IPOTERMIA ACCIDENTALE Ricerca bibliografica
Transcript
IPOTERMIA ACCIDENTALE Ricerca bibliografica
Autore Dot. Med. Introzzi Lorenzo IPOTERMIA ACCIDENTALE Introduzione 1 Le funzioni del corpo umano vengono svolte, in modo ottimale, ad una temperatura interna compresa tra 36,4 e 37,5°C. Temperature al di fuori di questo stretto intervallo sono mal tollerate. Con ipotermia accidentale si intende una diminuzione, non intenzionale, della temperatura corporea interna al di sotto dei 35°C (95°F). Negli USA, l’incidenza di decessi a causa di ipotermia accidentale è di 700 persone per anno2. Si possono differenziare tre gradi di ipotermia: - media = 33-35°C - moderata = 28-33°C - severa = < 28°C Epidemiologia Solitamente le statistiche si soffermano su giovani sportivi esposti al freddo in aree selvagge (alta montagna, ghiacciai, acque fredde….). Spesso non viene presa in considerazione la frequenza con cui l’ipotermia si verifica nei soggetti anziani, all’interno di aree urbane. Approssimativamente il 50% delle morti, attribuibili all’ipotermia, avviene in persone con età superiore ai 65 anni (Fig.1)3. Figura 1. Incidenza di ipotermia negli USA in base ad età e sesso. Altri soggetto ad alto rischio sono i senzatetto, i tossicodipendenti e i malati psichiatrici 4-8. Sebbene l’incidenza di ipotermia aumenti durante i mesi invernali, alcuni casi si verificano anche negli altri periodi dell’anno6,7,9. Sorprendentemente, un gran numero di casi avviene in stagioni miti e senza una storia di esposizione alle basse temperature4-7,9,10. Negli ultimi 20 anni, il fenomeno si è molto ridotto negli USA. Termoregolazione 11 Produzione del calore. In un ambiente neutro (28°C per l’uomo), il calore corporeo è generato dalla dissociazione dei legami chimici durante il metabolismo di grassi, proteine e carboidrati. Il tronco e i visceri sono responsabili della produzione di calore in una percentuale del 56% rispetto al totale del corpo, ma durante l’esercizio fisico, più del 90% di calore è generato dai muscoli12. Mentre il brivido, od un aumento del tono muscolare, possono produrre un incremento di quattro volte nella produzione di calore, l’esercizio fisico intenso lo aumenta di sei volte. Perdita del calore. Gli scambi di calore con l’ambiente seguono il gradiente termico. Così, quando la temperatura ambientale è inferiore a quella del corpo si perde calore, mentre, al contrario, quando la temperatura ambientale è superiore, lo si acquisisce. In condizioni normali, il corpo tende a perdere calore. Il calore può essere perso attraverso quattro meccanismi fondamentali: conduzione, convezione, irraggiamento ed evaporazione13. Lo scambio tramite irraggiamento consiste nel trasferimento di energia termica senza contatto diretto ed è responsabile del 50-70% della perdita di calore di un essere umano a riposo, in condizioni ambientali neutre. La conduzione di calore avviene per contatto diretto: una grande quantità di calore può essere persa molto rapidamente se un individuo è immerso in acqua, a causa della grande conduttività di questo mezzo. La convezione coinvolge le molecole d’aria, più calde o più fredde, che passano vicino alla cute. Questo tipo di scambio aumenta con grandi differenze di temperatura tra aria e pelle, e con elevati flussi d’aria (vento). La perdita di calore tramite evaporazione avviene negli uomini soprattutto tramite la perspiratio. L’evaporazione del sudore dalla pelle richiede energia sotto forma di calore: per ogni grammo di sudore evaporato si perdono 0,6 kcal. L’evaporazione permette la perdita di calore anche quando il corpo è circondato da un ambiente più caldo, ed è quindi il mezzo principale con cui l’organismo può raffreddarsi in luoghi a temperatura elevata. Sistemi di controllo della temperatura. L’anatomia e la regolazione del sistema che controlla la temperatura del corpo sono state analizzate accuratamente nel corso degli anni 12-15. Le vie nervose che conducono la sensibilità termica provengono dalla cute e dai visceri, risalgono il tratto spinotalamico fino a giungere all’ipotalamo anteriore che regola la temperatura attraverso: - attivazione delle ghiandole sudoripare (circa 2,5 milioni) - controllo della vasodilatazione cutanea - controllo del tono muscolare (brivido) I livelli di amine simpatiche, le afferenze dai barocettori e alcune citochine (IL-1, IL-6 e TNFalfa) sono importanti modulatori dell’ipotalamo anteriore16. Le risposte volontarie sono determinanti nella termoregolazione. Gli uomini possono rispondere agli stress termici: - aggiungengendo/togliendo vestiti - spostandosi in un luogo più fresco - cambiando il livello di attività fisica In tutti i casi, il comportamento ideale è quello di ricercare una temperatura cutanea simile a quella della temperatura circostante alla pelle (che può essere diversa dalla temperatura ambientale). Soggetti a rischio La capacità di regolare la temperatura diminuisce con l’età17-18, probabilmente per il deterioramanento delle afferenze sensitive. Mentre gli individui giovani percepiscono cambiamenti di 0,8°C, i soggetti anziani possono non accorgersi di variazioni superiori anche a 2,3°C. Gli anziani sono molto suscettibili all’ipertermia rispetto ai giovani: la “soglia” della sudorazione aumenta e il volume di sudore diminuisce19. Lo stesso vale per l’ipotermia, che risulta difficile da tollerare a causa di diversi fattori: livelli più bassi del metabolismo basale; conduttanza più elevata per perdita della massa corporea e diminuita capacità di generare calore attraverso il brivido; ridotta vasocostrizione periferica in risposta al freddo. Infine, se un soggetto anziano è allettato, con decadimento delle funzioni corticali, vengono alterate anche le risposte volontarie ai cambiamenti di temperatura. A tutto questo vanno aggiunte condizioni socio-economiche precarie, che aggravano ulteriormente il quadro descritto, soprattutto per quanto riguarda nutrizione e possibilità di riscaldare/raffreddare gli ambienti domestici. Molte condizioni patologiche sono implicate nello sviluppo di ipotermia. La capacità di termoregolazione del sistema nervoso centrale è diminuita in situazioni quali: ictus, trauma o infezione del SNC, tumori, emorragia, uremia, morbo di Parkinson, sclerosi multipla e sindrome di Wernicke. Una riduzione nel controllo della muscolatura vasale periferica può essere presente nella disautonomia diabetica21, nelle infezioni e nello scompenso cardiaco. La diminuzione nella produzione di calore è presente in alcune malattie del sistema endocrino come l’ipotiroidismo, l’ipopituitarismo, l’ipoglicemia22. L’ingestione di alcool è spesso associata ad ipotermia23. La pancreatite e la chetoacidosi diabetica vanno sempre considerate negli episodi ipotermici, anche se non sono clinicamente evidenti. Il solo diabete può indurre ipotermia accidentale24,25, particolarmente nel contesto di malnutrizione26. Forse il fattore precipitante più comune negli anziani è la sepsi, che è stata riscontrata nell’80% di anziani con ipotermia27-29. Il 9-10% dei pazienti infetti sono ipotermici piuttosto che febbrili, e hanno una prognosi peggiore (mortalità doppia a causa dello shock settico già in atto30). La sepsi conduce ad ipotermia in seguito alla perdita del tono vascolare periferico e ad una risposta anomala dell’ipotalamo. Alcuni farmaci possono causare uno scompenso della termoregolazione (barbiturici, oppiodi, antidepressivi triciclici e benzodiazepine); i fenotiazinici (aloperidolo) agiscono sia centralmente che alla periferia, attraverso un effetto antagonista sui recettori alfa-adrenergici31. Altri alfa– bloccanti, come la prazosina, sono stati riportati tra le cause di ipotermia32, e gli anziani sono particolarmente sensibili a questo effetto33. Il litio porta ad abbassamento della temperatura centrale34,35; l’etanolo porta a vasodilatazione periferica, ipoglicemia, riduzione del brivido ed esposizione volontaria al freddo, oltre ad avere un effetto diretto sull’ipotalamo, attraverso il quale varia la soglia della temperatura corporea e induce raffreddamento36. Anche l’acido valproico è stato riportato come causa di ipotermia in una seria di casi, ma il meccanismo d’azione non è noto37. L’ipotermia può essere quindi considerata come uno scompenso della termoregolazione che può avere sia cause predisponenti (età, patologie croniche o acute, assunzione di farmaci), sia fattori precipitanti (esposizione al freddo acuta o cronica38). La prognosi per le giovani vittime, esposte acutamente a basse temperature, è generalmente buona: se all’arrivo dei soccorritori l’individuo non si trova in arresto respiratorio e/o cardiaco, il solo riscaldamento permette un recupero completo. Tuttavia, le situazioni che si incontrano più frequentemente riguardano persone anziane, che diventano ipotermiche a causa di una patologia sottostante; in questi casi la prognosi è legata alla natura della malattia che ha causato il raffreddamento. Patofisiologia e manifestazioni cliniche Fin dagli inizi del ‘900, molti lavori osservazionali, condotti su animali o su essere umani sottoposti a raffreddamento per interventi cardio- o neuro-chirurgici, hanno fornito molte informazioni sulle risposte fisiologiche dovute all’esposizione del corpo alle basse temperature. Tuttavia non è ancora chiaro quante di queste informazioni possano essere estrapolate ed applicate all’ipotermia accidentale. I cambiamenti patofisiologici osservati sono influenzati, oltre che dalle patologie concomitanti, anche dalla velocità e dalla profondità del raffreddamento o da altri fattori come l’ipovolemia e l’assunzione di farmaci. Ad es. nell’ipotermia cronica, sono molto più gravi i problemi che riguardano elettroliti e l’equilibrio acido-base, rispeto all’ipotermia acuta. Eccetto gli infarti tissutali, dovuti all’ischemia, i cambiamenti indotti dall’ipotermia sono generalmente reversibili con il riscaldamento e, in molti casi, il tentativo di normalizzare le alterazioni fisiologiche non solo è inutile, ma dannoso. Cambiamenti cardiovascolari. Con un’ipotermia media, vi è una iniziale tachicardia e una vasocostrizione periferica, con un conseguente aumento della gittata cardiaca. La pressione arteriosa aumenta leggermente. Questi cambiamenti, determinati dal simpatico, possono essere soppressi dall’uso di farmaci, con la conseguente diminuzione della frequenza, della pressione e della gittata31. Spesso i battiti ectopici ventricolari scompaiono con l’ipotermia moderata, per riapparire al riscaldamento. Il raffreddamento in vitro del miocardio di maiale (a 32°C) causa un aumento della forza contrattile del 40%. Se la temperatura diminuisce a un livello moderato, si sviluppa una progressiva bradicardia, come conseguenza del rallentamento della depolarizzazione spontanea delle cellule pace-maker del miocardio (questa bradicardia è refrattaria all’atropina). La riduzione della gittata, che ne deriva, può essere bilanciata da un aumento delle resistenze vascolari periferiche (per aumento riflesso delle catecolamine circolanti). L’elevazione delle resistenze vascolari può essere mantenuta dall’emoconcentrazione, dall’aumentata viscosità e dalle risposte vasomotorie locali 39. Negli animali è stata dimostrata una vasocostrizione delle arterie renali e una vasodilatazione del circolo splancnico. A queste temperature, avvengono delle alterazioni della ripolarizzazione, come documentato dalla presenza all’ECG dell’onda “J” (di Osborn), solitamente osservata nelle derivazioni precordiali laterali (Fig.2); questa