Certezza del diritto nell`ordinamento processuale
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Certezza del diritto nell`ordinamento processuale
1 Certezza del diritto ed ordinamento giuridico amministrativo 1. Nozione di certezza del diritto Quello inerente alla definizione di certezza del diritto rappresenta un interrogativo risalente nella riflessione giuridica connotato da un insuperabile poliformismo, frutto della stessa difficoltà di cogliere una definizione uniforme di ordinamento e norma giuridica, questi ultimi risultando, a loro volta, fortemente condizionati da presupposti postulati di natura storica, sociale ed economica. Riprova della complessità della nozione è costituita dai significati: suoi seguenti possibili a) b) c) d) e) f) g) Stabilità nel tempo della regolamentazione giuridica; Efficacia dell’ordinamento; Osservanza delle norme giuridiche da parte dei destinatari; Accessibilità alle norme; Effettiva conoscenza delle norme; Univocità delle qualificazioni giuridiche; Tutelabilità giurisdizionale della posizioni giuridiche e prevedibilità delle decisioni; h) Inviolabilità dei diritti quesiti; i) Conformità del diritto a standard di giustizia; j) Caratteri specifici dell’ordinamento: irretroattività della legge, principio di legalità, separazione dei poteri e distinzione delle funzioni pubbliche. La nozione di certezza giuridica è passata attraverso tre fasi storiche, segnatamente quella della codificazione (secoli XVIII e XIX), quella del XX secolo, giungendo così alla riflessione contemporanea. A) Fase della Codificazione e del Primo Giuspositivismo Si tratta di un’epoca in cui forte era la spinta verso la formalizzazione delle regole giuridiche, per cui la certezza del diritto viene individuata come “conoscibilità ex ante delle conseguenze giuridiche dei comportamenti individuali, fondata sulla conoscenza delle norme”. Si trattava di una qualità essenziale dell’ordinamento giuridico che lo differenziava da altri (morale e costume) e lo connotava come un insieme di norme facilmente identificabili e conoscibili, fedelmente applicate ai casi particolari. Esprimeva l’ideologia dello “Stato liberale di diritto “, propria del primo giuspositivismo. Secondo tale concezione l’applicazione della legge, intesa come fonte suprema ed unica di un sistema ordinamentale chiuso ed unitario, era pressochè 2 meccanica, effetto di un sillogismo di derivazione dalla regola generale al caso particolare che nessun ambito discrezionale lasciava all’interprete. B) Fase del Positivismo normativista In tale fase muta la concezione dell’ordinamento giuridico, ora inteso come sistema complesso e composto da norme non sempre identificabili, la cui applicazione concreta non è pedissequa. Qui certezza del diritto diviene “conoscenza ex ante delle modalità e limiti dell’esercizio del potere coercitivo quando avviene in forma legale”. In tal modo, la certezza diviene qualità solo eventuale del diritto positivo, sebbene mantenga insieme alla concezione del primo positivismo i caratteri di predittività (nel senso che guarda al futuro come una direttiva), pubblicità, non retroattività, chiarezza e stabilità nel tempo. I maggiori esponenti di tale corrente sono stati Hans Kelsen e Herbert Hart. KELSEN concepisce l’ordinamento come sistema dinamico in continuo movimento, in cui le norme sono poste su basi differenti secondo uno schema piramidale al cui vertice esiste la norma fondamentale (Grundnorm). In tale contesto, la certezza del diritto non dipende necessariamente dalla chiarezza e precisione linguistica del precetto, ma deve tenersi conto della sua funzione quale schema di riferimento, come cornice, al cui interno esistono molteplici possibilità di esecuzione. La norma, in quanto generale ed astratta, potrebbe anche essere volutamente indeterminata, per cui la sua applicazione richiede l’intervento dell’interprete che può optare per una delle soluzioni normative possibili con un atto necessario di volontà. Per Kelsen, pertanto, la certezza del diritto risulta essere fortemente condizionata dalla discrezionalità dell’attività interpretativa all’interno di un sistema giuridico dinamico. Egli distingue inoltre tra sistemi accentrati e decentrati: nel primo caso, la produzione del diritto spetta solo alla legge ed assicura la massima certezza a discapito della flessibilità, mentre nel secondo la produzione è affidata anche a Tribunali