La presenza di Maria Immacolata nella vita e nell`opera di Eugenio

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La presenza di Maria Immacolata nella vita e nell`opera di Eugenio
P ONTIFICIA F ACOLTÀ T EOLOGICA DELL ’I TALIA M ERIDIONALE
Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Roberto Bellarmino” - Capua
Tesi di Laurea Magistrale in Scienze Religiose
Indirizzo pedagogico-didattico
La presenza di Maria Immacolata
nella vita e nell’opera di Eugenio de Mazenod
Implicazioni educative
Relatore
Ch.mo Prof.
Carmine Matarazzo
Candidata
Carmela Ferrara
Matr. L/S 0030
Anno Accademico 2012-2013
0
Indice
Introduzione .......................................................................................... pag.
3
Capitolo primo
Potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit
La dottrina dell’Immacolata Concezione........................................... pag.
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1.1. Definizione del dogma dell’Immacolata Concezione ...................... pag.
1.2. Proclamazione del dogma ................................................................ pag.
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Capitolo secondo
La presenza di Maria Immacolata nella vita e nell’opera
di Eugenio de Mazenod ........................................................................ pag
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2.1. Cenni biografici su Eugenio de Mazenod ........................................ pag.
2.2. Un uomo … l’immacolata .............................................................. pag.
2.3. Primo apostolato e Congregazione della gioventù .......................... pag.
2.4. La fondazione della Congregazione ................................................. pag.
2.5. Erezione della statua dell’Immacolata ............................................ pag.
2.6. Oblato di Maria Immacolata ............................................................ pag.
2.7. L’Oblazione .................................................................................... pag.
2.8. L’Immacolata .................................................................................. pag.
2.9. L'Immacolata Madre ........................................................................ pag.
2.10. Figli di predilezione dell’Immacolata ............................................ pag.
2.11. L'Immacolata Protettrice e Mediatrice .......................................... pag.
2.12. Devozione speciale all'Immacolata ............................................... pag.
2.13. Immacolata e Apostolato ............................................................... pag.
2.14. L'Immacolata fine dell'Apostolato ................................................. pag.
2.15. L'Immacolata e la Madre di Misericordia...................................... pag.
2.16. Perché il Fondatore ha cambiato nelle Regole solo il titolo .......... pag.
2.17. Definizione del Dogma dell'Immacolata ....................................... pag.
2.18. Gioia personale .............................................................................. pag.
2.19. Presentimento di una nuova era per la Chiesa ............................... pag.
2.20. Fiducioso e sereno tramonto .......................................................... pag.
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Capitolo terzo
Sostenitore dell’Immacolata................................................................. pag.
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Sostenitore dell’Immacolata ......................................................... pag.
Festa Dell’Immacolata Concezione ............................................. pag.
Vigila della festa ........................................................................... pag.
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Capitolo quarto
Un uomo… i suoi figli ........................................................................... pag.
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Un uomo … i suoi figli ................................................................. pag.
Vocazioni ...................................................................................... pag.
Comunità....................................................................................... pag.
Missioni ........................................................................................ pag.
Laici .............................................................................................. pag.
Maria Immacolata ......................................................................... pag.
Gli Oblati e l’avventura missionaria ............................................. pag.
Amministrazione generale e la Casa generalizia di Roma .......... pag.
Oblati in Europa............................................................................ pag.
Oblati nel Mondo ........................................................................... pag.
Apostolato tra i giovani ................................................................. pag.
Movimento Giovanile Costruire .................................................... pag.
Giovani e missione ........................................................................ pag.
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Conclusione ............................................................................................ pag.
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Bibliografia consultata .......................................................................... pag.
1. Fonti .................................................................................................... pag.
2. Studi .................................................................................................... pag.
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Allegati ................................................................................................... pag.
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3.1.
3.2.
3.3.
4.1.
4.2.
4.3.
4.4.
4.5.
4.6.
4.7.
4.8.
4.9.
4.10.
4.11.
4.12.
4.13.
2
Introduzione
Per comprendere a fondo ogni realtà, occorre ripercorrerne il filo genetico. Ciò
vale per i fenomeni sociali come per quelli fisici, per quelli storici come per quelli
biologici, ed in modo particolare, per capire i fenomeni religiosi e spirituali che,
fin dai primi secoli, hanno accompagnato la vita della Chiesa.
Il metodo storico – genetico riesce a ricostruire la parabola evolutiva dello
Spirito Santo e a leggere, in funzione di questa, le sue opere, ottenendo non solo
risposte teoriche, ma imparando a leggere il dinamismo della vita. Tra i tanti
fenomeni che hanno caratterizzato il cammino della Chiesa , uno in particolare ha
ispirato e condotto il mio studio: il carisma di Sant’Eugenio de Mazenod,
nell’orizzonte del mistero di Maria Immacolata.
È stata fonte di emozione ripercorrere questo mistero attraverso il cammino
spirituale di un testimone oculare, un cuore che ardeva per la proclamazione di
questo dogma già presente, nella coscienza popolare, fin dai primi secoli del
Cristianesimo. Prima di iniziare l’excursus sulla spiritualità mariana del fondatore
dei Padri Oblati di Maria Immacolata, mi viene spontaneo richiamare la grande
affermazione relativa al senso della fede che caratterizza l’esperienza ed il
cammino nella storia del popolo di Dio, contenuta nel n. 12 della Costituzione
conciliare del Vaticano II Lumen gentium, che così recita:
«L’universalità dei fedeli che tengono l’unzione dello Spirito santo (cfr. I Gv 2, 20.
27) non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il
soprannaturale senso della fede di tutto il popolo quando dai Vescovi fino agli ultimi
fedeli laici mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per
quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il Popolo di Dio
sotto la guida del Magistero, al quale fedelmente conformandosi accoglie non la parola
degli uomini ma, qual è in realtà, la parola di Dio (cfr. I Ts 2,13), aderisce
indefettibilmente alla fede una volta trasmessa ai santi (Giuda 3), con retto giudizio
penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica alla vita».
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Premetto che il consenso dei fedeli intorno alla verità dell’Immacolata
Concezione di Maria, quale Madre di Dio, voluta tale dalla benevolenza e potenza
di Dio Padre, in previsione della redenzione operata dal Figlio, si è manifestato ed
affermato gradualmente nella Chiesa nel corso dei secoli, non senza qualche
contraddizione e difficoltà, fino ad essere sancita come “dogma di fede”, sotto
l’azione dello Spirito. Come tutte le verità di fede, anche questo dogma, è stato
prima proclamato con il cuore da parte del popolo di Dio, poi celebrato ed
espresso con parole e gesti in un clima di grazia, infine sancito dal magistero
ecclesiastico.
In questa economia di fede lo Spirito Santo vivifica e santifica la Chiesa, in
modo che essa possa svolgere la sua missione di segno e sacramento di salvezza,
la guida nel suo cammino verso le verità di fede, verso i cieli nuovi e la terra
nuova, le dona i carismi necessari affinchè, secondo i bisogni dei tempi, possa
rispondere adeguatamente alla sua missione.
Ho presentato Sant’Eugenio de Mazenod come colui che, lasciatosi condurre
docilmente dallo Spirito Santo, è divenuto uno strumento per suscitare una nuova
presenza di vita carismatica per l’evangelizzazione. Per capire pienamente il suo
dono e il suo carisma, è stato necessario ritornare alle origini e seguire passo
passo il suo cammino di luci e di ombre, di tensioni e di gioie. Il disegno che Dio
ha pensato su di lui si rende comprensibile man mano che si dispiega il suo filo
conduttore.
Non ho voluto realizzare una semplice trattazione biografica intinta dei colori
della Provenza, degli avvenimenti della Rivoluzione Francese, della politica di
Napoleone Bonaparte e di Napoleone III o del clima culturale della Restaurazione,
tutti fattori che hanno notevolmente influenzato la vita del Santo, ho preferito
attenzionare il suo cammino interiore, a ciò che, attraverso detti avvenimenti
storico-culturali, lo Spirito gli andava suggerendo, delineando un percorso che lo
ha visto tutto dedito a Maria. La voluta brevità della biografia non consente un
ampio approfondimento della vita di Eugenio de Mazenod, che tra l’altro appare
assai complessa: fondatore di una Congregazione che si è diffusa in tutti i
continenti, vescovo di Marsiglia, Senatore della Repubblica, uomo coinvolto nei
principali problemi della Francia dell’Ottocento e della Chiesa di Roma.
