Patto di stabilità, arriva il certificato
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Patto di stabilità, arriva il certificato
Patto di stabilità, arriva il certificato - I commercialisti chiedono una proroga sui questionari alla Corte dei conti di Gianni Trovati Via libera in conferenza Stato-Città al decreto dell'Economia sulla certificazione del Patto di stabilità 2015, che Province, Città metropolitane e Comuni con più di mille abitanti dovranno inviare alla Ragioneria generale entro il 31 marzo tramite il solito sistema telematico dedicato ai vincoli di finanza pubblica degli enti locali. La certificazione deve tener conto dei tanti correttivi introdotti via via nell'impianto del Patto, come lo stop alla sanzione finanziaria (il taglio al fondo) se lo sforamento è determinato da un'accelerazione nello sforzo locale sugli investimenti cofinanziati dalla Ue, i meccanismi di incentivo e disincentivo prodotti dai Patti regionali e così via. Rispetto agli anni scorsi c'è una novità importante per i revisori, designati dalla manovra 2016 (comma 721 della legge 208/2015) come commissari ad acta negli enti che al 30 maggio (un mese dopo la scadenza per i rendiconti) non avranno ancora inviato la certificazione. In questi casi, il presidente del collegio (o il revisore unico nell'ampia maggioranza dei Comuni, quelli con meno di 15mila abitanti) avrà 30 giorni di tempo per rimediare, «a pena di decadenza»: la colpa, insomma, è del Comune, ma la pena va al revisore. Il periodo, del resto, è sempre più complicato per i professionisti che operano negli enti locali, e che in queste settimane sono alle prese con l'ennesimo intreccio di scadenze. Oltre alla certificazione (31 marzo) e ai controlli su preventivi 2016 e rendiconti 2015 (entrambi al 30 aprile), nell'agenda va segnata anche la data del 21 marzo, entro cui occorre mandare alla Corte dei conti i questionari sui preventivi dell'anno scorso. Il problema, come sottolinea il presidente del Cndcec Gerardo Longobardi in una lettera al presidente della Corte Raffaele Squitieri in cui chiede la proroga del termine, è che la procedura ancora non funziona, perché le tabelle excel «sono disponibili in formato excel esportabile, ma, una volta compilati, non possono, di fatto, essere trasmessi». Ma è tutto il sistema a essere in affanno con le scadenze, come mostrano anche i correttivi al prospetto semestrale sul Patto 2015, approvati sempre ieri in Stato- Città. I correttivi si sono resi necessari per adeguare il prospetto ai bonus introdotti dai decreti della seconda metà del 2015: la scadenza per il monitoraggio, però, è scaduta il 31 gennaio scorso. Riforma Madia, su otto decreti il «sì» di sindaci e governatori di Davide Colombo e Gianni Trovati Primo via libera della Conferenza unificata ad alcuni dei decreti attuativi della riforma della Pa (legge 124/2015). L'intesa tra il Governo le Regioni e Comuni è stata raggiunta su otto degli 11 decreti. In particolare hanno incassato il parere positivo i testi di semplificazione della Conferenza dei servizi telematica e della Scia, le modifiche al Codice delle amministrazioni digitali, il decreto sulla trasparenza (il cosiddetto freedom of information act all'italiana, già all'esame anche delle Camere) , le misure per i licenziamenti dei dipendenti in caso di falsa attestazione di presenza in ufficio con sanzioni rafforzate ai dirigenti che non fanno scattare la disciplinare accelerata e le nuove regole per il reclutamento dei direttori generali delle Asl. Intesa raggiunta anche sul riordino delle forze di polizia e l'accorpamento della Guardia forestale con trasferimento di funzioni e personale all'Arma dei Carabinieri. Giudizio sospeso per un approfondimento politico, invece, sul regolamento di delegificazione che attribuisce poteri sostitutivi alla presidenza del Consiglio per tagliare il timing delle autorizzazioni di grandi opere o grandi impianti produttivi. Soddisfatta la ministra Marianna Madia: «Il senso della Conferenza unificata, dopo