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Le campane stanno mirando alla mia
testa
Elio A. Farina
Le campane stanno mirando alla mia
testa
Elio A. Farina
Questo racconto fa parte della raccolta “Dietro a una canzone”. Bells Aimed
At All My Head di Elias M. Waters.
Copyright CC: BY–SA. Some rights reserved.
CARERE DEBET OMNI VITIO
QUI IN ALTERUM DICERE PARATUS EST.
Per altre informazioni badroomtales.com.
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Immagini di sfondo: Subtle Patterns.
Immagine di copertina: Giulia Vilasco.
Versione: brtitis1501 ver 2.2 - 2015/05/25.
iao, scusa, lascio aperto o. . . ?
For sale. Baby shoes. Never worn.
Scusa?
In vendita. Scarpe da bambino. Mai indossate.
- Parli con me?
- Cosa?
- No, ti ho solo chiesto se vuoi che il portone te lo lasci aperto o lo
chiudo.
- Ah, no, è che stavo pensando a questa cosa.
- Va tutto bene?
- Hemingway un giorno scrisse queste sei parole: For sale. Baby
shoes. Never worn. È considerato il romanzo più breve della storia.
- Sì?!
- Se tu dovessi scrivere il tuo romanzo più breve, cosa scriveresti?
- Non lo so, guarda, io. . .
- Io lo so. Scriverei “Lei mi ha lasciato sulle scale”.
- Lei cosa?
- Lei mi ha lasciato sulle scale. Questo sarebbe il mio romanzo breve.
- Ok. A me sembra un titolo di un romanzo più che un romanzo
breve.
- E allora così “Lei. Mi ha lasciato. Sulle scale”.
- Non lo so se funzioni tanto quanto quello di Hemingway.
- Beh, Hemingway era Hemingway.
- Ok.
- No, voglio dire, tu cosa scriveresti?
- Non lo so, qualcosa come “Ciao, scusa, lascio aperto o”.
- Ho capito. Vai, chiudi pure. Tanto non credo tornerà.
- Scusa?
C
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-
No, davvero, non voglio ammorbarti con le mie cose, vai.
Senti, non è che. . .
No, vai, tranquillo.
Lei ti ha lasciato solo sulle scale quindi. Ma lei chi è? Vive qui?
Sì. Tu vivi qui?
No, ci vive un mio amico, sono andato a ridargli una cosa.
Sei di fretta?
No.
Conosci la gente che vive qui? Amico a parte intendo.
No, solo il mio amico.
Quindi se anche ti dicessi chi è non sapresti dirmi se la conosci.
Magari l’ho già vista. Se me la descrivi.
Forse. Come faccio a descrivertela?
Intuisco dai fiori che hai in mano che. . .
Rose. Sì, intuisci bene.
Ma stavate insieme?
Eravamo amici.
Eravate?
Siamo amici. Eravamo amici. Non lo so. Adesso come adesso non
lo so.
Cioè, tu ti sei dichiarato oggi, con le rose, a casa sua? E lei?
Come vedi stiamo facendo l’amore.
Ma. . .
Hai ragione, scusa, neanche ti conosco e. . .
No, lo capisco. Quello che volevo dire è e lei ti ha lasciato sulle
scale?
Lei è scappata.
Scappata? Non poteva semplicemente sbatterti la porta in faccia?
Grazie. Poteva anche dirmi di sì.
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- No, quello che volevo dire è appurato che ti ha detto di no, perché
sei lì, solo, con le rose in mano, seduto sulle scale? Poteva semplicemente dirti di no, perché scappare? Ti avrà dato dei messaggi, dei
segni, ti avrà detto qualcosa no?
- Sì, è stato tutto molto breve ma ha detto qualcosa.
- E. . .
- Non so se sia molto intelligente che io ti racconti queste cose.
- Sfogarsi fa bene. E prima o poi dovrà tornare a casa. Cosa fai? Starai
qui tutta la notte? Ti tengo compagnia finché non te ne vai, dai.
- Non lo so. Neanche ti conosco.
- Sono solo molto curioso. Facciamo che mi racconti come sono
andate le cose.
- Eh, ti racconto come sono andate le cose! Da quanto prima?
- Hai deciso di fare notte?
- No, devo solo riprendere le mie forze.
- Alzati.
- Perché devo. . .
- Alzati, alzati un attimo. Per me.
- Ok, e adesso?
- Adesso siediti. Per favore.
- Mm.
- È stato faticoso?
- Mi tremano le gambe.
- Sapresti quantificare quanto tempo ti ci vuole perché smettano di
tremare?
- Non lo so.
- Ecco, allora parti a raccontare da quel non lo so.
- Ok.
- Da quanto tempo la conosci?
