il diritto continentale europeo

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DIRITTO CONTINENTALE EUROPEO
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IL DIRITTO CONTINENTALE EUROPEO
Sezione I
Il diritto francese | Alba Negri
Sezione II
L’influenza del sistema francese| Filippo Annunziata, Alba Negri
Sezione III
Il diritto della zona tedesca | Alba Negri
Sezione IV
Altri sistemi della zona tedesca | Alba Negri
Sezione V
L’influenza del Codice tedesco | Alba Negri
Sezione VI
Paesi nordici | Luca Passanante
Sez. I. Diritto francese
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DIRITTO CONTINENTALE EUROPEO
Sezione I. Il diritto francese
Francia
1. Le fonti del diritto. – 1.1. Le origini. – 1.2. I secoli XVI-XVIII. – 1.3. L’età moderna. – 1.4. I Codici
e le leggi. – 1.5. L’evoluzione successiva e il diritto contemporaneo. – 2. La dottrina. – 3. Il sistema delle Corti e le professioni legali.
1. Le fonti del diritto
1.1. Le origini. Le popolazioni franche e germaniche, coalizioni di etnìe diverse che,
raggruppate in confederazioni mobili e stratificate, unificate dalla collaborazione
o dall’aggressione all’Impero Romano, vi si erano infiltrate o avevano costituito
stati-cuscinetto ai confini, sopravvivono alla sua caduta, del 476 d.C., nella misura
in cui si assimilano alle popolazioni romanizzate e maggioritarie. Ogni etnìa applica le sue regole: il principio della personalità del diritto prevale su quello della
territorialità. Nella zona dell’attuale Francia, nello spazio di qualche generazione
diventa franca tutta la popolazione stanziata a nord della Loira, e si determina così un’ideale divisione fra la zona posta a nord della linea che va dal lago di Ginevra alla foce della Gironda, caratterizzata dalla prevalenza del droit coutumier, e la
zona posta a sud, ove prevale la popolazione autoctona ed è più marcato il persistere del diritto romano; tuttavia la tradizione romana e quella barbarica vengono,
qui e là, in contatto e subiscono naturalmente interferenze e manipolazioni.
Con la fine dell’Impero Romano, infatti, vengono meno le strutture politi-
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che, amministrative e giudiziarie, ma non le regole e la terminologia, che subiscono un processo di degenerazione e di utilizzo congiunto a quello di istituzioni
barbariche (ad esempio la wadiatio si fonde con la stipulatio, dando origine al
nuovo formalismo della traditio chartae). Dall’VIII all’XI secolo la consuetudine
diventa più importante della legge scritta (costituita da vari corpus di regole barbariche) e assicura il sopravvivere della tradizione giuridica romana per il diritto
privato, come testimoniano, ad esempio, i formulari notarili. Regole romane tarde,
miste a quelle del diritto canonico che la Chiesa va sviluppando, si estendono oltre i confini dell’ex-Impero Romano, essendo utilizzate e diffuse dalle istituzioni
ecclesiastiche: la geografia delle norme non coincide con la geografia politica delle
entità territoriali che si vanno formando e all’uniformità dei valori di fondo e dell’economia, che conferiscono unità alla regione europea, si accompagna un accentuato particolarismo, che si manifesta nei modi di attuazione diversi delle regole
giuridiche, nell’assenza di consapevolezza di una base comune. È concezione generalmente acquisita che il diritto si debba esprimere in norme di condotta, il cui
contenuto tecnico non può prescindere dall’etica.
A partire dall’XI secolo il moltiplicarsi dei traffici commerciali fra le entità
politiche componenti il Sacro Romano Impero e la Francia porta alla diffusione di
modelli giuridici. Nel XII secolo la Scuola di Bologna, che riscopre e studia, con
sistema esegetico, il Corpus juris, introuce l’idea che i rapporti umani sono retti
dal diritto, non dalla religione, e forma una scienza del diritto extrastatale, il cui
utilizzo pratico verrà ad estendersi dall’Italia alla Francia e alla Germania, dando
luogo a quello che sarà per sette secoli il diritto comune europeo. Tale jus commune è dato dalla combinazione a incastro di consuetudini, statuti, diritto canonico, jura propria a rilevanza particolare (ad esempio, di corporazioni) e territoriale,
che prevalgono sul diritto romano, cui si continua a fare ricorso in quanto ratio
scripta per colmare le lacune. Il diritto tende a risolvere problemi, ed è perciò incentrato sul processo; la dottrina dibatte le possibili soluzioni in giudizio: i Grandi
Tribunali (Parlements, Corti di Westminster, e, più tardi, Reichskammergericht)
avranno un’influenza determinante con le loro decisioni e la loro procedura.
Quanto al diritto regio, mentre i Carolingi avevano emanato leggi uniformi
per tutto il regno (capitolari), con i Capetingi, cioè dalla fine del X secolo, questa
fonte normativa non viene ripresa, e si acuisce la divisione del Regno Franco in
varie aree giuridiche, corrispondenti a suddivisioni dinastiche ed ecclesiastiche.
Alcuni dotti della Scuola di Bologna si trasferiscono, nel XII secolo, ad insegnare nelle Università di Montpellier e Toulouse (Ultramontani): il metodo dei
Glossatori viene così a riflettersi nei Coutumiers, compilazioni di consuetudini
raccolte da pratici allo scopo di fissare per iscritto le regole seguite nei vari luoghi
(ad esempio, ad Angers, Bordeaux, Toulouse), senza alcuno scopo scientifico e
senza che il fatto della redazione conferisca loro valore normativo; quando i modi
di fare cambiavano o cadevano in desuetudine, si redigevano nuovi Coutumiers.
