Patto di stabilità, arriva il certificato

Transcript

Patto di stabilità, arriva il certificato
Patto di stabilità, arriva il
certificato - I commercialisti
chiedono una proroga sui
questionari alla Corte dei conti
di Gianni Trovati
Via libera in conferenza Stato-Città al decreto dell'Economia sulla certificazione
del Patto di stabilità 2015, che Province, Città metropolitane e Comuni con più di
mille abitanti dovranno inviare alla Ragioneria generale entro il 31 marzo
tramite il solito sistema telematico dedicato ai vincoli di finanza pubblica degli
enti locali.
La certificazione deve tener conto dei tanti correttivi introdotti via via
nell'impianto del Patto, come lo stop alla sanzione finanziaria (il taglio al fondo)
se lo sforamento è determinato da un'accelerazione nello sforzo locale sugli
investimenti cofinanziati dalla Ue, i meccanismi di incentivo e disincentivo
prodotti dai Patti regionali e così via.
Rispetto agli anni scorsi c'è una novità importante per i revisori, designati dalla
manovra 2016 (comma 721 della legge 208/2015) come commissari ad acta negli
enti che al 30 maggio (un mese dopo la scadenza per i rendiconti) non avranno
ancora inviato la certificazione. In questi casi, il presidente del collegio (o il
revisore unico nell'ampia maggioranza dei Comuni, quelli con meno di 15mila
abitanti) avrà 30 giorni di tempo per rimediare, «a pena di decadenza»: la colpa,
insomma, è del Comune, ma la pena va al revisore.
Il periodo, del resto, è sempre più complicato per i professionisti che operano
negli enti locali, e che in queste settimane sono alle prese con l'ennesimo
intreccio di scadenze. Oltre alla certificazione (31 marzo) e ai controlli su
preventivi 2016 e rendiconti 2015 (entrambi al 30 aprile), nell'agenda va segnata
anche la data del 21 marzo, entro cui occorre mandare alla Corte dei conti i
questionari sui preventivi dell'anno scorso. Il problema, come sottolinea il
presidente del Cndcec Gerardo Longobardi in una lettera al presidente della
Corte Raffaele Squitieri in cui chiede la proroga del termine, è che la procedura
ancora non funziona, perché le tabelle excel «sono disponibili in formato excel
esportabile, ma, una volta compilati, non possono, di fatto, essere trasmessi».
Ma è tutto il sistema a essere in affanno con le scadenze, come mostrano anche i
correttivi al prospetto semestrale sul Patto 2015, approvati sempre ieri in Stato-
Città. I correttivi si sono resi necessari per adeguare il prospetto ai bonus
introdotti dai decreti della seconda metà del 2015: la scadenza per il
monitoraggio, però, è scaduta il 31 gennaio scorso.
Riforma Madia, su otto decreti il
«sì» di sindaci e governatori
di Davide Colombo e Gianni Trovati
Primo via libera della Conferenza unificata ad alcuni dei decreti attuativi della
riforma della Pa (legge 124/2015). L'intesa tra il Governo le Regioni e Comuni è
stata raggiunta su otto degli 11 decreti. In particolare hanno incassato il parere
positivo i testi di semplificazione della Conferenza dei servizi telematica e della
Scia, le modifiche al Codice delle amministrazioni digitali, il decreto sulla
trasparenza (il cosiddetto freedom of information act all'italiana, già all'esame
anche delle Camere) , le misure per i licenziamenti dei dipendenti in caso di falsa
attestazione di presenza in ufficio con sanzioni rafforzate ai dirigenti che non
fanno scattare la disciplinare accelerata e le nuove regole per il reclutamento dei
direttori generali delle Asl.
