Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Una tranquilla coppia inglese si appresta a festeggiare i 45 anni di matrimonio. Pochi giorni prima accade
l'inatteso. Attraverso le straordinarie interpretazioni di Rampling e Courtenay, pluripremiati interpreti di grande
esperienza, entriamo nei pensieri più intimi che due coniugi, quasi ibernati nel loro benessere, non sono più in
grado di comunicarsi vicendevolmente, ormai da tempo. Un film che scava con precisione e delicatezza nei
sentimenti di due persone senza premere il pedale della retorica, mettendone a nudo le esistenze con le loro
scelte e i loro errori.
scheda tecnica
tit. orig.:
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
soggetto:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musiche:
scenografia:
costumi:
distribuzione:
45 YEARS
93 MINUTI
REGNO UNITO
2015
ANDREW HAIGH
DAVID CONSTANTINE
ANDREW HAIGH
LOL CRAWLEY
JONATHAN ALBERTS
CONNIE FARR
SARAH FINLAY
SUZIE HARMAN
TEODORA FILM
interpreti:
CHARLOTTE RAMPLING (Kate Mercer), TOM COURTENAY (Geoff Mercer),
GERALDINE JAMES (Lena), DOLLY WELLS (Sally), DAVID SIBLEY (George), SAM ALEXANDER (Chris il postino),
RICHARD CUNNINGHAM (Mr. Watkins).
premi e nomination:
2015, Festival di Berlino, Migliore interpretazione femminile a Charlotte
Rampling, Migliore interpretazione maschile a Tom Courtenay; Edinburgh IFF, Miglior interpretazione a Charlotte
Rampling, Michael Powell Award per il miglior film britannico a Andrew Haigh; British Independent Film Awards:
sei Nomination; European Film Award, Miglior attrice a Charlotte Rampling.
Andrew Haigh
Regista britannico nato a Harrogate nel 1973 è anche sceneggiatore e produttore cinematografico.
Ha esordito come sceneggiatore e alla regia nel 2003 con il cortometraggio Oil. Successivamente ha diretto altri
tre cortometraggi, due nel 2005, Cahuenga Blvd e Markings, e uno nel 2009 Five Miles Out.
In carriera si è occupato principalmente di tematiche legate all'omosessualità. Nel 2009 ha diretto Greek Pete, il
suo primo lungometraggio, presentato al London Lesbian & Gay Film Festival. Il film, ambientato a Londra, è
incentrato sul tema della prostituzione omosessuale maschile. Per questa pellicola ha vinto l'Artistic
Archievement all'Outfest e il premio della giuria all'Atlanta Film Festival.
Due anni più tardi ha diretto Weekend, un film sentimentale riguardante l'attrazione amorosa tra due ragazzi
conosciutisi in un locale, per il quale, nel 2011, ha ottenuto il Premio Volunteer al Frameline di San Francisco, il
premio della Giuria all'Outfest e il premio del pubblico all'SXSW.
La parola ai protagonisti
Intervista ad Andrew Haigh
Il film è tratto da un racconto...
L’idea risale a sei anni fa, da un racconto di una decina di pagine che fa da base all’intreccio del film e che ho
molto allargato per arrivare a ciò che è oggi. Ma ciò che più mi interessava era esplorare una relazione che dura
da tempo, con le sue difficoltà e quello che accade sotto la superficie. Il desiderio, che sia sessuale o romantico,
si manifesta nel modo in cui comunichiamo con l’altra persona, e influenza tutta la nostra vita in modo molto
importante. Questo desiderio evolve e può assumere diversi significati in funzione del tempo che passa. E’ una
parte affascinante della natura umana e un soggetto appassionante. L'origine è appunto un racconto di David
Constantine, "In Another Country". C’era qualcosa di struggente in questa storia di una relazione che inizia a
vacillare proprio quando si avvicina all’ultimo ostacolo prima del traguardo. Come se questo evento del passato,
questo corpo di donna conservato nel ghiaccio, avesse aspettato il momento giusto per creare il caos, un caos
tutto interiore. I dubbi, le paure e le emozioni represse iniziano a venire a galla, chiamati in causa
paradossalmente da una persona che non esiste più. Il racconto originale era molto conciso e nell'adattamento
per il cinema ho voluto aggiungere nuovi elementi, come la festa per l’anniversario, oltre che spostare l’azione ai
giorni nostri e non negli anni novanta: volevo che Kate e Geoff fossero personaggi attuali e che la storia delle loro
scelte ci riguardasse più da vicino. Infine, ho deciso di raccontare la vicenda unicamente dal punto di vista di
Kate: ci sono molti film sulle crisi esistenziali degli uomini e volevo lavorare su una prospettiva diversa.
