Il territorio di mezzo La morfologia naturale, è

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Il territorio di mezzo La morfologia naturale, è
Tratto dalla Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi - IL FLAMINIO n°9 - 1996 - Edita dalla Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane
FRANCO POSOCCO
PAESAGGIO E TRADIZIONE URBANA
NELLA "SINISTRA PIAVE"
Il territorio di mezzo
La morfologia naturale, è ben noto, condiziona lungo il corso della storia la
sequenza delle colonizzazioni umane, influenzando la nascita delle città, la
configurazione dei paesaggi, cioè in gran sintesi l'intero assetto del territorio.
Ma tale vicenda, tutt'altro che lineare, non è priva di complessità, contraddizioni
e conflitti, i cui esiti si compongono e si accumulano nel deposito continuo di
strati successivi, dei quali la forma odierna è la risultante visibile.
Pur celato in tale geologia antropica, nessun segno materiale va perduto, poiché
esso, quand'anche obliterato o disperso, ha interagito con altri successivi
interventi, di cui ha condizionato la nascita e la configurazione.
In questa prospettiva, riguardante il processo genetico dell'insediamento nel
Nord-Est del nostro paese, appare evidente, quale supporto del modellamento
antropico, una sorta di geometria naturale formata essenzialmente dal fascio di
linee arcuate e pressoché concentriche, che si dispongono a partire dalle Alpi
orientali e comprendono le catene prealpine collinari, nonché, più in basso, altri
degradanti allineamenti goemorfologici, quali la fascia delle risorgive, il bordo
delle lagune (o delle bonifiche) ed infine quello del litorale marittimo.
Questo insieme essenzialmente orografico si incrocia con un altro sisteFRANCO POSOCCO. Architetto, già Segretario Regionale per il Territorio,
autore di numerosi interventi e pubblicazioni in tema di urbanistica e di politica
del territorio, con particolare riferimento al Veneto.
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ma, formato dal ventaglio dei fiumi, che scendono dai rilievi e convergono,
secondo un disegno tendenzialmente polare, verso il golfo adriatico.
Il territorio veneto, riguardato attraverso lo schema strutturale dianzi descritto,
appare ideograficamente suddiviso in porzioni ritagliate dalle due famiglie di
connotati altimetrici ed idrografici, cui si è fatto riferimento; in tal senso si può
affermare che topografia e storia hanno continuamente interagito, dando luogo
ad una sequenza insediativa, che è in ogni momento la risultante di una goe
grafia volontaria.
I grandi fiumi, a quanto è dato sapere, separano infatti le zone di influenza
gallica ed etrusca da quelle abitate dai veneti, così come le Alpi costituiscono
per lungo tempo un limes per le tribù del Nord; allo stesso modo gli estuari
consentono la penetrazione dei popoli marittimi (fenici, greci, etc.) ed i valichi
la formazione di itinerari mercantili verso l'interno del continente, mentre le
isole fluviali, le anse, le alture, le chiuse, favoriscono il sorgere delle città e dei
castelli.
Anche le risorgive ebbero qui un peso importante, se si pensa che il console
Postumio costruì l'omonima via sui terreni asciutti posti appena a monte della
linea, che collega i fontanazzi.
Sulle infide acque lagunari, che un tempo circondavano l'intero arco adriatico
dal Po all'Isonzo, per diversi secoli era stabilito il confine fra l'impero d'Oriente
e quello d'Occidente.
In tale sempre mobile contesto, pur nell'invarianza geografica, è possibile
riconoscere l'identità strutturale di un territorio dimezzo, come è quello
compreso fra il Piave ed il Livenza, che le più recenti vicende hanno reso
subalterno ad altri sistemi urbani e che tuttavia presenta, anche dal punto di
vista culturale ed ambientale, caratteri propri e particolari specificità nelle
tipologie insediative e nella tradizione paesaggistica.
Proprio il paesaggio sembra essere ancor' oggi il protagonista espressivo e
l'immagine sintetica di un'area, in cui la dimensione urbana, pur talvolta illustre,
si presenta tuttavia modesta e disaggregata, tanto che l'insediamento appare
come un sistema a maglia coordinata, più che un organismo gerarchicamente
polarizzato.