tende ad aumentare in ampiezza con il diminuire della temperatura, ma non è influenzata dall’alterazione degli elettroliti40. Figura 2. ECG a 12 derivazioni che mostra: bradicardia, onde J e QT lungo. Le onde J non sono patognomoniche di ipotermia, in quanto si osservano nell’emorragia subarocnoidea e in altre lesioni cerebrali, ed anche nell’ischemia miocardica. Si sviluppano complessi QRS larghi (indicanti un rallentamento nella conduzione miocardica), in combinazione con elevazione del tratto ST o inversione delle onde T; queste alterazioni ECG possono essere legate all’aumentata acidosi e all’ischemia. A livello cellulare, vi è un prolungamento della durata del potenziale d’azione, che viene spiegata dall’attivazione ritardata delle correnti per il potassio, dalla rallentata inattivazione delle correnti del sodio e dall’inattivazione ritardata delle correnti del calcio. Il rallentamento della conduzione miocardica è attribuibile alla riduzione e al ritardo dell’ingresso di sodio41. Vi è un prolungamento della sistole42 , e il ritardo di conduzione si può manifestare con un aumento dell’intervallo P-R o con un BAV di II o III grado43. A temperature più basse si può osservare un prolungamento del QT che può persistere per ore/giorni dopo il riscaldamento44; il BAV può instaurarsi anche quando viene raggiunta una temperatura fisiologica45. Sono stati riportati casi di asistolia anche dopo 72 ore dal riscaldamento. A 28°C, la frequenza cardiaca diminuisce a 30-40 b/min; frequenze non correlate alla temperatura devono far pensare a patologie sottostanti come ipoglicemia, ipovolemia o ingestione di farmaci. A temperature ancora più basse (20°C), la bradicardia diventa estrema con frequenze di 10 b/min. Le resistenze vascolari sistemiche crollano, viene bloccato il rilascio di catecolamine e di conseguenza diminuisce la gittata cardiaca. A temperature inferiori ai 24°C è molto alto il rischio di asistolia. Studi animali hanno dimostrato che questa tendenza all’asistolia è diminuita dalla presenza di intossicazione da etanolo46 e questo spiega gli outcome migliori dei soggetti etilisti. Il pacing transvenoso può essere difficoltoso e rischioso per la possibilità di indurre fibrillazione ventricolare, anche se studi su animali lo indicano come procedura efficace e sicura e quindi raccomanadata 47. L’asistolia è un’aritmia frequente durante ipotermia, mentre la fibrillazione ventricolare è secondaria al riscaldamento, all’ipocapnia, all’alcalosi oppure a procedure eseguite dal personale sanitario. L’ischemia, l’aumentata attività adrenergica e i disturbi elettrolitici certamente predispongono all’irritabilità miocardica, e, in corso di ipotermia moderata, portano allo sviluppo di aritmia (comunemente fibrillazione atriale o flutter o ritmo nodale, ma anche extrasistoli e tachiaritmie). La fibrillazione ventricolare è più comune al di sotto dei 27°C, ed è particolarmente legata a cambiamenti improvvisi di: postura, PaO2 e PaCO2, temperatura del miocardio, elettroliti ed equilibrio acido-base. Si è dimostrato che lo sviluppo di un gradiente di temperatura tra l’endocardio (più freddo) e il miocardio (relativamente più caldo) rende più suscettibile il sistema di conduzione alle variazioni elettrolitiche e dell’equilibrio acido base, predisponendo alla fibrillazione ventricolare48. Una spiegazione alternativa è che piccole variazioni di temperatura tra miocardio ed endocardio possono causare la dispersione del potenziale d’azione e l’allungamento della velocità di conduzione e del periodo refrattario49. Il rischio di indurre FV con l’intubazione orotracheale è correlato a una mancata pre-ossigenazione, oltre che alla stimolazione dolorosa50. Nell’ipotermia severa, la FV è estremamente resistente ai tentativi di cardioversione elettrica, finchè non è stato raggiunto un riscaldamento adeguato; vi sono casi isolati che fanno eccezione a questa regola51. Se non può essere stabilita una circolazione extrtacorporea in tempi rapidi, bisogna prolungare la rianimazione cardiopolmonare fino al raggiungimento di una temperatura corporea, alla quale la defibrillazione sia efficace nel ripristinare un ritmo adeguato52. Nell’ipotermia, la ridotta elasticità della parete toracica e della compliance del cuore e dei polmoni rendono le compressioni toraciche più difficile da eseguire, tuttavia sono state riportate sopravvivenze anche dopo 6 ore e ½ di rianimazione cardiopolmonare50. Il bretilio è un ottimo antiaritmico in queste circostanze53,54: aumenta il periodo refrattario e quindi la soglia per le aritmie ventricolari, senza alcun effetto sulla velocità di conduzione o i livelli di catecolamine55. In generale, non c’è indicazione al trattamento profilattico delle aritmie56. La somministrazione di lidocaina è inefficace a temperature inferiori a 30°C, così come la procainamide, il propranololo, il diltiazem49e il verapamil57. I tentativi di aumentare la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca sono problematici, sebbene gli inotropi (ad es,. basse dosi di dopamina), sono stati usati in pazienti gravemente ipotesi, che non rispondono al carico volemico. Nell’ipotermia moderata, i vasi periferici sono vasocostretti, in maniera massimale, e la somministrazione di vasocostrittori predispone solamente alle aritmie, senza alcun effetto sulla pressione. Studi sull’animale suggeriscono che a temperature attorno ai 29°C, il sistema simpatico viene inibito; in questi casi le catecolamine avrebbero un’utilità clinica58. Non è superfluo sottolineare che, data la vasocostrizione generalizzata, la somministrazioni di tutti i farmaci deve avvenire per via endovenosa (meglio se attraverso un vaso centrale),. I livelli sierici di CK aumentano in corso di ipotermia, ma non sono correlati a danni miocardici indotti dal freddo, non sono accompagnati da alterazioni ECG di tipo ischemico e nel caso di morte l’esame istologico non mostra mai aree necrotiche59, sebbene siano presenti all’esame microscopico piccoli foci degenerativi in due terzi dei casi60. Ematologia.. I cambiamenti ematologici associati all’ipotermia sono importanti, particolarmente l’aumento della viscosità del sangue, del fibrinogeno e dell’ematocrito; questi disordini possono influenzare la funzione di molti organi. I cambiamenti nella permeabilità vascolare portano alla perdita di plasma nel compartimento extra-vascolare, e quindi ad un’emoconcentrazione che si accompagna ad ipovolemia (accentuata dalla diuresi indotta dal freddo). L’ematocrito aumenta del 2% per ogni diminuzione di 1°C della temperatura61; un normale ematocrito in un paziente moderatamente o severamente ipotermico suggerisce una pre-esistente anemia o perdita di sangue. L’ipotermia è anche stata riportata come causa di soppressione e insufficienza midollare62, nonché di ipoplasia eritroide e anemia sideroplastica63. Il freddo inibisce direttamente le reazioni enzimatiche sia della via intrinseca che estrinseca 64 e quindi può svilupparsi una coagulopatia. Il tempo di protrombina (PT) e il tempo di tromboplastina parziale (PTT) possono essere normali se misurati a 37°C, ma possono essere significativamente aumentati se misurati a temperature più basse, anche se le concetrazioni dei fattori della coagulazione sono normali. Il riscaldamento, piuttosto che la somministrazione esogena di questi fattori, è la terapia appropriata65. Una coagulopatia intravascolare disseminata (CID) è stata riportata in un numero di casi senza altra causa apparente se non l’ipotermia stessa66; questo può essere correlato al rilascio del fattore tissutale dalle aree ischemiche67, o dal collasso circolatorio68. L’ipotermia può anche diminuire la sintesi endoteliale di prostaglandine (PGI2) e la sua azione inibitrice sull’aggregazione piastrinica, promuovendo l’attivazione delle piastrine e la trombosi 69. Può verificarsi anche trombocitopenia70,71; questa deriva dal sequestro di piastrine nel fegato e nella milza, ma può essere correlata alla CID o alla depressione midollare. Inoltre, la produzione di trombossano B2 da parte delle piastrine è temperatura dipendente ed è responsabile della diminuzione dell’attività piastrinica con la diminuzione della temperatura72. Possono trovarsi elevati livelli di criofibrinogeno che aumenta la viscosità del sangue73 e può agire sul microcircolo causando diffusi microinfarti74. Gli eccessi di criofibrinogeno sono presenti soprattutto in caso di sepsi da Escherichia coli del tratto urinario, nel diabete, nel deficit di folati e nei tumori; tutti questi eventi sono particolarmente comuni negli anziani. La presenza di porpora o ecchimosi, può suggerire la diagnosi di criofibrinogenemia, che è associata ad un’aumentata mortalità. Se la profilassi antitrombotica va sempre considerata nel paziente ipotermico bisogna tenere presenta che l’eparina ed il destrano possono polimerizzare il criofibrinogeno e, in presenza di criofibrinogenemia, causare una severa iperviscosità74; quindi, sebbene vi sia un’ aumentata suscettibilità al tromboembolismo, non vi è evidenza, al momento, di un utilizzo abituale di eparina nell’ipotermia accidentale. La deplezione leucocitaria può verificarsi in corso di ipotermia75, e studi sull’animale ed in vitro suggeriscono che la migrazione neutrofila76 e la fagocitosi batterica77 sono diminuite, e predispongono l’organismo all’infezione. In pazienti che subiscono by-pass cardiopolmonare, l’attivazione del complemento è rallentata alle basse temperature78. La sepsi, di comune riscontro in pazienti anziani che si presentano con ipotermia, può essere una conseguenza, come pure una causa predisponente, dello scompenso della termoregolazione, e quindi, in questi pazienti, è sempre necessaria la copertura antibiotica profilattica. Effetti neuro-muscolari Gli effetti del freddo sul sistema nervoso centrale sono spesso evidenti all’esame obiettivo e comprendono, negli stadi intermedi, stato confusionale e qualche volta amnesia. Appena la temperatura scende ulteriormente, subentrano apatia e incapacità di giudizio. Progressivamente si sviluppano disartria, progressiva depressione dello stato di coscienza fino al coma (molto comune al di sotto dei 30°C). A circa 25°C, vi è perdita dell’autoregolazione cerebrovascolare e avviene una riduzione del flusso ematico di circa 6-7% per ogni °C. Tuttavia, nell’ipotermia severa, vi è una riduzione marcata del metabolismo e quindi un considerevole aumento della tolleranza all’ischemia cerebrale; a temperature inferiori ai 20°C, la tolleranza all’ischemia è dieci volte superiore rispetto alla normotermia79. L’EEG diventa piatto al di sotto dei 20°C. Il brivido è inizialmente aumentato nei gradi intermedi di ipotermia, ma scompare allo scendere della temperatura; comunque le temperature a cui avviene la cessazione del brivido variano grandemente (24-35°)80. Il fluido sinoviale diventa più viscoso alle basse temperature e anche ad un’ipotermia moderata compare rigidità dei muscoli e delle articolazioni. Negli stadi iniziali compaiono atassia e perdita del controllo fine dei movimenti, seguiti, nell’ipotermia moderata, da iporeflessia, risposta estensoria plantare e riflesso fotomotore rallentato; al di sotto dei 28°C, compaiono rigidità, midriasi e areflessia. Nell’ipotermia severa, la rigidità muscolare e delle articolazioni può simulare il rigor mortis, tuttavia la rigidità può paradossalmente scomparire a temperature inferiori ai 27°C. Studi animali hanno aiutato a spiegare questi cambiamenti mostrando come la conduzione nervosa