Anche al nord si trovano compilazioni relative alle consuetudini (Grand Coutumier de Normandie, Coutumes de Beauvaisis). È rilevante, comunque, il fatto che
lungo tutto il Medio Evo il diritto rimane in gran parte di tradizione orale, e che
in caso di dubbio sulla regola da applicare si fa ricorso alla decisione popolare
(enquête par turbe). Nel 1212 Filippo Augusto istituisce il Parlement de Paris, cor-
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1.2. I secoli XVI-XVIII. In séguito alla caduta di Bisanzio ad opera dei Turchi Ottomani, che pone fine all’Impero Romano d’Oriente (1453), i fuggiaschi fanno conoscere in Occidente oltre ad opere letterarie e filosofiche anche il Digesto nella
versione originaria: ciò porta a rilevare la sua non totale coincidenza rispetto ai
testi utilizzati in Europa, e dà l’avvìo allo studio del diritto romano in quanto diritto “vero” dei Romani, sulla base di ricostruzioni filologiche, e, in ottica umanistica, induce a considerarlo l’esempio tipico di un diritto sistematico e razionale,
conforme agli insegnamenti della natura (Cujas, umanisti della Scuola dei Culti,
Connan). Quasi contemporaneamente Carlo VII, nel quadro di una vasta politica
di riforme intrapresa alla fine della Guerra dei cent’anni (1337-1453), con l’Ordonnance de Montils-lès-Tours per la riforma della giustizia, stabilisce che tutte le
consuetudini siano raccolte per iscritto, al fine di abbreviare i processi e rendere
meglio conoscibile ai giudici il diritto da applicare. La redazione, che avviene seguendo il metodo dei Commentatori, si prolunga per un secolo e mezzo e ha come conseguenza la cristallizzazione e la fusione delle regole consuetudinarie con
quelle del diritto romano; d’altro canto, l’emergere della consapevolezza di un diritto proprio blocca la possibilità di recepire il sistema del Sacro Romano Impero
Germanico (ove il diritto romano vigeva in quanto lo Stato era l’erede diretto dell’Impero Romano d’Occidente), e prepara il terreno per una possibile unificazione del sistema giuridico intorno alle Coutumes principali. All’evoluzione, attraverso l’adeguamento e l’uniformazione, contribuisce in ispecie la Coutume de Paris,
redatta nel 1510, e poi di nuovo nel 1580, che inserisce la giurisprudenza del Parlamento, con le innovazioni che la Corte, insieme alla dottrina, aveva apportato
specie in tema di obbligazioni e contratti. Con questo stesso scopo giuristi raffinati (quale Du Moulin) analizzano e comparano le Coutumes e commentano anche
le Ordinanze regie, che stanno iniziando a porre regole generali di contenuto organizzativo, ma anche di diritto sostanziale (matrimonio, riforma della giustizia,
polizia, registrazione obbligatoria dei matrimoni e delle morti). Mentre le Università insegnano il diritto romano, avvocati e giudici applicano il metodo così appreso al diritto consuetudinario per trarne gli elementi del diritto francese.
Nel 1517 le novantacinque tesi di Martin Lutero danno il via al Protestantesimo, che spezza l’unità religiosa e istituzionale dell’Europa, non quella culturale.
Una delle reazioni del pensiero cattolico al Luteranesimo è data dalla filosofia della Seconda Scolastica, fiorita in Spagna dalla seconda metà del XVI secolo alla metà del XVII, che elabora una nuova logica e, occupandosi del diritto in vista di di-
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te d’appello per i giudizi resi in tutto il territorio (tranne che in Normandia e in
Bretagna) dai tribunali consuetudinari, e perciò fattore di unificazione; a partire
dal XV secolo ne saranno istituiti altri dodici, dislocati in provincia.
Intanto nello studio del diritto ai Glossatori si sostituiscono i Commentatori,
che, attraverso gli Ultramontani di Orléans, subiscono l’influenza della filosofia
Scolastica (insegnata a Parigi da San Tommaso d’Aquino (1225-1274)), e ne assumono i risultati formali e il metodo: cercano il principio giuridico, la ratio sottostante alle norme del diritto giustinianeo, le cui regole coordinano ed esprimono
in trattazioni accademiche e pareri legali, perseguendo un ideale di giustizia e di
razionalità.
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rigere le coscienze, una nuova sistematica: lo jus viene a coincidere, da un lato,
con la legge naturale della quale sono interpreti i teologi, dall’altro, con la facultas
individuale, cioè con il diritto soggettivo; il Corpus juris è analizzato e valutato rispetto a princìpi superiori divini (diritto naturale divino), e le nozioni vengono
elaborate in concetti (ad esempio, diritto soggettivo, causa, contratto).
La religione protestante fa proseliti in Francia, e fra gli adepti (Ugonotti) si
contano appartenenti alla classe colta, mercantile e forense. In séguito alle guerre
di religione e alle persecuzioni (strage della notte di San Bartolomeo, 1572), alcuni
trovano rifugio nei Paesi Bassi, dove contribuiscono alla formazione della Scuola
del diritto naturale. Il giusnaturalismo, che si sviluppa lungo il XVII secolo, ponendo l’uomo al centro, secolarizza valori originariamente religiosi, sistematizza le categorie giuridiche in base a concetti generali e astratti, critica implicitamente istituzioni secolari, e ritiene che il Re debba imporre un diritto giusto che lui stesso deve rispettare.
