierluigi Pini e l’operatore Vitaliano Natalucci. Il giornalista ricorda, ai microfoni della
trasmissione Rai del 2006 “L’Italia di Alfredino”, di essere stato il primo a recarsi sul posto con una
cinepresa ed un Nagra (registratore audio). Grazie ad un microfono calato direttamente nel pozzo,
per permettere ai soccorritori di comunicare con il bambino, gli italiani avranno la possibilità di
udire le sue urla, i suoi pianti, il suoi lamenti, il suo «Mamma! Mamma!» che rimarrà così impresso
nelle menti degli spettatori.
Nella mattinata di giovedì 11 giugno, la notizia comincia ad essere diffusa dai giornali radio della
Rai, dalle reti private locali, dai quotidiani della capitale e dalle persone stesse. In queste ore inizia
il pellegrinaggio che porterà a Vermicino migliaia di persone, trasformando la scena del pozzo nel
palcoscenico di un anfiteatro, sul quale si avvicenderanno personaggi di ogni genere. La folla che
accorrerà sul posto sarà così grande da richiamare i furgoncini dei venditori di panini e bevande, i
quali faranno affari d'oro proprio grazie a quel tragico evento. Oretredici, edizione del Tg2 in onda
alle 13.00 è ancora il primo appuntamento televisivo con l'informazione: ancora non esistono le
edizioni del mattino. Il nastro inciso da Pini e Natalucci nel corso della notte arriva in redazione
tramite un fattorino. La pellicola deve passare dal laboratorio di sviluppo e stampa, prima di poter
essere sistemata sulla moviola e messa in sincrono con il nastro magnetico contenente la
registrazione audio. Giancarlo Santalmassi, allora conduttore del Tg2, ricorda oggi la decisione di
montare le immagini e mandarle in onda senza alcun commento: la madre del bambino che si aggira
intorno al pozzo e chiama il suo nome, le grida del bimbo che dalla profondità di trenta metri invoca
«Mamma... Mamma», i soccorritori che vagano alla luce delle fotoelettriche. Immagini che avranno
un impatto fortissimo sugli spettatori, ben più forte di quanto si potesse pensare. Di Ugo Zatterin,
allora direttore del Tg2, è invece la decisione di mandare sul posto un pulmino con i mezzi tecnici
per allestire un collegamento in diretta con Pierluigi Pini. Tra questi mezzi c'è l'unica telecamera
che arriverà in prossimità del pozzo durante i tre giorni successivi. Un evento televisivo di quella
portata, all'epoca fu ripreso da un solo punto di vista, con un solo mezzo di ripresa. Il dramma di
Vermicino cambia in modo dirompente il rapporti di forza tra informazione televisiva e
informazione della carta stampata. Per molti, quello dei quotidiani è ancora l'unico vero
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giornalismo. I veri cronisti sono quelli che girano con il taccuino e la penna, non quelli col
microfono. Anche se alcuni quotidiani, come Paese Sera hanno tre edizioni al giorno, non possono
riuscire ad essere aggiornati quanto i telegiornali. Proprio da Paese Sera, però, arriva nella giornata
di venerdì 12 giugno, la prima ed unica foto di Alfredino che si riuscirà a pubblicare: un
fotoreporter ed un cronista hanno trovato la casa dei nonni del bambino e ne sono usciti con la foto
che fornisce un volto alle grida che gli spettatori sentono da ore provenire dal pozzo.
La diretta televisiva di diciotto ore inizia proprio venerdì 12 giugno, con il Tg2 delle 13.00 e durerà
fino alle 7.00 del giorno dopo. Ad aprire il collegamento da Vermicino è Luigi Bartoccioni. Per il
Tg1, condotto da Piero Badaloni, tutto inizia alle 13.30, con l'inviato Maurizio Beretta. Il
collegamento dal pozzo viene, ogni tanto, interrotto per dare spazio alle altre notizie, ma gli inviati
richiedono spesso la linea: in ogni momento sembra imminente il salvataggio di Alfredo ed è un
avvenimento che non è possibile perdere. Tg1 e Tg2 decidono per questo motivo di andare
avantioltre il loro consueto orario. Intorno alle 14.00 si collega con Vermicino anche RaiTre: le
uniche tre reti nazionali esistenti, quelle del servizio pubblico, sono tutte concentrate sul dramma di
Alfredino. In televisione non è possibile vedere altro. Sono gli spettatori stessi a telefonare in Rai
chiedendo collegamenti più lunghi, più frequenti. Giancarlo Santalmassi ricorda che, nella serata di
venerdì si tentò di interrompere la diretta per mandare in onda una tribuna politica: in quell'ora
nell'azienda successe di tutto. I telefoni erano bollenti, vibravano. La gente diceva: “Non ce ne
importa niente. Che cosa ci importa? Ridateci Vermicino. Fateci vedere che cosa sta accadendo lì”.
