Dominga Carrubba - rotocalco moleskine
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Dominga Carrubba - rotocalco moleskine
TINDARO CALIA E LA POETICA DELLA SUA PITTURA Dalla recente Mostra realizzata presso la Chiesa S. Maria Alemanna all’intervista che svela la complicità di logos e pathos Dominga Carrubba «Dixit Simonides picturam esse poesim tacentem, poesim picturam laquentem. » «Simonide sostenne che la pittura è una poesia silenziosa e la poesia è una pittura che parla.» Simonide di Ceo Tindaro Calia, Ragazza con chitarra, 1992 moleskine 40 Pare ascoltare il vento che porta lento i pollini, tra le pieghe soffici di bianche vesti maculate di frutta rosa. È questa la sensazione percepita nel guardare il ritratto di una “Adolescente” (2009) dipinto da Tindaro Calia; il pittore di Segrate che interpreta il mistero custodito nel mondo del divenire che scorre sulle pareti della “Caverna” nel mito di Platone, non fermandosi ad una forma d’arte che sia soltanto l’imitazione di forme come fossero «[ ] i riflessi nell’acqua e nei corpi opachi lisci e brillanti, e tutti i fenomeni simili a questi […].» (Platone, Repubblica 509d-510a). La poetica della pittura di Tindaro Calia rievoca l’allegoria che alberga tra l’apparenza narrata dal vedere quel che appare dintorno e la verità riconosciuta con l’intuizione, che non si ferma alle forme apprese dai sensi né al “sentito dire” di vana sostanza che la ragione elabora, come si trattasse di ombre delle statuette riflesse nella “Caverna”. Se in Platone l’Iperuranio è dimora delle Idee quali “forme” assolute; allora “l’istinto guidato dal sapere della tecnica” - come Calia definisce la pittura - “può paragonarsi al guardare dentro le cose sensibili, proprio all’intuizione che rievoca l’Idea del pittore non spiegabile tramite parole che traversano i concetti, ma innata e immediata quanto la coscienza non razionale ma istintiva, che varca ciò che appare alla vista, assimilabile alle pareti della “dimora dei prigionieri”, illusi da tante verità quanti sono i sensi , assurgendo infine alla verità immanente nella forma delineata in un paesaggio o natura morta, in un ritratto o figurazione astratta, divenendo materia comprensibile alla dialettica tramite la tecnica che traduce sulla tela gli indizi individuati nella realtà. Sembra potersi affermare che per Calia la pittura è la forma d’arte che contiene la realtà in divenire come i punti che uniti muovono una linea di una sagoma sulla tela - riproducendo i gesti del corpo, leggibili nei versi di una poesia e rappresentati nei guizzi di un pennello in pittura; ma nel contempo contiene anche la realtà compiuta dei sentimenti, che muovono i gesti dell’anima da udire nei suoni emessi dalla musica e da osservare nelle tonalità graduate dei colori. «La pittura è l’orchestrazione che unisce le forme e interpreta la realtà», dice Tindaro Calia. La memoria s’inonda di prosa o poesia che traducono all’udito i sentimenti taciuti o ignorati, allora l’inchiostro diventa il segno del ritmo dell’anima, che la metrica traduce in accenti, che l’allegoria traduce in immagini e la sinestesia riporta Tindaro Calia, Verdiana, 1998 coi soldatini come tra i bambini – soldato, per le strade laddove il cicaleccio viene scambiato per dialogo oppure nella natura che inerme subisce il decadimento di fianco a chi urla una via di fuga. Allora, la strada che porta all’essenza della verità è insita in ciascuna parvenza di noi che - ospiti favoriti nella vita – manifestiamo il “Credo” attuando il good turn dello scout, che non smette di sorprendersi esplorando se stessi e il prossimo. Tindaro Calia è lo scout che esplora lo status emozionale tramite l’arte, rivolta non soltanto al dialogo fra i sensi che incontrino se stesso e l’altro - come si trattasse dell’humus dell’anima individuale e sociale – ma rivolta anche cercare quella via di fuga che la moderna politiké - da intendersi la politica che affonda le sue radici nella polis greca - ha confuso con altri valori che «Sono gli interessi (materiali e ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l’agire dell’uomo […] » (Max Weber). La “tensione” del pittore – come Calia definisce l’ispirazione - è suggerita da un’alchimia tridinamica che interagisce in primis fra la figura prestata dalla realtà alla vista, espressione dello spazio scandito dal tempo; di mezzo si trova il 41 moleskine alla “contaminatio” dei sensi, unificando la diversità di variegate e delimitate identità. L’orchestrazione richiamata dal Calia accorda i sensi alle percezioni: l’udito che talora ascolta delle parole soltanto i segmenti, perché prigioniere dello spazio; l’olfatto che si sostanzia negli odori così come il gusto nei sapori e il tatto nelle superfici; ma la sola vista può divenire il senso che unisce dimensioni sensoriali diverse, tanto che un colore evoca il sapore di una superficie che emana un odore, corrispondente ad un motus animi. «Se penso alla religione – dice Tindaro Calia ne considero i Libri sapientali e in particolare il Vangelo secondo Luca 17,20-25, laddove interrogato dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio? », Gesù rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!.» Non a caso Tindaro Calia ricorda il passo “[…]il regno di Dio è in mezzo a voi !”, perché la verità sulle origini della vita che ogni fedele cerca – di qualsiasi religione - si trova tra i poveri di denaro e tra i ricchi di generosità, tra i bambini che giocano Tindaro Calia,Fabio e Roberta, 1994 moleskine 42 pittore medesimo, che ne intercetta le vibrazioni leggendo i gesti di una persona o il profilo di un oggetto e muovendo al tempo stesso il metronomo dell’anima; infine è la tela che termina di apparire il testimone anonimo per diventare “opera prima”. Si immaginano il modello che posa e le sensazioni che rivelano gli atteggiamenti del corpo, quasi fossero la cartina tornasole dei sentimenti cadenzati dal pulsare dei muscoli del viso, dalla spontaneità talora inconsulta degli adolescenti perché disposta alla sorpresa del nuovo (Amanda e Ilaria, 2009), oppure dalla suspense indotta perché predisposta da ignare aspettative (Ragazza con chitarra, 1992). È il modello ritratto che risulta il regista primario, nel rappresentare la “persona” da intendersi l’archetipo della “maschera” teatrale, prima riconosciuta e poi composta nell’ambientazione dal pittore, il quale si scopre interprete nel traslare le percezioni sulla tela, come si trattasse di un continuum scaturito dall’oggetto che ne diventa il soggetto dipinto, combinando l’estro iniziale alla tecnica adattata; tanto che la tela ormai soggettivizzata diventa il regista successivo, il piano dove linee e curve, prospettive, rifrazioni e chiaroscuri plasmano la consapevolezza della grammatica dei colori. Forse che la cifra di Calia non è l’eco del sonetto “Vocali” di Arthur Rimbaud «A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali, / Io dirò un giorno le vostre nascite latenti [ ]». L’orchestrazione di forme e colori - affermata da Tindaro Calia, Adolescente, 2009 op.60 di Aleksandr Skrjabin, dove la modulazione armonica corrisponde alla modulazione cromatica. Da qui il concetto di “poesia nei gesti e musica nei colori ” nella pittura di Tindaro Calia, il quale rende tanto impercettibile la linea di demarcazione fra le forme reali e le immagini riflesse sulla tela, che sembra ascoltare il timbro della spensieratezza che spazia nel giocoso lilla (Camilla, 2009) e partecipare della tristezza di un capo reclino (Viviana, 1989), mentre la “Figura” (2002) della giovane ritratta come rapita da ricordi soffusi che fanno da contrappunto agli stivaletti disfatti, rinnega un riferimento che abbia una forma voltando le spalle, ma con se stessa abbraccicata forse pensa «Il pianoforte baciato da una fragile mano/ vagamente riluce nella sera rosa e grigia […] Cos’è questa nenia improvvisa / che lenta dondola il mio povero essere [ ] Cos’hai voluto, ritornello fine ed incerto/ che morirai ben presto alla finestra [ ]» (Paul Verlaine). La pittura che in Calia è anche poesia non può essere il “ritornello fine ed incerto” destinato al silenzio quando il suono è ormai taciuto; ma sopravvive alla forma segnata e al colore dipinto, perché diventa sensazione che prima percepisce le immagini vedute e poi le rimanda all’esperienza vissuta, desiderata o finanche onirica. La sinestesia caliana condivide l’attesa di mani dai contorni fieri e al tatto vigorose, che quasi s’incoraggiano nel farsi compagnia posate l’una sull’altra e poi insinuarsi nello status contemplativo di occhi socchiusi che affogano nel rosso di una vita irruente (Fabio e Roberta, 1994); significa scoprire la tenacia di mani svincolate come dita dischiuse (Ritratti di Sean, 1992) oppure protese finché sfiorano per terra (Adolescente, 2012), entrambe aperte al nuovo che inonda le zone d’ombra segmentate di azzurro; significa imitare la fermezza dell’essere “nero” o diverso dal “bianco” del giovane di colore “Vincent” (2002), che armonizza il chiaroscuro dei paradigmi sociali. Forse che le pieghe di un giallo lenzuolo che morbido poggia sopra un ripiano azzurro laddove “Verdiana” (1998) veglia un sogno, non possa evocare che «siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita» (William Shakespeare, La Tempesta, atto IV). 43 moleskine Calia - è la sinestesia di percezioni diverse. Se più note che si susseguono nella battuta del pentagramma compongono i suoni di una melodia; allora la forma che sia un solo punto segnato sulla tela non si arresta allo spazio, ma si mescola al divenire del colore, evocando l’arte compositiva del greco (poiein), che è un fare non concettualizzato bensì simbolico, che allude al soggetto – demiurgo che prima crea rappresentando inconsapevolmente – trascinato dall’Idea percettiva - e poi presenta consapevolmente la composizione narrandone l’interpretazione suggerita da ogni elemento materiale delineato, che gode di un’identità propria solo quando venga individuata in un percorso a ritroso nella figurazione complessiva. La tela per Calia è assimilabile al Clavecin oculaire (clavicembalo oculare) di Luis-Bertrand Castel poi divenuta la “Clavier à Lumières” (tastiera per luce) nel “Prometeo – Il Poema del fuoco”