l'incontro della scorsa settimana, è quello di lavorare insieme - ha spiegato - con la consapevolezza che al cittadino interessa avere un servizio di qualità con tempi e regole certe da parte della Repubblica». Riguardo al rinvio dell'intesa sul regolamento che accelera i tempi per gli insediamenti produttivi, Madia ha spiegato che c'è «un emendamento delle regioni. È un punto su cui fare un approfondimento e capire come vengono scelti gli investimenti strategici sapendo che l'obiettivo è velocizzare i grandi investimenti privati che portano sviluppo e innovazione». Non erano all'ordine del giorno ieri i testi su autorità portuali, partecipate e servizi pubblici locali, anche perché quest'ultimo ha ricevuto solo all'inizio di questa settimana la «bollinatura» della Ragioneria generale. Questi testi, che completano il primo pacchetto attuativo della riforma della Pa, dovrebbero arrivare sui tavoli della prossima Conferenza, in programma per il 24 marzo. Oltre ai tre provvedimenti, nell'ordine del giorno di quella riunione tornerà la questione Poste, e in particolare le obiezioni che stanno emergendo in molti dei piccoli Comuni per la consegna a giorni alterni. Ad annunciarlo è il ministro degli Affari regionali Enrico Costa, che ha esteso l'invito ai vertici di Poste per un tavolo di confronto sulla razionalizzazione in corso, che ha prodotto anche un ricco contenzioso davanti ai giudici amministrativi (l'ultima sentenza in materia, la698/2016 del Consiglio di Stato, ha dato il via libera alla chiusura di un ufficio postale decisa contro le obiezioni dell'ente). A breve, spiega sempre Costa, partirà anche il confronto con le Regioni sulle concessioni demaniali la cui proroga è in attesa della bocciatura Ue. Dalla Corte dei conti controllo digitale dei dati contabili per tutti gli enti di Roberta Giuliani Tutti gli enti e le società sottoposte al controllo della Corte dei conti potranno inviare online bilanci e informazioni contabili alla sezione di controllo. Il Sistema informativo controllo enti (Sice) attivato a fine luglio 2015 per i soli enti che avevano aderito alla sperimentazione, è ora in funzione per la totalità degli enti di natura pubblica o privata che devono sottoporre i dati contabili alla verifica della sezione di controllo della magistratura contabile (legge n. 259/1958). Il Sice Viene dunque archiviato l'obbligo dell'invio cartaceo delle informazioni contabili: i bilanci viaggeranno online in formato digitale elaborabile proprio per venire incontro alle esigenze di dematerializzazione dei flussi. Flessibilità e semplicità – come sottolinea la Corte dei conti - sono alcune delle caratteristiche di Sice che, tra l'altro, lo rendono pronto a recepire future modifiche alla struttura dei bilanci. L'implementazione di Sice contribuirà a facilitare le modalità di ricezione dei dati senza gravare sulle attività degli enti stessi. Saranno dunque potenziati gli strumenti di analisi, indagine e controllo anche attraverso strumenti di business intelligence che consentiranno una maggiore rapidità di raffronto tra le poste omogenee di bilancio di enti diversi, appartenenti allo stesso comparto. Il manuale per la trasmissione Per aiutare gli enti, è disponibile sul sito della Corte dei conti nella sezione «Servizi» alla voce «Documentazione» un manuale che passo dopo passo accompagna gli utenti nella trasmissione delle informazioni. Gli enti potranno comunicare i rendiconti e gli ulteriori dati contabili con tre diverse modalità: una di queste prevede l'adozione di un linguaggio di rappresentazione delle informazioni contabili, cui già fanno ricorso le società tenute a depositare i propri bilanci presso le camere di commercio (XBRL, eXtensible Business Reporting Language). Illegittima la chiusura degli uffici postali senza confronto con il Comune di Michele Nico La partita della chiusura degli uffici postali si gioca ormai sul tavolo della giustizia amministrativa, che in questo periodo registra decisioni inaspettate e a volte destabilizzanti per