7. Il potere di contestare il rendiconto dell`amministratore

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7. Il potere di contestare il rendiconto dell`amministratore
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LEG A LE
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7.
Il potere di contestare il rendiconto dell'amministratore
condominiale, spetta solo all'assemblea? Ipotesi ricostruttiva
della
condizione
della
minoranza
nei
confronti
della
deliberazione di approvazione del conto.
(Il Corriere del merito, 4, 2010, 375)
La sentenza affronta il problema della ammissibilità di azioni individuali di
contestazione del conto ed a contenuto risarcitorio da parte di singoli
condomini nei confronti dell'amministratore del condominio, successivamente
all'approvazione del rendimento annuale del conto da parte dell'assemblea, e
senza
la
tempestiva
proposizione
dell'impugnazione
della
relativa
deliberazione. La sentenza risolve il problema affermando la prevalenza della
volontà di approvazione del condominio, ritualmente formatasi in assemblea in
attuazione del principio maggioritario che ne caratterizza l'amministrazione,
rispetto alla volontà dei singoli condomini i quali sono tenuti a proporre le loro
contestazioni, esclusivamente mediante lo strumento dell'impugnazione della
deliberazione.
Il caso affrontato dal Tribunale e la sentenza
Con la sentenza che si annota il Tribunale salernitano non esita ad assumere
una posizione abbastanza tranchant sulla questione, peraltro non nuova, della
possibilità
che
successivamente
alla
deliberazione
assembleare
di
approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore in adempimento della
obbligazione prevista dall'articolo 1130 comma 2 c.c., possano sopravvivere
oltre il termine di impugnazione previsto dall'articolo 1137, posizioni soggettive
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tutelabili autonomamente mediante azioni individuali da parte di condomini
non consenzienti (contrari, astenuti o assenti). Così impostato il tema del
decisum, pare logico osservare preliminarmente che la ultrasettantennale
disciplina del condominio (il nucleo di quella codicistica risale al regio decreto
legislativo 15 gennaio 1934 n. 56) non presenta ancora un accettabile
assestamento, in termini di ragionevole certezza del diritto, della sistemazione
dei rapporti tra collettività condominiale e singoli condomini, tant’é che il tema
della soggettività del condominio oscilla tuttora tra la negazione pura e
semplice e l'affermazione di una personalità limitata, in corso di elaborazione
ed in progress. In effetti la giurisprudenza di merito e di legittimità è propensa
prevalentemente a negare la personalità giuridica anche limitata del
condominio, specie in occasione di decisioni influenzate dalle peculiarità dei
casi decisi e finalizzate alla affermazione del principio della autonoma
legittimazione in giudizio dei condomini, coesistente con la legittimazione
dell’amministratore1 nei processi nei quali sia parte il condominio. Tuttavia, a
prescindere da questo specifico profilo processuale del problema, è innegabile
che esistono situazioni nelle quali una pur limitata personalità del soggettocondominio emerge insopprimibilmente, e non mancano in giurisprudenza
affermazioni in questo senso
2
(ma non si muove certo in questa direzione il
1
Tra le altre, Cassazione , sez. II civile, 4 luglio 2001, n. 9033, in Giust. civ. Mass. 2001,
1326, in Riv. giur. edilizia 2001, I,1057; conforme, Cassazione, sez. II civile, 28 giugno 2001,
n. 8842, in Giust. civ. Mass. 2001, 1286.
2
“ L'ordinamento giuscivilistico, pur riconoscendo al condominio una sia pur limitata
personalità giuridica, attribuisce pur tuttavia ad esso potestà e poteri di carattere sostanziale
e processuale, desumibili dalla disciplina della sua struttura e dai suoi organi, così che deve
ritenersi applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la
norma dettata in materia di società, per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione
dal diritto di voto di tutti quei condomini che, rispetto ad una deliberazione assembleare, si
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recente e noto arresto della Corte di Cassazione, Sez. Un., 8 aprile 2008, n.
9148 sulla parziarietà delle obbligazioni condominiali).