Emilio Fede, allora direttore del Tg1, commenta: “In quel momento poteva succedere qualunque
cosa. Un colpo di Stato, ammesso che ce ne fosse l'atmosfera, l'aria o l'intenzione da parte di
qualcuno”. Ma forse la gente avrebbe detto: “Sì, va bene. Però fammi sentire prima cosa sta
succedendo a Vermicino”. I numeri che, martedì 16 giugno, il Servizio opinioni della Rai (l'Auditel
inizierà i suoi rilevamenti solo cinque anni dopo) fornisce sono impressionanti: nel pomeriggio di
venerdì 12 giugno gli spettatori che seguono il dramma di Vermicino sono 12,5 milioni. Alle 19.15
passano a 21,7 milioni e toccheranno punte di 28,6 milioni alle 20.45 e 30 milioni alle 23.00. Da
quell'ora in poi, l'ascolto si mantiene su valori altissimi (Ansa, 16 giugno 1981). Al termine della
diretta, alle 7 del mattino di sabato 13 giugno, i giornalisti della Rai che hanno lavorato alla diretta
sono sotto choc non meno dei telespettatori che l'hanno vista da casa. «Per molti redattori del Tg1 e
del Tg2 c'è anche l'amara sensazione di aver contribuito ad evocare una creatura mostruosa»
(Gamba, 2007). Con la diretta di Vermicino, forse non nasce la “TV del dolore”, ma ci si rende
conto della sua esistenza, del fatto che quel tipo di informazione può coinvolgere un numero di
spettatori che sarà per sempre il sogno proibito di tutti i direttori di tutte le reti televisive.
A calcare la scena dell'anfiteatro di Vermicino non sono soltanto migliaia di curiosi e cronisti. Le
lunghe riprese dei telegiornali presentano e fanno conoscere anche personaggi riconoscibili e
difficilmente dimenticabili da chi ha seguito la lunghissima diretta e la vicenda in generale. Quello
raccontato dall'informazione Rai è un veroe proprio dramma, con una sua trama, i suoi protagonisti
ed i suoi colpi di scena. C'è Elveno Pastorelli, il capo dei Vigili del Fuoco. Maurizio Monteleone e
Tullio Bernabei, speleologi del Corpo Nazionale Soccorso Alpino. Nando Broglio, il pompiere che
rimarrà per ore sul bordo del pozzo a parlare con Alfredino. Alle 16.30 di venerdì 12 giugno
arriverà a Vermicino anche il Presidente della Repubblica in persona, Sandro Pertini. Il suo arrivo
renderà ancora più impossibile fermare la diretta. Sulla scena, accanto al pozzo, appaiono anche
personaggi che trasformano il tutto in una sorta di “corte dei miracoli”. Sin dall'inizio, infatti,
(anche se questa sarà soltanto la soluzione estrema, l'ultimo disperato tentativo) si penserà di calare
una persona molto esile nel pozzo, per poter salvare Alfredo. Questo, grazie agli appelli mediatici,
porta a Vermicino nani, contorsionisti e personaggi dai circhi accampati nella zona di Roma.
Soltanto Angelo Licheri e Donato Caruso, due persone molto magre ed agili, riusciranno a calarsi
nel pozzo, ma non riusciranno a salvare il bambino. Il secondo, infatti, tornerà in superficie con la
notizia della morte del piccolo. Quella di Vermicino diventa una tragedia raccontata dalla TV come
una fiction. Al momento dei fatti, però, questo sembra ancora qualcosa di involontario. Quella della
“TV del dolore” è una scoperta che viene fatta sul momento da giornalisti che si trovano coinvolti
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in quella vicenda quasi senza volerlo, travolti anch'essi dalla forza dell'evento mediatico che
affrontano. Non sanno come gestire una diretta così lunga e spesso gli inviati rimangono in silenzio,
lasciando che a parlare siano le immagini ed i suoni che provengono direttamente dalla scena. I
giornalisti, per molto tempo, non fungono da mediatori per ciò che accade: sono anche loro
spettatori, la telecamera rimane ferma ad inquadrare il pozzo e chi si avvicenda attorno ad esso. Per
il telespettatore questo ha un effetto terribile: si ritrova ipnotizzato davanti a quelle immagini e
catapultato lì, tra la polvere di Vermicino. A differenza dei presenti, però, si ritrova prigioniero di
una trappola fissa e senza possibilità di divagare con lo sguardo.
Nel caos di Vermicino, le riprese documentano il caos e la disorganizzazione dei soccorsi, cosa che
sarà probabilmente alla base del fallimento. Oltre a questo, però, i giornalisti presenti sul posto
notano anche che l'area intorno al pozzo è sempre più piena di presunti addetti ai lavori il cui ruolo
non è chiaro. Molti sono in borghese e nessuno sa chi siano. Ci sono schiere di poliziotti,
carabinieri, finanzieri, vigili urbani. Alcuni sono in alta uniforme. In seguito si ipotizzerà che molti
si trovassero lì per una questione di presenzialismo, a causa della diretta televisiva. Il pozzo di
Vermicino diventa quindi, a causa dei media, una passerella per ottenere pubblicità a buon mercato.
