Prova 25
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Prova 25
• Il/La candidato/a legga il testo seguente Comunicare. Avevo imparato qualche parola di tedesco pochi anni prima, quando ero ancora studente, al solo scopo di intendere i testi di chimica e di fisica: non certo per trasmettere attivamente il mio pensiero né per comprendere il linguaggio parlato. Erano gli anni delle leggi razziali fasciste, ed un mio incontro con un tedesco, o un viaggio in Germania, sembravano eventi ben poco probabili. Scaraventato ad Auschwitz, nonostante lo smarrimento iniziale (anzi, forse proprio grazie a quello) ho capito abbastanza presto che il mio scarsissimo Wortschatz era diventato un fattore di sopravvivenza essenziale. Wortschatz significa “patrimonio lessicale”, ma alla lettera “tesoro di parole”; mai termine è stato altrettanto appropriato. Sapere il tedesco era la vita: bastava che mi guardassi intorno. I compagni italiani che non lo capivano, cioè quasi tutti salvo qualche triestino, stavano annegando uno a uno nel mare tempestoso del non capire: non intendevano gli ordini, ricevevano schiaffi e calci senza comprenderne il perché. Per molti italiani è stato vitale l’aiuto dei compagni francesi e spagnoli, le cui lingue erano meno “straniere” del tedesco. Ad Auschwitz non c’erano spagnoli, mentre i francesi ( più precisamente: i deportati dalla Francia o dal Belgio) erano molti, nel 1944 forse il 10% del totale. Alcuni erano alsaziani1, oppure erano ebrei tedeschi e polacchi che nel decennio precedente avevano cercato in Francia un rifugio che si era rivelato una trappola: tutti questi conoscevano bene o male il tedesco o il jiddish2. Erano i nostri interpreti naturali: traducevano per noi i comandi e gli avvenimenti fondamentali della giornata, ”alzarsi”, “adunata”, “in fila per il pane”, “chi ha le scarpe rotte?”, “per tre”, “per cinque”, eccetera. Certo non bastava. Io supplicai uno di loro, un alsaziano di tenermi un corso privato ed accelerato, distribuito in brevi lezioni somministrate sottovoce, fra il momento del coprifuoco e quello in cui cedevamo al sonno; lezioni da compensarsi con pane, altra moneta non c’era. Lui accettò, e credo che mai pane fu speso meglio. Mi spiegò che cosa significavano i ruggiti dei Kapos e delle SS, i motti insulsi o ironici scritti in gotico sulle capriate3 della baracca, che cosa significavano i colori dei triangoli che portavamo al petto sopra il numero di matricola. Era comune a tutti i Lager il termine Muselmann, “mussulmano”, attribuito al prigioniero irreversibilmente esausto, estenuato, prossimo alla morte. Ad Auschwitz “mangiare” si rendeva con fressen, verbo che in buon tedesco si applica soltanto agli animali. Per “vattene” si usava l’espressione hau’ab, imperativo del verbo abhauen; questo in buona lingua, significa “tagliare, mozzare”, ma nel gergo del Lager equivaleva a “andare all’inferno, levarsi di torno”. (adattato da Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi.) 1 Alsaziani: abitanti dell’Alsazia, regione al confine fra Francia e Germania Jiihiddish: dialetto degli ebrei dell’Europa centrale e orientale 3 Capriate : strutture portanti del tetto, di forma triangolare 2 1. La candidata, il candidato letto il brano proposto ricopiare intere frasi del testo (80-100 parole). lo riassuma al passato, senza 2. La candidata, il candidato immagini e riscriva il testo attraverso il racconto dell’alsaziano che ha insegnato a Levi il tedesco. ( 100-120 parole). 3. Wortschatz significa alla lettera “tesoro di parole” Spieghi la candidata, il candidato, alla luce della propria esperienza, il senso letterale della parola Wortschatz per quanto riguarda le sue conoscenze di lingua straniera e in particolare dell’italiano, “seconda lingua”. ( 180-200 parole)