I due protagonisti sembrano incapaci di rivelarsi a vicenda i loro sentimenti. Perché?
Esiste sicuramente una correlazione tra “45 anni” e il mio film precedente, Weekend. Entrambi si interessano al
carattere complesso dell’intimità tra due persone; ai rischi che comporta il fatto di esporsi emotivamente con
qualcun altro; alla difficoltà di essere davvero onesti sulle proprie paure. Peraltro, l’incapacità di comunicare
emotivamente è spesso considerata come tipicamente inglese: credo ci sia qualcosa di culturalmente e
politicamente conservatore negli inglesi che li spinge a nascondere i propri sentimenti per mantenere lo status
quo. Ed è certamente il caso delle classi medie. Detto questo, però, penso sia molto difficile per chiunque essere
davvero aperto riguardo ai propri sentimenti, anche perché è davvero complicato spiegare e articolare
razionalmente quello che proviamo. Oltre il fatto che questa condivisione viene sempre percepita come un
rischio.
Aveva Charlotte Rampling e Tom Courtenay in mente sin dalla scrittura della sceneggiatura?
No. Quando scrivo, preferisco non pensare ad attori precisi. E quando ho cominciato a scrivere la sceneggiatura,
non avevo ancora realizzato il mio primo film Week-end, quindi immaginare attori di questo calibro era
assolutamente impensabile. Quando è finita la sceneggiatura e abbiamo cominciato la fase di ricerca dei
finanziamenti, Charlotte Rampling e Tom Courtenay mi sono venuti in mente e sono entrati molto velocemente
nel progetto. E rispetto al tema particolare del film, potevano apportare tutta l’esperienza delle loro grandi
carriere.
Entrambi i protagonisti sono attori incredibili. Come sono stati scelti per la parte?
Charlotte è un’attrice di straordinaria intelligenza. Sa cosa è credibile e cosa non lo è. Quando la guardo sullo
schermo vedo un uragano di emozioni dietro quegli occhi. Ti invita ad osservare ma anche a mantenere una certa
distanza. Riguardo a Tom, c’è una certa vulnerabilità in lui e nel suo personaggio. L’ultima cosa che volevo era un
uomo arrabbiato, pronto a sbraitare contro il mondo. Cercavo piuttosto qualcosa di più complesso, di più
sensibile. Il suo personaggio è in lotta con se stesso, non è il cattivo del film. Nel film non ci sono cattivi, solo
delle persone che cercano di risolvere i propri problemi. Un altro aspetto interessante dei due protagonisti è che
sono entrambi due icone degli anni sessanta. Ho sempre sperato che le loro storie personali e artistiche
sarebbero state percepite in qualche modo dal pubblico. “45 anni” parla anche delle speranze e del potenziale
del passato dei due protagonisti e il fatto di conoscere questi attori per come erano da giovani credo aiuti
enormemente il pubblico.
Perché raccontare una coppia già in là con gli anni?
La rappresentazione di questa coppia in là con gli anni è volutamente poco convenzionale. Io non credo che le
persone smettano di cercare risposte solo perché invecchiano. Circola questa convinzione che prima di arrivare ai
trent’anni bisogna aver capito e risolto tutto di se stessi. Sono abbastanza sicuro che per la maggior parte di noi
non funziona così. Cambiamo in continuazione, la nostra identità si evolve senza sosta e non smettiamo mai di
fare domande.
Perché ha scelto il punto di vista di Kate per raccontare l'intera vicenda?