periferica sia diminuita dal freddo, per una riduzione progressiva nella velocità di conduzione (proporzionale all’abbassamento di temperatura); questo sembra essere legato ad un ridotto flusso di potassio e cloro attraverso la membrana assonale81. Gli effetti sul meccanismo autonomico del controllo della circolazione possono spiegare il motivo dell’ipotensione posturale: la posizione seduta o eretta devono essere evitate nel trasferimento di queste vittime dal luogo del ritrovamento. Il tempo di conduzione sinaptico è prolungato nelle giunzioni neuromuscolari82 e la conduzione nel muscolo è parzialmente temperatura-dipendente, con una ridotta velocità nello sviluppo della tensione e della velocità di accorciamento83. Quando la temperatura cutanea è inferiore a 12°C, gli sfinteri precapillari cessano di operare; ne consegue una vasodilatazione ed un aumento del flusso sanguigno che può causare un riscaldamento sufficiente per ripristinare la funzione degli sfinteri e reinstaurare una vasocostrizione locale. Questa oscillazione tra dilatazione e costrizione è conosciuta come “Lewis Hunting Reaction” e avviene principalmente alla punta delle dita e alle orecchie. Problemi respiratori. Nell’ipotermia media, vi è una iniziale tachipnea, seguita da una riduzione del volume minuto e del consumo di ossigeno; spesso, sono presenti broncospasmo e broncorrea. Se la temperatura scende a livelli di ipotermia moderata, i riflessi di protezione delle vie aeree sono ridotti, a causa della diminuzione della funzione mucociliare che predispone alla polmonite da aspirazione. A 30°C, vi è una diminuzione del 50% del consumo di ossigeno e della produzione di anidride carbonica . Il controllo della temperatura interna è strettamente dipendente dai livelli di PaCO2, che sono rilevati dai glomi carotidei e maggiormente a livello centrale84. Un raffreddamento diretto di questi rilevatori deprime il drive respiratorio: a temperature inferiori a 34°C, la sensibilità allo stimolo della PaCO2 è attenuata, mentre viene mantenuto il drive ipossico, anche per livelli più profondi di ipotermia. Lo spazio morto fisiologico e anatomico sono aumentati, a causa della dilatazione bronchiale, ma lo spazio morto alveolare rimane invariato. Lo scambio locale di gas non è influenzato dall’ipotermia, ma vi è un aumento delle resistenze vascolari polmonari e vi è un alterato rapporto tra ventilazione e perfusione. Nell’ipotermia severa si sviluppa un’ipoventilazione e l’apnea e (più raramente) l’edema polmonare. Vi è inizialmente uno spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell’emoglobina, che porta ad una diminuzione nella liberazione dell’ossigeno e ad un’ipossia tissutale; questo spostamento è bilanciato dalla conseguente acidosi lattica e da altri fattori (respiratori e metabolici), che contribuiscono all’acidosi globale. Il brivido può aumentare grandemente la produzione di lattato, mentre la sua clearance attraverso il fegato è diminuita. Frequentemente l’acidosi metabolica peggiora durante il riscaldamento, a causa del ritorno in circolo dei prodotti del metabolismo anaerobio, e può contribuire all’aumentato rischio di aritmia. Nell’ipotermia severa, l’acidosi è più grave a tal punto che vi è uno spostamento a destra della curva di dissociazione. La gestione dell’equilibrio acido-base è controverso. Le emogasanalisi sono normalmente riscaldate a 37°C e questo porta a livelli più alti di ossigeno e di anidride carbonica e più bassi di pH, rispetto al vero stato acido-base del paziente ipotermico. In pratica alcuni suggeriscono di mantenere il pH, a temperatura non corretta, attorno ai 7,40 in modo da evitare l’uso inappropriato di bicarbonato e dell’iperventilazione. Questi trattamenti, in effetti, possono deprimere la gittata cardiaca e aumentare la predisposizione alla fibrillazione ventricolare; inoltre il trasporto di bicarbonato attraverso le membrane cellulari ipotermiche è lento, e, durante il riscaldamento, può svilupparsi una alcalosi metabolica severa85. Rene e metabolismo. Nell’ipotermia moderata c’è una diuresi indotta dal freddo che avviene prima della diminuzione della temperatura corporea. Questa è inizialmente causata da un aumento del flusso sanguigno renale, conseguente alla vasocostrizione periferica, e poi, con la diminuzione della temperatura, alla perdita della capacità del tubulo distale di riassorbire acqua e alla resistenza all’azione della vasopressina (ADH). La diuresi indotta dal freddo porta ad un aumento nell’escrezione degli elettroliti urinari, probabilmente come risultato di un ridotto riassorbimento tubulare del sodio86. Nell’ipotermia moderata, la filtrazione glomerulare diminuisce, così come la gittata cardiaca, e di conseguenza si riduce il flusso ematico renale (di circa il 50% alla temperatura di 27-30°). Vi è inoltre una riduzione nella funzione tubulare e della clearance del glucosio. A temperatura ancora più basse, la capacità tubulare di secernere ioni idrogeno è ridotta e questo contribuisce all’acidosi generale. Clinicamente l’insufficienza renale acuta si osserva in più del 40% dei pazienti con ipotermia accidentale che richiedono ricovero in terapia intensiva20. Le biopsie hanno dimostrato danno ischemico ai reni, che avviene durante la fase di riscaldamento, dopo un periodo di protezione relativa durante il raffreddamento. Questa insufficienza pre-renale è conseguenza della diminuzione del flusso sanguigno e può essere prevenuta da un adeguato rimpiazzo volemico87. Il metabolismo totale del corpo è ridotto dall’abbassamento della temperatura, come dimostrato dalla riduzione nel consumo di ossigeno che è circa del 6% per ogni °C perso31; il metabolismo basale è ridotto di circa il 50% a 28°C. Negli studi animali la secrezione di vasopressina e ossitocina è ridotta, vi è una riduzione dell’ACTH che non è associata alla diminuzione dei livelli di cortisolo (che solitamente sono invece aumentati); questo è dovuto essenzialmente alla diminuita clearance epatica88. La funzione pituitaria, adrenergica e tiroidea sono normali, sebbene la risposta del cortisolo alla stimolazione dell’ACTH è diminuita89. Le concentrazioni plasmatiche di TSH e degli ormoni tiroidei sono normali90, ma vanno misurati per escludere l’ipotiroidismo come causa dell’ipotermia stessa. Se un paziente è resistente ai tentativi di riscaldamento, bisogna considerare la somministrazione di idrocortisone con o senza ormoni tiroidei nel caso si tratti di ipotiroidismo occulto, ipopituitarismo o precedente uso cronico di steroidi. La somministrazione abituale di steroidi non è benefica e quindi non viene raccomandata. Se l’ipotermia si sviluppa rapidamente molti processi differenti possono contribuire all’iperglicemia, che contribuisce all’aumento della diuresi. Il rilascio di insulina è inibito dai livelli di corticosteroide come pure dal diretto raffreddamento delle isole di Langerhans91; inoltre la sensibilità all’insulina da parte dei tessuti è diminuita. L’attività simpatica è aumentata, con aumenti plasmatici di norepinefrina e acidi grassi liberi92; la glicogenolisi e la gluconeogenesi, indotta dalle catecolamine, contribuiscono all’iperglicemia. I livelli di glucagone sono aumentati, ed i livelli del cortisolo plasmatico correlano con i livelli di lattato e glicerolo. Ciò porta ad un’attiva stimolazione della glicogenolisi e della lipolisi. Nei casi in cui l’ipotermia si sviluppa più lentamente le riserve di glicogeno possono essere consumate ed è in questo modo che si può sviluppare ipoglicemia. Anche il brivido riduce le riserve di glicogeno e contribuisce all’ipoglicemia. Con il riscaldamento i fattori che portano ad un aumentato livello di glucosio nel plasma vengono corretti: è meglio tollerare moderati livelli di iperglicemia invece di correggerli, per evitare un’ipoglicemia profonda al riscaldamento. L’insulina esogena ha poco effetto nello stato ipotermico e sono necessarie alte dosi per avere minimi effetti. Se l’iperglicemia persiste durante il riscaldamento, vanno considerati la chetoacidosi diabetica e la pancreatine; la terapia insulinica dovrà essere istituita solo quando la temperatura diventi superiore ai 30°C. L’ipopotassiemia conduce ad uno spostamento di potassio dallo spazio extracellulare all’interno delle cellule93 a causa dei cambiamenti nella permeabilità delle membrane e della funzione della pompa Na/K. L’iperkalliemia, d’altro canto, è un marker di acidosi e morte cellulare ed è perciò un segno di prognosi sfavorevole. L’ECG non è d’aiuto in questi casi, poiché i cambiamenti del tracciato possono essere ridotti dall’ipotermia e poiché a basse temperature la tossicità cardiaca del potassio è amplificata. Il sodio plasmatico, il calcio, il magnesio, e il cloro non si modificano al di sopra dei 25°C, ma sono stati riportati casi di ipofosfatemia severa al riscaldamento dall’ipotermia profonda94,95. Effetti gastrointestinali. A 34°C, la motilità intestinale diminuisce e si paralizza (ileo) quando la temperatura scende al di sotto dei 28°C; è necessario un sondino naso/oro-gastrico per ridurre la possibilità di aspirazione. L’assorbimento di farmaci somministrati per via orale o naso-gastrica diminuisce in questa situazione e questa via deve quindi essere evitata. Emorragie puntiformi possono avvenire nel tratto gastrointestinale, e studi autoptici hanno riscontrato erosioni gastriche e emorragie sottomucose in questi pazienti. Le ulcere gastriche superficiali sono note come ulcere di Wischnevsky e si ritrovano nella maggioranza dei casi all’esame post-mortem96. All’esame istologico della mucosa gastrica, si osserva la dilatazione cistica dei capillari, dovuta alla riperfusione dopo il collasso funzionale del microcircolo97. Studi animali hanno dimostrato che l’ipotermia aumenta la produzione di acido cloridrico nello stomaco e riduce la secrezione di bicarbonato nel duodeno, predisponendo ai danni della mucosa in entrambi gli organi98. Può svilupparsi insufficienza epatica, forse come conseguenza della riduzione della gittata cardiaca, e la diminuzione della clearance dell’acido lattico, che ne consegue, contribuisce all’acidosi; se vengono somministrati fluidi caldi, questi non devono contenere la soluzione di Hartmann, in quanto il fegato non può metabolizzare efficientemente il lattato99. Le funzioni del fegato di detossificazione e coniugazione sono depresse e di conseguenza l’emivita di molti farmaci aumenta, così come gli effetti dell’etanolo. Questo può essere particolarmente rilevante nella situazione di overdose, in cui l’ipotermia provocata prolunga gli effetti dei farmaci ingeriti. Frequentemente si verifica pancreatite come conseguenza dell’ipotermia (20-30% dei casi)100; livelli elevati di amilasi senza evidenza clinica di pancreatite sono ancora più comuni, essendo presenti nel 50% dei casi101. La ragione di questo non è ben conosciuta, ma si pensa che sia il risultato della trombosi del microcircolo e dela conseguente ischemia per necrosi perilobulare del pancreas; questo può essere alla base di un processo simile che avviene nell’intestino, nel fegato, nel cervello, nel miocardio ed in tutti gli altri organi102. In associazione alla pancreatite emorragica è stata osservata trombosi della vena porta. Studi animali hanno dimostrato una diminuzione della funzione esocrina del pancreas ed un aumento delle amilasi sieriche come risultato di un raffreddamento del pancreas per poche ore103. Altri enzimi associati con danno cellulare sono spesso elevati come AST, ALT e