Una formazione che trasforma

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Una formazione che trasforma
UNA FORMAZIONE CHE TRASFORMA
Nel laborioso sforzo di riforma, intrapreso dalla Chiesa italiana a partire dal Vaticano II, quello
della formazione risulta uno degli impegni prioritari e più richiamati nei pronunciamenti
programmatici. La formazione è considerata oggi un elemento determinante nelle nostre società e si
presenta come un’attività complessa, differenziata ed eterogenea.
L’urgenza e, al tempo stesso, la problematicità nella scelta del sistema formativo si avverte anche
nel momento in cui si parla di formazione dei catechisti. E’ un compito vitale perché dalla loro
qualità dipende in gran parte la capacità evangelizzatrice delle nostre comunità e molte energie sono
state investite in questo settore, ma non tutte le esperienze fatte in questi anni hanno dato i risultati
sperati.
La scelta del modello formativo non è mai neutra: si indicano qui alcuni punti di riferimento che si
ritengono utili per delle opzioni che migliorino la prassi formativa nelle nostre comunità cristiane.
1. La premura della Chiesa italiana
I responsabili della pastorale italiana, con particolare intensità negli anni Ottanta del secolo scorso,
hanno dimostrato attenzione all’ambito formativo attraverso la realizzazione di varie ricerche
sociologiche, convegni a livello nazionale, seminari di studio qualificati.
Il cammino è segnato in particolare da tre documenti orientativi che contengono delle indicazioni
rilevanti per il nostro argomento. Il primo, La formazione dei catechisti nella comunità cristiana
(1982), è un testo programmatico che precisa l’itinerario di formazione dei catechisti. Il cammino
formativo, permanente e organico, ha l’obiettivo di favorire la loro maturazione umana e cristiana;
sono previste delle “scuole di formazione” (n. 26), istituite a livelli diversi e con finalità
complementari, volutamente distinti dalle scuole di “teologia per laici”, come pure dai corsi di
aggiornamento o altre iniziative formative saltuarie o episodiche (nn. 30-31).
Viene poi pubblicato Orientamenti e itinerari di formazione dei catechisti (1991). Il sussidio
pastorale è diviso in due parti in cui, rispettivamente, viene presentato il quadro teorico della
formazione dei catechisti e la proposta di percorsi specifici per le diverse tipologie di operatori. Il
documento contiene una maturazione del concetto di formazione; questa ha il compito di
promuovere identità cristiane adulte e persone con una competenza specifica per la comunicazione
della fede. L’elemento veramente nuovo è lo spostamento operato nel documento dall’asse dei
contenuti teologici a quello della comunicazione della fede come specifico della competenza
catechistica. Compare qui per la prima volta il termine “laboratorio” (n. 2), espressione che andrà
acquistando sempre più consensi negli anni successivi.
Recentemente ha visto la luce La formazione dei catechisti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e
dei ragazzi (2006). Il testo si pone in continuità con il documento precedente ma rappresenta pure
una novità in quanto esamina solamente uno degli itinerari lì indicati e lo attualizza nel contesto di
primo annuncio che caratterizza l’odierna situazione ecclesiale italiana. Si denuncia il fatto che «in
molte comunità ecclesiali il lavoro formativo è carente o addirittura assente» (FCIC, n. 2) e
vengono forniti criteri e orientamenti per la formazione di questa particolare categoria di catechisti.
La scelta decisa stavolta è quella del metodo del “laboratorio” (FCIC, n. 37).
2. Nuove prospettive per la formazione
La lettura attenta di questi documenti e delle numerose riflessioni degli esperti sul tema conferma il
fatto che, nel corso degli ultimi decenni, ci sono stati spostamenti di accenti e di prospettive nel
parlare di formazione. Essi sono causati da considerazioni pastorali ma, soprattutto, da una più
matura riflessione catechetica e dal confronto arricchente con le scienze umane.
