a processo i mercenari americani

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a processo i mercenari americani
A PROCESSO I MERCENARI AMERICANI
Giovedì 11 Dicembre 2008 14:31
di Michele Paris
Saranno finalmente sottoposti a processo i cinque agenti di sicurezza della compagnia privata
Blackwater Worldwide, accusati di aver deliberatamente massacrato 17 civili iracheni inermi nel
settembre dello scorso anno a Baghdad. Per la prima volta dall’invasione dell’Iraq nel marzo del
2003, il Dipartimento di Giustizia americano ha agito in maniera concreta per giudicare in un
tribunale federale le responsabilità individuali di mercenari facenti parte di forze di sicurezza
private gestite da aziende che incassano miliardi di dollari dal Dipartimento di Stato e della
Difesa. Nonostante il procedimento legale rappresenti un passo avanti importante per
dissolvere il clima di impunità del quale tali milizie hanno finora goduto, nessun coinvolgimento
è previsto però per i vertici della compagnia di Moyock - in North Carolina - né per gli esponenti
del governo responsabili della creazione di un ambiente favorevole al proliferare di episodi di
questo genere nello sventurato paese mediorientale. Il processo a carico dei cinque imputati –
Donald Ball, 26 anni dello Utah; Dustin Heard, 27 anni del Tennessee; Evan Liberty, 26 anni del
New Hampshire; Nicholas Slatten, 24 anni del Tennessee; Paul Slough, 29 anni del Texas - è
stato reso possibile non solo grazie alle indagini condotte dall’FBI a Baghdad per oltre un anno,
ma anche e soprattutto alla deposizione di un sesto dipendente della Blackwater - Jeremy
Ridgeway - anch’esso facente parte della Blackwater e del commando accusato della strage, il
quale si è dichiarato colpevole dei fatti acconsentendo a testimoniare contro gli ex colleghi.
Oltre ai capi d’accusa per il massacro di civili sollevati dal procuratore degli Stati Uniti per il
District of Columbia, Jeff Taylor, le cinque guardie private rischiano l’incriminazione anche per
l’impiego di armi pesanti nell’esecuzione di un crimine violento - fucili semiautomatici SR-25,
carabine d’assalto M-4 e M-240, lancia granate M-203 - aggravante che stabilisce una pena
minima di trent’anni in base ad una legge americana contro il narcotraffico.
L’episodio avvenuto il 16 settembre del 2007, in un affollato incrocio presso la piazza Nisour,
nella capitale irachena, aveva sollevato l’indignazione della comunità internazionale, nonché del
governo locale, il quale aveva immediatamente richiesto l’espulsione di tutti i dipendenti della
Blackwater dai confini del proprio paese. A “provocare” la reazione dei mercenari americani
sarebbe stato il guidatore di un’auto in transito, il quale, secondo la ricostruzione di Ridgeway,
avrebbe mosso le braccia in maniera sospetta all’interno dell’abitacolo. Senza intimare l’arresto
al veicolo, le guardie private avrebbero aperto il fuoco sugli occupanti - uno studente di
medicina e la madre - uccidendoli all’istante, per poi ingaggiare una fitta sparatoria durata una
quindicina di minuti, mietendo altre vittime tra civili disperatamente alla ricerca di una via di
fuga. Il fuoco del gruppo armato sarebbe stato definito del tutto ingiustificato e non provocato
sia da parte dei testimoni sia dall’inchiesta ufficiale.
La Blackwater al contrario ha sempre sostenuto la non colpevolezza dei propri dipendenti,
vittime piuttosto di un’imboscata. Lo stesso amministratore delegato della società aveva
dichiarato nel corso di un’udienza al Congresso nell’ottobre del 2007 che il convoglio formato
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dai suoi uomini era venuto a trovarsi sotto il fuoco di uomini armati di AK-47 (Kalashnikov) e
sottoposto alla minaccia di attacchi portati con autobombe condotte da possibili terroristi suicidi.
La testimonianza di Ridgeway, tuttavia, afferma chiaramente che nessuno dei civili massacrati
risultava identificato come “ribelle” e addirittura una delle vittime era stata colpita in maniera
letale al torace mentre si trovava immobile al centro della strada con le mani alzate.
