in Guatemala Rocco Caffaro, Umberto Grazioso e Carmine Rimola

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in Guatemala Rocco Caffaro, Umberto Grazioso e Carmine Rimola
Rivista Calabrese di Storia del ‘900 – 2, 2015, pp. 55-32
Tre calabresi “sovversivi” in Guatemala
Rocco Caffaro, Umberto Grazioso e Carmine Rimola
di Vittorio Cappelli
È ormai noto agli studiosi che i pionieri dell’emigrazione calabrese nelle
Americhe partirono prevalentemente dalla Calabria nordoccidentale, vale
a dire dal Pollino e dall’alto Tirreno cosentino. È altrettanto noto, in quest’ambito territoriale, il caso migratorio di Morano Calabro, che per le sue
dimensioni e per le sue peculiarità è stato oggetto di studio, sia in Italia
che in America latina. Quando se ne parla, il pensiero corre immediatamente al grande flusso migratorio che ha portato migliaia di moranesi a
Porto Alegre, nel sud del Brasile. Non è altrettanto noto, però, che i moranesi privilegiarono anche altre mete migratorie, in primo luogo Barranquilla, con altre località della costa caraibica colombiana, e San José, la
piccola capitale di Costa Rica, dove si formarono nutrite comunità di moranesi. È davvero poco noto, inoltre, che non pochi emigranti moranesi si
diressero verso un Paese molto particolare del Centroamerica, l’appartato
Guatemala, all’interno del quale prescelsero in genere una città dell’interno, Quetzaltenango, posta a quasi 2.400 metri d’altezza e sovrastata da
un vulcano che sfiora i 3.800 metri, abitata in massima parte da indigeni
di origini maya.
Una delle peculiarità dell’emigrazione moranese, tra Otto e Novecento,
era la sua componente politica, cioè l’appartenenza o la vicinanza di molti
emigranti al Circolo Socialista di Morano, fondato nel 1894 e guidato da
Nicola De Cardona. Quest’appartenenza politica fu spesso coltivata e mantenuta a lungo anche nei luoghi d’arrivo, in specie a Barranquilla, in Colombia, e a San José, in Costa Rica; molto meno nella quieta e operosa Porto
Alegre.
L’essere stati iscritti al Circolo Socialista di Morano comportava puntualmente per gli emigranti l’essere schedati e controllati nei loro movimenti dagli organi di polizia anche nell’emigrazione. Pertanto i documenti
conservati nel Casellario Politico Centrale dell’Archivio Centrale dello
Stato hanno consentito di seguire, passo dopo passo, molte vicende migratorie nel nuovo continente, dalle quali risulta evidente un aspetto spesso
trascurato della storia dell’emigrazione calabrese e italiana in generale. Mi
riferisco alla mobilità, che diventa talora una sorta di nomadismo, di molte
imprese migratorie, le quali si concludono a volte in luoghi assai remoti,
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smentendo radicalmente l’idea che l’emigrazione abbia una traiettoria lineare tra un punto di partenza e un punto d’arrivo.
Anche per esaminare quest’aspetto, ho isolato tre biografie migratorie
concluse in Guatemala e iniziate in Calabria, due a Morano e una a Castrovillari. La prima è quella del sarto Rocco Caffaro, che emigrò prima a Torino, poi a Rio de Janeiro, in seguito in Colombia e in Costa Rica e infine in
Guatemala. La seconda riguarda il calzolaio Umberto Grazioso, che andò
prima in Costa Rica e poi in Guatemala, dove fu raggiunto anche da un
fratello che in precedenza era emigrato in Costa Rica, Honduras ed Ecuador. La terza biografia è quella del falegname di Castrovillari Carmine Rimola, che si recò in Panama, per poi dirigersi in Guatemala.
Un altro aspetto che queste tre biografie esaltano è quello dell’elevata
mobilità sociale determinata dall’esperienza migratoria. I figli del sarto
Caffaro diventano tutti professionisti e una sua nipote è pedagogista a
Stanford, in California. Il calzolaio Grazioso diventa un piccolo industriale
calzaturiero, mentre industriale diventa anche suo fratello. Il falegname
Rimola diventa architetto e i suoi discendenti si dedicano all’industria alimentare. Il “sovversivismo” iniziale, che risulta impraticabile tra gli arcaismi culturali e le dittature guatemalteche, sembra tradursi in risorsa
culturale e motivazione aggiuntiva, che agevola e spinge verso la riuscita
dell’impresa migratoria.