Un anonimo cronista del quotidiano Il Giornale (14 giugno) nota tra la folla l'onorevole Agostino
Greggi, ex deputato democristiano che non aveva motivo di trovarsi sul posto. Lo stesso cronista
nota anche la presenza, a bordo del pozzo, di Gianfranco Piacentini, un noto ed invidiato playboy
romano che aveva calcato la scena del jet set capitolino negli anni Sessanta e Settanta. Oltre alle
vicende degli “eroi” di Vermicino, che contribuiscono a trasformare il tutto in una fiction
drammaticamente reale, il pubblico assiste anche alla nascita di una informazione che, oltre a
presentarsi come show, diviene anche occasione di sciacallaggio da parte di personaggi in cerca di
visibilità. Mentre all'epoca la cosa è ancora così lontana dall'essere d'uso comune da sollevare
soltanto dubbi, come vedremo oggi la presenza di individui estranei alla vicenda e
“spettacolarizzanti” è considerata quasi normale, se non facente parte dello stesso show, della stessa
notizia. La sola telecamera Rai presente a Vermicino documenta la scoperta della “TV del dolore”,
forse l'inizio della sua intrusione nei palinsesti delle televisioni. Si discuterà a lungo, dopo la morte
in diretta di Alfredo Rampi, sul perché di quello spettacolo terrificante. Gli stessi giornalisti erano
rimasti travolti dagli eventi, da una diretta incontrollabile, impossibile da fermare ma che forse
doveva essere fermata lo stesso. Anche se allora la telecamera non ha indagato con compiacenza e
golosità tra i volti, le situazioni, le attese ed i dettagli più crudeli della vicenda, sarà a lungo
sensazione comune a molti quella di aver creato un modo diverso di fare informazione. La vicenda
di Vermicino avrà anche un seguito giudiziario e privato seguito dai media: proprio a causa della
“spettacolare” diretta, i genitori del bambino saranno al centro di un drammatico reality show che
vedrà le loro vite passate al setaccio dall’opinione pubblica, giudicate e fatte oggetto di speculazioni
crudeli. Si accuserà Franca Rampi di non aver pianto, di nascondere qualcosa in quanto troppo
fredda sulla scena. Il marito, invece, sarà addirittura accusato di aver assassinato il figlio calandolo
nel pozzo. Tutto il successivo dramma giudiziario sarà seguito da tutti come la diretta, con
l’interesse e la rabbia che la morte del bambino aveva lasciato in tutti gli spettatori. Si sentiva il
bisogno di trovare un colpevole per ciò che era successo. Anche sotto questo aspetto, il dramma di
Vermicino è stato evento precursore dell’attuale spettacolarizzazione di omicidi e vicende
giudiziarie
L’infotainment e la “TV del dolore”, ventotto anni dopo la diretta di Vermicino, sono modalità di
informazione ormai integrate nel sistema italiano. Il pubblico sembra aver sviluppato gli “anticorpi”
necessari a poter sopportare e gradire lo spettacolo dell’informazione. Così, all’ora di pranzo, i
telegiornali mostrano il sangue sulla scena di un delitto, le urla ed i pianti di ha perso una persona
cara. Ciò che di Vermicino sconvolse il pubblico, oggi è all’ordine del giorno.
Tra i tanti omicidi raccontati nei particolari dall’informazione di oggi, c’è quello di Chiara Poggi,
una studentessa di Garlasco (Pavia), avvenuto il 13 agosto del 2007. Di questo delitto si parla
ancora, si segue la vicenda giudiziaria, si indaga nella vita del principale sospettato: il fidanzato
della vittima, Alberto Stasi. Tutti i telegiornali trasmettono, nel corso delle edizioni normali e degli
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speciali di approfondimento, la voce dell’uomo nel corso della sua telefonata al 118 quando
rinviene il corpo della fidanzata riverso in un lago di sangue. Vengono mostrate le fotografie della
casa, delle macchie di sangue. Si invitano, in qualche modo, i telespettatori a diventare detective e a
dire la loro su chi sia il colpevole. L’informazione è spettacolo. C’è un pellegrinaggio verso la “casa
degli orrori”, ogni volta che ce n’è una, come accade anche per l’omicidio di Cogne e quello di
Perugia. Le telecamere sono tante, una per ogni telegiornale. I cronisti sono in diretta competizione
tra loro e si fa a chi riesce a strappare la testimonianza più toccante. Le domande dei giornalisti
stessi incalzano i conoscenti delle vittime del dramma a mostrare ciò che hanno dentro. Domande
sempre più “stupide”, come “Le mancherà sua figlia?”. Le case dei parenti sono cinte d’assedio. La
“TV del dolore”3 ha prodotto questo: una informazione giornalistica che vuole mostrare la
sofferenza a tutti i costi, indagando con le telecamere i volti delle persone alla ricerca delle loro
lacrime. Mentre la scena di Vermicino è stata calcata da molti eroi, quella dell’informazionespettacolo di oggi è calcata da quei personaggi che, nella vicenda del 1981 erano soltanto comparse
motivate dal desiderio di presenzialismo. L’omicidio di Garlasco si distingue tra gli altri proprio per
l’attenzione che i media hanno riservato a questi personaggi. La scena del crimine diventa luogo di
pellegrinaggio non solo per i curiosi ma anche per chi vuole pubblicità e questo ormai è chiaro a
tutti. Accade così che le cugine della vittima, le gemelle Paola e Stefania Cappa, creino un
fotomontaggio che le ritrae insieme a Chiara Poggi ed inventino la storia toccante di una ultima
vacanza passata insieme a lei. Riescono così a farsi notare dai telegiornali, ad essere intervistate,
proprio mettendo in mostra un dolore artificialmente creato per la scomparsa di una cugina che, si
scoprirà in seguito, non sentivano o vedevano nemmeno molto spesso. Scoperta la truffa, sul web si
scatenerà persino una inquietante corsa all’imitazione, che, soltanto all’agosto del 2007, farà
registrare 249 fotomontaggi sul web, creati dagli utenti e raffiguranti le gemelle “K”
(soprannominate così dal pubblico) insieme a personaggi di ogni tipo: da Mussolini ad Anna Maria
Franzoni, da Paris Hilton agli assassini di Erba.