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Particolarmente dettagliato invece è stata la trattazione relativa alla spiritualità
di padre de Mazenod. Come in una sinfonia, un cammino spirituale ha il suo
motivo dominante, il cosiddetto «leitmotiv» in questo caso è la presenza di Maria
Immacolata.
Ne nasce un profilo che, dal vissuto personale, si allarga a quello della
comunità a cui Sant’Eugenio ha dato vita, i Missionari Oblati di Maria
Immacolata, nella quale ha riversato via via il proprio dono interiore. La vita
dell’ordine oblato è inscindibilmente legata al carisma del suo fondatore.
La panoramica tracciata, nel corso del presente lavoro, sul suo percorso
spirituale e quindi educativo mostra in maniera evidente il ruolo fondamentale
che ha avuto la Vergine nella maturazione della sua personalità religiosa e
nell'ispirazione della sua multiforme attività apostolica. La sua dottrina spirituale,
profondamente accompagnata dalla presenza appassionata di Maria, ha percorso
un itinerario la cui meta è stata naturalmente il Cristo.
Profondo e sincero è il mio legame alla Congregazione dei Padri Oblati di
Maria Immacolata, presenti anche Santa Maria a Vico, piccolo centro circondato
da amene colline in provincia di Caserta. Qui, non lontano dal tracciato dell’antica
via Appia, sorge un Santuario, oggi Basilica Pontificia minore, intitolato a Maria
Santissima Assunta. Un'antichissima tradizione narra che la sua costruzione,
avvenuta nel 1492, è dovuta ad un voto fatto dal Re Ferdinando I D'Aragona
innanzi alla cappella che allora ospitava la statua della Madonna. Intorno a questo
complesso nacque e crebbe la cittadina. Intanto, la Basilica e l'annesso convento
furono retti, per circa 350 anni, dai padri Domenicani che, in seguito al decreto di
G. Murat (1809), che sopprimeva gli ordini religiosi, dovettero abbandonare il
loro ministero in S. Maria a Vico, per essere trasferiti altrove. Successivamente
dal 1902, i padri Oblati accettarono di trasferirsi da Roma a Santa Maria a Vico,
ove spostarono anche la loro scuola apostolica. Qui i padri istituirono una grande
e antica biblioteca, nella quale, tra l’altro, qualche tempo fa l’attuale padre
superiore, p. Angelo D’Addio, ha rinvenuto la collana del Concilio epistolare
indetto per la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, i cui volumi
sono sicuramente gli originali che nel 1854 Papa Pio IX consegnò direttamente
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nelle mani di Sant’Eugenio de Mazenod. Confermano tale convinzione i timbri
impressi sul frontespizio (di cui allego foto).
Come sono arrivati i fascicoli del Concilio epistolare a Santa Maria a Vico? Per
rispondere a questa domanda bisogna scrivere come e perché sono giunti gli
Oblati a Santa Maria a Vico. In Francia dopo la soppressione degli Istituti religiosi
nei primi anni del secolo XX, gli Ordini subirono la persecuzione che li
condannava all’esilio o alla morte. Non mancarono a detta sorte anche gli Oblati,
che finirono in carcere o che furono costretti a rifugiarsi all’estero, determinando
in quegli anni la nascita delle fondazioni nelle nazioni confinanti della Francia.
La comunità oblata arrivò in Italia nel 1863 stabilendo la Procura Generale in
piazza S. Ignazio a Roma, che, in seguito, nel 1881 divenne anche sede dello
Scolasticato romano. Successivamente furono aperte in Italia la comunità di
Torino, dipendente dalla Provincia di Midi, e la Scuola Apostolica di Diano
Marino in Liguria, che accoglieva un gruppo di apostolici francesi e un gruppo di
italiani. Il violento terremoto del 1887 costrinse i padri a chiudere i battenti di
questa scuola apostolica. Gli apostolici francesi furono costretti a tornare in
Francia, mentre quelli italiani furono accolti prima nello Scolasticato di S. Pietro
in Vincoli e poi, nel 1892, nella Scuola Apostolica aperta in via di Porta S.
Lorenzo sempre a Roma, anch’essa dipendente della provincia di Midi. Da qui
partirono gli Oblati che, nel 1903, arrivarono a Santa Maria a Vico, ove
trasferirono la loro biblioteca, con numerosi e importanti documenti provenienti
dalla Francia compresa la raccolta di Pareri del Concilio epistolare.
Mi considero una privilegiata per aver consultato detti tomi, sfogliare quelle
pagine mi ha fatto emozionare al punto da far nascere in me il desiderio di
ripercorre la proclamazione del dogma attraverso gli occhi e il cuore di un uomo
che ha condotto la sua vita dedicandosi tutto a Maria Immacolata.
Il lavoro è diviso in quattro capitoli, che armonizzano diversi aspetti di un
unica realtà: Maria Immacolata nei secoli, nella vita di un Santo, nell’azione
missionaria ed educativa degli eredi di quest’ultimo.
Nel primo capitolo, infatti, ho trattato brevemente il travagliato e contestato
percorso che, nel corso dei secoli, ha portato alla proclamazione del dogma
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dell’Immacolata Concezione, a cui il senso cristiano popolare era già giunto, da
tempo, in maniera intuitiva.
Il secondo capitolo rappresenta il cuore dell’elaborato trattando il percorso di
vita e di pensiero di mons. de Mazenod e mostrando un incontestabile devozione
dello stesso per Maria Immacolata espressa fin dal suo ingresso in seminario e
confermata nel nome di Oblati di Maria Immacolata, scelto per la Congregazione
dal Santo nel 1825, profondamente ispirato in un momento di preghiera.
La scelta del nuovo nome per la Congregazione non fu motivata solo dalla
maturità spirituale raggiunta e dalla sua devozione per la Madonna ma anche da
una profonda visione della missione a cui Dio aveva chiamato lui e la sua
Congregazione. Per evangelizzare e realizzare la vocazione
di soccorrere la
Chiesa con ogni mezzo, comprese che doveva identificarsi con l’Immacolata.
Così come il nome indica la missione e la natura di una persona, con la scelta
del nuovo nome Sant’Eugenio volle indicare chi bisognava diventare e cosa
bisognava fare: diventare il più possibile come l’Immacolata per realizzare il
massimo piano di salvezza di Dio. Nell’Immacolata il piano di salvezza è perfetto:
più si è salvati (come l’Immacolata: la redenta per antonomasia) e più si è
strumenti della salvezza del Signore. Nel terzo capitolo è ampiamente descritto
come il nostro bruci dal desiderio di vedere la definizione del dogma di fede
dell’Immacolata, non solo nella veste di Vescovo ma soprattutto come Fondatore
della Congregazione che porta il nome di Oblati di Maria Immacolata.
Appassionante è stato il lavoro di traduzione dal latino della lettera ufficiale
che mons. de Mazenod inviò al papa in risposta al Concilio Epistolare promosso
in occasione della proclamazione del dogma. Particolarmente intensa è risultata
essere la lettera di accompagnamento che in Vaticano piacque tanto da essere
inserita, insieme a quella ufficiale, nel primo dei dieci volumi contenenti i Pareri
sulla Definizione Dogmatica dell’Immacolato Concepimento della Beata Vergine
Maria rassegnati alla Santità di Pio IX, in occasione della sua Enciclica emanata
da Gaeta il 2 febbraio 1849. All’interno di questo capitolo ho trascritto fedelmente
il documento, oltre alle pagine del suo diario, dalle quali ho avuto quasi
l’impressione di essere a Roma l’otto dicembre 1854, al suo fianco durante la
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proclamazione del Dogma, di vedere il suo volto trasparire di emozione e di
immensa gioia, come quella di un bambino.