Nel 1679 l’Editto di Saint Germain-en-Laye istituisce in tutte le facoltà giuridiche corsi di diritto francese accanto a quelli tradizionali di diritto romano e
canonico, ma ciò frena soltanto la decadenza delle Università: ormai la dottrina si
forma al Palazzo di giustizia, ad opera di magistrati e avvocati (data la possibilità
di trasmettere le cariche per successione ereditaria e a titolo oneroso, si era venuto
formando un ceto di giuristi di livello piuttosto elevato), che compongono opere
di pratici per pratici, al servizio dell’unità del sistema francese espresso in libri di
istituzioni (secondo gli schemi ordinanti del diritto romano), in collezioni di decisioni presentate in forma di dizionari, in trattati su temi particolari, in raccolte di
Ordinanze (disposizioni alla redazione delle quali i pratici partecipano), in tentativi di sintesi sistematica dell’insieme del diritto (Argou, Institution au droit français, 1692: il testo fu riedito nove volte, fino al 1762). Tra questa letteratura spicca
l’opera di Jean Domat: avvocato, poi procuratore del Re, fedele al diritto romano
(che considera “la ragione scritta”) e al giusnaturalismo, giansenista rigoroso, tiene la logica di Port-Royal come riferimento e modello per pensare l’ordine del
mondo giuridico. Nella sua opera Les lois civiles dans leur ordre naturel (1689) il
diritto naturale, comune a tutti gli uomini, è concepito come qualcosa di eterno,
un insieme di regole assolute, universali, scaturenti dalla natura stessa delle cose:
l’idea di “giusto” è l’archetipo delle leggi positive, paradigma al quale devono essere commisurate le leggi contingenti, arbitrarie e dettate dalle circostanze; le regole naturali dell’equità si sono concretizzate in gran parte nel diritto romano, dove però si presentano giustapposte in modo disordinato, per cui occorre, interpretandole in modo da far emergere la loro connessione con le leggi naturali fondamentali, esprimerle in un ordine razionale che ne rilevi la coerenza e l’unitarietà: il
diritto romano viene così a coincidere con il diritto naturale, e regge l’esposizione
sistematica del diritto vigente in Francia (particolarmente rilevante specie per la
teoria generale delle obbligazioni e dei contratti). Nel secolo successivo si rifaranno al metodo di Domat specialisti del diritto ecclesiastico, penale e consuetudinario: fra questi ultimi va ricordato Bourjon, autore di Le droit commun de la France
et la coutume de Paris réduits en principes (1747). Ma chi si distingue è Robert Joseph Pothier, magistrato, che, seguendo il metodo degli umanisti sistematici e della Scuola del diritto naturale, nel 1740 pubblica un commentario della Coutume
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1.3. L’età moderna. La Rivoluzione vuole distruggere l’ordine esistente: perciò, in
un primo periodo di violenza fisica, politica e legislativa, il droit intermédiaire
(cioè intermedio fra l’ancien droit e il sistema napoleonico) abolisce i privilegi sociali e territoriali (decreto 5-11 agosto 1789), formula la Déclaration des droits de
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d’Orléans, che paragona ad altre consuetudini allo scopo di delineare un diritto
francese comune, e nel 1748 espone in ordine sistematico e commenta le Pandette, ma che soprattutto, in una serie di trattati su temi specifici, espone tutta la materia giuridica senza riferirsi ad una consuetudine particolare, tendendo cioè a delineare “il diritto generale”, a cogliere i princìpi comuni dei quali le diverse soluzioni consuetudinarie costituiscono soltanto eccezioni, delle quali sono esaminate
le implicazioni pratiche.
Ad uno scopo di semplificazione, uniformazione e ammodernamento del diritto tendono anche le grandi Ordinanze, iniziate da Luigi XIV e dal ministro
Colbert, che avrebbero dovuto portare ad una sistematizzazione generale del sistema giurdico, per ora intrapresa per settori e lasciando sussistere leggi locali e
usi in quanto non contrari alle nuove disposizioni. L’Ordonnance Civile (1667)
fissa le regole essenziali del processo e la soluzione delle questioni maggiormente
controverse, e vieta ai Parlamenti di pronunciare sentenze en équité; l’Ordonnance
sur le Commerce de terre (1673: “Code marchand” o “Code Savary”, dal nome del
redattore) introduce per la prima volta nella legislazione di uno Stato la disciplina
consuetudinaria di origine medioevale, affermatasi in tutta l’Europa, relativa a società commerciali, cambiali, libri di commercio, fallimento; questa materia è completata dall’Ordonnance sur le commerce de mer (1681) che fissa le regole del commercio marittimo, appropriandosi del diritto comune cresciuto dallo jus nauticum
attraverso una pratica secolare. Dopo la morte di Colbert, nel 1685 viene promulgata l’Ordinanza coloniale (detta anche Code noir), relativa ai rapporti fra padroni
e schiavi nelle colonie. Regnante Luigi XV, il cancelliere D’Aguesseau, allievo di
Domat, intraprende la revisione del diritto privato, con lo scopo di attenuare le
divergenze della giurisprudenza dei Parlamenti in àmbiti retti dal diritto romano e
consuetudinario, da sempre estranei all’intervento regio: le Ordinanze sulle donazioni (1731), i testamenti (1735), le sostituzioni fedecommissarie (1747) legiferano
per princìpi attraverso testi sintetici e chiari, di notevole valore tecnico, dettano
regole comuni e armonizzano le consuetudini, senza tuttavia cancellare le differenze fra tradizioni di diritto scritto e di diritto consuetudinario. Queste Ordinanze sono arricchite da numerosi e dotti commenti della dottrina.
Nel XVIII secolo il sistema francese presenta quindi già tutti i presupposti
che renderanno possibile la codificazione: l’accettazione del Corpus juris, o di parte di esso, come fonte dotata di autorità ha portato l’attenzione della dottrina alla
sistematica e l’ha convinta della possibilità di esporre in modo chiaro le norme di
un ordinamento complesso; il giusnaturalismo l’ha indotta a ritenere che il diritto
possa fondarsi sulla ragione e le ha fatto considerare non insormontabili le divergenze delle consuetudini fra di loro e rispetto al diritto romano, mentre l’apertura
alla corrente filosofica dell’illuminismo ha dato impulso alla volontà di riforme,
che ha già iniziato a concretizzarsi nelle Ordinanze. Tuttavia, il possibile attuarsi
di un’evoluzione lineare viene bloccato nel 1789.