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- Da un paio di anni. È amica di una nostra amica. Una collega. Una
collega di una nostra amica. Un giorno sono andato al pub dove
andiamo di solito, e loro due erano già lì. Erano uscite insieme a far
serata, non lo so, cose fra donne. Poi sono arrivati anche gli altri e
ci siamo ritrovati tutti insieme. Lei si è subito ambientata con noi,
è carina, è socievole, si fa ben volere.
- La ragazza di cui tutti si potrebbero innamorare. Mi sa che faccio
notte anche io.
- Mm.
- Scusa. Vai avanti.
- Niente. Ha iniziato a uscire sempre più spesso con noi. Sai come
vanno queste cose, elemento nuovo, compagnia grande, meccanismi già rodati, amicizie già consolidate. O sei la tipa di qualcuno,
e allora vieni inserita come la tipa di quello, o sei proprio una gran
figa, e allora tutti ti fanno la corte.
- E lei mi par di capire che non fosse nessuna delle due. Scusa se lo
deduco.
- No, deduci bene. Beh, che non fosse tipa di qualcuno te l’ho detto
io. Lei è la classica ragazza che la vedi la prima volta pensi carina,
sì, ecco, se un mio amico ci si mettesse insieme sarei contento per
loro due. Poi la conosci e dici mamma che figa, voglio starci io con
una così. E piano piano capisci che è perfetta, diventa speciale. Che
anche se non è la più bella del gruppo, lo diventa. Ai tuoi occhi
diventa la più bella. Vedi, io e te siamo due esseri umani. Abbiamo
entrambi un naso, due occhi, una bocca. Però le nostre facce sono
diverse, e sono diverse per millimetri. Sposti il tuo zigomo di un
millimetro in su, il naso di un millimetro più grande, gli occhi. . . e
possiamo tranquillamente essere gemelli. Ma non lo siamo, siamo
diversi, siamo a qualche millimetro di distanza per essere gemelli.
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- Sì, quello e qualche sequenza di Dna.
- Hai capito quello che volevo dire.
- Certo. Sì. Ma se mi parli così lei è metri dalla bellezza, non qualche
millimetro.
- No. Lei è pochi millimetri dalla perfezione, ma non è perfetta. Ognuno di noi in strada si gira per guardare la ragazza perfetta che passa,
non la ragazza carina a pochi millimetri dalla perfezione. Il punto
è che quando la conosci però, tutte quelle distanze di zigomi, di nasi, di occhi, in un attimo si azzerano, non ci sono più, e lei diventa
bellissima. Lei è, bellissima.
- Ok, ho capito cosa intendi. Ed è così speciale?
- Secondo te? Sono qui seduto sulle scale di fronte alla porta di casa
sua con delle rose in mano, cosa dici?
- Dico che è speciale? Quindi lei sta qui, al piano terra?
- Sì, lei sta lì.
- No, non l’ho mai vista. E quindi? Due anni? Ti ci sono voluti due
anni per spostare tutti quei millimetri?
- No, tu stai pensando solo alla bellezza.
- Perché tu no? Siamo maschi.
- Non è quello. Certo che pensi all’aspetto esteriore. Ma poi le cose
si fanno diverse, non è che stai tutto il tempo a pensare che. . .
- Sicuro?
- Sì, cioè, dai, hai capito.
- Ti prendo in giro. Ma rifaccio la domanda: due anni?
- No, ti ci vuole una sera con lei per capire quanto sia bella.
- E non potevi dichiararti la prima sera?
- Ma mica ero innamorato.
- Ok. Riformulo di nuovo la domanda: non potevi chiederle di uscire, anche se non ne eri innamorato, già tempo fa?
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- Ma lo sai come vanno queste cose. . .
- Sì, certo che lo so. Vedi una tipa. Lei è single, tu sei single, le chiedi
di uscire.
- Eh. . .
- Ma mica devi farci chissà che cosa. Devi uscire. Lei ti dice no? Bene.
Ti dice sì? Uscite. Te la dà? Bene. Non te la dà? Cerchi di capire il
perché. Perché non te la darà mai? Bene. Perché te la potrebbe dare
ma devi sbatterti un po’ per averla? Allora cerchi di capire se ne
vale la pena. Vale la pena lo sbattimento? Bene, ti sbatti. Non vale
la pena? Chiedi ad un altra di uscire, cosa che comunque conviene
sempre fare a prescindere. E con quest’altra ricominci da capo. Ti
dice no? . . . È un algoritmo, a suo modo. No, anzi, è proprio un
algoritmo.
- Eh, ma che schifo.
- Che schifo cosa?
- Cioè, voglio dire, mi sembra tutto così sterile.
- Adesso vorrai dirmi che non hai mai, mai, dico: mai, pensato in
questi termini di uscire con una ragazza? Non dico la donna della tua vita, non dico la tua migliore amica, dico una ragazza, una,
dico: una?
- Sì.
- E allora sei come tutti gli altri. Non è che sei diverso perché stai
qui come un fesso con le rose in mano. E cosa speravi di ottenere?
Sono passati due anni, sarai nella zona amico e ciao.