Il paesaggio antico seguiva la trama delle fascie concentriche prima accennate:
al cordone dei litorali e delle paleodune marittime seguiva la cintura peri
adriatica delle lagune e degli stagni, su cui si affacciava la grande selva
fetontea: un bosco di latifoglie, che copriva interamente la pianura e di cui
esistono alcuni brevi lacerti a Cessalto, a Basalghelle, a Gaiarine, a Cavalier,
nonchè numerosi toponimi (Busco, Salvatronda, Roncadelle, Cimadolmo,
Roverbasso, Codognè, Salgareda, etc...
Zone prative si alternavano alla foresta: non solo quelle determinate dal
disboscamento paleoveneto, ma anche quelle, che si stendevano nelle zone
umide di esondazione dei fiumi, fra cui val la pena di menzionare per la loro
suggestione i Pra dei Gai, le cui motte fungevano da osservatorio astronomi6
co in epoca preromana.
La selva si diradava verso le grave e le terre alte del Campardo, per poi
cambiare gradatamente essenza sulle colline e sulle montagne, ove iniziavano le
conifere e si infittivano gli insediamenti primitivi.
La pianura opitergina e quella cenedese furono interessata da diversi progetti di
centuriazione agraria di epoca romana, ancora leggibili nella razionalità della
trama poderale e nella disposizione degli insediamenti, soprattutto nelle zone
più asciutte ed in quelle, che si sono sottratte alla divagazione fluviale; lo
ricordano i toponimi di Campo di pietra, Levada, Bigonzo, etc.
Dal punto di vista strutturale il territorio, di cui si parla, data la sua forma
approssimativamente rettangolare, appare caratterizzato da un asse di simmetria:
quello che partendo dal mare, là dove i bizantini avevano fondato la città di
Heraclia-Cittanova, percorre l'incerto crinale, che separa i due fiumi nel
territorio di Oderzo, per poi salire verso S. Vendemiano, intersecare la morena
di Colle Umberto e penetrare nella valle Lapisina, addentrandosi nella media
valle del Piave.
Il valico del Fadalto rappresenta infatti una delle principali porte alpine, quella
che attraverso l'itinerario di Alemagna, fin dall' epoca paleoveneta collegava il
mare con il bacino danubiano; lo testimoniano le stazioni preistoriche cenedesi e
la stessa nodalità di Oderzo, che si caratterizza come luogo di mercato e di
incrocio fra l'accessibilità acquea e quella terrestre, se è vera l'ipotesi
geomorfologica, che il Piave, sempre divagante, fosse più vicino alla città in
epoca preistorica e passasse, in età ancora più remote, per il lago di S. Croce e la
valle del Meschio.
Poco sappiamo dell'organizzazione amministrativa preromana, se non che era
tribale e policentrica; il potere latino dovette tenerne conto, se si considera
l'articolazione dei municipia ed il fatto, che la circoscrizione opitergina
certamente comprendeva il territorio a montibus usque ad mare a Plavi usque
adLiquentiam, che in antico contraddistingueva quella diocesi di Ceneda, erede
della cattedra episcopale di Oderzo, quando la città fu completamente rovinata
(667 d.C.).
L'assetto politico determinatosi durante il ducato longobardo e la contea franca,
che sembra aver attribuito a Ceneda il territorio fra i due fiumi, così come
assegnava a Treviso la zona dal Piave al Muson e a Concordia Portogruaro
quella dal Livenza al Tagliamento, si consolida in epoca feudale con la signoria
dei da Camino.
Proprio nel medioevo tale dinastia riorganizza il sistema di città e di
fortificazioni relativo a questo territorio, associando il castello di Camino presso
Oderzo con le imponenti mura di Serravalle e dando luogo ad uno stato di
passo, che si estendeva dalle lagune marittime fino allo spartiacque di
Cimabanche (castello di Podestagno), per controllare un itinerario trans alpino,
che utilizzava gli approdi interni di Motta, Portobuffolè e Torre
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di Mosto, nonchè quelli esterni di Caorle e Sacile.
Insidiato ad Est dal Patriarcato di Aquileia, ad Ovest da Treviso e a SudOvest da
Venezia questo principato ebbe vita breve e tuttavia nel corso di due secoli,
caratterizzati da alterne vicende, fu in grado di procedere, col concorso di altre
dinastie alleate: i Porcia, i Collalto, i Colfosco, nonchè della contea vescovile di
Ceneda e Tarzo all'incastellamento del territorio ed alla sua organizzazione
insediativa e infrastrutturale.