“Quel fotomontaggio” - ha detto soddisfatto il fotografo – “è una mossa alla Corona”. E’ lo stesso
fotografo Fabrizio Corona a dirlo, intervistato dai giornalisti al suo arrivo a Garlasco. Anche lui,
infatti, a caccia di scoop arriva sulla scena del crimine per trarne una esclusiva. Il suo personaggio è
una sorta di rappresentazione di ciò che è l’infotainment. Non ha paura di ammetterlo: «il delitto di
Garlasco, con i suoi risvolti, può diventare una grande storia in questo anno».
Alla villetta di Chiara Poggi arrivano anche medium e sensitivi. Il loro è un sottobosco che si anima
in presenza di un dramma al quale i media danno molta rilevanza: arrivano telefonate da ogni parte
del mondo. Sensitivi e chiaroveggenti che sostengono di conoscere il nome ed il volto
dell’assassino. Trova un suo spazio sui giornali una sensitiva che dice di aver avuto una visione
dell’assassino e della sua automobile. Viene ascoltata dai carabinieri e poi tutto torna a tacere.
Le telecamere sulla scena del crimine di oggi non si spengono mai. Per molti anni le trasmissioni di
infotainment, telegiornali e talk-show che siano, parlano di un omicidio spettacolarizzandolo. Si va
dalle intercettazioni audio dei sospettati al controverso modellino di Bruno Vespa, quello presentato
a “Porta a Porta” e raffigurante la macabra scena del delitto di Cogne. L’informazione della “TV del
dolore” prevede questo ed altro. Tra gli ospiti in studio dei programmi di intrattenimento ci sono
veline, soubrettes, calciatori e drag queen. Anche loro fanno parte degli opinionisti di oggi, chiamati
a dare un'opinione sull’ultimo fatto di cronaca e a commentare l’ultimo video di una ragazza
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Dall’indagine condotta nel 2013 per opera dell’ Osservatorio di Pavia, risulta rilevante, l’incremento di notizie sul
femminicidio come fenomeno sociale deviante, e nei TG, e nei programmi di informazione condotti da emittenti quali
Rete4 per “Quarto Grado” con notevoli scene di spettacolarizzazione sui fatti di crimine, e Rai3 per “Amore criminale”,
ove, prevale la fiction al realismo violento, altresì, drammatico delle immagini. Su quest’ultimo dato, si nota una
controtendenza, ovvero, il passaggio di quest’ultima emittente, soprattutto quest’anno, da trattare eventi più connessi
alla “nuova tangentopoli”, all’evasione fiscale, all’eccesso dei finanziamenti ai partiti attraverso il denaro pubblico, es.
“Report” per la Rai3, a maggior spazio fornito per il racconto di vicende criminali con protagoniste sempre più vittime
donne, come la trasmissione televisiva “Amore criminale” per la stessa emittente TV (il femminicidio, le violenze
sessuali e gli abusi sui minori, nonché, gli omicidi perpetrati dalle madri sui figli e dai padri verso l’intera famiglia,
rappresentano per la nostra società una casistica allarmante, in progressivo aumento).
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violentata che vuole giustizia o la testimonianza della madre di una vittima d’omicidio. Le
speculazioni continuano poi al bar e, come già detto, al tavolo del pranzo o della cena. Si imparano
a conoscere i personaggi per nome, se ne riconosce il volto e, talvolta, ci si affeziona a loro. Esiste
anche il fascino dell’assassino di bell’aspetto, come accade per Amanda Knox, al centro delle
attenzioni di molti spettatori4 anche se indagata per l’omicidio di Perugia. La ragazza riceve lettere
dagli ammiratori in carcere ed ha più di un Fan Club su Face book e su altri siti internet. Anche di
Alberto Stasi si segue la vita privata dentro e fuori dal carcere: dai video pedo-pornografici ritrovati
sul suo computer alla sua laurea ottenuta in carcere.
Dal pozzo di Vermicino, probabilmente, non è uscito l’infotainment. Nemmeno il mostro della “TV
del dolore” è nato in quell’estate del 1981. Probabilmente l’attrazione verso ciò che è drammatico è
qualcosa che fa parte delle persone. La concorrenza tra gli organi dell’informazione fa il resto:
rende appetibile lo spettacolo del dolore. Con la morte in diretta di Alfredo Rampi ci si è soltanto
resi conto del potere di questa attrazione dell’uomo verso la sofferenza: è qualcosa di così terribile
che non si riesce a distogliere lo sguardo. Come scrive Massimo Gamba nel suo libro “Vermicino –
L’Italia nel pozzo”, «è come se la diretta di Vermicino rappresentasse l’obiettivo emotivo a cui tutti
gli autori televisivi idealmente tendono, sapendo però che non possono, non devono mai
raggiungerlo. Guai se accadesse». Ciò che vediamo e viviamo oggi è una spettacolarizzazione
dell’informazione mediata dalla mano sapiente dei giornalisti, ma proprio perché tutto questo è
incanalato in una sorta di show televisivo non ha l’impatto duro e terribile delle immagini di
Vermicino: il giornalista funge anche da “terapeuta”, dando una direzione per interpretare tutto. In
questo, forse, la “TV del dolore” ed il suo giornalismo aiutano, pur eccedendo nel farlo, il pubblico
a gestire drammi che comunque esistono. Pur disgustandolo spesso, l’infotainment ha forse reso lo
spettatore più “forte”, più capace di tenere gli occhi aperti di fronte alla realtà. Un giudizio sul fatto
che questo sia giusto o meno, sta alla personale coscienza di ognuno.