Il quarto capitolo comprende, in qualche modo, il secondo e il terzo perché si
sofferma, in particolare, sul dono concesso a Sant’Eugenio de Mazenod: il
carisma di trascinare dietro di sé migliaia di uomini ai quali ha trasmesso la sua
stessa passione per Cristo e per Maria e il suo stesso anelito per il sevizio della
Chiesa nell’annuncio della Buona Novella. La sua esperienza era fatta per essere
condivisa da coloro ai quali aveva comunicato il suo ideale, che lo hanno
condiviso e diffuso. Chi potrà mai contare le persone che in ogni parte del mondo
sono state raggiunte dall’amore di Dio grazie all’azione degli Oblati, che hanno
sapientemente inculturato il messaggio evangelico.
Nel corso del capitolo ho evidenziato come anche i laici si sentono chiamati a
condividere attivamente la vita, la spiritualità e la missione degli Oblati, al pari
dei quali sentono Eugenio come loro padre. Decine di migliaia formano
l’Associazione Missionaria di Maria Immacolata.
Il capitolo si conclude con la riflessione sul valore educativo e formativo del
Movimento Giovanile Costruire, formato da giovani che si ispirano alla
spiritualità dei missionari Oblati di Maria Immacolata condividendone il carisma
di evangelizzazione, trasmesso dal loro fondatore. Detti giovani vivono la loro
missione nella società odierna, con le sue innumerevoli problematiche, a scuola,
nel lavoro, nella famiglia. Hanno particolarmente a cuore i bisogni e le necessità
delle missioni dei Paesi sottosviluppati e si impegnano nella raccolta di fondi per
la realizzazione di opere di utilità sociale in questi Paesi. Il movimento ha
carattere nazionale e ai giovani che ne fanno parte offre un cammino di
formazione umana e cristiana orientata al discernimento della propria vocazione
nella Chiesa e nel mondo, attraverso incontri, momenti di preghiera, attività varie
e soprattutto attraverso la possibilità di condividere esperienze di missione, sia in
Italia che all'estero. Il Movimento Giovanile Costruire costituisce una preziosa
realtà formativa che orienta ad una scelta di vita e ad un impegno ecclesiale.
Nella stesura del presente lavoro mi sono servita sia di pubblicazioni
monografiche sia di documenti di archivio, come peraltro appare nella nota
bibliografica. Sant’Eugenio de Mazenod nella sua vita ha scritto moltissimo;
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molte lettere e riflessioni sono state raccolte nell’Epistolario del Beato Eugenio
De Mazenod e nella collana Itinerari Mazenodiani, a cura dell’AMMI, oltre che in
alcuni dei Quaderni di Vermicino, nome con il quale viene designata una serie di
pubblicazioni nate nel cuore dello scolasticato OMI della provincia italiana.
Inoltre mi sono cimentata in un lavoro di traduzione dal francese, di opere
monografiche,
e
dal
latino,
dei
Pareri
sulla
Definizione
Dogmatica
dell’Immacolato Concepimento della Beata Vergine Maria, esercitandomi tra
l’altro in due lingue che sono state oggetto di esame del concludendo Biennio
Specialistico.
Vorrei concludere questa mia introduzione con un sincero e filiale
ringraziamento al Padre Superiore della Basilica Minore di Maria SS Assunta,
Angelo D’Addio OMI. A lui esprimo infatti infinita riconoscenza per avermi
assistito nella ricerca bibliografica all’interno dell’antica e preziosa biblioteca
OMI. Sammaritano di origini, ha vissuto nella sua vita la bellezza dell’essere
mandati in missione, per usare una sua espressione. Alcune tra le diverse
pubblicazioni utilizzate quali fonti portano la sua firma. I suoi studi su de
Mazenod presentano rigore storico e competenza. La sensibilità che li caratterizza
rappresenta la sincera espressione dell’amore di un figlio verso il padre.
Obiettivo principale della tesi è stato quello di mettere in luce la genesi e il
dinamismo del pensiero e delle opere di Sant’Eugenio per scoprire il filo d’oro col
quale Dio riesce a tessere la vita particolare di un figlio inserendola nell’opera
universale della Chiesa.
Concludo sottolineando che il presente studio è stato per me fonte di gioia e di
contemplazione dell’azione creativa dello Spirito Santo.
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Capitolo Primo
Potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit
La dottrina dell’Immacolata Concezione
1.1. Definizione del dogma dell’Immacolata Concezione
Nella storia del culto mariano, tre date brillano sull’orizzonte della Chiesa
come tre stelle: il 22 giugno 431, l’8 dicembre 1854 e il 1° novembre 1950. Esse
definiscono rispettivamente: la prima, come dogma di fede, la divina maternità di
Maria contro l’eretico Nestorio; la seconda, l’immacolata Concezione di Maria
Santissima; la terza, l’Assunzione di Maria Santissima, in anima e corpo, alla
gloria del Cielo. Queste tre date eccitarono nei fedeli figli della Chiesa una gioia,
un fervore mariano indescrivibile. Sono tre pagine di storia ecclesiastico –
mariana che non si possono rileggere senza profonda emozione. Tra la prima e la
seconda data, brilla di una luce tutta propria la data della definizione dogmatica
dell’Immacolata Concezione: quasi sintetizzando la gloria e la letizia di entrambe.
Si tratta purtroppo di un dogma contestatissimo, maturato nel tempo, pur essendo
già presente, fin dai primi secoli, nella coscienza popolare. Non ci sono delle
chiare espressioni nella Sacra Scrittura che avvalorino la tesi che Maria sia stata
concepita senza peccato originale. Tale dottrina fu avversata in principio da alcuni
teologi, tra i quali S. Agostino e S. Tommaso, che trovavano incompatibile il
dogma dell’Immacolata Concezione con un altro dogma importantissimo: quello
dell’universalità del peccato originale e della dottrina della Redenzione. S.
Agostino é stato il teologo per eccellenza del peccato originale e, con S.
Tommaso, non capiva come la Madonna potesse essere Immacolata, data
l’affermazione paolina nell’epistola ai Romani che «in Adamo tutti abbiamo
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peccato»1. Questo versetto apparentemente non ammetterebbe eccezioni,
nemmeno per Maria Santissima, e il peccato originale ingloberebbe tutti,
trasmettendosi per generazione umana e fisica2.
Sant’Agostino però giunge alla conclusione che Maria, concepita nel peccato
originale, é stata rigenerata nella grazia alla vita nuova nel secondo istante della
sua vita.
Importante e decisivo, invece, si è dimostrato nei secoli il ruolo della pietà
popolare, del popolo cristiano, per il quale Maria non poteva essere stata sotto la
schiavitù del peccato nemmeno per un istante. È questo il sensus fidelium, che
intuitivamente ha preceduto la teologia per anni o meglio per secoli e che inizia a
vivere il dogma non solo nella fede ma anche nella celebrazione, in forma non
universale, con la festa dell’Immacolata Concezione. La forte opposizione tra la
fede popolare e una parte della teologia dotta è durata per oltre un millennio e
mezzo. Il contrasto tra la «pura semplice e l’umile devozione» del popolo, che
celebrava con gioia la festa della Concezione della madre di Dio, e la «scienza
superione e disquisizione valente» dei sapienti ecclesiastici o secolari, che
avevano abolito la festa dichiarandola priva di fondamento, viene rivelato anche
dal benedettino inglese Eadmero, nel suo Trattato sulla concezione della b. Maria
Vergine. In questo confronto il monaco opta per il popolo perché Dio come
attesta Gesù si rivela ai semplici e non ai superbi.
La fede popolare circa questo dogma va confermandosi e consolidandosi nei
secoli successivi, nonostante una parte della teologia continui ad opporsi.
Da quanto detto si intuisce che grande è l’influsso del senso dei fedeli in
relazione all’Immacolata Concezione, e molti sono i fattori che hanno concorso a
realizzarlo, tra i quali la predicazione popolare, soprattutto quella ad opera dei
francescani che, dal 1621, giurarono di difendere l’Immacolata Concezione, fra
essi si ricorda san Leonardo da Porto Maurizio, ma anche i catechismi di San
1
2
Rm 5,12.
