LETTERE ALLA RIVISTA Un «processo» fuori dal processo, prima
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LETTERE ALLA RIVISTA Un «processo» fuori dal processo, prima
LETTERE ALLA RIVISTA Un «processo» fuori dal processo, prima del processo (se ci sarà) Probabilmente lo scrittore Alberto Bevilacqua è alle prese con la stesura di un nuovo romanzo ispirato a crude vicende reali, e destinato a divenire un eccezionale best-seller. Il titolo, non ancora deciso, dovrebbe essere del genere «L'assassinio della contessa». E si può anche pensare quale Casa editrice sia già interessata, dato che del lancio del romanzo si è per primo occupato il Corriere della sera. Infatti è su questo giornale che, il 2 febbraio 2001, a pag. 2, proprio sotto la fotografia della signora Susanna Torretta «Dama di compagnia, inseparabile amica della contessa», ho letto lo scritto di Bevilacqua «Appello all'amica del cuore», che devo ritenere un capitolo del prossimo romanzo. Va rilevato che, ancor oggi (8 febbraio) non vi è alcuna persona indagata di reato, che non si esclude affatto l'avvenuto suicidio della contessa Francesca Vacca Agusta nota, asserisce Bevilacqua, anche per la vita sregolata, l'uso di droghe e l'abuso di alcool. Ma il romanziere (o per frequentazione diretta dei luoghi e delle persone o perché convinto dalle confidenze di terzi bene informati), sembra saperne più di tutti quanti, magistrati compresi. E lancia un vibrante j'accuse contro Susanna: «Lei - le grida - non può non sapere chi ha ucciso Francesca» non può continuare a tacere. Deve rispondere alle «domande sacrosante di milioni di persone in pena». Poi, accennando ad un fantasioso «reato di omesso dovere di sorveglianza», dovere che vincolerebbe dame di compagnia e amiche del cuore, incalza con le domande: «Le strappava il bicchiere di mano per tutelarne lo stato fisico a pezzi?», «Selezionava l'andirivieni di svariati tipi alla villa? Dava all'amica saggi consigli in proposito? Impediva l'entrata di gente non attendibile?». Dica, dica bella signora, «almeno una parola umana». E ci spieghi anche i frequenti litigi, la tardiva denuncia ai carabinieri... Questo, in sintesi, l'avvincente indagine di Bevilacqua, probabilmente pagine dell'imminente romanzo. Che andra a ruba tra i detti «milioni di persone che si rivolgono a lui» desiderose di verità. Trovo bella l'ansia del grande scrittore di scoprire il vero sondando anime e cuori, incurante di più o meno fondate accuse di diffamazione... E piace anche la solidarietà del Corriere della sera, che ha pubblicato lo scritto senza commenti. 8 febbraio 2000 AVV. VINCENZO GIGLIO Ancora sugli esami Caro direttore, «la lingua italiana - scriveva Flaiano - non è adatta alla protesta, alla rivolta, alla discussione dei valori e delle responsabilità, è una lingua buona per fare le domande in carta da bollo, ricordi d'infanzia, inchieste sul sesso degli angeli e buona, questo sì, per leccare». «Lecca, lecca, buona lingua italiana infaticabile - egli concludeva - fai il tuo lavoro per il partito o per i buoni sentimenti». Tra i buoni sentimenti di quel genere includo la comprensione manifestata per quei candidati all'avvocatura che hanno sostenuto l'esame a Catanzaro (l'espressione è impropria, lo so), ragazzi che copiosi hanno raggiunto fidenti le coste calabre (con voli charters?) al fine di evitare le severe selezioni delle nostre Corti d'appello (maledette). Vi aggiungo l'indulgenza per quei ragazzi che hanno copiato i temi, giustificata con l'argomentazione che copiare non implica poi la fine del mondo (vero), vi comprendo la condiscendenza verso chi raccomanda e chi sollecita la raccomandazione in quanto «voi - ha scritto un professore di diritto dell'Università dell'Insubria (c'è anche quella) -, non avete l'idea di come quest'usanza italica contamini anche le persone più integerrime». «Sono cose senz'altro deplorevoli - disse il maestro -, ma pur tuttavia connaturate a un certo tipo dl cultura e, in fondo, nella scuola si sono sempre verificate e lo sanno tutti». Purtroppo i Carabinieri di Roma e di Latina, che non lo sapevano, hanno ammanettato un po' di gente, del genere cui affidiamo la formazione dei futuri avvocati. Se i commissari di tutte le Catanzaro - di tutte le nostre Caporetto -, tra i quali molti sono i magistrati, hanno pensato che una copiatura di massa non era poi la fine del mondo, hanno sbagliato, perché il loro ruolo è di selezionare giovani adeguati alla missione che la società civile affida all'avvocatura, una missione forse svilita nel nostro Paese ma tuttavia nobile e delicata. La severità delle commissioni è inoltre garanzia di un valore che dispiace moltissimo alla gramigna nazionale ma sul quale non si può transigere: si chiama meritocrazia ed è un valore fondativo delle società democratiche. In fondo se noi italiani non abbiamo fiducia nelle élites nazionali è perché Catanzaro è solo una metafora. I clienti evoluti lo sanno, e forse anche per questo stanno compiendo altre scelte rese possibili dall'internazionalizzazione dei mercati. GIAN LUIGI ROTA P.S. - Personalmente ho superato un difficile esame di abilitazione a Milano trent'anni fa, però all'Albo di Milano sono iscritti senza distinzione anche i reduci da tutte le Catanzaro. Superato l'esame non mi sono iscritto subito perché facevo un altro mestiere, e così ho perso un po' di anni. Quando poi mi sono trasferito in un'altra città, ho chiesto doverosamente il trasferimento dell'iscrizione, pur sapendo che avrei subito lo stigma dell'avvocato di provincia (esiste, eccome). Da ultimo, quando dopo essermi cancellato per motivi personali mi sono reiscritto, risulta dall'Albo che esercito da un annetto, molto meno dei miei collaboratori più giovani. Il Consiglio dell'Ordine potrebbe istituire un nuovo allegato all'Albo: l'Elenco speciale degli allocchi, il costo dovrebbe essere contenuto perché non credo che saremo in molti. Risponde Giorgio Fredas. - Il problema non è (soltanto) quello dei «turisti» interni, ma soprattutto quello connesso ai candidati locali, lungo tutta la penisola, complessivamente ben più numerosi. È giusto che, permanendo l'attuale sistema di esami (anche a voler impedire drasticamente la possibilità di recarsi altrove), coloro che vivono nelle città ove è più frequente la manica larga, possano continuare a godere di questi «privilegi»? Va bene fregiarsi del merito di presentarsi agli esami qui piuttosto che là. Va bene puntare il dito (ci mancherebbe...) contro le oltre duemila «fotocopie». Ma il fenomeno della grave disparità di trattamento resterà tale e quale nella sostanza se non incide sulle cause, concorrendo a mutare in radice il sistema anziché fingere di averlo scoperto solo ora, limitandosi a lanciare «terribili» anatemi.