Rocco Caffaro
Rocco Caffaro, nato a Morano Calabro il 9 settembre 1881 da Gennaro
e da Caterina Marrone, di mestiere filatrice, muore a Quetzaltenango il 6
settembre 1970.
Appreso il mestiere di sarto, sposa la moranese Gemma Faillace, figlia
di Antonio e di Rosa Di Noja. Nel 1905, emigra a Torino, dove viene assunto come fattorino presso la società tramviaria cittadina, nota come società «Belga». Nel 1912, emigra in Brasile, a Rio de Janeiro, dove lavora
come sarto ed è maestro d’arte in una scuola salesiana. Nel 1914, rientra a
Morano ed è uno dei candidati della lista socialista alle elezioni amministrative. Chiamato successivamente alle armi, partecipa alla prima guerra
mondiale. Terminato il conflitto, rimane per qualche anno a Morano, dove
nascono i figli Ario Elvezio, il 12 maggio 1919, e Osvaldo Francesco, il 16
febbraio 1922. Nel 1921, aderisce al Partito Comunista e viene segnalato
dal Sottoprefetto di Castrovillari come militante «accanito»; ma il Prefetto
di Cosenza non lo ritiene un individuo «pericoloso». Sul giornale comunista di Morano «Vita Nuova», pubblicizza la propria attività commerciale:
egli vende «le migliori macchine per cucire. Velo-macchine Stucchi. Pezzi
di ricambio, riparazioni, cambi, macchine di occasione». Nel 1923, decide
di nuovo di emigrare. Il 22 marzo si imbarca a Genova su un piroscafo di-
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retto a Barranquilla, in Colombia. Ma, giunto a destinazione, gli viene impedito di sbarcare, perché segnalato dal «ministro colombiano in Roma»
come «propagandista pericoloso», in quanto comunista. Viene costretto,
pertanto a dirottare verso Costa Rica. Dopo esservi giunto, invia una lettera
di protesta al Ministro d’Italia in Costa Rica, nella quale denuncia come
«spie» che hanno agito a suo danno i fascisti moranesi Rocco Frasca, Attilio
Mainieri e Valentino Paternostro; nonché l’altro compaesano Bonifacio Faillace, già emigrato a Barranquilla assieme ai suoi fratelli, che vi hanno avuto
grande successo, e in quel momento residente a Torino, dove ricopre gli
incarichi di Console della Colombia e del Perù, segnalandosi per l’accanimento con cui combatte e denuncia i moranesi «sovversivi» emigrati in
Colombia.
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In effetti, la protesta di Caffaro contro Faillace, in quanto suo nemico e
accusatore, ha qualche fondamento, se quest’ultimo afferma in una sua lettera del 29 agosto 1923 «che gli elementi che formano colà [a Barranquilla]
la Colonia Moranese è per la maggior parte gente insozzata dal veleno comunista», che per questo motivo si rifiuta di aderire alla sottoscrizione organizzata per erigere a Morano un monumento ai caduti della prima guerra
mondiale. Caffaro, intanto, giunto suo malgrado in Costa Rica, matura dopo
qualche tempo la decisione di spostarsi ulteriormente, dirigendosi, nel 1924,
in Guatemala. Nel 1925, apre a Quetzaltenango la Sartoria Roma e commercia in stoffe, caffè e cacao. Abita e lavora nella 7a Calle Poniente, all’incrocio
con la 3a Avenida Sur. Fino agli inizi degli anni Trenta, seguita a manifestare
idee comuniste. Nel 1930 e nel 1931, il console italiano Carlo Federico Novella (1871-1948) – figlio di un immigrato genovese di successo, ingegnere,
proprietario di un’importante fabbrica di cemento e costruttore dei porti
guatemaltechi sul Pacifico – lo descrive «come contrario al regime» fascista,
poiché ancora «professa idee comuniste», ma lo ritiene anche un individuo
piuttosto isolato. L’unico italiano che frequenta sarebbe, a suo avviso, l’altro
moranese Giuseppe Vitola, titolare di una conceria.
Negli anni successivi, Caffaro mostra di abbandonare gradualmente gli
ideali comunisti. Nel 1937, è raggiunto dal figlio Ario Elvezio, che sarà auditor (revisore dei conti) nella municipalità di Quetzaltenango e dopo qualche tempo diventerà un industriale (sposato, nel 1951, con Aura Luz López,
da cui avrà una figlia, Gemma, nel 1963, Ario morirà a Quetzaltenango il
10 maggio 2002).