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l’homme et du citoyen (20-26 agosto 1789), sopprime i diritti feudali (1790), promulga una legge sull’organizzazione giudiziaria (che, fra l’altro, istituisce il Tribunal de cassation e pone l’obbligo di motivare le sentenze civili), promulga un primo Codice penale (1791) e una prima Costituzione (3-14 settembre 1791), stabilisce la maggiore età per tutti a ventun anni, la laicizzazione del matrimonio con parità fra i coniugi e possibilità di divorziare, introduce i registri dello stato civile,
abolisce il retratto successorio e le sostituzioni fedecommissarie (1792); vigente la
Costituzione dell’anno I della Repubblica francese (24 giugno 1793) consacra il
suffragio universale; sopprime le facoltà di giurisprudenza (1793), abolisce l’imprigionamento per debiti, elimina la rescissione per lesione e la possibilità di donare e di testare, stabilendo l’uguaglianza successoria delle figlie e dei figli, legittimi e illegittimi (1793, e legge successoria del 7 nevoso 1794 con effetto retroattivo al 14 luglio 1789), riforma in senso antiformalistico il processo civile (1793);
sopprime la schiavitù (4 febbraio 1794).
Però, dopo la caduta di Robespierre, dal 1794 al 1799 si sente il bisogno di
consolidare i legami sociali e di ristabilire un ordine nel caos giuridico imperante:
inflazione, crollo del mercato immobiliare, fallimenti a cascata e mancato rispetto
generalizzato della parola data sono il risultato dell’annientamento dei precedenti
vincoli alla libertà contrattuale. Allo scopo di rinsaldare i legami familiari nel 1795
la Déclaration des Devoirs afferma che nessuno è un buon cittadino se non è un
buon figlio, un buon padre, un buon amico, un buon marito; leggi dello stesso
anno introducono limitazioni al divorzio ed eliminano la retroattività della proibizione di donare e testare, mentre nel 1799 viene reintrodotta una quota disponibile. Per porre fine al disordine delle leggi (la concezione illuministica che vedeva
nella legge il prodotto della ragione e della volontà, contrapponendola alle consuetudini, complesse e di origini incerte, aveva prodotto 15.000 leggi in cinque
anni, che diventeranno 40.000 entro il 1804), si procede alla loro classificazione,
sotto la presidenza di Cambacérès, che a questo titolo si occupa inizialmente della
redazione del Code civil: un primo progetto, del 1793, accoglie, in 719 articoli raggruppati in quattro libri, i princìpi egualitari giacobini, ma viene respinto in quanto troppo complesso, mentre alcune sue disposizioni sono votate come leggi autonome; un secondo progetto, del 1794, estremamente conciso (297 articoli) procede per assiomi e aforismi, e riceve la stessa sorte perché, in un clima politico che
sta cambiando, è reputato troppo giacobino; viene respinto anche un terzo progetto, del 1796 (1104 articoli), che in molti punti ridimensiona le innovazioni rivoluzionarie, riprendendo la tradizione del diritto romano e delle consuetudini.
Il colpo di stato del 18 brumaio anno VIII (9-10 novembre 1799), che porta
al potere Napoleone Bonaparte, offre le condizioni favorevoli alla codificazione:
pace relativa all’interno, esecutivo forte, bisogno di stabilità cui, come obiettivo
politico primario, deve contribuire un Codice civile fornendo una base alla nuova
società che si intende costruire. Un nuovo progetto, affidato a Jacqueminot, resta
incompiuto. Dopo che la Costituzione dell’anno VIII instaura il Consolato (17991804), la redazione viene affidata a una commissione di quattro membri: Tronchet, avvocato al Parlement de Paris, Portalis, autore di scritti giuridici e filosofici
e avvocato al Parlement de Provence, Bigot de Préameneu, avvocato al Parlement
de Bretagne e poi a quello di Parigi, Maleville, avvocato al Parlement de Bordeaux,
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1.4. I Codici e le leggi. Preoccupazione dei redattori era stata quella di restar fedeli
al sistema precedente, ribadire i valori morali tradizionali, concretizzare le riserve
nei confronti della legislazione rivoluzionaria; la loro era una filosofia modesta di
pratici, che tendeva a perfezionare l’opera dei secoli rifuggendo gli eccessi attribuiti all’illuminismo; erano sorretti dall’idea del giusto e dell’equilibrio, con vaghi
riferimenti alla ragione e al diritto naturale, e percepivano i valori morali come
superiori alla libertà dell’uomo. Così vengono ripresi un’Ordinanza del 1560 per il
debito di gioco, e in tema di tutela e di usufrutto il diritto romano, da cui l’art.
1134 (tratto da Domat: “Le convenzioni legalmente formate tengono luogo di legge per coloro che le hanno fatte”); non ci sono riferimenti alle leggi rivoluzionarie
anche dove se ne raccolgono i risultati (ad esempio, per la liberazione della proprietà da ogni vincolo, e, in parte, per il sistema successorio) e non sono riprodotte né norme effettivamente libertarie (quale il riconoscimento dei diritti civili a
tutti gli stranieri), né riforme tecniche eccellenti (ad esempio, per la pubblicità ipotecaria e immobiliare); si adotta un sistema intermedio, vicino al diritto consuetudinario, in tema di successioni; si ribadisce la struttura della famiglia incentrata
sulla patria potestà, si restringe la libertà di matrimonio dei figli, il divorzio e
l’adozione vengono inseriti per imposizione di Bonaparte, e l’art. 6 (“Non si può
derogare con convenzioni particolari alle leggi che interessano l’ordine pubblico e
i buoni costumi”) è posto come limite alla libertà negoziale, restrizione della quale
si vede un riflesso nella previsione della rescissione per lesione (al proposito Portalis afferma che ci sono regole di giustizia che sono anteriori ai contratti stessi).
Il Codice, di 2281 articoli, si presenta come un sistema compiuto, autosufficiente: l’art. 4 dice perseguibile per diniego di giustizia il giudice che si rifiuti di
decidere col pretesto del silenzio, dell’oscurità o dell’insufficienza della legge.