Provo una grande simpatia per Kate. C’è sicuramente una componente irrazionale nei suoi sentimenti e lei stessa
ne è consapevole, ma quei sentimenti rivelano al tempo stesso qualcosa di più profondo e sconcertante. È come
se concentrarsi sulla propria relazione l’avesse spinta a provare una nausea che non riesce a superare. Si sente
gelosa e respinta ma soprattutto è in ballo qualcosa che riguarda il significato stesso della sua vita, come se tutto
ciò che ha costruito negli anni iniziasse a perdere senso e a sgretolarsi, senza che lei riesca a rimettere i pezzi
insieme. Il tema del tempo, d’altra parte, mi interessa molto. Le nostre vite somigliano a un’onda che va avanti
tranquilla mentre non sembra succedere nulla e, tuttavia, più si invecchia più si capisce che il tempo in realtà sta
fuggendo. Mi piace comprimere il tempo nelle storie che racconto e i miei film, non avendo una trama
particolarmente complessa, grazie a questa compressione acquistano slancio e energia.
Con questo film, abbandona il tema omosessuale, che era quello del suo primo lungometraggio Week-end e della
serie TV Looking che ha diretto per HBO. Perché?
Non ho mai avuto l’intenzione di limitarmi narrativamente a un cinema gay o queer. Ma ci sono molte similitudini
tra 45 anni e Week-end, perché è la complessità delle relazioni umane che m’interessa. Da questo punto di vista,
questo film è una sorta di prolungamento di Week-end, anche se i personaggi sono più maturi e non sono gay.
Certo, Week-end trattava dell’inizio di una relazione mentre stavolta siamo a fine percorso, 45 anni dopo, ma
quello che m’interessava è come una relazione prenda forma e in quale misura gli inizi la definiscano. E’ il caso di
questo film, coi suoi tanti non detti. Perché in una relazione, è molto facile non parlare e non dire al proprio
partner quello che accade davvero in fondo al proprio cuore. 45 Years racconta cosa succede quando tutte
queste cose vengono a galla. Il film esplora la lotta di questi due personaggi per capire il significato del loro
amore. E non è chiaro per nessuno dei due. C’è un sentimento di perdita esistenziale, di confusione rispetto a ciò
che vogliono, d’instabilità dei sentimenti, di senso di colpa rispetto alle loro vite, come quando si comincia ad
analizzare la propria esistenza in profondità. E’ quello che fa il personaggio di Kate con un senso di accumulo. Il
personaggio di Geoff, invece, ricorda il suo passato senza che si capisca se è vero oppure no. E’ molto facile
romanzare il proprio passato quando si guarda indietro, e lui immagina di essere coraggioso e che tutto fosse
possibile quando era giovane, che avrebbe potuto cambiare il mondo invece di ritrovarsi in questa casa nel
Norfolk dove abita da trent’anni con sua moglie.
Perché ha scelto questa regione come cornice del suo film?
E’ sempre importante che la cornice rifletta la vita interiore dei personaggi. Volevo una città che nessuno
conoscesse e che fosse come qualsiasi altra. Il Norfolk è un luogo che corrispondeva bene, simbolicamente, alla
situazione dei personaggi: un paesaggio desolato, piatto e senza fine, senza colline, vuoto. Questo creava un
contrasto con la vita che Geoff e Katia avevano avuto sulle montagne svizzere.
Recensioni
Andrea Strafile. Roarmagazine.it
(…) In un turbinio di dubbi, sentimenti, paure, debolezze e sfacciata sincerità si compone una pellicola dominata
dal caos dispettoso che vuole giocare proprio a un passo dalla linea d’arrivo, combinandosi con l’incapacità
emotiva tipica della borghesia britannica, pronta a girarsi dall’altra parte pur di salvare la faccia.
Ed è in questo che splende la bellezza della storia, nella gamma vorticosa e coloratissima che ne viene fuori
partendo da una situazione di rifiuto emotivo, di distanza dal problema.
