8.3 Società La società (societas) è un contratto consensuale, con il

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8.3 Società La società (societas) è un contratto consensuale, con il
Istituzioni di diritto romano (P-Z), a.a. 2014-15
8.3 Società
La società (societas) è un contratto consensuale, con il quale due o più soggetti, detti
socii, si obbligavano reciprocamente a mettere in comune, in tutto o in parte, i loro
beni o le loro attività economiche, per il conseguimento di un risultato che fosse utile
a tutti, risultato che poteva derivare da attività di mera gestione o di lucro1.
Il modello più antico di società era espresso dal consorzio tra fratelli coeredi
(consortium ercto non cito): nessuno degli eredi aveva una parte definita del
patrimonio, ma tutti erano proprietari della sua totalità. Sulla scia di questo, si venne
ad affermare anche il consorzio fra estranei, costituito con una particolare
applicazione della in iure cessio “rinuncia in tribunale”.
Il contratto di società poteva essere concluso tra tutti i tipi di persone (mercanti,
banchieri, ecc.) per una durata limitata nel tempo o anche senza limiti. In funzione del
tipo di scopo comune si potevano distinguere diversi tipi di società:
Societas unius negotii:
società per un solo affare
Societas omnium bonorum:
società per tutti i beni
Tipi di società
Societas lucri, quaestus, ecc.:
società per attività imprenditoriale
con scopo di lucro
Societas alicuius negotiationis:
società per un certo tipo di
attività economica (es. il
commercio degli schiavi)
Non era ammessa invece la costituzione della c.d. società leonina, ove un socio era
tenuto solamente alle perdite, e quindi escluso dai profitti2.
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Cfr. art. 2247 c.c. (Contratto di società): Con il contratto di società due o più persone
conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di
dividerne gli utili.
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Il nome deriva da Fedro, Favole, 1.6: Mai è affidabile la società con un potente e questa
favoletta comprova il mio assunto. Una mucca, una capra, e una pecora paziente all’offesa (iniuria)
furono soci con un leone nella foresta. Essi catturarono un cervo grosso grosso, e il leone, fatte le
parti, disse: «Io mi prendo la prima parte perché (hoc nomine “a questo titolo”) mi chiamo re; la
seconda mi spetta perché sono socio (consors); la terza, poi, mi tocca perché sono il più valente; e
la quarta, se qualcuno la tocca, guai a lui». Così la protervia (improbitas) di uno solo arraffò l’intera
preda.
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Il consenso continuativo, e non soltanto iniziale, di due o più soci è l’elemento fondante
di ogni tipo di societas: se viene a mancare il consenso – talora indicato con il termine
affectio, come nel matrimonio – di uno di loro, la società si estingue. L’accordo
iniziale fa sorgere a carico di ogni socio l’obbligazione di conferire beni o attività
personali, la cui natura e ammontare varia a seconda del tipo di società – per
conseguire un fine economico comune, con la divisione dei profitti e delle perdite.
In diritto romano la società non gode di una propria autonomia patrimoniale (una
cassa comune). Il vincolo che si crea fra i soci non rileva all’esterno, giacché è il
singolo socio a contrattare con i terzi e/o a chiamarli o ad essere da loro convenuto
in giudizio.
Quanto al criterio di suddivisione dei profitti e delle perdite e al tipo di conferimenti,
si può leggere:
Gaio 3.149: Vi fu una gran discussione sulla possibilità di formare una società in cui uno
avesse parte maggiore nei profitti e minore nelle perdite; il che Quinto Mucio ritenne
contrario alla natura della società. Ma per Servio Sulpicio, il cui parere è ormai prevalso, era
possibile non solo formare una simile società, ma persino formarne una in cui un socio era
escluso dalle perdite, ma partecipava ai profitti, purché la sua opera fosse tanto preziosa da
rendere equa la sua ammissione nella società con questa clausola. Oggi è pacifico che si
possa formare una società in cui un socio conferisca denaro e un altro no, pur essendo
comune il profitto tra loro: spesso infatti l’opera di uno vale quanto il denaro.
Già ben prima del tempo di Gaio, si affermò la concezione più dinamica del contratto
di società, professata da Servio (giurista del I secolo a.C.), che concesse non solo la
diversità di quote fra soci per profitti e perdite, ma anche l’esclusione di uno dei soci
dalle perdite, sempreché l’attività professionale da lui conferita (socio d’opera) fosse
talmente rilevante per il buon andamento della società da far reputare equa la sua
esclusione da ogni esborso in caso di passività o fallimento. Qualora i soci avessero
concordato percentuali diverse solo per i profitti (o solo per le perdite), s’intendeva
che esse valessero parimenti per le perdite (o per i profitti). Qualora non vi fossero
stati accordi sul punto, s’intendeva che profitti e perdite andavano distribuiti in parti
uguali.
Le eventuali controversie insorgenti tra i soci erano regolate da un’apposita azione di
buona fede, l’“azione per il socio” (actio pro socio), che – oltre a prevedere la
condanna pecuniaria nei limiti del possibile – provocava lo scioglimento della
società. È proprio questa azione contrattuale unitaria che andava a costituire
l’autentico, e il solo, elemento unificante dei vari tipi di società.
8.4. Mandato
Il mandato (mandatum)3 obbliga una parte, detta mandatario, a compiere una o
più attività per conto di un’altra parte, detta mandante. Il mandatario, accettando, si
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Cfr. art. 1703 c.c. (Nozione): Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a
compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra.
