Scarica PDF - Premio Eno-Letterario Santa Margherita

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Estate
Quando lo vidi in mezzo alla folla modaiola che popola gli eventi della città, mi piacque subito. Era un tipo
dall’aspetto singolare e i suoi occhi rispecchiavano una vita interiore intensa e travagliata. Non era il solito
bravo ragazzo, neanche quello arrogante e pieno di sé, e nemmeno quello piagnucoloso che non mangia
quello e non beve questo, no, era uno di quei tizi scaltri, di quelli vivi per miracolo, un Corto Maltese
brizzolato pronto ad imbarcarsi sulla prima nave diretta verso l’isola che non c’è.
In quel locale affollato c’erano molti ragazzi carini, ma quando cercai con lo sguardo quell’uomo intrigante,
mi saltò il cuore in gola perché stava venendo verso di me…
… L’estate successiva a quella sera andammo nella sua isola natia. Mi sentivo una regina nell’abito dai
grandi disegni blu e nei miei capelli sciolti soffiava lo Scirocco.
Sci – roc – co, la prima sillaba scivola sul Mediterraneo, la seconda solleva un po’ di polvere rossa e la terza
picchia contro la terra sassosa.
Ero affascinata da una cultura a me sconosciuta e cercavo faticosamente di penetrare i suoi misteri.
Giorno dopo giorno avevamo elaborato un itinerario con numerose tappe. La mattina presto ci
incamminavamo nei vicoli stretti della città. La nostra prima sosta era in un antro buio dalle pareti annerite
dal fumo. Nel grande camino dondolava un paiolo. Senza proferire una parola, per qualche lira, una
vecchietta ci porgeva una ciotola di siero di ricotta.
Poi andavamo a fare colazione nel bar di un amico con un caffè, un latte di mandorla e una cassatedda.
La passeggiata diventava una caccia al tesoro nelle vecchie botteghe dove scoprivo dei cesti in vimini, dei
cucchiai di legno di ulivo fatti a mano, dei vasi di ceramica...
Più tardi nel pomeriggio andavamo al mare. Sdraiata sulla sabbia bianca osservavo i gruppetti di bagnanti
disposti in cerchi; stavano delle ore in piedi nell’acqua a chiacchierare, poi si tuffavano, nuotavano per
qualche metro e tornavano sulla spiaggia.
Nell’ora in cui il sole inizia a tramontare ci raggiungevano gli amici dalla parlata aspra e calda. Portavano il
delizioso pane nero cosparso di semi di sesamo appena sfornato, le olive e una caraffa brinosa piena di
“tè”. Usavamo chiamarlo in questo modo perché il liquido aveva un colore ambrato e non volevamo
turbare la quiete delle signore sedute accanto a noi. In realtà i nostri bicchieri si riempivano di vino Alto
Grado, un vino marsalato, secco, corposo e saporito di circa quindici gradi.
Poi la spiaggia si svuotava e diventava silenziosa. Lo scirocco si placava, entravamo nell’acqua oleosa
colorata dai riflessi del sole e ci lasciavamo cullare.
Il vento si alzava di nuovo e giocava negli ulivi quando tornavamo a casa e ci fermavamo a raccogliere i fichi
d’India lungo la stradina sterrata che attraversava i campi di meloni e i vigneti.
La cittadina era deserta quando tornavamo a casa. Sui balconi si vedevano i pomodori messi a seccare. La
nostra cucina si trovava sul terrazzino e si affacciava sulle colline. Lì, pestavo nel mortaio il basilico e l’aglio
con le mandorle, prima di lasciar cadere un lungo filo d’oro scuro e una pioggia di pecorino.
Le colline diventavano blu mentre cenavamo e calava la sera.
E il vento ci avvolgeva quando entravamo nei templi addormentati sotto la luce delle stelle e della luna.
Siamo tornati qualche anno dopo.
Le saracinesche delle vecchie botteghe si erano per sempre abbassate e l’antro della vecchietta era chiuso.
Sulle colline di fronte alla casa fiorivano numerose villette.
I templi erano recintati e illuminati di notte da fari potenti.
Lo scirocco soffiava ancora, ma non è più riuscito a ravvivare la fiamma di quell’estate, e il vento ha
seminato sul mare le sue ceneri.