- Ma tu cosa ne sai?
- Lo deduco.
- Deduci un po’ troppe cose.
- Dimmi che non è vero. Dai. Dimmi che non è vero.
- Non è vero.
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-
Dimostramelo.
Non è così semplice.
Non ho detto che è semplice.
No, ma la descrivi come fosse semplice.
Cosa, invitare una ad uscire? “Ciao, pronto, sono io, ricordi? Ti
va di uscire?” vedi? Semplice.
- No, dico. . .
- Ok. Tu sei il romanticone che devi innamorarsi o prendersi bene
per chiedere di uscire. E magari presentarsi con le rose.
- No, non è questo.
- Va bene. Ognuno è fatto a suo modo. Ma ciò non toglie il fatto
che per quanto tu me la voglia raccontare, quando esci con una
ragazza. . .
- Sì, ok. È così, va bene?
- E allora perché non le hai chiesto di uscire prima? Uscire, semplicemente uscire. Hai aspettato e sei arrivato a presentarti con
delle rose a casa sua. In mezzo ci sono tante cose, dovevi arrivare
addirittura due anni dopo con delle rose?
- Esatto, in mezzo ci sono tante cose che non sai e che non è che devo
raccontare a te.
- Certo, ma siamo qui e ormai mi hai già detto metà della storia.
- Metà?
- Beh, certo, il resto sono solo dettagli!
- Dettagli dici.
- Ma sì, dettagli. Mettiamola così: fai un viaggio, no? Sei appena arrivato e mi telefoni per dirmi che sei arrivato. Mi racconti di quando sei partito, mi racconti di quando sei arrivato, mi racconti di
quanto è bello il posto in cui sei arrivato, mi racconti se c’è il sole,
mi racconti come è stato il viaggio a grandi linee. Punto. Ma non è
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che mi racconti di ogni curva, ogni albero che hai visto, di quante
volte ti sei fermato per andare in bagno o mangiare. Lo puoi fare,
ma sono solo dettagli, non è la storia completa. La storia è che sei
arrivato.
- Dipende.
- Da cosa?
- Dalla storia. Da che storia vorrei raccontare. Cioè, se io arrivassi
in posto e volessi informarti che sono arrivato allora certo, hai ragione tu. Ti telefono, ti dico che va tutto bene, che c’è il sole e che
siamo contenti. Ma se la storia fosse proprio il viaggio? Tutti quelli
che tu chiami dettagli sarebbero invece la storia. Non trovi?
- Certo. Ma allora la data di partenza, l’ora di arrivo, quanto è bello il
posto in cui sei arrivato, se c’è il sole, . . . , quelli sarebbero i dettagli.
E se volessi sapere del viaggio, sapere a che ora sei partito è solo un
accessorio.
- E con questo cosa vorresti dire?
- Che la storia con lei è l’arrivo, o il viaggio?
- Che. ..
- Vedi. Mi hai raccontato della partenza. Mi hai raccontato dell’arrivo. Ti vedo con un mazzo di rose, questa è la storia. Se questa è la
storia, allora sì “Lei mi ha lasciato sulle scale” è il romanzo breve
della tua vita. Così, tu, con le rose in mano. Punto, sipario, titoli
di coda, dibattito. Quella è tutta la tua storia racchiusa in poche
parole. Semplice. Lineare. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Tu
sei venuto qui, lei ti ha detto di no, torni a casa con le rose. Puoi
aggiungere dettagli, puoi spiegare meglio le cose, ma la storia è già
conclusa di suo così. Oppure, la storia la stai costruendo. “Lei mi
ha lasciato sulle scale” non è il romanzo. È solo il titolo, o addirittura solo il titolo di un capitolo. Il resto sono solo dettagli. Il resto
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sono solo parole per rendere meno banale la vita di tutti i giorni.
Ma se per te la parte più importante della storia è quello che ci sta
in mezzo, allora che tu l’abbia conosciuta ieri o due anni fa, o che
tu questa sera ti sei dichiarato, questi sono solo dettagli. Se tu vorresti che questo fosse il prologo della storia, che la storia iniziasse
con te con le rose in mano, e poi proseguisse al tramonto all’infinito, allora quello che c’era prima non conta. Ma così non è, e ti sei
ritrovato qui a dover riscrivere una storia che pensavi di aver già
scritto. E allora comunque sia, mi hai raccontato metà della storia.
E tu vorresti che “Lei mi ha lasciato sulle scale” fosse il titolo del romanzo della tua vita, il titolo di un capitolo, o il titolo dell’ultimo
capitolo? Ora: io voglio sapere quale è la storia, non i dettagli. La
tua storia, dico. La vostra storia. L’arrivo? La partenza? Il viaggio?
La collega, le rose, l’amicizia?
- Se ti dico che è quello che ci sta in mezzo tu dici che sono uno
stupido romantico, che sono un imbranato che avrebbe dovuto
dichiararsi prima.