Cf. C. MATARAZZO, Dignare Me laudare te, Virgo sacrata. Percorsi e interpretazioni della
teologia mariana di Giovanni Duns Scoto, in P. GIUSTINIANI-C. PUNZO (a cura di), Doctorem
Subtilem ut plurimum sequimur. Momenti e figure della via Scoti tra filosofia, teologia e
diritto, Luciano editore, Napoli 2010, pp. 49-100.
11
Pietro Canisio, di San Roberto Bellarmino e del Bossuet portarono il loro
contributo.
Ciò che ha concorso maggiormente a radicare nel popolo la credenza
nell’Immacolata Concezione fu l’introduzione della festa liturgica dall’oriente in
Italia meridionale. Nel secolo IX a Napoli un calendario liturgico inciso su marmo
riporta la data del 9 dicembre quale «Conceptio sanctae Mariae Virginis». Tale
festività fu introdotta anche in Inghilterra nell’XI secolo, fino a diventare nel
1708, per volere di Clemente XI, festa della Chiesa universale.
Se il luogo originario dell’immacolata concezione non è nella teologia, perché
come abbiamo brevemente visto importante e fondamentale è stato l’intuito
popolare, tuttavia essa ha svolto lo stesso un ruolo importante nell’enucleazione
della verità mariana sia mediante la formulazione chiara della fede popolare, sia
riuscendo ad armonizzarla con l’insieme dei dati rivelati, sia sciogliendo i nodi di
ordine teologico e culturale, sia fondandola su argomenti convincenti.
La teologia che ha saputo preparare il terreno per lo sbocciare della fede
immacolatista e stata la patristica, infatti lungo i primi secoli della Chiesa i padri
hanno saputo elaborare la figura di Maria dandole dei connotati di grande santità
ed esenzione dal peccato. Nonostante qualche esitazione (Tertulliano, Origene,
Basilio), i padri e gli altri antichi scrittori partono dalla vocazione iniziale di
Maria, essere madre di Dio per arrivare a concludere ad una conveniente
preparazione morale di Maria. Se Origene, Ippolito, Epifanio, Eusebio, Agostino,
Girolamo, chiamano santa Maria, altri padri come Teodoto d’Ancira, Efrem il
Siro e altri omileti del VI-IX secolo, dichiarano Maria senza macchia,
immacolata, integra, innocente”, tuttavia non va dimenticato che si è ancora nel
campo dell’esenzione dai peccati personali, solo in Proco di Costantinopoli,
Theoteknos di Livia e Andrea di Creta la condizione di immacolatezza di Maria
viene estesa fino al momento della sua venuta all’esistenza. Ed è questa dottrina
che trova codificazione liturgica nella festa della Concezione di Maria, che sorge
in oriente tra il VII e VIII secolo e che passa in Italia nel IX aprendo una lunga
discussione che già la controversia pelagiana aveva abbozzato.
In ambito occidentale, infatti, grazie a Pelagio si inizia a esplicitare la dottrina
sull’Immacolata, questi l’affermava partendo dalla santità di Maria e dall’onore
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del Signore, tesi ripresa dal suo discepolo Giuliano d’Eclano. Nella controversia,
con Pelagio prima e Giuliano poi, Agostino riconoscendo che Maria va tenuta
lontano da ogni forma di peccato, riconduce questa sua santità nell’alveo della
condizione umana inficiata dalla colpa originale e bisognosa della redenzione di
Cristo, affermando che Maria sarebbe stata sottoposta al peccato d’origine solo
per esserne subito liberata con la grazia della rigenerazione.
In occidente, rispetto all’oriente, l’idea dell’Immacolata Concezione si sviluppa
in un contesto meno favorevole; essa contrastava sia il concetto universale di
salvezza sia le conoscenze di ordine biologico che distinguevano la concezione
attiva e passiva (a sua volta completa o incompleta), sia il traducianesimo, dottrina
che sosteneva la trasmissione del peccato originale tramite l’atto generativo. Tutti
questi presupposti hanno portato i grandi teologi del XIII secolo, quali Alberto di
Hales, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura, e prima ancora
Anselmo di Canterbury e Bernardo di Chiaravalle, ad affermare che Maria venne
concepita nel peccato originale e in seguito purificata. Questa tesi fu piano piano
rimossa solo attraverso la riflessione attiva di altri teologi, spianando la strada
all’affermazione dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria quale effetto
dell’azione salvifica di Cristo.
Tuttavia il primo teologo dell’immacolata concezione resta Eadmero, il quale
nel suo trattato non solo difende l’intuizione del popolo, ma dimostra la possibilità
di questa dottrina distinguendo la concezione attiva (nel peccato) da quella
passiva (senza peccato) nel celebre esempio della castagna che esce indenne dal
proprio guscio spinoso:
«Non poteva forse (Dio) conferire a un corpo umano… di restare libero da ogni
puntura di spine, anche se fosse stato concepito in mezzo ai pungiglioni del peccato? È
chiaro che lo poteva e voleva; se lo ha voluto l’ha fatto»…
«potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit»3.
Inoltre elabora l’argomento di convenienza che si fonda sull’unione esistente
tra Maria in quanto madre e Cristo in quanto figlio, e sull’armonia esistente tra la
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R. COGGI, La Beata Vergine. Trattato di Mariologia, Dehoniane, Bologna 2004, p.164.
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condizione glorificata della Vergine, la sua concezione e la finalità salvifica di
colei che è il «singolare propiziatorio di tutto il mondo».
Eadmero non giunge alla redenzione preservativa, che sarà propria di alcuni
teologi della scuola francescana come il Bonaventura, che però in seguito la
rigettano, e dallo Scoto, che ne farà il fulcro della propria argomentazione a
conferma della tesi immacolista, tesi che presenta con circospezione per non
essere accusato di eresia, infatti se ad Oxford afferma di ritenere l’immacolato
concepimento di Maria probabile, a Parigi affermerà che questo è possibile.
Nonostante questo porsi con cautela a Duns Scoto va riconosciuto il merito di
aver svincolato la questione teologica dai condizionamenti culturali circa la
generazione ponendo la persona come soggetto di colpa o santità. Inoltre ha anche
elaborato definitivamente il concetto della redenzione preservativa, della quale
l’Immacolata Concezione non è un’eccezione alla redenzione operata da Cristo,
ma un caso di perfetta e più efficace azione salvifica dell’unico mediatore. 4
Così ragiona lo Scoto:
«Cristo esercitò il più perfetto grado possibile di mediazione relativamente a una
persona per la quale era mediatore. Ora per nessuna persona esercitò un grado più
eccellente che per Maria… Ma ciò non sarebbe avvenuto se non avesse meritato di
preservarla dal peccato originale».
È questo un intervento decisivo nello sviluppo della dottrina dell’immacolata
concezione, la quale sarà difesa soprattutto dai francescani e diverrà via via
comune a tutti i teologi, le stesse università cominceranno ad accettarla e si
impegneranno con giuramento a difenderla.
Nel XVII secolo, infatti, nasce nelle università un movimento di tipo
promozionale, senza analogia con quello popolare. Tale movimento arriva ad
includere il votum sanguinis, cioè il giuramento di difendere l’immacolata
concezione fino all’effusione del sangue. La prima università ad emettere questo
voto fu quella di Siviglia nei primi anni del 1600, seguita da varie università sia
spagnole sia italiane. Tale «voto sanguinario» oltre ad avere una grande influenza
4
Ivi, p.165
14
su ordini religiosi, santi, confraternite e fedeli, provocò pure una lunga
controversia.
Da questo momento si assiste ad un grande fervore popolare: nascono molte
confraternite dedicate all’Immacolata Concezione, istituti religiosi e persino
conventi come quello fondato in Spagna dalla venerabile Maria di Gesù d’Agreda.
Nel medesimo tempo il popolo dedica cappelle e altari all’Immacolata
Concezione. Con il nascere di ordini religiosi legati alle realtà popolari (dapprima
francescani e successivamente anche gesuiti) le cose cominciarono ad evolversi.