In fatto, come risulta dalla lettura della motivazione della sentenza che
si annota, due condomini avevano convenuto in giudizio l'amministratore del
condominio, in proprio, nonché alcuni componenti del consiglio di condominio,
proponendo le loro confronti e con riferimento a tre distinte annualità,
domande di rendimento del conto, nonché la loro condanna al risarcimento
dei danni in conseguenza del loro comportamento che gli attori assumevano
illecito quanto alla gestione di spese straordinarie e di lavori di manutenzione,
non meglio precisati. È quindi ragionevole ipotizzare che gli attori intendessero
imputare ai convenuti (anche se, in realtà, l'obbligo di rendimento del conto e
di amministrazione fa carico al solo amministratore e non al consiglio del
condominio, che ha funzioni generalmente consultive oltre che di controllo
preparatorio rispetto a quello dell'assemblea), sul piano sostanziale,
comportamenti di mala gestio, e sul piano formale, l'irregolare rendimento
pongano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto con quello del condominio.
Ai fini della invalidità della delibera assembleare, peraltro, tale conflitto non è configurabile
qualora non sia possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra ragioni personali
che potrebbero concorrere a determinare la volontà dei soci di maggioranza ed interesse
istituzionale del condominio.” (Cassazione civile , sez. II, 18 maggio 2001, n. 6853, in Giust.
civ. Mass. 2001, 1009, in Riv. giur. edilizia 2001, I, 805).
“Il condominio è un ente, il quale seppur sprovvisto di personalità giuridica distinta da quella
dei singoli partecipanti, provvede alla gestione collegiale di interessi individuali, con
sottrazione o compressione dell'autonomia individuale. Pertanto ben può porsi come filtro
ovvero come organizzazione di più basso livello rispetto ad un'associazione in cui
confluiscono interessi dei medesimi individui, attinenti (come nella specie) all'inserimento
urbanistico delle proprietà condominiali.” (Lodo Arbitrale, 20 dicembre 2001, in Dir. e giur.
2002, 295).
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annuale del conto o dei conti. Tuttavia, e questo è essenziale agli effetti
dell'esatto inquadramento della fattispecie, risulta dalla sentenza che
l'assemblea del condominio aveva approvato i tre rendiconti e che nessuno
degli attori aveva impugnato le relative deliberazioni ai sensi e nel termine di
cui all'articolo 1137, onde la loro contestazione avveniva dopo la scadenza del
termine decadenziale. È anche da precisare che dalla motivazione della
sentenza non emerge un profilo della questione rilevante per quanto si dirà, e
segnatamente se gli specifici fatti di cattiva amministrazione attribuiti ai
convenuti, fossero stati conosciuti o fossero conoscibili al momento della
deliberazione di approvazione.
In proposito il Tribunale ha assunto una posizione di elementare
chiarezza, rilevando che "la mancata impugnativa delle relative delibere
precludono (rectius, preclude) così l'azione di responsabilità al singolo
condomino che si ritenga leso dall'attività dalle iniziative arbitrarie dello stesso
(amministratore, ndr.) Per le attività di gestione dei beni e dei servizi
condominiali (arg. da Cassazione Civile, sezione seconda, 2 ottobre 1992 n.
10338)". Continua la sentenza osservando che "i poteri dei singoli condomini
relativi al controllo dell'operato dell'amministratore, (che) si esauriscono con la
partecipazione e con il voto in assemblea e, eventualmente, con le
impugnazione delle delibere." In sostanza, il nucleo argomentativo della
sentenza appare imperniato sulla affermazione della prevalenza nella
amministrazione condominiale, del principio maggioritario, in forza del quale
la maggioranza dei condomini forma la volontà del condominio (ente di
gestione dotato di soggettività elementare ed embrionale), che è contestabile
solo per vizi di legittimità e nel breve termine di cui all'articolo 1137, con la
conseguenza che al di fuori della assemblea che è la sede propria nella quale
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la volontà del condominio si forma e dopo che l'assemblea ha ritualmente
deliberato, le volontà dei singoli soggetti dissenzienti non assumono più
alcuna rilevanza, quali che siano le ragioni della contestazione. La sentenza
esclude così la ammissibilità di una azione individuale di responsabilità del
condomino dissenziente o meglio non consenziente (se assente o astenuto)
nei confronti dell'amministratore dopo che l'assemblea abbia deliberato di
approvarne l'operato, e ciò nel presupposto che il soggetto-condominio ha già
manifestato la sua volontà e che la eventuale diversa volontà dei singoli
condomini non assume più alcun rilievo nei riguardi del rapporto di mandato
che lega l'amministratore ai condomini, in quanto il principio maggioritario, che
nell'assemblea disciplina la formazione della volontà del soggetto-condominio,
determina la fusione e la riduzione ad unità di tutte le volontà e quindi
l'assorbimento di quelle minoritarie, o più in generale, in generale, non
consenzienti.