- No. Se tu mi dici che la storia è l’inizio e la fine, allora sì, sei stupido
perché potevi avvicinare la fine a quell’inizio e giocartela un po’
meglio che con delle rose. E fin’ora è questo che emerge.
- Sì, certo. Perché mi hai visto con le rose in mano e tutto il resto.
- E quindi?
- Quindi cosa?
- Quindi la storia? La storia vede tu seduto con le rose in mano, o
vede tu e lei mano nella mano?
- Tu cosa dici?
- Ma no, quello è solo uno dei tanti ipotetici finali. Voglio sapere la
storia. Come sei arrivato qui.
- La storia?
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- La storia.
- Ma neanche mi conosci. Non voglio annoiarti.
- Non ti ho mica chiesto di raccontarmi la storia della tua vita, non
ti ho chiesto ogni curva, ogni singolo albero che hai visto, quante
volte ti sei fermato per andare in bagno o mangiare. Solo come
siamo arrivati qui.
- Solo. Beh, ho preso le rose e sono venuto qui.
- Pensavo volessi sfogarti e raccontare un po’. Ok, vado.
- Non abbiamo mai avuto occasione di stare insieme.
- Cosa?
- Non c’è mai stata occasione di stare insieme. Non ho mai avuto
l’occasione per chiederle di stare con lei.
- Tu e lei? Mai?
- Sì. Vedi, quando ti dicevo che se una ragazza è la tipa di. . . allora
viene trattata come la tipa di. . . senza che abbia personalità propria, ecco, lei era la collega di. . . Ci si scherzava, ci si vedeva sempre
in gruppo. Chi è quella? È la collega di. Punto.
- Ho capito, ma non c’è bisogno di stare soli per invitare una ad
uscire.
- Sì e no.
- E comunque sarà scattato qualcosa prima o poi. Voglio dire: le
rose.
- La vuoi la storia?
- Vai con la storia.
- Non c’è mai stata vera occasione per stare da soli all’inizio. E poi
per almeno un anno non è che lei sia uscita sempre con noi, era
una meteora per noi, lei stava con i suoi amici, le sue cose. Usciva
perché c’era l’amica. Non ci ho mai posto sopra troppa attenzione.
- Ah, io pensavo che fin da subito. . .
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- Ma no. La conosco da due anni, ma non è che vedi una tipa, subito,
a prescindere, le chiedi “ti va di uscire?”.
- Ah no.
- No.
- No per te evidentemente. Se è carina perché no. Poi la conosci ti
piace hai vinto su tutta la linea. Non ti piace, o tu non piaci a lei,
bene, hai passato la serata con una.
- Io non la vedo così.
- Infatti io non sono mai rimasto solo con le rose in mano sulle scale.
- No, perché tu vai sempre a segno.
- Certo che no. Ma per andare a segno dovrai per lo meno provarci,
no? Cioè, per poter fare gol devi tirare in porta. Poi non tutti i
tiri vanno in porta, e di quelli che vanno in porta quasi tutti sono
parati. Ma uno entrerà in rete, farai gol? Sì. Ma se neanche tiri in
porta, come puoi sperare di vincere la partita?
- Quindi tu vai sulla quantità, peschi a caso, quello che viene viene,
tiri a casaccio sulle tribune, mal che ti vada ti sei scopato una e
morta lì.
- E questo è male?
- No. È che non tutti sono così. Quello che faccio io è male per te?
- No. Ma ripeto: se costruisci l’azione, schemi perfetti, squadra bene
rodata, ma non andate a tiro neanche una volta puoi anche avere
più del cinquanta per cento del possesso palla e perdere lo stesso
contro una squadra di catenacciari che ha messo in rete l’unico tiro
della partita.
- Ok. A me piace costruire l’azione.
- E il pubblico pagante si annoia: vuole vedere i tiri in porta, vuole vedere spettacolo. Paga per vedere la finale di campionato, non
una amichevole estiva di preparazione. A te piace costruire l’azio11
ne, poi andare a casa e giocartela da solo alla Playstation.
- Divertente. E quindi la metafora fallica del gol e dalla porta rende
l’idea.
- Se tu vuoi vedere le donne così, bene. Io non ho mai detto questo.
- Mi sembrava. Andare a segno, tirare. . .
- No. Lei è lì che gioca con te, non è la squadra avversaria. La squadra avversaria sono le ostilità della vita che non vogliono che stiate
insieme.
- Non ci credo, non suonava così. Mi sembrava uscissi solo per scopare.
- Quello. E vedere se si può fare di nuovo.
- Lo vedi?
- Nel senso di mettersi insieme, frequentarsi.
- Non lo so.
- Ascolta. Non sto dicendo che faccio bene o faccio male. Magari
fossero tutti come te, con le rose. Ma non lo siamo. E tu sei qui
con le rose. Non sei dentro quella porta con lei. Capisci?
- Capisco che tu credi che a furia di dai e dai tu ci saresti riuscito.
