Rapporto generale Esg Benchmark
Transcript
Rapporto generale Esg Benchmark
ABI Novembre 2006 Analisi dei casi di eccellenza di responsabilita' sociale ABI projects (6* Benchmark Rapporto Generale Edizione ESG Benchmark è frutto di una collaborazione tra l’Ufficio Analisi Economiche e l’Ufficio Responsabilità Sociale di Impresa dell’ABI. La somministrazione del questionario, la raccolta e l’analisi dei dati è stata curata da Luca Luciani, Serena Razzi, Angela Tanno. Per informazioni scrivere a [email protected] Introduzione Approccio metodologico Evidenze generali 1 – Strategia 2 – Governance 3 – Modalità di gestione 4 – Bilancio di sostenibilità Conclusioni 2 INTRODUZIONE ESG Benchmark fornisce un’analisi di posizionamento sull’integrazione dei fattori ESG – Environmental, Social and Governance - nella strategia, nell’organizzazione, nei processi e nella relativa rendicontazione delle attività della banca, a supporto dello sviluppo del business del settore bancario. L’approccio adottato per realizzare l’analisi prende spunto dal percorso maturato e condiviso in ambito associativo1, che promuove la natura strategica della Corporate Social Responsibility - CSR: l’integrazione strategica degli aspetti ESG all’interno dei processi delle banche rappresenta una delle maggiori sfide della CSR oggi e consente di meglio identificare e valutare i rischi connessi al proprio business. ESG Benchmark si basa su questo approccio e analizza come la responsabilità sociale si articola in processi decisionali che producono azioni che interessano, in maniera trasversale, tutta la banca nel suo essere/fare impresa. L’analisi è funzionale a: − rispondere alle esigenze degli Associati, fornendo analisi e strumenti per agevolare l'integrazione volontaria dei fattori ESG nella propria attività; − valorizzare, all'esterno del settore e presso i diversi interlocutori con cui il mondo bancario interagisce, a livello nazionale e internazionale, le esperienze dell'industry bancaria sul tema, tramite dati aggregati. APPROCCIO METODOLOGICO La rilevazione, giunta alla terza edizione, si sviluppa nelle seguente fasi: − − − − acquisizione dei dati delle singole banche/gruppi attraverso uno specifico questionario. I dati sono rilevati sia a livello individuale che consolidato; elaborazione dei dati e redazione di Report personalizzati, con il posizionamento della singola banca/gruppo aderente al progetto rispetto al Campione; elaborazione del Report generalizzato, per le banche/gruppi aderenti al progetto. Le informazioni sono elaborate nel documento a livello aggregato; elaborazione di un Executive Summary per le banche/gruppi che hanno trasmesso il questionario compilato. I dati raccolti alimentano una serie storica significativa, in grado di tracciare le linee evolutive dell’integrazione dei fattori ESG nel business. Il questionario di acquisizione delle informazioni è stato aggiornato per essere aderente ai riferimenti internazionali più avanzati in tema di sostenibilità, tra cui le linee guida del Global Reporting Initiative - GRI2. L’approccio metodologico è rimasto invariato nella sostanza per dare la possibilità di analizzare il fenomeno sulla base di dati comparabili nel tempo ma la ricerca è stata affinata per cogliere gli aspetti nuovi di un tema in continua evoluzione. 1 2 V. anche ABI, “Linee guida operative sulla Responsabilità sociale d’impresa in banca”, Bancaria Editrice, 2005. www.globalreporting.org. 3 Il questionario è stato trasmesso a tutti gli istituti bancari iscritti all’albo alla data del 31 dicembre 2010. Sono pervenuti 16 questionari di cui 12 compilati a livello consolidato e 4 a livello individuale. Il Campione è rappresentativo del 78% del totale attivo di sistema, pari al 63,3% degli sportelli sul territorio3. Gruppi Banche − Gruppo Banca Popolare dell’Emilia Romagna − Banca Etruria − Gruppo Banca Popolare Etica − Banca Marche − Gruppo Bancario Cariparma Crédit Agricole − Dexia Crediop S.p.A. − Gruppo Bancario Intesa Sanpaolo − Hypo Alpe Adria Bank SPA − Gruppo Bancario Mediolanum − Gruppo Banco Popolare − Gruppo Bipiemme − Gruppo Carige − Gruppo Credito Valtellinese − Gruppo Monte dei Paschi di Siena − Gruppo UBI Banca − Gruppo UniCredit Il questionario è strutturato in 4 Sezioni: 1 2 3 4 - Campione Questionario Strategia Governance Modalità di gestione Bilancio di sostenibilità Le informazioni analizzate, relativamente alle 4 Sezioni considerate, fanno riferimento all’approccio generale sopra descritto che identifica un percorso logico, flessibile e modulare, rispetto ai singoli casi e alle diverse fasi aziendali dell’operatività bancaria. Per l’analisi di posizionamento (oggetto dei Report personalizzati) sono stati utilizzati Driver di analisi che identificano le azioni che la banca sviluppa per promuovere l’integrazione dei fattori ESG nell'operatività quotidiana. L’impatto di queste azioni è stato considerato su due dimensioni della banca, Dimensione “Interno” e Dimensione “Esterno”. 3 I dati contenuti nel Report fanno riferimento al 2010; i dati percentuali riportati, ove non specificato fanno riferimento al totale attivo di sistema. 4 Metodologia di analisi ESG Benchmark 2011 - Driver di analisi Materiality (Rilevanza) Il Driver caratterizza, nell’operatività della banca, le azioni che prevedono significativi impatti economici, ambientali e sociali o che possono influenzare in modo sostanziale le valutazioni e le decisioni degli stakeholder. In questo caso l’azione è considerata rilevante complessivamente per gli aspetti sopra riportati. INTERNO ESTERNO Materiality (rilevanza nello specifico) Se un’azione si manifesta su aspetti che riguardano singolarmente Impiego di risorse, (R), Processi (P), Lavoro interfunzionale (I), Stakeholder (S) o Valenza di comunicazione (C), l’azione viene considerata rilevante nello specifico per il singolo aspetto. R Impiego di risorse − − − impegno finanziario/economico impegno di risorse umane/di tempo intervento apportato sulla struttura aziendale riconoscibile attraverso una modifica dell'organigramma P Processi − integrazione dei fattori ESG nella prassi dell’operatività bancaria I Lavoro interfunzionale − interazione tra le diverse funzioni aziendali S Stakeholder − valorizzazione del rapporto con gli stakeholder − valenza/spendibilità di comunicazione verso l'esterno C Valenza di comunicazione M+ Indicatore sintetico Le azioni rilevanti complessivamente (M) e quelle rilevanti nello specifico (R, P, I, S, C) possono essere rappresentate in maniera sintetica attraverso un unico Driver M+. Questo Driver di sintesi consente di evidenziare quanto la CSR è integrata nell’orientamento strategico di fondo del sistema bancario, e di un Istituto nello specifico, interagendo quindi con tutti gli ambiti della gestione aziendale: dai processi interni alla gestione delle risorse umane, dalla gestione del business alla valorizzazione del rapporto con gli stakeholder e alla comunicazione verso l’esterno. 5 Ai fini dell’analisi, in ogni Sezione del questionario è stato individuato un sottoinsieme di domande rilevante per i Driver considerati. Queste domande hanno costituito la base per l’analisi dei singoli Driver che vengono rappresentati graficamente. EVIDENZE GENERALI In generale, pur con modalità diverse, si rileva che tutte le banche del Campione hanno avviato un percorso di integrazione della responsabilità sociale d’impresa nel business avendo impiegato risorse, adeguato processi per l’integrazione della CSR nel business, sviluppato azioni di apertura nei confronti degli stakeholder valorizzate anche in termini di comunicazione verso l’esterno. Tra le azioni maggiormente diffuse: − la pubblicazione di un bilancio di sostenibilità annuale e la sua diffusione tramite internet; − i corsi di formazione sul Codice Etico per i dipendenti; − l’unità o presidio CSR nell’organigramma aziendale; − le attività di Work and Life Balance e quelle per favorire l’Accessibilità ai servizi bancari. Sembra ormai acquisita la valenza trasversale della CSR in banca per lo sviluppo di strumenti quali il Codice Etico, il bilancio di sostenibilità ma anche per il funzionamento dell’ufficio o presidio CSR: nella maggior parte dei casi infatti il CSR manager interagisce con i colleghi che hanno diverse competenze, dalle risorse umane al bilancio, dalla comunicazione al commerciale. Per l’intero Campione si rilevano alcuni cruciali elementi di potenziale sviluppo, già rilevati nell’edizione 2009, tra cui: − Governance - meccanismi a disposizione degli azionisti e dei dipendenti, con riferimento alla mancanza della valutazione delle performance dei componenti del più alto Organo di governo legata ai risultati ambientali e sociali oltre che a quelli economici dell'azienda; − Relazione con gli Investitori Socialmente Responsabili (ISR) con riferimento: o all'ufficio IR, all’interno del quale non è prevista la presenza di una persona dedicata al tema ISR; o alle presentazioni ad hoc agli investitori ISR che, oltre a non venir realizzate in maniera specifica, non contengono informazioni relative alla CSR integrata all'analisi finanziaria; o ai road show dedicati agli investitori ISR che nessuna banca organizza; o alla promozione degli ISR alla clientela per i quali non esistono attività di formazione ai dipendenti. Con riferimento al “Comportamento globale del Campione rispetto ai Driver di analisi”, le azioni delle banche presentano complessivamente margini di miglioramento rispetto ai massimi potenziali. A fronte di un contenuto investimento in termini di Risorse, il Campione presenta un buon adeguamento dei Processi e un diffuso livello di sviluppo dell’Interfunzionalità aziendale. Il coinvolgimento degli 6 Stakeholder e la Comunicazione sono presidi ancora poco valorizzati. Un impegno più mirato sulla Rilevanza delle azioni da perseguire, permetterebbe una maggiore focalizzazione della già presidiata Dimensione “Interno” (Impiego di risorse, Processi e Lavoro Interfunzionale) e lo sviluppo della Dimensione “Esterno” della CSR (Stakeholder e Valenza di Comunicazione). Comportamento globale del Campione rispetto ai Driver di analisi Grafico 1 M RMax campione P I Min campione S Mediana C 7 1 - STRATEGIA Il 73% dell’industria bancaria italiana, in termini di totale attivo di sistema, ha formalizzato l’impegno di CSR sviluppando una strategia che prende in considerazione i criteri ESG per meglio gestire impatti, rischi e opportunità connessi al proprio business. Nella totalità dei casi in cui questa strategia è in atto, l’informazione della sua applicazione è reperibile sul sito web della banca, tendenza affermata già nell’edizione 2009 del Benchmark. Molto diffusa risulta anche la comunicazione all’interno del bilancio di sostenibilità (71,6%). Il 57,4% delle banche sceglie di pubblicare l’informazione usando il canale dell’intranet aziendale e il 37,3% la inserisce nella Relazione sulla gestione. Formalizzazione impegno La formalizzazione si traduce in una vera e propria pianificazione strategica di CSR per il 63,4% delle banche – dato in crescita rispetto all’analisi del 2009 la quale rilevava un 40,9%. Anche l’arco temporale di riferimento della pianificazione si amplia, passando da un massimo di due anni a pianificazioni anche quadriennali. Le aree maggiormente interessate dalla pianificazione strategica di CSR risultano essere (percentuali calcolate rispetto al totale attivo di sistema): − − − − − il coinvolgimento stakeholder (71%); le diverse Business Lines (69,8%); il sistema incentivante (63%); i temi di Corporate Governance (62%); la formalizzazione del processo di accountability (40%). Grafico 2 Aree maggiormente interessate dalla pianificazione strategica di CSR Coinvolgimento stakeholder Processo di accountability Corporate Governance Business Lines Sistema incentivante Da segnalare l’attenzione maturata su tutti i temi sopra descritti e, in particolar modo, sul sistema incentivante che risulta collegato alla pianificazione strategica di CSR in sette realtà bancarie, a fronte dei due casi evidenziati nel 2009. 