gli scenari di sviluppo dei servizi postali. Come la sentenza del Tar Toscana, che accoglie il ricorso di un Comune e annulla il provvedimento di Poste Italiane Spa per la chiusura dell'ufficio postale sul territorio dell'ente stesso. La decisione riveste notevole interesse anche per il fatto presso il tribunale giacciono altri ricorsi pendenti che saranno esaminati dai giudici nei prossimi mesi, e nel caso di analoga decisione potrebbero cambiare le cose per tutti i 57 Comuni della regione coinvolti dal piano di riorganizzazione di Poste Italiane. Con la sentenza n. 337 del 25 febbraio 2016 il Tar Toscana rievoca la normativa per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali a partire dal Dlgs 261/1999 di attuazione della direttiva 97/67/CE, citando il contratto di programma 2009/2011 stipulato tra il Mise e Poste italiane (tacitamente rinnovato), e la deliberazione n. 342/14/CONS del 26 giugno 2014 con cui l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha definito i criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete, che Poste italiane è tenuta a garantire ai fini della fruibilità del servizio postale universale. La decisione Il collegio respinge preliminarmente l'asserito difetto di giurisdizione avanzato da Poste italiane, affermando che le controversie attinenti ai provvedimenti di chiusura o rimodulazione oraria degli uffici postali appartengono alla cognizione del giudice amministrativo. I giudici, tenuto conto del fatto che il Dlgs 58/2011 ha previsto l'affidamento del servizio universale a Poste italiane fino al 2026, pongono in risalto l'obbligo del gestore di «garantire il rispetto delle esigenze essenziali», di «offrire agli utenti, in condizioni analoghe, un trattamento identico», nonché di svolgere «un ruolo fondamentale nella funzione di coesione sociale ed economica sul territorio nazionale», ai sensi dell'articolo 3 del Dlgs 261/1999 e del vigente contratto di programma. Il confronto con il Comune Va notato che, secondo il Tar, l'aspetto dirimente della questione risiede nei profili procedimentali, e si sostanzia nell'accertata mancanza di un confronto preventivo da parte di Poste italiane con il Comune interessato, per valutare l'impatto della chiusura degli uffici postali sulla popolazione, individuando, là dove possibile, soluzioni alternative per la specifica situazione di fatto. Nel caso di specie, non consta agli atti alcuna partecipazione o altra forma di interlocuzione con il Comune ricorrente, e ciò basta al collegio per censurare l'arbitrario atto di chiusura degli uffici postali. Tale misura, si legge nella sentenza, oltre ad aver leso le garanzie partecipative dell'ente locale, «ha arrecato un vulnus anche i principi di imparzialità e buon andamento» intaccando irrimediabilmente la legittimità dell'operato di Poste italiane. La preoccupazione dell'Anci I Comuni che stanno iniziando a sperimentare la consegna della corrispondenza a giorni alterni sono molto preoccupati. L'Anci pur prendendo atto «dell'obiettivo di razionalizzazione degli uffici postali» avverte che «occorre valutare sotto ogni aspetto le ripercussioni sulla cittadinanza». È quanto sollecita il vicepresidente dell'Anci Roberto Pella. «Come già avvenuto lo scorso anno, in occasione del lungo confronto tra Anci e Poste per la chiusura degli uffici postali, l'Associazione - spiega Pella - continua a sostenere il metodo dell'ascolto e della concertazione con gli Amministratori locali interessati prima di operare scelte che incidono direttamente sul cittadino. Questa è la condizione necessaria che potrà comportare il minimo disagio possibile sul territorio a fronte di politiche di razionalizzazione così importanti. Tutto ciò, ricordando inoltre anche la direttiva europea che afferma la garanzia del recapito postale per almeno cinque giorni a settimana e derogabile solo in presenza di "circostanze o condizioni geografiche eccezionali", nella convinzione - conclude il vicepresidente Anci - che si possa arrivare a soluzioni migliori