bilirubina. Approccio clinico Diagnosi differenziale Una volta fatta diagnosi di ipotermia, solitamente è facile determinarne la causa. L’esposizione al freddo, l’ipoglicemia e l’abuso di alcool sono responsabili di più dell’80% dei casi riportati. La diagnosi di esposizione è abitualmente determinata dall’anamnesi (luogo del ritrovamento). L’ipoglicemia dovrebbe essere sospettata nei pazienti diabetici ed etilisti e viene confermata facilmente tramite stick cutanei o da misurazioni su prelievo ematico. L’abuso di alcool può essere diagnostico attraverso l’anamnesi, l’esame clinico (condizioni generali scadenti con segni di insufficienza renale ed epatica) e confermato tramite la misurazione delle concentrazioni plasmatiche di etanolo. L’encefalopatia di Wernicke è difficile da diagnosticare nel paziente ipotermico, ma deve essere sospettata se è presente una storia di abuso di alcool, atassia, deviazioni dei bulbi oculari (specialmente paralisi del sesto nervo cranico e dello sguardo coniugato). Nelle altre cause di ipotermia le deviazioni oculari sono sempre assenti. Sebbene l’ipotiroidismo e il panipopituitarismo siano cause rare di ipotermia, la diagnosi differenziale è difficile in quanto si presentano clinicamente nello stesso modo104. Il coma non è frequente nell’ipotermia105, ma quando presente è difficile da distinguere dalla morte. Uno stato di coma senza risposta allo stimolo doloroso non è mai presente se la temperatura è superiore ai 27°C. In questi casi i pazienti appaiono immobili, con rigidità delle estremità. La pressione arteriosa può essere difficile da misurare, a causa della vasocostrizione periferica. Il polso è lento e spesso non rilevabile. Al di sotto dei 25°C, l’EEG è sempre piatto. Chiaramente in queste condizioni, i criteri per accertare la morte non possono essere applicati, finchè la temperatura non viene riportata a 37°C. Alcuni pazienti sono sopravvissuti senza sequele, anche dopo 30 minuti di arresto completo106,107,108. I cambiamenti indotti dall’ipotermia possono mascherare o mimare altri disturbi. La rigidità della muscolatura cervicale può mimare una meningite. L’addome è frequentante duro come una tavola e la peristalsi è assente, come in una peritonite. Poiché lo shock e il coma hanno moltissime cause, è fondamentale, in questi casi, il giudizio clinico che deve guidare nella diagnosi differenziale. Grande importanza deve essere data alla correlazione tra segni/sintomi e temperatura rilevata. Per es. la presenza di fibrillazione ventricolare o di un coma ad una temperatura di 30°C, oppure uno shock con ematocrito basso e feci positive per sangue, devono far spostare l’attenzione del medico verso altre cause e indirizzare gli accertamenti diagnostici su altre patologie. Nel paziente con ipotermia, sottoposto a prolungata rianimazione cardiopolmonare, la diagnosi di infarto miocardio può essere difficile: CK, LDH, ALT e AST possono essere elevati a causa della riperfusione epatica e del danno muscolare indotto dal freddo. Livelli elevati di CK-MB e CK-BB sono stati riportati in pazienti ipotermici senza evidenza di infarto miocardio e cerebrale105. Tuttavia, le modificazioni ECG, in corso di ipotermia, aiutano nella diagnosi differenziale in quanto sono meglio correlate con l’IMA rispetto agli enzimi miocardiospecifici. Monitoraggio della temperatura Poiché la funzione degli organi viene ristabilita con l’aumento della temperatura, è fondamentale che il trattamento sia focalizzato al riscaldamento e ad una terapia di supporto, e non si perda tempo nella valutazione e correzione dei segni/sintomi che riguardano i singoli organi. Un altro dogma del trattamento precoce è che la manipolazione del paziente deve essere minima, in quanto ogni movimento e/o manovra invasiva possono condurre ad aritmie maligne. Il rilevamento della temperatura interna permette innanzitutto la diagnosi di ipotermia accidentale e permette al medico di rilevare lo stato patofisiologico del paziente ad ogni temperatura rilevata (Tab.1). I siti accettabili per il rilevamento della temperatura sono: sottolinguale, rettale, esofagea, vescicale, timpanica e polmonare (le temperature ascellari sono meno correlate). Con un paziente affetto da ipotermia moderata o severa, la temperatura dovrebbe essere rilevata in modo continuo da più siti. Le temperature rettali aumentano spesso in modo più lento, rispetto a quelle rilevate in altri siti, durante il riscaldamento (oltre ad avere la possibilità di rilevazioni falsamente basse, dovute all’inserzione inavvertita del termometro in feci ghiacciate). Inoltre il sito in cui avviene il riscaldamento, può produrre delle interferenze con la rilevazione della temperatura interna; per esempio, se si usa un lavaggio peritoneale, la temperatura della vescica cresce più rapidamente della temperatura degli altri siti. Tabella 1. Effetti fisiologici causati dall’ipotermia e manifestazioni cliniche. Intubazione endotracheale Sebbene si pensi che l’intubazione endotracheale predisponga i pazienti ipotermici ad aritmie cardiache110, un gran numero di casi indica che in mani esperte il rischio è basso 111. Quindi il protocollo per intubare questi pazienti dovrebbe essere lo stesso che si utiliza per il resto della popolazione. L’intubazione orotracheale è preferibile, perché i pazienti ipotermici sono coagulopatici, anche se il rischio di epistassi appare modesto con l’intubazione nasale112,113. In genere si evita l’utilizzo di miorilassanti, in quanto hanno scarso effetto a temperature inferiori a 30°C; inoltre la diminuita funzione renale, epatica e degli enzimi plasmatici rendono il metabolismo di questi farmaci imprevedibile e vi è quindi il rischio di paralizzare i pazienti senza un’adeguata sedazione. Empiricamente viene sempre somministrata una frazione inspiratoria di ossigeno elevata. Arresto cardiaco I protocolli per la gestione delle aritmie ventricolari e delle bradicardie non sono applicabili nel caso di ipotermia moderata e severa. La cardioversione di aritmie ventricolari è difficile a temperature inferiori a 30°, sebbene uno studio di defibrillazione elettrica in pazienti senza polso ha mostrato alcuni successi anche a queste temperature114,115. Studi animali e “case report” suggeriscono che il bretilio aumenta la soglia per la fibrillazione ventricolare e porta a cardioversione in numerosi pazienti ipotermici116-120, ma ci sono dati insufficienti per supportare l’uso abituale di questo farmaco. Alcuni dati, ricavati da un modello porcino di arresto cardiaco ipotermico, indicano che la somministrazione di epinefrina o vasopressina porta ad una migliore perfusione coronarica, tassi più elevati di cardioversione e miglioramento della sopravvivenza a breve termine (paragonata all’uso di placebo)121,122; purtroppo non esistono studi clinici sull’uomo a tale proposito. Un modello animale suggerisce che il pacing transcutaneo per le bradicardie può migliorare l’emodinamica, se vi è evidenza di un’inadeguata gittata cardiaca123, ma l’efficacia sugli uomini non è provata. Il pacing transvenoso non è raccomandato perché può precipitare le aritmie ventricolari124. Poiché la maggioranza delle aritmie si risolve spontaneamente durante il riscaldamento, è imperativo che i tentativi di gestire l’arresto cardiaco non ritardino gli interventi per correggere la sottostante ipotermia. In letteratura vengono riportati, per l’arresto cardiaco in pazienti ipotermici, sia il massaggio cardiaco interno che esterno. Paragonato al massaggio a torace chiuso, il massaggio a torace aperto in pazienti normotermici produce una maggiore perfusione dei vasi coronarici123 e può essere efficace nei pazienti ipotermici se combinato con l’irrigazione mediastinica e il by-pass cardiopolmonare126,127. Comunque la maggioranza delle strutture ospedaliere sono prive di esperienza e delle risorse necessarie per eseguire in modo sicuro e rapido una toracotomia laterale sinistra per questo scopo. Il massaggio a torace chiuso è un’alternativa non necessariamente inferiore. Un paziente è sopravvissuto dopo circa sei ore di compressioni toraciche esterne128. Il termine “massaggio cardiaco” non è probabilmente corretto, in quanto le compressioni esterne creano oscillazioni nella pressione intratoracica, che producono un flusso di sangue indipendente dal flusso generato dalla compressione diretta del cuore129. Somministrazione di liquidi Molti pazienti con ipotermia severa sono ipovolemici e richiedono la somministrazione endovenosa di fluidi. I liquidi dovrebbero essere riscaldati a 40-42°C in un riscaldatore apposito, per evitare eccessive perdite di calore. Inoltre, i pazienti ipotermici hanno una contrattilità miocardica deficitaria e quindi bisogna prestare attenzione ai primi segni di sovraccarico volemico. Il posizionamento di un catetere arterioso permette la misurazione continua della pressione sanguigna e facilita le emogasanalisi, (particolarmente importanti quando la vasocostrizione periferica e l’ipotensione interferiscono con la saturimetria periferica). Il monitoraggio della pressione venosa centrale è utile nei pazienti con stato volemico non chiaro, ma il contatto tra il catetere ed il miocardio deve essere minimo a causa della bassa soglia per aritmia. La cateterizzazione di una vena femorale può essere più sicura rispetto ad una vena giugulare o succlavia; la cateterizzazione dell’arteria polmonare deve essere sempre evitata. L’ipotermia può anche aumentare il rischio di perforazione vascolare durante la cateterizzazione del cuore destro130. L’uso di basse dosi di vasopressori è utile in pazienti euvolemici che rimangono ipotesi durante il riscaldamento. Esami ematochimici Il largo spettro di disfunzione d’organo, associato all’ipotermia severa, richiede uno stretto monitoraggio attraverso esami di laboratorio. La funzione renale è spesso peggiorata a causa di una diminuita perfusione ed i cambiamenti elettrolitici sono imprevedibili. In assenza di CID, la coagulopatia indotta da ipotermia si risolve con il riscaldamento e quindi la severità della disfunzione della coagulazione in vivo non è correlata in modo accurato agli esami eseguiti di routine a 37°C131-133. La presenza di trombocitopenia, l’aumento dei prodotti di degradazione della coagulazione e la deplezione del fibrinogeno suggeriscono la presenza di CID indipendentemente dalla temperatura interna. I pazienti con ipotermia sono a rischio sia di ipo- che di iper-glicemia. I tipici sintomi dell’ipoglicemia possono essere assenti, a causa della depressione del SNC. Altre misure L’ileo indotto dall’ipotermia è comune, e il posizionamento di un sondino orogastrico (preferibile al nasogastrico per il rischio di emorragie) è necessario per ridurre il rischio di “ab ingestis”. Un catetere vescicale è necessario per il monitoraggio della funzione renale e dell’equilibrio idrico. I vestiti bagnati contribuiscono alla perdita di calore per conduzione e devono essere rimossi. La pelle deve essere mantenuta asciutta e coperta con materiale isolante. Occorre ritardare il riscaldamento delle estremità, finché non venga posizionato un accesso venoso e non sia iniziato il riempimento volemico. Il riscaldamento prematuro delle estremità può portare ad un ritorno in circolo di sangue più freddo rispetto alla circolazione centrale, con una conseguente diminuzione della temperatura. Questo fenomeno, chiamato “afterdrop”, è responsabile della diminuzione fino a 1,5°C in modelli sperimentali134,135 e può essere clinicamente importante nei pazienti