La
predicazione
dei
padri
francescani
ebbe
un
grandissimo
influsso
nell’elaborazione di questo dogma e nell’approfondimento della pietà popolare
che difendeva l’Immacolata Concezione. Non mancarono alcune rivelazioni
private come quelle di suor Maria di Gesù d’Agreda, santa Brigida e le
apparizioni a Caterian Labouré, novizia nel monastero parigino di Rue di Bac alla
quale la Vergine apparve nel 1830. In seguito alle rivelazioni si diffuse la
«Medaglia Miracolosa» con l’Immagine dell’Immacolata, cioè della Concepita
senza peccato che riportava le seguenti parole, da lei viste durante un'apparizione
della vergine Maria (avvenuta il 27 novembre dello stesso anno): O Maria,
concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi. Questa medaglia
suscitò un'intensa devozione, e molti Vescovi chiesero a Roma la definizione del
dogma che ormai era nel cuore di molti cristiani.
Nel 1858, quindi quattro anni dopo la proclamazione del dogma, la veggente di
Lourdes Bernadette Soubirous riferì che la Vergine si era presentata con le parole
che pronuncia in lingua occitana: «Que soy era Immaculada Councepciou» («Io
sono l'Immacolata Concezione»). Le apparizioni di Lourdes furono viste come
una prodigiosa conferma che aveva sancito come la Vergine fosse: tutta bella,
piena di grazia e priva di ogni macchia del peccato originale.
Se il luogo originario dell’Immacolata Concezione non è nella teologia, perché
come abbiamo brevemente visto importante e fondamentale è stato l’intuito
popolare, tuttavia ha teologia ha svolto lo stesso un ruolo importante
nell’enucleazione della verità mariana sia mediante la formulazione chiara della
fede popolare, sia riuscendo ad armonizzarla con l’insieme dei dati rivelati, sia
15
sciogliendo i nodi di ordine teologico e culturale, sia fondandola su argomenti
convincenti.
In questo lungo e controverso percorso non va dimenticato il magistero dei
pontefici che a partire da papa Sisto IV cominciano a codificare liturgicamente
questo privilegio mariano, approvando i vari offici che nascono, fino ad arrivare a
Pio IX che nel 1854 sancì dogmaticamente questo privilegio mariano.
Questa solenne proclamazione, in un clima sociale e politico poco rassicurante
per la chiesa Cattolica, chiude dunque un’epoca lunghissima di dispute. Dal canto
suo Papa Mastai Ferretti mette a tacere tutte le controversie filosofiche e
teologiche.
1.2. Proclamazione del dogma
Di questa fulgidissima data che riempì di gioia la terra ed il cielo, ci aiutano a
rievocare il soave ricordo e a rilevare la singolare importanza le cronache del
tempo, attraverso le quali sappiamo che la Basilica Vaticana, il più vasto tempio
del mondo, fin dalle prime ore del mattino appariva tutta gremita di quasi
cinquantamila fedeli, ansiosi di sentir definire, dall’infallibile voce del Vicario di
Cristo, il singolare privilegio mariano. Erano presenti 56 Cardinali e 140 tra
Arcivescovi e Vescovi. Il giorno e la notte stessa che precedette l’alba dell’8
dicembre, piogge torrenziali si erano riversate sull’urbe. Si temeva che altrettanto
sarebbe avvenuto per la festa dell’Immacolata. Ma contrariamente ad ogni timore
e previsione, l’alba dell’8 dicembre, attesa con tanta impazienza da centinaia di
milioni di cuori, sorse
«così pura e serena che sembrava volesse annunziare con la sua chiarezza la grande
prerogativa che era per definirsi, di Colei che senza macchia risplende del candore
dell’eterna luce».5
5
G.M. ROSCHINI, Il Dogma dell’Immacolata, istruzioni, Istituto Padano Di Arti Grafiche,
Rovigo 1953, p. 20.
16
Verso le otto e mezzo la maestosa processione papale cominciò a snodarsi dalla
Cappella Sistina. Giunto il S. Padre nella Basilica e salito sul trono, ebbe inizio il
canto di terza, seguito dalla Messa Pontificale. Cantato il Vangelo in latino ed in
greco, il Santo padre procedette alla definizione dogmatica. Il Cardinale Macchi,
Decano del Sacro Collegio, rivolse una solenne istanza al Santo Padre, affinché si
fosse degnato di definire l’Immacolata Concezione di Maria, leggendo il solo
brano che lo contiene, della Bolla Ineffabilis; ed eccone i precisi termini tradotti
dal testo latino:
«Dopochè non tralasciammo mai nell’umiltà e nel digiuno di offrire a Dio Padre per
mezzo del Figliuol suo le nostre private e le pubbliche preghiere della Chiesa, affinché
con la virtù dello Spirito Santo si degnasse dirigere ed avvalorare la nostra mente,
implorando l’aiuto di tutta quanta la Corte Celeste, ed invocando con gemiti il Divin
Paracleto, così da lui ispirati, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dé Santi
Apostoli Pietro e Paolo, e con la Nostra; ad onore della Santa ed indivisibile Trinità, a
decoro ed ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede Cattolica,
ad incremento della Religione cristiana, dichiariamo, pronunziamo e definiamo essere
dottrina rivelata da Dio quella che ritiene preservata immune da ogni macchia di colpa
originale fin dal primo istante della sua Concezione la Beatissima Vergine Maria per
singolar grazia e privilegio di Dio Onnipotente in riguardo dei meriti di Gesù Cristo
Salvatore dell’uman genere e perciò doversi da tutti i fedeli fermamente e
costantemente credere. Laonde ove alcuni, che Dio non voglia, presumessero pensare
diversamente da quanto si è da noi definito, conoscano e sappiano essersi da se stessi
condannati, di aver naufragato in materia di fede, di essersi separati dall’unità della
Chiesa; ed inoltre, se quel che pensano osassero dire o scrivere, o in altro qualsiasi
modo manifestare. Queste sono le parole con le quali il pontefice innalzò alla sfera dei
dommi cattolici il privilegio della Immacolata Concezione della Santa Vergine».6
Appena terminate le parole della definizione, mentre la folla dentro la Basilica
Vaticana prorompeva in un formidabile scroscio di applausi, fuori, dall’alto di
Castel Sant’Angelo, il cannone, con replicati colpi,
6
Ibidem.
17
«annunziò la più bella delle vittorie a Roma ed agli ultimi confini del mondo: la
vittoria di quel piè verginale che schiacciava il demonio e dalle vie dell’eternità
procedeva come l’aurora nunzia di pace al dannato e redento genere umano. Ai colpi
del cannone fece eco il suono a festa di tutte le campane di Roma, e l’eterna città fu
vista, come per incanto, tutta addobbata di drappi pendenti dalle logge e dalle finestre.
La sera poi, si vide la città santa splendere vagamente di una luminaria quanto
spontanea, altrettanto universale, dal palazzo del ricco al tugurio del povero. E nei dì
che seguirono, Roma sembrava aver dimenticato ogni altra cura per non pensare ad
altro che a festeggiare con ogni maniera di ossequio, la gran vittoria della Vergine».7
«Può dirsi a ragione che, dal giorno della definizione, per molti mesi consecutivi,
Roma ebbe la gioia di vedere la gloria dell’Immacolata Concezione di Maria, una
continuata festa sempre variata, sempre devota e sempre solenne sia per la religiosa
frequenza del popolo alle Chiese, sia per la sacra pompa di arredi, di luminarie, di
musiche e di ogni sorta di religioso apparato, in cui la pietà e l’arte della Capitale così
del mondo cattolico che dell’artistico primeggiarono sovranamente …».8
Mansella dopo aver descritto la risonanza che ebbe la definizione dogmatica in
tutte le nazioni dell’Orbe, conclude:
«Non leggesi nelle istorie un avvenimento sì concordemente festeggiato in tutto il
mondo quanto la definizione dogmatica del Santo Padre Pio IX sopra la più bella
gloria che, dopo la Divina Maternità, fu abbellita la Santa Vergine, e di cui ogni terra,
ogni città, ogni regno cattolico ama sotto questo titolo di proclamarla sua speciale
protettrice, e di propagarne la devozione».9
In memoria del grandioso evento, il Santo Padre Pio IX, il giorno susseguente
la definizione, distribuiva a ciascuno dei Cardinali, Arcivescovi e Vescovi
presenti in Roma una medaglia coniata con il primo oro giuntogli dai Cattolici
dell’Australia. Per ricordare, inoltre, ai posteri il lietissimo evento, venne
innalzato a Piazza di Spagna il grandioso monumento all’Immacolata,
7
8
9
Ivi, p. 22.