Ricalcando il racconto di David Constantine, In Another Country, Andrew Haigh ci mostra quanto potente possa
essere un film basato su un arco temporale di una sola settimana scarsa e su una trama semplicissima
praticamente solo grazie allo svilupparsi delle emozioni dei personaggi. Conferma la sensibilità mostrata con
Weekend, che scava gli animi innamorati di due uomini in quarantotto ore e la ottiene con una maturità registica
ormai totale, sapiente.
La decisione di narrare dal punto di vista di Kate, rende il tutto ancora più velatamente interessante, soprattutto
se la donna in questione si chiama Charlotte Rampling. E non ci si scorda di Charlotte Rampling in quella guisa di
nudo, bretelle e nazismo de Il Portiere di Notte.
Il suo è un personaggio che muta silenziosamente minuto per minuto, sfoggiando una versatilità che viene anche
dalla vecchiaia, da chi ha vissuto ormai tutto ed è padrone di emozionarsi con intelligenza. Il suo sguardo
innamorato è esattamente intenso quanto la sua stizza controllata e si posa sugli occhi di Geoff comprensivo,
nascondendo –ma non troppo- l’intera evoluzione dolorosa dell’animo.
Il volto di Geoff è quello di Tom Courtenay, pluricandidato all’Oscar, capace di danzare con la recitazione di
Charlotte tanto bene da farli sembrare seriamente sposati da quasi mezzo secolo. I due si annusano, si scrutano,
si conoscono da sempre: mentre lui riesce a bucare la corazza invisibile della moglie, lei stuzzica quella bestia
rabbiosa che ogni uomo ha dentro e che lo porta alle lacrime incontrollabili.
45 anni guarda alle passioni e ai suoi contrari, cerca in poco tempo di formulare dubbi e tenta di rispondervi
concedendoci il beneficio della riflessione.
Eleonora Saracino. Cultframe.it
Manca meno di una settimana al “grande giorno” di Kate e Geoff che si apprestano a festeggiare 45 anni di
matrimonio. Una cifra anomala per una celebrazione che, in qualche modo, risarcisce la coppia da quella
mancata, in precedenza, per le condizioni di salute di Geoffrey.
Ispirandosi ad un racconto di David Constantine, In Another Country, Andrew Haigh ci porta nella quiete brumosa
della campagna inglese dove moglie e marito conducono una vita di serena quotidianità, scandita da quei gesti
reiterati negli anni che, nel tempo, diventano intesa, tacita consonanza, amoroso affiatamento quasi a
congiungere, in una cosa sola e indivisibile, l’esistenza di uno e dell’altra.
Mentre Kate è indaffarata nei preparativi della festa, Geoff riceve una lettera (...). Non è come un segreto che
sconvolge ma, al contrario, è un fatto noto che viene alla luce con tutto il suo carico di importanza, addirittura,
vitale. (…)
Haigh ricostruisce il teorema intimo di un matrimonio con delicata raffinatezza. L’impianto visivo, asciutto e nel
contempo denso di particolari, ci restituisce nelle immagini tutta la profondità di un rapporto che si esprime
anche nella condivisione dello spazio. Kate e Geoff, infatti, lo occupano. Non sono semplicemente “lì” ma
all’interno di un’ inquadratura essi materializzano, nell’intesa di un semplice gesto o di uno sguardo fugace, una
simbiosi che si fa quasi tangibile. A pochi giorni da un traguardo importante l’inattesa “entrata in scena” di Katya
sembra polverizzare ogni certezza. Il fantasma di quell’amore che Kate voleva credere svanito tra le nebbie del
tempo è, invece, più che mai presente e forse, come la protagonista stessa dice: “E’ sempre stato qui, dietro di
noi”.
Il regista inglese (autore anche della sceneggiatura) racconta questo dramma scegliendo di sottrarre,
demandando ad un silenzio carico di significato il compito di esprimere lo sgomento di Geoff e lo strazio di Kate.
È soprattutto quest’ultima, infatti, a dover affrontare lo spettro di un passato che non le appartiene ma del quale,
inevitabilmente, fa parte e che ha condizionato, fatalmente, il suo presente. In quel crepaccio sembrano allora
essere precipitati anche i 45 anni di vita con il suo compagno e, con essi, la sicurezza di un sentimento, la
robustezza di un legame che, ora, non sembra più così raro e prezioso.
