Lettera aperta a Mary Daly

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Lettera aperta a Mary Daly
Audre Lorde
Lettera aperta a Mary Daly
La lettera che segue fu scritta a Mary Daly, autrice di Gyn/Ecology, il 6 maggio 1979. Quattro mesi dopo,
non avendo ricevuto risposta, la rendo pubblica alla comunità delle donne
Cara Mary,
ricavando un momento in questa selvaggia e sanguinosa primavera1 desidero rivolgerti le parole che
ho in mente per te. Avevo sperato che i nostri cammini si incontrassero e che potessimo sedere
insieme e parlare, ma questo non è accaduto. Ti auguro forza e soddisfazione nella possibile vittoria
che potrai avere rispetto alle forze repressive dell’Università di Boston. Sono contenta che così
tante donne siano venute a discutere con te, e spero che questa espressione di potere unitario possa
fare maggior spazio per te per crescere ed essere insieme.
Grazie per avermi inviato Gyn/Ecology. Molto in questo libro è pieno di importanza, utile,
generativo e provocante.
Come in Al di là di Dio padre, molte delle tue analisi sono per me origine di forza. Tuttavia, è
proprio per ciò che mi hai dato nel lavoro passato che ti scrivo ora questa lettera, sperando di
condividere con te i frutti del mio intuito come tu hai condiviso quelli del tuo con me.
Questa lettera arriva in ritardo, a causa della mia forte riluttanza a scriverti, perché il tema di cui
voglio discutere con te non è facile né semplice. La storia di donne bianche incapaci di udire la
parole della donne nere, o di mantenere un dialogo con noi, è lunga e scoraggiante. Ma per me
assumere che tu non mi udrai rappresenta non solo la storia, piuttosto un antico modello di
relazione, talora protettivo, talora disfunzionale, che noi, donne che dispiegano il proprio futuro,
vogliamo distruggere e superare.
Io sono convinta della tua buona fede nei confronti di tutte le donne, della tua visione di un futuro
nel quale possiamo tutte fiorire, e del tuo impegno nel lavoro spesso penoso che è necessario per
effettuare i cambiamenti. In questo spirito ti invito a una chiarificazione fatta insieme su alcune
delle differenze che stanno in noi come donne nera e bianca.
Quando ho iniziato a leggere Gyn/Ecology ero veramente eccitata dalla visione che scorgevo dietro
le tue parole e annuivo quando parlavi nel Primo Passaggio di mito e mistificazione. Le tue parole
sulla natura e la funzione della Dea, così come il modo in cui il suo volto è stato oscurato, si
accordavano con quanto io stessa avevo scoperto nelle mie ricerche su mito/leggenda/religione
africana sulla natura autentica dell’antico potere femminile. Così mi domandavo: perché Mary non
usa Afrekete come esempio? Perché le sue immagini della dea sono solo bianche, dell’Europa
occidentale, giudeo-cristiane? Dove sono Afrekete, Yemanje, Oyo e Mawulisa? Dove sono le dee
guerriere del Vodun, le Amazzoni del Dahomey, le donne guerriere di Dan? Bene, ho pensato,
Mary ha preso la decisione cosciente di limitare il suo sguardo e di trattare solo dell’ecologia delle
donne occidentali europee.
Così sono andata ai primi tre capitoli del tuo Secondo Passaggio, ed era ovvio che lì erano trattate le
donne non-europee, ma solo come vittime e prede – una contro l’altra. Ho cominciato a sentire la
mia storia e la mia tradizione mitologica distorta dall’assenza di ogni immagine delle mie potenti
antenate. La tua inclusione delle mutilazioni genitali africane è stato un punto importante e
necessario sotto ogni aspetto per una ecologia femminile, e troppo poco ne è stato scritto. Tuttavia,
presumere che tutte le donne patiscano la stessa oppressione semplicemente perchè sono donne
significa perdere la capacità di vedere le diverse varietà di strumenti che il patriarcato usa. Significa
ignorare il modo in cui questi strumenti sono usati dalle donne senza che ne abbiano coscienza, le
une contro le altre.