ITEM E – "La televisione e la spettacolarizzazione della realtà : il mezzo, la comunicazione e il
messaggio”
McLuhan distingueva fra media “caldi” e media “freddi”. I primi non lasciano molto spazio che il
fruitore debba colmare e completare; i media “freddi” implicano invece un alto grado di
partecipazione da parte del pubblico. La radio – diceva ancora – è un medium caldo, la televisione
un medium freddo; e, ovviamente, è l’immagine che fa la differenza. La radio è parola e suono; la
televisione è soprattutto immagine; la radio si rivolge all’orecchio, la televisione soprattutto
all’occhio. L’orecchio e l’occhio selezionano informazioni di tipo diverso: l’orecchio percepisce ed
elabora informazioni disposte in successione, l’occhio percepisce ed elabora informazioni
simultanee e globali. Nell’ascolto l’orecchio subisce una sequenzialità imposta dall’emissore delle
informazioni; nella visione lo sguardo è libero di posarsi su un elemento o su un altro
dell’immagine. La parola ascoltata può porre problemi di comprensione e di intelligibilità e
suggerire distrazione; l’immagine, no; è coinvolgente ed è, o sembra, le realtà. All’inizio della
vita sul pianeta la realtà da vedere ha preceduto la nascita dell’occhio; la formazione del linguaggio
è invece molto posteriore alla nascita dell’orecchio. L’intelligenza attivata dalle informazioni visive
è perciò primitiva, rispetto all’intelligenza attivata dal linguaggio; è un’intelligenza che non
presuppone necessariamente particolari condizioni di fruizione, tecniche o culturali; è cioè
un’intelligenza psicologicamente infantile. E’ facile capire, perciò, perché l’immagine abbia più
forza della parola e perché riesca, più della parola, a coinvolgere chi la fruisce. L’immagine
televisiva riduce l’obbligo di dare agli eventi un significato strutturale. Davanti al televisore la
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La stessa Amanda ad oggi è ancora al centro della notizia per la mancata assoluzione in Cassazione, divenendo quasi
una “eroina”, tra la produzione di un film che la vede protagonista e la pubblicazione di un suo libro.
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maggior parte dei telespettatori non guarda, ma partecipa. L’homo sapiens, capace di decodificare
segni ed elaborare concetti astratti, lascia il posto all’homo videns, fruitore di immagini, ma spesso
incapace di trattare nello stesso tempo informazioni molteplici, stabilendone ordine e gerarchia. La
forza prepotente dell’immagine spiega così tre fenomeni del consumo televisivo: la nascita di una
“telerealtà”, la spettacolarizzazione del reale, l’adozione dei sistemi della pubblicità nella
rappresentazione della realtà. Da quando la televisione si è diffusa nel mondo e raccoglie ogni
giorno davanti al video parecchie decine di milioni di uomini e di donne, è accaduto che fra la realtà
e la sua conoscibilità televisiva si è manifestata una correlazione così stretta che la televisione è
diventata non solo la suprema ma, molto spesso, l’unica forma di conoscenza del reale. Gli eventi
che non vengono ripresi da una telecamera non incidono nella realtà e nella storia; accadono e
immediatamente si trasformano in “non eventi”. Gli eventi sono gli altri, quelli ripresi e ratificati
dalla televisione: i “media eventi”. La televisione è la ratifica di se stessa e nel contempo la garanzia
della realtà, dell’unica realtà che essa finisce per ammettere: quella televisiva. Il secondo fenomeno
è la spettacolarizzazione del reale. Milioni e milioni di persone vedono oggi in diretta – sincrona o
asincrona – eventi di cui prima potevano avere notizia soltanto dalla stampa o dalla tradizione orale.
E ai “media eventi” si aggiungono gli “pseudo eventi” (i festival canori, i concorsi e i quiz
televisivi, le “telenovelas” o “soap operas” e i “serials”), che si manifestano ancora più drammatici
degli eventi spontanei, perché più comprensibili e più socializzabili. Nelle case della gente entrano
così ogni giorno centinaia di personaggi della cronaca e della scena; alcuni di essi vengono
addirittura sentiti come persone di famiglia a cui dare del tu. L’immagine virtuale della realtà si
confonde con l’immagine effettiva e tra chi sta davanti allo schermo e chi sta al di là si stabilisce
una specie di intimità, un rapporto che i semiologi e i sociologi chiamano di “interazione
parasociale”. Il palcoscenico si confonde con la platea e viceversa. Quaranta anni fa Andy
Warhol disse che in futuro, grazie alle moderne tecnologie, tutti avrebbero potuto essere famosi per
15 minuti. Oggi il sogno di molti è di partecipare al grande circo televisivo; e si interviene ai
programmi di quiz non tanto per vincere un premio quanto per farsi vedere; e per farsi vedere
qualcuno è disposto a andare in tv per raccontare i fatti propri e privati, siano liti coniugali o rotture
di fidanzamento o matrimoni da consumare. Trionfa il “reality show” e hanno grande successo i
programmi dove persone reali si comportano come attori, fingendo di essere persone reali.
