Tour della Turchia, 26 maggio-2 giugno 2011 – Diario di

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Tour della Turchia, 26 maggio-2 giugno 2011 – Diario di
Tour della Turchia, 26 maggio-2 giugno 2011 – Diario di viaggio
Giovedì, 26 maggio
Trasportati sulle ali di “Pegasus”, dopo 2 ore e mezza di galoppate sui cieli d’Europa, veniamo
depositati in Anatolia (Terra delle Madri), piacevolmente sorpresi dall’efficienza del personale e
dalla rapidità delle pratiche aeroportuali. Ci ritroviamo subito immersi nel traffico di un’Istanbul
immensa, confusi tra i suoi 15 milioni di abitanti. Attraversiamo il Bosforo e per un “Momento”
pernottiamo di nuovo nel Vecchio Continente, dopo aver assaggiato, oltre ad un’ottima cena, anche,
con incredulità e meraviglia, la specialità del nostro autista Ismail: retromarcia in salita con slalom
tra vetrine di delicata cristalleria.
Venerdì, 27 maggio
Per un tratto ritorniamo sulle nostre orme di ieri. Passiamo sul Ponte di Galata e lasciamo il Corno
d’Oro, col dispiacere, almeno per chi non c’è stato l’anno scorso, di non averlo potuto visitare.
Notiamo che a Istanbul, come poi nelle altre grandi città turche, le donne si vestono secondo le
proprie convinzioni, con abiti tradizionali o occidentali e si frequentano e si accompagnano
indifferenti alle loro diverse abitudini.
Per accorciare il percorso, ci imbarchiamo su un traghetto in compagnia di un camion carico di
agnelli, tosati di fresco, opportunamente ospitato a poppa. Dal ponte, oltre alla vista di una
strozzatura del Mar di Marmara, assistiamo all’assalto premeditato dei gabbiani turchi che, come
predoni, si avventano al volo sulle dolci ciambelle al sesamo lanciate da generosi passeggeri.
Ci attende la Verde Bursa, l’antica Prusa, attuale residenza e forse anche città natale del nostro
competente, cordiale, disponibile e indispensabile accompagnatore Hakan. Pranziamo in un
ristorante caratteristico accompagnando il pasto con un ottimo sciroppo di miele e una bevanda
rinfrescante allo yogurt (Ayran), concludendolo poi con il tipico caffè turco.
In ossequio al nostro ospite e alla storia della sua città, il pomeriggio è dedicato al mausoleo del
Sultano Murad II e alla relativa Moschea, alla visita della Moschea Grande (Ulu Camii) e della
Moschea Verde (Yesil Camii), dove, per i lavori di restauro, veniamo esonerati dal mostrare per la
terza volta consecutiva le nostre scalze estremità.
Piove e, dopo questa scorpacciata, ci rifugiamo nei meandri dello straripante bazar coperto, dove è
impossibile non aprire più volte e con piacere il nostro portafoglio agli originali manufatti locali.
Sabato, 28 maggio
L’hotel Almira che ci ha accolto è degno delle stelle attribuitegli; purtroppo dobbiamo
abbandonarlo presto perché la storia millenaria non è proprio a portata di mano.
Lasciata Bursa per raggiungere Canakkale (si pronuncia Gianaccale), ci addentriamo in una vasta
zona prevalentemente agricola, povera, abitata da contadini in modeste casupole, sino a Bandirma,
disordinato centro agricolo-industriale sul Mar di Marmara, in cui si alternano, grossi silos, officine,
meccanici, marmisti e tanta polvere.
E poi di nuovo ancora una rigogliosa vegetazione, risaie con gruppi di cicogne, estesi uliveti sulle
colline che fiancheggiano l’ampia strada sino alla costa sud dei Dardanelli con la vista di Gallipoli
sulla vicina sponda opposta.
E finalmente Ilio, con tutti i ricordi scolastici che richiama alla mente! Ma, a dir la verità, dopo aver
visitato quel poco che rimane della mitica città trasformatasi nel corso dei secoli, resta una certa
delusione, anche per il contesto in cui è gestito il sito. L’occasione, comunque, di essere stati a…
Troia, almeno per una volta, viene colta immediatamente, con scontata ironia, dagli attempati
goliardi.
Pranziamo in una locanda semplice sul posto: cibo gustoso e sicuramente genuino.
