Intervento del dott. Lopiparo - Società Italiana di Agronomia
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Intervento del dott. Lopiparo - Società Italiana di Agronomia
XXXIX Convegno Nazionale Società Italiana di Agronomia (SIA) 20 -22 settembre 2010 Intervento del Dott. Giovanni Lo Piparo, Direttore Generale del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) ___________________ Buongiorno a tutti. Desidero innanzitutto porgere i miei più sentiti ringraziamenti al Presidente Prof. Pier Paolo Roggero e a tutti componenti del Consiglio direttivo della SIA per l’invito rivoltomi ad inaugurare il 39° Convegno della Società. Questo Convegno, contrariamente al passato, si tiene in una sede dove non è presente una Facoltà di Agraria, bensì una nutrita serie di enti pubblici di ricerca che opera in agricoltura. E poiché il CRA ne porta la maggiore rappresentatività mi corre l’obbligo, nella mia qualità di Direttore Generale di tale Ente, porgere un ulteriore ringraziamento agli organizzatori per la sensibilità dimostrata. Il Convegno è articolato in tre sessioni: I: Agronomia e sistemi colturali II: Agronomia e ambiente III: Agronomia e politiche di sviluppo rurale cui seguirà una tavola rotonda sulle innovazioni scientifiche e tecnologiche in agricoltura e politiche nazionali alla luce degli scenari di riforma della PAC. 1 Ritengo utile nel mio intervento esporre alcune brevi considerazioni su i seguenti argomenti: - cambiamenti dell’agricoltura nell’ultimo mezzo secolo - nuovo ruolo dell’agricoltura - priorità del comparto agricolo - ruolo della ricerca. I cambiamenti dell’agricoltura nell’ultimo mezzo secolo Come è noto, la “rivoluzione verde” (green revolution), nata negli anni ’50 nel mondo occidentale e sviluppata ed esportata nei Paesi in via di sviluppo, ha consentito di raggiungere l’autosufficienza alimentare, ma anche, in un secondo tempo, costose eccedenze nei magazzini comunitari. Tale modello di sviluppo si è basato su significative innovazioni tecniche (introduzione di nuove varietà/cultivar/ibridi, sviluppo della meccanizzazione agricola, ingenti impieghi di fertilizzanti e agro-farmaci, tecniche colturali più adeguate, ecc.) ed è stato supportato da una forte struttura di ricerca internazionale e dallo sviluppo di grandi imprese fornitrici di mezzi tecnici per l’agricoltura, spesso organizzate su basi multinazionali. Si trattava di una agricoltura largamente orientata al mercato i cui obiettivi prioritari erano: aumento delle rese, maggiore assortimento di commodities, destagionalizzazione delle produzioni, standardizzazione dell’offerta. In termini macro-economici, l’aumento della produttività del suolo è stato realizzato mediante un profondo cambiamento strutturale, basato sulla 2 sostituzione del lavoro con il capitale; infatti, dal 1955 al 2003 gli occupati in agricoltura si riducono di quasi otto volte, la terra disponibile per ogni lavoratore passa da 2 ettari a quasi 20 ettari e le innovazioni tecnologiche di tipo genetico, chimico e meccanico fanno crescere di quasi sette volte la produttività del lavoro. Al crescere dell’efficienza del lavoro impiegato in agricoltura fa riscontro una diminuzione dell’importanza del settore nei confronti dell’economia nazionale; il contributo alla formazione del reddito nazionale si riduce, nel periodo considerato, da oltre il 23% al 2.3% e l’incidenza degli occupati in agricoltura sul totale degli occupati cala drasticamente da quasi il 40% a meno del 5% In tali agro-ecosistemi specializzati e industrializzati, sostenuti da forti input energetici, le tradizionali rotazioni agrarie sono state smantellate a favore di avvicendamenti di colture annuali redditizie, cha hanno procurato guadagni più consistenti a tutti gli operatori della filiera, ma anche svantaggi rappresentati dal degrado/consumo di risorse naturali (fertilità del suolo, qualità delle acque, biodiversità, ecc). Il nuovo ruolo dell’agricoltura Le nuove funzioni dell’agricoltura si compendiano nel concetto di multifunzionalità e si identificano nel ruolo polivalente del comparto: oltre che la semplice produzione di derrate, l’impresa agricola intercetta bisogni espliciti della comunità in termini di sostenibilità ambientale, di riduzione dell’inquinamento, di sicurezza alimentare, di prevenzione delle malattie nell’uomo e, più recentemente, di attenzione alle fonti energetiche rinnovabili 3 ed al cambiamento climatico. In altri termini, diventa pregnante la capacità, da parte del settore agricolo, di fornire alla collettività