Non è semplice parlare del non detto, pronunciare un dolore silenzioso e se Haigh è riuscito a raccontarne la
profonda afflizione, Charlotte Rampling e Tom Courtnenay con quell’intensità propria dei grandi attori (per questi
ruoli vincitori ex aequo dell’Orso d’argento al Festival di Berlino 2015) hanno saputo esprimere il dramma
matrimoniale con straordinario realismo. Si toccano corde profonde nella vicenda di Geoff e Kate la cui storia
d’amore si fa paradigmatica di un’idea, platonicamente intesa, dell’amore stesso la cui “conoscenza” spesso non
appartiene alla sua “coscienza” ma viene sublimata, dall’illusione umana, in qualcosa d’altro, sovente distante
dalla realtà.
“Quando urla, come la voce, – scriveva Flaubert – il cuore diventa rauco” e anche se qui non vi è grido alcuno, se
ne sente, nitidamente, il suono mentre nel finale, sulle note di “Smoke Gets In Your Eyes” dei Platters, un
semplice gesto di Kate manda in frantumi una vita.
Marzia Gandolfi. Mymovies.it
(…) Lo diceva François Truffaut per la (bella) bocca di Fanny Ardant, "le canzoni d'amore sono stupide, più sono
stupide e più sono vere". E "cosa dicono?", chiedeva Gérard Depardieu alla signora accanto, già cosa dicono, ecco
una domanda che la protagonista di 45 Years non si è mai posta, limitandosi ad accennare "Smoke Gets in Your
Eyes" dietro al suo cane e dentro l'incostante clima inglese. Il brano musicale scritto da Otto Harbach, è l'idea
melodica del dramma senile di Andrew Haigh. È l'aria che apre e chiude 45 Years, svolgendo probabilmente l'atto
finale di una coppia che nel modo della canzone mette in dubbio il proprio amore, il proprio amore cieco. Meglio,
accecato è quello di Kate per Geoff, il pianeta intorno al quale si compie la sua rotazione, quegli incessanti
spostamenti in macchina che accompagnano il marito, lo recuperano e lo riconducono a casa, accecante come
fumo negli occhi, quello di Geoff che ha dissimulato per quarantacinque anni un sentimento mai estinto per una
donna perduta tragicamente tanto tempo prima. Quel sentimento travolgente e inalterato, per opera del cuore e
del ghiaccio, Geoff lo ha sostituito e poi dosato dentro una vita ordinaria, una prospettiva orizzontale che non
prevede (più) i crepacci ma non può scongiurare (nemmeno) le crepe. Impeccabilmente messo in scena, scritto e
interpretato, 45 Years trova la sua verticalità in un passato fuori campo e lungo la scala che conduce alla soffitta e
alle emozioni raggelate di Geoff. Per saperne di più, per sapere di più di quei silenzi e della donna che li ispira,
Kate dovrà scalare quella stessa montagna e arrivare in fondo alla sua relazione e alla settimana, che cadenza coi
suoi giorni il film. Sotto l'apparenza del reale, Andrew Haigh impegna una drammaturgia precisa che accumula e
analizza tutti gli agenti che pregiudicheranno l'organismo solido che la coppia fino a quel momento è stata. 45
Years incrina una solidità durata e raccontata per tutti gli anni del titolo, una stabilità che ha bandito l'effimero e
si rifugia in un libro di Kierkegaard o in una fuga di Bach. Il regista britannico si spinge dentro l'autunno di una
coppia il cui legame si rivela un'impostura e ci rivela l'anima oscura di un uomo e di una donna. Di Kate e di Geoff
che di loro non hanno conservato nemmeno una fotografia. A rimandargli l'immagine sono gli amici, che
(ri)ordinano pazienti la loro 'recita' su un cartellone. Charlotte Rampling e Tom Courtenay, la cui impareggiabile
tecnica drammatica 'suona' tutta la scala delle emozioni, sono gli interpreti disorientati e smarriti di un legame
che sfuma il buon umore nell'ossessione, in un lento e in 'quella' loro canzone, che Kate ascolta adesso per la
prima volta. Prima di tirare indietro mano e cuore, perché la fiamma d'amore si è spenta lasciando solo fumo
negli occhi.