Intesa raggiunta anche sul riordino delle forze di polizia e l'accorpamento della
Guardia forestale con trasferimento di funzioni e personale all'Arma dei
Carabinieri. Giudizio sospeso per un approfondimento politico, invece, sul
regolamento di delegificazione che attribuisce poteri sostitutivi alla presidenza
del Consiglio per tagliare il timing delle autorizzazioni di grandi opere o grandi
impianti produttivi. Soddisfatta la ministra Marianna Madia: «Il senso della
Conferenza unificata, dopo l'incontro della scorsa settimana, è quello di lavorare
insieme - ha spiegato - con la consapevolezza che al cittadino interessa avere un
servizio di qualità con tempi e regole certe da parte della Repubblica». Riguardo
al rinvio dell'intesa sul regolamento che accelera i tempi per gli insediamenti
produttivi, Madia ha spiegato che c'è «un emendamento delle regioni. È un
punto su cui fare un approfondimento e capire come vengono scelti gli
investimenti strategici sapendo che l'obiettivo è velocizzare i grandi investimenti
privati che portano sviluppo e innovazione».
Non erano all'ordine del giorno ieri i testi su autorità portuali, partecipate e
servizi pubblici locali, anche perché quest'ultimo ha ricevuto solo all'inizio di
questa settimana la «bollinatura» della Ragioneria generale. Questi testi, che
completano il primo pacchetto attuativo della riforma della Pa, dovrebbero
arrivare sui tavoli della prossima Conferenza, in programma per il 24 marzo.
Oltre ai tre provvedimenti, nell'ordine del giorno di quella riunione tornerà la
questione Poste, e in particolare le obiezioni che stanno emergendo in molti dei
piccoli Comuni per la consegna a giorni alterni. Ad annunciarlo è il ministro
degli Affari regionali Enrico Costa, che ha esteso l'invito ai vertici di Poste per un
tavolo di confronto sulla razionalizzazione in corso, che ha prodotto anche un
ricco contenzioso davanti ai giudici amministrativi (l'ultima sentenza in materia,
la698/2016 del Consiglio di Stato, ha dato il via libera alla chiusura di un ufficio
postale decisa contro le obiezioni dell'ente). A breve, spiega sempre Costa,
partirà anche il confronto con le Regioni sulle concessioni demaniali la cui
proroga è in attesa della bocciatura Ue.
Dalla Corte dei conti controllo
digitale dei dati contabili per tutti
gli enti
di Roberta Giuliani
Tutti gli enti e le società sottoposte al controllo della Corte dei conti potranno
inviare online bilanci e informazioni contabili alla sezione di controllo. Il
Sistema informativo controllo enti (Sice) attivato a fine luglio 2015 per i soli enti
che avevano aderito alla sperimentazione, è ora in funzione per la totalità degli
enti di natura pubblica o privata che devono sottoporre i dati contabili alla
verifica della sezione di controllo della magistratura contabile (legge n.
259/1958).
Il Sice
Viene dunque archiviato l'obbligo dell'invio cartaceo delle informazioni
contabili: i bilanci viaggeranno online in formato digitale elaborabile proprio per
venire incontro alle esigenze di dematerializzazione dei flussi.
Flessibilità e semplicità – come sottolinea la Corte dei conti - sono alcune delle
caratteristiche di Sice che, tra l'altro, lo rendono pronto a recepire future
modifiche alla struttura dei bilanci.
L'implementazione di Sice contribuirà a facilitare le modalità di ricezione dei
dati senza gravare sulle attività degli enti stessi. Saranno dunque potenziati gli
strumenti di analisi, indagine e controllo anche attraverso strumenti di business
intelligence che consentiranno una maggiore rapidità di raffronto tra le poste
omogenee di bilancio di enti diversi, appartenenti allo stesso comparto.
Il manuale per la trasmissione
Per aiutare gli enti, è disponibile sul sito della Corte dei conti nella sezione
«Servizi» alla voce «Documentazione» un manuale che passo dopo passo
accompagna
gli
utenti
nella
trasmissione
delle
informazioni.
Gli enti potranno comunicare i rendiconti e gli ulteriori dati contabili con tre
diverse modalità: una di queste prevede l'adozione di un linguaggio di
rappresentazione delle informazioni contabili, cui già fanno ricorso le società
tenute a depositare i propri bilanci presso le camere di commercio (XBRL,
eXtensible Business Reporting Language).