servizi non vendibili, eliminando o riducendo le esternalità negative e, soprattutto, producendo esternalità positive. Tali funzioni, che hanno come baricentro l’azienda agraria, hanno trovato un riconoscimento non solo sotto il profilo economico, ma anche sotto quello sociale e ambientale. Infatti, gli originari obiettivi della PAC (incremento della produttività, stabilità dei redditi degli agricoltori, autoapprovvigionamenti) sono stati rivisitati segnando il definitivo passaggio da una visione settoriale ad una visione sociale e territoriale delle politiche agricole. Al centro della rinnovata filosofia c’è il rapporto tra agricoltura, bisogni della società e dimensione rurale. Aggiornamento degli obiettivi L’esigenza di ricreare ecosistemi equilibrati e le richieste espresse da un consumatore sempre più esigente e attento alla qualità, sia dei prodotti freschi che di quelli trasformati dall’industria, hanno aggiornato i sistemi di produzione, guidati sempre più da criteri di eco-compatibilità e di ridotto impatto sull’ambiente. In tale scenario si collocano nuovi sistemi di agricoltura che vanno oltre quello convenzionale: “agricoltura guidata”, “agricoltura integrata”, “agricoltura “biologica”; tali regimi di coltivazione introducono nell’ecosistema minori input chimici, però richiedono una adeguata gestione sia della pianta che del suolo per indirizzare le attività agricole verso criteri in grado di contemperare gli interessi ambientali con quelli produttivi ed economici. L’agricoltura biologica, 4 in particolare, ha avuto in Italia una sorprendente crescita essendo praticata su una superficie di oltre 1 milione di ettari e coinvolgendo circa 48 mila aziende rappresentate, principalmente, da produttori agricoli (circa 42 mila) e, in misura minore, da trasformatori (circa 4 mila imprese) e importatori (175 imprese). Tale sistema agricolo è spesso considerato un romantico ritorno al passato, facendo affidamento su pratiche e scelte tecniche per lo più empiriche, risultando così poco competitivo rispetto al sistema convenzionale. L’approccio invece deve essere diverso e inteso come una evoluzione verso tecniche maggiormente compatibili con l’ambiente, resa possibile da significative innovazioni nei sistemi colturali. Ovviamente, il grande bisogno di innovazione può trovare nella ricerca, nelle nuove conoscenze e nella formazione professionale le occasioni per una sua puntuale realizzazione. Quindi, affinché il settore dell’agricoltura biologica prenda slancio, è necessario passare dai metodi empirici alla progettazione di soluzioni sostenibili, dall’improvvisazione alla pianificazione. Nuove “parole chiave” Nella rivisitazione dei modelli colturali convenzionali è necessario però non lasciarsi fuorviare da mode e dal pensiero dominante del momento, che possono essere generati da interessi di Gruppi/Organizzazioni mossi unicamente dal miraggio del facile profitto, senza un progetto lungimirante. Per orientarsi in questo quadro di competitività globale occorre rifarsi a parolechiave: la prima è sostenibilità. Nel nostro paese, per le sue tradizioni, peculiarità geografiche e produttive, vocazionalità colturale, si ritiene che 5 possano coesistere due approcci produttivi: uno attento alle realtà locali, che valorizzi le tipicità delle nostre produzioni; l’altro, praticato nelle aree intensive, che permetta il conseguimento di alte produzioni, però facendo uso di tecniche compatibili con la conservazione dell’ambiente e la sicurezza alimentare. Altra parola-chiave è la tutela del suolo. Cause diverse (cattiva gestione, sovra-sfruttamento agricolo, impatto delle attività antropiche sugli ecosistemi agro-forestali) provocano erosione del suolo che, in alcuni casi, è più veloce rispetto ai tempi naturali di rigenerazione. La degradazione del suolo avvenuta negli ultimi 40 anni ha provocato una diminuzione di circa il 30% della capacità di ritenzione idrica dei suoli italiani. Ciò impone l’adozione di pratiche colturali conservative: lavorazione a due strati, lavorazione minima effettuata solo in superficie (minimum tillage) e completa eliminazione di ogni tipo di lavorazione primaria del suolo (no-tillage). Altro concetto-chiave riguarda la rivisitazione del rapporto pianta-suolomicrorganismi su nuove basi conoscitive riguardanti, per esempio, le cinetiche di assorbimento e traslocazione degli elementi minerali, le simbiosi micorriziche con i microrganismi della rizosfera, i rapporti di allelopatia fra radici di specie diverse, la capacità di fitorisanamento dei siti