critici. La vasodilatazione periferica con riscaldamento esterno può anche peggiorare l’ipotensione. L’uso empirico di antibiotici è appropriato per quei pazienti in cui si sospetta la polmonite ab ingestis o la sepsi. Durante la transizione dalla stabilizzazione iniziale all’inizio del riscaldamento è importante eliminare i fattori di rischio per l’instabilità termica. L’identificazione di intossicazioni predisponesti, farmaci e condizioni mediche come l’ipotiroidismo e l’insufficienza surrenale, porteranno il clinico al trattamento specifico di queste cause di ipotermia. Inoltre, conoscendo queste possibili cause, il clinico potrà anticipare la risposta ai vari interventi di riscaldamento e quindi regolare in modo appropriato l’aggressività dell’intervento. Riscaldamento I metodi per correggere l’ipotermia si dividono in tre categorie di riscaldamento: passivo esterno, attivo esterno e attivo interno. Tabella 2. Metodi di riscaldamento. La tabella 2 sintetizza le tecniche di riscaldamento mini-invasive basate su queste categorie. L’efficacia riportata per i vari trattamenti è differente. Le variazioni tra caratteristiche dei pazienti, severità dell’ipotermia, esperienza dell’equipe e i modelli di studio sono responsabili delle discrepanze tra i diversi studi presenti in letteratura. Comunque, le risposte individuali al riscaldamento sono imprevedibili e non è chiaro se combinando le modalità si ottenga un effetto additivo. Passivo esterno La chiave del riscaldamento passivo esterno è eliminare ogni fonte di perdita di calore e portare alla correzione della temperatura interna attraverso la produzione endogena di calore. Una grande quantità di perdita di calore avviene dal collo e dalla testa, per cui è particolarmente importante che siano coperte. Con il brivido la produzione di calore può aumentare di cinque volte rispetto al basale136, portando gli individui sani e con ipotermia media al riscaldamento spontaneo in tempi brevi. Infatti, modelli sperimentali mostrano che la perdita del brivido rallenta il riscaldamento del 37%. Il brivido diminuisce a temperature inferiori ai 32° e quindi i pazienti con ipotermia moderata o severa inizialmente si scaldano molto lentamente. Individui con scarsa massa muscolare, ridotte riserve di glicogeno o endocrinopatie, hanno una capacità ridotta di produrre calore. Inoltre l’aumento del consumo di ossigeno provocato dal brivido (3-5 volte), può essere problematico per pazienti con limitata riserva coronarica. In questo caso meglio utilizzare un riscaldamento attivo, accompagnato dall’utilizzo di meperidina, per controllare il brivido stesso. Attivo esterno L’utilizzo di aria riscaldata agisce prevenendo la perdita di colore e trasferendo calore per convezione. Apparecchi che producano aria forzata sono facilmente disponibili e possono essere utilizzati facilmente e rapidamente. Sia modelli sperimentali umani sia studi randomizzati e controllati hanno dimostrato che la velocità di riscaldamento con aria calda forzata è superiore al riscaldamento passivo137,138 e in una piccola serie di casi è un trattamento salvavita anche nell’ipotermia severa115. Come notato in precedenza il riscaldamento attivo precoce può precipitare l’ipotensione e l’”afterdrop”, ma questi rischi appaiono modesti se in contemporanea vengono somministrati liquidi riscaldati. Pazienti con una temperatura inferiore a 23°C sono stati riscaldati con successo attraverso l’immersione in acqua calda139. Tuttavia, questo approccio pone barriere sostanziali al monitoraggio e alla rianimazione; tecniche più sicure hanno largamente soppiantato questa procedura. Ci sono pochi dati che supportino l’uso di culle calde, coperte calde, coperte in cui circola acqua calda e l’utilizzo di onde-elettromagnetiche140,141. La vasocostrizione periferica rende la pelle dei pazienti ipotermici vulnerabile ai danni indotti da fonti di calore esterne (ustioni). Questa complicanza deve essere tenuta sempre in considerazione per il rischio successivo di infezione. Attivo interno Mini-invasivo Un grande numero di interventi rientra nella categoria di riscaldamento attivo interno. Per meglio comprendere l’efficacia e la differenza tra questi approcci è utile ricordare il concetto di calore specifico. Il calore specifico è definito come quantità di calore (Kcal) richiesto per riscaldare un Kg di acqua di un 1°C. Il calore specifico dell’acqua è 1 Kcal/kg/°C e così dieci Kcal sono richieste per aumentare la temperatura di un kg di acqua di 10°C. Il calore specifico del corpo umano è pari a 0,83 Kcal/kg/°C. Si può così calcolare il calore necessario per aumentare la temperatura di un paziente di 70 Kg da 25° a 35° C. 70 Kg x 0,83 Kcal/kg/°C x 10° C = 581 Kcal (58 Kcal/°C) La risposta alla somministrazione endovenosa di fluidi illustra questo concetto. I cristalloidi sono normalmente riscaldati a 40-42°C attraverso un bagno in acqua calda o con microonde e vengono rapidamente infusi nel paziente. Se un litro di soluzione salina a 42° viene infuso in un paziente con una temperatura di 25° il trasferimento di calore sarà: 1 Kcal/kg/°C x (42° - 25°) = 17 Kcal Questo calore è sufficiente per riscaldare la temperatura del sopramenzionato paziente di 70 Kg di 17 / 58 = 0,29° C. In realtà il trasferimento di calore è ancora inferiore, in quanto la soluzione salina si raffredda rapidamente, a temperatura ambiente, e la perdita di calore è proporzionale alla lunghezza dei tubi attraversati prima di raggiungere il paziente142-144. La rapida infusione, utilizzando dei deflussori con una lunghezza inferiore ai 25cm, rende massimo il trasferimento di calore. Può essere utilizzato un termometro posto all’ingresso del fluido nel paziente145. Sebbene l’impatto sulla temperatura è modesto, i fluidi endovenosi caldi giocano un ruolo importante nella rianimazione delle vittime traumatiche, nelle quali la variazione di temperatura di 1-2° può essere un salvavita. Inoltre, l’infusione di sangue e cristalloidi riscaldati è indicata per tutti i pazienti ipotermici, in quanto la somministrazione di fluidi a temperatura ambiente causa ulteriore perdita di calore. Il riscaldamento attivo interno con fluidi a 65°C ha aumentato la sopravvivenza nei ratti, senza peggiorare l’emolisi, ma non esistono esperienze sull’uomo146,147. L’uso di aria calda inspirata è poco invasivo ed è stato esaminato in molti studi. Il piccolo volume di acqua presente nell’aria, saturata di vapore, limita il potenziale di trasferimento di calore a 10 Kcal/h. Questo consiste approssimativamente in 0,5° C/h137,148-150. Poiché l’uso di temperature elevate porta ad un beneficio modesto e aumenta il rischio di danno per il paziente e per il ventilatore non sono raccomandate temperature superiori ai 41°. Particolare importanza detiene l’umidità, in quanto previene la perdita di calore ed è facilmente ottenibile attraverso un umidificatore. Lavaggi di cavità interne. Il lavaggio di cavità del corpo con fluidi caldi ha un’efficacia variabile. Il facile accesso allo stomaco, alla vescica e al colon li rendono attraenti come sito di irrigazione, ma vi sono pochi dati che supportino questi approcci. Il contributo al riscaldamento è probabilmente minimo, in quanto queste cavità hanno una superficie mucosa piccola per effettuare grandi scambi di calore. Dato il beneficio modesto, il lavaggio gastrico in pazienti non intubati pone il rischio inaccettabile di aspirazione. Per evitare il danno alla mucosa i fluidi non possono avere temperatura superiore a 45°C. Il lavaggio della cavità pleurica si esegue con grandi volumi (10-120 litri/h) di un fluido a 40-45° attraverso una toracotomia a livello del secondo o terzo spazio intercostale sulla linea emiclaveare. Il fluido è drenato attraverso una seconda toracotomia in quarto, quinto o sesto spazio intercostale sulla linea ascellare posteriore151,152.Alternativamente, salina calda può essere infusa ripetutamente e drenata attraverso un singolo tubo ad intervalli di 15-20 minuti. Il lavaggio pleurico offre un riscaldamento variabile ma rapido. Le esperienze con uomini sono limitate a piccole serie149,151-154. Il lavaggio peritoneale con salina calda o dialisato è largamente disponibile, relativamente semplice da eseguire ed è un test diagnostico per trauma addominale occulto, che si riscontra in un numero considerevole di giovani pazienti ipotermici. Il posizionamento di due o più cateteri nello spazio intraperitoneale migliora la velocità di riscaldamento, attraverso un flusso maggiore all’interno della cavità. L’irrigazione diretta del fegato accelera il recupero della funzione epatica e facilita la clearance di tossine e acido lattico. L’infusione di dialisato caldo ad intervalli di 20-30 minuti porta alla rimozione delle tossine dializzabili e al trattamento della concomitante insufficienza renale e della eventuale rabdomiolisi155-159. Metodi extracorporei. La tabella 3 confronta i metodi di riscaldamento extracorporei. Tabella 3. Metodi di riscaldamento extra-corporei. L’uso del by-pass cardiopolmonare è stato utilizzato per il trattamento dell’ipotermia accidentale in due pazienti alla fine degli anni ’60160,161. In entrambi i casi la perfusione è avvenuta a cuore battente, ma nella maggioranza dei pazienti trattati nelle serie successive il by-pass è stato eseguito con arresto cardiaco162. Di fatti, il by-pass cardiopolmonare è un’opzione attraente in pazienti in arresto cardiaco, provvede ad un rapido riscaldamento, ad un supporto circolatorio, all’ossigenzionazione e può essere combinato all’emodialisi159,163,164. L’approccio può essere femoro-femorale oppure attraverso sternotomia mediana; entrambi hanno la stessa efficacia. Gli svantaggi principali del by-pass cardiopolmonare sono la scarsa disponibilità, il ritardo nell’iniziare il trattamento e la necessità di scoagulazione. I dati che supportano l’uso di cateteri rivestiti di eparina al posto della scoagulazione completa, nei pazienti ad alto rischio (come le vittime di un trauma), sono molto limitati165. Nel riscaldamento continuo artero-venoso la pressione del sangue del paziente genera un flusso dall’arteria femorale attraverso un fluido riscaldato contro corrente; il sangue quindi rientra nel paziente attraverso la vena femorale controlaterale166. Tubi di alluminio con fluidi riscaldanti rendono massima la conduzione termica tra un bagno di acqua a 40°C e il sangue circolante. Le velocità di riscaldamento sono eccellenti, appena inferiori a quelle ottenute con by-pass cardiopolmonare. Confrontato con il by-pass cardiopolmonare il riscaldamento continuo arterovenoso può essere iniziato più rapidamente e richiede un’equipe meno specializzata, potendo essere eseguito anche al letto del paziente e non in sala operatoria. Uno studio prospettico e randomizzato ha mostrato che il riscaldamento artero-venoso continuo riduce la richiesta di fluidi e migliora la sopravvivenza a medio termine se confrontato con strategie mini-invasive167. Tuttavia, l’esperienza riportata in grandi popolazioni è limitata168,169. Il riscaldamento extra-corporeo veno-venoso, l’emodialisi veno-venosa continua, l’emodialisi artero-venosa e l’emofiltrazione sono opzioni addizionali per il riscaldamento diretto del sangue170176 . Il riscaldamento extracorporeo veno-venoso richiede la cateterizzazione di due vene centrali e l’uso di una pompa per mantenere il flusso171. Il flusso e la velocità di riscaldamento sono più lente rispetto al by-pass cardiopolmonare ed al riscaldamento artero-venoso continuo. L’emodialisi e l’emofiltrazione sono utili nel caso di insufficienza renale, di alterazioni elettrolitiche, di sovraccarico di volume o in seguito all’ingestione di tossine o di farmaci dializzabili170,172. Il posizionamento di cateteri a due vie, come per la dialisi, attraverso la cannulazione di un singolo vaso può essere un’alternativa in pazienti con accessi vascolari difficoltosi. L’esperienza clinica riportata con questi approcci è favorevole, ma limitata a serie di casi che hanno un numero modesto di pazienti. Selezione del metodo di riscaldamento La decisione della strategia di riscaldamento è un lavoro complesso, ma non insormontabile. Non esiste un approccio basato sull’evidenza per la gestione di questa patologia, a causa dell’esiguità di studi clinici randomizzati su tale argomento. L’eterogeneità delle popolazioni studiate, dell’esperienza delle equipe e della presentazione clinica impediscono un approccio all’ipotermia attraverso un algoritmo decisionale. Tuttavia possono essere raccolte delle linee guida generali dalla letteratura. 