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obbliga ad eseguire tali attività senza alcun compenso, salvo aver diritto verso il
mandante al rimborso delle spese e dei danni incontrati nella gestione. La previsione
di un compenso, infatti, configurerebbe il rapporto come una locazione d’opera.
consensuale
bilaterale
imperfetto
di buona fede
inter amicos
Il mandato è un contratto:
è il solo consenso dei contraenti a far nascere l’obligatio
mandati; non necessitava di alcuna forma particolare, né forma
scritta, né parole solenni da pronunciare
l’obbligazione principale (che sorge sempre) era quella del
mandatario e consisteva nell’eseguire l’attività o il servizio di
cui si era fatto carico; un’obbligazione, ma solo accessoria,
sorgeva (ma non necessariamente) a carico del mandante, quella
di rimborsare le eventuali spese e/o danni subiti dal mandatario
nell’esercizio del mandato
esso era governato dalla bona fides, che permetteva al giudice di
valutare con un più ampio margine di manovra le obbligazioni
delle parti; l’actio mandati conteneva la clausola “ex fide bona”
Il mandato trae origine dai doveri propri e dall’amicitia:
accettare il mandato dato da un terzo (in linea di principio un
amico) era considerato dai Romani come un dovere morale. E
dunque una mercede è contraria all’adempimento dei propri
doveri
Il mandato può essere concluso, come riferisce Gaio (3.156; cfr. rer. cott. D. 17.1.2)
nell’interesse del mandante (mea gratia), o di un terzo estraneo al negozio (sua
gratia: tu mi incarichi di gestire i beni di Tullius che è all’estero), o di entrambe le
parti del negozio (mea et tua gratia), o anche di una delle parti e di un terzo
(mandante & terzo: mea et sua gratia; mandatario e terzo: tua et sua gratia). Non è
invece valido, ovviamente, il mandato nell’esclusivo interesse del mandatario, poiché
si tratta di un semplice consiglio o suggerimento.
E neppure è valido, in diritto classico, il mandato da eseguirsi dopo la morte di uno
dei contraenti (c.d. mandatum post mortem), poiché viene a mancare la mutua fiducia
fra di loro, che sta alla base di ogni mandato; il diritto giustinianeo ne ammetterà
viceversa la validità.
Qualora un mandatario accetti l’incarico di dare denaro a mutuo ad un terzo, si ha il
c.d. mandato di credito: qui il mandante assume la veste di garante personale
dell’obbligazione sorta da mutuo. Tale figura di mandato può consentire l’apertura di
credito in più luoghi, senza la necessità che il mandante debba essere fisicamente
presente.
Quanto agli obblighi delle parti, il mandatario, che è persona di fiducia della
controparte, assume essenzialmente due obblighi:
1) l’obbligo di eseguire fedelmente l’incarico, seguendo le istruzioni ricevute;
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2) l’obbligo di trasferire in capo al mandante, nei modi idonei, gli effetti (reali o
obbligatori) degli atti compiuti.
I limiti del mandato devono essere rispettati diligentemente. Nel caso in cui il
mandatario oltrepassi i suoi poteri si verifica il c.d. eccesso di mandato: sulle
conseguenze del problema possiamo leggere due frammenti di Paolo che ricordano
una controversia Sabiniani-Proculiani.
Paolo, D.17.1.5: [pr.] I limiti del mandato devono essere rispettati diligentemente. [1]
Infatti, colui che li abbia superati si considera fare qualcosa di diverso, ed è tenuto (a
rispondere), se non abbia adempiuto all’incarico assunto. [2] Pertanto, se ti avrò dato
mandato di comprare la casa Seiana per cento e tu avrai comprato per cento o anche per
meno la casa Tiziana, di valore gran lunga maggiore, non si considera che tu abbia portato a
compimento il mandato … [5] La condizione del mandante può invece divenire migliore se,
avendoti conferito mandato di comprare Stico per dieci, tu lo abbia comprato per un prezzo
minore, o per lo stesso prezzo, ma in modo che però qualcos’altro si aggiungesse allo
schiavo: in entrambi i casi, infatti, tu hai eseguito (il mandato) o non andando al di là del
prezzo o mantenendoti nei limiti di esso.
Paolo, D.17.1.15: Se io ti avessi conferito mandato di comprare un fondo, poi ti avessi
scritto di non comprarlo, e tu, prima di sapere che te lo avevo vietato, lo avessi comprato,
sarò obbligato nei tuoi confronti con l’azione di mandato, affinché non soffra danno chi
assume il mandato.
I giuristi sabiniani consideravano inadempiente il mandatario che eccedesse i limiti
dell’incarico (cd. eccesso di mandato), ad es. avesse comperato a 200 quel che
avrebbe dovuto comprare a 100: per questo motivo, a loro avviso, il mandante non
era tenuto a riconoscere il negozio compiuto.
Viceversa, i giuristi proculiani, la cui opinione era destinata a prevalere, ritenevano
che il mandato fosse valido nei termini pattuiti (100, e non 200): entro tali limiti, il
mandante aveva l’obbligo, come in ogni mandato, di risarcire al mandatario spese e
danni eventualmente subiti nell’espletamento del contratto.
Per far valere le rispettive pretese, le parti dispongono della “azione di mandato”
(actio mandati), di buona fede, qualificata “diretta” per il mandante e
“contraria” per il mandatario.
Poiché nel mandato il consenso deve essere continuativo, il contratto può essere
risolto o per revoca da parte del mandante o per rinuncia da parte del mandatario,
ovvero per morte di uno di essi, come già accennato prima. L’estinzione del mandato
non fa venir meno gli obblighi creatisi in precedenza tra le parti.
Il mandato produce effetti solo tra le parti contraenti, non avendo verso i terzi altro
valore se non quello eventuale e concomitante di autorizzare il mandatario a
compiere determinati atti nell’interesse del mandante.
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