e maggiormente condivise anche grazie alle proposte e alle soluzioni alternative avanzate anche in altre occasioni dagli amministratori locali». La mancata approvazione della Tari «resuscita» la tariffa dell'anno prima di Francesco Clemente Se in tema di rifiuti il consiglio non ha approvato le tariffe Tari né il piano economico finanziario, il Comune dovrà applicare le aliquote fissate nell'anno precedente anche se più basse, ma in ogni caso è tenuto a pagare il gestore del servizio nel caso nel frattempo abbia sostenuto maggiori costi. A chiarirlo è la Corte dei conti della Sicilia – delibera n. 49/2016 - in risposta a un Comune che chiedeva se accantonare in bilancio un «Fondo per il disavanzo da servizio di raccolta rifiuti 2015» poiché non aveva mai incassato il via libera dal proprio organo consiliare sul piano economico del servizio. Avendo fissato misure correttive nella gestione rispetto al 2014, anno dell'avvio della Tari con legge di stabilità (comma 639, legge 147/2013), l'ente aveva calcolato per il 2015, al netto del saldo da raccolta differenziata, una spesa di circa 2,6 milioni di euro in più da coprire integralmente con le stesse tariffe come richiesto dalla stessa legge (comma 654). La proroga automatica La Corte, seppur lasciando all'ente la competenza decisionale sulle «opzioni gestionali concrete» sulla questione, ha ricordato che «(…) l'articolo 1, comma 683 della legge 147/2013 prevede che il consiglio comunale debba approvare le tariffe Tari entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione, in conformità al Piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani». Stando al parere dei magistrati contabili, «con specifico riferimento alla tariffa, va innanzitutto esclusa l'ultrattività della deroga introdotta dal comma 12quinquiesdecies dell'articolo 10 del Dl 192/2014, limitata al solo 2014, anno di prima introduzione della Tari», per cui «si riespande (…) il principio generale stabilito dall'articolo 1, comma 169, della legge 296/2006» che proroga automaticamente le vecchie aliquote e tariffe in caso di mancata approvazione delle nuove entro la scadenza per la chiusura dei bilanci di previsione. I ritocchi possibili Di conseguenza il Comune potrà continuare a riscuotere la Tari sulla base delle tariffe dell'anno prima, per un servizio che «per scelta dell'organo consiliare, mantiene le caratteristiche dell'ultimo piano economico finanziario formalmente approvato», salva la necessità di indennizzare il gestore «per gli eventuali maggiori oneri medio tempore sostenuti per il nuovo servizio». In ogni caso, il consiglio può modificare la Tari per il 2016, perché la tariffa rifiuti non è compresa nel blocco delle aliquote introdotto dall'ultima manovra. Competenze digitali: la road map della nuova strategia per Pa, cittadini e imprese di Roberta Giuliani Quasi la metà degli italiani (46,5%) hanno competenze digitali di base ma solo il 18% dei cittadini interagisce online con la Pa anche se il nostro Paese con il 78% di completamento dei servizi informatici supera la media Ue (75%). Il processo di informatizzazione di Pa, cittadini e imprese non si ferma e «La strategia 2016 per le competenze digitali», pubblicata dall'Agid, nel rinnovare gli obiettivi definiti per il 2014-2020 punta al «cambiamento radicale dei modelli produttivi, formativi e relazionali finora utilizzati». E allora oltre a proseguire con gli interventi di alfabetizzazione, la Coalizione per le competenze digitali, attraverso lo sviluppo di partenariati, non solo favorirà la crescita dei progetti attivi sul territorio nazionale ma metterà a sistema le iniziative promosse da raccogliere e consultare sul proprio portale. Si rafforzerà quindi l'azione di coordinamento che svolge già da due anni la Coalizione, l'organismo istituito proprio per realizzare una sinergia tra istituzioni pubbliche nazionali e locali, comunità professionali, organizzazioni non profit, associazioni datoriali e sindacali e soggetti privati. L'Agid inoltre avvierà un'iniziativa