Il territorio opitergino si era a Sud ristretto a quella, che è ancor oggi la parte
trevigiana; il bradisismo infatti aveva esteso le lagune e cancellato le città
costiere (Equilium, Heraclia, Cittanova), tanto che solo Caorle si era salvata,
perchè protetta dal cordone delle dune litoranee.
Il primo allineamento urbano si dispose quindi lungo la "Callalta" (Motta,
Oderzo), mentre da Treviso partiva l'itinerario "ongaresco", che univa i castelli
in riva al Piave (ad es. Rai di S. Polo), con quelli liventini (ad es. Francenigo,
Cordignano, etc.), nonchè il monastero di Tempio di Ormelle con quelli di
Orsago e di S. Odorico sul Tagliamento.
Se il Piave era in tale contesto essenzialmente un vasto letto di divagazione
torrentizia, invece il Livenza era sede di attività produttive, di mulini, di
commerci ed era attraversato da ponti stabili, su cui si costituirono paesi e città.
L'insediamento
In ogni organismo metropolitano la densità insediativa tende a diradarsi con il
crescere della distanza dal nocciolo centrale; è così anche nel Veneto, dove la
maggiore compattezza degli abitati si può riconoscere nell'area che comprende
Venezia-Mestre, Padova e Treviso e dove la contiguità dei manufatti quasi si
dissolve nei prolungamenti urbani e nelle direttrici di relazione, che innervano i
territori più esterni.
La "Sinistra Piave" sotto tale profilo sembra presentare una struttura urbana più
gracile rispetto a quella dell'adiacente area trevigiana, non solo perchè
quest'ultima è parte integrante della metropoli centro-veneta, ma anche per lo
stacco, che il fiume determina nell'assetto insediativo, non meno che in quello
funzionale.
Se consideriamo città quelle che hanno una storia più antica per l'epoca di
fondazione, per la presenza costante di poteri civili o ecclesiastici, per la
dotazione di cinte murarie, che rinserrano un compatto centro storico di epoca
medievale, allora dobbiamo riconoscere che solo Vittorio Veneto (Ceneda e
Serravalle), Conegliano, Oderzo, Portobuffolè e Motta di Livenza possiedono
almeno uno dei requisiti predetti, mentre altri abitati, pur cospicui per
dimensioni e funzioni, sembrano piuttosto fungere da aggregati
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centrali di complesse unità insediative disposte dentro alle valli, sulle pendici,
lungo gli itinerari viari e fluviali o costituire l'estensione di un luogo forte, un
castello, un ponte od un'altra struttura di rilievo territoriale.
Si tratta quindi di città incomplete: nessuna in grado di essere l'indiscusso
capoluogo, che infatti è posto altrove; Vittorio Veneto innanzitutto sembra non
aver ancora concluso il processo di aggregazione avviato nel 1866 con la
fusione tra Ceneda e Serravalle, Oderzo non dimostra di essersi mai più ripresa
dalla tremenda distruzione operata dal longobardo Grimoaldo, mentre
Portobuffolè e Motta, tramontata la funzione portuale, pur diversamente tra loro,
paiono essere regredite ad una dimensione locale.
Neppure Conegliano, che tuttavia è di recente emersa sulle altre nei ruoli
produttivi e commerciali, sembra aver conseguito quel livello di eccellenza e
rarità dei servizi e delle dotazioni, che consentono ad una città si svolgere quella
egemonia territoriale ancora oggi assegnata ai capoluoghi provinciali
circostanti.
Ma al di là di queste difficoltà nella progressione dello sviluppo, che del resto
caratterizzano usualmente la competizione urbana, proprio le città predette ed i
sistemi insediativi, che ne derivano, sembrano manifestare una grande ricchezza
di espressioni cittadine e di tradizioni civili.
Serravalle e Ceneda innanzitutto, nella loro alterità strutturale e formale,
sembrano indirizzate verso una associazione per complementarietà, che realizza
un sistema duale, ove la compatta città di montagna, il borgo laico ed
industriale, che munisce la valle e si erge verticalmente sulle quinte della stretta,
si compone con le articolazioni del sistema insediativo cenedese, che
distribuisce le strutture della contea vescovile e dell'organizzazione agraria sulle
colline e le terrazze, che delimitano il vasto spazio aperto verso la morena e la
pianura retrostante.