Illegittima la chiusura degli uffici
postali senza confronto con il
Comune
di Michele Nico
La partita della chiusura degli uffici postali si gioca ormai sul tavolo della
giustizia amministrativa, che in questo periodo registra decisioni inaspettate e a
volte destabilizzanti per gli scenari di sviluppo dei servizi postali. Come la
sentenza del Tar Toscana, che accoglie il ricorso di un Comune e annulla il
provvedimento di Poste Italiane Spa per la chiusura dell'ufficio postale sul
territorio dell'ente stesso.
La decisione riveste notevole interesse anche per il fatto presso il tribunale
giacciono altri ricorsi pendenti che saranno esaminati dai giudici nei prossimi
mesi, e nel caso di analoga decisione potrebbero cambiare le cose per tutti i 57
Comuni della regione coinvolti dal piano di riorganizzazione di Poste Italiane.
Con la sentenza n. 337 del 25 febbraio 2016 il Tar Toscana rievoca la normativa
per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali a partire dal Dlgs 261/1999
di attuazione della direttiva 97/67/CE, citando il contratto di programma
2009/2011 stipulato tra il Mise e Poste italiane (tacitamente rinnovato), e la
deliberazione n. 342/14/CONS del 26 giugno 2014 con cui l'Autorità per le
Garanzie nelle Comunicazioni ha definito i criteri di distribuzione dei punti di
accesso alla rete, che Poste italiane è tenuta a garantire ai fini della fruibilità del
servizio postale universale.
La decisione
Il collegio respinge preliminarmente l'asserito difetto di giurisdizione avanzato
da Poste italiane, affermando che le controversie attinenti ai provvedimenti di
chiusura o rimodulazione oraria degli uffici postali appartengono alla cognizione
del giudice amministrativo.
I giudici, tenuto conto del fatto che il Dlgs 58/2011 ha previsto l'affidamento del
servizio universale a Poste italiane fino al 2026, pongono in risalto l'obbligo del
gestore di «garantire il rispetto delle esigenze essenziali», di «offrire agli utenti,
in condizioni analoghe, un trattamento identico», nonché di svolgere «un ruolo
fondamentale nella funzione di coesione sociale ed economica sul territorio
nazionale», ai sensi dell'articolo 3 del Dlgs 261/1999 e del vigente contratto di
programma.
Il confronto con il Comune
Va notato che, secondo il Tar, l'aspetto dirimente della questione risiede nei
profili procedimentali, e si sostanzia nell'accertata mancanza di un confronto
preventivo da parte di Poste italiane con il Comune interessato, per valutare
l'impatto della chiusura degli uffici postali sulla popolazione, individuando, là
dove possibile, soluzioni alternative per la specifica situazione di fatto.
Nel caso di specie, non consta agli atti alcuna partecipazione o altra forma di
interlocuzione con il Comune ricorrente, e ciò basta al collegio per censurare
l'arbitrario atto di chiusura degli uffici postali. Tale misura, si legge nella
sentenza, oltre ad aver leso le garanzie partecipative dell'ente locale, «ha
arrecato un vulnus anche i principi di imparzialità e buon andamento»
intaccando irrimediabilmente la legittimità dell'operato di Poste italiane.
La preoccupazione dell'Anci
I Comuni che stanno iniziando a sperimentare la consegna della corrispondenza
a giorni alterni sono molto preoccupati. L'Anci pur prendendo atto
«dell'obiettivo di razionalizzazione degli uffici postali» avverte che «occorre
valutare sotto ogni aspetto le ripercussioni sulla cittadinanza». È quanto
sollecita il vicepresidente dell'Anci Roberto Pella. «Come già avvenuto lo scorso
anno, in occasione del lungo confronto tra Anci e Poste per la chiusura degli
uffici postali, l'Associazione - spiega Pella - continua a sostenere il metodo
dell'ascolto e della concertazione con gli Amministratori locali interessati prima
di operare scelte che incidono direttamente sul cittadino. Questa è la condizione
necessaria che potrà comportare il minimo disagio possibile sul territorio a
fronte di politiche di razionalizzazione così importanti. Tutto ciò, ricordando
inoltre anche la direttiva europea che afferma la garanzia del recapito postale per
almeno cinque giorni a settimana e derogabile solo in presenza di "circostanze o
condizioni geografiche eccezionali", nella convinzione - conclude il
vicepresidente Anci - che si possa arrivare a soluzioni migliori e maggiormente
condivise anche grazie alle proposte e alle soluzioni alternative avanzate anche in
altre occasioni dagli amministratori locali».