2.1. Evangelizzare in un’epoca di transizione
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Le comunità ecclesiali faticano a generare nuovi cristiani, capaci di vivere consapevolmente e
coerentemente la propria fede, e a sostenere i credenti in una società profondamente mutata negli
ultimi anni. Queste trasformazioni, che hanno ripercussioni pure sul modo di credere delle persone e
sulla loro relazione con la Chiesa, mettono in discussione l’impianto pastorale consolidato e
richiedono un ripensamento della prassi formativa.
Il sistema finora utilizzato, infatti, intanto riguarda una minoranza delle persone coinvolte; ma,
soprattutto, appare oggi inadeguato per qualità, tempi e modelli pedagogici. Il vero problema sta
nello “scollamento” tra obiettivi pastorali e formativi, che ha come conseguenza la preparazione di
catechisti formati per interventi generici e comunque obsoleti rispetto alle attuali esigenze di nuova
evangelizzazione.
Lavorare in un contesto multiculturale e plurireligioso come sta diventando il nostro o proporre la
fede in una società in cui i “media” veicolano valori e modelli di vita alternativi a quelli cristiani,
comporta – ad esempio – l’attitudine a elaborare e guidare itinerari di fede differenziati e la capacità
non solo di trasmettere i contenuti cristiani ma anche di destrutturare la mentalità dei destinatari e
ricomporla secondo punti di riferimento diversi da quelli dominanti. Se poi si pensa che gli stessi
catechisti vivono immersi in tale realtà, si capisce quanto necessitino più che nel passato, al di là
delle qualità relazionali e delle competenze operative, di sostegno motivazionale.
2.2. Formare secondo i fini autentici della catechesi
La riflessione catechetica contemporanea ha restituito la giusta centralità al alcuni aspetti che nel
passato, soprattutto nella pratica, rischiavano di rimanere in ombra ; in particolare, ha evidenziato la
finalità eminentemente cristocentrica e la natura ecclesiale dell’atto catechistico.
La catechesi è chiamata non tanto – o non solo – a trasmettere un bagaglio di conoscenze ma a
favorire la comunione del convertito con Gesù Cristo. Si tratta di una “esperienza globale” richiesta
in primo luogo agli stessi catechisti; la formazione, pertanto, si pone l’obiettivo prioritario di
favorire una relazione vitale con Cristo in modo che, “trasformati” loro per primi da questo
incontro, siano poi capaci di comunicarlo ad altri: «Il catechista è […] uno che possiede la capacità
di trasmettere ad altre persone le sue esperienza di vita cristiane e di parteciparle», dice il recente
documento formativo italiano (FCIC, n. 19).
Viene anche recuperato il ruolo della comunità come soggetto evangelizzatore. Oggi, nonostante le
resistenze derivanti da una radicata mentalità di delega e la fatica che nasce dalle accresciute
responsabilità per tutti, cresce la consapevolezza che soggetto della catechesi è l’intera comunità
cristiana. La formazione non può non tenere conto di tale acquisizione e, ad esempio, può
adoperarsi concretamente per privilegiare interventi che mentalizzino e abilitino a lavorare in
equipe.
2.3. Formare valorizzando l’apporto delle scienze umane
Nel mondo della formazione si sono verificati negli ultimi anni dei cambiamenti significativi. Oggi
si vanno affermando teorie e tecniche che si orientano con sempre maggiore convinzione verso
concezioni in cui gioca un ruolo da protagonista il soggetto, disponibile alla formazione e
corresponsabile di essa.
Coerentemente, nel processo pedagogico l’attenzione si è trasferita dai requisiti richiesti ad un buon
formatore alle modalità attraverso cui l’educando perviene alla propria maturità: l’accento viene
messo non tanto sulla trasmissione, ma sulla appropriazione. In quest’ottica, acquista rilevanza il
termine “apprendere”, concetto cruciale che ha il pregio di rivalutare la dimensione soggettiva di
chi partecipa e di mettere in luce la rilevanza dell’inter-azione, dello scambio, del dialogo,
dell’apprendere insieme.