Ivi, p. 23.
.
18
solennemente benedetto il 18 dicembre 1856 dallo stesso Santo Padre Pio IX, che
è passato ala storia come il «Pontefice dell’Immacolata».10
La singolare importanza della definizione dogmatica dell’Immacolata
Concezione, appare dal fatto che essa costituì il più grande atto di cattolicesimo e
che raggiunse pienamente gli scopi che con essa si intendevano raggiungere.
Il celebre scrittore francese Augusto Nicolas, parlando della definizione
dogmatica dell’Immacolata Concezione, non esitava ad asserire:
«Il decreto dell’8 dicembre 1854 … è stato il più grande atto di cattolicesimo che sia
forse stato fatto da diciotto secoli, sia nel suo modo, sia nel suo oggetto, sia finalmente
nell’unanimità dei voti che l’hanno sollecitato e nell’obbedienza che trovò nella
Chiesa».11
Nicolas dice: forse, ma senz’altro si può mettere da parte quel forse e asserire
senza esitazione che la definizione dell’8 dicembre fu indubbiamente il più grande
10
11
Sarà la grande vivacità del culto mariano che porterà papa Pio IX ad affrontare la questione
dell’Immacolata Concezione in vista di una definitiva proclamazione del dogma. L’opinione
assolutamente favorevole alla definizione del dogma spinse il pontefice alla preparazione della
bolla Ineffabilis Deus con la quale fu definito il dogma della Immacolata Concezione.
L’Arcidiocesi e la città di Gaeta, come ebbe a dire il Santo Padre Giovanni Paolo II, nella
storica Visita del 25 giugno 1989, sono la culla del dogma dell’Immacolata Concezione. Da
qui, infatti, il Beato Pio IX, durante il periodo della sua permanenza a Gaeta (1848), pregando
davanti alla bella immagine dell’Immacolata nella Cappella d’Oro, andò confermandosi nella
definitiva decisione della proclamazione di quel dogma. Da Gaeta il 2 febbraio 1849 emanò
l’enciclica Ubi Primum, con la quale chiedeva a tutti i Vescovi della Chiesa di esprimere il
proprio parere in merito. Il risultato di quel "concilio di carta", come lo aveva definito San
Leonardo da Porto Maurizio, evangelizzatore delle nostre terre, fu la solenne proclamazione
del dogma. Solo quattro anni dopo questa solenne dichiarazione del Papa, quasi a conferma e
sigillo, la Vergine Santissima, presso la grotta di Massabielle-Lourdes, in aspetto giovanile e
affabile, vestita di candido abito e candido mantello, cinta di una fascia azzurra, alla fanciulla,
Bernadette Soubirous, che con insistenza chiedeva il nome di colei che si era degnata di
apparirle, elevando gli occhi al cielo e con soave sorriso rispose: "io sono l’Immacolata
Concezione". Il metodo seguito nella bolla dogmatica, partendo dal consenso attuale della
Chiesa e interpretando in questa luce le testimonianze passate, apriva nuove vie alla teologia,
largamente seguite da quel momento. Al momento della definizione, nel 1854, esistevano in
tutta la Chiesa latina tre formulari di Messa e Ufficio, ma Pio IX sollecitato da molti vescovi e
per sua decisione ordinò nel 1863 la redazione di un nuovo testo liturgico che rispondesse alla
definizione dogmatica e rendesse con precisione la verità definita. Il testo definitivo, preparato
da Mons. Bartolini, segretario della Congregazione dei riti, fu approvato il 27 agosto del 1863.
La festa fu denominata dell’Immacolata Concezione.
G. M.ROSCHINI, Il Dogma dell’Immacolata, istruzioni, op.cit., p. 24.
19
atto di Cattolicesimo che sia stato fatto da diciotto secoli. Diverse le ragioni: in
primo luogo, «per il suo modo» furono infatti consultati tutti i Vescovi della
Chiesa Cattolica, sparsi in tutte le cinque parti dell’Orbe. Lo fu, in secondo luogo
«per il suo oggetto», perché verteva sull’esenzione di Maria SS.ma da un peccato
che ha caratterizzato e che continuerà a caratterizzare tutti gli uomini, senza
alcun’altra eccezione. Lo fu, in terzo luogo, «nell’unanimità dei voti che lo
avevano sollecitato». Nel solo corso di due anni e mezzo prima del 1849, Pio IX
ricevette ben 130 domande da parte dell’Episcopato (senza contare le suppliche
degli ordini religiosi, dei Capitoli, delle Chiese particolari). Dopo il 1849, ben 546
Vescovi di tutto l’Orbe Cattolico, chiesero fervidamente al S.P. Pio IX la
definizione dogmatica, rivelando l’impaziente brama di tutti i loro fedeli per una
tale definizione. Circa 200 milioni di cattolici, quindi, sparsi per tutto il mondo, e
perciò «all’unanimità», avevano sollecitato, insieme ai loro vescovi, la definizione
del singolare privilegio mariano. Lo fu, in quarto luogo, «per l’obbedienza che
trovò nella Chiesa». Tutto l’Orbe cattolico fu udito ripetere con S. Agostino:
«Roma ha parlato, la causa è finita», «Roma locuta est, causa finita est». Dinanzi
alle parole del pontefice, milioni e milioni di cattolici, in ogni punto del globo,
piegarono la mente e dissero: «Io credo. L’Immacolata Concezione è stata rivelata
da Dio».
Ma oltre ad essere il più grande atto di cattolicesimo fino ad allora, la
definizione dell’Immacolata Concezione raggiunse in pieno le alte finalità che con
essa s’intendeva raggiungere, ossia, l’onore della Santa ed indivisibile Trinità, la
gloria e l’ornamento della Vergine madre, l’esaltazione della fede cattolica,
l’incremento della religione cristiana:
«Ad honorem Sanctae et individuae Trinitatis, ad decus et ornamentum Virginis
Deiparae, ad exaltationem Fidei Catholicae et christianae Religionis augmentum».12
Raggiunse in pieno, in primo luogo, l’onore della Santa ed individua Trinità:
Ad honorem Sanctae et individuae Trinitatis. La Vergine Immacolata infatti è il
vero capolavoro di Dio, nel quale rifulge, più che in qualsiasi altro, la potenza
12
Ivi, p. 26.
20
infinita del padre, la sapienza infinita del Figlio e l’amore infinito dello Spirito
Santo. Onorare il capolavoro di un artista è insieme onorare l’artista.
Raggiunse in pieno, in secondo luogo, la gloria e l’ornamento della Vergine
Madre: Ad decus et ornamentum Virginis Deiparae. L’Immacolata Concezione di
Maria Santissima, infatti, è il preludio delle sue glorie. E il Monsabrè non ha
esitato ad asserire che
«Le bellezze di questo paradiso (dell’incarnazione) si presentano come uno
svolgimento della prima grazia dell’Immacolata Concezione, grazia dovuta
all’influenza anticipata della maternità divina. Più esplicitamente ancora. Tutte le
bellezze di Maria in genere sono racchiuse nella prima grazia d’innocenza e di
santità».13
Da questa prima grazia derivarono in Maria gli effetti prodotti in Adamo dalla
giustizia originale, ad eccezione dell’impassibilità (richiesta dalla sua missione
Corredentrice), vale a dire: luce dell’intelligenza, vigore della volontà,
sottomissione delle potenze inferiori all’impero assoluto della ragione. Rese
perciò l’anima della Vergine la più eccelsa e perfetta che sia uscita dalle mani di
Dio; un’anima ripiena con singolare larghezza, di tutti i doni dello Spirito Santo e
di essere tempio della maestà del Verbo annichilito. È inoltre talmente importante
questo primo privilegio di Maria SS.ma che senza di esso rimarrebbero offuscate
e compromesse tutte le altre prerogative o glorie che l’avrebbero susseguito.