La mancata approvazione della
Tari «resuscita» la tariffa dell'anno
prima
di Francesco Clemente
Se in tema di rifiuti il consiglio non ha approvato le tariffe Tari né il piano
economico finanziario, il Comune dovrà applicare le aliquote fissate nell'anno
precedente anche se più basse, ma in ogni caso è tenuto a pagare il gestore del
servizio nel caso nel frattempo abbia sostenuto maggiori costi. A chiarirlo è
la Corte dei conti della Sicilia – delibera n. 49/2016 - in risposta a un Comune
che chiedeva se accantonare in bilancio un «Fondo per il disavanzo da servizio di
raccolta rifiuti 2015» poiché non aveva mai incassato il via libera dal proprio
organo consiliare sul piano economico del servizio. Avendo fissato misure
correttive nella gestione rispetto al 2014, anno dell'avvio della Tari con legge di
stabilità (comma 639, legge 147/2013), l'ente aveva calcolato per il 2015, al netto
del saldo da raccolta differenziata, una spesa di circa 2,6 milioni di euro in più da
coprire integralmente con le stesse tariffe come richiesto dalla stessa legge
(comma 654).
La proroga automatica
La Corte, seppur lasciando all'ente la competenza decisionale sulle «opzioni
gestionali concrete» sulla questione, ha ricordato che «(…) l'articolo 1, comma
683 della legge 147/2013 prevede che il consiglio comunale debba approvare le
tariffe Tari entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del
bilancio di previsione, in conformità al Piano finanziario del servizio di gestione
dei rifiuti urbani».
Stando al parere dei magistrati contabili, «con specifico riferimento alla tariffa,
va innanzitutto esclusa l'ultrattività della deroga introdotta dal comma 12quinquiesdecies dell'articolo 10 del Dl 192/2014, limitata al solo 2014, anno di
prima introduzione della Tari», per cui «si riespande (…) il principio generale
stabilito dall'articolo 1, comma 169, della legge 296/2006» che proroga
automaticamente le vecchie aliquote e tariffe in caso di mancata approvazione
delle nuove entro la scadenza per la chiusura dei bilanci di previsione.
I ritocchi possibili
Di conseguenza il Comune potrà continuare a riscuotere la Tari sulla base delle
tariffe dell'anno prima, per un servizio che «per scelta dell'organo consiliare,
mantiene le caratteristiche dell'ultimo piano economico finanziario formalmente
approvato», salva la necessità di indennizzare il gestore «per gli eventuali
maggiori oneri medio tempore sostenuti per il nuovo servizio». In ogni caso, il
consiglio può modificare la Tari per il 2016, perché la tariffa rifiuti non è
compresa nel blocco delle aliquote introdotto dall'ultima manovra.
Competenze digitali: la road map
della nuova strategia per Pa,
cittadini e imprese
di Roberta Giuliani
Quasi la metà degli italiani (46,5%) hanno competenze digitali di base ma solo il
18% dei cittadini interagisce online con la Pa anche se il nostro Paese con il 78%
di completamento dei servizi informatici supera la media Ue (75%). Il processo
di informatizzazione di Pa, cittadini e imprese non si ferma e «La strategia 2016
per le competenze digitali», pubblicata dall'Agid, nel rinnovare gli obiettivi
definiti per il 2014-2020 punta al «cambiamento radicale dei modelli produttivi,
formativi e relazionali finora utilizzati».
E allora oltre a proseguire con gli interventi di alfabetizzazione, la Coalizione per
le competenze digitali, attraverso lo sviluppo di partenariati, non solo favorirà la
crescita dei progetti attivi sul territorio nazionale ma metterà a sistema le
iniziative promosse da raccogliere e consultare sul proprio portale. Si rafforzerà
quindi l'azione di coordinamento che svolge già da due anni la Coalizione,
l'organismo istituito proprio per realizzare una sinergia tra istituzioni pubbliche
nazionali e locali, comunità professionali, organizzazioni non profit, associazioni
datoriali e sindacali e soggetti privati.