8 La formalizzazione dell’impegno di CSR trova conferma nella diffusione, nelle diverse strutture aziendali, di un presidio specifico delle tematiche di responsabilità sociale: il 61,8% del sistema bancario (79,4% sul totale attivo dei rispondenti) ha istituito un’unità formalmente dedicata alla responsabilità d’impresa e il 15,4% dispone di un presidio dedicato al tema (19,8% sul totale attivo dei rispondenti), riconoscendone quindi un’autonomia e una visibilità pari a quella di altre principali funzioni organizzative. L’unità/presidio di CSR, all’interno dell’organigramma aziendale, trova principalmente collocazione nella Comunicazione, in Staff ai vertici, nella funzione Investor Relations, in quella di Pianificazione e controllo e nella Segreteria generale o d’area. Risorse dedicate Grafico 3 Struttura organizzativa CSR Percentuali calcolate rispetto al totale attivo dei rispondenti 20% 1% 79% Sì, un'unità dedicata Sì, un presidio in altre funzioni No La CSR è una dimensione che necessita di una interazione con tutti gli ambiti della gestione aziendale affinché i fattori ambientali sociali e di governance vengano integrati con successo nelle attività tipiche della banca. Proprio a tal fine, il ruolo dell’unità/presidio organizzativo di CSR mira, tra l’altro, a sviluppare l’interazione e agevolare il coordinamento tra la responsabilità sociale e le differenti funzioni aziendali, in maniera trasversale. In questo contesto, il Benchmark rileva che tutto il Campione sviluppa relazioni ad ampio raggio tra la CSR e le diverse aree/funzioni, anche se con una differente intensità. 9 Grafico 4 L’interazione con le aree aziendali maggiormente coinvolte dall’unità/presidio CSR, ovvero Risorse umane/Relazioni interne e Comunicazione/Pubbliche relazioni, evidenzia il bilanciamento di processi aziendali volti a diffondere la responsabilità sociale all’interno della banca e a valorizzare all’esterno quanto realizzato sul tema. Molto coinvolto è anche il Management, a testimonianza che la consapevolezza, o almeno la conoscenza, dei vertici aziendali della valenza strategica della CSR è necessaria per la sua integrazione all’interno del business aziendale. Per orientare la banca alla CSR serve un presidio diffuso di tutti sul tema e il coordinamento di pochi: la maggior parte delle banche dichiara di presidiare il tema con 1 o 2/3 risorse; in due casi le risorse sono 4/5 e in altri due casi, a occuparsi a tempo pieno dell’integrazione della CSR nel business, sono team di oltre 5 persone. A fronte della crescente importanza di queste unità/presidi, cresce sempre di più la consapevolezza che le politiche di CSR non possano essere prerogativa esclusiva degli addetti ai lavori, ma debbano interessare tutti i responsabili di funzione e di business. 10 APPROFONDIMENTO Indagine su “Modelli ed esperienze di responsabilità sociale d’impresa in relazione ai sistemi di governance”. A cura della Dott.ssa Costanza Russo. Progetto Realizzato dalla Fondazione Unipolis e dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna. La ricerca integra e completa il lavoro avviato nel 2009 dalla Fondazione Unipolis sul rapporto tra Governance e CSR, la cui prima parte è stata dedicata ad una analisi relativa all’adozione e applicazione dei Codici etici nelle imprese italiane. Metodologia e obiettivi Il progetto su CSR e corporate governance si è concentrato su tre obiettivi principali: 1) analizzare l’allocazione della funzione di responsabilità sociale all’interno delle imprese bancarie e delle multi utility, al fine di valutare il rapporto tra rendicontazione esterna e gestione interna delle politiche di CSR; 2) investigare la dialettica endosocietaria tra presidio di CSR e funzione di business strategy, piani e politiche aziendali, al fine di analizzare il livello di integrazione e attuazione della visione etica tra gli obiettivi d’impresa; 3) stimolare una riflessione sulla coerenza e l’efficacia dei modelli attuati rispetto alle caratteristiche e finalità ultime delle imprese considerate. La scelta delle imprese da includere nel campione si è basata su: 1) sussistenza di politiche di CSR in capo alle aziende; 2) distribuzione territoriale e tipologica omogenea; 3) nazionalità italiana; 4) appartenenza al settore del credito e assicurativo; 5) categoria business to consumer. A questo campione di imprese, selezionato principalmente sulla base dell’adesione alle associazioni impegnate nella promozione della CSR più rappresentative (tra cui, CSR Manager Network, Impronta Etica e Sodalitas), è stato sottoposto un questionario composto da 43 domande a risposta chiusa e aperta. In sintesi, l’indagine mirava a conoscere tre distinti ambiti del governo della CSR: a) la gestione interna (con riferimento ad allocazione della funzione, rapporti gerarchici e dialettica endosocietaria, grado di coinvolgimento anche informativo del top management dell’attività di responsabilità sociale); b) la robustezza della funzione (con specifico riferimento a budget e personale); c) gli strumenti di CSR adottati, al fine di parametrare il livello di sviluppo delle attività al tipo di gestione interna. Principali risultati emersi A seguito dell’esame dei risultati pervenuti, l’attenzione si è concentrata principalmente su due settori, credito e assicurazioni e multiutility. Assumendo questo come sottocampione più rappresentativo, emergono alcuni elementi di valutazione significativi. In particolare, per quanto riguarda le imprese bancarie e assicurative, dal questionario, al quale ha risposto l’85% dei soggetti interpellati, sono emersi risultati particolarmente rilevanti che mostrano come il settore abbia iniziato a sviluppare buone pratiche di governo della CSR, seppure vi siano ancora numerose aree di intervento e miglioramento. A tal fine, un ruolo di rilievo non può che essere svolto dalle associazioni di categoria. Tutte le aziende rispondenti affermano di avere una specifica funzione di CSR, ma la stragrande maggioranza la alloca presso varie funzioni di direzione. Non è possibile aggregare il dato relativo, perché sono tutte diverse e variano da «area socio culturale», a «comunicazione e risorse umane» a «sviluppo e pianificazione strategica», ovvero si trovano in staff al Presidente piuttosto che al Direttore generale. Ciononostante, questo dato è di grande importanza e si presta a due possibili interpretazioni: la prima è che, a fronte di un’attenzione concreta verso la CSR, non vi è una percezione condivisa su quale debba essere il locus naturalis per la relativa funzione. Dall’altro lato però, si può interpretare il dato nel senso di ritenere che ciascuna società alloca il presidio di CSR in misura funzionale ed efficiente alla propria organizzazione interna, senza obbedire a rigidi schemi prestabiliti. Il responsabile di CSR, investito di ampie funzioni, è nominato di fatto dal top management, mentre solo per un terzo dei rispondenti la nomina è frutto di processi decisionali interni all’azienda. Nella stragrande maggioranza dei casi poi, questi riporta all’Amministratore delegato, alla Direzione generale, ovvero al responsabile di quella di riferimento e in un solo caso riporta direttamente al Presidente. Letti in maniera combinata, questi dati possono essere interpretati nel senso che il responsabile di CSR tende a rispondere al top management, ovvero a organi aziendali di 11 vertice, piuttosto che agli shareholders, ossia gli azionisti, identificabili con la figura del Presidente. Ancora in tema di governance, la metà dei rispondenti si è dotata di un comitato collegato alla funzione di CSR, ma solo due casi prevedono anche la figura dell’ethical officer. Ai manager manca la leva delle remunerazione, perché solo in rarissimi casi sono previsti premi di produttività collegati alla CSR. Dalle risposte fornite, si evince inoltre come l’integrazione delle politiche di CSR nelle scelte strategiche e di business venga affermata nella maggioranza dei casi, ma non sia supportata dall’esistenza di meccanismi stringenti con riferimento all’adozione delle indicazioni eventualmente proposte dal CSR manager, da parte dei responsabili di unità operative. Qui si intravede una pericolosa lacuna nell’affermazione della menzionata integrazione. L’assenza di meccanismi stringenti determina, di fatto, una mancanza di enforcement della segnalazione che rischia quindi di rimanere “sulla carta”. Rimane aperta, perciò, la questione, centrale, di come le società intendano dotarsi di strumenti efficaci ad una concreta realizzazione delle politiche e delle strategie di CSR/Sostenibilità, con l’effettivo coinvolgimento dei CSR manager. Va inoltre evidenziato come in taluni casi il modo in cui si afferma di inglobare politiche valoriali nelle scelte di business somigli piuttosto ad una dichiarazione di principio che ad un’attuazione sostanziale. Si segnalano però due esempi, che sembrano poter essere considerati pratiche eccellenti in materia di dialettica endosocietaria e integrazione di politiche valoriali. In uno «sono previsti almeno due incontri plenari all’anno con tutti i Referenti CSR, che hanno anche lo scopo di condividere informazioni e aggiornamenti; esiste sulla Intranet un Social Network dedicato allo scambio di informazioni tra Unità CSR e Referenti /strutture». Nell’altro, si spiega di aver adottato «un particolare modello di gestione della CSR, che è trasversale e relazionale. Ogni struttura nomina un “Referente per la CSR” che, coordinato