Lo stato della giurisprudenza ed i precedenti
Bisogna dire che il principio così affermato non è nuovo 3, trovando
esatta corrispondenza in un precedente in termini della Corte di Cassazione
3
In proposito e nello stesso senso della sentenza che si annota, Tribunale Milano, 30
novembre 1995, in Arch. locazioni 1996, 954, secondo la quale “Posto che destinatario del
rendiconto di gestione è l'assemblea quale tipica espressione della collettività condominiale
mandante, l'approvazione del rendiconto stesso in sede assembleare rappresenta di per sé
fatto impeditivo dell'ulteriore esercizio di poteri di controllo sulla gestione economica da parte
del singolo condomino, salva l'ipotesi di invalidità della deliberazione assembleare per
eccesso di potere sotto i profili procedimentali e/o sostanziali, ricorrenti qualora l'assemblea
abbia fatto malamente uso della propria discrezionalità in danno della posizione del singolo
condomino esprimendo il proprio benestare nei confronti dell'operato dell'amministratore che
abbia in concreto impedito al singolo una verifica documentale preventiva ovvero che abbia
esposto costi non corrispondenti ad esborsi di effettiva competenza della collettività.”
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(sez. II, 20 aprile 1994, n. 3747, in Giust. civ. Mass. 1994, 535) ove si afferma
che ai sensi degli art. 1135 e 1337 c.c. la deliberazione dell'assemblea
condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore può
essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito
dall'art. 1137 comma 3 c.c. solo per ragioni di mera legittimità e non di merito,
restando esclusa ogni diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non
essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i
provvedimenti
adottati
dalla
maggioranza
se
non
nella
forma
dell'impugnazione della delibera. Ancora, nel senso della chiusura alle
iniziative individuali dei condomini dopo la definitività delle deliberazioni
dell'assemblea e seppure avanzate nel presupposto di una lesione dei loro
diritti, Cassazione, sez. II civile, 7 maggio 1988, n. 3395 (Giust. civ. Mass.
1988, fasc.54). Sembra dunque che il Tribunale di Salerno si sia mosso con
sicurezza nel solco di principi affermati e sperimentati, sui quali tuttavia appare
4
La sentenza così motivo sul punto: "Questa Corte osserva, in relazione al primo motivo,
che, in realtà, non può un condomino, assente o rimasto comunque in minoranza in sede di
assemblea sulle questioni poste all'ordine del giorno, esperire azione ex art. 2043 c.c. contro
la maggioranza dei condomini, per "comportamenti", più o meno diligenti, inerenti (e non
esorbitanti) alla trattazione delle questioni medesime e alle deliberazioni (siano queste ultime
positive o negative o dilatorie). In simili situazioni, al condomino dissenziente non restano
esperibili, nei confronti della maggioranza dei condomini, azioni diverse da quelle
specificamente contemplate nelle norme di cui agli artt. 1137 cc. (in ipotesi di deliberazioni
contrarie alla legge o al regolamento condominiale) o art. 1105 c.c. (in ipotesi di omesso
provvedimenti necessari per l'amministrazione della casa comune), disposizioni richiamate
nella sentenza impugnata. In caso contrario, la deliberazione condominiale, così come
qualsiasi decisione collegiale, una volta approvata ritualmente e non impugnata dai
dissenzienti, forma per se stessa, ad ogni effetto, un unico (unum et idem), non frazionabile
nei singoli componenti del condominio, né tra maggioranze e minoranze: gli uni e gli altri
agiscono nell'esercizio di un loro diritto alla formazione della deliberazione collettiva, per cui,
nei loro rapporti, non può il comportamento essere considerato causa di danno ingiusto."
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utile soffermarsi con un minimo di attenzione critica, allo scopo di riscontrare
con riferimento ad una gamma più diversificata di fattispecie, l'esattezza del
principio della prevalenza, in ogni caso, della volontà dell'assemblea rispetto
alle volontà individuali finalizzate alla tutela di diritti vantati da singoli
condomini.