Alessandro Aniballi. Quinlan.it
Due attori, una casa, un anniversario di matrimonio da celebrare, una lettera che apre uno squarcio sul passato.
Parte da poche ma esatte fondamenta l’inglese Andrew Haigh in 45 anni (...) e, a partire da queste, costruisce
tassello dopo tassello un serrato confronto quasi-thriller tra due character.
Marito e moglie, lui all’apparenza più fragile, lei più forte. (...)
Detto questo, 45 anni – in concorso alla 65esima edizione della Berlinale – non ha nulla di sentimentale o di
patetico. È al contrario molto trattenuto, costruito su dettagli, su frasi dette a mezza bocca, su di un propalarsi di
ipocrisia borghese che ammanta le vite dei protagonisti e che pian piano, di fronte ad ogni nuova rivelazione, li
avvolge in una sorta di abbraccio mortale, dal quale è impossibile liberarsi.
Haigh gestisce tutto questo con notevole polso cinematografico, lavorando per l’appunto sulla sottrazione e sul
non visto, sul fuori campo e sulla sospensione ellittica, per poi affondare il colpo con alcuni laceranti long take
(uno circa a metà e l’altro nel finale) a stringere sui volti e sui corpi segnati dei due attori protagonisti. La
Rampling e Tom Courtenay si dimostrano perfettamente in grado di reggere la scena dall’inizio alla fine,
regalando al regista ogni possibile sfumatura necessaria ed è stato inevitabile che vincessero entrambi l’Orso
d’Argento a Berlino come migliori interpreti.
In particolare, se il parlare biascicato e balbettante di Courtenay conquista per il modo in cui gestisce man mano
le sue rivelazioni, a restare più di ogni altra cosa nella memoria è lo sguardo sempre più fragile e indifeso della
Rampling che, di fronte al palesamento del passato, si lascia pian piano sgomentare dal vuoto.
Film governato da un’essenza fantasmatica e impalpabile quanto minacciosa (assenza più acuta presenza,
avrebbe detto Attilio Bertolucci), 45 anni rinverdisce la tradizione altrimenti seriamente appannata (ad eccezione
di alcuni contributi di Mike Leigh, come ad esempio Another Year) del cinema inglese “da camera”.
Michele Faggi. Indie-eye.it
Andrew Haigh torna ad osservare le tracce del sentimento amoroso, ma la tenerezza giovanile di “Weekend” è
solo un residuo senile nel breve racconto di David Constantine da cui è tratto “45 years“. Sullo sfondo della
campagna britannica fotografata da Lol Crawley, Kate (Charlotte Rampling) e Geoff (Tom Courtenay)
programmano la festa per i 45 anni del loro matrimonio senza che il pensiero per i preparativi modifichi i tempi
rituali del quotidiano. Solamente un enigmatico segno dal passato renderà evidente l’incrinatura di una
superficie apparentemente sempre uguale a se stessa. (…) La lettera è una testimonianza che Haigh lascia
sospesa, una rivelazione inquietante che in qualche modo agisce ancora sulla vita della coppia impostando
l’atmosfera di tutto il film, interamente concepito sulla distanza raggelata tra l’ambiente e i corpi dei suoi attori,
figure nel paesaggio come ne “L’australiano”di Skolimowski o in “Images” di Altman, dove in questo caso il
soprannaturale viene sostituito da un’astrazione del tempo che orienta il realismo degli ambienti e di alcune
scelte, come l’utilizzo di musica e suoni esclusivamente diegetici, in una direzione sottilmente espressionista.