inquinati da metalli pesanti. Altra parola-chiave, infine, è qualità. La qualità dei prodotti agro-alimentari, sia di massa che di nicchia, deve costituire un fattore chiave della competitività delle imprese italiane. Spesso, però, il miglioramento qualitativo è inteso come riproposizione di prodotti della gastronomia locale, basati su tecniche colturali tradizionali, piuttosto che innovative. Si tratta di una strategia che consente di 6 aprire interessanti nicchie di mercato, ma che stenta a conquistare un mercato di massa. Perciò, come prima accennato, l’agricoltura italiana deve coniugare una agricoltura di nicchia con una agricoltura intensiva fatta seguendo i principi della sostenibilità. Priorità del comparto agricolo In questo scenario, quali sono le priorità del settore agricolo e i conseguenti indirizzi da dare alla ricerca ed alla sperimentazione? In breve, se ne possono indicare le seguenti: - tutela del suolo, attraverso un approccio integrato che consenta di favorire la conservazione di questa risorsa nei suoi aspetti fisici (erosione, compattamento), chimici (inquinanti, accumulo di fertilizzanti, sostanza organica) e biologici (equilibrio della fauna, funzionalità delle comunità microbiche); - gestione delle risorse idriche, strategico in molte filiere produttive. Si deve basare: i) su innovazioni agronomiche idonee a ridurre le quantità globali di acqua apportate alle colture migliorandone l’efficienza; ii) sull’uso a scopi irrigui di acque di bassa qualità (salmastre, reflue, ecc.); iii) sulla selezione varietale di piante meno esigenti; - identificazione di itinerari colturali ecosostenibili, cioè che consentano una migliore gestione della fertilità del suolo e delle risorse idriche (gestione del suolo, dinamica dei nutrienti, controllo delle fitopatie, controllo delle infestanti); 7 - recupero delle rotazioni agrarie e, nel loro ambito, di specie tradizionali delle aree meridionali (leguminose foraggere e da granella), in grado di fornire un contributo essenziale all’affermarsi di avvicendamenti sostenibili e rispettosi dell’ambiente; - selezione e sviluppo di cultivar migliorate, cioè resistenti alle avversità e idonee a coltivazioni con nullo/basso uso di prodotti chimici (fertilizzanti di sintesi, insetticidi, diserbanti, ecc.); - difesa da infestanti e parassiti con metodi innovativi (basati su rivisitazione dei concetti di rotazione, collocamento del ciclo colturale, ripristino degli equilibri dell’entomofauna e uso di antagonisti naturali); - miglioramento della qualità e della valenza salutistica del cibo, attraverso molteplici interventi: dalla selezione di microrganismi probiotici per la realizzazione di alimenti funzionali, allo sviluppo di prodotti minimal treated (IV e V gamma), alla identificazione di descrittori che qualificano la materia prima ed i prodotti che da essa derivano e ne tracciano il legame con il suolo, il territorio di provenienza e il metodo di produzione (tracciabilità); - miglioramento e innovazione delle tecnologie di post-raccolta e di trasformazione industriale nelle principali filiere agro-alimentari. L’interesse per le problematiche del post-raccolta deriva: i) dalla esigenza di conservare il più a lungo possibile le caratteristiche qualiquantitative del prodotto e garantirne la sicurezza e la salubrità al consumatore; ii) dal fatto che un sempre maggiore numero di operatori è coinvolto in tale fase (trasporto, 8 condizionamento, stoccaggio, distribuzione); iii) dalla crescita della domanda di prodotti freschi, minimamente trattati, che presentano maggiore conservabilità senza che ne sia pregiudicata la qualità; - riorientamento dei sistemi agricoli verso colture con nuove destinazioni (innovazioni di processo e di prodotto). La produzione di agro-energie è destinata a diventare una nuova frontiera dell’agricoltura; l’Italia, tuttavia, in considerazione della sua spiccata vocazione alimentare, ritengo, non sarà tra i protagonisti mondiali di questa attività. Le agroenergie possono costituire, invece, una occasione importante di integrazione del reddito agricolo attraverso il recupero e la valorizzazione energetica degli scarti di lavorazione agricola, dei reflui zootecnici, del legname ricavato dalla manutenzione dei boschi. Si tratta, comunque, di un settore in cui bisogna essere cauti per non seminare illusioni: produrre biomassa da colture dedicate significa poter attingere a congrue disponibilità idriche che consentano alle piante di crescere molto e in breve tempo; è la nostra situazione? forse