1. Le misure di riscaldamento passivo esterno sopramenzionate sono appropriate per tutte le vittime affette da ipotermia, indipendentemente dalla severità. 2. Il riscaldamento passivo esterno è adeguato per la maggior parte dei pazienti con ipotermia moderata. Serie di casi pubblicati suggeriscono che, in assenza di grave patologia sottostante, i pazienti riscaldati passivamente affetti da ipotermia moderata hanno una buona prognosi113. 3. Sebbene un riscaldamento più veloce non sia correlato ad una riduzione della mortalità, c’è un forte razionale fisiologico per l’utilizzo di metodi invasivi per affrettare il riscaldamento nei pazienti in arresto cardiaco. La cardioversione ad una temperatura interna inferiore a 28°C è inutile ed il riscaldamento extra-corporeo, preferibilmente con by-pass cardiopolmonare o riscaldamento artero-venoso continuo, è indicato in questa popolazione di soggetti. Inoltre, il riscaldamento extra-corporeo può ridurre la perdita di tessuto (necrosi) in un paziente con gli arti congelati. Nei centri in cui non è possibile effettuare il by-pass, sono indicate la combinazione di riscaldamenti attivi esterni, lavaggio delle cavità corporee e altre forme di riscaldamento extra-corporeo. L’approccio ottimale è meno chiaro per pazienti con: - adeguata pressione arteriosa (PAM = 60 mm/Hg) ma ipotermia moderata o severa; - ipotermia media che non risponde al riscaldamento passivo. Alcuni Autori indicano dei valori soglia per iniziare il riscaldamento invasivo110,141,162 in quanto una correzione rapida della temperatura può ridurre il periodo in cui il paziente è vulnerabile alla sviluppo di aritmie. Comunque, la presenza di altre patologie sembra essere il miglior predittore di mortalità rispetto al valore iniziale di temperatura113,177,178. Un numero di studi riporta buoni outcome con riscaldamento mini-invasivo di pazienti stabili emodinamicamente, affetti da ipotermia moderata o severa138,159,179. Gli studi, in cui viene correlata la velocità del riscaldamento e la funzione cognitiva post-operatoria in pazienti sottoposti a by-pass aorto-coronarico in ipotermia, sono molti rilevanti per la gestione dell’ipotermia accidentale. Uno studio condotto su pazienti sottoposti a BPAC, a sei settimane dall’intervento, ha mostrato funzione neurologica migliore nei pazienti riscaldati più lentamente180; tuttavia in un altro studio su pazienti diabetici non sono state rilevate differenze181. In entrambi gli studi i pazienti venivano riscaldati di 13° C/h, che è una velocità molto più rapida rispetto a quella utilizzata nell’ipotermia accidentale. A questo momento, non ci sono sufficienti prove per delle raccomandazioni sulla gestione di pazienti con ipotermia severa e con emodinamica stabile. Decesso La morte e l’ipotermia profonda sono indistinguibili, soprattutto ad una iniziale valutazione sul luogo del ritrovamento. Di qui l’espressione “no one is death until they are warm and death”. Le vittime dell’ipotermia hanno periodi prolungati di sopravvivenza anche dopo lunghi periodi di rianimazione cardiopolmonare128 che si presentava con una temperatura di 13,7° C e recuperata dopo 45 minuti di immersione in acqua a 40°C. L’outcome a lungo termine, dei sopravvissuti ad ipotermia severa accidentale, è eccellente. Una valutazione neurologica estesa sui sopravvissuti ad ipotermia, complicata da arresto cardiaco, non ha mostrato danni indotti dall’ipotermia capaci di modificare la qualità della vita182. I soggetti erano giovani e in salute ed erano capaci di ritornare al normale stile di vita anche dopo 30 giorni di coma; invece persone anziane, con patologie associate, avevavno un outcome più sfavorevole. La causa dell’ipotermia, la sua reversibilità e la presenza di comorbilità sono predittori consistenti dell’outcome113,117, ma un marker semplice per dichiarare irreversibile il processo non esiste. Una concentrazione di potassio superiore a 10 mmol/l è un marker di morte cellulare estesa ed è associata al 100% di mortalità in due serie di pazienti vittime di valanghe178,173. Tuttavia, un “case report” ha mostrato una sopravvivenza di un paziente con una potassiemia di 9,5 mmol/l e ha mostrato come questo limite non sia così assoluto165. L’insufficienza renale, la tossicità dei farmaci, la rabdomiolisi e l’insufficienza adrenergica sono tutte cause reversibile di iperpotassiemia, e dovrebbero essere considerate prima di attribuire agli elevati livelli di potassio il significato di morte irreversibile. Altri marker proposti per outcome sfavorevole sono: l’età avanzata, basso pH, insufficienza renale, ammoniemia > 250 µM/l, fibrinogeno < 50 mg/dl, coagulopatia, arresto cardiaco, necessità di ventilazione meccanica, Glasgow Coma Scale (GCS) minore o uguale a 5, necessità di vasocostrittori, assenza di esposizione al freddo e durata molto lunga dell’esposizione. Comunque, nessuno di questi fattori preso singolarmente è in grado di prognosticare l’insuccesso della rianimazione141,177,178,184,185. Le vittime dell’ipotermia che sono congelate diffusamente, che hanno chiare lesione mortali, o non possono essere trattate per tempi lunghi, non devono essere rianimate. In assenza di chiari segni di lesioni irreversibili, la decisione di non eseguire la rianimazione è determinata dalle comorbilità del paziente, dalla reversibilità delle patologie acute sottostanti e dalla necessità di assistere contemporaneamente altre persone in condizioni critiche. In situazioni clinicamente ambigue, si utilizza la raccomandazione della American Heart Association di riscaldare i pazienti almeno a 35°C prima di dichiarare inutile ogni tentativo di rianimazione186. Bibliografia 1. Kempainen RR, Brunette DD. The evaluation and management of accidental hypothermia. Respir Care. 2004; 49: 192-205. 2. CDC. Hypothermia-related deaths—Philadelphia, 2001, and United States, 1999. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2003; 52: 86–87. 3. CDC. Hypothermia-related deaths—Alaska, October 1998-April 1999, and trends in the United States, 1979–1996. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2000; 49: 11–14. 4. Roggla M, Frossard M, Wagner A, Holzer M, Bur A, Roggla G. Severe accidental hypothermia with or without emodynamic instability: rewarming without the use of extracorporeal circulation. Wien Klin Wochenschr 2002; 114: 315–320. 5. Vassal T, Benoit-Gonin B, Carrat F, Guidet B, Maury E, Offenstadt G. Severe accidental hypothermia treated in an ICU: prognosis and outcome. Chest 2001; 120: 1998–2003. 6. White JD. Hypothermia: the Bellevue experience. Ann Emerg Med 1982; 11: 417–424. 7. Hudson LD, Conn RD. Accidental hypothermia: associated diagnoses and prognosis in a common problem. JAMA 1974; 227: 37–40. 8. CDC. Exposure-related hypothermia deaths—District of Columbia, 1972–1982. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 1982; 31: 669–671. 9. Danzl DF, Pozos RS, Auerbach PS, Glazer S, Goetz W, JohnsonE, et al. Multicenter hypothermia survey. Ann Emerg Med 1987; 16: 1042–1055. 10. Taylor AJ, McGwin G Jr. Temperature-related deaths in Alabama. South Med J 2000; 93: 787–792. 11.Curley FJ, Irwin RS. Disorders of temperature control. In: Intensive Care Medicine; Lippincott Williams&Wilkins 2003: p747. 12. IampietroPF, Vaughn JA, Goldman RF. Heat production from shivering. J Appl Physiol 1960; 15 : 632. 13. Hardy JD, Bard P. Body temperature regulation. In: Medical Physiology, St. Louis, Mosby 1974; p 1305. 14. Hammel HT. Regulation of internal body temperature. Annu Rev Physiol 1968; 30: 641. 15. Cabanac M. Temperature regulation. Annu Rev physiol 1975; 37: 415. 16. Myers RD. The role of hypothalamic transmitter factors in the control of body temperature. In: Physiological and behavioral temperature regulation; Springfield, IL, Thomas Books 1970: p 648. 17. Wagner JA, Robinson S, Marino RP. Age and temperature regulation of humans in neutral and cold environments. J Appl Physiol 1974; 37: 562. 18. Collins KJ, Dore C, Exton-Smith. Accidental hypothermia and impaired temperature homeostatsis in the elderly. BMJ 1977; 1: 353. 19. Ellis FP, Exton-Smith AN, Foster KG. Eccrine sweating and mortality during heat waves in very young and very old persons. Isr J Med Sci 1976; 12: 815. 20. Mallet ML. Pathophysiology of accidental hypothermia. QJM 2002;95: 775-85. 21. Scott AR, MacDonald IA, Bennett T, Tattersall RB. Abnormal thermoregulation in diabetic autonomic neuropathy. Diabetes 1988; 37:961–8. 22. Freinkel N, Metzger BE, Harris E, Robinson S, Mager M. The hypothermia of hypoglycemia: studies with 2-deoxy- D-glucose in normal human subjects and mice. N Engl J Med 1972; 287:841–5. 23. Haight JS, Keatinge WR. Failure of thermoregulation in the cold during hypoglycaemia induced by exercise and alcohol. J Physiol 1973; 229:87– 97. 24. Gale EA, Tattersall RB. Hypothermia: a complication of diabetic ketoacidosis. Br Med J 1978; 277:1387–9. 25. Neil HA, Dawson JA, Baker JE. Risk of hypothermia in elderly patients with diabetes. Br Med J 1986; 293:416–18. 26. Yokoyama M, Noto Y, Kida H. Hypothermia with acute renal failure in a patient suffering from diabetic nephropathy and malnutrition. Diabetes Metab 2000; 26:145–7. 27. Kramer MR, Vandijk J, Rosin AJ. Mortality in elderly patients with thermoregulatory failure. Arch Intern Med 1989; 149:1521–3. 28. Darowski A, Najim Z, Weinberg JR, Guz A. Hypothermia and infection in elderly patients admitted to hospital. Age Ageing 1991; 20:100–6. 29. Megarbane B, Axler O, Chary I, Pompier R, Brivet FG. Hypothermia with indoor occurrence is associated with a worse outcome. Intensive Care Med 2000; 26:1843–9. 30. Clemmer TP, Fisher CJ, Bone RC, Slotman GJ, Metz CA, Thomas FO. Hypothermia in the sepsis syndrome and clinical outcome. The Methylprednisolone Severe Sepsis Study Group. Crit Care Med 1992; 20:1395–401. 31. Wong KC. Physiology and pharmacology of hypothermia. West J Med 1983; 138:227–232. 32. de Leeuw PW, Birkenhager WH. Hypothermia: a possible side effect of prazosin. Br Med J 1980; 281:1181. 33. Frank SM, Raja SN, Wu PK, el-Gamal N. Alpha-adrenergic mechanisms of thermoregulation in humans. Ann N Y Acad Sci 1997; 813:101–10. 34. Follezou JY, Bleibel JM. Reduction of temperature and lithium poisoning. N Engl J Med 1985; 313:1609. 35. Kalant H, Le AD. Effects of ethanol on thermoregulation. Pharmacol Ther 1983; 23:313–64. 36. Lomax P, Bajorek JG, Bajorek TA, Chaffee RR.Thermoregulatory mechanisms and ethanol hypothermia. Eur J Pharmacol 1981; 71:483–7. 