- Al contrario. Io voglio sapere come è possibile che al ragazzo che si
presenta con le rose in mano alla ragazza più bella del suo mondo
non sia stata data la possibilità di entrare. A meno che tu non sia
un maniaco, e allora.
- No, niente maniaco.
- Disse il maniaco.
- No. . .
- E allora?
- Allora niente.
- Come allora niente? Quando sono cambiate le cose?
- Lei un annetto fa circa ha iniziato a uscire più spesso, si è mollata
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con il tipo, e. . .
- . . . quando sei in una compagnia e sei considerata solo la tipa di. . . ,
se poi vi mollate stare in quella compagnia non è il massimo.
- Esatto. E allora visto che con noi stava bene, ha iniziato a uscire
più spesso.
- Quindi lei all’inizio era occupata.
- Certo. Ed era inarrivabile, nel senso che non ci si frequentava troppo e sembrava che lei stesse bene con il tipo. Dopo che si sono
lasciati ci siamo visti più spesso, insieme agli altri.
- Ed è diventata Lei, e non La Collega di.
- Per me. Per me sì.
- E gli altri?
- Ma gli altri sono tutti mezzo fidanzati, o sono come te.
- Come me?
- E lei con quelli come te non esce.
- Con quelli come me.
- Sì.
- Bene, uscirò con l’amica!
- Facciamo uscita quattro.
- Che figata. L’amica ci sta?
- Sì, ci sta.
- È figa?
- È carina.
- E non le hai mai chiesto d’uscire?
- Era la tipa di un mio amico.
- Ah, no, allora no. Ma lei è rimasta, però, nella compagnia.
- Sì, ci sono le eccezioni piene di personalità.
- Personalità.
- Sì, personalità.
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-
-
-
Personalità, e un paio di tette.
Stupido.
Sì. E quindi?
Quindi niente. Quindi lei è uscita sempre più spesso. E si parla, e
si scoprono cose in comune. Ma soprattutto i gesti, i movimenti,
i ragionamenti.
E. . .
Non fare battute idiote.
No, non faccio battute idiote.
Cosa stavi per dire?
E quindi ti sei innamorato.
Non lo so.
Come non lo sai? Stai qui.
No, certo. Dico all’epoca non lo sapevo. Ci stavo bene, io non ero
nel periodo giusto per uscire con una, lascia stare.
Lascio stare.
E quindi eravamo sempre in gruppo. Sempre con gli altri. E io
non sono mai riuscito a chiederle di stare da soli, io e lei, di uscire
insieme.
Potevi chiamarla, potevi scriverle, potevi creare l’atmosfera per stare insieme.
Certo. L’ho fatto. E ho sbagliato tutto. I tempi, non ho colto i
tempi e sono andato nel panico.
Ma come? Mi hai detto che non l’hai fatto, che non siete mai usciti
da soli.
Allora. Hai presente quando tutti sono andati a casa, e tu sei lì, e
sei rimasto solo con lei?
Quindi è successo?
È capitato, sì, a volte, sempre più spesso ultimamente. Siamo soli
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io e lei, no? Tutti sono andati a casa, è tardi. Siamo al tavolino alto
del pub. Io finisco la mia birra, lei mi sfiora il braccio, io penso beh,
mi sta sfiorando il braccio ma subito dopo lei lascia il mio braccio e
dice “Devo andare” e se ne va. Se questo succede ogni volta, pensi
che sei amico, non pensi che ne vuole. Cioè, se lei ti tocca, poi sta
con te se ne vuole, non se ne va subito dopo. Se se ne va subito. . .
- Posso?
- Puoi.
- Sei un idiota.
- Scusa?
- Perché cosa ti aspetti? Che lei ti prenda sul tavolino e ti baci? Lei
si aspetta che le dici “No, non andare a casa, stai qui con me”. Lei
si aspetta che mentre sta per aprire la porta del locale per uscire,
tu prendi la tua giacca e le dici “Aspetta! Ti accompagno alla macchina”. Mentre sta camminando per andare alla macchina, a metà
strada, lei si gira e si aspetta di vederti rincorrerla. Non si aspetta uno che sta seduto al tavolo alto a bere le sua birra coi gomiti
appoggiati e l’aria da fesso. Adesso capisco perché sei qui con le
rose. Le rose sono bellissime, ma cavolo, lei si aspettava che tu la
prendessi e la sbattessi contro la macchina.
- Che poesia.
- Ok. Lei si aspettava che tu non la lasciassi andare via. Lascia stare
lo sbattere, lascia stare lo sfiorare il braccio, lascia stare tutto. Ma tu
pensi che una stia fino a tardi, quando tutti sono andati via, sola?
Con te? Se non voleva stare sola con te se ne sarebbe andata via
quando se ne andava l’amica.
- Effettivamente. Ma. . .
- Lo vedi? Sei un idiota.
- E adesso?