dall’Unità CSR, supporta la struttura di appartenenza nell’integrazione degli obiettivi di CSR all’interno delle attività della struttura stessa”. Tutte le società hanno posto in essere strumenti di CSR da almeno 10 anni, e hanno tutte almeno il bilancio sociale/di missione/ambientale/di sostenibilità, il codice etico/di condotta/carta dei valori, progetti di coinvolgimento attivo nella comunità e partnership. Nella stragrande maggioranza dei casi, si adottano anche certificazioni sociali, sistemi di rating ambientale e sociale e indici di sostenibilità. Quanto a robustezza della funzione, sia con riferimento al budget che al personale, è possibile affermare che le società bancarie/assicurative hanno investito in CSR in modo crescente negli ultimi anni, essendo aumentato sia l’uno che gli altri, seppur non in maniera positivamente correlata. La totalità delle società ritiene che la CSR sia esplicitamente un elemento di posizionamento strategico e con un impatto medio sull’impresa. Il che lascia presumere che per le imprese finanziarie la CSR sia strategica perché ha un alto valore reputazionale, ma non incida in misura significativa sull’organizzazione interna e sulla gestione dei processi di business. Il progetto è stato condotto nel 2011 e i dati fanno riferimento all’anno precedente. I risultati della ricerca saranno pubblicati in un “Quaderno della Fondazione Unipolis”. Il 73,4% delle banche dichiara di aver adottato una policy relativa al coinvolgimento nei settori controversi, approvata, nella totalità dei casi, dai vertici degli istituti. In tutti i casi la policy si riferisce all’ambito difesa/armamenti. Si conferma quindi l’attenzione del sistema bancario a gestire con attenzione questo settore, considerato a rischio per i forti impatti di business e reputazionali connessi. Poco sviluppate risultano invece l’adozione di policy relative a business controversi quali: nucleare, risorse idriche, diritti umani, OGM e animal welfare. Il sito web e/o il bilancio di sostenibilità si confermano gli strumenti principali attraverso cui la banca dà notizia della policy adottata, rispettivamente con il 75,1% e il 70,5%. In crescita, 57,8%, l’uso dell’intranet aziendale. Restano invece poco sviluppati i canali di comunicazione diretti presso le filiali, il comunicato stampa e la promozione di un evento pubblico. 12 Policy su settori controversi APPROFONDIMENTO Il Codice di Responsabilità sul finanziamento all’industria degli armamenti Il Codice di Responsabilità sul finanziamento all’industria degli armamenti è stato messo a punto da un gruppo di lavoro promosso da Science for Peace (il progetto della Fondazione Veronesi rivolto a individuare le soluzioni della scienza per la riduzione dei conflitti nel mondo) composto da esperti della società civile, dell’ambito militare e degli istituti di Credito. Il Codice fornisce un set di strumenti, continuamente aggiornati, utili a valutare e a rendicontare le operazioni relative al settore degli armamenti. Il Codice si propone di diventare un riferimento internazionale per la trasparenza degli istituti di Credito e delle organizzazioni non governative del terzo settore nel settore delle armi e uno strumento di sensibilizzazione per gli investitori e per l’opinione pubblica a livello nazionale e internazionale. Il Codice si compone di due documenti distinti: la Carta di Intenti e i Criteri. La Carta di Intenti contiene le finalità, gli obiettivi e i principi del Codice, ma soprattutto gli impegni da parte degli Istituti e delle NGO. Gli Istituti stabiliscono le procedure interne per l’attuazione dei criteri esplicitati nel Codice e ne dichiarano l’applicazione attraverso appositi rapporti “Comply or Explain”; inoltre, forniscono annualmente una rendicontazione pubblica completa sull’applicazione delle procedure e dell’operatività svolta. Le NGO si impegnano a porre attenzione alla coerenza fra la propria attività e i principi enunciati nel Codice, rendono pubbliche le informazioni relative ad eventuali finanziamenti e sponsorizzazioni dalle stesse assunte e assicurano completezza, trasparenza e correttezza nei dati resi pubblici. I Criteri rappresentano le linee guida il più possibile oggettive e applicabili per formalizzare in maniera concreta l’assunzione di responsabilità da parte del settore finanziario sul tema della produzione, del commercio e del trasferimento degli armamenti. Sono due le aree principali di attenzione: i Paesi destinatari delle armi e le aziende che operano nella produzione, commercializzazione e intermediazione di armi. Aderiscono al codice primarie organizzazioni non governative e loro associazioni/federazioni quali ActionAid, Oxfam Italia, GICAP, CIPSI, LINK 2007, Unimondo e ForumSad – Coordinamento di 45 associazioni di solidarietà e cooperazione Internazionale, Campagna Italiana contro le Mine, Mani Tese, Intersos e Rete Italiana per il Disarmo. Importanti Gruppi bancari come Intesa Sanpaolo, UniCredit e UBI Banca, condividendone i principi e gli obiettivi, s’impegnano a continuare la partecipazione al tavolo di lavoro, guardando al Codice come riferimento per l’evoluzione futura delle proprie procedure e la conseguente rendicontazione. La Fondazione Umberto Veronesi ha l’obiettivo di allargare la partecipazione al tavolo di lavoro per la messa a punto dei Criteri individuati e ancora in fase di definizione. 13 Per quanto riguarda la partecipazione ad iniziative esterne sui temi di CSR, di seguito si riporta la distribuzione della partecipazione del Campione ai principali Networks nazionali e internazionali e il contributo fornito sotto forma di quota di adesione. Partecipazione ai Networks Grafico 5 14 2 – GOVERNANCE Nelle strutture di governo degli istituti, oltre al Comitato Etico, presente all’interno di banche che rappresentano il 9% del totale attivo di sistema, il Benchmark rileva organismi che, pur non deputati esclusivamente alla gestione e al monitoraggio di temi etici, hanno responsabilità dirette sui temi economici, sociali e ambientali. Si tratta di comitati diversificati per funzioni svolte e temi di interesse tra cui: Comitati del credito, Comitati Prodotti e Condizioni, Comitato per il Controllo del Consiglio di Sorveglianza, Commissione Adeguatezza Patrimoniale e Bilancio del Consiglio di Gestione, Commissione per Rapporti con Soci, Commissione Tecnica Responsabilità Sociale d'Impresa di Gruppo, Group Reputational and Reputational Risk Committee, Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. 231/01, Remuneration Committee e Risk Committee. È abbastanza diffuso che tali organismi rispondano direttamente al più alto organo di governo e che tra i componenti siano presenti membri indipendenti. ESG nella struttura di governo Nella quasi totalità dei casi (76,4%) il più alto organo di governo prevede la presenza di consiglieri indipendenti. Per quanto riguarda la politica remunerativa, con il 63,5%, si rileva un incremento della pratica di valutazione delle performance dei dipendenti non solo sulla base dei risultati economici dell'azienda ma anche su quelli ambientali e sociali. Ancora limitata risulta, invece, l’integrazione di criteri ESG nella valutazione delle performance dei componenti del più alto organo di governo, così come lo sviluppo di un collegamento tra i compensi dei componenti del più alto organo di governo (inclusa la buona uscita) e la performance dell'organizzazione. APPROFONDIMENTO Integrazione di obiettivi qualitativi nelle politiche e prassi di remunerazioni Le disposizioni della Banca d’Italia in materia di politiche e prassi di remunerazioni del 30 marzo 2011, hanno evidenziato che adeguati meccanismi di remunerazione e incentivazione degli amministratori e del management della banca possono favorire la competitività e il buon governo delle imprese bancarie: la remunerazione, in particolare di coloro che rivestono ruoli rilevanti all’interno dell’organizzazione, tende ad attrarre e mantenere in azienda soggetti aventi professionalità e capacità adeguate alle esigenze dell’impresa. Al contempo, i sistemi retributivi non devono essere in contrasto con gli obiettivi e i valori aziendali, le strategie di lungo periodo e le politiche di prudente gestione del rischio della banca, coerentemente con quanto definito nell’ambito delle disposizioni sul processo di controllo prudenziale. In particolare, le forme di retribuzione incentivante, basate su strumenti finanziari o collegate alla performance aziendale, devono tenere conto dei rischi assunti, del capitale e della liquidità necessari a fronteggiare le attività intraprese ed essere strutturate in modo da evitare il prodursi di incentivi in conflitto con l’interesse della società in un'ottica di lungo periodo. Fermi restando i principi enunciati dall’istituto di Vigilanza alla base delle disposizioni, la Banca d’Italia ha espressamente previsto che, nell’ambito delle politiche di remunerazione definite dalle aziende, la componente variabile della remunerazione deve essere parametrata a indicatori di performance, misurata al netto dei rischi in un orizzonte preferibilmente pluriennale (cd. ex-ante risk adjustment), tenere conto del livello delle risorse patrimoniali e della liquidità necessari a fronteggiare le attività intraprese indipendentemente dalle modalità (top-down o bottom-up) di determinazione; l’ammontare complessivo di remunerazione 15 Politica remunerativa variabile deve basarsi su risultati effettivi e duraturi e tener conto anche di obiettivi qualitativi. Si fa dunque esplicito riferimento all’utilizzo di obiettivi qualitativi che concorrono, insieme a quelli quantitativi, alla determinazione della componente variabile della retribuzione. Proprio in esito alle previsioni della Banca d’Italia e in adempimento di tale previsioni, è sensibilmente aumentato il riferimento a obiettivi qualitativi per la definizione dei sistemi incentivanti nelle aziende bancarie italiane. L’importanza attribuita dalle imprese di credito alla qualità era peraltro confermata dalla previsione contrattuale in tema di premio aziendale che, già dal 1999, aveva introdotto, tra gli indicatori da utilizzare ai fini della determinazione di tale emolumento, “indicatori di qualità definiti a livello aziendale”. La totalità dei rispondenti - banche che rappresentano il 78% del totale attivo di sistema - dispongono di un Codice Etico. Il processo di definizione del Codice Etico tende ad essere un processo inclusivo. La redazione vede, nella maggior parte dei casi, la collaborazione tra l’unità/presidio di CSR e le Risorse Umane. Risultano coinvolti nel processo anche la funzione Comunicazione, seguita da Internal Audit/Compliance, Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. 