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tutti, quindi, specialisti di diritto consuetudinario o romano. All’inizio del 1801
viene presentato un progetto di 2.500 articoli, comprendente un libro preliminare
sui princìpi generali del diritto, seguito da tre libri relativi alle persone, ai beni e
alla proprietà, e a tutte le altre questioni raggruppate con il titolo “Dei diversi
modi in cui si acquisisce la proprietà”, che viene inviato al Tribunale di cassazione
e alle Corti d’appello; le loro osservazioni, insieme al testo, sono sottoposte all’esame del Consiglio di Stato (creato da Napoleone sul modello del precedente Consiglio del Re). In centosei sedute, presiedute nel corso di tre anni o da Bonaparte
stesso o da Cambacérès, il testo della commissione subisce vari emendamenti. Più
tormentato è il passaggio all’Assemblea legislativa, composta dal Tribunato, dove i
progetti di legge venivano discussi, e dal Corpo legislativo, che votava senza discussione, sentite le relazioni del Consiglio di Stato e del Tribunato. Il Codice viene diviso in 36 progetti di legge, corrispondenti ai titoli, e sottoposto al Tribunato,
ove ideologi ostili a Napoleone criticano il testo, sì che il Corpo legislativo ne respinge la prima parte. Una riforma della Costituzione e l’epurazione degli oppositori permettono l’approvazione delle leggi successive, mentre il libro preliminare
viene soppresso e sostituito da un titolo preliminare di sei articoli. Il Codice civile
è promulgato nel suo insieme dalla legge 8 ventoso anno XII (21 marzo 1804) che
abroga l’ancien droit, ma non le leggi rivoluzionarie, che restano in vigore, salvo il
caso in cui contengano disposizioni contrarie al Codice.
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L’enunciato delle regole, in articoli concisi e dal linguaggio chiaro, raggruppate in
libri, titoli, capitoli e sezioni, si ispira alle grandi Ordinanze; il piano tripartito si
rifà a quello usuale delle opere di istituzioni. Il Codice vuole essere uno strumento
di innovazione del sistema giuridico, un Codice della borghesia adatto alla società
attuale e in grado di accompagnarne lo sviluppo. Per il suo insegnamento vengono riaperte le Università.
Sotto il Consolato avvocati e professori avevano organizzato corsi liberi di
diritto, ponendo in essere l’Accademia di legislazione (vera facoltà di giurisprudenza ufficiosa, caratterizzata da spirito liberale e repubblicano, visioni storiche e
filosofiche e interdipendenza del diritto e dell’economia; a sette corsi teorici si affiancavano un insegnamento pratico, che comportava il dibattimento di una causa
fittizia al mese, e un ufficio di consultazione gratuito) e l’Università di giurisprudenza (ove le materie insegnate erano in numero minore e più ancorate alla legislazione vigente). Queste istituzioni cessano la loro attività nel 1805, quando Napoleone (imperatore dal 18 maggio 1804) istituisce a Parigi la Scuola di diritto
imperiale; la licenza si acquisisce in tre anni, e sono previsti cinque corsi: diritto
romano, Code civil, diritto pubblico francese, diritto civile in rapporto alla Pubblica Amministrazione, procedura. I docenti non possono basarsi su opere di dottrina, ma dettano le loro lezioni che devono limitarsi alla spiegazione letterale della legge. Ha così avvìo l’Ecole de l’exégèse, movimento dottrinario caratterizzato
dall’analisi esegetica delle norme del Codice.
Nel 1806 viene promulgato il Codice di procedura civile, che riprende in
gran parte l’Ordonnance civile del 1667. Anche il Codice di commercio, del 1807,
si ispira alle Ordinanze precedenti, anche se si propone di correggere gli abusi che
un regime di eccessiva libertà aveva introdotto nelle relazioni commerciali e di adeguarsi ai progressi che si erano realizzati nell’economia pubblica. Il progetto,
redatto da una Commissione di pratici già nel 1801, viene sottoposto all’esame e
alla revisione dei tribunali e poi rimaneggiato dal Consiglio di Stato, che adegua la
normativa tenendo conto dei numerosi fallimenti determinati dalla crisi economica e finanziaria del 1805. Il testo, di 648 articoli, si compone di quattro libri, relativi al commercio terrestre, al commercio marittimo, al fallimento e alla giurisdizione commerciale; viene definito il commerciante (art. 1), sono enumerati gli atti
di commercio, disciplinate le società per azioni e il cambio; permane la previsione
dell’imprigionamento per debiti. La scelta di integrare la legislazione commerciale
nel diritto privato, ponendola come diritto d’eccezione rispetto al diritto civile che
impone i suoi modelli anche se non adatti, determina l’allontanamento delle prescrizioni codicistiche dalla pratica e fa sì che l’evoluzione ulteriore si compia al di
fuori del Codice; lungo il secolo XIX se ne rilevano le lacune che vengono colmate
attraverso numerose leggi speciali (sui tribunali di commercio, il fallimento, la
vendita di merci, i trasporti marittimi, le società per azioni, la cambiale, l’assegno,
il pegno, l’azienda, i brevetti, il registro del commercio, le società a responsabilità
limitata); la giurisprudenza ha un ruolo abbastanza ristretto in materia, posto che
l’arbitrato viene spesso preferito al ricorso ai tribunali.