L’amministrazione Bush, sull’onda del risentimento prodotto dalla strage, aveva
immediatamente revocato la licenza di operare in Iraq alla compagnia responsabile per poi
riattivarla tuttavia pochi mesi più tardi. Fondata nel 1997 da Eric Prince - ex stagista alla Casa
Bianca durante la presidenza Bush senior - la Blackwater Worldwide è la più importante società
appaltatrice di contratti nell’ambito della sicurezza e della protezione di personale civile e
politico americano operante in Iraq. Il primo contratto, ottenuto senza asta pubblica a fine
agosto 2003, ammontava a poco meno di 30 milioni di dollari e prevedeva la protezione
dell’allora “governatore” dell’Iraq Paul Bremer. Da allora, la Blackwater - secondo il giornalista
americano Jeremy Scahill, autore del libro “Blackwater: The rise of the world’s most powerful
mercenary army” - ha ricevuto compensi superiori a un miliardo di dollari per la propria opera
svolta a favore del Dipartimento di Stato.
Malgrado il processo pubblico sia stato dischiuso in questi giorni a Washington, i cinque
accusati si sono consegnati alle autorità federali di Salt Lake City, nello Utah. Una mossa
attentamente studiata, messa in atto per cercare di assegnare il procedimento ad una corte e
ad una giuria ad essi favorevole, in uno stato profondamente conservatore dove il sostegno
all’invasione dell’Iraq - ma anche al libero possesso delle armi da fuoco - è molto vasto. Il caso
in questione per il momento è stato invece assegnato al giudice distrettuale della capitale
americana, Ricardo Urbina, già apparso recentemente sulle prime pagine di molti giornali
americani per aver ordinato il rilascio di un gruppo di presunti terroristi dal campo di detenzione
di Guantánamo in quanto non giudicabili come “nemici in armi”.
Ad ostacolare il corso della giustizia nel caso Blackwater potrebbe aggiungersi anche il
comportamento adottato dal Dipartimento di Stato americano immediatamente dopo lo svolgersi
dei fatti. Il ministero guidato da Condoleezza Rice, infatti, si mosse rapidamente per assicurare
l’immunità giudiziaria agli autori della strage, fatti oggetto soltanto di un’indagine interna allo
stesso Dipartimento di Stato. Gli interrogatori condotti da parte dei funzionari governativi erano
stati preceduti dalla garanzia che le dichiarazioni delle cinque guardie private non sarebbero
state in nessun modo utilizzate per formulare accuse da parte di una Corte federale, né
avrebbero potuto essere presentate come prove dell’accaduto. Gli agenti dell’FBI, giunti a
Baghdad un paio di settimane dopo i fatti in questione, si sarebbero così trovati di fronte al
rifiuto di collaborare da parte degli accusati in base alle promesse di impunità fatte loro dal
Dipartimento di Stato.
Il processo ai cinque imputati verrà condotto poi in base ad una legge del 2000 - il “Military
Extraterritorial Jurisdiction Act” - che permette di perseguire dipendenti di aziende appaltatrici
private che operano per o a fianco dell’esercito americano. Dal momento invece che la
Blackwater agiva per il Dipartimento di Stato, è estremamente probabile che i difensori degli
autori del massacro sosterranno la non applicabilità di questa legge ai loro clienti. Un ulteriore
procedimento contro la Blackwater in ogni caso è stato aperto anche dai familiari delle 17
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vittime civili irachene.
La questione dell’impiego di compagnie private fornitrici di prestazioni legate alla sicurezza di
civili e militari americani in Iraq è da tempo al centro di accese discussioni negli Stati Uniti. Le
polemiche sono state spesso sollevate da molte personalità politiche anche autorevoli - tra cui
lo stesso presidente eletto Barack Obama - e sono aumentate nel corso degli ormai quasi sei
anni di occupazione del paese in seguito al susseguirsi di episodi estremamente sospetti e
all’impunità quasi sempre garantita dal governo.
Se pure non risulta ancora in vista il necessario allargamento delle indagini alle responsabilità
dei vertici delle stesse aziende, che forniscono talvolta veri e propri mercenari al personale
americano presente in Iraq - attualmente circa 30.000 guardie private sono presenti nel paese e l’incidente avvenuto nel settembre del 2007 viene tuttora definito dalle stesse autorità
giudiziarie come l’operato di un ristretto gruppo di “mele marce”, ci sono però motivi per sperare
in un’inversione di rotta all’interno del nuovo Dipartimento di Giustizia, che in molti si augurano
possa rimediare ai danni operati dall’amministrazione uscente in questo ambito.
Quel che è certo è che, a partire dal primo gennaio 2009, ogni genere di immunità finora
garantita ai mercenari americani dovrà cessare e i loro eventuali crimini saranno sottoposti
all’esame della giustizia irachena. Ciò avverrà in concomitanza con l’entrata in vigore del nuovo
accordo sottoscritto e approvato recentemente dai due paesi (“U.S.-Iraq Status of Forces
Agreement”) che dovrebbe portare, tra l’altro, alla fine dell’occupazione militare americana entro
il 31 dicembre 2011.
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