Le attività produttive della paleoindustria poste lungo l'asta del Meschio e la
rigorosa maglia insediativa del Centro sembrano costituire il nuovo sistema di
relazioni fra i borghi preesistenti ed il paesaggio. All'eleganza delle strade
porticate, delle piazze e delle acque di Serravalle sembra fare da contrappunto
l'armonia delle figurazioni paesaggistiche cenedesi con i castelli sui colli, le
chiese e le ville disposte in un contesto di masse arboree, orti e giardini.
Se Vittorio è una città articolata, invece Conegliano appare, anche
figurativamente, rinserrata attorno al polo centrale del Castello, vero asse di
simmetria, da cui si dipartono le linee concentriche del nucleo storico e, oltre il
"Refosso", dell'abitato più recente; il colle è una vera acropoli, che lo Jappelli
decorò con un tempio neoclassico: la villa Gera, prospettante sulla pianura.
I parchi, i vigneti, le ville, l'acqua del Monticano di compongono ancora in un
organismo assai coerente, la cui figurazione è strutturalmente formata dalla
visuale ottica, che unisce la Stazione al Castello e che interseca nella
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piazza del Municipio la porticata curva del Salizà (la via XX Settembre).
Anche a Conegliano vi sono due città; a quella antica, che costituisce il nocciolo
centrale e l'onore del territorio, si associa la periferia, che la cinge intorno; qui la
città moderna non è interna, come a Vittorio, poichè essa forma una cintura, che
si estende lungo gli assi dell'organismo radiale, dando luogo alla conurbazione.
In Oderzo le due città più che nello spazio si dispongono nel tempo.
Vi è infatti una città antica e latente, distesa in pianta sotto la superficie di
quella odierna: è la Opitergium romana, che riappare ogni qualvolta si esplora il
sottosuolo e si tolgono gli strati di più recente accumulazione.
Si possono allora scoprire mosaici e basolati, vie e porti, residenze e templi,
segnali di una grande stagione urbana irrimediabilmente lacerata.
Ma un'altra città, anch' essa virtuale, appare in alzato, quando si restaurano le
case del centro storico e si ritrovano gli indizi delle preesistente medievali:
facciate a fresco, come a Serravalle, a Treviso e a Conegliano, archi acuti,
brandelli di fortificazioni segnalano le strutture del borgo murato, che
approfittava forse di un'isola fluviale, ove il passo era più agevole.
Anche Portobuffolè, come Sacile, Sesto al Reghena ed altri castelli dell'agro
opitergino e concordiese, è costruita su un'isola, in questo caso riferita ad un
vecchio corso del Livenza, poi raddrizzato per motivi idraulici.
La diversione fluviale e l'abbattimento delle mura, assieme alla soppressione
della podestaria veneziana, qui non sostituita, come invece a Motta e Oderzo, da
magistrature mandamentali austriache o italiane, ha determinato l'arresto dello
sviluppo: Portobuffolè mostra intatto il suo piccolo borgo, quasi del tutto privo,
se si eccettua qualche opificio deturpante, di espansioni moderne periferiche.
Come Oderzo e Portobuffolè, anche Motta di Livenza conserva la sua matrice
fluviale; sul grande spazio dell'ansaliventinaprospettano gli scarsi resti del
castello medievale, cui si è sostituita la città d'epoca veneziana, che dalla piazza
si estende con i suoi palazzetti nella direzione del Santuario mariano; tuttavia la
nobiltà dell'impianto urbano alla Motta, come a Porto, è rivelata dalla
successione dei modi costruttivi negli edifici e nell'arredo urbano lungo un
intervallo culturale, che va dal gotico al neoclassico.
Si era prima accennato alla presenza nel territorio della Sinistra Piave di
numerosi sistemi insediativi extraurbani, veri organismi articolati, che associano
paesi e borgate in strutture gerarchiche, lungo le quali si estende nel territorio la
funzione ordinatrice svolta dalla città e si organizza l'armatura infrastrutturale.