Rimuovere le nostre antenate nere sarebbe come rimuovere i luoghi che le donne europee hanno
imparato ad amare. Come africana americana in un patriarcato bianco sono abituata ad avere le mie
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Nella primavera del 1979 dodici donne nere furono assassinate nell’area di Boston.
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esperienze archetipe distorte e banalizzate, ma è terribilmente penoso vedere che questo venga fatto
da una donna la cui sapienza mi tocca così profondamente.
Quando parlo di sapienza, come sai, parlo di quella profondità oscura e vera la cui comprensione è
utile a noi e alle altre, e che si rende accessibile attraverso il linguaggio. E’ questa profondità in
ognuna di noi che nutre la visione.
Escludendo questo da Gyn/Ecology tu hai rifiutato la mia eredità e l’eredità di ogni donna noneuropea, e hai negato la reale connessione che esiste tra noi. E’ evidente che hai fatto un’enorme
quantità di lavoro per questo libro. Ma solo perché esiste così poco materiale sul potere e sui
simboli femminili delle donne non-bianche, escludere persino di accennare a questa connessione nel
tuo lavoro significa negare la fonte del potere e della forza delle donne non-europee che nutre
ognuna delle nostre visioni. Significa fare una scelta ben precisa.
Vedere che le sole citazioni di parole di donne nere sono quelle che hai usato per introdurre il tuo
capitolo sulle mutilazioni genitali africane mi ha portata a domandarmi perché hai avuto bisogno di
usare quelle parole. Per quanto mi riguarda, mi è sembrato che tu abbia travisato le mie parole,
utilizzandole contro di me come donna di colore. Perché le parole mie che tu hai usato non sono
l’illustrazione di quel capitolo più di quanto lo sia “La poesia non è un lusso” o qualunque altra mia
poesia.
Così mi è sorta una questione: Mary, hai mai realmente letto il lavoro delle donne nere? Hai mai
veramente letto le mie parole, o le hai solo scorse per cercare una citazione che potevi usare per
sostenere un’idea già costituita, rispetto a qualche antica e distorta connessione fra noi? Non è una
questione retorica.
Per me si tratta di un altro livello di conoscenza, di genealogia femminile e di lavoro delle donne di
colore che sono ghettizzate da una donna bianca che si riferisce soltanto alla struttura patriarcale
dell’Europa occidentale. Persino le tue parole a pag. 49 di Gyn/Ecology - “la forza che le donne
centrate su se stesse trovano trovando lo sfondo è la nostra stessa forza che ci riporta al nostro
Essere” - hanno un suono diverso se ricordiamo l’antica tradizione di potere, forza e nutrimento che
esiste nella comunità femminile delle donne africane. C’è da farsi toccare da tutte quelle donne che
non temono la rivelazione della connessione a
loro stesse.
Hai letto il mio lavoro, e il lavoro di altre donne nere, per ciò che questo poteva offrirti? O hai
cercato in quel materiale solo per trovare parole che potessero giustificare il tuo capitolo sulle
mutilazioni genitali africane agli occhi di altre donne nere? E se è così, perché non hai usato le tue
parole per giustificare o illustrare gli altri luoghi in cui noi ci uniamo nel nostro essere e divenire?
Se, d’altra parte, non volevi raggiungere le donne nere, in che modo le nostre parole potevano
illustrare la tua tesi
per le donne bianche?
Mary, ti chiedo di essere consapevole di quanto questo è strumentale alle forze distruttive del
razzismo e della separazione tra donne – l’assunzione che la “storia di lei” e il mito delle donne
bianche diventano le uniche legittime per tutte le donne, offrendo loro potere e sostegno, e che le
donne non bianche e la nostra “storia di lei” è degna di nota solo come decorazione o come esempio
della vittimizzazione femminile. Io chiedo che tu sia consapevole dell’effetto che questo rifiuto ha
sulla comunità delle donne nere e delle altre donne di colore, e il modo in cui questo toglie valore
alle tue stesse parole. Il disprezzo non è affatto diverso dalla svalutazione specializzata che rende le
donne nere prede, per esempio, negli assassinii che anche ora stanno accadendo nella tua città.