pilota di mappatura delle competenze digitali. «Uno specifico piano di intervento, che prevede l'adozione di framework standardizzati, porterà alla certificazione e quindi a una piena valorizzazione delle competenze digitali possedute. L'obiettivo è quello di creare un modello che sarà possibile replicare all'interno delle pubbliche amministrazioni centrali e locali». Risultati e nuovi obiettivi Alla fine del 2015 la Coalizione ha certificato i risultati ottenuti: tra i quasi 100 progetti della piattaforma 34 hanno coinvolto 5.078 Pa in attività di formazione avanzata sulle competenze digitali a cui hanno partecipato 72.600 lavoratori pubblici. Inoltre sono stati realizzati 90 servizi di e-gov con modalità di coprogettazione e 222 siti pubblici sono stati avviati o rinnovati. Con il 2016 si apre una nuova sfida per la Coalizione: preparare sempre più cittadini allo sfruttamento del potenziale offerto dall'ultima ondata di tecnologie (mobile apps, social media, big data, internet delle cose, cloud). Per questo nella Strategia 2016 partendo dalle azioni realizzate nel 2015 vengono tracciate sei linee di azione sintetizzate in una Road map che scandisce le tappe del percorso di sviluppo da marzo a dicembre. Road map della coalizione Previsti per la fine di marzo: aggiornamento della piattaforma web, definizione degli obiettivi annuali sui principali indicatori internazionali e delle iniziative nazionali nell'ambito delle proposte della Commissione Ue; sviluppo delle competenze digitali per Spid e PagoPa; avvio del gruppo di lavoro con le Regioni per inserire le linee guida nella programmazione regionale. A luglio invece partirà la community per i membri della coalizione con la partecipazione delle organizzazioni pubbliche e private e si dovrà arrivare a 100 progetti in piattaforma per favorire il riuso e l'integrazione. Inoltre si realizzerà la versione italiana del Digcomp (il modello che è un quadro comune di riferimento europeo e descrive le competenze digitali in termini di conoscenze, abilità e atteggiamenti). A dicembre invece si dovrà completare lo sviluppo delle competenze digitali nei piani di diffusione degli altri programmi di crescita digitale, partire con la sperimentazione su Digcomp e avviare le iniziative nazionali nell'ambito delle proposte della Commissione Ue. Edilizia residenziale pubblica, perde l'assegnazione chi ha un usufrutto nella stessa provincia di Lorenzo Camarda Non è consentito godere dell'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica a chi già ha un diritto di usufrutto, in comunione di beni con il coniuge, di altri beni immobili adeguati all'abitazione ubicati nello stesso territorio provinciale. Almeno per quanto riguarda la regione Campania. A stabilirlo è la sentenza del Tar Campania-Napoli sezione V del 22 febbraio 2016 n.962. Il fatto Il Sindaco di una cittadina campana ha dichiarato la decadenza dei benefici relativamente all'assegnazione di un alloggio economico e popolare nell'ambito del Comune che rientra nel territorio provinciale dove lo stesso gode di un diritto di usufrutto, in comunione con il coniuge, su altri beni adeguati ad essere abitati. Il ricorrente si è rivolto al Tar Campania-Napoli per l'annullamento dell'ordinanza del Sindaco, adducendo di essere vincitore di un pubblico concorso. Il Tar ha respinto il ricorso avendo accertato che il ricorrente era titolare del diritto di usufrutto, in comunione con la convivente, di altri beni immobili, tra cui un alloggio di 5,5 vani, sul medesimo territorio provinciale del bando di assegnazione. In diritto La materia è disciplinata dalla legge regionale Campania 2 luglio 1997 n. 18 che all'articolo 20, rubricato decadenza dell'assegnazione, stabilisce il venir meno del diritto all'assegnazione dell'alloggio di edilizia pubblica residenziale per coloro che risultino titolari di altri diritti che consentono l'utilizzo di una abitazione adeguata alle esigenze del nucleo familiare. Pianificazione urbanistica: l'esito della conferenza di