Esibizionismo e voyeurismo diventano le facce di una stessa medaglia: il desiderio di esserci. Tutta
la vita diventa così un grande spettacolo e ogni aspetto di essa sembra giusto che sia presentato
come un intrattenimento – non importa se lieto o triste - coronato da un immancabile mezzo di
consenso e di gradimento: l’applauso. Oggi in chiesa si applaude la predica del sacerdote e si
applaude anche la bara del morto durante i funerali che un tempo si svolgevano – come i cronisti
scrivevano - in “religioso silenzio”. Nelle platee televisive appare ogni tanto un cartello “applausi”
e tutti subito applaudono con gusto, consapevoli di partecipare a un rito di cui è bene rispettare la
liturgia; e se manca il pubblico, ci sono gli applausi registrati e fatti scrosciare al momento
opportuno. Il terzo fenomeno del consumo televisivo – diretta conseguenza del secondo, la
spettacolarizzazione – è l’adozione dei sistemi della pubblicità. Lo spettacolo (è lo stesso etimo
latino che lo dice) è qualcosa che si guarda; comporta quindi un pubblico, e per conquistarlo se ne
deve cercare e ottenere il consenso. Suggestione psicologica e enfatizzazione delle qualità del
prodotto sono i criteri su cui si fonda da sempre la propaganda pubblicitaria, ma, con l’evoluzione
della società e con la generale crescita produttiva, accanto o al di là del messaggio pubblicitario
verbale o figurato, le tecniche di vendita e la concorrenza hanno portato a incidere non solo sulla
qualità ma anche sulla sostanza del prodotto: non sempre per migliorarlo, quindi, ma spesso per
adeguarlo ai gusti o ai cattivi gusti del consumatore. Il mercato pubblicitario ha così condizionato il
prodotto televisivo, in misura ancora maggiore di quanto è accaduto nella stampa scritta. Gli alti
costi di produzione e la ricerca del profitto hanno infatti portato fatalmente le reti emittenti ad essere
schiave della cosiddetta audience e perciò a seguire spesso gli interessi meno nobili del pubblico.
Nella stampa abbiamo l’informazione “drogata” o “gridata”; nella televisione i programmi
“spazzatura”. I quotidiani tendono spesso ad essere oggetto di intrattenimento più che strumento di
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conoscenza, drammatizzando i fatti attraverso l’enfatizzazione semantica (specie nei titoli) e la
manipolazione dei testi. La tv privilegia i contenuti che non si rivolgono alla ragione ma ai
sentimenti, che non suggeriscono riflessioni ma suscitano emozioni. Più ancora del prodotto
giornalistico, il prodotto televisivo si presenta come una merce da vendere; e anche i telespettatori
diventano una merce, venduta alla pubblicità un tanto a numero di televisori accesi. Strano mercato,
quello della televisione, condizionato non dai consumatori ma dai produttori di consumi.
L'universale e tranquillizzante convinzione che accompagna l'era dell'informazione di massa rimane
in fondo sempre la stessa: cambiano le tecnologie, dalla radio di cinquant'anni fa al digitale terrestre
dei nostri giorni, ma ciò che ci rende ignari fruitori dell'informazione è sempre la convinzione che il
mezzo, lo strumento è neutro, mentre gli effetti che esso produce dipendono dall'uso che se ne fa.
Così il vero guru dell'età contemporanea, la televisione, che fosse il mobile con le valvole di
qualche decennio fa, che sia il sottile schermo a cristalli liquidi da appendere al muro come un
quadro, rimane nella convinzione comune un congegno elettronico inerte che dà vita ad una
rappresentazione della realtà, dove il contenuto dipende unicamente da cosa viene trasmesso, non
certo dallo strumento, dal medium,(in latino: il mezzo) appunto. Qualcuno dice che, anche da
spento, il televisore è pericoloso, perché asseconda l'inesausto narcisismo della nostra società: c'è il
rischio che passandoci davanti non si resista alla tentazione di specchiarcisi un istante…! Ma in
verità la questione ha dei risvolti seri, e la televisione non è che un esempio, che, per quanto
illuminante, non è certo esclusivo. A questo proposito pare interessante accostarsi agli studi di
McLuhan, un personaggio dallo statuto culturale difficilmente classificabile: è stato definito
sociologo dell'informazione, culturologo, ma i suoi spunti di riflessione, per quanto egli non si sia
mai definito un filosofo, sono invece di grande aiuto ad una riflessione filosofica che si interroghi
sul valore che lo strumento comunicativo possiede, soprattutto nella società contemporanea.
