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TELECOMUNICAZIONI:
LA TRAGEDIA DELL’EUROPA E IL SUCCESSO DEGLI USA
Permane la difficile situazione delle società del Vecchio continente che investono
nella banda ultralarga ma soffrono di crisi della domanda e di miopia delle funzioni
politiche.
Negli Stati Uniti fioccano ricavi e investimenti, mentre in Europa il regolatore è
concentrato sull’abbassamento dei prezzi e la UE ostacola le fusioni.
Il ritardo italiano secondo il Digital score board della Ue.
L’offerta di banda ultralarga non è sostenuta dalla domanda
“Il mercato internazionale delle telecomunicazioni: drammi e opportunità”. E’ il
titolo dell’affollato incontro organizzato da ANFoV, l’associazione per la
convergenza nei servizi di comunicazione, dove per drammi si intende la situazione
delle tlc europee mentre le opportunità stanno tutte negli Stati Uniti.
Achille De Tommaso, presidente ANFoV, ha tracciato un quadro preciso della
situazione che vede un mercato statunitense credere e investire nelle tlc. “Negli ultimi
cinque anni l’Italia ha perso un quarto del mercato totale del settore, come la Spagna;
La Francia ha perso il 17%; UK e Germania hanno perso quasi il 10%, mentre gli
Usa hanno realizzato maggiori ricavi del 16%”. E ancora: “Solo At&t ha messo sul
piatto 119 miliardi di investimenti contro i 16 miliardi di tutte le società europee”.
Dal punto di vista tecnologico il Vecchio continente sta lavorando sul 5G, ma in
realtà non è ancora ben pronto per il 4G. L’Europa è penalizzata dalla mancanza di
operatori paneuropei con una rete 4G che copra tutto il continente. In più, il
regolatore, che dovrebbe operare per fare in modo di creare un ambiente industriale
dove gli operatori facciano il giusto profitto appare troppo preoccupato di lavorare
sull’abbassamento dei prezzi. E i carrier si scannano fra loro con offerte promozionali
a danno della profittabilità. E la UE ostacola o rallenta le fusioni, che sono
probabilmente l’unico mezzo per far quadrare i conti degli operatori.
“L’Europa – ha proseguito De Tommaso – è caratterizzata da operatori dominanti
all’interno dei confini nazionali cui si aggiungono decine di piccole società, sempre
nazionali. Un mercato frammentato che cerca di competere con enormi vincoli
normativi, tecnologici e finanziari; con virtualmente nessun operatore pan-europeo in
grado di proporre servizi internazionali e intercontinentali”. E il regolatore non aiuta
a , come testimonia la recente bocciatura da parte dell’Antitrust alla fusione fra 02 e
Three Uk, realizzare un “mercato unico delle telecomunicazioni”.
Lo sviluppo di Tlc e digitalizzazione è però fondamentale per lo sviluppo delle
economie continentali. Nei primi dieci anni del 2000 – ha sottolineato Raffaele
Giarda, partner Baker&McKenzie - il 30% della crescita europea è arrivato grazie
alla digitalizzazione. Per questo la Ue ha presentato la digital single market strategy
che intende creare un contesto favorevole affinché le reti digitali e i servizi possano
svilupparsi.
La strategia prevede 16 azioni chiave da attuare nel 2016, un programma molto
ambizioso che comprende lo sviluppo dell’ecommerce transfrontaliero, una
omogenea protezione dei consumatori, la regolamentazione europea del settore delle
telecomunicazioni, revisione della direttiva sulla privacy, diritto d’autore, regimi Iva
e altro, compresa la promozione delle competenze digitali.
In questa situazione l’Italia, secondo il digital scoreboard dell’Unione europea, vanta
una buona situazione per lo sviluppo dei servizi pubblici digitali e l’integrazione delle
tecnologie digitali, ma arranca sul fronte dell’utilizzo di Internet, risorse umane e
connettività. “Nelle reti di nuova generazione siamo piuttosto sotto la media europea
anche se i confronti – riflette Giarda – sono sempre da prendere con le pinze. Paesi
con una minore estensione geografica e magari anche un’orografia più pianeggiante
(si pensi ad esempio all’Olanda) o paesi dove hanno sempre utilizzato il cavo per la
Tv (si pensi ad alcuni paesi del Nord Europa) possono naturalmente presentare
differenze marcate rispetto all’Italia”.
I dati Ue dicono che il 53% delle famiglie italiane possiede un abbonamento al
broadband fisso contro il 73% dell’Europa. Aumentano le sottoscrizioni ai contratti
con velocità più alte e scendono quelli che riguardano abbonamenti non a banda
larga, ma se in Italia la banda più economica vale l’1,8% del reddito medio pro
capite, in Europa siamo all’1,3%. La famiglia italiana fa dunque più fatica a
permettersi Internet veloce, anche se i prezzi in assoluto sono comparabili. Nel
mobile restiamo una storia di eccellenza con il 75% di abbonamenti a banda larga.