ed organi amministrativi, che, oltre ad applicare la legge, creano nuovi precetti indipendenti dalla norma di diritto positivo. Si tratta di posizioni ideali e non reali, ossia di modelli estremi e possibili, al cui interno esistono ordinamenti giuridici reali che soddisfano esigenze di certezza del diritto secondo i principi accennati. Secondo HART, invece, la certezza del diritto va esaminata alla luce della relazione esistente tra diritto e linguaggio, nel senso che il primo è costituito da enunciati prescrittivi, a volte aventi un significato fisso, a volte incerto; tale situazione è superabile attraverso il ricorso ad una scelta discrezionale tra più significati possibili. Per Kelsen ed Hart la certezza del diritto è un obiettivo ideale, tendenziale degli ordinamenti e non anche un carattere fattuale; in quanto obiettivo ideale, esso è posto in relazione ad altri, quali la flessibilità che ne costituisce una forma di contrapposizione. 3 Sul tema interessante è anche la posizione del “garantismo giuridico”, esposta da Luigi FERRAJOLI. Si tratta di un’impostazione propria dello Stato liberale che muove dall’esigenza di assicurare tutela all’individuo nei confronti del potere e quindi dettato dalla esigenza di conoscere in presenza di determinati atti o fatti quali possano essere le reazioni degli organi giudicanti e le eventuali decisioni; valori liberali di riferimento sono quelli di uniformità della decisione, uguaglianza, sicurezza e libertà personale. Ferrajoli muove dal presupposto per cui nell’ordinamento non è applicabile la metodologia sillogistica, poiché nell’attività giudiziaria esistono ambiti di indeterminazione connessi a spazi insopprimibili di discrezionalità , solo parzialmente controllabili dal diritto. Egli, nel soffermarsi sulla strutturazione ed attuazione del potere giudiziario, ne individua quattro fasi, le prime tre a connotazione cognitiva, l’ultima dispositiva. Le fasi cognitive sono quelle dell’accertamento probatorio (dimostrazione dei fatti su cui giudicare), denotazione (qualificazione giuridica dei medesimi) e connotativa (riflettente la valutazione equitativa dei medesimi al fine delle conseguenze giuridiche da applicare); l’ultima fase è quella “dispositiva” ed è condizionata da valutazioni personali del giudice di ordine etico e morale. Mentre le prime tre fasi sono di natura oggettiva e possono essere suscettibili di controllo, la quarta si sottrae a tale verifica, per cui dovrebbe essere eliminata tout court a fini di assicurare un adeguato grado di certezza del diritto. C) La riflessione contemporanea Questa esalta il ruolo dell’attività di interpretazione che non si limita alla ricognizione del significato delle norme e dei limiti dell’ordinamento, assumendo più propriamente funzione costruttiva del sistema ad esito non predeterminabile. Nella riflessione contemporanea emerge una concezione della certezza del diritto intesa come esigenza dell’individuo, oltre che quale elemento carattere del sistema. Esistono attualmente due teoriche del problema, l’una soggettiva, l’altra oggettiva. Secondo la dimensione soggettiva, la certezza del diritto esprime un’esigenza dell’individuo che ne sposta i confini entro quelli della “sicurezza giuridica”. Ad opinione di Gregorio Peces Barba la sicurezza giuridica si esprime attraverso tre forme: a) nei confronti del potere coercitivo, ed in tal senso si parla di sicurezza “attraverso “ il potere, sia con riferimento alla sua origine, sia rispetto alle modalità di esercizio; b) nei confronti del sistema giuridico, come sicurezza “nel diritto”, rispetto all’ordinamento ed a sua singole branche; 4 c) rispetto alla società, intesa come “sicurezza sociale”, nel senso di tutela delle classi deboli o svantaggiate. La sicurezza giuridica finisce così per assumere il ruolo di oggetto di protezione a livello costituzionale, quale diritto fondamentale dell’individuo. Altro Autore, Erhard Denninger rileva l’attuale passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale nell’individuazione della nozione di certezza del diritto. Invero, mentre nel primo modello ci si riferiva a valori di uguaglianza, libertà e certezza giuridica, con la Stato sociale, che impone di prendere in considerazione il cittadino all’interno del gruppo di appartenenza, i nuovi valori sono quelli di solidarietà, diversità e sicurezza sociale, a presidio della dignità umana, valore fondamentale