Anche in questo caso è la morfologia territoriale a suggerire le modalità
dell'aggregazione e la stessa configurazione spaziale dell'abitato, il cui luogo
centrale è solitamente individuato da una piazza delimitata da edifici
monumentali e prestigiosi (Valdobbiadene, Pieve di Soligo, Cordignano, 5.
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Polo di Piave, Cessalto, etc.).
Un primo sistema, centrato in Valdobbiadene, si distende attorno alle pendici
del Cesen, dalla stretta di Fener alla sella di Combai; si tratta di un insediamento
lineare di grande effetto paesaggistico, sia per la sequenza dei vigneti, che
risalgono la montagna, sia per la prospettanza verso il vasto solco scavato dal
Piave in direzione del Montello e della pianura.
La lunga altura montelliana, per quanto ubicata al di là del fiume, sembra
costituire il margine d'orizzonte per un altro sistema lineare: quello del Quartier
del Piave, posto ai piedi dei rilievi solighesi, da Vidor a Refrontolo, che poi
prosegue, divagando per le colline felettane, in direzione di Conegliano; il
grande arco collinare sottende il proprio centro in Pieve di Soligo: insediamento
referenziale per tutta l'organizzazione insediativa circostante.
A monte di questi insiemi, lungo la linea di faglia, che stacca le Prealpi dalle
alture sottostanti, si stende un esile filamento urbano, da Miane a Serravalle,
passando per Follina, Cison di Valmarino e Revine-Lago: uno dei più notevoli
allineamenti di borghi antichi, castelli, chiese, rustici disposti sulle ineguali
pendici della montagna e delle colline antistanti, in un paesaggio antico di laghi,
boschi e colture.
Anche le pendici del monte Pizzoch ed il breve sistema di alture, che si stende
ai suoi piedi, sono sede di un complesso organismo insediativo, che associa la
linea dei paesi alti (Sonego, Fregona, Osigo, Montaner), con i borghi collinari
(Cappella Maggiore, Sarmede) e con quelli allineati lungo il Meschio (Pinidello,
Cordignano), fino ad incontrare gli abitati di tappa posti lungo l'ongaresca (S.
Fior, Godega di 5. Urbano, Orsago).
Ma nella pianura, dove più varia è l'associazione insediativa, sembrano
emergere le direttrici aggregative rivierasche: innanzitutto quella che si svolge
lungo il margine sinistro del Piave, che da Susegana, porta a Tezze, Cimadolmo
e quindi a S. Polo, Ormelle, Ponte di Piave, per raggiungere, oltre Salgareda, il
Sandonatese; essa collega i vari guadi: quello di Nervesa, della Priula, del
Palazzon, della Bocca Callalta e di Noventa; si tratta di passi relativi ad un
fiume non navigabile, salvo con le zattere, spesso asciutto, ma sempre ampio e
di alveo incerto.
Diversa è la linea dei paesi sulla sponda destra liventina; il Livenza ed i suoi
affluenti costituiscono infatti un sistema in gran parte navigabile, ove la
costanza del fondale e la stabilità delle sponde, consentono agli abitati di
avvicinarsi al fiume e di usarlo direttamente; se il Piave respinge l'insediamento
lontano dalle sue grave, il Livenza invece: a Sacile, Francenigo, Portobuffolè,
Motta e 5. Stino, è caratterizzato dalla presenza di strutture urbane poste a
cavaliere della via d'acqua e con questa intimamente connesse.
Anche il modesto Piavon, del pari un tempo navigato, allinea i borghi di Ceggia,
Cessalto, Chiarano e Piavon, lungo una direttrice, che poi prosegue,
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oltre Oderzo, verso Conegliano.
La rete descritta da questi sistemi, che si diffonde dalla montagna al mare e dal
Piave al Livenza, sembra costituire l'ordinamento insediativo primario, cioè
un'invariante strutturale, che ha nel tempo consentito alle diverse città, nessuna
tanto egemone da essere totalizzante, di estendere la propria influenza e il
peculiare servizio al resto del territorio.
Il paesaggio
L'unità formale e strutturale di questo ambiente è tuttavia rappresentata nella
Sinistra Piave dalla figurazione paesaggistica, che costituisce un connettivo, ove
acquistano significato espressivo, sia le presenze della natura antropizzata, sia
quelle costituite dalle preesistenze urbanistiche ed architettoniche, che nel
tempo si sono andate accumulando.