Rimane il fatto, osserva Giarda, che il livello di alfabetizzazione digitale deve ancora
crescere. Quanto alle cognizioni tecniche solo il 2,5% della forza lavoro può essere
considerata specializzata nell’Ict. Un problema che rimanda all’istruzione con 14
laureati in materie scientifiche contro i quasi 20 della media europea. E sul fronte
aziendale, conclude il partner Baker&McKenzie, “la quantità di ricavi che le aziende
italiane generano dall’online è significativamente più bassa rispetto a quelle delle
aziende europee. In conclusione, benché ci sia ancora strada da fare, l’Italia è nel
drappello dei Paesi UE che stanno più velocemente recuperando”.
In Italia però la situazione è in movimento. Guido Ponte, chief economist di Tim, ha
ricordato che il piano industriale della società per il triennio 2016-2018 prevede “uno
dei più alti livelli di investimenti mai effettuati” di cui 6,7 miliardi di euro per
investimenti innovativi, che comprendono oltre 4,5 miliardi di euro per le reti di
nuova generazione fisse e mobili.
“Ogni minuto vengono posati sul territorio 4 km di fibra”, ha affermato Ponte, che,
per quanto riguarda il mobile, ha dichiarato una copertura che arriva quasi al 92%
della popolazione a marzo 2016 – e che raggiungerà il 98% nell’arco di piano – con
oltre seimila comuni già oggi 4G e più di trecento 4G plus. Oggi Tim lavora con la
tecnologia Fttc (Fiber to the cabinet) ma quando i consumi di banda cresceranno si
passerà gradualmente al Ftth (Fiber to the home). Per quanto riguarda la banda
ultralarga esiste però un problema di scarsa domanda. “Secondo i dati della
Commissione Europea, aggiornati alla metà del 2015, solo il 4% delle famiglie
possedeva la banda ultralarga, nonostante una copertura del 44%”. Un problema che
non è solo italiano (in Gran Bretagna il 33% delle famiglie possiede la banda
ultralarga, ma la copertura è del 91%, in Francia il rapporto è 20%-45%) ma che
comporta investimenti sovradimensionati rispetto alla richiesta attuale. “Se il
rapporto domanda - copertura fosse come quello francese – ha sottolineato il chief
economist di Tim – oggi avremmo cinque milioni di abbonamenti in più”. Sviluppare
la domanda è dunque l’imperativo e Ponte sottolinea come gli obiettivi 2015
dell’Unione europea sulla digitalizzazione della domanda non siano stati raggiunti dal
nostro paese. “Però l’enfasi viene sempre posta sulle infrastrutture”. Qui si inserisce
anche il discorso relativo al 5G “uno standard che oggi non esiste” spiega il chief
economist di Tim e la cui enfasi dipende anche da forti pressioni di natura
geopolitica. Fino a oggi gli operatori asiatici hanno pagato royalties a società europee
che detenevano i brevetti. Per questo hanno interesse a superare il 4G e passare al 5G.
Ma è tutto da verificare il bisogno del 5G, soprattutto quando le reti 4G sono state
appena realizzate e gli investimenti non ancora ammortizzati.
Ha chiuso l’incontro Maria Rita Spada, Responsabile Financed Projects di Wind, che
ha illustrato il percorso della società di proprietà del gruppo VimpelCom. “Le società
di tlc devono cambiare pelle” ha affermato Spada, che ha spiegato come Wind
intenda interpretare il ruolo di digital solution provider puntando con decisione sul
digitale e cooperando con i vari attori nello scenario internazionale ed italiano, in
particolare le startup, come dimostra l’esperienza di Wind Business Factor,
acceleratore virtuale e programma di formazione sviluppato da Wind per favorire la
nascita e lo sviluppo di startup italiane. L’obiettivo è quello di offrire servizi digitali
che permettano di utilizzare al meglio i dati disponibili in rete, attirando un cliente
sempre più digitale che non veda il punto vendita come elemento centrale del suo
rapporto con l’azienda, che invece potrà essere sviluppato anche tramite altre
dinamiche basate, ad esempio, su una serie di app. Una visione figlia della costruttiva
interazione con il gruppo VimpelCom, che opera in Paesi dove esiste una forte
presenza di giovani, con gruppi di lavoro che uniscono le varie competenze e
permettono all’azienda di proporre prodotti “data centric” con soluzioni che diano
sempre più valore ai dati.
Milano, 12 maggio 2016