Breve storia della macchina per scrivere
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Breve storia della macchina per scrivere
I primi passi della macchina per scrivere La macchina per scrivere che oggi conosciamo è nata nella seconda metà dell’Ottocento, ma la sua invenzione può essere considerata un fatto collettivo a cui hanno collaborato in molti, ciascuno portando un contributo più o meno elevato di genialità e innovazione. La storia della scrittura meccanica addirittura si perde nei secoli passati. Cronache del 1500 riferiscono di un meccanismo inventato dal romano Rampazzetto e descritto come “una sorta di scrittura tattile” fatta di dadi di legno, montati su aste, recanti caratteri in rilievo. Altre notizie del 1575 citano una macchina del genovese Cereseto; nei primi anni del ‘600 il francese Journal des savants afferma che un certo Leroy di Versailles, orologiaio del Re Sole, ha presentato a Luigi XIV una macchina per scrivere a leve. Un altro congegno basato su tasti con caratteri in rilievo è costruito e brevettato nel 1713 dall’inglese Henry Mill; probabilmente questo, come altri strumenti dell’epoca che non hanno seguito, non è pensato come mezzo per facilitare la scrittura, ma per offrire ai ciechi la possibilità di scrivere. E’ solo verso la metà dell’Ottocento che la ricerca di una valida soluzione di scrittura meccanica diventa un tema di maggiore interesse; lo affrontano sulle due sponde dell’Atlantico numerosi inventori, ciascuno dei quali dà un contributo, più o meno importante, per arrivare infine alla “writing machine” dell’americano Christopher Latham Sholes, sfruttata commercialmente dalle officine Remington a partire dal 1873 e considerata oggi la prima macchina per scrivere professionale (uno studio inglese uscito nel 1973 enumera ben 52 precursori di Sholes…). Quando molti inventori di nazionalità diverse contribuiscono a dare una soluzione a un problema, spesso avviene che ogni nazione tenda a rivendicare il merito principale di uno dei suoi cittadini. Così è avvenuto anche per la macchina per scrivere. Tra i nomi meritevoli di memoria storica nella prima parte dell’Ottocento vi sono quelli di Pietro Conti, che nel 1823 presenta il suo “tachigrafo”; nel 1829 l’americano William Austin Burth costruisce un “typograph”; nel 1833 il francese Xavier Progin realizza la “plume ktypgraphique”; un altro francese, Gustave Bidet, nel 1837 inventa il “compositeur typographique mécanique”. Questi e altri congegni più o meno curiosi e ingegnosi stimolano la ricerca di nuove soluzioni e le macchine presentate dopo il 1850 segnano importanti progressi. Tra le macchine più interessanti vi sono quelle dell’americano Charles Thurber, del brasiliano De Azevedo, dell’austriaco Mitterhofer, del sud-tirolese Peter Mitterhofer nativo di Parcines, oggi in provincia di Bolzano. Una nota particolare merita il “cembalo scrivano” del novarese Giuseppe Ravizza presentato nel 1855 e successivamente modificato e perfezionato una ventina di volte fino al 1881; si tratta di un modello che contiene molti dispositivi anticipatori dei successivi sviluppi tecnologici. Giustamente Camillo Olivetti in un intervento del 1927 rivendica i meriti dell’avvocato-inventore novarese e afferma: “il congegno cinematico per cui per cui il movimento del dito del dattilografo va a ciascun martelletto secondo un cerchio da cui centro vengono portati a battere i caratteri è identico praticamente a quello della macchina costruita industrialmente nel 1873 dalla casa Remington e brevettata negli Stati Uniti dallo Sholes nel 1868”. Ravizza brevetta il suo cembalo scrivano e lo presenta a numerose fiere e manifestazioni in vista di una possibile diffusione commerciale, ma ottiene solo riconoscimenti simbolici (tale, ad esempio, la medaglia di bronzo concessa dall’Esposizione Industriale di Torino del 1857). Camillo Olivetti lamenta quindi “il fatto dolorosissimo che le industrie tardarono a svilupparsi nel nostro Paese e molti frutti del genio inventivo italiano furono ignorati e andarono perduti”. Le intuizioni di Ravizza ispirano anche il “literary piano” dell’inglese John Pratt, una macchina che non solo nel nome si avvicina al cembalo scrivano; altri inventori propongono diverese soluzioni, ma è solo la macchina del giornalista e poi senatore americano Sholes quella che arriva sul mercato. Sholes costruisce nel 1867 e poi brevetta la sua writing machine; nei mesi successivi la migliora e la propone a vari industriali per avviare una produzione commerciale. Un uomo d’affari della Pennsylvania, James Densmore, acquista il 25% degli interessi dell’invenzione per 600 dollari e sostiene le spese per ulteriori miglioramenti del congegno, tra cui una tastiera più funzionale e il cilindro portacarta. Esposta nel 1871 a New York, la macchina ha scarso successo, ma nel 1873 Benedict e Phil Remington, direttori di una fabbrica d’armi e macchine per cucire di Ilion (New York), stipulano un contratto d’acquisto di un migliaio di macchine, ponendo il vincolo che la macchina si chiami Remington. Passerà però del tempo prima che la Remington riesca ad allestire le linee per la produzione in serie: le vendite sul mercato della macchina di Sholes inizieranno nel luglio 1874, ma il successo arriverà solo dopo la presentazione del nuovo prodotto alla fiera di Filadelfia del 1876. Inevitabilmente la prima macchina per scrivere non è priva di difetti, a cominciare dal problema della “scrittura cieca” e cioè del testo stampato non visibile al dattilografo durante la battitura dei tasti. Un problema a cui Ravizza aveva posto rimedio fin dal 1868, presentando una versione modificata del suo cembalo scrivano, che però come era avvenuto per le altre idee dell’inventore novarese non aveva avuto un seguito industriale. Per arrivare alla produzione in serie di una macchina per scrivere a scrittura visibile bisognerà aspettare fino al 1896, quando uscirà il primo modello della Underwood, società costituita nel 1875 per fornire accessori alla Remington. La Underwood 1 utilizzerà il brevetto di un immigrato tedesco, Franz Wagner; l’innovazione sarà poi adottata da tutti i produttori di macchine per scrivere. Da quel momento il successo della macchina per scrivere sul mercato americano diventa incontenibile: sorgono nuove fabbriche e la produzione annua degli Stati Uniti cresce rapidamente, tanto da approssimarsi sul finire degli anni ’20 a quasi un milione di unità. L’esempio americano è contagioso e anche in Europa nascono nuove industrie per produrre macchine per scrivere. Non è che l’inizio di una competizione per l’automazione degli uffici che nel seguito del XX secolo diventerà globale.