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CONVEGNI
Dopo Cancun le nostre imprese
s'interrogano sul futuro del
clima
Alcune aziende iniziano a puntare sulle politiche
ambientali, segnala la Fondazione Istud, ma manca una
regia globale
L. Re
Cancun, la montagna che ha partorito un topolino: gli oltre
190 Paesi che lo scorso dicembre si sono riuniti per discutere
il futuro climatico del Pianeta, hanno compiuto un passo
avanti rispetto al nulla di Copenaghen, ma la strada da
percorrere è ancora molto lunga. Tra tutte le incertezze delle
politiche mondiali su energia e ambiente - per esempio: quali
soglie fissare per diminuire le emissioni di CO2? Come
compensare la responsabilità storica dell'Occidente
industrializzato per la crescita dell'inquinamento, nei confronti dei Paesi emergenti? - le
imprese e le industrie si sono concentrate sul rapporto tra ecologia e competitività. Ed è chiaro,
come emerso da un recente convegno organizzato dalla Camera di commercio milanese, che
le idee sono piuttosto confuse, soprattutto in Italia.
Certo non mancano le iniziative. Alcune le ha illustrate Federica Viganò, citando i primi risultati
di uno studio della Fondazione Istud sulle strategie “low carbon” di un piccolo gruppo di
importanti aziende italiane in tre settori - cementifici, energia e trasporti - che rientrano nello
schema Eu-Ets (Emissions trading scheme). Italcementi, Edison, Atm e Tnt sono tutti
impegnati a ridurre la loro impronta di carbonio, anche se lamentano l'immobilismo del nostro
Paese nel definire un quadro organico di regole. Così le bocce sono ferme alla volontà delle
singole imprese. Italcementi partecipa al Cement Sustainability Initiative, un programma
internazionale di 24 produttori per limitare l'impatto ambientale di questo settore industriale; Tnt
vuole tagliare le sue emissioni del 45% entro il 2020, Edison sta facendo dell'efficienza
energetica il cuore delle sue attività e della sua offerta commerciale, Atm sta rinnovando la
flotta dei mezzi pubblici milanesi e ha già investito in impianti fotovoltaici e di cogenerazione.
L'economia verde assume un ruolo sempre più decisivo perché ci sono due rischi all'orizzonte:
il primo è rimanere sopraffatti dalle nuove regole mondiali sul clima, il secondo è perdere
competitività. Perfino nel settore tradizionale delle costruzioni, Italcementi sta puntando in una
direzione inedita, costruendo l'immagine del cemento come prodotto di qualità e amico
dell'ambiente, quindi non più come semplice “commodity”. C'è poi il rischio, paventato da
Sergio Treichler di Federchimica, che tutto si trasformi in un mercato finanziario che
penalizzerà gli investimenti produttivi. Con le aste immediate del nuovo schema Ets dal 2012,
le imprese dovranno pagare miliardi di euro l'anno per acquistare le quote di emissione fissate
da Bruxelles, dirottando nelle aste i fondi che invece potrebbero servire per incrementare
l'efficienza energetica degli impianti.
Allargando lo sguardo, c'è un altro interrogativo: perché dovremmo preoccuparci della CO2
emessa dalle attività umane, che è soltanto una piccola parte di quella esistente sul nostro
Pianeta? Qui è intervenuto il meteorologo Luca Mercalli, spiegando che la Terra è un sistema
chiuso, in equilibrio. La CO2 presente in natura non è troppa, così come l'acqua di un acquario
da 500 litri; ma basta un litro in più per far traboccare il liquido e spanderlo sul tappeto, proprio
come basta una certa percentuale in più di CO2 per oltrepassare la soglia sopportabile
dall'ecosistema mondiale. Secondo Mercalli, l'atteggiamento giusto è il catastrofismo
illuminato, che significa pensare in peggio ma con la speranza d'invertire la rotta climatica
della Terra, cogliendo le opportunità (scientifiche e tecnologiche) della “green economy” su
scala mondiale.
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