231/01, Segreteria Generale, Ufficio Legale, Comitato Etico, Rappresentanti dei lavoratori e Rappresentanti dei soci. Durante il processo di elaborazione del Codice Etico sono organizzate anche forme di coinvolgimento degli interlocutori, in particolare con i Sindacati (60,6%) e con i Dipendenti (56%) ma anche con gli Azionisti/Soci (30,3%) e con Associazioni dei consumatori (30%) e infine con i Clienti e i Fornitori. Uno dei rispondenti ha realizzato ampie consultazioni anche con l’Accademia, ONG, Organizzazioni della società civile, Comunità locali, Fondazioni e Imprese. Assenti da forme di consultazione i seguenti stakeholder: Associazioni di categoria, Autorità di vigilanza, Azionisti di minoranza, Investitori istituzionali, Istituzioni, Media, Enti locali, Enti normatori, Banche, Chiese/gruppi religiosi e Comunità giovanili. Il 40,8% delle banche ricorre a un supporto esterno per l’elaborazione del Codice Etico. In particolare sono coinvolte società di consulenza e università. I Codici Etici elaborati dal Campione prevedono diffusamente i seguenti contenuti: − indicazione dei diritti, doveri e responsabilità della banca nei confronti degli stakeholder (77,9%); − norme di comportamento (77,6%); − indicazione degli organi preposti al controllo e a cui rivolgersi in caso di violazioni (77,2%); − meccanismi di attuazione e controllo (75,4%); − sanzioni (35,4%). Banche che rappresentano il 65,6% del sistema bancario, dispongono di un Codice Etico che affronta il tema dei meccanismi di remunerazione/sistema incentivante. Il dato è coerente con la progressiva implementazione di politiche di remunerazione e di sistemi incentivanti che tengono conto anche di criteri ESG. Il Benchmark rileva un’adeguata promozione del Codice Etico all’interno delle banche attraverso l’organizzazione di programmi di formazione. Risulta alta infatti (63,2%) la percentuale delle banche che organizza corsi interni di formazione sul Codice Etico. Nella totalità dei casi la formazione è rivolta a tutti i dipendenti. Sono diffusi i 16 Codice Etico corsi dedicati a specifiche funzioni e sono presenti anche approfondimenti ad hoc per il vertice ed estesi ai dipendenti nelle filiali. Tra gli strumenti utilizzati si rilevano sia i tradizionali corsi in aula che i supporti di elearning. Sono meno sviluppati gli ambienti dedicati nella intranet aziendale. Undici banche, che rappresentano il 47,6% del totale attivo di sistema, portano il Codice Etico a conoscenza dei soggetti esterni che entrano in contatto con la banca (partner, fornitori, etc.) “per informazione” e 4 banche, pari al 28,8% del totale attivo di sistema, “per adozione”. È dunque ancora poco sviluppata la prassi di prevedere l’inserimento di clausole risolutive nei contratti di fornitura che facciano esplicito riferimento al rispetto dei principi e dei comportamenti declinati nel Codice Etico. 17 3 - MODALITÀ DI GESTIONE Le attività analizzate fanno riferimento a: Linee di operatività Retail, Corporate e Gestione del risparmio, Relazione con gli Investitori Socialmente Responsabili, progetti per migliorare l'Accessibilità ai servizi finanziari dei soggetti disabili, Certificazioni etico-ambientali, strumenti di Mobilità Sostenibile, attività di Work and Life Balance, Indagini di clima aziendale. Il Benchmark rileva che lo sviluppo di politiche, procedure, attività di monitoraggio e di formazione per l’integrazione di fattori ambientali e sociali da parte delle banche hanno rilevanza nell’operatività Corporate mentre sono presenti in modo meno rilevante nell’operatività Retail. Riferendosi quindi all’operatività Corporate, il 71% del totale attivo di sistema adotta politiche che includono criteri ESG. Il dato è supportato dall’applicazione di tali politiche in procedure specifiche che sono attuate da banche che rappresentano il 69,3% del sistema bancario; il 59% sviluppa programmi di formazione ad hoc affinché queste procedure siano implementate correttamente. Le procedure sviluppate per individuare e valutare rischi ambientali e sociali consistono soprattutto in procedure ad hoc (63,3%) ma vi sono anche procedure integrate in quelle standard di valutazione del merito creditizio (57,1%). L’ambito di applicazione principale si conferma essere quello delle operazioni di project financing (63,3%). In crescita, invece, il dato relativo all’applicazione di queste procedure per imprese in settori giudicati sensibili (61,3%) a fronte del 27% nel 2009 - e per le operazioni sopra una certa soglia (38%), 7% nel 2009. Procedure per l’integrazione dei criteri ESG nelle operazioni bancarie L’applicazione della procedura, in passato deputata quasi esclusivamente all’esterno, è ora nella maggior parte dei casi (69,3%) affidata a personale interno su dati forniti dall'impresa in analisi (nel 2009 era il 9%). Resta alto comunque (59%) l’affidamento all’esterno, ad esempio a specialisti di due diligence ambientali. In crescita anche la percentuale dell’applicazione a cura di personale interno che effettua visite in loco, 30,2% a fronte del 3,1% nel 2009. Ampi spazi di miglioramento sono possibili: − sull’attività di monitoraggio del rispetto dei requisiti ambientali e sociali relativi alle transazioni e/o accordi stipulati con i clienti; − sulla rilevazione del dato percentuale sul complessivo portafoglio crediti assoggettato a valutazione della rischiosità ambientale delle controparti. Un approccio maggiormente quantitativo faciliterebbe la rilevazione degli avanzamenti nello sviluppo di un’effettiva integrazione dei fattori ESG nel business e potrebbe agevolare l’allineamento e il confronto con altri database di cui la banca dispone, per massimizzare l’utilità delle informazioni. Banche che rappresentano oltre il 74% del totale attivo di sistema offrono prodotti “verdi”. Si riportano di seguito i dati di dettaglio relativi ai prodotti offerti. 18 “Green Banking” RETAIL Totale attivo Prestiti a tassi agevolati per favorire la riduzione di CO2 73% Investimenti 59% Servizi di consulenza 51,2% Conti correnti e/o carte di pagamento 30% Mutui ipotecari a tassi agevolati e/o a miglior loan to value per acquisto di abitazioni ecocompatibili CORPORATE 29,2% Finanziamenti per favorire l'approvvigionamento da fonti rinnovabili e efficienza energetica Servizi per lo scambio di permessi negoziabili di emissione di gas serra Strumenti di finanziamento per specifiche categorie di imprese attive su questi fronti Totale attivo 74,6% 51,2% 39,6% APPROFONDIMENTO Il green management in banca Nel campo delle energie rinnovabili, le banche rivestono la duplice veste di soggetti che ne favoriscono lo sviluppo attraverso l’erogazione del credito verso progetti green e di consumatori finali nell’utilizzo dell’energia necessaria per la propria operatività. A seguito dell’importanza che le banche ricoprono nel comparto delle green energy, l’ABI, con il supporto dell’Ufficio Crediti e di ABI Energia, Competence Center di ABI Lab sull’energia e l’ambiente, ha costituito l’Osservatorio Rinnovabili che si configura come il punto di riferimento per lo sviluppo, l’approfondimento e l’aggiornamento sul tema delle rinnovabili in banca. Nell’ambito dell’Osservatorio Rinnovabili, è stata condotta a maggio 2011 una rilevazione su un campione di 18 banche, rappresentanti oltre il 60% del totale attivo di sistema, che ha messo in luce i temi di maggiore interesse nell’ambito delle energie verdi. In particolare, dalla figura sotto riportata emerge come nelle priorità delle banche, in termini di approfondimento, vi sono in primo luogo le tematiche legate al finanziamento degli impianti (66,7%) e al monitoraggio del mercato degli impianti rinnovabili (38,9%). 19 Relativamente al primo aspetto, a testimonianza dell’importanza che le banche hanno per lo sviluppo del settore, solo con riferimento al comparto eolico, le banche hanno assunto negli ultimi anni impegni di finanziamento per quasi 6 miliardi di euro relativamente ad operazioni di project financing e per circa 0,9 miliardi di euro per operazioni di leasing. Rispetto invece al ruolo ricoperto dalle banche quali utilizzatrici finali, è possibile affermare che l’impatto che la produzione dell’energia ha sull’ambiente ha acquisito nei soggetti bancari sempre maggiore attenzione ed è oggetto di politiche mirate ad incrementare la sostenibilità dell’operatività della banca. Da questo punto di vista standard internazionali, come ad esempio la recente ISO50001, possono essere presi in considerazione al fine di migliorare la propria perfomance energetica e costituiscono importanti stimoli per una rivisitazione dei processi di gestione di energia e ambiente in banca dove l’energy management trova quindi uno spazio e assume un ruolo sempre più importante. E’ interessante evidenziare come più circa il 75% dei gruppi bancari italiani si approvvigiona di energia proveniente da fonte rinnovabile e compie azioni volte ad incrementare l’efficienza dell’utilizzo finale attraverso l’implementazione di nuove tecnologie. A tal riguardo, tra le possibili azioni da intraprendere ai fini di un corretto energy management vi è quella di prevedere, nell’acquisto di tecnologie particolarmente energivore, ad esempio l’ICT, un percorso preferenziale per quelle soluzioni che presentano maggiore efficienza energetica, a parità di prestazioni tecnico-economiche. Sempre nell’ambito dell’ICT, criteri “verdi” possono essere inseriti nella gestione dell’intero ciclo di vita degli apparati, non solo nella fase di acquisto: alcuni interventi riguardanti la fase di utilizzo permettono di ottenere ritorni economici a breve termine, con livelli di investimento iniziale non elevati. Anche la fase di dismissione e recupero non deve essere trascurata: è possibile, ad esempio, programmare le attività di rigenerazione dei toner e di ricondizionamento degli apparati da dismettere e prevedere accordi con fornitori per la gestione dell’intero ciclo di vita dei dispositivi stessi. A tal proposito, dalle analisi svolte dall’Osservatorio Green Banking di ABI Lab, emerge chiaramente che il buon esito degli interventi citati può essere assicurato mediante una collaborazione strutturata e continuativa tra diverse funzioni della banca: ICT, Acquisti, Energy Management, etc. Anche a livello impiantistico è possibile intervenire, ad esempio mediante la tecnologia cogenerativa, considerandola, in particolar modo, nella fase di progettazione di nuovi siti di grandi dimensioni (uffici direzionali, CED) e soprattutto nelle fasce climatiche più fredde. Infine, anche lo sviluppo in atto di tecnologie illuminotecniche a basso consumo rende ipotizzabile, in numerose situazioni, valutare investimenti di sostituzione dell’esistente a fronte di un risparmio energetico conseguibile negli anni successivi. Ciò è supportato