L'Agid inoltre avvierà un'iniziativa pilota di mappatura delle competenze
digitali. «Uno specifico piano di intervento, che prevede l'adozione di framework
standardizzati, porterà alla certificazione e quindi a una piena valorizzazione
delle competenze digitali possedute. L'obiettivo è quello di creare un modello che
sarà possibile replicare all'interno delle pubbliche amministrazioni centrali e
locali».
Risultati e nuovi obiettivi
Alla fine del 2015 la Coalizione ha certificato i risultati ottenuti: tra i quasi 100
progetti della piattaforma 34 hanno coinvolto 5.078 Pa in attività di formazione
avanzata sulle competenze digitali a cui hanno partecipato 72.600 lavoratori
pubblici. Inoltre sono stati realizzati 90 servizi di e-gov con modalità di coprogettazione e 222 siti pubblici sono stati avviati o rinnovati.
Con il 2016 si apre una nuova sfida per la Coalizione: preparare sempre più
cittadini allo sfruttamento del potenziale offerto dall'ultima ondata di tecnologie
(mobile apps, social media, big data, internet delle cose, cloud). Per questo nella
Strategia 2016 partendo dalle azioni realizzate nel 2015 vengono tracciate sei
linee di azione sintetizzate in una Road map che scandisce le tappe del percorso
di sviluppo da marzo a dicembre.
Road map della coalizione
Previsti per la fine di marzo: aggiornamento della piattaforma web, definizione
degli obiettivi annuali sui principali indicatori internazionali e delle iniziative
nazionali nell'ambito delle proposte della Commissione Ue; sviluppo delle
competenze digitali per Spid e PagoPa; avvio del gruppo di lavoro con le Regioni
per
inserire
le
linee
guida
nella
programmazione
regionale.
A luglio invece partirà la community per i membri della coalizione con la
partecipazione delle organizzazioni pubbliche e private e si dovrà arrivare a 100
progetti in piattaforma per favorire il riuso e l'integrazione. Inoltre si realizzerà
la versione italiana del Digcomp (il modello che è un quadro comune di
riferimento europeo e descrive le competenze digitali in termini di conoscenze,
abilità e atteggiamenti).
A dicembre invece si dovrà completare lo sviluppo delle competenze digitali nei
piani di diffusione degli altri programmi di crescita digitale, partire con la
sperimentazione su Digcomp e avviare le iniziative nazionali nell'ambito delle
proposte della Commissione Ue.
Edilizia residenziale pubblica,
perde l'assegnazione chi ha un
usufrutto nella stessa provincia
di Lorenzo Camarda
Non è consentito godere dell'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale
pubblica a chi già ha un diritto di usufrutto, in comunione di beni con il coniuge,
di altri beni immobili adeguati all'abitazione ubicati nello stesso territorio
provinciale. Almeno per quanto riguarda la regione Campania.
A stabilirlo è la sentenza del Tar Campania-Napoli sezione V del 22 febbraio
2016 n.962.
Il fatto
Il Sindaco di una cittadina campana ha dichiarato la decadenza dei benefici
relativamente all'assegnazione di un alloggio economico e popolare nell'ambito
del Comune che rientra nel territorio provinciale dove lo stesso gode di un diritto
di usufrutto, in comunione con il coniuge, su altri beni adeguati ad essere abitati.
Il ricorrente si è rivolto al Tar Campania-Napoli per l'annullamento
dell'ordinanza del Sindaco, adducendo di essere vincitore di un pubblico
concorso. Il Tar ha respinto il ricorso avendo accertato che il ricorrente era
titolare del diritto di usufrutto, in comunione con la convivente, di altri beni
immobili, tra cui un alloggio di 5,5 vani, sul medesimo territorio provinciale del
bando di assegnazione.
In diritto
La materia è disciplinata dalla legge regionale Campania 2 luglio 1997 n. 18 che
all'articolo 20, rubricato decadenza dell'assegnazione, stabilisce il venir meno
del diritto all'assegnazione dell'alloggio di edilizia pubblica residenziale per
coloro che risultino titolari di altri diritti che consentono l'utilizzo di una
abitazione adeguata alle esigenze del nucleo familiare.