irrinunciabile di ogni formazione sociale. La certezza del diritto scivola così verso il concetto di sicurezza giuridica per esserne inglobata per continenza; lungi dal venire abbandonata, essa deve ora confrontarsi con altri valori propri della sicurezza sociale e non sempre prevale (si pensi alla diminuzione di garanzia processuali per delitti gravi contro l’ordine pubblico e la sicurezza). La dimensione oggettiva tratta della rilevanza dell’attività di interpretazione come procedura argomentativa. E’ certo quel diritto «le cui applicazioni ai casi particolari sono coerenti con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, ricavate in accordo con una procedura razionalmente fondata e condivisa da una data società». In questo modo, la certezza del diritto diventa nozione “debole”, perché da conoscibilità ex ante delle conseguenze giuridiche dei comportamenti e da conoscenza dei limiti del potere, diviene giustificabilità ex post delle decisioni particolari. Secondo Mac Cormik la certezza del diritto è fedeltà al precedente, ossia si attua se nel tempo, quindi diacronicamente, casi simili trovano soluzioni analoghe. L’Autore rileva la decisività di un percorso argomentativo di tipo razionale fondato su due caratteri, la conformità della soluzione al diritto precedente (consistency) e l’adattabilità ad essi della decisione particolare (coherence). Un terzo elemento, la consequentiality, è invece l’aspetto che guarda al futuro e concerne le implicazioni della decisione sull’assetto ordinamentale. Ma si tratta di un carattere che mina la certezza del diritto. Secondo Habermas la certezza del diritto non è funzione del risultato della interpretazione, ma consiste nella garanzia procedurale di partecipazione e di correttezza del procedimento interpretativo, tale da scongiurare l’adozione di soluzioni irrazionali e comunque arbitrarie. 5 Da ricordare è anche la posizione di Alexy che, incentrando l’indagine sulla portata dei principi giuridici, opera una distinzione tra principi e regole, assegnando ai primi un contenuto maggiormente generico e astratto; al riguardo, si parla di precetti di ottimizzazione, ossia realizzabili solo in parte e in misura variabile che non prescrivono condotte specifiche. L’elasticità del principio non dipende dalla sua validità, ma secondo Habermas, dal suo “peso”, ossia dalla relazione con altri principi concorrenti in un giudizio di bilanciamento rimesso all’interprete. Essendo generico e vago, il principio non assicura certezza, né è possibile parlare di formalismo di principi, sebbene un’esigenza di stabilità potrebbe comunque essere assicurata attraverso il controllo razionale dei processi argomentativi che scongiurano il rischio di arbitrio. 2. La certezza del diritto nel sistema amministrativo sostanziale L’esposizione teorica della nozione di certezza del diritto attraverso le vari fasi storiche impone di chiedersi quale ne sia la dimensione nell’attuale sistema sostanziale amministrativo. Dal punto di vista generale, si può osservare come caratteristica coessenziale alla concezione del potere autoritativo nel nostro ordinamento, anche a livello costituzionale, sia la fluidità delle regole di sua concretizzazione in atto (funzione), dipendente dall’elasticità ed ampiezza della ricerca di valori di interesse pubblico, sempre più contrapposti (si pensi alla tutela della salute pubblica in materia di organizzazione e gestione del servizio di rifiuti, in connessione con la dislocazione territoriale degli impianti, ambito in cui confliggono diversi profili di dimensionamento di quello che è un medesimo interesse pubblico, riconducibile singulatim ad un diritto fondamentale dell’individuo) o, comunque, difficilmente conciliabili (salute pubblica e tutela ambientale o pianificazione territoriale), che impongono la ricerca di soluzioni denotanti un sistema ispirato alla più ampia flessibilità, anche dal punto di vista organizzativo, come dimostrato dal frequente ricorso a poteri di natura sostituiva e ad a regimi sistemici eccezionali. Ed in un sistema in cui opera ampia flessibilità – ed anche un certo atteggiamento di favor per il decisore pubblico - la certezza del diritto diviene valore recessivo, non potendo esprimere la funzione propria di garanzia sottesa alla capacità predittiva di soluzioni certe. La risposta a tale carattere probabilmente ineludibile del sistema e della concezione del