37. Zachariah SB, Zachariah A, Ananda R, Stewart JT. Hypothermia and thermoregulatory derangements induced by valproic acid. Neurology 2000; 55:150–1. 38. Lloyd EL. Treatment of accidental hypothermia. Br Med J1979; 278:413–14. 39. Reuler JB, Parker RA. Peritoneal dialysis in the management of hypothermia. JAMA 1978; 240:2289–90. 40. Vassallo SU, Delaney KA, Hoffman RS, Slater W, Goldfrank LR. A prospective evaluation of the electrocardiographic manifestations of hypothermia. Acad Emerg Med 1999;6:1121–6. 41. Kiyosue T, Arita M, Muramatsu H, Spindler AJ, Noble D. Ionic mechanisms of action potential prolongation at low temperature in guinea-pig ventricular myocytes. J Physiol 1993; 468:85–106. 42. Solomon A, Barish RA, Browne B, Tso E. The electrocardiographic features of hypothermia. J Emerg Med 1989; 7:169–73. 43. Bashour TT, Gualberto A, Ryan C. Atrioventricular block in accidental hypothermia: a case report. Angiology 1989; 40:63–6. 44. Talbott JH. The physiologic and therapeutic effects of hypothermia. N Engl J Med 1941; 224:281–8. 45. Editorial. Treating accidental hypothermia. Br Med J 1978; 277:1383–4. 46. White DC, Hull NW. The effect of alcohol on the cardiac arrest temperature in hypothermic rats. Clin Sci 1965; 28:395–9. 47. Dixon RG, Dougherty JM,White LJ, Lombino D, Rusnak RR. Transcutaneous pacing in a hypothermic-dog model. Ann Emerg Med 1997; 29:602–6. 48. Lloyd EL, Mitchell B. Factors affecting the onset of ventricular fibrillation in hypothermia: an hypothesis. Lancet 1974; 2:1294–6. 49. Bjørnstad H, Jenssen D, Mortensen E. Diltiazem does not increase ventricular fibrillation threshold during hypothermia. Acta Anaesthesiol Scand 1995; 39:659–65. 50. Lloyd EL. Accidental hypothermia. Resuscitation 1996; 32:111–24. 51. Thomas R, Cahill CJ. Successful defibrillation in profound hypothermia (core body temperature 25.6 degrees C). Resuscitation 2000; 47:317–20. 52. Nordrehaug JE. Sustained ventricular fibrillation in deep accidental hypothermia. Br Med J 1982; 284:867–8. 53. Dronen S, Nowak RM, Tomlanovich MC. Bretylium tosylate and hypothermic ventricular fibrillation. Ann Emerg Med 1980; 9:335. 54. Kochar G, Kahn SE, Kotler MN. Bretylium tosylate and ventricular fibrillation in hypothermia. Ann Intern Med 1986; 105:624. 55. Bjørnstad H, Mortensen E, Sager G, Refsum H. Effect of bretylium tosylate on ventricular fibrillation threshold during hypothermia in dogs. Am J Emerg Med 1994; 12:407–12. 56. Rankin AC, Rae AP. Cardiac arrhythmias during rewarming of patients with accidental hypothermia. Br Med J 1984; 289:874–7. 57. Hearse DJ, Yamamoto F, Shattaock MJ. Calcium antagonists and hypothermia: the temperature dependency of the negative inotropic and anti-ischemic properties of verapamil in the isolated rat heart. Circulation 1984; 70:I54–64. 58. Chernow B, Lake CR, Zaritsky A, Finton CK, Casey L, Rainey TG, Fletcher JR. Sympathetic nervous system ‘switch off’ with severe hypothermia. Crit Care Med 1983; 11:677–80. 59. Maclean D, Griffiths PD, Emslie-Smith D. Serum-enzymes in relation to electrocardiographic changes in accidental hypothermia. Lancet 1968; 2:1266–70. 60. Hirvonen J. Necropsy findings in fatal hypothermia cases. Forensic Sci 1976; 8:155–64. 61. Danzl DF, Pozos RS. Accidental hypothermia. N Engl J Med 1994; 331:1756–60. 62. Rosenkranz L. Bone marrow failure and pancytopenia in two patients with hypothermia. South Med J 1985; 78:358–9. 63. O’Brien RC, Amess JAL, Mollin DL. Recurrent thrombocytopaenia, erythroid hypoplasia and sideroblastic anaemia associated with hypothermia. Br J Haematol 1982; 51:451–6. 64. Rohrer MJ, Natale AM. Effect of hypothermia on the coagulation cascade. Crit Care Med 1992; 20:1402–5. 65. Reed RL 2nd, Johnson TD, Hudson JD, Fischer RP. The disparity between hypothermic coagulopathy and clotting studies. J Trauma 1992; 33:465–70. 66. Breen EG, Coghlan JG, Egan E, McCarthy CF. Impaired coagulation in accidental hypothermia of the elderly. Age Ageing 1988; 17:343–6. 67. Mahajan SL, Myers TJ, Baldini MG. Disseminated intravascular coagulation during rewarming following hypothermia. JAMA 1981; 245:2517– 18. 68. Carden DL, Nowak RM. Disseminated intravascular coagulation in hypothermia. JAMA 1982; 247:2099. 69. Mikhailidis DP, Hutton RA, Jeremy JY, Dandona P. Hypothermia and pancreatitis. J Clin Pathol 1983; 36:483–4. 70. Easterbrook PJ, Davis HP. Thrombocytopenia in hypothermia: a common but poorly recognised complication. Br Med J 1985; 291:23. 71. Vella MA, Jenner C, Betteridge DJ, Jowett NI. Hypothermia-induced thrombocytopenia. J R Soc Med 1988; 81:228–9. 72. Michelson AD, MacGregor H, Barnard MR, Kestin AS, Rohrer MJ, Valeri CR. Reversible inhibition of human platelet activation by hypothermia in vivo and in vitro. Thromb Haemost 1994; 71:633–40. 73. Goodall HB, Todd AS, Maclean D, Henderson R, King JF. Proceedings: Cryofibrinogenaemia and activation of the coagulation/lysis systems in accidental hypothermia of the elderly. J Clin Pathol 1975; 28:758. 74. Maclean D. Emergency management of accidental hypothermia: a review. J R Soc Med 1986; 79:528–31. 75. Shenaq SA, Yawn DH, Saleem A, Joswiak R, Crawford ES. Effect of profound hypothermia on leukocytes and platelets. Ann Clin Lab Sci 1986; 16:130–3. 76. Biggar WD, Bohn DJ, Kent G, Barker C, Hamilton G. Neutrophil migration in vitro and in vivo during hypothermia. Infect Immun 1984; 46:857– 9. 77. Akriotis V, Biggar WD. The effects of hypothermia on neutrophil function in vitro. J Leukoc Biol 1985; 37:51–61. 78. Moore FD Jr, Warner KG, Assousa S, Valeri CR, Khuri SF. The effects of complement activation during cardiopulmonary bypass: attenuation by hypothermia, heparin, and hemodilution. Ann Surg 1988; 208:95–103. 79. Althaus U, Aeberhard P, Schupbach P, Nachbur BH, Muhlemann W. Management of profound accidental hypothermia with cardiorespiratory arrest. Ann Surg 1982; 195:492–5. 80. Fischbeck KH, Simon RP. Neurological manifestations of accidental hypothermia. Ann Neurol 1981; 10:384–7. 81. Landowne D, Scruggs V. The temperature dependence of the movement of potassium and chloride ions associated with nerve impulses. J Physiol 1976; 259:145–58. 82. Katz B, Miledi R. The effect of temperature on the synaptic delay at the neuromuscular junction. J Physiol 1965; 181:656–70. 83. Bennett AF. Thermal dependence of muscle function. Am J Physiol 1984; 247:R217–29. 84. Gautier H, Bonora M, Trinh HC. Ventilatory and metabolic responses to cold and CO2 in intact and carotid body-denervated awake rats. J Appl Physiol 1993; 75: 2570–9. 85. Swain JA. Hypothermia and blood pH. Arch Intern Med 1988; 148:1643–6. 86. Atterhog JH, Carlens P, Granberg PO, Wallenberg LR. Cardiovascular and renal responses to acute cold exposure in water-loaded man. Scand J Clin Lab Invest 1975; 35:311–17. 87. McKean WI, Dixon SR, Gwynne JF, Irvine RO. Renal failure after accidental hypothermia. Br Med J 1970; 1:463–4. 88. Gibbs DH. Inhibition of corticotropin release during hypothermia: the role of corticotropin-releasing factor, vasopressin, and oxytocin. Endocrinology 1985;116:723–7. 89. Felicetta JV, Green WL, Goodner CJ. Decreased adrenal responsiveness in hypothermic patients. J Clin Endocrinol Metab 1980; 50:93–7. 90. Woolf PD, Hollander CS, Mitsuma T, Lee LA, Schalch DS. Accidental hypothermia: endocrine function during recovery. J Clin Endocrinol Metab 1972; 34:460–6. 91. Curry DL, Curry KP. Hypothermia and insulin secretion. Endocrinology 1970; 87:750–5. 92. Maclean D, Griffiths PD, Browning MCK, Murison J. Metabolic aspects of spontaneous rewarming in accidental hypothermia and hypothermic myxoedema. Q J Med 1974; 43:371–87. 93. Koht A, Cane R, Cerullo LJ. Serum potassium levels during prolonged hypothermia. Intensive Care Med 1983; 9:275–7. 94. Levy LA. Severe hypophosphatemia as a complication of the treatment of hypothermia. Arch Intern Med 1980; 140:128–9. 95. Knochel JP. The pathophysiology and clinical characteristics of severe hypophosphatemia. Arch Intern Med 1977; 137:203–20. 96. Birchmeyer MS, Mitchell EK. Wischnewski revisited: the diagnostic value of gastric mucosal ulcers in hypothermic deaths. Am J Forensic Med Pathol 1989; 10:28–30. 97. Takada M, Kusano I, Yamamoto H, Shiraishi T, Yatani R, Haba K. Wischnevsky’s gastric lesions in accidental hypothermia. Am J Forensic Med Pathol 1991; 12:300–5. 98. Takeuchi K, Suzuki K, Araki H, Mizoguchi H, Sugamoto S, Umdeda M. Roles of endogenous prostaglandins and nitric oxide in gastroduodenal ulcerogenic responses induced in rats by hypothermic stress. J Physiol Paris 1999; 3:423–31. 99. Zell SC, Kurtz KJ. Severe exposure hypothermia: a resuscitation protocol. Ann Emerg Med 1985; 14:339–45. 100. Foulis AK. Morphological study of the relation between accidental hypothermia and acute pancreatitis. J Clin Pathol 1982; 35:1244–8. 101. Maclean D, Murison J, Griffiths PD. Acute pancreatitis and diabetic ketoacidosis in accidental hypothermia and hypothermic myxoedema. Br Med J 1973; 4: 757–61. 102. Savides EP, Hoffbrand BI. Hypothermia, thrombosis and acute pancreatitis. Br Med J 1974; 1:614. 103. Hirano T, Manabe T, Imanishi K, Ando K. Direct surface cooling of the exocrine pancreas in the rat. Br J Surg 1992; 79:803–6. 104. Forrester CF. Coma in myxedema. Arch Intern Med 1963; 111: 100. 105. Fishbeck KH, SimonRP. Neurological manifestation of accidental hypothermia. Ann Neurol 1981; 10: 384. 106. Jessen K, Hagelsten JO. Search and rescue service in Denmarck with special referencec to accidental hypothermia. Aerospace Med 1972; 43: 787. 107. Southwick FS, Dalglish PH. Recovery after prolonged asystolic cardiac arrest in profound hypothermia. JAMA 1980; 243: 1250. 108. Schisler P, Parker MA, Scott SJ, Profound hypothermia: value of prolonged cardiopulmonary resuscitation. South Med J 1981; 74: 474. 109. Mac Lean D. Griffith PD, Browning MCK. Metabolic aspects of spontaneous rewarming in accidental hypothermia and hypothermic myxoedema. QJM 1974; 43: 371. 110. Zell SC, Kurtz KJ. Severe exposure hypothermia: a resuscitation protocol. Ann Emerg Med 1985;14(4):339–345. 111. Ledingham IM, Mone JG. Treatment of accidental hypothermia: a prospective clinical study. Br Med J 980;280(6222):1102–1105. 112. Danzl DF, Thomas DM. Nasotracheal intubations in the emergency department. Crit Care Med 1980;8(11):677–682. 113. Miller JW, Danzl DF, Thomas DM. Urban accidental hypothermia: 135 cases. Ann Emerg Med 1980;9(9):456–461. 114. Thomas R, Cahill CJ. Successful defibrillation in profound hypothermia (core body temperature 25.6°C). Resuscitation 2000; 47(3):317–320. 115. Koller R, Schnider TW, Neidhart P. Deep accidental hypothermia and cardiac arrest—rewarming with forced air. Acta Anaesthesiol Scand 1997;41(10):1359–1364. 116. Bjornstad H, Mortensen E, Sager G, Refsum H. Effect of bretylium tosylate on ventricular fibrillation threshold during hypothermia in dogs. Am J Emerg Med 1994;12(4):407–412. 117. Murphy K, Nowak RM, Tomlanovich MC. Use of bretylium tosylate as prophylaxis and treatment in hypothermic ventricular fibrillation in the canine model. Ann Emerg Med 1986;15(10): 1160–1166. 118. Orts A, Alcaraz C, Delaney KA, Goldfrank LR, Turndorf H, Puig MM. Bretylium tosylate and electrically induced cardiac arrhythmias during hypothermia in dogs. Am J Emerg Med 1992; 10(4):311–316. 119. Kochar G, Kahn SE, Kotler MN. Bretylium tosylate and ventricular fibrillation in hypothermia (letter). Ann Intern Med 1986; 105(4):624. 