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- Adesso cosa? Vuoi consigli da me?
- No, è che. . .
- Voglio dire. Cosa ti ha fatto pensare: adesso prendo le rose e vado
da lei? Se per te non c’era niente da parte sua? Speravi cambiasse
idea?
- Per me c’era. Dopo un po’ ha iniziato ad esserci. Dopo un po’ di
tempo di scambi, di uscite, a iniziato a esserci sempre di più. Ma
più quella cosa era presente, più non riuscivo a dichiararmi. E più
passava il tempo, più per me diventava difficile. E sai come vanno
queste cose. Ci pensi, e ci pensi. . .
- . . . ed entri nella zona amico.
- No, pensi solo ai segnali negativi. O quelli che tu pensi siano i
segnali negativi. E pensi solo a quelli.
- Lei cosa ti ha detto? Avrà detto qualcosa prima di scappare.
- Lei? Cosa ha detto?
- Sì, lei. Cosa ha detto. È scappata e basta?
- Beh. Ho suonato alla porta. Sapevo che era in casa. E cosa pensi,
che io a quelle cose non ci avevo pensato? I segnali li avevo visti,
avevo iniziato a pensare che erano solo mie paranoie, che dovevo
agire, pensavo di andare sul sicuro. Pensavo Beh, i segnali ci sono,
a questo punto perché chiederle solo di uscire?
- No, infatti, perché non perdere l’occasione di spaventarla?
- Eh, esatto.
- Beh, hai suonato.
- E lei ha aperto. Era bellissima.
- Era vestita pronta per una serata. Ti aspettava. Se lo sentiva che
c’erano rose nell’aria.
- No. Era vestita in tuta. Era vestita da casa. Ma era bellissima. Era
bellissima come sempre. Più è semplice, più è bella.
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-
Sto avendo il diabete.
Vuoi che smetta?
Ti prendo in giro. Quindi?
Quindi niente. Ho sorriso, alzato il mazzo di rose, piegato la testa
di lato e aspettato una sua risposta.
- E lei?
- Lei ha fatto prima una faccia come per dire “Non ti aspettavo qui”.
Poi una faccia seria per dire “Cos’è questa cosa?”. Poi una faccia
preoccupata per dire “E adesso?”.
- Cioè, tu non hai fatto niente come al solito. Ha fatto tutto ancora
lei.
- Io mi sono presentato con le rose.
- Presentato con le rose non è fare qualcosa. È presentarsi con le rose.
E infatti lei ha fatto la faccia di e adesso?
- Eh, adesso.
- Ha detto qualcosa?
- Sì. È questa la parte peggiore.
- Peggiore? È questa la parte più interessante!
- Ha detto. . . ha detto. . . Ha detto che non è questo il modo.
- Così ha detto? Che non è questo il modo?
- No. Ha detto “Scusa?” e io non ho neanche avuto il tempo di
rispondere che lei. . .
- . . . è scappata?
- No. Lei ha detto “. . . e ti presenti così, alla mia porta, e ti aspetti
anche che ti dica sì? Dopo tutto questo tempo? Pensi che basti questo? Basta suonarmi, sorridere, mostrarmi le rose per far sì che io
cada ai tuoi piedi? Ho fatto di tutto per farmi notare da te, ho organizzato uscite, sono rimasta fino a tardi insieme a te. Io volevo
che mi baciassi lì, al tavolino del bar. Volevo che mi fermassi sul17
la porta del pub. Quando andavo alla macchina volevo che tu mi
rincorressi. Io mi sono sempre girata per cercarti, e tu non c’eri. Al
cinema mi sedevo vicino a te, ai concerti stavo in piedi vicino a te e
ti ascoltavo sproloquiare sulla band e sull’acustica. Perché mi piace
sentirti sproloquiare. Vorrei addormentarmi la sera con il suono dei
tuoi sproloqui e svegliarmi la mattina che sei ancora lì che parli. . . ”
- Sembra quasi che io fossi lì a sentire.
- Sembra quasi sì.
- Ma ha detto esattamente così?
- Beh, in parte ho preso in prestito le tue parole. Però sì, il succo è
quello. Soprattutto i concerti e gli sproloqui.
- Ed è scappata.
- No. Ha detto “. . . ti ho dato mille segnali che tu non hai colto. Io
pensavo che tu non avessi colto. Invece quello che mi restituivi è
che io non ti interessavo. Per nulla. E io lo sai che uscivo da una
storia brutta, e non volevo essere scottata di nuovo, sopratutto da
uno come te.” Come me? ho detto “Sì, perché mi piacevi. Ma alla
fine mi sono detta ‘se non gli piaccio, fa niente, non posso forzarlo’
e siamo diventati amici. Non potevo pensare che tu non cogliessi i
segnali, anzi, io pensavo che li evitassi. E io non volevo stare male,
non volevo fare la figura della stupida. Come quella volta al molo
sul lago con gli altri. . . ”
- Al molo.