Per la soluzione del problema è utile distinguere le deliberazioni in
relazione al loro contenuto
Credo che in primo luogo, nell'ambito delle deliberazioni aventi efficacia
all'interno dell'ordinamento condominiale e quindi delle deliberazioni aventi
contenuto organizzativo dei servizi e delle modalità di uso delle parti
comuni, a scopo di tutela, di manutenzione e di gestione ordinaria e
straordinaria di queste così come di regolamentazione dei comportamenti dei
residenti, si debbano individuare quelle deliberazioni che relazione al loro
contenuto determinano una contrapposizione tra la compagine condominiale
ed alcuno o alcuni dei suoi partecipanti, nei confronti dei quali il condominio
intenda far valere o contestare l'esistenza di un diritto (Cassazione civile, sez.
II, 7 giugno 2000, n. 7727, in Giust. civ. Mass. 2000, 1243; Arch. locazioni
2001, 425).
La fenomenologia condominiale è ricca di esempi: l'assemblea delibera
di vietare ad un condomino determinati lavori in parti di proprietà esclusiva
ovvero un determinato uso della sua proprietà oppure l’utilizzazione di parti di
parti comuni, come ad esempio, di vietare la sopraelevazione al di sopra
dell'ultimo piano nel dubbio della presenza dei presupposti di cui all'articolo
1127 o di usare la porzione di un piazzale, per parcheggio di autovetture; di
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richiedere ad un condomino il pagamento di una determinata indennità, ovvero
di rifiutare un certo rimborso; di proporre una azione giudiziale nei confronti di
un condomino e simili.
Nei confronti di questo tipo di deliberazioni è, in primo luogo, certamente
ammissibile un'azione di impugnazione da parte del condomino che si
ritenga leso e che intenda contestare la legittimità (con eccezione, al più, per
la deliberazione di promozione di una azione giudiziale, da contestare in
quella sede). I vizi deducibili sono quelli di legittimità, anche sotto lo specifico
profilo dell'eccesso di potere, mezzo di impugnazione (di notoria derivazione
dal sistema della patologia dei provvedimenti amministrativi), ritenuto
ammissibile anche nei confronti delle deliberazioni condominiali 5, e tale che
consente di impingere, relativamente, nel merito del provvedimento sia pure
sotto il limitato profilo dell'abuso dei poteri da parte della maggioranza
dell'assemblea (denominazione, questa ultima, di derivazione dall'ordinamento
societario6), finalizzato al proprio vantaggio ed a danno della minoranza. In
proposito si può notare che l'eccesso di potere, inteso propriamente non come
inopportunità o non convenienza della deliberazione quanto al merito delle
5
Ex multis, Cassazione civile , sez. II, 20 aprile 2001, n. 5889; Cassazione civile, sez. II, 14
ottobre 2008, n. 25128, in Giust. civ. Mass. 2008, 10 1479; Cassazione civile , sez. II, 3
dicembre 2008, n. 28734, in Diritto & Giustizia 2008; Tribunale Roma, sez. V, 18 maggio
2006 in Il merito 2007, 6 34. Occorre tuttavia è considerare che nonostante l'estensione del
sindacato giurisdizionale sulle delibere dell'assemblea di condominio anche al vizio di
eccesso di potere, resta il principio secondo il quale lo scrutinio giudiziale non può
estendersi alla valutazione del merito ed al controllo della discrezionalità di cui dispone
l'assemblea, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità (Cass. 11 febbraio 1999 n. 1165),
e tale è ritenuto il vizio di eccesso di potere, anche se inevitabilmente, il controllo sul corretto
uso del potere discrezionale dell'assemblea, consente di attingere il merito di certe scelte.
6
In generale, sull'abuso di maggioranza il diritto societario, Angelo Mangione “Abuso di
maggioranza" ed "abuso d'autorità" nella gestione d'impresa: dogmatica ed ermeneutica
nell'applicazione dell'art. 61, n. 11 c.p., In Riv. it. dir. e proc. pen. 1998, 2, 529.
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scelte discrezionali dell'assemblea, ma come sviamento dei poteri propri
dell'assemblea
per
il
conseguimento
di
finalità
estranee
all'istituto
condominiale a vantaggio della maggioranza, si presta alla sua tradizionale
qualificazione anche come azione di nullità delle deliberazioni, quindi
proponibile senza limiti di tempo, ancorché la nullità sia stata fortemente
ridimensionata, quanto ai presupposti, da Cassazione, sez. un. civili, 7 marzo
2005, n. 4806.