anche dalla recente evoluzione normativa di settore, che prevede la progressiva messa al bando dei prodotti d’illuminazione meno efficienti, e dalla possibile adozione di sistemi di controllo digitale. Sempre con riferimento all’utilizzo di tecnologie a basso impatto ambientale da parte delle banche, nell’ambito dell’Osservatorio Rinnovabili, è stata realizzata una guida specifica “Incentivare l’utilizzo della tecnologia fotovoltaica in banca” che illustra i principali aspetti da tenere in considerazione per la progettazione, realizzazione e gestione di un impianto fotovoltaico, nel rispetto delle norme e in parallelo all’adozione del Conto Energia vigente. Oltre alla realizzazione della guida, ABI Energia ha realizzato studi e progetti specifici con talune banche che si sono conclusi con l’installazione di impianti fotovoltaici presso sedi bancarie. Agli aspetti tecnologici si affianca un attento monitoraggio dei consumi delle strutture aziendali (centri direzionali, centri elaborazioni dati, filiali) per le quali vi è la necessità di gestire una serie di informazioni, oltre ai consumi, come ad esempio volumetrie, superfici, addetti, postazioni di lavoro. Tutto ciò ha come obiettivo principale quello di individuare eventuali anomalie nei consumi e proporre soluzioni di miglioramento tecnico e/o gestionale, il tutto a favore di una riduzione dell’impatto ambientale associato ad un minor utilizzo di energia nel consumo finale. Da quanto descritto, emerge chiaramente un elevato livello di specializzazione e complessità che la tematica energetica richiede nei suoi diversi aspetti gestionali, organizzativi, economici e tecnici. In tal senso, la figura chiave è individuata nell’energy manager che assume il ruolo di raccordo tra diverse funzioni aziendali che vanno dal facility management all’area tecnica/immobiliare, dagli acquisti a quella, infine, dell’area dedicata alle politiche per la sostenibilità ambientale. 20 APPROFONDIMENTO Focus on The importance of Carbon Management in the banking sector More than 3,700 of the world’s largest companies disclosed their climate change related information through Carbon Disclosure Project (CDP) in 2011. Companies from all sectors identify numerous benefits for the organization gathering data in response to the CDP questionnaire, among them: increased transparency to shareholders, clients and public audience; identify how the organization copes with threats arising from climate change; identify business opportunities and reduce risks related to climate change; increase efficiency and reduce costs, etc. These benefits are not exclusive to the industrial or carbon intensive sectors. Through the measurement, management and disclosure of GHG emission and climate change data, financial institutions all over the world have been able to identify business opportunities related to climate change such as: increase investments in renewable energy projects; new markets for green funds, social responsible investments and ESG-related investments; tax incentives and opportunities for innovative financial products (CDP Global 500 Repot 2011 “Accelerating Low Carbon Growth” page. 42). Monetary Savings Good carbon management also brings benefits to the bank balance sheets: emission reductions equal cost savings. In 2011, over 177 banks worldwide participated in CDP- among them 9 of the largest Italian banks. Of the 177 reporting banks, 149 are reporting emission reduction activities including the individual payback period. Reported annual monetary savings due to emission reductions vary from 1,000 € to 10,000,000 € per activity. Thereby, the range of activities varies largely: from behavioural change, where investment costs trend to zero, to complex energy efficiency actions. Generally speaking, more than 60 % of the reported emission reduction activities in the banking sector pay back in less than 3 years. Climate protection and financial savings thus go hand in hand. See graph 1 Climate change – Bank: impacts and risks assessment In their responses to the CDP, many reporting banks have also acknowledged they may have an indirect impact on climate change that depends on how they allocate investments or financing. This is why some of these banks have decided to building environmental risks profiles of their clients at the industry and corporate level and a great number have established policies and procedures to manage environmental impacts associated with their investment and lending activities, through the incorporation of potential environmental risks assessment tools in the lending process. At the same time, some of the climate change related risks that reporting banks have been able to identify as potentially affecting their business operations include the impact that uncertainty of climate change regulation may have on their credit portfolio as well reputational risks associating from inadequate management of ESG issues. Global trends As a core actor of the global economy, banks play a vital role in the transaction towards a sustainable development. Indeed, as resources become more constrained and the global economic crisis is putting business at risk, banks will be playing a important role in driving capital towards a low carbon economy. Some of the best practice global trends that we can find analyzing the CDP database are: of the 177 participating banks worldwide more than 70 % integrated climate change in their overall strategy. More than 60 % actively engage with policy makers regarding emission reductions. About 50% set either emission intensity reduction targets, absolute targets or both. Furthermore, more than 54% incorporate climate change relevant data into their annual financial report. Additionally, 50% of the participating banks provide incentives for emission 21 reductions to their employees. Whereas 40% report that their absolute Scope 1 and Scope 2 emissions have been decreasing since reporting to CDP. Benchmarking: CDP Data Usage Another advantage financial institutions draw from participating in CDP is the possibility to access and actively use the largest climate database worldwide. The CDP database allows companies not only to benchmark their position in carbon management and transparency against competitors in their sector and across other sectors. They can also position themselves e.g. as a pioneer in the field of carbon risk related management. For some of the reporting banks, CDP data is vital to perform their risk assessment and market potential analysis and many use the data as a tool to estimate market values of companies. If you would like to know more about how other banks manage their carbon data and use CDP data for their analysis, please contact: [email protected] Graph 1 (This graph and CDP overall analysis developed using CDP Analysis: a tool (based on SAP software) that maximizes the value of CDP’s global climate change data set through dynamic and powerful benchmarking. For more information please visit: www.cdproject.net) Focus on Italian banks As report writer of CDP Italy 100 Report 2011 Accenture has analyzed Italian companies carbon management in detail. In this paragraph we mainly provide a glance on differences between banks and overall panel responses. In 2011, 11 (Assicurazioni Generali, Banca Generali, Banca Monte Paschi di Siena, Banca Popolare di Milano, Banco Popolare Società Cooperativa, Credito Artigiano, Credito Valtellinese, Intesa Sanpaolo, UBI Banca, Unicredit Group, Unipol) of the 32 companies in financial sector invited, disclosed their emissions through CDP, representing 31% of the Italian panel. Looking at the first step of carbon management, the strategy, the percentage of banks reporting to have integrated climate change into core business strategy is 67% (6 banks) against the 82% of the Italian panel, but on the other side, a higher percentage (67%) of the panel (61%) set the responsibility for climate change at Board level. Setting incentives for the attainment of carbon reduction is not a common practice: only one bank does it unlike the 48% of the overall panel. It is very interesting to recognize that 6 of the responding banks already set a carbon reduction target, 22 but only one bank set it with a longer time horizon (2020). Most responding banks (8) are already working on emission reduction initiatives; the focus is mainly on improvement of buildings’ energy efficiency. The responding banks identified 65 risks and 45 opportunities related to climate change. Analysis of the possible impacts and likelihood of risks and opportunities highlights that the most rated are likely (48% of risks and 60% of opportunities) and with high or medium impact (45% of risks and 55% of opportunities). We wish that in 2012 a higher number of banks will disclose its carbon management responding to CDP, giving us the chance to build even more detailed sector level analysis. For information on the analysis [email protected] of Italian companies, please contact About CDP The Carbon Disclosure Project (CDP) is an independent not-for-profit organization providing a transformative global system for companies and cities to measure, disclose, manage and share climate change and water information. Over 3,700 organizations across the world’s largest economies now report their greenhouse gas emissions and assessment of climate change risk and opportunity through CDP, in order that they can set reduction targets and make performance improvements. This data is gathered on behalf of 665 institutional investors, holding US$78 trillion in assets. CDP now holds the largest collection globally of self-reported climate change data. For more information visit www.cdproject.net. About Accenture Accenture is a global management consulting, technology services and outsourcing company, with more than 244,000 people serving clients in more than 120 countries. Combining unparalleled experience, comprehensive capabilities across all industries and business functions, and extensive research on the world’s most successful companies, Accenture collaborates with clients to help them become high-performance businesses and governments. The company generated net revenues of US$25.5 billion for the fiscal year ended Aug. 31, 2011. Its home page is www.accenture.com. APPROFONDIMENTO Green Italy 2011. L’economia verde sfida la crisi UnionCamere, Fondazione Symbola Negli ultimi anni, anche a causa dell’aggravarsi della crisi economica, è aumentata la consapevolezza dell'importanza che la tutela ambientale riveste nell’ambito di una strategia integrata di gestione del territorio e di sviluppo economico. Da limite o dovere, l’ambiente è diventato un fattore fondamentale per la crescita economica e il suo deterioramento