servizi non vincola il consiglio comunale di Lorenzo Camarda Resta intatta la discrezionalità amministrativa del Consiglio comunale dinnanzi a qualsiasi esito espresso dalla Conferenza di servizi in ambito di pianificazione urbanistica. È quanto si ricava dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, del 18 febbraio 2016, n. 650che ha giudicato in tema di variante semplificata (in base all’articolo 5 del Dpr 20 ottobre 1998, n. 447). Il caso Due Società, intenzionate ad espandere i propri stabilimenti industriali anche in zona agricola, hanno impugnato dinnanzi al Tar Marche la delibera del Consiglio comunale di Macerata che ha respinto l’indicazione della Conferenza di servizi orientata a concedere alle Società richiedenti una variante urbanistica semplificata ai sensi dell’articolo 5 del Dpr 447/1998. In diritto Bypassando le questioni di improcedibilità dichiarate dal Tar Marche e fatte valere in sede di appello, il caso pare interessante in ordine al merito. Può il Consiglio comunale, in materia urbanistica, non allinearsi al parere espresso dalla Conferenza di servizi? La domanda non è semplice in quanto, nella fattispecie all’esame, la Conferenza di servizi si è espressa in senso favorevole acquisendo i seguenti pareri favorevoli: della Soprintendenza ai beni Architettonici e del paesaggio delle Marche (sotto il profilo della compatibilità paesaggistica e storico-culturale); della Provincia di Macerata (relativamente agli aspetti della compatibilità ambientale e dell’impatto sulla viabilità), e di conformità urbanistica da parte della competente Autorità regionale. Nonostante ciò, il Consiglio comunale, nell’esaminare la proposta di variante urbanistica, ha ritenuto di non approvarla. Per quale ragione? In particolare per il contrasto della proposta con le scelte di fondo della pianificazione territoriale comunale, che escludevano l’estensione dell’edificazione nella zona ove si voleva realizzare l’impianto. In diritto, basterebbe questa motivazione per legittimare la scelta fatta dal Consiglio comunale. Questa asserzione la si desume innanzitutto dal ruolo e dalle funzioni poste in capo al Consiglio comunale, che il Tuel qualifica come titolare della potestà pianificatoria, che il Consiglio esercita in piena autonomia. Inoltre, sotto il profilo procedurale, la proposta di variante urbanistica, sottoposta alla Conferenza di servizi, si configura come “proposta” rispetto alla quale la Conferenza di servizi si esprime con un “parere”. E tale parere può essere disatteso dal Consiglio comunale, addirittura anche nel caso in cui il rappresentante del Comune abbia preso una posizione favorevole (si veda Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza del 27 luglio 2011, n. 4498). Conseguentemente, il Consiglio comunale esercita il suo potere in piena autonomia e libertà rispetto alla Conferenza di servizi e agli enti partecipanti rispetto ai quali non sussiste alcun obbligo in relazione ad eventuali supposte aspettative da parte di chicchessia (si veda Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza del 4 novembre 2013, n. 5292). Conclusioni Il Consiglio di Stato, allineandosi alla consolidata Giurisprudenza amministrativa, rispetto alla quale non trova ragioni di dissenso, riconosce al Consiglio comunale, in materia di pianificazione urbanistica, il potere di adottare le proprie determinazioni in modo autonomo, privo di ogni altro vincolo e con ampia discrezionalità amministrativa. Conseguentemente respinge l’appello avanzato dalle due Società ricorrenti. Interventi edilizi: la regola della distanza minima tra pareti finestrate va applicata secondo proporzionalità di Giovanni G.A. Dato La previsione racchiusa nell’articolo 9 del Dm 2 aprile 1968, n. 1444 (relativo ai limiti di distanza fra fabbricati), ed in particolare, la regola che prescrive «in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti» è derogabile caso per caso? Su tale questione si sofferma la recente sentenza del Tar Lombardia, Brescia, Sezione I, 9 