no, almeno per gli areali del Sud e del Centro Italia; i presunti cambiamenti climatici probabilmente accentueranno questi limiti, che potrebbero essere superati da ingenti investimenti di risorse nella ricerca biotecnologica per lo sviluppo di modelli di piante adatti a tali areali ed a tali produzioni; - riorganizzazione della filiera per garantire la possibilità alle famiglie a reddito medio-basso, di acquistare a prezzi convenienti i prodotti alimentari di qualità. E’ necessario riorganizzare il sistema dei passaggi che determina l’incremento di valore dei prodotti agricoli dalla terra alla 9 tavola: un sistema che vede a volte quadruplicare o quintuplicare il prezzo all’origine. Le filiere agro-alimentari vanno quindi razionalizzate, accorciate e, soprattutto, riposizionate su un nuovo ruolo del mondo agricolo: gestione diretta della prima distribuzione o la prima trasformazione, vendita diretta dei prodotti agricoli, fruizione simmetrica del valore aggiunto da parte di tutte le figure della filiera (produttori, trasformatori, distributori). Il ruolo centrale della ricerca Il ruolo della ricerca è fondamentale per sviluppare nuovi itinerari colturali e nuovi modelli di pianta che riescano a coniugare alta produzione con basso/nullo apporto della chimica. Tali interventi ruotano intorno a tre concetti chiave: “Filiera” (ovvero approccio di sistema), “Interdisciplinarietà” (ovvero integrazione di competenze diverse), “biodiversità” (ovvero valorizzazione di specie con peculiarità agronomiche diverse). Tuttavia, è noto, che la situazione italiana della ricerca agraria e agroindustriale è caratterizzata da una molteplicità di istituzioni indipendenti scarsamente coordinate tra di loro, che fanno riferimento a diversi Ministeri e alle Regioni; tale situazione deve essere, inoltre, contestualizzata: i) in un sistema agricolo che nel nostro paese è assai variegato e che mai come in questo periodo si trova ad affrontare sfide complesse; ii) nella esiguità di risorse finanziarie interne destinate alla ricerca, che costringe sempre più a considerare i bandi europei e internazionale i principali canali per acquisire finanziamenti. Tali considerazioni fanno emergere la necessità di promuovere 10 una crescita complessiva del sistema ricerca e la sua competitività internazionale per vincere le sfide con altri Gruppi, spesso molto più attrezzati e organizzati di noi. Da quanto brevemente accennato, scaturisce la esigenza di uno stretto coordinamento di tutta la comunità scientifica del nostro Paese che opera in agricoltura su tematiche prioritarie per gli operatori del settore e per le imprese. Deve essere perseguita e stimolata l’interazione tra ricerca e impresa: ciò permette di affiancare al processo culturale, scientifico e sperimentale della ricerca il processo imprenditoriale connesso con la produzione di innovazione. E’ forse utile ricordare che il livello di collaborazione tra Università/Enti di ricerca e Impresa colloca il nostro Paese tra gli ultimi posti nell’Europa allargata. Il CRA, con le sue 47 Strutture, rappresentate da 15 Centri e 32 Unità di ricerca distribuite su tutto il territorio nazionale, possiede ottime potenzialità per corrispondere alle nuove esigenze di ricerca e sperimentazione del settore agricolo e forestale. Dispone di competenze a tutti i livelli, dalla ricerca di base a quella applicata ed a quella dimostrativa. La rete sul territorio pone il CRA nelle condizioni di collaborare non solo con le Università, il CNR e tutti gli altri Enti di Ricerca, ma di integrarsi anche con gli enti istituzionali territoriali, con le imprese e con le Regioni attraverso le loro Agenzie territoriali. Infatti, l’Ente è impegnato a sviluppare il coordinamento e l’attivazione di accordi di partenariato con il CNR e l’ENEA, oltre che con gli altri Enti posti, come il CRA, sotto la vigilanza del medesimo Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. 11 Evidentemente, il CRA non ha la pretesa di fare tutto da solo, ma intende continuare le collaborazioni esterne che tradizionalmente hanno sempre caratterizzato gli ex-Istituti IRSA del MIPAAF; anzi, come si è appena ricordato, è impegnato a stringere sinergie sempre più strette con le altre istituzioni di ricerca del nostro Paese, prima di tutto con le Facoltà di Agraria. I recenti Progetti PON hanno fornito un chiaro esempio di integrazione fra esperienze/competenze diverse che hanno portato alla formulazione di molte proposte a partecipazione condivisa. Grazie dell’attenzione e buon lavoro a tutti. 12