L’esaltazione della Vergine raggiunse in pieno, in terzo luogo, l’esaltazione
della Fede Cattolica: «Ad esaltationem Fidei Catholicae». Con la definizione
dogmatica dell’Immacolata Concezione, si ebbe un’affermazione solenne di tutte
quelle verità che erano particolarmente prese di mira dagli errori di quel tempo,
sintetizzati dal razionalismo. Quest’errore deifica l’umana ragione e nega tutto ciò
che è soprannaturale; è perciò negazione della grazia, del peccato originale, della
trasmissione di esso e delle sue conseguenze. Il razionalismo è giunto fino alla
negazione della Divinità di Cristo. Orbene la definizione dell’Immacolata
Concezione, riaffermava solennemente le due verità fondamentali
13
del
Ibidem.
21
Cristianesimo, ossia: la credenza nel peccato originale, confermata dall’esenzione
unica verificatasi in Maria e la credenza della divinità di Cristo, in previsione dei
meriti del quale fu concesso alla Vergine il singolare privilegio. Mortificando e
deprimendo gli errori, veniva con ciò stesso vivificata ed esaltata la fede Cattolica.
La definizione raggiunse infine pienamente, in quarto luogo, «l’aumento della
Religione cristiana». Provocò infatti una vera e propria pioggia di grazie sul
mondo, e, in conseguenza, un vero risorgimento cattolico. Gli antichi ordini
religiosi, decimati dalla rivoluzione francese, da Giuseppe II, da Napoleone, ecc.
presero un novello vigore e apparvero rinnovellati di novella fronda.
L’epoca successiva alla definizione fu anche l’epoca del risorgimento
missionario. Luci di fede e di civiltà si videro accendersi ovunque, in tutti i
continenti. Sorsero molti istituti missionari, molti intrepidi araldi del Vangelo, le
gloriose falangi dell’Azione cattolica, in funzione di collaborazione dei laici
all’apostolato gerarchico della Chiesa. Queste schiere militanti elessero
l’Immacolata a loro Celeste Patrona e, sotto lo sguardo Suo, combatterono le sante
battaglie di Dio. Si organizzò, in ogni parte la stampa cattolica: arma di
prim’ordine per combattere gli errori e per difendere la verità. Si vide così, sulle
rovine di un mondo antico sorgere un mondo nuovo, dal volto decisamente
cattolico. Effettivamente possiamo concludere questo capitolo affermando che
tutte le speranze cristiane, dal momento della proclamazione del dogma sono
riposte nella protezione della Vergine Immacolata.
22
Capitolo Secondo
La presenza di Maria Immacolata
nella vita e nell’opera di Eugenio de Mazenod
2.1. Cenni biografici su Eugenio de Mazenod
Eugenio de Mazenod nacque ad Aix en Provence in Francia il primo di agosto
del 1782 da una famiglia nobile, una nobiltà di toga, come si diceva, e non di
sangue, ottenuta grazie ai meriti acquisiti dagli ascendenti nel campo della
magistratura, anche se uno dei suoi antenati, nel 1653, aveva ottenuto dal Re Sole
l’ingresso nell’aristocrazia con il titolo di gentiluomo. I titoli nobiliari avevano
accresciuto il prestigio dei de Mazenod ma lentamente avevano dissanguato le
tasche di famiglia, che all’inizio della sua ascesa aveva trovato la sua fortuna nel
commercio, a Marsiglia. Il padre, Carlo Antonio de Mazenod, signore di Saint
Laurent sur Verdon e presidente della Corte dei Conti della Provenza, era
indebitato fino al collo, per le esigenze che gli erano imposte dall’onore del casato
e dal rango di alto magistrato ereditato dal padre. Aveva creduto di rimettersi in
sesto con un matrimonio di convenienza sposando, a trentatré anni, Maria Rosa
Joannis, figlia diciottenne di un illustre medico e professore di Medicina
all’Università di Aix. I genitori di Eugenio si rivelano subito due persone
estremamente diverse per condizione sociale, grado di educazione e per opposti
temperamenti. Troppo diversi per poter essere accomunati sotto l’indivisibile
attributo di timorati di Dio. Il papà, uomo di vasta cultura, magnanime e
accomodante, largo nello spendere, ha una fede solida che il passar degli anni
renderà sempre più intensa e pura. La mamma, sensibilissima, volubile, un po’
eccentrica, attaccata al denaro, ha una religiosità piuttosto superficiale. Se i primi
23
anni di matrimonio non mostrarono particolari difficoltà consentendo un clima
familiare sereno e gioioso, con passar del tempo e con il succedersi dei
drammatici sconvolgimenti a cui i coniugi saranno sottoposti, il divario si fece
sempre più profondo. Le difficoltà di convivenza vennero presto a galla fino a
portare a una separazione e poi al divorzio. L’unità della famiglia sarà assicurata
solo dall’amore concreto di Eugenio, che farà il possibile e l’impossibile per
mantenere i legami fra tutti. L’ambiente familiare in cui crescono Eugenio (in casa
chiamato Zezè) e la sua sorellina Eugenia (Ninette) è arricchito dalla presenza del
nonno Carlo Augusto Alessandro e del fratello di questi, Carlo Augusto, canonico
e dottore della Sorbona; dagli zii: il canonico Carlo Fortunato, vicario generale
dell’arcivescovo di Aix, e il cavaliere Carlo Luigi Eugenio, capitano di vascello.
In questo clima, nel quale la solidità della cultura si sposa con il valore dato
all’autorità civile, militare e religiosa e si consolida l’orgoglio aristocratico, il
piccolo Zezè si evidenzia per il suo carattere volitivo e, allo stesso tempo, per la
sua estrema sensibilità e generosità. Sono numerosi gli episodi in cui si narra
come egli si prodigasse per i poveri e come esprimesse sovente l’affetto e il
rispetto per i domestici che considerava parte della famiglia. Da vecchio Eugenio
amava ricordare, in proposito, episodi della fanciullezza, ma anche la viva
sensibilità religiosa che lo aveva caratterizzato fin da piccolo e la fede presente in
lui come un istinto ad amare con grande cuore Dio:
«Dio aveva messo in me come un istinto ad amarlo. La mia ragione non era ancora
sbocciata e provavo gusto a stare alla sua presenza, a levare le manine verso di Lui, ad
ascoltare in silenzio la sua parola come se la comprendessi. Vivo e impetuoso per
natura, bastava portarmi davanti all’altare per farmi star quieto, tanto ero preso dalle
perfezioni di Dio. Era come un istinto, lo ripeto, perché a quell’età non potevo
conoscerle».14
Intanto gli eventi collegati allo scoppio della Rivoluzione francese si fanno
sempre più pericolosi giungendo all’impiccagione dei primi oppositori nel 1790
proprio sotto le finestre del palazzo dei Mazenod. Ciò induce la famiglia de
14
F. CIARDI, Eugenio de Mazenod, un carisma di missione e di comunione,
Editrice, Roma 1995, p. 15.
Città Nuova
24
Mazenod alla decisione di fuggire in esilio. Le tappe furono prima Nizza, poi
Torino, dove Eugenio fa la sua prima comunione e viene cresimato, quindi
Venezia dove i de Mazenod rimangono tre anni e mezzo. Giungono intanto
notizie funeste dalla lontana patria e la madre vuole tornarvi per occuparsi delle
questioni riguardanti la propria dote. Presa con sé la figlia Ninette, a rischio di
essere uccise, riprende la strada per la Francia segnando in questo modo quella
frattura definitiva con il marito. A Venezia i de Mazenod vivono stentatamente
ma è proprio in questa città che avviene per Zezé l’incontro che darà una svolta
fondamentale alla sua vita: conosce qui infatti don Bartolo Zinelli, allora poco più
che trentenne. Quel periodo trascorso accanto a quel santo sacerdote che lo ha
accolto in casa propria come un figlio verrà sempre considerato da Eugenio come
segnato dalla Provvidenza misericordiosa di Dio. Alla scuola di don Bartolo non
solo impara l’italiano e il latino così come la letteratura, ma soprattutto viene
introdotto alla dottrina e la pratica religiosa che lo condurranno ad avvertire in
così tenera età la chiamata del Signore al sacerdozio. In una lettera del 1798
affettuose e profetiche sono le parole di Don Bartolo per Eugenio:
«Vi dirò una cosa che vi riguarda carissimo Eugenio. Ero sicuro che avreste
conservato i sentimenti della vostra infanzia e, del resto, ne sono convinto, sapendo
come Dio vi ha benedetto in modo speciale. Ebbene! Ecco cosa penso di voi: il vostro
carattere non vi lascerà fare nulla a metà: farete molto bene o molto male. È con tutta
bontà e confidenza e per un vero amore per voi che mi esprimo con molta franchezza.