può mettere a repentaglio la capacità stessa dell’impresa di competere e stare sui mercati. In questo modo, due concetti che fino a qualche decennio fa risultavano incompatibili, competitività e sostenibilità, sono ora considerati interdipendenti. Per descrivere questa forte interconnessione si utilizza spesso l’espressione Green Economy: un nuovo paradigma produttivo che assume l’impatto ambientale come indicatore dell’utilità e dell’efficienza dell’attività economica. Più che un settore dell’economia, la Green Economy va quindi considerata come un nuovo modo di fare le cose, di produrre e di distribuire. L’economia verde è un tema ormai ricorrente nell’agenda politica mondiale, come dimostra il moltiplicarsi di iniziative che in questi anni hanno visto protagonisti diversi governi, organizzazioni internazionali e imprese. Il bilancio di questo impegno è positivo, anche se non sono mancati momenti di stallo e incertezza. Uno dei soggetti più attivi su questo fronte è sicuramente l’Unione Europea che, con la Direttiva 2009/28/CE, si è posta l’ambizioso obiettivo di ricavare, entro il 2020, il 20% del suo intero fabbisogno energetico da sole, vento, acqua e biomasse. […] Oggi Green è efficienza, sia in termini di costi di produzione energetica, sia in termini di riduzione dei costi sociali per il mantenimento dell’attuale modello di sviluppo. Le imprese 23 italiane lo hanno capito e, per questo, stanno progressivamente investendo in politiche che riducano l’impatto sull’ambiente sia dei propri processi produttivi che dei prodotti, diventando il laboratorio di quella green Italy che vede in prima linea il sistema produttivo manifatturiero. La peculiarità della Green Economy italiana, infatti, sta proprio nella riconversione in chiave ecosostenibile dei comparti tradizionali dell’industria italiana di punta, più che nello sviluppo di settori innovativi legati alle energie rinnovabili. Anche il consumatore, dopo molti anni di sensibilizzazione, ha iniziato a manifestare un interesse sempre più diffuso verso le tematiche ambientali, soprattutto per ciò che riguarda l’impatto che le sue scelte di agente economico determinano sulla società. A ciò si aggiunga come, proprio l’attenzione ai consumi green oriented, stia sempre più diventando un vero e proprio stile di vita che inietta valore economico intrinseco nei beni che recepiscono questa esigenza. Green è valore, ovvero domanda di beni da parte di consumatori sempre più responsabili e attenti alle implicazioni sociali e ambientali di quanto acquistato. Le imprese più lungimiranti hanno recepito questa nuova domanda e hanno iniziato a riorientare i propri processi verso una riduzione dell’impatto ambientale. Sempre più imprese fanno proprio dell’attenzione all’ambiente un vero e proprio fattore competitivo che permette di posizionarsi in fasce di mercato più alte e di alimentare l’immagine aziendale che i consumatori recepiscono. Green è competitività, ovvero capacità delle imprese di trarre profitto dall’attenzione nei confronti di processi produttivi ecocompatibili e dall’utilizzo di materie prime a limitato impatto ambientale, puntando su tecnologie e innovazione, fattori in grado di proiettare le imprese verso una dimensione internazionale. L’insieme di questi tre nuovi significati che la sostenibilità ambientale è andata rapidamente ad assorbire ha aperto la strada per una nuova e rapida trasformazione del tessuto socioeconomico su scala globale, guidata da una convergenza di intenti tra le tre figure che guidano i processi socio-economici (istituzioni, consumatori e imprese). Una convergenza che si potrebbe definire - parafrasando uno dei capisaldi dell’economia neoclassica – come una mano invisibile ambientale, ovvero il simultaneo e sistematico impegno individuale a migliorare la propria eco-efficienza, non per la volontà di impegnarsi moralmente al miglioramento sociale ma proprio per la nuova convenienza economica sopraggiunta dall’attuale contesto di riferimento. […] La ricerca evidenzia come è l’intero tessuto economico italiano a muoversi in questa direzione, confermando il carattere di pervasività della Green Economy: un’azienda su quattro, tra tutte quelle con dipendenti e operanti nell’industria e nei servizi, ha investito negli ultimi tre anni o investirà quest’anno in prodotti e tecnologie green. Un impegno diretto e concreto da parte di 370mila imprese, alimentato dalla sempre più ferma convinzione che la green economy, oggi più che mai, rappresenti un importante fattore per competere sui mercati internazionali. Non è un caso, infatti, che più di un terzo delle imprese che investono in tecnologie green opera all’estero e innova i prodotti e servizi offerti, comportamenti diffusi invece in meno di un quinto dei casi tra quelle che non puntano invece sulla sostenibilità ambientale. Green è anche sinonimo di dinamicità sul fronte occupazionale: le imprese, nel 2011, prevedono di assumere oltre 220mila figure professionali riconducibili alla green economy, quasi il 40% del loro fabbisogno complessivo. […] Dalla ricerca emerge, quindi, l’immagine di un’Italia che, pur tra contraddizioni e difficoltà, è protagonista di una originale interpretazione e declinazione della green economy. C’è un sistema produttivo diffuso capace di fare della sfida ambientale un’occasione di ripensamento di settori maturi. La green economy diventa, in questo modo, una nuova frontiera avanzata per un Made in Italy ad alto contenuto di innovazione tecnologica, che può essere raggiunto anche facendo leva sulla diffusione delle reti d’impresa: un’opzione credibile per lo sviluppo delle nostre PMI, in grado di dare risposta all’esigenza di connettività e di sviluppo di una nuova progettualità in comune, anche in un’ottica green, fra vari soggetti operanti in settori e realtà territoriali differenti. Questa vitalità delle nostre imprese può giocare un ruolo rilevante a patto però che il sistema sia aiutato a muoversi nella giusta direzione. 24 Nell’attività di Gestione del risparmio, il 74% del totale attivo di sistema offre alla clientela fondi di investimento sostenibili4. Le Società di Gestione del Risparmio, per il 66,4% del totale attivo di sistema, hanno adottato un Codice Etico. Diminuisce invece la presenza del Comitato Etico: si rileva, infatti, un 27% a fronte del 48% nel 2009. APPROFONDIMENTO PANORAMICA SULLO SCENARIO SRI IN EUROPA Eurosif SRI Study, 2010 In Europa, il Totale Asset Under Management SRI ammonta complessivamente a €4.986 miliardi, con un aumento dell’87% negli ultimi 2 anni. Il Core SRI (SRI con politiche più stringenti e focalizzate) rappresenta il 10% dei Total Asset Under Management in Europa. Il Mercato SRI Europeo è trainato dai tipici Investitori Istituzionali (banche e assicurazioni, SIM, SGR, fondi comuni, fondi pensione, etc.). I fondi pensione pubblici e di riserva5 svolgono un ruolo di primo piano sul tema SRI, seguiti dalle università e dalle imprese assicuratrici. Per quanto riguarda l’Italia, il Totale Asset Under Management SRI ammonta complessivamente (dati al 31/12/09, Eurosif) a €312,4 miliardi. Nel 2007 era pari a €243,4 miliardi. Si è evidenziato quindi un aumento del 28%. Gli investitori istituzionali rappresentano il 99%, quelli Retail l’1%. A fronte di un’offerta di specifici prodotti di gestione del risparmio del sistema bancario, gli investimenti socialmente responsabili in Italia continuano a rappresentare una tendenza di nicchia. Come accennato nelle “Evidenze generali” all’inizio del Report, l’analisi relativa alla Relazione con gli Investitori Socialmente Responsabili (ISR) conferma uno sviluppo contenuto che si sostanzia in una conoscenza sporadica e generale del tema da parte della funzione Investor Relations e nel suo coinvolgimento diretto nella compilazione di questionari delle società di rating etico, ambientale e sociale e nel rispondere alle domande degli investitori ISR. Elemento presente, anche se non omogeneamente diffuso, è l’esistenza di uno spazio sul sito internet delle banche dedicato agli investitori ISR. In ogni caso, la relazione con questa tipologia di investitori non è alimentata in modo proattivo, ad esempio con presentazioni ad hoc, road show dedicati o analisi periodiche sulla loro presenza nel proprio capitale. Si rimanda all’Approfondimento “Reporting Integrato” contenuto nella parte 4 – Bilancio di sostenibilità. Il Benchmark rileva l’inserimento dei titoli rappresentativi del capitale di rischio e di debito di alcune banche italiane in indici di sostenibilità, quali: Dow Jones Sustainability Index, FTSE4Good, FTSE ECPI Italia, ECPI Ethical Index EMU, Ethibel Sustainability Index, Ethical Index Euro, Aspi, Aspi Eurozone. 4 “L’investimento sostenibile (o socialmente responsabile) è un approccio agli investimenti che integra, con criteri di scelta a lungo termine ambientali, sociali e di governance (ESG), le scelte di investimento e di gestione dei portafogli, con l'obiettivo di generare migliori combinazioni finanziarie di rischio e rendimento” (fonte: World Economic Forum: Accelerating the Transition towards Sustainable Investing, 2011) 5 In questo contesto per fondi di riserva si intendono i fondi integrativi pubblici, praticamente solo francesi. 25 Relazione con gli Investitori Socialmente Responsabili Si conferma il trend delle banche attente al tema Accessibilità: il 76% del sistema bancario sviluppa attività per migliorare l’Accessibilità6 ai servizi finanziari dei soggetti diversamente abili. Nella quasi totalità dei casi gli strumenti utilizzati sono: progetti in filiale (layout agenzia, orientamento/segnaletica, arredi front office), accessibilità dei servizi Bancomat e accessibilità dell'interfaccia tecnologica a uso del personale. Quali progetti ha sviluppato la banca per migliorare l'accessibilità ai servizi finanziari dei soggetti disabili? Progetti in filiale (layout agenzia, orientamento/segnaletica, arredi front-office) Accessibilità dei servizi BANCOMAT Totale attivo 74,1% Accessibilità dell'interfaccia tecnologica a uso del personale 60,9% Accessibilità phone-banking e servizi di assistenza 42,6% Accessibilità del servizio di Internet banking 40,2% Accessibilità del sito web pubblico 36,8% 73,6% Come strumento di responsabilità sociale, sono diffuse le certificazioni eticoambientali che risultano essere adottate da banche che rappresentano il 61,7% del totale attivo di sistema. Nello specifico, si impone l’ISO9000, adottata da 4 banche, e l’ISO14000, da 3 banche. Seguono la registrazione EMAS, adottata da 2 banche, Sistema di qualificazione ambientale e sociale dei fornitori, adottato da 2, la SA8000, 2 banche, e la OHSAS18000 con una sola banca che ha previsto la sua adozione. Il Benchmark rileva diverse azioni sviluppate dalle banche per promuovere e attuare misure, strumenti e iniziative finalizzati alla migliore gestione degli impatti derivanti dagli spostamenti quotidiani dei dipendenti per motivi di business e per coprire il tragitto casa-lavoro. Banche che rappresentano il 76,3% del totale attivo di sistema dichiarano di aver attivato strumenti di mobilità sostenibile. Il 66,6% del sistema bancario ha nominato un Mobility Manager aziendale. Di seguito si riportano i risultati relativi agli strumenti di mobilità sostenibile adottati. 