Ci dirigiamo a sud, tra colline di uliveti, fino ad incontrare la bella costa del rilucente Mar Egeo e di
fronte c’è l’isola di Lesbo. Però l’incanto cessa presto perché è tutta zona di villeggiatura e la costa
è stata aggredita in modo sistematico e deturpata da un susseguirsi di fitte abitazioni. Peccato!
Arriviamo a Bergama (de hura o de hota?) dove visitiamo l’interessante complesso di Esculapio.
Ripercorrendo alcuni passaggi della famosa clinica circolare ci lasciamo attrarre dai particolari
metodi di cura, già praticati allora, che ci inducono a qualche riflessione sull’arroccamento di una
certa parte della medicina odierna.
Il viaggio prosegue verso Smirne. Anticipata da zone industriali, raffinerie e da un certo
inquinamento atmosferico, ci appare Izmir in tutta la sua esagerata estensione. Percorriamo la
superstrada, che la attraversa, tra migliaia di caseggiati che tappezzano completamente i fianchi
delle colline e che scendono sino al porto senza soluzione di continuità. Davvero impressionante
nell’ora del nuvoloso crepuscolo!
Il nostro hotel, però, l’Onyria Claros, rimane un oscuro sogno onirico. Non si trova qui a Smirne
come indicatoci, ma un po’ più a sud (solo 80 Km.), a Ozdere! Qualche preoccupazione comincia a
serpeggiare sul pullman quando si fa strada anche l’ipotesi di poter restare senza carburante. Ma alla
fine arriviamo al “Carpe Diem” che si staglia titanico e luminoso nella notte buia.
Spengono le luci, non tacciono i rumori e nel buio senti sussurrar: “Domani sveglia alle 6; valigie
fuori e colazione alle 6 e mezza; partenza alle 7 in punto. Buonanotte!…Speriamo!”.
Domenica, 29 maggio
Il tempo è bello. Efeso è vicina e ci sono, per fortuna, ancora pochi turisti. La possiamo visitare
tranquilli e, con l’aiuto dei trasmettitori, seguiamo le utili informazioni di Hakan curiosando, nel
frattempo, anche in altre direzioni. Il sito è grande e i resti ben conservati forniscono una buona idea
generale della città che merita certamente di essere vista.
Ci spingiamo ancora più a sud, verso Mileto, tra aride colline, bassa vegetazione e filari di eucalipti.
Il panorama, che si poteva godere dalle gradinate del Grande Teatro, in direzione del porto, ora
interrato, posto alla foce del Meandro, è veramente suggestivo.
Sotto un sole già scottente ci illudiamo di rinfrescarci un po’ nel frigidarium delle Terme di
Faustina, di sostare a lungo nel tepidarium e di rilassarci infine nel calidarium. Ma il tempo è
tiranno e l’oracolo, che ci aspetta, riceve solo su appuntamento…
Il Tempio di Apollo è possente, con colonne massicce e annerite, e doveva incutere un certo timore
in chi lo frequentava. Qui esprimiamo mentalmente le nostre richieste confidando nella benevolenza
dei responsi.
Purtroppo non tutto va per il giusto verso. Forse qualcuno non ha compiuto i previsti rituali, forse
c’è stato un problema di traduzione, fatto sta che a Dydima, dopo un’allarmante incrinatura, crolla
una colonna portante dell’organizzazione rovinando sulla vittima sacrificale posta al suo fianco.
Non era mai successo, è vero, però c’è sempre una prima volta. Peccato, perché nella locanda dove
ci siamo fermati a pranzare ci hanno servito, tra l’altro, del pesce (un branzino enorme, a detta del…
simpatico gestore) veramente delizioso.
Il pomeriggio è tutta una tappa di trasferimento. Lungo un’autostrada a tre corsie, separate al centro
da un largo fossato, e frequentata essenzialmente da camion e qualche autobus di turisti, ci
inoltriamo verso levante, all’interno dell’Anatolia, accompagnati da continui acquazzoni. Gli spazi
sono sempre ampi, la pianura fertile. Nei dintorni di Aydin si raccolgono i migliori fichi della
Turchia, purtroppo non in questa stagione.
I chilometri scorrono, spesso solitari, le ore di viaggio diventano tante.
Hakan ci intrattiene con aneddoti, descrivendoci le usanze e raccontandoci gli innumerevoli
cambiamenti e innovazioni introdotti dal venerato Ataturk, fondatore della moderna repubblica. Di
fronte però al dogmatico credo della nostra guida nella documentazione storica ufficiale, relativa al
genocidio (pardon, esodo volontario) degli Armeni, viene tuttavia tentata una sua fulminea
conversione con battesimo al volo. Ma non è proprio acqua benedetta quella che gli viene versata
sul capo…!