Kate e Geoff sembrano già morti, ibernati (...) in una relazione spenta e senza più forza emotiva che rivela alcuni
attimi di tenerezza come momenti di consapevolezza della propria estinzione; il tentativo fallito di fare l’amore o
il pianto di Geoff durante le celebrazioni dell’anniversario, vengono rappresentati come osservazione sulla
propria fragilità rispetto all’inesorabilità terrifica del tempo. Haigh dimostra grande capacità di controllo nella
scultura temporale delle sequenze, tra tutte, quella dove Kate suona il piano da sola in una perturbante relazione
con il vuoto più che con la passione interpretativa, segno di quella sovrapposizione tra morte e natura che
attraversa tutto il film nella reinvenzione di luoghi e spazi che per tono e colore sembrano assimilarsi a quelli di
uno sguardo metafisico svuotato da qualsiasi tensione salvifica. Se allora il registra britannico sembra
sovrapporre distanza e vicinanza a queste due figure crepuscolari, con un rigore quasi luterano che per accumulo,
diventa improvvisamente impudico, il suo sguardo non ha mai la freddezza di un’osservazione chirurgica grazie
anche al coraggio con cui libera da questa gabbia emotiva e personale, sedimentata nel tempo della memoria, le
splendide interpretazioni della Rampling e di Courtenay, entrambi capaci, insieme alle intuizioni visive dello
stesso Haigh, di generare uno scarto improvviso e di aprire l’abisso con un cambiamento di tono, un movimento
impercettibile, uno sguardo nel vuoto.
Goffredo Fofi. Internazionale
Kate e Geoff, una coppia di pensionati middle class senza figli, vivono in una confortevole casa nella campagna
inglese non lontano da una tranquilla cittadina di provincia e sono vicini ai festeggiamenti per i 45 anni di
matrimonio, quando a Geoff viene recapitata una lettera (...). Questo pretestuoso punto di partenza, che servì
già per un vecchio film di Fred Zinnemann, muove in Kate sotterranee insicurezze e postume gelosie, e costringe
la coppia a fare i conti con i 45 anni di vita in comune, anzi non la coppia, piuttosto la sola Kate. I dubbi che
vengono alla coscienza di Kate, il malessere che l’ha invasa si risolvono alla fine, quando Geoff fa il suo discorso
alla festa per l’anniversario e le dichiara pubblicamente il suo lungo, immutato amore.
Seguiamo per lievi notazioni, con momenti più intensi, i pensieri di Kate, Andrew Haigh, il regista, mostra con
pudore e rispetto i sentimenti di una donna che ha puntato tutto sul suo rapporto con un uomo, l’uomo della sua
vita, il suo unico amore. Non più di questo c’è nel film, notevole però anche per la descrizione di un ambiente che
gli italiani non sanno descrivere da tempo, forse perché morto definitivamente in fondo a un immenso ghiacciaio,
e per l’analisi di sentimenti, che idem come sopra… E viene nostalgia per il cinema di Zurlini, Lattuada,
Comencini, ma anche di Franco Brusati e di Fabio Carpi. Insomma quei nostri registi che non si vergognavano di
una sensibilità definita allora “da borghesi”. Ma viene anche nostalgia – e questo il regista lo ha calcolato – per
anni più aperti di quelli che Kate e Geoff vivono oggi, e per i ruoli che i due ottimi protagonisti, Tom Courtenay e
Charlotte Rampling, hanno interpretato in gioventù, esprimendovi con buona sensibilità “politica”, soprattutto
Courtenay, un disagio e una speranza generazionali.
È il pudore la qualità più evidente e più simpatica di questo film, che mostra in filigrana, certamente oltre le
intenzioni del regista, anche i confini di una cultura, di una società, di una visione dell’uomo, di un’Inghilterra
pacifica, benestante, che ha da pensare solo ai sentimenti ma lo fa come sottovetro, come in apnea, come in
agonia. Il regista non voleva certamente questo, gli bastavano i buoni sentimenti della buona gente comune, ma
la magia del cinema sta anche in questo: che ci sono film che dicono più di quanto non vogliano grazie a quel che
la macchina da presa mostra e registra. Questo piccolo film è più istruttivo, in definitiva, di quanto non volesse il
suo regista. Ma è probabile che i due attori, non fosse che per la vita che hanno vissuto e le rughe che essa gli
lasciato, ne abbiano avuto il sospetto.