- È una storia lunga. Ci siamo tenuti mano nella mano come due
fidanzatini. Lascia stare.
- Sei un idiota, lo riconosci?
- Sì.
- E poi? È scappata?
- No. “. . . a me le cose andavano bene così come erano” ha detto, “me
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l’ero fatta passare. E adesso ti presenti con le rose. Mi prendi in giro?
Non ce la faccio.” Ecco. Non ce la faccio sono state le ultime parole.
Ha preso la giacca dietro la porta ed è scappata fuori. Non ce la
faccio è un buon romanzo, è ancora più breve.
- Ancora che pensi a quella cosa? Tu avresti dovuto rincorrerla.
- Io avrei dovuto rincorrerla, ma non ce l’ho fatta. Mi tremavano le
gambe.
- Ancora una volta.
- Cosa vorresti dire?
- Ancora una volta. Ecco cosa vorrei dire, ancora una volta. Punto.
Tu sei a quel tavolino alto del bar. . .
- . . . del pub.
- Del bar, del pub, quello che è. Tu sei a quel fottuto tavolino alto del pub a pensare adesso la rincorro e ti bevi l’ultimo sorso di
birra invece di rincorrerla. E adesso sei qui a pensare a romanzi
brevi e a dove mettere questi fiori in casa tua invece di rincorrerla.
E sai che il non averla rincorsa dà ragione ancora una volta a lei.
Ha fatto bene a scappare. Cosa ti aspettavi? Di scrivere il romanzo
della tua vita? Hai scritto solo sei parole. E tra l’altro neanche così
belle come quelle di Hemingway. Hai scritto sei parole pensando
fossero il tuo romanzo, e invece sono solo il tuo epitaffio per farti
compatire.
- Sei cattivo.
- Ma è così. Diamine. Non dico che devi fare come me, ma almeno
agire. Ti aspettavi le campane?
- Adesso sono lì che mirano alla mia testa.
- Cosa?
- Le campane. Le campane sono lì che mirano alla mia testa. Stanno
aspettando che mi venga mal di testa per iniziare a suonare, e far19
mela scoppiare. Sono lì, le sento, sono in attesa di iniziare il concerto. Le corde sono tirate, le campane in alto, stanno per scendere e
farsi colpire dal batacchio. Erano pronte per suonare. Per suonare
per noi. Le avrei ascoltate volentieri mentre mi baciava. Ma adesso
no. Le campane. Le campane stanno mirando alla mia testa.
- Lo vedi che vuoi farti compatire? Davvero. Cosa. Ti. Aspettavi.
- Mi aspettavo la pelle nuda delle sue braccia.
- Scusa?
- Lo sai, la pelle nuda.
- Cioè, dopo tutto questo, la pelle nuda delle braccia? Alla fine vedi
che ho ragione io?
- No. Non ho detto la ragazza nuda. La ragazza è vestita. Vestitissima. Solo che alle ragazze è permesso un corredo di vestiario molto
più vasto, di quello degli uomini. E in alcuni di questi vestiti, ci
sta che le braccia siano più scoperte. Io mi aspettavo i muscoli delle braccia, e la sua pelle. Mi aspettavo un abbraccio da lei. Ecco,
questo è quello che mi piace di più in una relazione.
- Ma che schifo. Io sono esagerato, penso a scopare. Mi tu pensi agli
abbracci. Ci sono delle sane vie di mezzo.
- Ok. Non mi sono spiegato bene. Ok, come è vestita ci siamo. Adesso pensa a che sei innamorato. Che lei lo è. Che lei ha bisogno di
te. E per dimostrartelo ti abbraccia. Senza baciarsi, anche se è nell’aria. Le labbra sono vicine, ma non è quello che conta. Non è il
bacio quello che conta davvero. Il bacio sarebbe la parte finale di
tutto questo. È la conclusione del viaggio. L’abbiamo detto prima.
In questo caso no, l’abbraccio è il viaggio, e il viaggio è la storia.
Ecco. Di solito la ragazza, quando è in quella situazione, se si sente
fragile, se ha bisogno di sentire il tuo corpo, non ti abbraccia come al solito. Stringe i gomiti sui tuoi fianchi, e almeno io che sono
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di solito più alto, non mi abbraccia cingendomi, ma portando gli
avambracci in verticale, le mani dietro le scapole, spesso aprendole le mani per poi stringerle come per fare un pugno, stringe parte
della tua maglietta come per prendere te, dentro quel pugno. In
questo modo riesce a fare più forza e ad avvicinarti meglio a lei,
senza però stringerti e soffocarti. È forte, ma al tempo stesso tenerissimo. Ecco. Io adoro il non bacio in quella situazione, perché il
bacio sarebbe l’arrivo. Certo, forse una nuova partenza, ma il bacio
annullerebbe tutta la sensazione del viaggio. E tu in quella situazione vorresti che il viaggio non finisse mai. E poi mi piace sentire
quella forza, quella forza parla più di mille discorsi e mille rose. E
la pelle. La pelle nuda delle braccia. Io adoro sentirmi protettivo.