La stanchezza comincia a farsi sentire e visto che il brutto tempo persiste anche a Pamukkale,
rimandiamo all’indomani mattina la visita delle cascate di ghiaccio e ci concediamo esausti un
bagno ristoratore nelle piscine termali dell’hotel Lycus River.
Lunedì, 30 maggio
Suona la sveglia. “Ma che ora è? Le cinque! Di già! Sù, coraggio, che ci aspetta un’altra
lunghissima tappa!”.
Tra le nuvole basse e l’aria frizzante saliamo sulla bianca collina di Hierapolis e i nostri occhi si
stupiscono di fronte allo spettacolo unico, affascinante, offerto dalla natura. Anche i piedi si
stupiscono per il piacere provato nell’immergersi nelle calde acque calcaree.
Una breve camminata in salita ci permette di raggiungere il teatro romano, rimasto in buone
condizioni e posto anch’esso in posizione panoramica strategica.
Ci troviamo adesso sull’altipiano anatolico, tra larghe praterie, estesi campi di cereali e
appezzamenti coltivati ad hascisc, dai fiori bianchi o viola simili ai papaveri (non ai tulipani!).
Giungiamo a Konya per pranzo, città che appare ben tenuta, ordinata, con giardini numerosi ed
attrezzati.
E’ qui che si verifica il primo episodio de “Il giubbino scomparso”. Dimenticato su una sedia al
ristorante, viene ritrovato e prontamente riconsegnato, ma ahimè, pare, senza il relativo cellulare. I
sospetti si fanno pesanti. Che siano stati i camerieri ad approfittarsene? Che qualcuno abbia voluto
ingiustamente screditare gli infedeli? Fatto sta che il legittimo proprietario, proclamando la propria
innocenza con la mano sul cuore, scopre ohibò, nel taschino della camicia, un rigonfiamento
proprio a forma del cellulare smarrito… Una sarcastica risata cancella l’ansia della suspense.
Sotto il porticato del Mausoleo di Mevlana ci infiliamo delle pratiche galosce trasparenti, per poter
visitare la tomba del poeta, fondatore dei dervisci rotanti e quelle di altri famigliari, nonché vedere
magnifici indumenti, oggetti, corredi e stupendi antichi Corani, finemente decorati in oro.
Riprendiamo i nostri posti e affrontiamo il lungo tragitto che ci porterà in Cappadocia. Il territorio
che ci viene incontro è tra i più vasti e disabitati, anche la strada, sempre a misura di camion è
scarsamente frequentata e permette al nostro Schumy di esaltarsi al meglio, anche sotto la pioggia
battente. Si susseguono praterie sconfinate, morbide colline arrotondate, qualche piccola fattoria e
sparuti gruppetti di contadini chini, al lavoro nei fertili campi.
La sosta al caravanserraglio di Sultanhani ci fa rivivere il clima delle carovane d’altri tempi. Nella
zona invernale, buia, a cinque navate, alta come una cattedrale, si percepisce ancora il caldo respiro
dei mercanti e delle loro bestie. Meglio uscire all’aperto, nella zona estiva, dove gruppi di ragazzini
ci fanno prigionieri e ci rilasciano soltanto dopo aver versato loro un obolo adeguato.
La Turchia è zona vulcanica per eccellenza e nelle viscere della terra si sviluppano terremoti
catastrofici. Nessun sismologo ha però registrato, durante il nostro viaggio, lo sconvolgente
terremoto che si è prodotto nelle viscere addominali di diversi componenti del gruppo, che, come
birilli, sono crollati, uno dopo l’altro. Che sia stato lo yogurt al miele e hascisc?
Siamo arrivati nella “terra dei bei cavalli” e di qualche sfilacciato cammello, in mezzo a rocce
erose, deformate, plasmate e scavate come gruviera, ma dalle forme incredibilmente fantastiche.
Almeno qui, all’hotel Perissia di Urgup (vocabolo onomatopeico, la cui sola pronuncia ci fa portare
il fazzoletto alla bocca), per due notti consecutive dormiremo nello stesso letto.
Martedì, 31 maggio
Goreme, Uçhisar, Nevsehir, Saratli, dappertutto in Cappadocia ci sono luoghi originali, interessanti.
Dovunque ci si rigiri c’è qualche cavità. I camini delle fate spuntano come funghi ed enormi funghi
rocciosi solleticano impudichi la fantasia. Le numerose Chiese rupestri conservano magnifiche
decorazioni. Le città sotterranee sorprendono per l’ingegnosità. La fotografia, ovviamente, prende
la mano e viene continuamente assecondata per fissare innumerevoli ricordi, sicuramente unici.