Pianificazione urbanistica: l'esito
della conferenza di servizi non
vincola il consiglio comunale
di Lorenzo Camarda
Resta intatta la discrezionalità amministrativa del Consiglio comunale dinnanzi
a qualsiasi esito espresso dalla Conferenza di servizi in ambito di pianificazione
urbanistica. È quanto si ricava dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV,
del 18 febbraio 2016, n. 650che ha giudicato in tema di variante semplificata (in
base all’articolo 5 del Dpr 20 ottobre 1998, n. 447).
Il caso
Due Società, intenzionate ad espandere i propri stabilimenti industriali anche in
zona agricola, hanno impugnato dinnanzi al Tar Marche la delibera del Consiglio
comunale di Macerata che ha respinto l’indicazione della Conferenza di servizi
orientata a concedere alle Società richiedenti una variante urbanistica
semplificata ai sensi dell’articolo 5 del Dpr 447/1998.
In diritto
Bypassando le questioni di improcedibilità dichiarate dal Tar Marche e fatte
valere in sede di appello, il caso pare interessante in ordine al merito.
Può il Consiglio comunale, in materia urbanistica, non allinearsi al parere
espresso dalla Conferenza di servizi?
La domanda non è semplice in quanto, nella fattispecie all’esame, la Conferenza
di servizi si è espressa in senso favorevole acquisendo i seguenti pareri
favorevoli: della Soprintendenza ai beni Architettonici e del paesaggio delle
Marche (sotto il profilo della compatibilità paesaggistica e storico-culturale);
della Provincia di Macerata (relativamente agli aspetti della compatibilità
ambientale e dell’impatto sulla viabilità), e di conformità urbanistica da parte
della competente Autorità regionale.
Nonostante ciò, il Consiglio comunale, nell’esaminare la proposta di variante
urbanistica, ha ritenuto di non approvarla.
Per quale ragione?
In particolare per il contrasto della proposta con le scelte di fondo della
pianificazione
territoriale
comunale,
che
escludevano
l’estensione
dell’edificazione nella zona ove si voleva realizzare l’impianto.
In diritto, basterebbe questa motivazione per legittimare la scelta fatta dal
Consiglio comunale.
Questa asserzione la si desume innanzitutto dal ruolo e dalle funzioni poste in
capo al Consiglio comunale, che il Tuel qualifica come titolare della potestà
pianificatoria,
che
il
Consiglio
esercita
in
piena
autonomia.
Inoltre, sotto il profilo procedurale, la proposta di variante urbanistica,
sottoposta alla Conferenza di servizi, si configura come “proposta” rispetto alla
quale la Conferenza di servizi si esprime con un “parere”. E tale parere può
essere disatteso dal Consiglio comunale, addirittura anche nel caso in cui il
rappresentante del Comune abbia preso una posizione favorevole (si veda
Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza del 27 luglio 2011, n. 4498).
Conseguentemente, il Consiglio comunale esercita il suo potere in piena
autonomia e libertà rispetto alla Conferenza di servizi e agli enti partecipanti
rispetto ai quali non sussiste alcun obbligo in relazione ad eventuali supposte
aspettative da parte di chicchessia (si veda Consiglio di Stato, Sezione VI,
sentenza del 4 novembre 2013, n. 5292).
Conclusioni
Il Consiglio di Stato, allineandosi alla consolidata Giurisprudenza
amministrativa, rispetto alla quale non trova ragioni di dissenso, riconosce al
Consiglio comunale, in materia di pianificazione urbanistica, il potere di
adottare le proprie determinazioni in modo autonomo, privo di ogni altro
vincolo e con ampia discrezionalità amministrativa. Conseguentemente respinge
l’appello avanzato dalle due Società ricorrenti.
Interventi edilizi: la regola della
distanza minima tra pareti
finestrate va applicata secondo
proporzionalità
di Giovanni G.A. Dato
La previsione racchiusa nell’articolo 9 del Dm 2 aprile 1968, n. 1444 (relativo ai
limiti di distanza fra fabbricati), ed in particolare, la regola che prescrive «in tutti
i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti» è derogabile caso per caso?