Virginia Campione. Cinematographe.it
Quanto può pesare il passato nel condizionare il presente e futuro di una coppia di lunga data, che fra alti e bassi
si appresta ormai a festeggiare i 45 anni insieme? Un evento apparentemente morto e sepolto sotto una spessa
coltre di ghiaccio può essere l’inaspettato pretesto per rimettere in discussione una vita intera, fatta di scelte che,
in quanto tali, avrebbero potuto essere diverse?
45 anni, per la regia e sceneggiatura di Andrew Haigh (Weekend), sta per arrivare nelle sale cinematografiche
italiane dopo aver incantato pubblico e critica alla 65esima edizione del Festival di Berlino; merito di una messa
in scena elegante e coinvolgente ma soprattutto delle prestazioni attoriali dei due protagonisti, Charlotte
Rampling e Tom Courtenay che, grazie alla loro toccante immedesimazione nei rispettivi personaggi, si sono
aggiudicati l’ambito Orso d’Argento. Un riconoscimento più che meritato, soprattutto dal momento che 45 anni è
un film prettamente basato sul non detto e il non dimenticato, in cui a possedere la maggior carica di eloquenza
sono i sospiri e gli sguardi smarriti dei protagonisti, alle prese con una sfida del tutto inattesa e sopraggiunta in
un momento della vita in cui forse non vale più la pena di rimettere in discussione tutto.
(…) L’idea alla base di 45 anni proviene da un racconto di David Constantine, In Another Country. Il regista
desiderava cogliere lo struggimento di una relazione che comincia a vacillare proprio quando è ormai vicina al
traguardo ed i protagonisti vivono la rassicurante certezza di terminare i propri giorni insieme. Ma la crisi non ha
età, e per quanto ci si ostini a pensare che i turbamenti emotivi facciano parte della gioventù, in realtà non si
smette mai di porsi domande, rovinando spesso il presente per aver voluto sapere troppo del passato.
Già in Weekend Andrew Haigh si era interessato all’esplorazione dell’intimità tra due persone, fatta di infinite
complessità; in 45 anni l’accento è posto sui rischi che comporta rivelarsi l’uno all’altra ed essere troppo sinceri.
Inoltre, anche se una certa ritrosia nell’aprirsi emotivamente sembra essere tipica del popolo inglese, perfetto
background per raccontare una storia di sentimenti repressi e nascosti, il film nasce per sottolineare la difficoltà
che in generale tutti noi incontriamo nell’esprimere ciò che proviamo, sia per la difficoltà a razionalizzarlo, sia per
la paura di non essere accettati per quello che siamo o abbiamo scelto di essere.
Ecco allora consumarsi sotto gli occhi dello spettatore un dramma interiore, subdolo ed inaffrontabile, in cui la
paura di Kate di perdere ciò che fino a quel momento ha costruito compete e vince contro il desiderio di sentirsi
dire la completa verità dall’uomo che ha sposato ed amato per trent’anni. Geoff, dal canto suo, obbligato a
seppellire sotto il ghiaccio e gli anni un amore perduto, ha ricostruito se stesso dandosi nuovi obiettivi, cercando
di non tormentarsi e rovinarsi la vita con i rimpianti e nascondendo le verità profonde di quel legame finito
tragicamente un po’ a se stesso e un po’ alla moglie, vittima, semplicemente, dell’essere venuta “dopo”.
Sullo sfondo di una sceneggiatura minimalista quanto basta a far parlare la recitazione sublime dei protagonisti,
sui quali spicca la struggente e cedevole compostezza di Tom Courtenay, 45 anni lascia in sospeso, sulle soavi
note dei Platters, la domanda alla quale nessuno vorrebbe mai rispondere: sarà (stato) vero amore o solo “fumo
negli occhi”? L’importante, sembra voler rispondere fra le righe il regista, è aver vissuto quel tanto di felicità
sufficiente a sentirsi grati per ciò che la vita ci ha donato.