Nel 1938, Rocco Caffaro chiede l’iscrizione al PNF, ma gli viene rifiutata, perché, pur non essendo più comunista, viene giudicato come «un
vero “granista”». Per l’occasione, il Console Carlo Federico Novella, per
giustificare la scarsa adesione al regime fascista da parte di Caffaro e della
maggioranza degli immigrati, così descrive al Ministero degli Esteri la colonia italiana: «Sono quasi tutti dello stesso paese [Morano Calabro]: menti
molto primitive e di nessuna cultura, non hanno la minima idea di quel
che sia Fascismo, sempre in lite fra di loro per odi e gelosie personali, tutto
subordinano a ciò. Il Caffaro è uno degli esponenti più spiccati di questa
mentalità».
La litigiosità degli emigranti moranesi è un dato di realtà, ma Rocco
Caffaro non mostra di aver «mente primitiva». Nel 1948, viene raggiunto
anche dal figlio Osvaldo, che studia Economia, prima a Quetzaltenango e
poi nella capitale, lavora nel Banco de Guatemala e successivamente insegna
nell’Università della capitale. Osvaldo si sposa con Mercedes Mosquero.
Dal matrimonio nasce, il 19 febbraio 1962, Regina, pedagogista specializzata all’Università di Stanford (California) e collaboratrice dell’Unesco.
[Fonti: ACS, CPC, b. 928, f. 51826; UAMC; Archivio Privato B. Mainieri; «Vita
Nuova», 1914, 1921; «La Ginestra», 1922; Appelius, 1930; Aliprandi e Martini, 1932;
Cappelli, 1995 e 2004; Liano, 2003]
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Umberto Grazioso, nato a Morano Calabro il 29 agosto 1888 da Francesco e da Domenica Mainieri, muore a Morano Calabro il 25 gennaio 1963.
Nel primo decennio del Novecento, emigra in Costa Rica, dove fa prima
il calzolaio e poi il commerciante. Rientrato temporaneamente a Morano,
sposa, l’8 gennaio 1910, Maria Carmela Mirabelli, dalla quale avrà tre figli
(Immacolata Domenica nel 1911, Francesco nel 1916 e Carmelo nel 1926).
Il che fa pensare a frequenti rientri in patria, che scandiscono l’esperienza
migratoria, la quale prosegue in Costa Rica, dove Grazioso gestisce la Pulpería del Carmen. Nel 1920, si entusiasma per l’azione politica condotta da
Aniceto Montero, che l’anno precedente ha dato vita alla prima formazione
politica socialista costaricense, schierata a sostegno del bolscevismo. Grazioso ne dà notizia, scrivendone sul periodico socialista di Morano «Vita
Nuova», ma l’anno successivo, nel 1921, decide di spostarsi in Guatemala,
dove si dedica alla produzione e al commercio di scarpe, pubblicizzando
su «Vita Nuova» questa sua attività di importación de pieles para calzados y
articulos para zapateros. Nel 1921, diventa anche corrispondente ufficiale del
giornale moranese dal Guatemala, assieme al suo compaesano Pascual Rosito. Il 23 novembre dello stesso anno invia una lettera d’incitamento a
«Vita Nuova», nel frattempo divenuto comunista, affermando che il giornale viene letto in Guatemala «oltre che per le notizie del paese anche per
la propaganda che fa» (si tenga conto che in quel periodo agisce in Guatemala il giovane salvadoreño Farabundo Martí, che nel ’25 fonderà il Partito
Comunista del Centro America). Successivamente, Grazioso avvia la fabbrica di scarpe di lusso El zapato Paris. Lo raggiungono in Guatemala la
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moglie e i figli, i quali da grandi si distingueranno nelle attività commerciali e industriali, nonché il fratello Ferdinando, che, dopo esser stato in
Costa Rica, in Honduras e in Ecuador, sceglie come definitiva meta migratoria il Guatemala, dove apre la fabbrica di gelati Oso polar. Negli anni
Trenta, Umberto Grazioso è tra i dirigenti della Società Italiana di Beneficienza, che a quel tempo opera nella capitale già da circa sessant’anni. In
età imprecisata decide di rientrare a Morano, dove termina i suoi giorni.
[Fonti: UAMC, «Vita Nuova», 1920-1922; Aliprandi e Martini 1932; De La Cruz,
1980; Cappelli, 1995 e 2004; Bariatti, 2001 e 2011; Liano, 2003]
Carmine Rimola
Carmine Rimola, nato a Castrovillari il 31 ottobre 1868 da Rocco e da
Caterina Rubini.