6 Accessibilità ABI - Linee Guida per l’accessibilità dei servizi di home banking, 2003 26 Certificazioni Mobilità sostenible Quali strumenti di mobilità sostenibile ha sviluppato la banca? Videoconferenza Totale attivo 74,6% Servizi collettivi aziendali (navette aziendali, bus a chiamata aziendale, taxi collettivi aziendali) Rinnovamento della flotta aziendale - Veicoli a basso impatto ambientale Piano spostamenti casa-lavoro 70,4% Collaborazione con le aziende del trasporto pubblico locale (ad es. agevolazioni per abbonamenti annuali per i dipendenti, etc.) Veicoli a due ruote Vendita di biglietti per i mezzi di trasporto pubblico all'interno dell'azienda Telelavoro 62,7% Politiche dei tempi e degli orari 30,1% Car sharing 23% Car pooling 21,6% Garanzia dello spostamento di rientro 21,3% Politiche delle aree di sosta 1,9% 68,7% 65,3% 57,2% 51,6% 37,9% Il 78% del totale attivo di sistema dichiara di aver sviluppato politiche di conciliazione vita-lavoro. In particolare, vengono confermate alcune attività che sono di seguito riportate. Quali attività ha sviluppato la banca per favorire politiche di conciliazione vita-lavoro? Part time Totale attivo 77,7% Flessibilità degli orari più estesa rispetto alle previsioni normative/contrattuali Asilo nido 71,7% Percorsi di accompagnamento post maternità 58,6% Work and Life Balance 61,6% Sempre sul versante dipendenti, il Benchmark rileva l’utilizzo delle Indagini di clima aziendale, promosse dal 61% del totale attivo di sistema. Nella quasi totalità dei casi i risultati sono comunicati a tutti i dipendenti. 27 Clima Aziendale 4 - BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ Le banche italiane sono attive nella rendicontazione di elementi ESG: nel 2011 hanno pubblicato un bilancio di sostenibilità banche che rappresentano l’80% del totale attivo di sistema (nel 2005 rappresentavano quasi il 72%). Grafico 6 La rendicontazione agli stakeholder 2005 - 2011 in termini di percentuale del totale attivo di sistema 71,9% 75,3% 2005 2009 80,0% 2011 Le iniziative delle banche sono volte a dare conto del valore complessivo generato dalla propria attività, illustrando la coerenza fra i valori, gli obiettivi dichiarati, gli impegni assunti nei confronti dei propri interlocutori e i comportamenti messi in atto. La rendicontazione - così intesa - è un’opportunità per gestire elementi extra finanziari, migliorare l’allocazione strategica delle risorse, ridurre i costi, monitorare meglio i rischi di varia natura - inclusi quelli reputazionali - e identificare opportunità di business promuovendo maggiore trasparenza nell’informativa al mercato. Per la rendicontazione di sostenibilità nel settore bancario italiano si afferma l’utilizzo delle linee guida internazionali Global Reporting Initiative – GRI prese a riferimento dal 74% del totale attivo di sistema. Quasi la totalità delle banche utilizza, nello specifico, il supplemento del settore finanziario del GRI. APPROFONDIMENTO Linee guida per il reporting di sostenibilità ABI contribuisce all’evoluzione della responsabilità sociale d’impresa per promuoverne la sua concreta applicazione e integrazione nella tipica attività bancaria. Tra le ultime iniziative, la pubblicazione delle “Specifiche ABI per la redazione del bilancio di sostenibilità secondo le linee guida GRI G3.1”. Il documento nasce dalla richiesta delle banche che pubblicano un bilancio di sostenibilità secondo le linee guida del Global Reporting Initiative di disporre di un’interpretazione dei dati richiesti maggiormente aderente alle specifiche del settore bancario italiano. ABI ha lavorato con il duplice obiettivo di rendere possibile il confronto tra le informazioni che le banche presentano nei bilanci di sostenibilità, creando anche la base per possibili attività di benchmarking, in un’ottica di miglioramento ed evoluzione dei propri processi di reporting, e di favorire l’ulteriore diffusione della rendicontazione di sostenibilità presso le banche non 28 ancora attive su questo versante, collezionando informazioni utili alla costruzione degli indicatori. ABI ha collaborato anche alla traduzione in italiano del “Financial Services Sector Supplement” pubblicato dal Global Reporting Initiative. La traduzione è stata coordinata dalla Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza (FeBAF) ed è disponibile sul sito www.globalreporting.org. Il processo di rendicontazione è tanto più significativo quanto più ampio è il coinvolgimento delle diverse funzioni aziendali che, ognuna per le competenze specifiche, apportano valore al processo stesso nelle sue diversi fasi, dalla valutazione del progetto alla elaborazione del documento, fino alla sua diffusione e comunicazione. La partecipazione delle diverse funzioni aziendali si attesta, nella maggior parte dei casi, su valori alti, a significare che in banca sono diffusi i gruppi di lavoro interfunzionali dedicati a questa attività. Si tratta di gruppi generalmente coordinati dalla struttura di Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR) e a cui partecipano rappresentanti aziendali con competenze e conoscenze diverse, necessarie per la raccolta delle informazioni e dei dati. Grafico 7 Per quanto riguarda i contenuti del Rendiconto di Sostenibilità, si rileva che banche rappresentanti circa il 70% del totale attivo di sistema presentano una misurazione del livello di raggiungimento degli obiettivi precedentemente fissati e l'identificazione delle aree critiche di CSR. Il 64,5% enuncia impegni precisi nei confronti dei diversi stakeholder. La verifica del Rendiconto ad opera della società di revisione si conferma il metodo più diffuso: è infatti adottato da banche che rappresentano il 70% del totale attivo di sistema. Non decolla in Italia il metodo del Panel Multistakeholder, nato nei contesti anglosassoni, con il compito di verificare i contenuti del Rendiconto e gli impatti 29 prodotti rispetto alle aspettative dei vari interlocutori. Il Panel riporta formalmente una valutazione alla banca, che a sua volta si impegna a pubblicare il contenuto di questa valutazione, a integrare eventuali segnalazioni e a riservare attenzione agli aspetti emersi. Gli stakeholder restano comunque il centro del processo di rendicontazione in quanto sono i destinatari del documento e delle attività che esso sottende: il 63% delle banche organizza forme di consultazione con gli stakeholder durante il processo di elaborazione del Rendiconto. La valenza strategico-gestionale del Rendiconto agli stakeholder è confermata anche dall’attenzione che i vertici aziendali mostrano nei riguardi del documento che, nella maggior parte dei casi, è approvato dai vertici della banca e dal suo Consiglio di amministrazione. Portare il Rendiconto di Sostenibilità al vaglio dei massimi organi aziendali significa voler promuovere una visione quanto più possibile integrata del valore che la banca sta creando per i propri azionisti ma anche per tutti gli altri stakeholder. In questo contesto, si stanno sviluppando interessanti pratiche di rendicontazione che mirano a integrare le informazioni contenute nel bilancio di esercizio con quelle non finanziarie. Ad esempio, in alcuni casi, il bilancio di sostenibilità contiene l’indicazione del Valore aggiunto, ovvero il conto economico riclassificato per porre in evidenza il processo di formazione del valore e la sua distribuzione ai vari stakeholder della banca. In maniera meno diffusa (33% del totale attivo di sistema) parti del bilancio di sostenibilità vengono integrate nella Relazione sulla Gestione. APPROFONDIMENTO REPORTING INTEGRATO Position paper ABI in risposta alla Consultazione dell’International Integrated Reporting Committee - IIRC, Novembre 2011 Lo sviluppo del dialogo tra imprese e investitori su informazioni extra-finanziarie è alla base della riflessione su una comunicazione delle performance dell’impresa sempre più integrata. ABI accoglie positivamente le attività in corso a livello internazionale per promuovere l’evoluzione del reporting. ABI riconosce l’esigenza degli operatori di descrivere e valorizzare tutte le componenti del business che contribuiscono a determinare il valore complessivo che l’impresa crea; la necessità che tali elementi siano riconosciuti dal mercato e dagli investitori; l’importanza di semplificare, oltre che rendere più efficace, la reportistica (i.e. solo le informazioni più rilevanti per le scelte strategiche dovrebbero essere incluse nel report integrato). E’ efficace l’impegno a costruire un innovativo modello di reporting valorizzando le pratiche esistenti, per esporre in modo chiaro, conciso e significativo le correlazioni intrinseche tra dati economico-finanziari e non finanziari (ESG), illustrando anche la prospettiva futura del business. Reporting integrato non vuole dire fornire più informazioni ma progettare un nuovo modo di raccontare in maniera chiara e trasparente i risultati globali di un’impresa, i suoi impatti sul mercato e sugli stakeholder, la sua capacità di implementare una strategia che integra aspetti di sostenibilità dentro l’organizzazione – in un’ottica di evoluzione trasformativa e non additiva. L’evoluzione del reporting non può che avere un respiro internazionale dal momento che: l’azione delle grandi imprese travalica i confini territoriali e ha impatti su contesti lontani da quelli che ne determinano le regole; l’attuale proliferazione di regole/pratiche di rendicontazione – con differenze a volte significative tra i vari paesi – rende difficile sia la rendicontazione che un confronto cross-country delle performance aziendali sotto un profilo 30 non squisitamente economico-finanziario; l’utilizzo delle informazioni contenute nei report è funzionale anche alle scelte di allocamento di capitale da parte degli investitori. E’ importante il lavoro comune promosso da IIRC con tutti i soggetti rilevanti attivi in tema di rendicontazione a livello globale, così come il coordinamento con le istituzioni quali la Commissione europea e la diffusione di best practice nazionali. ABI ritiene utile il focus sul processo di rendicontazione, diretto a creare ed esplicitare le connessioni tra elementi di governance, di strategia e di performance dell’organizzazione. Il