potere pubblico, è stata innanzitutto individuata nella funzione di “controspinta” riconosciuta al principio di imparzialità rispetto a quello di buon andamento; più specificamente, la certezza del diritto si ascrive al necessario carattere intrinseco di una decisione discrezionale in cui la sublimazione dell’interesse pubblico trova 6 temperamento e limite giuridicamente rilevante nel “peso specifico” riconosciuto al non eccessivo sacrificio del contrapposto interesse del cittadino che intercetta il potere. E’ appena il caso di ricordare come i contenuti dell’imparzialità, come regola dell’agire autoritativo, siano stati coraggiosamente e progressivamente definiti dall’opera incessante della giurisprudenza del Consiglio di Stato che, attraverso il prisma ottico delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, ha definito il modo di essere dell’azione pubblica sostanzialmente legittima (dando vita ad un’opera di ricerca di fatto senza limiti di tempo), da intendersi come guida per la ricerca di quello “spirito della legge” di cui il provvedimento deve costituire piena attuazione. E’ però inevitabile che la complessità della decisione pubblica non possa trovare fisiologica stabilità nella fissazione di regole specifiche a priori, potendo la certezza del diritto risolversi esclusivamente in una verifica a posteriori, come tale ricadente nell’accezione oggettiva della nozione come in precedenza richiamata. Altro aspetto di forte criticità ritraibile dalla scomposizione della fase decisionale è la distinzione tra attività di interpretazione della norma ed apprezzamento del fatto, ambedue rientranti, secondo l’idea di Ferrajoli, nella attività di cognizione del decisore (di primo o di secondo grado, inteso quest’ultimo come organo di ricorso); qui è sufficiente rilevare come riecheggino le mai sopite problematiche inerenti alla complessità di decisioni tecniche spettanti alla amministrazione pubblica, in cui i due momenti spesso si confondono, creando forte incertezza sull’oggettiva verificabilità della scelta compiuta. Una risposta in tal senso, frutto anche dell’atteggiamento di sfiducia mostrato dal legislatore – forse perché interprete di esigenze di sicurezza giuridica provenienti dal basso – è stata la progressiva riduzione dell’area del potere discrezionale in favore di quello vincolato, o comunque l’individuazione di regole normative fortemente compressive ed invasive di un potere dispositivo che per assicurare certezza e sicurezza giuridica riducono la capacità di efficienza dell’azione amministrativa. Altro nodo problematico della certezza del diritto è rappresentato dalla connotazione del rapporto tra autorità e libertà rispetto all’esercizio di diritti fondamentali della persona, proprio dell’epoca in cui la distinzione tra liberalizzazione e semplificazione sembra essere appena sfumata; il riferimento è alla nuova disciplina sulla segnalazione certificata di inizio attività ed all’ampliamento delle ipotesi di silenzio assenso: in questi casi, la certezza del diritto, che si esprime attraverso il rafforzamento della posizione dell’istante (che induce a recuperare non senza suggestione l’antica teorica dei diritti in attesa di espansione) confligge con altrettanto rilevanti esigenze di certezza connesse alla tutela del terzo, al punto, quasi, da trasformare il rapporto di diritto pubblico, quantunque ormai connesso ad 7 un potere vincolato di mero accertamento, nella contrapposizione tra posizioni di diritto soggettivo, aventi dignità civilistica. Di rilievo è poi la tutela delle aspettative, da porsi in stretta connessione con la salvaguardia di posizioni prossime ai diritti quesiti, come comprovato dai limiti temporali posti dalla legge n. 215/2015 alla funzione di annullamento di provvedimenti favorevoli al privato. Infine, senza alcuna pretesa di esaustività, va ricordato quello “spirito” della legge n. 241/90 che, proprio richiamando Habermas, impone, come epifania della certezza del diritto in termini di valore giuridico, la partecipazione del destinatario della funzione alla formazione della volontà del decisore pubblico all’interno del procedimento, fino a giungere a possibili soluzioni frutto di codecisione (accordi); non può essere, comunque, sottaciuta la progressiva dequotazione ad opera del legislatore di tale originaria ideale impostazione attraverso interventi modificativi (il riferimento specifico è alla legge n. 15/2005), che, pur tuttavia, non hanno fatto recedere parte della dottrina e della giurisprudenza dal qualificare l’essenza della funzione come gestione e definizione di un rapporto, piuttosto che come manifestazione finale di volontà provvedimentale. 