120. Danzl DF, Sowers MB, Vicario SJ, Thomas DM, Miller JW. Chemical ventricular defibrillation in severe accidental hypothermia (letter). Ann Emerg Med 1982;11(12):698–699. 121. Krismer AC, Lindner KH, Kornberger R, Wenzel V, Mueller G, Hund W, et al. Cardiopulmonary resuscitation during severe hypothermia in pigs: does epinephrine or vasopressin increase coronary perfusion pressure? Anesth Analg 2000;90(1):69–73. 122. Schwarz B, Mair P, Raedler C, Deckert D, Wenzel V, Lindner KH. Vasopressin improves survival in a pig model of hypothermic cardiopulmonary resuscitation. Crit Care Med 2002;30(6): 1311–1314. 123. Dixon RG, Dougherty JM, White LJ, Lombino D, Rusnak RR. Transcutaneous pacing in a hypothermic-dog model. Ann Emerg Med 1997;29(5):602–606. 124. Towne WD, Geiss WP, Yanes HO, Rahimtoola SH. Intractable ventricular fibrillation associated with profound accidental hypothermia— successful treatment with partial cardiopulmonary bypass. N Engl J Med 1972;287(22):1135–1136. 125. Boczar ME, Howard MA, Rivers EP, Martin GB, Horst HM, Lewandowski C, et al. A technique revisited: hemodynamic comparison of closedand open-chest cardiac massage during human cardiopulmonary resuscitation. Crit Care Med 1995;23(3): 498–503. 126. Brunette DD, Biros M, Mlinek EJ, Erlandson C, Ruiz E. Internal cardiac massage and mediastinal irrigation in hypothermic cardiac arrest. Am J Emerg Med 1992;10(1):32–34. 127. Brunette DD, McVaney K. Hypothermic cardiac arrest: an 11 year review of ED management and outcome. Am J Emerg Med 2000;18(4):418– 422. 128. Lexow K. Severe accidental hypothermia: survival after 6 hours 30 minutes of cardiopulmonary resuscitation. Arctic Med Res 1991;50 Suppl 6:112–114. 129. Mair P, Kornberger E, Schwarz B, Baubin M, Hoermann C. Forward blood flow during cardiopulmonary resuscitation in patients with severe accidental hypothermia: an echocardiographic study. Acta Anaesthesiol Scand 1998;42(10):1139–1144. 130. Cohen JA, Blackshear RH, Gravenstein N, Woeste J. Increased pulmonary artery perforating potential of pulmonary artery catheters during hypothermia. J Cardiothorac Vasc Anesth 1991; 5(3):234–236. 131. Patt A, McCroskey BL, Moore EE. Hypothermia-induced coagulopathies in trauma. Surg Clin North Am 988;68(4):775–785. 132. Reed RL 2nd, Johnson TD, Hudson JD, Fischer RP. The disparity between hypothermic coagulopathy and clotting studies. J Trauma 1992;33(3):465–470. 133. Valeri CR, Feingold H, Cassidy G, Ragno G, Khuri S, Altschule MD. Hypothermia-induced reversible platelet dysfunction. Ann Surg 1987;205(2):175–181. 134. Hayward JS, Eckerson JD, Kemna D. Thermal and cardiovascular changes during three methods of resuscitation from mild hypothermia. Resuscitation 1984;11(1–2):21–33. 135. Giesbrecht GG, Goheen MS, Johnston CE, Kenny GP, Bristow GK, Hayward JS. Inhibition of shivering increases core temperature afterdrop and attenuates rewarming in hypothermic humans. J Appl Physiol 1997;83(5):1630–1634. 136. Iampietro PF Vaughan JA, Goldman RF, Kreider MB, Masucci F, Bass DE. Heat production from shivering. J Appl Physiol 1960;15:632–634. 137. Goheen MS, Ducharme MB, Kenny GP, Johnston CE, Frim J, Bristow GK, Giesbrecht GG. Efficacy of forced-air and inhalation rewarming by using a human model for severe hypothermia. J Appl Physiol 1997;83(5):1635–1640. 138. Steele MT, Nelson MJ, Sessler DI, Fraker L, Bunney B, Watson WA, Robinson WA. Forced air speeds rewarming in accidental hypothermia. Ann Emerg Med 1996;27(4):479–484. 139. Zachary L, Kucan JO, Robson MC, Frank DH. Accidental hypothermia treated with rapid rewarming by immersion. Ann Plast Surg 1982;9(3):238–241. 140. White JD, Butterfield AB, Greer KA, Schoem S, Johnson C, Holloway RR. Controlled comparison of radio wave regional hyperthermia and peritoneal lavage rewarming after immersion hypothermia. J Trauma 1985;25(10):989–993. 141. Larach MG. Accidental hypothermia. Lancet 1995;345(8948): 493–498. 142. Linko K, Palosaari S. Warming of blood units in water bath and cooling of blood at room temperature. Acta Anaesthesiol Scand 1979;23(1):97– 102. 143. Handrigan MT, Wright RO, Becker BM, Linakis JG, Jay GD. Factors and methodology in achieving ideal delivery temperatures for intravenous and lavage fluid in hypothermia. Am J Emerg Med 1997;15(4):350–353. 144. Faries G, Johnston C, Pruitt KM, Plouff RT. Temperature relationship to distance and flow rate of warmed i.v. fluids. Ann Emerg Med 1991;20(11):1198–1200. 145. Wright RO, Jay GD, Becker BM, Linakis JG. Use of infrared thermometry to measure lavage and intravenous fluid temperature. Am J Emerg Med 1995;13(3):281–284. 146. Sheaff CM, Fildes JJ, Keogh P, Smith RF, Barrett JA. Safety of 65°C intravenous fluid for the treatment of hypothermia. Am J Surg 1996;172(1):52–55. 147. Fildes J, Sheaff C, Barrett J. Very hot intravenous fluid in the treatment of hypothermia. J Trauma 1993;35(5):683–686; discussion 686–687. 148. Frank SM, Hesel TW, El-Rahmany HK, ran KM, Bamford OS. Warmed humidified inspired oxygen accelerates postoperative rewarming. J Clin Anesth 2000;12(4):283–287. 149. Otto RJ, Metzler MH. Rewarming from experimental hypothermia: comparison of heated aerosol inhalation, peritoneal lavage, and pleural lavage. Crit Care Med 1988;16(9):869–875. 150. Terba JA. Efficacy and safety of prehospital rewarming techniques to treat accidental hypothermia. Ann Emerg Med 1991;20(8):896–901. 151. Iversen RJ, Atkin SH, Jaker MA, Quadrel MA, Tortella BJ, Odom JW . Successful CPR in a severely hypothermic patient using continuous thoracostomy lavage. Ann Emerg Med 1990;19(11):1335–1337. 152. Hall KN, Syverud SA. Closed thoracic cavity lavage in the treatment of severe hypothermia in human beings. Ann Emerg Med 1990;19(2):204– 206. 153. Brunette DD, Sterner S, Robinson EP, Ruiz E. Comparison of gastric lavage and thoracic cavity lavage in the treatment of severe hypothermia in dogs. Ann Emerg Med 1987;16(11):1222–1227. 154. Winegard C. Successful treatment of severe hypothermia and prolonged cardiac arrest with closed thoracic cavity lavage. J Emerg Med 1997;15(5):629–632. 155. Davis FM, Judson JA. Warm peritoneal dialysis in the management of accidental hypothermia: report of five cases. N Z Med J 1981;94(692):207–209. 156. Jessen K, Hagelsten JO. Peritoneal dialysis in the treatment of profound accidental hypothermia. Aviat Space Environ Med 1978;49(2): 426– 429. 157. Lash RF, Burdette JA, Ozdil T. Accidental profound hypothermia and barbiturate intoxication: a report of rapid “core” rewarming by peritoneal dialysis. JAMA 1967;201(4):269–270. 158. Reuler JB, Parker RA. Peritoneal dialysis in the management of hypothermia. JAMA 1978;240(21):2289–2290. 159. Kornberger E, Mair P. Important aspects in the treatment of severe accidental hypothermia: the Innsbruck experience. J Neurosurg Anesthesiol 1996;8(1):83–87. 160. Kugelberg J, Schuller H, Berg B, Kallum B. Treatment of accidental hypothermia. Scand J Thorac Cardiovasc Surg 1967;1(2):142–146. 161. Davies DM, Millar EJ, Miller IA. Accidental hypothermia treated by extracorporeal blood warming. Lancet 1967;1(7498):1036–1037. 162. Vretenar DF, Urschel JD, Parrott JC, Unruh HW. Cardiopulmonary bypass resuscitation for accidental hypothermia. Ann Thorac Surg 1994;58(3):895–898. 163. Splittgerber FH, Talbert JG, Sweezer WP, Wilson RF. Partial cardiopulmonary bypass for core rewarming in profound accidental hypothermia. Am Surg 1986;52(8):407–412. 164. Letsou GV, Kopf GS, Elefteriades JA, Carter JE, Baldwin JC, Hammond GL. Is cardiopulmonary bypass effective for treatment of hypothermic arrest due to drowning or exposure? Arch Surg 1992;127(5):525–528. 165. von Segesser LK, Garcia E, Turina M. Perfusion without systemic heparinization for rewarming in accidental hypothermia. Ann Thorac Surg 1991;52(3):560–561. 166. Gentilello LM, Cobean RA, Offner PJ, Soderberg RW, Jurkovich GJ. Continuous arteriovenous rewarming: rapid reversal of hypothermia in critically ill patients. J Trauma 1992;32(3):316– 325; discussion 325–327. 167. Gentilello LM, Jurkovich GJ, Stark MS, Hassantash SA, O’Keefe GE. Is hypothermia in the victim of major trauma protective or harmful? A randomized, prospective study. Ann Surg 1997; 226(4):439–447; discussion 447–449. 168. Garlow L, Kokiko J, Pino-Marina R. Hypothermia in a 62-yearold man: use of the continuous arteriovenous rewarming technique. J Emerg Nurs 1996;22(6):477–480. 169. Andreoni C, Massey D. Continuous arteriovenous rewarming: rapid restoration of normothermia in the emergency department. J Emerg Nurs 2001;27(6):533–537. 170. Lee HA, Ames A. Haemodialysis in severe barbiturate poisoning. Br Med J 1965;5444:1217–1219. 171. Gregory JS, Bergstein JM, Aprahamian C, Wittmann DH, Quebbeman EJ. Comparison of three methods of rewarming from hypothermia: advantages of extracorporeal blood warming. J Trauma 1991;31(9):1247–1251; discussion 1251–1252. 172. van der Maten J, Schrijver G. Severe accidental hypothermia: rewarming with CVVHD. Neth J Med 1996; 49(4):160–163. 173. Brauer A, Wrigge H, Kersten J, Rathgeber J, Weyland W, Burchardi H. Severe accidental hypothermia: rewarming strategy using a veno-venous bypass system and a convective air warmer. Intensive Care Med 1999;25(5):520–523. 174. Brodersen HP, Meurer T, Bolzenius K, Konz KH, Larbig D. Hemofiltration in very severe hypothermia with favorable outcome. Clin Nephrol 1996;45(6):413–415. 175. Higley RR. Continuous arteriovenous hemofiltration: a case study. Crit Care Nurse 1996;16(5):37–40, 43. 176. Spooner K, Hassani A. Extracorporeal rewarming in a severely hypothermic patient using venovenous haemofiltration in the accident and emergency department. J Accid Emerg Med 2000;17(6):422–424. 177. Muszkat M, Durst RM, Ben-Yehuda A. Factors associated with mortality among elderly patients with hypothermia. Am J Med 2002;113(3):234–237. 178. Hauty MG, Esrig BC, Hill JG, Long WB. Prognostic factors in severe accidental hypothermia: experience from the Mt. Hood tragedy. J Trauma 1987;27(10):1107–1112. 179. Shields CP, Sixsmith DM. Treatment of moderate-to-severe hypothermia in an urban setting. Ann Emerg Med 1990;19(10):1093–1097. 180. Grigore AM, Grocott HP, Mathew JP, Phillips-Bute B, Stanley TO, Butler A, et al; Neurologic Outcome Research Group of the Duke Heart Center. The rewarming rate and increased peak temperature alter neurocognitive outcome after cardiac surgery. Anesth Analg 2002;94(1):4–10. 181. Kadoi Y, Saito S, Goto F, Fujita N. Slow rewarming has no effects on the decrease in jugular venous oxygen haemoglobin saturation and longterm cognitive outcome in diabetic patients. Anesth Analg 2002;94(6):1395–1401. 182. Walpoth BH, Walpoth-Aslan BN, Mattle HP, Radanov BP, Schroth G, Schaeffler L, et al. Outcome of survivors of accidental deep hypothermia and circulatory arrest treated with extracorporeal blood warming. N Engl J Med 1997; 337(21):1500–1505. 183. Schaller MD, Fischer AP, Perret CH. Hyperkalemia: a prognostic factor during acute severe hypothermia. JAMA 1990;264(14): 1842–1845. 184. Megarbane B, Axler O, Chary I, Pompier R, Brivet FG. Hypothermia with indoor occurrence is associated with a worse outcome. Intensive Care Med 2000;26(12):1843–1849. 185. Danzl DF, Hedges JR, Pozos RS. Hypothermia outcome score: development and implications. Crit Care Med 1989;17(3):227–231. 186. Guidelines for cardiopulmonary resuscitation and emergency cardiac care. Emergency Cardiac Care Committee and Subcommittees, American Heart Association. Part IV. Special resuscitation situations. JAMA 1992;268:2242–2250.