Appreso il mestiere di falegname, sposa la compaesana Teresa Grisolia,
filatrice. Negli anni Novanta, manifesta idee socialiste: la Prefettura di Cosenza, nel 1896, lo scheda come iscritto al Partito Socialista dei Lavoratori
Italiani e registra che riceve e legge giornali politici. Il 9 aprile 1896, partecipa al banchetto organizzato in onore del celebre penalista socialista En-
Carmine Rimola con la moglie Maria Teresa Grisolia e i suoi sei figli, tra i quali si notano due
bimbi guatemaltechi, forse figli della donna affacciata sull’uscio di casa (1915)
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rico Ferri, giunto a Castrovillari per difendere in Tribunale il fondatore del
Circolo Socialista di Morano Calabro, Nicola De Cardona, dall’accusa di
«associazione a delinquere». Tre anni dopo, presumibilmente seguendo le
orme di emigrati moranesi residenti in Guatemala, decide di emigrare con
tutta la famiglia, quando ha già avuto dalla moglie Teresa i primi due figli,
Francesco e Antonio.
Il 2 settembre 1899, s’imbarca a Napoli sul vapore Venezuela, diretto a
Panamá; da dove si reca successivamente in Guatemala, a Quetzaltenango.
Pochi anni dopo, nel 1902, la città viene colpita da una duplice catastrofe:
il terribile terremoto di San Perfecto del 18 aprile, che preannuncia l’eruzione del vulcano Santa Maria del 24 ottobre. Dai ruderi e dalle ceneri della
città devastata, nasce un Comité de Obras Públicas che promuove e pianifica
la ricostruzione. Rimola approfitta dell’occasione, proponendosi e affermandosi come architetto e costruttore. Egli va ad aggiungersi a un preesistente gruppo di architetti italiani, tra i quali era emerso Alberto Porta, che
era attivo nella loggia massonica Fenix n. 2, di cui aveva costruito il Tempio
(1894), e nel 1898 aveva fondato una Academia de Arquitectura Municipal.
Nella piazza centrale della città, Rimola costruisce l’edificio del Banco
de Occidente, in stile neorinascimentale. Nel 1907, riceve anche l’incarico di
ricostruire l’esteso complesso dell’INVO, l’Instituto Normal para Varones de
Quetzaltenango, l’edificio del Banco de Occidente, foto d'epoca
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Occidente, una scuola storica di Quetzaltenango che, a partire dallo scioglimento e dalla nazionalizzazione dei beni della Compagnia di Gesù (1872),
aveva dato inizio in città all’istruzione laica. L’edificio, terminato nel 1913,
si estende su un’area di oltre 26.000 metri quadrati. Lo stile è quello imperante nell’architettura monumentale della città, il neoclassico, fatto di archi,
timpani e colonne corinzie, analoghe a quelle del più antico Palacio Municipal. Nello stesso periodo, Rimola realizza anche il Monumento al León
(1910), posto all’ingresso della città in onore di Manuel Estrada Cabrera,
presidente-padrone del Guatemala dal 1898 al 1920, che gli affida anche
altre opere pubbliche, tra le quali il Templo Minerva (1917), replica filologica
di un tempio greco. Nell’aprile del 1911, il giornale repubblicano di Castrovillari «Il Moto», in una corrispondenza da Quetzaltenango, dà notizia dei
successi di Carmine Rimola: «Venuto qui da modesto operaio, è meritatamente riuscito in pochi anni a diventare uno dei più competenti e stimati
costruttori. È nello stesso tempo l’ingegnere, l’architetto, l’imprenditore di
opere veramente considerevoli». Nello stesso anno, verso la fine di giugno,
Carmine viene raggiunto a Quetzaltenango dal fratello minore Francesco
(1884-1963), più giovane di lui di sedici anni. Francesco – lasciati a Castrovillari la giovane moglie, Carmela Amato, e due figli, Antonio e Bettina –
si era imbarcato a Napoli, diretto a Genova, da cui era poi partito col vapore Città di Milano, della Compagnia di Navigazione La Veloce, che lo
aveva portato fino a Puerto Limón, in Costa Rica. Giunto infine in Guatemala, si aggrega alla impresa di costruzioni del fratello maggiore, la Rimola
Rubini Empresa Constructora, operante a Quetzaltenango.