3. La certezza del diritto nell’ordinamento processuale amministrativo Occorre ora svolgere quale breve considerazione sulla risposta offerta dallo strumento processuale proprio dell’ordinamento particolare amministrativo, limitando ogni considerazione riguardo alla certezza del diritto rispetto alla sindacabilità del potere autoritativo. Qui, a differenza di quanto osservato in precedenza, il conflitto ruota intorno a valori di certezza che afferiscono al grado di effettività di tutela ed al significato attuale del diritto di cui all’art. 24 della Carta. Nel dibattito odierno si è intensificato l’insanabile e immanente contrasto tra esigenze di certezza dell’azione amministrativa, riconducibili ai suoi caratteri necessari di continuità e stabilità, tali da giustificare fin dalla nascita del sistema giustiziale la configurazione di un regime decadenziale del diritto di azione di annullamento, ed esigenza di tutela giurisdizionale della persona, implicanti una capacità di accesso al processo che non sia eccessivamente disagevole e discriminatoria; al riguardo, è appena il caso di richiamare le attuali criticità connesse ad un regime fiscale eccessivamente oneroso per chi intenda rivolgersi al giudice, condizione ostativa che finisce per aumentare, in via di fatto, una riserva di amministrazione che mal si concilia con l’epoca attuale in cui forte è sentita l’esigenza, attraverso la tutela dell’interesse legittimo, di assicurare controlli sull’azione pubblica, soprattutto ove si gestiscono e dispensano risorse economiche (il richiamo è a Corte Costituzionale n. 246/2015) . 8 Ad aggravare il contrasto ideale è ora la nuova parziale riscrittura dell’art. 120 del c.p.a., ad opera del d.lgs. 50/2016, che ha imposto al concorrente l’impugnazione ovviamente a pena di decadenza - di atti di ammissione di altri concorrenti alla gara. L’incidenza deflattiva sul contenzioso è percepibile, attesi gli elevati rischi connessi all’attivazione di un interesse processuale, effettivamente – e fino a questo momento secondo pacifica giurisprudenza – non attuale. Occorre chiedersi, pertanto, se esigenze di assicurare stabilità a determinati approdi procedimentali – segnatamente quelli riferibili alla fase di qualificazione dei concorrenti e, quindi, parziale e strumentale – possano giustificare una volontà normativa che, esasperando istanze di ipotetica certezza del diritto - magari inutili ove riferite alla preservazione dell’interesse pubblico - finiscano per scoraggiare il ricorso al giudice amministrativa che resta pur sempre, nell’architettura generale del sistema, un garante – forse l’ultimo - della legittimità dell’esercizio del potere. In ordine alla certezza del diritto rispetto al regime processuale restano sul tappeto tre ulteriori questioni. Innanzitutto, vi è quella inerente alla giurisdizione, sempre più oggetto di una verifica postuma in sede giurisdizionale, piuttosto che costituire patrimonio della cultura di giudici ed avvocati, se non addirittura degli stessi cittadini, come pur preteso dall’accezione programmatica della norma di cui all’art. 25 della Costituzione, che pone il paradigma quello del giudice naturale, da intendersi (anche) come quello precostituito per legge, ossia in base a criteri inequivoci. Ebbene, nonostante la giurisdizione debba essere certa a priori, sia come limite esterno della sua estensione, sia come limite interno, ritengo quasi superfluo ricordare le aspre e defatiganti contese tra le Supreme Magistrature che hanno dato vita a radicali conflitti in cui “vittima illustre” è stata proprio la certezza del diritto e l’affidabilità del sistema processuale in sé. Viene, pertanto, da chiedersi se l’istituzione di un organo decisore delle questioni (anzi, dei conflitti) di giurisdizione che sia a composizione mista, sul modello del Tribunale dei Conflitti dell’ordinamento francese, non possa contribuire alla soluzione di tali gravi problematiche di sostanziale rivendicazione del controllo giudiziario sull’azione pubblica; basti richiamare la nota “crisi della pregiudiziale amministrativa“ , originata dai principi individuati nella sentenza delle SS.UU. n. 