Casi nei quali l'iniziativa individuale dei singoli condomini può essere
ammessa
Quindi, avuto riguardo agli anzidetti diversi tipi di deliberazioni ed alla
condizione di contrapposizione che può determinarsi tra condominio e
condomino, appare ammissibile l'azione diretta da parte di quest'ultimo sia per
l'affermazione della nullità della deliberazione ritenuta lesiva, sia per
l'affermazione del proprio diritto ritenuto leso o per la contestazione del diritto
e della pretesa del condominio, indipendentemente dalla impugnazione di atti
deliberativi e senza incontrare limiti di tempo se non quelli derivanti dalla
prescrizione (se si tratta di rapporti obbligatori o di servitù) ovvero dalla
usucapione.
Infatti, a ben vedere, l'interazione tra principio maggioritario che
presiede alla formazione della volontà dell'assemblea e termine decadenziale
ex articolo 1137 che sbarra ai condomini non consenzienti ogni successiva
contestazione, può valere laddove la volontà dell'assemblea espressa dalla
deliberazione incida su posizioni soggettive dei singoli condomini, tipiche della
partecipazione alla compagine condominiale (in pratica si tratterà di
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deliberazioni relative alla gestione dei servizi, alla manutenzione delle parti
comuni e dal loro uso), ma non può valere a restringere una posizione di
diritto soggettivo che compete al condomino in quanto titolare di diritti reali,
ovvero di diritti egualmente tutelabili erga omnes quali, tanto per fare qualche
esempio, il diritto alla inviolabilità del domicilio, il complesso dei diritti e delle
garanzie connesse alla protezione dei dati personali, il diritto alla integrità ed
alla reintegrazione patrimoniale in caso di danneggiamento di beni di proprietà
esclusiva, così come il diritto a commisurare le proprie eventuali obbligazioni
nei confronti del condominio entro i limiti della propria responsabilità e non
oltre. Così, se una deliberazione condominiale ha stabilito, a maggioranza, di
riconoscere ad un condomino un certo risarcimento ovvero all'opposto, di
pretenderne il pagamento, non vedo come la possibile lesione alla integrità
patrimoniale del condomino interessato che contesti la congruità degli importi
(e quindi in relazione alle circostanze, il diritto ad essere integralmente
risarcito ovvero a corrispondere il giusto risarcimento e non di più), possa
essere fatta valere esclusivamente entro i limiti di legittimità e nel rispetto del
termine di decadenza di cui all'articolo 1137. Inoltre non tutti i casi sopra
indicati possono essere qualificabili come motivi di nullità della deliberazione,
quindi impugnabile senza limiti di tempo, onde la pretesa del singolo
condomino di tutela giudiziale di una determinata posizione soggettiva che
non può venire compressa dalla volontà della maggioranza condominiale,
deve ritenersi tutelabile (beninteso se viene siano i presupposti) anche
prescindendo dalla impugnazione della deliberazione, o previa la sua
disapplicazione come atto presupposto illegittimo. Il principio è avvertito in
qualche, non frequente, decisione di merito, quale Tribunale Parma, 9
dicembre 1991 (in Arch. locazioni 1992, 128) secondo la quale "Agisce, non
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quale condomino, ma come proprietario esclusivo (e quindi come terzo
rispetto al condominio) chi chiede il risarcimento di danni alla proprietà
esclusiva cagionati dalla mancata manutenzione di parti comuni dell'edificio e
la delibera condominiale che respinge tale pretesa risarcitoria non è
impugnabile, perché non pregiudica il diritto del condomino ad agire
giudizialmente, quale terzo, nei confronti del condominio per ottenere il
risarcimento dei danni."