L'ipotesi che McLuhan avanza nei suoi studi è tanto semplice quanto controcorrente, e si può
sintetizzare in uno slogan, divenuto poi famoso: il medium è il messaggio. Osserva: "I più,
inconsapevoli degli effetti pervadenti dei media sull'uomo, non si rendono conto anzitutto che lo
stesso medium è il messaggio, non il contenuto, e inoltre ignorano che il medium è il massaggio, si
perdoni il bisticcio, poiché esso intride, satura, plasma e trasforma ogni rapporto sensoriale. Il
contenuto o messaggio di un qualsiasi medium ha tanta importanza quanta ne ha la stampigliatura
sulla cassa d'imballaggio di una bomba atomica." E, come per temperare lo scandalo della sua
affermazione, poco più avanti precisa: "Affermando che il medium è il messaggio, piuttosto che il
contenuto, io non voglio affermare che il contenuto non giochi nessun ruolo, ma piuttosto che il suo
ruolo è di natura subordinata." Le affermazioni di McLuhan sono ricche di implicazioni, anche se
semplici nel loro contenuto essenziale: il suo scopo è quello di mettere a nudo, di smascherare il
potere informativo del mezzo di comunicazione in quanto tale, e non in relazione al significato che
veicola. O meglio, di mostrare che il medium in quanto tale è, in un certo senso, il suo significato.
Questo porta immediatamente ad almeno due conseguenze: esiste un livello di comunicazione,
buona o cattiva che sia, di cui il fruitore non è cosciente; in secondo luogo, la tipologia dello
strumento comunicativo incide notevolmente sull'effetto che esso produce nel fruitore. L'abitudine a
fissare la nostra attenzione su ciò che leggiamo sui giornali, sentiamo alla televisione, leggiamo nei
libri, ci impedisce di considerare che il tono, il "colore" di ciò che apprendiamo, molto spesso
dipende dal modo con cui lo apprendiamo. Non è lo stesso sentire una notizia in televisione e
leggere un articolo di cronaca sul giornale. Ciò che entra nella nostra mente attraverso l'udito non
produce lo stesso effetto di ciò che percepiamo con la vista. E, sotto questo punto di vista, McLuhan
individua, all'interno delle varie epoche, la prevalenza di un organo sensoriale sugli altri: l'avvento
della televisione, ad esempio, ha significato il sorgere di un atteggiamento ipervisivo da parte
dell'umanità occidentale, che seguiva un'epoca in cui invece la diffusione della radio aveva
sviluppato molto la recettività uditiva. La riflessione di McLuhan, in questo senso, smaschera un
pregiudizio comune della nostra società: che esista la comunicazione imparziale, che esista il mezzo
neutro che veicoli un significato senza corpo, cioè puro, esistente di per sé e riproducibile
all'infinito sempre allo stesso modo, in maniera astrattamente oggettiva. Ma questo è appunto
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astratto, teorico: nella realtà le cose non vanno così; i significati sono invece incarnati nei loro corpi,
e ne sono influenzati, perché fanno tutt'uno con essi. Senza raggiungere i toni forse un po' esagerati
di McLuhan, quello che è possibile verificare nell'esperienza è però che un nuovo mezzo di
comunicazione muta davvero le abitudini di chi lo usa: la larghissima diffusione del telefono
cellulare, ad esempio, ha mutato tantissimo il livello, la quantità, il contenuto della comunicazione
interpersonale. Il fatto di poter avere con sé uno strumento di comunicazione a distanza, e non di
dover raggiungere il luogo demandato a questo scopo, inevitabilmente incide sul contenuto di ciò
che si comunica. La stessa rivoluzione era avvenuta negli anni passati con la diffusione prima del
telegrafo (bisognava muoversi per andare ad un ufficio apposito), poi del telefono (si poteva
ottenere lo stesso risultato stando a casa propria). Così come l'e-mail non è la lettera di carta, ecc. E
si potrebbe andare avanti all'infinito, fin negli aspetti più quotidiani: scrivere al computer, con la
possibilità di correggere facilmente un numero infinito di volte ciò che si compone, rappresenta un
abisso rispetto alla scrittura manuale, dove questa possibilità è molto ridotta. Questo, alla lunga,
muta considerevolmente il proprio abito comunicativo. Ma le osservazioni di McLuhan si spingono
oltre, perché questa analisi dimostra fondamentalmente una cosa: il medium ha innanzitutto
carattere pratico. Ha a che fare con la prassi concreta della vita quotidiana. Anche quando siamo
convinti che veicoli un significato teorico, un significato che è altro da ciò che serve appunto per
portare questo significato, in realtà non usciamo mai da una dimensione pratica. Per spiegare meglio
questo aspetto McLuhan porta l'esempio della luce elettrica: essa è un medium, uno strumento,
anche se evidentemente non uno strumento comunicativo. Eppure, in un certo senso, il suo
significato si può riconoscere negli effetti che la sua scoperta e la sua diffusione hanno prodotto: le
auto possono viaggiare di notte, gli interni possono essere illuminati come e più degli esterni, i ritmi
di vita sono cambiati, i nostri processi fisiologici si sono adattati a nuove condizioni di vita, del
tutto innaturali confrontate con quelle di solo ottanta o cento anni fa. Tutto questo grazie ad uno
strumento tutto sommato banale come la luce elettrica. Ecco, quello che McLuhan vuole dire è che
per i mezzi di comunicazione avviene un po' lo stesso: il loro significato è rintracciabile nell'insieme
degli effetti che producono. In realtà, nella sua indagine, questo discorso è inserito un una ricerca
più ampia, di carattere antropologico e filosofico, che vuole risalire all'archetipo di tutti i media, al
medium per eccellenza, che egli individua nella scrittura, e precisamente nella scrittura alfabetica.