Da qualche parte va in onda il secondo episodio de “Il giubbino scomparso”. La trama è nota,
l’audience cala sensibilmente e qualche fischio impietoso si abbatte sull’impacciato protagonista (il
giubbino, naturalmente!).
Come si fa a non rimanere calamitati dall’affabilità e dalla cortesia del produttore di tappeti, che,
dopo averci illustrato la lavorazione ai telai e il ciclo del trattamento dei bachi da seta, ci ha offerto,
in un mix di eleganza, d’orgoglio e d’interesse, la visione delle sue splendide creazioni?
Le raffinate ceramiche di Avanos ci confermano che il gusto artistico è insito nell’uomo, ma non è
da tutti saperlo adeguatamente “manipolare” nella creta.
Nella valle del Fiume Rosso non sono solo le mongolfiere che si levano in alto, anche una voce si
alza dal gruppo. “Eccolo lì il cammello!”. Così, mentre Hakan si impegna idealmente ad offrire una
birra all’acuta vedetta lombarda, ci riversiamo di nuovo giù dal pulmann per immortalare l’originale
statua modellata dal tempo.
Concludiamo la serata assistendo ad uno spettacolo folcloristico. Accolti dal ritmo martellante del
tamburo, nel frastuono generale, riusciamo ad apprezzare gli eleganti e variopinti costumi, l’agilità
e l’abilità dei ballerini, i movimenti flessuosi e accattivanti della danzatrice del ventre e infine
l’esibizione del nostro rappresentante italico, che si merita il “Bravo” della formosa ballerina e gli
applausi di tutto il pubblico presente.
Mercoledì, 1 giugno
500 chilometri anche oggi! Dopo la sosta alla città sotterranea di Saratli, scoperta per caso, dalla
insospettata passione archeologica di un gallo (sì, proprio un pollo!), ci lasciamo trasportare verso la
capitale turca. Costeggiamo per lunghi tratti il lago salato di Tuz, sulla cui riva la crosta salina è
troppo sottile per consentirci di calpestarla senza affondare nel fango. Perciò proseguiamo oltre.
Alla periferia di Ankara il traffico aumenta sensibilmente; i collegamenti sono integrati da centinaia
di minibus “a richiesta”. Attraversiamo il quartiere delle ambasciate, dei ministeri, delle caserme,
dai grandi viali, per infilarci nelle vie strette di un rione popolare e caotico.
Nella città della lana d’angora, il Museo delle antiche civiltà anatoliche corona questo viaggio come
la ciliegina sulla torta. Le vetrine con i reperti, le selci, i manufatti, i bronzi, i gioielli, le sculture, i
bassorilievi, insomma millenni di storia, da ripercorrere idealmente, sono concentrati qui. Di fronte
a queste innumerevoli espressioni di cultura e d’arte si resta esterrefatti, eppure sono opera
dell’uomo.
Una strada scorrevole si snoda tra colline, monti e valli più incise. Siamo sempre intorno ai mille
metri di quota. Il cielo è costantemente nuvolo e il clima più che mai simile a quello nordico.
A Bolu, nello chalet Koru, trascorriamo l’ultima notte, nel silenzio delle celle che ci sono state
assegnate.
Giovedì, 2 giugno
Partenza. Il trasferimento all’aeroporto di Sabiha Gokc è relativamente breve. Qui si chiude
definitivamente il cerchio del nostro viaggio, con un sentito grazie a Ismail e un saluto commosso
ad Hakan (speriamo che si ricordi di spedire le cartoline che gli abbiamo affidato!).
Sui monitor dell’aereo, partito in perfetto orario, seguiamo le istruzioni di emergenza impartite da
simpaticissimi attori bambini. Un sorriso ci conquista e i nostri occhi si chiudono già sui recenti
ricordi.
Questi sono solo appunti personali, tra il serio e il faceto, di un bel viaggio, faticoso ma
indubbiamente interessante. Ciascuno ha partecipato con la propria sensibilità, avrà avuto
certamente impressioni diverse e sarà rimasto colpito da tante altre particolarità. Molto altro è
rimasto fissato nelle fotografie, nei nostri occhi e nella mente, dove difficilmente potrà essere
cancellato.
Un grazie riconoscente agli organizzatori.
Alla prossima!
Alessandro Bortoluzzi e Luisa De Capitani