L'azione individuale di contestazione del rendiconto: presupposti e limiti
Si può tornare alla sentenza del Tribunale di Salerno osservando che la
prospettiva di un'azione diretta del condomino leso da una deliberazione
dell'assemblea, non più impugnabile per scadenza del termine, si pone anche
con riferimento alla categoria delle deliberazioni aventi efficacia esterna, con
le quali il condominio forma e manifesta la sua volontà destinata ad avere
effetti sui rapporti giuridici con soggetti esterni al ceto condominiale: si
delibera, per esempio, di contestare o non contestare taluni vizi dell'opera di
un appaltatore e di transigere sulle rispettive pretese, di assumere o licenziare
un dipendente, di agire o non agire per ottenere il rispetto di un contratto, e
con riferimento alla materia del contendere oggetto della sentenza che si
annota,
di
approvare
o
non
approvare
il
rendiconto
annuale
che
l'amministratore ha reso in adempimento al disposto dell'articolo 1130, comma
2º, nella condizione di terzo rispetto alla comunità dei condomini mandanti. In
proposito sembra sostenibile il principio secondo il quale, in generale, la
disponibilità del rapporto di amministrazione condominiale e dell'obbligo di
rendiconto, spetta al soggetto-condominio che può esercitare tutti i diritti e le
facoltà che ne discendono, come la facoltà di approvarlo e di ritenerlo reso
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regolarmente ovvero di non approvarlo, mentre tale facoltà non spetta ai
singoli condomini, come esattamente ritenuto dalla sentenza del Tribunale di
Salerno. E la stessa affermazione può valere per rapporti contrattuali di altro
tipo, come quelli che derivano dai contratti di appalto, di fornitura di beni e
servizi e di somministrazione, con la conseguenza che l'assemblea
condominiale dispone della facoltà di deliberare l'accettazione di certi lavori, di
quantificare transattivamente un certo corrispettivo, di determinare con finalità
conciliative l'importo di obbligazioni risarcitorie tanto a favore quanto a carico
del condominio. In questi casi varranno i principi secondo i quali le
deliberazioni dell'assemblea possono essere contestate per violazione di
legge o di regolamento, mentre resta del tutto insindacabile l'esercizio di poteri
discrezionali propri di questo tipo di scelte di amministrazione7. Né si deve
7
La giurisprudenza di legittimità afferma infatti che “Nel caso di contratto di assicurazione
stipulato dal condominio, in persona dell'amministratore, la circostanza che il condominio sia
ente di gestione, privo di personalità giuridica, non comporta che ciascun condomino possa
agire, nel proprio interesse, nei confronti dell'assicuratore, spettando all'amministratore la
rappresentanza del condominio contraente della polizza nell'interesse di tutti i condomini.”
(Cassazione civile , sez. III, 20 febbraio 2009, n. 4245, in Red. Giust. civ. Mass. 2009, 2). Ed
ancora: Il principio per cui essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità
distinta da quella dei suoi partecipanti, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non
priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta
partecipazione, né quindi del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata
legittimamente assunta dall'amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di
impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti
dell'amministratore stesso che vi abbia fatto acquiescenza, non trova applicazione nei
riguardi delle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di deliberazioni della assemblea
condominiale che come quelle relative alla gestione di un servizio comune tendono a
soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione stessa, senza attinenza diretta
all'interesse esclusivo di uno o più partecipanti, con la conseguenza che in tale controversia
la legittimazione ad agire e quindi ad impugnare spetta in via esclusiva all'amministratore, la
cui acquiescenza alla sentenza esclude la possibilità di impugnazione da parte del singolo
condomino. (Nella specie il ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello emessa nel
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trascurare il profilo della tutela dell'affidamento che il terzo contraente può
fondare sulla legittimità della deliberazione condominiale.
Nondimeno, ferma questa regola generale, l'argomento imperniato sulla
prevalenza della soggettività del condominio quale titolare del rapporto
contrattuale rispetto a quella dei singoli partecipanti, non può escludere
l'azione individuale del condomino che, a prescindere dalla (e scaduto il
termine per la) impugnazione della deliberazione ex articolo 1137, intenda far
valere la nullità parziale o totale del negozio giuridico autorizzato
dall'assemblea o la sopravvenienza di fatti dai quali possono discendere diritti
per i condomini. Potrebbe infatti essersi verificata l'accettazione da parte del
condominio di clausole contrattuali nulle, o la rinuncia a diritti non disponibili
(provenienti, ad esempio, dall'articolato sistema normativo di tutela dei diritti
del consumatore). Inoltre, per venire al caso della sentenza che si annota,
l'approvazione del rendiconto quanto alle questioni dedotte o anche solo
deducibili sulla base della documentazione e delle pezze di appoggio
presentate, non può valere come rinuncia ad eventuali future contestazioni
sollevabili con riferimento alla successiva scoperta di comportamenti dolosi
o gravemente colposi dell'amministratore, ignoti al momento della resa del
conto e della sua approvazione, rispetto ai quali ex articoli 1229 e 1713 non è
consentito
all'assemblea
di
escludere
o
limitare
preventivamente
la
giudizio di impugnazione di delibera assembleare relativa alla ripartizione delle spese di
pulizia del fabbricato, cui l'amministratore aveva fatto acquiescenza, era stato proposto da
alcuni condomini rimasti estranei al giudizio di merito).” (Cassazione civile , sez. II, 29 agosto
1997, n. 8257, in Giust. civ. Mass. 1997, 1569, in Arch. Loc. Cond., 1997, 982; conforme:
Cassazione civile , sez. II, 12 marzo 1994, n. 2393, in Giust. civ. Mass. 1994, 299); Giust.