Essa avrebbe prodotto, a suo avviso, quell'incredibile mutamento di pensiero che avrebbe portato
alla scoperta della teoria, del significato disgiunto dal mezzo che lo veicola. Ma questo ci
porterebbe all'interno di una riflessione più approfondita sul pensiero di McLuhan e di altri autori,
soprattutto filosofi, che si sono interessati a queste questioni, che meriterebbe un discorso a parte.
Quello che appare interessante, invece, è una conseguenza immediata della consapevolezza
acquisita grazie a queste considerazioni: se tale è il potere non soltanto informativo, ma anche e
soprattutto formativo dei mezzi di comunicazione, questo significa innanzitutto una grande
responsabilità da parte di chi li gestisce e di chi opera con essi. Parliamo evidentemente in
particolare di quei media che hanno la caratteristica di poter raggiungere un elevato numero di
persone e di avere una notevole incisività all'interno della società. Riconosciuto infatti che ogni
medium ha un suo potere comunicativo in sé, al di là dell'uso che se ne fa, si pone però il problema
morale di come gestire, per quanto possibile, questo potere. L'esempio più eclatante è forse proprio
quello di internet, probabilmente il più rivoluzionario mezzo di comunicazione dopo l'invenzione
dell'alfabeto. La responsabilità di chi opera su internet è grande, grande almeno quanto le sue
potenzialità. Ma forse, prima ancora che un problema morale, la vera domanda risiede al livello
ontologico: in un'era in cui i media esprimono più che mai se stessi e il loro potere, potere che i
potenti rincorrono per esprimere a loro volta il proprio potere…cosa vale la pena di dirsi? Cosa
davvero è importante comunicare, annunciare, testimoniare? Secondo gran parte dell’opinione
pubblica, se c'è una verità da annunciare, o è per il mondo, o non è vera.
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ITEM F – “Percezione della sicurezza ed influenza dei new media sul minore” (dal Piper Progress, La tutela del minore a scuola e relazioni di rete, da me redatto per il Convegno A.N.S. ad
Arma di Taggia su la Convenzione di New York, trascorsi 20 anni dalla sua nascita; 1989-2009)
[…] La “rete”, nella scuola come all’esterno di quest’ultima, ha inoltre il compito di tutelare il
minore favorendo la socializzazione. Per tale ragione in questa sede, affronto anche il discorso sui
canali ed i processi della comunicazione, superando il paradigma causal-determinista di molti
Sociologi dell’educazione di stampo negazionista. Questi studiano i processi di condizionamento
sul minore nell’era del Web, ove il fanciullo è solo soggetto passivo della tecnologia e dei media,
soprattutto, di internet, in grado di esercitare potere su di esso e di sottovalutare la dimensione
sociale, attraverso il peso dei contesti nella costruzione dei significati. Intendo, invece, adottare una
prospettiva dinamica e sistemica sugli effetti della comunicazione multimediale, attraverso l’analisi
dei Sociologi contemporanei Caronia e Rivoltella, incentrata sullo sviluppo dei processi di
socializzazione connessi a tale contesto. Togliere questa ritualità dall’agenda del bambino può
comportare la riduzione e a volte la perdita dei momenti discorsivi con i propri pari, dunque è
importante una forma di conservazione di tale comunicazione, monitorata anche dalla presenza
degli adulti, con una supervisione piuttosto flessibile, un “andare e venire” che al contempo li
rassicura, ricordandogli il senso di appartenenza. Questo discorso vale non solo in famiglia, ma
anche in ambito scolastico, attraverso l’ausilio delle relazioni di rete, quale forma di intervento dei
genitori e degli insegnanti supportato da esperti, nel controllare la fruizione della comunicazione
multimediale senza inibire la sociabilità del bambino, tutelandolo, e non privarlo, al contempo, della
libertà di espressione, del gioco e quant’altro possa favorire l’integrazione con i coetanei anche di
diversa religione e cultura. Riguardo l’importanza del monitoraggio sulla comunicazione nella
scuola ed in famiglia, ricordo il libro del Professore Mario Morcellini, Sociologo, titolato “La
scuola della modernità. Per un manifesto della media education”. Esso si propone come nuovo
programma per la media education documentando un approccio nuovo al rapporto giovani e
tecnologie comunicative, aperto alla rivalutazione degli insegnanti e del curriculum verso anche
esperienze straniere, concludendo con un prodotto multimediale educational. Testo che al
contempo, evidenzia la necessità nella società post-moderna di concentrare sempre l’attenzione sui
contenuti ed i veicoli della comunicazione, allo scopo di tutelare la sfera del minore […].
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A cura della Dottoressa Silvia Paternostro
***
Sociologa e Socioterapeuta
Ricercatrice Applicata
***
Dirigente A.N.S. – Associazione Nazionale Sociologi
Responsabile Laboratorio A.N.S. Liguria
Liguria (SP)
(**)
Estratto dal Progress di Ricerca: “Sviluppo della media educational come strumento formativo e valoriale per una
comunicazione consapevole”, Progetto S.C.M.M.C., Anno 2013
(**)
La Bibliografia è contenuta nel Testo integrale
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