Nel 1913, Carmine figura tra i sottoscrittori del giornale socialista di
Morano «Vita Nuova». Nel 1915, nasce Carmen, la sua sesta e ultima figlia,
dopo Francesco e Antonio, nati in Italia, e Silvio, Vicente e Angela, nati in
Guatemala. Negli anni Venti è Presidente della Società Italiana di Beneficienza, ma nel 1928 viene sostituito alla guida della Società da un farmacista. Di conseguenza, si apparta per qualche tempo dalle attività pubbliche
della colonia italiana. Nel 1930, il console italiano Carlo Federico Novella
(1871-1948), ingegnere e industriale, figlio di un immigrato genovese, afferma che «è ben visto dalla Colonia» e che non professa più idee socialiste,
ma fa parte di una loggia massonica. Nel 1933, allo stesso console Novella
risulta che, «data la crisi economica, ha lasciato le vesti di architetto, esercendo (sic) quelle di panettiere». In questa circostanza «ha avuto a lamentarsi dei fratelli massoni».
Nel 1936, risulta aver abbandonato anche la massoneria, oltre che le idee
socialiste. In occasione della guerra d’Etiopia, sostiene il fascismo. «È mio
giudizio – dichiara il console Novella – che ormai possa considerarsi completamente ricreduto». Nel 1937, ormai quasi settantenne, viene radiato
dallo schedario dei sovversivi. Alla sua morte, nel 1954, lascia in Guatemala
una numerosa discendenza, infatti dai suoi sei figli sono nati ben trentaquattro nipoti. Intanto, suo fratello Francesco, che un anno dopo il suo ar-
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rivo a Quetzaltenango si era risposato con la giovanissima guatemalteca
Everilda Méndez (1898-1978), aveva avuto tre figli, Carlos (1913), Aminta
e Olga. Negli anni Cinquanta, Carlos trasforma in moderna attività industriale una tradizione artigianale coltivata da suo padre e, in età avanzata,
dallo zio Carmine: la produzione di pasta, prima per consumo familiare e
poi per la vendita di negozio in negozio. Nasce così l’importante fabbrica
di pasta Rimobel, dotata di moderni macchinari, che avrà lunga vita.
Pubblicità
dell’industria
alimentare
“Rimobel”,
anni '50.
[Fonti: https://familysearch.org; ACS, CPC, b. 4332, f. 8399; DTG, 1974; «Il Moto», 1911; «Vita
Nuova», 1913; Garzona Hong, 1997; Taracena, 2002; Liano, 2003; Cappelli, 2004; Orozco Fuentes,
2009]
Fonti e bibliografia
Fonti
Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, busta 928, fasc. 51826;
busta 4332, fasc. 8399
Directorio Telefónico Oficial de Guatemala, 1974
Gli Italiani nell’America Centrale. II Edizione (Costa Rica, El Salvador, Guatemala,
Honduras, Nicaragua, Panamá). Numero Unico – Editato per l’Anno Decimo – Editori-Compilatori Ermenegildo Aliprandi e Virgilio Martini. Esc. Tip. Salesiana –
Santa Tecla. Rep. de El Salvador
Ufficio Anagrafe del Comune di Morano Calabro
Archivio Privato Bruno Mainieri, Bologna/Morano
https://familysearch.org
Periodici
«Il Moto», Castrovillari, 1911;
«Vita Nuova», Morano Calabro, 1913-1915 e 1920-1922;
«La Ginestra», Morano Calabro, 1922.
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Bibliografia
Vittorio Cappelli
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Rita Bariatti, Italianos en Costa Rica, 1502-1952. De Cristóbal Colón a San Vito de Java,
Universidad Autónoma de Centro América, San José 2001.
Rita Bariatti, Italianos en América Central. De Cristóbal Colón a la Segunda Posguerra,
Editorial Librería Alma Mater, San José 2011.
Vittorio Cappelli, Dal Pollino alle Americhe. Socialisti ed emigranti a Morano Calabro tra
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Pollino (1880-1943), Il Coscile, Castrovillari 1995, pp. 13-84.
Vittorio Cappelli, Nelle altre Americhe. Calabresi in Colombia, Panamá, Costa Rica e
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Vittorio Cappelli, Tra “Macondo” e Barranquilla. Gli italiani nella Colombia caraibica
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2003, pp. 18-52.
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Ricardo Enrique Garzona Hong, Historia del Instituto Normal para Varones de Occidente: INVO, 1997.
Dante Liano, Dizionario biografico degli Italiani in Centroamerica, Vita e Pensiero, Milano 2003.
Everardo Manrique Orozco Fuentes, Conservación, rehabilitación y reciclaje del conjunto
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Núncia Santoro de Constantino, L’Italiano di Porto Alegre. Immigrati meridionali nella
capitale del Rio Grande do Sul, Pellegrini, Cosenza 2015.
Arturo Taracena Arriola, La arquitectura regional quetzalteca: una proposición de “unidad
cultural”, in «Centroamericana», n. 10, 2002.