1.5. L’evoluzione successiva e il diritto contemporaneo. Per ottant’anni il diritto civile
rimane espresso esclusivamente nel Codice, applicato da una giurisprudenza che
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lo chiarifica e ne completa la disciplina; poi, mentre le sentenze tendono a farsi
sempre più creative, iniziano le leggi che modificano il testo su punti specifici:
reintroduzione del divorzio (1884: era stato abolito durante la Restaurazione, nel
1816), riconoscimento di diritti successori ai figli naturali (1896), riforma del matrimonio (1907), possibilità di ricerca della paternità (1912), abolizione del potere
di correzione paterna (1935) e del potere maritale (1938). Durante la III Repubblica (1871-1947) varie riforme vengono anche operate fuori del Codice, con leggi
concernenti il diritto del lavoro, il diritto rurale, i contratti speciali. All’inizio del
XX secolo si pone il problema della revisione del Codice: una prima commissione, a larga composizione di politici, professori e letterati, posta in essere nel 1904,
non raggiunge nessun risultato. Anche un Progetto franco-italiano di Codice delle
obbligazioni e dei contratti, elaborato congiuntamente da studiosi italiani e francesi con lo scopo di codificare le linee generali della materia introducendovi le innovazioni apportate dalla giurisprudenza dei due Paesi e gettare le basi di un
nuovo diritto comune privato europeo, pur approvato a Parigi nel 1927 e talvolta
richiamato nelle sentenze, non entra in vigore – per scelte politiche –. Una nuova
commissione per la revisione del Code Napoléon, del 1945, composta da dodici
giuristi sotto la presidenza di Juillot de la Morandière redige, nel 1953, il progetto
di un titolo preliminare e di un primo libro (parzialmente ispirati al sistema tedesco: è previsto, ad esempio, il negozio giuridico), e nel 1961 una rielaborazione
della materia successoria, che però non vengono promulgati. Il Codice subisce invece riforme parziali successive che ne cambiano interi titoli, pur rispettandone il
quadro formale, in tema di diritto di famiglia (nel 1964 l’amministrazione legale e
la tutela – riformata ulteriormente nel 2007 e poi nel 2009 –, nel 1965 i regimi matrimoniali, nel 1966 l’adozione, nel 1968 l’incapacità del minore, nel 1970 la patria
potestà, nel 1971 le liberalità e la divisione ereditaria, nel 1972 la filiazione – e poi
nel 2005, con la regolamentazione della procreazione medicalmente assistita –, nel
1977 l’assenza, nel 2004 il divorzio) e delle persone (1987, 1993, 1994). Vengono riformate anche le società civili (1966, 1990, 1993), commerciali e per azioni (1967,
1989).
Tra il 1971 e il 1973 quattro decreti modificano sostanzialmente la procedura civile e nel 1975 la Francia si dota di un Nouveau Code de procédure civile, anch’esso assunto per decreto (la scelta del decreto per attuare la novellazione delle
norme processuali si spiega considerando che l’art. 34 Cost. non include tra le materie coperte da riserva di legge la procedura civile, che quindi costituisce matière
réglementaire). La L. 2007-1787 rinomina il testo Code de procédure civile, abrogando il Codice del 1806, alcune disposizioni del quale erano rimaste in vigore.
La maggior parte della nuova legislazione privatistica rimane fuori del Codice civile (così in tema di comproprietà, locazione, circolazione stradale), mentre si
moltiplica la redazione e promulgazione di altri Codici specifici: Code rural
(1955), Code de l’urbanisme (1973), Code des assurances (1976), Code de la construction et de l’habitation (1978), Code de la propriété intellectuelle (1992), Code
de la consommation (1993), ecc. Questi testi raggruppano in modo tendenzialmente sistematico le norme emanate nei vari settori, ed in essi confluiscono, secondo un procedimento detto di codification à droit constant (che sarà abbandonato nel 2003), le modifiche legislative successive. Questo modo di codificare (la
DIRITTO CONTINENTALE EUROPEO
definizione è data dall’art. 3, L. n. 2000-321, del 12 aprile 2000, che abilita il Governo a redigere nove nuovi Codici) raggruppa e classifica in Codici tematici le
leggi in vigore, senza modificarne la sostanza ma solo eventualmente la forma, per
migliorare la coerenza redazionale dei testi, armonizzare lo stato del diritto e assicurare il rispetto della gerarchia delle norme (disposizioni formalmente regolamentari ma di natura legislativa sono riclassificate, mentre la parte regolamentare
presente in varie leggi è declassata; le discipline sono distinte in nuovi articoli con
disposizioni o legislative o regolamentari, ìndicate rispettivamente da L o da R: es.
art. L. 321-1, art. R. 218-3): scopo primario è assicurare l’accessibilità e l’intelligibilità della legge (principio affermato dal Conseil constitutionnel, decisione n.
99-421, del 16 dicembre 1999, che stabilisce la costituzionalità della codificazione
realizzata attraverso ordinanze del Governo, che saranno ratificate entro due mesi
da una legge del Parlamento), posto che la messa a disposizione e la diffusione dei
testi costituisce un servizio pubblico (Consiglio di Stato, 17 dicembre 1997, ricorso n. 181611). Il risultato è una compilazione, cioè una consolidazione, delle norme in vigore che, riordinate secondo una diversa logica ed espresse in articoli, assumono una nuova numerazione. In proposito la dottrina, fortemente critica verso
il metodo seguito, lamenta la parcellizzazione delle materie codificate, lo smembramento dei testi e il loro spostamento che elimina la concatenazione logica delle
precedenti leggi e influenza la loro interpretazione, i cambiamenti di forma che
talvolta comportano modifiche di sostanza, l’incertezza risultante dall’abrogazione
non sempre oculata di norme precedenti, il perdurante rinvio a disposizioni estranee al Codice, la mancata inserzione delle regole comunitarie.
Con questo sistema nel 2002 anche il Code de commerce viene ripromulgato
e profondamente modificato nella struttura: si compone ora di nove libri, per 958
articoli più una consistente parte regolamentare, disciplina anche molti àmbiti
professionali estranei al commercio mentre tralascia settori rilevanti, quali le attività bancarie, i trasporti e i tribunali commerciali, destinati ad entrare in altri futuri Codici (ad esempio, a complemento è stato promulgato il Code monétaire et financier).