febbraio 2016, n. 229, secondo la quale il vincolo della distanza minima dalle pareti finestrate deve essere applicato secondo il canone di proporzionalità, ossia nei limiti necessari a prevenire il degrado igienicosanitario. Di conseguenza, il rispetto puntuale della distanza minima dalle pareti finestrate non è necessario se non vi siano pericoli di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie nelle abitazioni servite dalle finestre. Il caso Il giudizio nasceva dall’impugnazione di un permesso di costruire in sanatoria rilasciato da un Comune dopo la realizzazione da parte di un privato di un intervento di demolizione, ricostruzione e ampliamento di un edificio residenziale; in sintesi, il ricorrente sosteneva che tutta la volumetria traslata verso l’alto era - tra l’altro - computabile nel calcolo dalle pareti finestrate. L’approfondimento Secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, in base all’articolo 9 del Dm 2 aprile 1968, n. 1444, la distanza di dieci metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini; le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione (non della tutela del diritto alla riservatezza, ma) delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al Giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell’applicazione della disciplina (Tar Campania, Napoli, Sezione VII, 19 maggio 2015, n. 2791). Trattasi di norma (non immediatamente operante anche nei rapporti tra privati) che impone determinati limiti edilizi nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici; l’adozione, da parte degli Enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l’obbligo, per il Giudice, di disapplicare le disposizioni illegittime (ovvero di annullare la prescrizione illegittima ove oggetto di impugnazione) e di applicare direttamente la disposizione del ricordato articolo 9, in sostituzione della norma illegittima disapplicata. La norma in esame prevale anche rispetto ad eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione che, per questo “vengono caducate ed automaticamente sostituite dalla anzidetta disposizione”. La norma, sul piano formale, fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere unicamente “le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci” (Consiglio di Stato, Sezione IV, 5 ottobre 2015, n. 4628). Condizione indispensabile per l’applicazione del regime garantistico della distanza minima dei dieci metri è data dal fatto che esistano due pareti che si contrappongono di cui almeno una è finestrata; tale regola deve ritenersi applicabile anche alle sopraelevazioni. La disposizione di cui al citato articolo 9, comma 1, n. 2, trova applicazione anche al caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti (Tar Campania, Napoli, sezione VII, 19 maggio 2015, n. 2791). La misura minima della distanza è derogabile, infine, in due ipotesi tassative: è consentito edificare a distanze inferiori rispetto a quelle previste dal comma 1 soltanto per i piani particolareggiati e per le lottizzazioni convenzionate. Conclusioni Nella sentenza in commento si parte dal rilievo in base al quale la sopraelevazione della facciata dell’edificio risultava essere di soli 56 cm, in corrispondenza di una parete, e di 53 cm, in corrispondenza di un’altra. Si osserva, quindi, che il vincolo della distanza minima deve essere applicato secondo il canone di proporzionalità, ossia nei limiti necessari a prevenire il degrado igienico-sanitario; di conseguenza, il rispetto puntuale della distanza minima dalle pareti finestrate non è necessario se non vi siano pericoli di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie nelle abitazioni servite dalle finestre. Nel caso specifico, non risultava dimostrato secondo il Giudice amministrativo che la modesta sopraelevazione in facciata comportava effettivi disagi di natura igienico-sanitaria. La sentenza ha ritenuto, conclusivamente, sussistenti nella situazione concreta i presupposti della deroga alla distanza minima dalle pareti finestrate.