Quando il patriarcato ci ignora, viene incoraggiato l’assassinarci. Quando
la teoria femminista lesbica bianca ci ignora, viene incoraggiata la sua stessa scomparsa.
Questo fatto di ignorarci è un forte blocco di comunicazione tra noi. Un tale blocco rende più facile
andarsene del tutto da te invece di cercare di capire il pensiero dietro le tue scelte. Il prossimo passo
sarà la guerra fra noi, o la separazione? L’assimilazione all’unica “storia di lei” occidentale europea
non è accettabile.
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Mary, ti chiedo di ricordare quanto c’è di oscuro, antico e divino in te, che sostiene il tuo parlare.
Come estranee, abbiamo bisogno l’una dell’altra per sostenerci e collegarci e per tutte le altre
necessità di una vita sui confini. Però, per stare insieme, dobbiamo riconoscerci l’una l’altra. Certo
io sento che da quando tu mi hai così disconosciuta, forse anch’io sono stata in errore su di te e non
posso più riconoscerti.
Sento che celebri le differenze tra donne bianche come una forza creativa che porta al cambiamento,
piuttosto che una ragione di incomprensione e separazione. Ma tu non sai riconoscere che, come
donne, quelle differenze espongono tutte le donne a varie forme e gradi di oppressione patriarcale,
alcune delle quali condividiamo, altre no. Per esempio, certamente tu sai che per le donne non
bianche in questo paese c’è una percentuale dell’80% di rischio di contrarre il tumore del seno; tre
volte il numero di isterectomie non necessarie e di sventramenti e sterilizzazioni rispetto alle donne
bianche; tre volte di più è la possibilità di essere stuprate, uccise o assaltate. Questi sono fatti
statistici, non coincidenze o fantasie paranoiche.
Nella comunità delle donne il razzismo è una forza reale, tanto nella mia vita come nella tua. Donne
bianche con il cappuccio in Ohio che sostengono il KKK nelle strade potrebbero non amare quanto
tu hai da dire, ma a me sparerebbero appena mi vedessero. (Se tu e io entrassimo in una scuola
femminile a Dismal Gulch, Alabama, e se l’unica cosa che sapessero di noi fosse che siamo
ambedue lesbiche, radicali e femministe, capiresti cosa voglio dire).
L’oppressione delle donne non conosce confine etnico o razziale, è vero, ma questo non significa
che ci sia identità tra queste differenze. Neppure il bagaglio del nostro antico potere conosce questi
confini. Trattare con l’uno senza neppure alludere all’altro significa distorcere ciò che abbiamo in
comune così come ciò che fa la differenza tra noi.
Dunque al di là della sorellanza c’è ancora razzismo. Noi ci siamo incontrate la prima volta ad una
tavola rotonda su “la trasformazione del silenzio in linguaggio e azione”. Questa lettera cerca di
rompere un silenzio che ho imposto a me stessa subito dopo quell’incontro. Avevo deciso di non
parlare mai più di razzismo a donne bianche. Sentivo che perdevo energia a causa del senso di colpa
distruttivo e difensivo, e a causa del fatto che, qualunque cosa dicessi, sarebbe stata detta meglio da
donne bianche tra loro, con meno costo emozionale, e probabilmente con un miglior ascolto. Ma
non vorrei distruggerti nella mia coscienza, per non voler parlare. Così, come sorella (o)scura, ti
chiedo di parlare su quanto ho percepito.
Che tu lo faccia o no, Mary, ti ringrazio ancora per quanto ho imparato da te.
Questa lettera è il mio sdebitamento.
Nelle mani di Afrekete,
Audre Lorde
Da “Viottoli”, n° 2/2013, pp.66-68.
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