Nell’ultimo ventennio diverse innovazioni legislative hanno una profonda influenza sul sistema civilistico. La L. 99-944 del 15 novembre 1999 (completata
dalla L. 2006-728 del 23 giugno 2006) introduce nel Codice civile dagli artt. 515-1
a 515-7 il PACS (Pacte civil de solidarité): si tratta di un contratto per organizzare
la vita comune fra maggiorenni, di sesso differente o dello stesso sesso, che non
siano in rapporto di discendenza diretta né affini o collaterali fino al terzo grado,
e non siano attualmente sposati o in PACS con altri. L’accordo, concluso per atto
pubblico o scrittura privata autenticata, deve essere dichiarato al tribunale del
luogo di residenza delle parti e trascritto nei registri dello stato civile; comporta gli
obblighi di vita comune, aiuto materiale e assistenza reciproca, solidarietà per i debiti contratti per le necessità domestiche; il regime patrimoniale e quello successorio
sono simili a quelli previsti per il matrimonio; il patto si scioglie per morte o matrimonio di una delle due parti, e per dichiarazione congiunta o unilaterale dei partecipanti fatta alla cancelleria del tribunale, che provvede alle registrazioni dovute.
Vengono riformate anche le successioni e le donazioni (dalla stessa L. 2006728 del 23 giugno 2006) per adattarne la disciplina alla nuova realtà delle famiglie
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permettendo al disponente di organizzare la sua successione, accordandosi con gli
eredi anche in deroga a certe regole relative alla riserva: sono ora possibili il mandato a effetto post mortem per l’amministrazione e la liquidazione dell’asse ereditario; la rinuncia anticipata da parte dell’erede riservatario, con il consenso del
dante causa, all’azione di riduzione delle liberalità eccessive nei confronti di soggetti determinati; la donazione-divisione transgenerazionale, cioè a favore di gradi
di generazione successivi (ossia il disponente divide e dona i suoi beni invece che
ai figli, che rinunciano, direttamente ai nipoti); le “donazioni graduali”, cioè con
onere per il primo donatario o legatario di trasmettere i beni in natura, all’apertura della propria futura successione, a un secondo beneficiario designato dal
primo disponente. Inoltre l’azione di rescissione per lesione della divisione è sostituita da quella per il completamento della quota, e la riduzione delle donazioni
eccessive non si effettua più in natura, ma in valore, con il pagamento di un indennizzo all’erede riservatario spogliato.
Anche il diritto delle obbligazioni subisce pesanti trasformazioni: per cercare
di porre rimedio al sovraindebitamento delle famiglie il legislatore regolamenta,
già dalla fine degli anni ’70 del XX secolo, i crediti al consumo e quelli immobiliari, poi prevede una normativa specifica che si esprime principalmente in tre leggi
di diritto sostanziale (n. 89-1010 del 31 dicembre 1989, n. 98-657 del 29 luglio
1998, e n. 2003-710 del 1° agosto 2003) e in varie riforme procedurali inserite nel
Code de la consommation. In presenza di uno stato di sovraindebitamento semplice, un debitore in buona fede che si trovi nell’impossibilità manifesta di far fronte
all’insieme dei suoi debiti non professionali, scaduti o non ancora esigibili, può, in
vista di una sua risistemazione patrimoniale, con l’intervento di un’apposita Commissione amministrativa raggiungere un accordo con i creditori che acconsentono
a dilazioni, rateizzazioni, riduzione o soppressione degli interessi, imputazione dei
pagamenti sul capitale, eventuale remissione parziale o totale del debito; se l’accordo non è raggiunto, la Commissione può raccomandare l’adozione di misure
analoghe, oppure, qualora il debitore sia insolvente, cioè in stato di sovraindebitamento grave non disponendo né di risorse né di beni, la sospensione dell’esigibilità del credito per un massimo di due anni; se al termine della moratoria il debitore continua ad essere insolvente, la Commissione stessa raccomanda la cancellazione parziale dei debiti: in questo caso il giudice dell’esecuzione, controllata la
fondatezza delle raccomandazioni, dà loro forza esecutiva. Qualora poi il debitore
si trovasse in una situazione irrimediabilmente compromessa, caratterizzata dall’assenza totale di capacità di rimborso, una risistemazione patrimoniale è impossibile: si ricorre allora, presso il giudice dell’esecuzione, alla procedura di “ristabilimento personale”, specie di fallimento civile che porta alla liquidazione giudiziaria del patrimonio del debitore, esclusi i mobili necessari alla vita quotidiana e i
beni indispensabili all’esercizio dell’attività professionale; sull’attivo ricavato dalle
vendite vengono soddisfatti i creditori secondo l’ordine delle garanzie; se l’attivo
risulta insufficiente, il giudice pronuncia la chiusura della procedura, che comporta la cancellazione totale dei debiti non professionali del debitore. Queste procedure, graduate negli effetti a seconda delle situazioni più o meno gravi, hanno lo
scopo di aiutare il debitore ad uscire da una situazione finanziaria difficile, o, ove
ciò sia impossibile, di evitarne l’esclusione sociale, offrendogli una nuova possibi-
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lità, cioè di ricostruirsi la vita partendo da una situazione non compromessa. È da
notare, comunque, che l’insieme di queste regole va contro i principi tradizionali
della forza vincolante e dell’immutabilità dei contratti.
Si sente ormai anche il bisogno di rinnovare la parte centrale del Codice civile, rimasta sostanzialmente immutata dal 1804, e ciò ha indotto alcuni dei migliori
giuristi francesi, sotto la direzione del prof. Catala, ad elaborare in pochi mesi e a
presentare al Guardasigilli nel 2005 un “Avant-projet de réforme du droit des obligations (Articles 1101 à 1386 du Code civil) et du droit de la prescription (Articles 2234 à 2281 du Code civil)”. Le norme proposte tengono parzialmente conto dei “Princìpi di diritto europeo dei contratti” (il c.d. Codice Lando) e in maggior misura della riforma del Codice tedesco del 2002, ma conservano un tratto
tipicamente francese volendo mantenere al diritto civile la caratteristica di esprimere princìpi e regole neutre, comuni a tutti (e quindi non integrando le norme
comunitarie di protezione della parte debole), e non introducendo innovazioni
accolte a livello internazionale. Questa proposta non è diventata legge, ma ha avviato un movimento di riforma che si è espresso, nel 2008, in un secondo progetto
proposto dalla Cancelleria, che pare più vicino ai modelli stranieri (in quanto, ad
esempio, non menziona la causa, ma l’“interesse” di ciascuna parte al contratto, in
mancanza del quale l’accordo è nullo, e prevede che il giudice possa, con il consenso delle parti, adattare il contratto alle nuove circostanze o determinare le condizioni della sua risoluzione, nel caso di mutamento sostanziale della situazione
esterna inizialmente prevista); un ulteriore progetto è stato presentato nel 2009 ad
iniziativa del prof. Terré.