reporting così inteso mira alla gestione e alla valorizzazione integrata di informazioni contenute in diversi documenti già prodotti dall’organizzazione quali ad esempio il bilancio di esercizio e la relazione sulla gestione, il documento sulla governance e sulle politiche di remunerazione, il bilancio di sostenibilità. Il vantaggio è la rappresentazione dinamica del valore che l’organizzazione crea, nel breve, nel medio e nel lungo periodo. L’esplicito riferimento alla materialità delle informazioni è altresì un passaggio importante per focalizzare la reportistica su un set di dati maggiormente in grado di esprimere come e in che misura un’azienda è capace di soddisfare le legittime aspettative dei suoi stakeholder. Lo sviluppo di un Framework per il Reporting Integrato a livello internazionale è utile nella misura in cui riesce ad armonizzare con efficacia le fonti e i modelli esistenti. Il Framework deve poter adattarsi ai contesti nazionali, ai diversi business e casi aziendali e veicolare comuni principi guida alla base del processo di rendicontazione integrata. Per quanto riguarda l’applicabilità del nuovo Framework, in questa fase iniziale pare opportuno un focus sulle imprese più grandi, chiarendo i parametri di riferimento. Indicatori utili potrebbero essere la soglia di fatturato e/o l’ambito di operatività (nazionale o internazionale) e/o la tipologia di compagine societaria. E’ estremamente importante che l’IIRC lavori in stretta sinergia con gli investitori per fare in modo che il processo di reporting integrato sia adeguatamente valorizzato. Esso, infatti, implica un grande cambiamento culturale per promuovere il quale sono necessari consistenti investimenti in termini di tempo e risorse che rischierebbero di non trovare adeguati consensi se non adeguatamente stimolati e valorizzati dagli investitori stessi. Il 71% degli istituti distribuisce il Bilancio di Sostenibilità come allegato al bilancio di esercizio. Il 65,4% fornisce una sintesi del documento. Il canale di distribuzione preferito per la comunicazione del Bilancio è internet, con il 74,6%. Abbastanza utilizzati risultano la messa a disposizione in filiale (48,8%) e la rete intranet (44,9%). Poco diffusa, invece, la presentazione del Bilancio con un evento interno o pubblico. Grafico 8 Bilancio Sociale - Canali di informazione 74,6% 44,9% 48,8% 30,7% 5,5% internet intranet in filiale con un ev ento con un ev ento interno pubblico 31 Il Benchmark rileva, infine, che il 65,8% del totale attivo di sistema gestisce i riscontri segnalati dagli stakeholder sul bilancio di sostenibilità. Di seguito si riportano i dati di dettaglio sulle varie modalità di gestione. Attraverso quali strumenti avviene la gestione dei feedback sul bilancio di sostenibilità? Raccolta e analisi questionari allegati al rendiconto Totale attivo 59,3% Interviste telefoniche 55,4% Workshop multistakeholder 51,4% Focus group mono stakeholder 51,2% Panel di verifica su rendicontazione 34,3% Linee di ascolto dedicate 4,5% APPROFONDIMENTO Azioni della Commissione Europea sulla disclosure delle informazioni non finanziarie La Commissione europea segue con interesse il tema della disclosure delle informazioni non finanziarie: tra le iniziative in cantiere vi è, nel 2012, uno studio per preparare future azioni sul tema. L’azione muove dalla consultazione su “Disclosure of non-financial information by companies” (novembre 2010 – gennaio 2011) a cui ha partecipato anche ABI. L’obiettivo della consultazione era quello di ricavare un quadro globale su come le imprese dei diversi settori produttivi presentano le informazioni non finanziarie, sociali e ambientali, relative alle proprie attività, anche in vista di future azioni sul tema delle istituzioni europee. Alcune evidenze emerse dalla consultazione: Attuali politiche in tema di disclosure delle informazioni non finanziarie. La disciplina che regolamenta la richiesta alle imprese di fornire informazioni non finanziarie varia significativamente nei diversi Paesi membri dell’Unione Europea. Molti rispondenti ritengono che questo comporti difficoltà di benchmarking tra le imprese. Metà dei rispondenti descrive l'attuale regime di disclosure nazionale poco soddisfacente. Per molti, l'attuale quadro normativo dell'UE manca di trasparenza e non promuove un’adeguata rendicontazione da parte delle imprese: questo rende difficile per gli azionisti e per gli investitori valutare in che misura le imprese tengano conto della responsabilità sociale nelle loro attività. In generale, lì dove alcuni Stati membri hanno imposto obblighi di disclosure, non si è riscontrato un aumento eccessivo degli oneri amministrativi. La maggioranza dei rispondenti evidenzia che i costi potenziali connessi a una maggiore disclosure potrebbero essere considerati come investimenti: questi sarebbero utili per sviluppare una gestione del business che includa anche informazioni non finanziarie e per ottenere migliori prestazioni nel lungo termine. Possibili miglioramenti in materia di informativa non finanziaria. La maggioranza delle organizzazioni che auspica miglioramenti indica che l'UE dovrebbe far riferimento a modelli già sviluppati a livello internazionale, piuttosto che elaborare nuove norme e principi. I rispondenti sottolineano l’utilità di condividere le migliori prassi, di sviluppare incentivi per le imprese a rendicontare sulle questioni non finanziarie, di usare l'approccio “Comply or Explain”. Anche il concetto di reporting integrato è emerso come un valido spunto da approfondire in sede europea, con attenzione a promuovere uno strumento che abbia utilità pratica e non aumenti l'onere amministrativo per le aziende. 32 Possibili azioni future. I partecipanti alla consultazione indicano alcuni fattori che dovrebbero necessariamente far parte della rendicontazione: se l'azienda ha una politica di CSR (e se sì, come viene attuata); i principali rischi e opportunità derivanti dalle gestione delle questioni sociali e ambientali e come questi siano presi in considerazione nella strategia aziendale; le principali informazioni su altri specifici temi come ad esempio il coinvolgimento dei dipendenti, la soddisfazione della clientela, la reputazione, gli aspetti legati al rispetto dei diritti umani e della lotta alla corruzione. Tra i riferimenti esistenti da valorizzare: il GRI, il Global Compact delle Nazioni Unite, le Linee Guida OCSE, l’ISO 26000. Per quanto riguarda i soggetti cui richiedere di rendicontare, la maggior parte dei rispondenti ha affermato l’opportunità di concentrarsi su imprese di grandi dimensioni, non per forza quotate, escludendo le piccole imprese da eventuali obblighi di rendicontazione. Anche sulla base delle evidenze della consultazione, la Commissione europea si prepara a modificare la IV Direttiva sull’Accounting, sviluppando un framework di reporting obbligatorio per le grandi imprese: secondo il principio “Comply or Explain”, queste aziende sarebbero chiamate a rendicontare su informazioni non finanziarie connesse alla propria attività. La tempistica ipotizzata fa riferimento al 2012, durante il semestre di presidenza danese, Paese molto attivo sul tema con presidi istituzionali dedicati. 33 CONCLUSIONI A quattro anni dal primo Benchmark sulle attività di responsabilità sociale d’impresa delle banche, l’indagine evidenzia che il percorso di integrazione della CSR nel business bancario si sta orientando sempre di più verso la consapevolezza della valenza strategica della CSR e della sua utilità in termini di maggiore competitività sul mercato. Ne sono dimostrazione i passi avanti compiuti per delineare una strategia e una pianificazione aziendale che considerino anche aspetti ESG. Una unità dedicata o un presidio delle tematiche di responsabilità sociale è diffuso nelle banche. Le risorse dedicate alla CSR lavorano in maniera coordinata con colleghi di diverse aree aziendali. Il codice etico sta prendendo le distanze dal modello 2317 per diventare uno strumento spontaneo di dialogo con i dipendenti e per favorire la promozione di una cultura aziendale da cui abbiano origine comportamenti trasparenti che valorizzino l’aspetto relazionale delle transazioni. Il bilancio di sostenibilità è una realtà consolidata in molte banche. È in crescita l’uso di riferimenti internazionali con metriche precise su cui rendicontare. Sempre con riferimento al Reporting, l’elemento gestionale cresce di importanza anche rispetto a quello di comunicazione perché la necessità di confrontarsi con i colleghi, di predisporre e di alimentare banche dati, anno dopo anno, facilita lo sviluppo trasversale della CSR nella struttura. Sempre più banche si dotano di policy e, soprattutto, di procedure che rendono coerenti i principi dichiarati ai comportamenti attuati. L’integrazione dei criteri ESG nelle operations continua ad essere affidato a soggetti esterni ma parallelamente crescono le competenze interne, a riprova che quello in CSR è un investimento per creare maggiore valore nel tempo e non una richiesta estemporanea da soddisfare. L’analisi dimostra, dunque, come il processo di integrazione sia in piena fase di sviluppo. Accanto ai segnali positivi che evidenziano i progressi messi in atto, ci sono ambiti che necessitano di un maggiore sviluppo. Come, ad esempio, la relazione con gli Investitori Socialmente Responsabili, il cui potenziamento andrebbe a vantaggio di ulteriori opportunità di raccolta di capitale. Oppure, il monitoraggio degli accordi che prevedono anche requisiti ambientali e sociali stipulati con clienti e fornitori, e il coinvolgimento più ampio e strutturato degli interlocutori nel processo di rendicontazione di sostenibilità. Occorre agire in maniera diversa a seconda della situazione: concentrare maggiori sforzi su quegli aspetti che necessitano di passare da una conoscenza teorica ad una applicazione pratica; identificare gli aspetti che sono già in una fase avanzata di sviluppo in modo da farli diventare punti di forza su cui poter contare. A fianco di realtà importanti che competono a livello internazionale anche sulle migliori pratiche di CSR, il sistema bancario italiano comprende diverse banche che sono ad uno stato avanzato di integrazione della CSR nel proprio business. Per loro l’esigenza è quella di raccordare le azioni promosse e agire in maniera coordinata sull’identificazione delle priorità rilevanti da affrontare. L’auspicio è che cresca il numero di banche interessate a sviluppare la propria responsabilità sociale d’impresa e a renderla esplicita agli interlocutori. 7 Per “modello 231” si intende l’insieme di ottemperanze previste dal decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, che ha introdotto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. 34