Adoro proteggere. E sentire che con quella forza, mi dicono “ho
bisogno di te”.
“Ho bisogno di te”.
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Ops. Forse è meglio che li lasci soli. Il mio compito è finito qui, meglio andarsene. Anche perché in un attimo io non ci sono più, non
esisto più. Lei credo neanche si sia accorta di me, lui si è subito dimenticato di questa nostra bizzarra amicizia estemporanea.
Forse vorreste sapere com’è lei? Lei è bellissima. Ovvio, no? Fuori
piove, e lei ha tutti i suoi capelli biondi bagnati. Nella fretta di scappare e stare sola con i suoi pensieri si è dimenticata l’ombrello. O forse era
talmente presa dai suoi pensieri che non si è accorta di nulla. O forse
non si aspettava di stare fuori tanto, forse si aspettava solo di essere rincorsa e baciata. O forse voleva proprio stare sotto la pioggia. E adesso
è tutta indifesa, ha bisogno di sentirsi protetta. È rimasta in piedi per
qualche secondo davanti a lui, a guardarsi negli occhi. Le braccia lungo
i fianchi, la testa piegata di lato, un mezza lacrima e una espressione del
volto che dice “perché” con un mezzo sorriso appena accennato. Poi,
con molta lentezza, si è seduta sulle sue ginocchia. Vorrei sapere se le
gambe gli tremano ancora, adesso. E se tremano anche a lei. Lei l’ha
guardato con dolcezza, con la sua mano sulla parte bassa della guancia
di lui a metà fra il sorreggergli il volto per guardarlo meglio, come una
cornice, e accarezzarlo. Un breve cenno di no con la testa piegata leggermente di lato, un piccolo sbuffo di sorriso. E il bacio. Sì, si stanno
baciando. Lei alla fine non l’ha abbracciato per sentirsi protetta. L’ha
baciato. Ha fatto ancora tutto lei.
Forse lo abbraccerà dopo il bacio. Appoggerà la sua testa sulla sua
spalla e sancirà il bisogno di protezione. Chi lo sa.
Ma conta davvero? Voglio dire: conta davvero che mosse si fanno?
Chi fa la prima mossa? L’orgoglio, il genere, la bellezza? Forse sì. O
forse no. Non vi aspetterete la morale da me.
Non credo che abbiano bisogno del portone lasciato aperto. Mi sa
che me lo chiuderò alle spalle e li lascerò al loro viaggio. Alla fine forse
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è meglio così. Forse ha fatto bene a presentarsi con dei fiori. Rose. Forse
ha fatto bene a non chiederle subito di uscire, a non cogliere i messaggi,
a fingere di non cogliere i messaggi. Perché alla fine, altrimenti, sarebbe
stata solo la storia di un finale: sì, ciao, siamo arrivati, tutto bene, c’è
il sole, il posto è bellissimo, ti lascio che devo andare, ciao. Invece no.
Adesso la loro è la storia di un viaggio. Potevano scegliere tutto un
altro percorso, ma presentarsi con le rose sarebbe stato solo il finale.
Invece il presentarsi con le rose è stato solo l’inizio del finale. O l’inizio
di una nuova storia. Chi può dirlo? Vedi i chilometri che mancano alla
meta diminuire, ma non è che il viaggio è già finito per questo. E poi
puoi sempre e comunque ripartire. O vivere una nuova avventura lì.
O non prenderla del tutto l’uscita.
E forse ha ragione lui. Forse la cosa più bella non è il bacio. Non è
neanche sentire le campane. La cosa più bella è il momento che precede
il bacio. No, meglio. La cosa più bella è il motivo che precede il bacio.
Non che ci sia bisogno di un motivo per baciarsi, ma se c’è un motivo,
allora il bacio acquista sicuramente un significato, e un sapore diverso.
E il momento che precede il bacio diventa infinito, e perfetto.
La cosa più bella è sentirsi importanti. Sentirsi importanti e far sentire importanti. E di modi per farti sentire importante ce ne sono tanti.
C’è tornare da te sotto la pioggia. C’è abbracciarti forte per non farti
andare via. C’è il prendere l’iniziativa perché altrimenti non la prende
nessuno. Io vorrei che tu fossi qui, e tu ci sei.
Mi sono girato, per chiudere il portone. E li ho guardati un’ultima
volta. Volevo fissare un ricordo per scrivere questo racconto. Lei ha la
sua testa sulla spalla di lui e le rose sono tutte per terra. Alla fine non
sono le rose ad aver funzionato.
Spero che le campane abbiano iniziato a sparare.
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Le campane stanno
mirando alla mia testa
Elio A. Farina
CARERE DEBET OMNI VITIO
QUI IN ALTERUM DICERE PARATUS
EST.
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