È dunque il panorama, nel senso letterale del termine, la vera manifestazione
linguistica di questa terra, uno spazio formalmente definito, compreso tra i
monti e il mare e tra i due fiumi, che conterminano per gran parte la metà
orientale della provincia di Treviso.
La sezione ideale, che risale dal mare alla montagna, consente di seguire lungo
il gradiente altimetrico innanzitutto il progressivo paesaggio da un ambiente
marittimo costiero alla bassa pianura, che si distende nel suo entroterra: quella,
assai prossima alla laguna, formata dalla Piave vecchia, prima delle diversioni
veneziane e quella del Livenza, che del pari divagava nelle valli e nelle paludi
retrostanti il porto di Caorle.
Si tratta di un contesto ormai irriconoscibile, non solo nei vasti spazi della
bonifica, che ora sostituisce gli specchi d'acqua, ma anche nel litorale, ove un
allineamento di dune, boschi e zone umide è ora omologato dalla triste palazzata
balneare.
Ma già nel Sandonatese superiore, attorno alla via Triestina, erede della
consolare Annia, quindi a Torre di Mosto, a Ceggia, a 5. Stino ed ancor più nel
basso agro opitergino: a Cessalto, Chiarano, Campobernardo, la trama dei canali
e dei fossi perde la rigida geometria del tracciato idraulico, impresso più a sud
dalla bonifica ed anche la maglia dell' appoderamento si fa più minuta ed
articolata, mentre si riconoscono i relitti delle siepi, dei filari e dei boschetti, che
un tempo determinavano la spazialità e costituivano I' arredo della campagna ed
ora vengono progressivamente cancellati per dar luogo alla meccanizzazione
generalizzata delle monocolture.
La complessità ed organicità della trama rurale aumenta ancora nelle zone di
risorgiva, a Fontanelle, Lutrano, Bibano, Vazzola, 5. Polo, poichè la ricca
idrografia contamina il reticolo poderale, che viene interrotto da brevi stagni,
masse vegetali e comunque da presenze di natura.
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La differenza tra il paesaggio agrario recente, vero deserto verde, e quello
antico, che caratterizza ancora le zone opitergine salvatesi dagli interventi di
ammodernamento agrario, si nota anche nella fittezza degli insediamenti, che è
crescente man mano che si sale verso il bordo collinare e nella presenza di ville,
abbazie, barchesse ed altre strutture storiche, in genere preesistenze delle
diverse organizzazioni insediative e produttive, che si sono succedute su questa
terra e che ne punteggiano l'ordinamento spaziale.
Il tempo e gli uomini hanno infatti ridotto a puri toponimi il bosco planiziale di
Busco, la torre bizantina di Fine, la zona umida di Tremeacque, la strada
romana di Campo di Pietra, mentre la prima guerra mondiale ha distrutto ogni
edificazione precedente lungo il bordo del Piave, da Fener a Cortellazzo.
E tuttavia appare ancora leggibile l'assetto agrario, che l'imprenditoria
aristocratica veneziana aveva impresso a vaste aree rurali attorno alla
longheniana villa Lippomano ai Gai di 5. Vendemiano, alla villa Marcello di
Fontanelle, alla villa Papadopoli di 5. Polo di Piave, alla villa Giustinian di
Portobuffolè, alla palladiana villa Zeno al Donegal di Cessalto, alla villa
Toderini di Codognè, ove il riassetto produttivo sembra tener conto dell'ordine
centurale romano e di alcune sistemazioni monastiche effettuate nei loro beni
dalle diverse abbazie (Busco, Orsago) ed istituzioni ecclesiastiche presenti nella
zona.
Ma avvicinandosi al bordo collinare o entrando nelle brevi valli del Meschio,
del Monticano e del Soligo il paesaggio rurale sembra mutare profondamente
non solo per la presenza delle grave, dei campardi, delle masiere e di una
idrografia superficiale più povera, ma anche perchè l'assetto agrario, assai
antico, si è definito all'interno dei numerosi feudi castellani, secondo una
molteplicità di colture e di destinazioni ignote alle più estensive aree della bassa
pianura.