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Così viene a modificarsi anche l’immagine di “processo formativo”. Ad un’idea “deterministica”
che intendeva il percorso come un insieme concatenato di attività orientate al conseguimento di
obiettivi definiti in anticipo, si sostituisce una prospettiva “dinamica” che vede il processo come un
fluire di eventi i cui tratti essenziali, gli svolgimenti, le direzioni sono stabiliti in corso d’opera dagli
stessi attori sociali, in modo più aderente alle condizioni reali in cui concretamente si opera.
Anche se la trasposizione in ambito ecclesiale non è priva di problematicità , tali acquisizioni
possono aprire nuove prospettive nella formazione dei catechisti.
2.4. Progettare la formazione
Una formazione di qualità deve possedere caratteri di completezza, sistematicità e organicità,
elementi che non possono essere lasciati all’improvvisazione. Il Direttorio Generale per la
Catechesi richiede un intervento locale programmato, a livello diocesano oltre che parrocchiale
(DGC, n. 274). Occorre andare al di là di una logica ancora dominante: quella di risolvere
sbrigativamente la fase della formazione iniziale per offrire successivamente proposte disomogenee
e occasionali, legate più alla disponibilità dei singoli che alla capacità di condividere un itinerario
rigoroso.
Il DGC, inoltre, sembra insistere su una formazione non omologante ma “incarnata”, aderente al
contesto particolare in cui concretamente si opera (DGC, n. 218).
Mentre è da auspicare una maggiore competenza catechistica da parte dei presbiteri (DGC, n. 234),
va anche ribadito che la formazione «non può ignorare il carattere proprio del laico nella Chiesa e
non deve essere concepita come mera sintesi di quella che ricevono i religiosi o i sacerdoti», ma è
tenuta a coltivare la loro particolare spiritualità (DGC, n. 237).
La pedagogia utilizzata nella formazione ha un’importanza fondamentale. Come criterio generale
occorre sottolineare la necessità della coerenza tra la pedagogia globale della formazione dei
catechisti e la pedagogia propria di un processo catechistico. Sarebbe molto difficile per il
catechista improvvisare, nella sua azione, uno stile e una sensibilità, ai quali non fosse stato iniziato
durante la propria formazione» (DGC, n. 237). Per il raggiungimento di questi obiettivi sembra da
privilegiarsi un modello formativo che si realizzi attraverso la ricerca e il confronto interpersonale
(“laboratorio”) e attraverso l’alternanza di teoria e prassi.
Di fronte a prospettive unilaterali, che accentuano eccessivamente il “sapere” o il “fare”, occorre
non scordare mai che l’ago della bilancia è costituito dall’essere del catechista, a cui si unisce anche
il saper “convivere”: questi elementi non vanno contrapposti ma armonizzati. L’itinerario deve
condurre ad una maturazione umano-cristiana e deve trattarsi di una formazione che inneschi
processi di cambiamento e di “trasformazione” nei catechisti.
E per concludere … una definizione
Il concetto di formazione si presta ad una pluralità di significati – peraltro consolidati e compresenti
nella prassi – non tutti ugualmente adeguati a descrivere la realtà cui fanno riferimento.
Se si accetta la prospettiva “vocazionale” e “missionaria” del catechista, la formazione in ambito
catechistico potrebbe acquisire il significato di attività intenzionale atta a favorire la
«stabilizzazione della propria struttura di personalità attorno a un quadro di valori, valutati come
importanti per dire a sé e agli altri la propria identità e la propria reattività di fronte all’esistente, per
relazionarsi con gli altri in maniera valida e promozionale, in vista di una gioia che sia “piena” (Gv
15,11). […] Queste prospettive e questi valori, organizzati in un sistema coerente di significati,
determinano il senso dell’esperienza personale, […] come pure il riferimento attraverso cui sono
colte, selezionate ed elaborate le stimolazioni esterne, che spingono all’azione. Essi si traducono,
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come orientamento continuo e progressivo, nella formulazione, acquisizione, realizzazione di
competenze professionali».1
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C. NANNI – P. DEL CORE, «La formazione dell’operatore pastorale», in: F. V. ANTHONY et al., Pastorale
giovanile. Sfide, prospettive ed esperienze, Elledici, Leumann 2003, 356.
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