civ. 1994, I,3159 nota De Tilla; in Arch. Loc., 1994, 542).
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responsabilità dell'amministratore. Si può anche immaginare la scoperta della
falsità di certa documentazione di spesa, l'occultamento di ricavi e
pagamenti, fatti di appropriazione di denaro, ed, in tema di appalto, la rinuncia
preventiva a far valere nei confronti dell'appaltatore gravi difetti e difformità
non conosciuti, e tuttavia contestabili ex articolo 1669 c.c.8 Si tratta di
situazioni, che si ignora quanto confrontabili con la fattispecie decisa dalla
sentenza di Salerno (che non entra nei dettagli dei fatti), nelle quali la lesione
dei diritti dei condomini appare imputabile non tanto alla deliberazione che non
può essere affetta da nullità per fatti sopravvenuti, quanto direttamente al
comportamento
dall'amministratore
del
terzo
contraente,
ipoteticamente
infedele,
nel
a
caso
favore
rappresentato
del
quale
la
deliberazione, a suo tempo intervenuta su altri presupposti, non potrebbe
valere come barriera rispetto a specifiche iniziative individuali del singolo
condomino a tutela del suo patrimonio e che trovassero fondamento nella
8
Da segnalare, in sintonia con quanto qui sostenuto, Tribunale Milano, 27 giugno 2005, n.
7460 (in Arch. locazioni 2006, 4 439), ove si afferma che "La delibera assembleare di
approvazione del rendiconto non preclude la contestazione in sede di proposizione di azione
risarcitoria da parte del Condominio contro l'ex amministratore, sia per il carattere
dichiarativo e confessorio dell'atto di approvazione del conto, revocabile o modificabile in
caso di dolo o colpa grave del mandatario (ex art. 1713 c.c.), sia perché l'assemblea (ex art.
1130 n. 3 e 1135 c.c.) può approvare e autorizzare pagamenti soltanto ove si riferiscano a
spese effettivamente erogate per la manutenzione delle parti comuni dell'edificio e per
l'esercizio dei servizi comuni, onde tale presupposto manca quando l'amministratore richieda
il rimborso di somme esposte come erogate nell'interesse della collettività condominiale, ma
invece trattenute con indebita appropriazione (con inopponibilità della preclusione derivante
dal decorso del termine ex art. 1137 ult. comma c.c., potendosi profilare la nullità della
delibera di approvazione del rendiconto). In questo caso l'azione successiva all'approvazione
del rendiconto da parte dell'assemblea, è stata proposta dal condominio, ma i principi
affermati nella sentenza ed in particolare la possibile nullità della deliberazione di
approvazione nel caso di scoperta di infedeltà dell'amministratore, consentono di ritenere
ammissibile anche l'azione individuale.
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scoperta di fatti in grado di alterare la resa del conto, ignoti e nemmeno
conoscibili al momento della approvazione da parte dell'assemblea. In tal
caso ogni singolo condomino sarebbe legittimato ad agire nei confronti
dell'amministratore, senza che nemmeno si possa profilare una sorta di
precedenza del condominio, come se l'inerzia di questo valesse come ulteriore
presupposto dell'azione individuale. Allo stesso modo l’ulteriore intervento
dell'assemblea che pretendesse di disporre, a maggioranza, dei diritti non
rinunciabili dei condomini conseguenti all'emersione di determinati fatti lesivi
non considerati in precedenza, sarebbe illegittima e non varrebbe egualmente
ad impedire iniziative individuali, del tipo di quelle che la sentenza oggetto di
questo commento ha ritenuto inammissibili.
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