Per il momento la disciplina delle obbligazioni non è stata mutata, ma l’Ord.
n. 2006-346, del 23 marzo 2006, ha proceduto alla riforma del regime delle garanzie (privilegi, pegno, garanzia su beni immateriali, diritto di ritenzione, privilegi
speciali e generali, anticresi e ipoteche) riscrivendo in pratica quasi l’intera disciplina, ed introducendo nel Codice civile un libro IV (artt. 2284-2488). La L. n.
2007-211, del 19 febbraio 2007, ha introdotto nel sistema francese la “fiducie”,
istituto ispirato al trust inglese: riguarda il trasferimento fiduciario di beni per la
loro gestione a vantaggio del costituente o a titolo di garanzia per un debito del
costituente stesso o di un terzo; la disciplina è stata perfezionata dalla recente L.
n. 2009-562, del 13 maggio 2009. Molto influenzata dal “Projet Catala”, e quindi
dal rinnovato sistema tedesco, è la riforma della prescrizione civile (L. n. 2008-561
del 17 giugno 2008): viene distinta la prescrizione acquisitiva da quella estintiva;
quest’ultima è ridotta a 5 anni come termine di diritto comune, cioè per le azioni
personali o mobiliari e per le obbligazioni commerciali, mentre rimangono i termini precedenti in molte ipotesi speciali (ad esempio 30 anni per le azioni reali
immobiliari); alle cause tradizionali di sospensione della prescrizione vengono aggiunti il ricorso alla mediazione o alla conciliazione e i provvedimenti istruttori ordinati da un giudice in qualsiasi processo; è possibile alle parti convenire sui termini di prescrizione (purché non siano ridotti a meno di un anno o allungati a più
di dieci), e aggiungere, salvo che nei contratti di lavoro e di consumo, altre cause
di sospensione o di interruzione a quelle previste dalla legge.
È da rilevare, infine, che nel 2006 viene aggiunto al Code civil un libro V
(artt. 2489-2534) che, riprendendo una precedente ordinanza del 2002, elenca in
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2. La dottrina
In epoca napoleonica l’imposizione di un rigido criterio all’insegnamento universitario determina lo stile della dottrina francese per buona parte del XIX secolo: i giuristi dell’Ecole de l’exégèse si propongono di analizzare e spiegare il testo
del Codice, ma, essendo magistrati e dottrinari ad un tempo e profondi conoscitori dell’ancien droit, riescono, attraverso quello che formalmente è un commento
articolo per articolo, con riferimenti storici e chiarificazioni che completano le regole, a reintrodurre tutta la cultura giuridica precedente (diritto romano, Coutumes, sentenze dei Parlements, commenti dottrinali). Le opere (di Toullier, Duranton, Marcadé, Demolombe, Laurent, Huc) si susseguono diventando sempre più
voluminose (da pochi tomi passano a più di trenta, mentre all’analisi per articoli
si sostituisce quella per titoli, e, verso la fine del secolo, quella per argomenti) in
quanto gli autori richiamano, ed eventualmente controbattono, le opinioni dei
commentatori precedenti ed approfondiscono i problemi sempre più numerosi e
complessi di applicazione delle norme a casi concreti, riferendo anche le interpretazioni della Cassazione.
Fa eccezione a questo stile l’opera di C.S. Zachariae von Lingenthal, professore ad Heidelberg: il suo “Manuale di diritto civile francese”, pubblicato nel 1808 e
destinato all’insegnamento nelle regioni dell’Alsazia e della Lorena recentemente
annesse alla Francia, segue un ordine espositivo indipendente da quello del Codice, del quale commenta la disciplina per quanto espressa, cioè non ricorrendo al
bagaglio culturale dell’ancien droit, ma individuando piuttosto le matrici romanistiche, consuetudinarie o giurisprudenziali degli istituti. L’opera, che si distingue
per razionalità e chiarezza espositiva, viene tradotta in francese (1838-1844) dai
suoi allievi Ch. Aubry e F.-Ch. Rau, docenti a Strasburgo, e poi da loro successivamente ampliata e rielaborata subendo l’influenza della dogmatica tedesca: il loro “Corso di diritto civile francese secondo il metodo di Zachariae” riscuote un
notevole successo e ha varie riedizioni fino alla metà del XX secolo. Rimangono
comunque estranei alla grande maggioranza dei dottrinari francesi il modello sistematico e le concezioni giuridiche tedesche che stavano ristrutturando la scienza
del diritto europeo e che avrebbero plasmato il futuro B.G.B.
Alla fine del XIX secolo i giuristi si trovano ad affrontare un Codice ormai
invecchiato e una giurisprudenza innovativa e disorganica: non credono più di poter elucidare un diritto eterno, scoprendone i princìpi di giustizia, ma più modestamente esprimono la dottrina in articoli su riviste e in note a sentenze cercando
di indirizzare o correggere l’interpretazione giurisprudenziale delle molteplici
nuove leggi settoriali. Ora la dottrina si interessa al metodo e alla formazione del
diritto: R. Saleilles fa conoscere, nel 1890, con il “Saggio di una teoria generale
delle obbligazioni secondo il Progetto di Codice civile tedesco” e con studi successivi, la cultura giuridica straniera più avanzata, e sostiene la libertà del giurista
di andare “al di là del Codice, ma attraverso il Codice” per tener conto dei fatti
come presupposto necessario all’elaborazione della dottrina e all’applicazione del-
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DIRITTO CONTINENTALE EUROPEO
poche decine di norme le disposizioni codicistiche applicabili a Mayotte, Territorio francese d’Oltremare situato nell’arcipelago delle Comore.