500/99 (che, a parere, di chi scrive rappresenta un chiaro caso di eccesso di potere giudiziario, non essendosi , in linea di fatto, risolta nella soluzione di questione di giurisdizione, ma nel tentativo, tra l’altro incompiuto, di creare un istituto giuridico nuovo, quello dello statuto della responsabilità civile per danni da provvedimento), le cui incertezze interpretative e applicative avevano generato una vera e propria paralisi del sistema processuale amministrativo e civile, alla fine risolvendosi il tutto con il noto “armistizio” dell’art. 30 c.p.a. che, di fatto, ha lasciato immutata la strategia 9 processuale volta ad assicurare tutela risarcitoria a chi sia stato danneggiato da un provvedimento illegittimo. Ulteriore aspetto rilevante nella relazione tra certezza del diritto e ordinamento processuale riguarda la funzione nomofilattica affidata alle giurisdizioni superiori, nel caso del processo amministrativo, all’Adunanza Plenaria. Qui, tale compito si rivela assumere particolare importanza, in considerazione dell’immanente necessità di offrire un’interpretazione autorevole a norme amministrative di settore, alla luce dei principi generali che informano l’azione autoritativa della amministrazione pubblica. Investire l’Adunanza Plenaria di questioni interpretative è strumento che se da un lato assicura senz’altro stabilità a chiarezza agli operatori giuridici, dall’altro, se utilizzato in forma eccessiva, rischia di ingessare il dinamismo proprio del meccanismo di tipo induttivo del differenziarsi progressivo degli orientamenti nascenti nella giurisprudenza di primo grado, inaridendone di conseguenza le radici. Al riguardo, occorre compiere una riflessione sulla disposizione di cui all’art. 99, secondo comma c.p.a., secondo cui “prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d'ufficio, può deferire all'Adunanza Plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali”. L’attuale più intenso ricorso all’Adunanza Plenaria, oltre ad averne aumentato in modo esponenziale le pronunce rispetto alla media degli ultimi anni, ha finito per minacciarne la stessa autorevolezza e decisività solutoria, non essendo infrequenti situazioni di incertezza durevole interne allo stesso Consiglio di Stato, che oltre a contrastare con la funzione di unificazione e chiusura propria della funzione di nomofilachia, finisce – dando vita ad uno strano effetto di turn back – per affidare nuovamente alla giurisprudenza di primo la scelta tra più opzioni possibili, tutte “autorevoli”. E’ quanto accaduto a proposito della relazione tra ricorso principale e ricorso incidentale escludente in materia di gara per l’affidamento di contratti pubblici e, più recentemente, in ordine alla rilevanza dell’indicazione degli oneri di sicurezza interni nell’offerta; l’incertezza conseguente a tali ondivaghi orientamenti finisce per disorientare giudici, avvocati ed imprenditori, spesso chiamati a valutare la temerarietà di una lite, con le conseguenti ricadute in tema di aggravamento delle spese di giudizio. In questo senso, ci si domanda se, al di là della relazione dicotomica tra flessibilità e certezza del diritto, la funzione nomofilattica, da interpretativa, stia consolidando una sua capacità creativa, quale fonte atipica e rinforzata, a latere delle consuete fonti di produzione dell’ordinamento. Da ultimo, un cenno va operato al potere di conformazione della sentenza di annullamento nei confronti della futura azione da rinnovarsi a cura 10 dell’amministrazione. In questo caso la certezza del diritto si relazione con l’effettività della tutela giurisdizionale attraverso l’efficacia del dictum giudiziale. Da tale punto di vista, va riconosciuto che molta strada è stata percorsa migliorando la relazione funzionale tra ambito giurisdizionale di tutela e fase di riedizione del potere, che, seppur timidamente, sta qualificando la sentenza come elemento di correzione e di indirizzo del potere, accostando sensibilmente procedimento e processo in funzione della realizzazione del medesimo interesse pubblico. In conclusione, quale ultima suggestione, si potrebbe ipotizzare che la certezza del diritto rispetto a legittime istanze di giustizia troverebbe la sua massima espansione solo consentendo al giudice piena sindacabilità sull’azione amministrativa, sino a giungere alla possibilità di emanazione, oltre che di annullamento, anche di sentenze di revoca.