Il mio regno per una tavola!
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Il mio regno per una tavola!
Gastrosofia Il mio regno per una tavola! Forma di ristorazione conviviale e senza fronzoli, ereditata dalle prime locande del XVIII secolo, la table d’hôtes suscita nuovi entusiasmi grazie all’agriturismo. U no deve mangiare in mezzo a dodici sconosciuti, dopo aver preso un coperto. (...) Il centro della tavola è occupato dai frequentatori abituali, che s’impossessano dei piatti forti: guai ad attardarsi sul proprio boccone». Queste righe non molto invitanti*, scritte poco prima della Rivoluzione francese, descrivono le prime table d’hôtes, sorta di trattorie con menù a prezzo fisso in cui sostavano clienti di passaggio durante i lunghi viaggi in diligenza. «Si restava a tavola il tempo di cambiare i cavalli; ci si poteva riposare un po’, in stanza chi poteva permetterselo, in scuderia gli altri», spiega succintamente lo chef giurassiano Georges Wenger. Il tempo delle diligenze è ormai lontano, ma la table d’hôtes vive oggi una nuova età d’oro. La tendenza è emersa dapprima in Francia e Austria, grazie alla moda dell’agriturismo, talvolta di lusso, che vede fiorire vasche idromassaggio persino in vecchie stalle riattate. Si diffonde quindi in Svizzera, una ventina d’anni fa, dove avrà fortune e ambizioni diverse. Nel nostro paese l’affermarsi delle moderne table d’hôtes coincide con un’iniziativa del Canton Giura battezzata Avventura sulla paglia e volta a offrire un giaciglio, dei più spartani e ispidi, a cittadini con voglia di campagna. Come fa notare Nicole Houriet, Segretaria generale dell’associazione «turismorurale.ch», «Numerosi agricoltori, spinti a riconvertirsi per sopravvivere, hanno ampliato la propria offerta dando agli ospiti la possibilità di ristorarsi. Si sono soprattutto resi conto che, con un investimento modesto, potevano garantirsi un reddito supplementare». La fattoria di Denise Philippona, un gioiello di legno intarsiato che da trecento anni giace incastonato nel cuore della verde Gruyère, ha visto sfilare ministri europei, un Presidente della Confederazione, schiere di alti funzionari cinesi e americani inviati dalle rispettive ambasciate, nonché pullman interi di visitatori approntati dalla Camera di commercio di Friburgo. È inoltre meta di gite aziendali, compleanni, famiglie, amici e coppie di innamorati. Tutt’intorno, il verde sconfinato di una natura prodiga e rigogliosa, punteggiata di mucche nere e cremose meringhe. tentare l’avventura Un luogo semplice e rustico, tra il ristorante e la cucina di casa (ma senza le costrizioni di quest’ultima), una tavolata unica, che invita conoscenti ed estranei a riunirsi all’insegna della familiarità e della cordialità; di solito il menù è fisso, con rare varianti possibili. Quando i suoi quattro figli sono andati via di casa, questa appassionata di cucina ha deciso di aprire «la sala», il luogo tradizionalmente riservato ai ga festeggiamenti in famiglia e con gli amici. Una dozzina di anni fa, Denise è una delle prime nella regione a tentare l’avventura, sicuramente con l’idea di avere un reddito extra, ma anche con la voglia di creare qualcosa che le corrispondesse e colmare il vuoto dell’ assenza. «Mi piace soprattutto ricevere e conoscere nuova gente» ci spiega, «E mi sono resa conto che potevo farlo senza lasciare le mura di casa mia». Ai sensi dell’articolo 13 della legge del Canton Vaud su locande e alberghi, che definisce diverse categorie di strutture ricettive, la licenza di table d’hôtes permette, in un’azienda agricola o viticola, di servire pasti e bevande (compresi alcolici) a un massimo di venti persone. Questa è la regola, ma un margine abbastanza ampio è lasciato nell’applicazione, con interpretazioni più o meno rigorose dei vincoli e dell’accezione da dare al termine. «Nata dall’ideale di un ritorno a una vita e a un’alimentazione naturali, È difficile conoscere le cifre esatte di questa realtà in Svizzera Foto: CINETEXT di Véronique Zbinden Table d’hôtes, celebrato nel film danese «Il pranzo di Babette». questa forma di ristorazione è divenuta un complemento a quella tradizionale» fa notare Michèle Zufferey, di Agridea, sottolineando l’importanza del ruolo delle contadine nella nostra società, in quanto detentrici di un sapere tradizionale dal futuro incerto. Ma a «riconvertirsi» non sono solo gli agricoltori: madri di famiglia che vogliono «realizzare qualcosa di loro», gente di città installata in casali ristrutturati o in periferie residenziali, appassionati di cucina o cultori della buona tavola incoraggiati dagli amici a lanciarsi, dilettanti, curiosi, entusiasti e intenditori con il fiuto degli affari. Dopo aver gestito un ristorante *Louis Sébastien Mercier, citato in Dictionnaire amoureux de la cuisine, Alain Ducasse, Plon, 2003. rinomato, Michel lavora ora in campo medico. Quando ha chiuso, per disdetta della locazione, non se l’è sentita di continuare con quegli orari inumani, mantenendo però la voglia di «restare in un ambito creativo» e di esprimere il suo amore per la cucina raffinata. Di tanto in tanto, perciò, riceve alla sua tavola pochi privilegiati «a seconda degli arrivi di stagione e dell’estro del momento», come e quando piace a lui. creatività e diversità D’accordo, direte voi, ma cosa si mangia? La table d’hôtes è il riflesso di un’incredibile creatività e diversità: ogni fattoria, ospite o luogo inventa ed elabora la propria offerta. Vi si ritrovano gli stessi mix di generi e le commistioni della ristorazione classica, con una forte componente regionale di cucina «cotta a fuoco lento»: jambon de la borne (prosciutto affumicato friburghese) e meringhe, il tradizionale menù della Benichon di Gruyère, stufati di ogni tipo, selvaggina e pesce, gb paste fatte in casa e, sul fronte etno, pastilla e couscous, piatti asiatici, specialità africane e via mangiando. Altrettanto difficile conoscere le cifre di questa realtà in Svizzera: secondo le autorità turistiche, sono oltre duecento le fattorie che offrono anche un servizio di ristorazione; al tempo stesso, molti privati, forse la maggior parte, esercitano ai confini della legalità, scoraggiati dalle difficoltà amministrative. Perché in fin dei conti, cosa ci si guadagna ad avere una table d’hôtes? «Gli avanzi» ironizza Michel, che passa tre giorni a creare i suoi meravigliosi menù su misura. Non molto, confermano Denise, Sylvia, Luciana, Géraldine e le altre che fanno tutto in casa, dalle sfogliate ai dolcetti, passando per il pane, il tutto a prezzi estremamente concorrenziali. Di che andare in brodo di giuggiole ... Véronique Zbinden è giornalista indipendente