Su tale questione si sofferma la recente sentenza del Tar Lombardia, Brescia,
Sezione I, 9 febbraio 2016, n. 229, secondo la quale il vincolo della distanza
minima dalle pareti finestrate deve essere applicato secondo il canone di
proporzionalità, ossia nei limiti necessari a prevenire il degrado igienicosanitario. Di conseguenza, il rispetto puntuale della distanza minima dalle pareti
finestrate non è necessario se non vi siano pericoli di peggioramento delle
condizioni igienico-sanitarie nelle abitazioni servite dalle finestre.
Il caso
Il giudizio nasceva dall’impugnazione di un permesso di costruire in sanatoria
rilasciato da un Comune dopo la realizzazione da parte di un privato di un
intervento di demolizione, ricostruzione e ampliamento di un edificio
residenziale; in sintesi, il ricorrente sosteneva che tutta la volumetria traslata
verso l’alto era - tra l’altro - computabile nel calcolo dalle pareti finestrate.
L’approfondimento
Secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, in base all’articolo 9 del Dm 2
aprile 1968, n. 1444, la distanza di dieci metri tra le pareti finestrate di edifici
antistanti va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la
formazione di intercapedini; le distanze tra le costruzioni sono predeterminate
con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione (non della
tutela del diritto alla riservatezza, ma) delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al Giudice non è lasciato alcun
margine di discrezionalità nell’applicazione della disciplina (Tar Campania,
Napoli, Sezione VII, 19 maggio 2015, n. 2791).
Trattasi di norma (non immediatamente operante anche nei rapporti tra privati)
che impone determinati limiti edilizi nella formazione o revisione degli
strumenti urbanistici; l’adozione, da parte degli Enti locali, di strumenti
urbanistici contrastanti con la norma comporta l’obbligo, per il Giudice, di
disapplicare le disposizioni illegittime (ovvero di annullare la prescrizione
illegittima ove oggetto di impugnazione) e di applicare direttamente la
disposizione del ricordato articolo 9, in sostituzione della norma illegittima
disapplicata. La norma in esame prevale anche rispetto ad eventuali disposizioni
contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione che, per questo “vengono
caducate ed automaticamente sostituite dalla anzidetta disposizione”.
La norma, sul piano formale, fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti
finestrate, per tali dovendosi intendere unicamente “le pareti munite di finestre
qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono
semplici luci” (Consiglio di Stato, Sezione IV, 5 ottobre 2015, n. 4628).
Condizione indispensabile per l’applicazione del regime garantistico della
distanza minima dei dieci metri è data dal fatto che esistano due pareti che si
contrappongono di cui almeno una è finestrata; tale regola deve ritenersi
applicabile anche alle sopraelevazioni.
La disposizione di cui al citato articolo 9, comma 1, n. 2, trova applicazione
anche al caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad
una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti (Tar Campania, Napoli,
sezione VII, 19 maggio 2015, n. 2791). La misura minima della distanza è
derogabile, infine, in due ipotesi tassative: è consentito edificare a distanze
inferiori rispetto a quelle previste dal comma 1 soltanto per i piani
particolareggiati e per le lottizzazioni convenzionate.
Conclusioni
Nella sentenza in commento si parte dal rilievo in base al quale la
sopraelevazione della facciata dell’edificio risultava essere di soli 56 cm, in
corrispondenza di una parete, e di 53 cm, in corrispondenza di un’altra.
Si osserva, quindi, che il vincolo della distanza minima deve essere applicato
secondo il canone di proporzionalità, ossia nei limiti necessari a prevenire il
degrado igienico-sanitario; di conseguenza, il rispetto puntuale della distanza
minima dalle pareti finestrate non è necessario se non vi siano pericoli di
peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie nelle abitazioni servite dalle
finestre.
Nel caso specifico, non risultava dimostrato secondo il Giudice amministrativo
che la modesta sopraelevazione in facciata comportava effettivi disagi di natura
igienico-sanitaria. La sentenza ha ritenuto, conclusivamente, sussistenti nella
situazione concreta i presupposti della deroga alla distanza minima dalle pareti
finestrate.