Le abbazie benedettine di 5. Bona di Vidor e di Sanavalle (Follina), con le loro
opere di sistemazione integrale, hanno determinato l'assetto del Quartier del
Piave e della Vallata, non meno dei Collalto, dei Brandolini, dei da Lezze, dei
Balbi Valier, dei Mocenigo, dei Lucheschi, cui si devono importanti
sistemazioni agrarie nelle loro proprietà.
Ma il protagonista di questo paesaggio è certamente costituito dalla collina e
dall'assetto figurativo, che esso, sul fondale delle Prealpi, ha assunto dalla stretta
di Fener a Cordignano.
Si tratta di un ambiente complesso, che comprende, nelle più elevate parti
montane, zone culturalmente legate ai modi costruttivi feltrini e bellunesi, come
si può notare nei solivi di Segusino, Stramare, Milies, nonchè nei borghi alti del
Serravallese e della Vallata: Fais, Maren, 5. Lorenzo di Montagna, Combai,
Valmareno, Tovena, oche si possono assimilare a quelli del pedemonte
liventino, come gli abitati posti lungo l'allineamento che, attorno al Cansiglio,
va da Fregona a Montaner e Rugolo e poi, lungo la
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strada patriarcale, prosegue per Villa di Villa e Caneva verso Polcenigo e
l'entroterra sacilese.
La montagna infatti legava un tempo popolazioni appartamenti a diversi
versanti, ma associate dall'uso dei pascoli, dall'allevamento del bestiame e dalla
coltura del bosco, per far legname o carbone.
Il sottostante arco di collina, che in ordinate catene successive si distende da
Valdobbiadene a Vittorio Veneto, nonchè attorno a Conegliano ed alle morene
del Meschio, compone un sistema di paesaggi tra i più noti e celebrati, che
ricorda ancora, laddove per brandelli si è conservato, i fondali della Rinascenza
veneta e la pittura dell'armonia.
E la vite l'elemento/carattere unificante di tale ambiente: a Col 5. Martino, a 5.
Pietro, a 5. Stefano, a Soligo, nel Felettano, a Vidor e Cappella Maggiore, dove
la minuta trama della coltivazione e la complessità delle associazioni arboree dà
luogo ad un giardino rurale; l'intrico delle valli e l'emergenza di castelli, ville,
chiese, rustici, borgate e centri storici creano figurazioni coerenti a Solighetto, a
Farra di Soligo, a Collalto e 5. Salvatore di Susegana, a Colle Umberto, 5. Pietro
di Feletto e Collalbrigo, ove agricoltura e architettura sembrano associate
indissolubilmente ed appartenere l'una all'altra nella definizione dello scenario
formale e dei suoi caratteri figurativi.
Ma questa immagine antica si può ora percepire solo in alcune zone marginali,
in quei lacerti di paesaggio storico, ove si è mantenuto l'uso e l'assetto di un
tempo.
Ai piedi dei colli infatti, lungo la strada napoleonica, un tempo famosa per
l'imponente sequenza dei platani, dal Ponte della Priula a quello della Muda, si
snoda ininterrotto il paesaggio industriale contemporaneo, con le sue dissonanze
ed il suo informalismo.
La moderna periferia sembra assediare i centri storici, i colli ed i connotati
naturali più importanti, mentre la campagna è oggetto di una disseminazione di
residenze e di fabbriche, che molto più opportunamente si sarebbero potute
agglomerare in Lone compatte, evitando il consumo di territorio e la
contaminazione del paesaggio.
Anche le ghiaie del Piave sono oggetto di scavo incontrollato e la valle dei laghi
lapisini dell'ingombrante intrusione autostradale.
E tuttavia, guardando le foto d'inizio secolo, si può osservare che i monti si
vanno rimboschendo, che le colture pregiate migliorano nelle zone a
denominazione controllata, che molti monumenti, rustici, barchesse, colmelli e
ville vengono restaurati con amore e destinati a funzioni attuali, tuttavia
compatibili.
È quindi lecita la speranza di poter godere anche in futuro di quei luoghi, che
furono il fondale delle pitture di Giovanni Bellini, Giambattista Cima, Tiziano
Vecellio, e che ora sono l'accorato scenario delle poesie di Andrea Zanzotto.
Queste pagine non sarebbero inutili se inducessero uno soltanto, tra quanti sono
dediti al fare, ad intendere insieme la misura di questo patrimonio territoriale e a
conservarne l'umanità.