Non voglio essere importuno. Lasciatemi tuttavia consegnarvi queste due massime che
cerco di inculcare ai giovani: niente contro Dio, niente senza Dio. Siate un giovane
buono, tutto di Gesù e di Maria».
15
Intanto, nel 1797 le truppe rivoluzionarie occupano Venezia e i de Mazenod
devono proseguire la loro fuga, con grande strazio per Eugenio che è costretto a
separarsi dal suo caro don Bartolo. Trascorrono un breve periodo a Napoli per
15
A. D'ADDIO, Un uomo ... una vocazione, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione. Evangelizzare,
Editrice Missionari O.M.I., Roma 1995, p. 22.
25
giungere infine, nel 1798, a Palermo.16 Qui Eugenio riesce a non farsi assorbire
dal malcostume dell’aristocrazia locale, grazie all’aiuto della contessa di
Cannizzaro, Rosalia Moncada Branciforte in Platamone, che diviene per lui come
una seconda madre.
Nelle poche righe scritte il 14 maggio del 1802 dal padre di Eugenio alla
moglie in Francia, in occasione della morte della duchessa, avvenuta pochi giorni
prima, troviamo la testimonianza più diretta dell’influsso che questa seconda
mamma ha avuto sul nostro:
«Il venerdì, vigilia della sua morte, era andata a confessarsi e contava di comunicarsi
sabato, come era solita fare. In quello stesso sabato invece di ricevere il suo Creatore,
è il suo Creatore che l’ha ricevuta nel suo seno, perché era una santa, riconosciuta
come tale da tutti … Piangete, cara amica, piangete con noi, non potete immaginare la
grandezza della perdita che ha toccato tutti … Era la madre dei poveri e degli afflitti
… Mio figlio era il confidente di tutti i suoi progetti. Il cooperatore e il distributore di
tutte le sue opere buone … il padre e i figli hanno preteso da lui che portasse il lutto
con loro e come loro».17
L’ingresso in questa nobile famiglia palermitana apre ad Eugenio la strada
verso quella che sarà la sua passione per il futuro: il mondo dei poveri. Eugenio
all'età di venti anni torna in Francia, a Marsiglia, dove vive l’amara sorpresa di
non trovare nessuno ad accoglierlo. Quel giorno deve prendere coscienza della
lontananza della madre e del naufragio del matrimonio dei genitori. Ritornato ad
Aix, vive un breve periodo di adattamento alla nuova condizione e dopo aver
anche meditato la possibilità di sposarsi, magari con qualche giovane facoltosa e
dopo aver tentato di ritornare in Sicilia, il giovane de Mazenod ricomincia a
dedicarsi più attivamente alla ricerca di Dio e si prodiga nel servizio parrocchiale
e dei poveri che, nelle campagne, fanno una vita del tutto misera, privi anche del
conforto religioso. Anche Dio però è alla sua ricerca e finalmente un Venerdì
santo Eugenio vive una straordinaria esperienza dell’amore misericordioso di Dio
16
17
A. ADORNO, V. DAVID, G. E M. MOAVERO, Eugenio racconta se stesso. L’esperienza
palermitana, Editrice Missionari O.M.I., Roma 1996, pp. 30-35 e 116-124.
A. D'ADDIO, Un uomo ... una vocazione, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione. Evangelizzare,
cit., p. 24.
26
riversato nel suo cuore alla vista del Crocifisso, come testimonia la seconda
meditazione del ritiro del 1814:
«Ho cercato la felicità fuori di Dio e troppo a lungo per mia disgrazia. Quante volte,
nella mia vita passata, il mio cuore straziato, tormentato, si slanciava verso Dio da cui
su era allontanato. Posso dimenticare quelle lacrime amore che la vista della croce
fece scorrere dai miei occhi un Venerdì Santo? Ah! Esse partivano dal cuore, nulla
poté fermarle. Erano troppo abbondanti perché mi fosse possibile nasconderle a
coloro che, come me, assistevano a questa commovente cerimonia. Ero in uno stato di
peccato mortale ed era precisamente questo il motivo del mio dolore. Potei allora fare,
e anche in qualche altra circostanza, la differenza. Mai la mia anima fu così
soddisfatta, mai provò una felicità maggiore. È che in mezzo a questo torrente di
lacrime, malgrado il mio dolore o, piuttosto, per il mio stesso dolore, la mia anima si
slanciava verso Dio, suo unico bene, di cui sentiva vivamente la perdita. A che pro
dirne di più? Potrò mai esprimere ciò che provai allora? Solo il ricordo mi riempie il
cuore di una dolce soddisfazione. Ho dunque cercato la felicità fuori di Dio e non ho
trovato, fuori di Lui, che afflizione e affanno. Felice, mille volte felice, perché questo
buon Padre, malgrado la mia indegnità, ha spiegato su di me tutta la ricchezza delle
sue misericordie. Almeno possa riparare il tempo perso raddoppiando l’amore per lui.
Che tutte le mie azioni, i miei pensieri siano dunque diretti a questo fine».18
Questa esperienza segna in modo definitivo la sua persona e la sua vita e da
allora vi è un crescendo interiore che lo porterà ad una nuova conversione,
all’amore di Cristo e a ritrovare la vocazione rimasta sepolta nel suo cuore e
confermata dal suo direttore spirituale padre Maggi. La vista però dei poveri delle
campagne offre ad Eugenio una speciale connotazione a quell’interiore richiamo
alla vita sacerdotale fino a divenire una vera e propria vocazione ad essere
«servitore e prete e dei poveri».19 Inoltre il fatto che proprio in quegli anni la
Chiesa venga perseguitata e che nel 1808 il Papa venga fatto prigioniero, offre un
ulteriore motivo vocazionale al giovane Eugenio: scegliere di servire la Chiesa
proprio perché abbandonata!
18
19
Ivi, p. 29.
G. LUBICH, G. CASOLI, F. CIARDI, La scelta dei poveri. Vita di Eugenio de Mazenod, Città
Nuova, Roma 1975, p.189.
27
Dal seminario scrive alla madre:
«Cosa vi agita cara mamma, e come mai, dopo tutto quello che ci siamo detti,
ascoltate ancora le cattive insinuazioni che lo spirito cattivo tenta di mettere nel vostro
cuore riguardo alla mia vocazione allo stato ecclesiastico? Buon Dio! Il Signore non è
forse il padrone delle sue creature e chi siamo noi per resistergli ?»20 (Lettera alla
madre del 15/9/1809).
«Le grazie che Dio dà sono in proporzione alla fedeltà nel corrispondervi …. Credete
che un uomo spinto fortemente dallo Spirito di Dio a imitare la vita attiva di Gesù
Cristo nell’insegnamento della sua divina dottrina a persone non più disposte a
riceverla … credete, dicevo, che quest’uomo, vedendo a sangue freddo i bisogni della
Chiesa e spinto da Dio a lavorare per aiutarla, se restasse con le braccia incrociate a
gemere in segreto su tutti questi mali senza cercare minimamente di soccorrere gli
induriti di cuore degli uomini, sarebbe tranquillo in coscienza? Mai una decisione è
stata più seriamente e lungamente ponderata di quella che prendo io».
21
(Lettera alla madre del 6/4/1809).
«Dio non chiede cose impossibili. Ciò che vuole da me è che rinunci a un mondo nel
quale, vista l’apostasia che vi regna, è quasi impossibile salvarsi; soprattutto è che io
mi consacri ala suo servizio per cercare di rianimare la fede che si è spenta in mezzo
ai poveri; è insomma che io prepari a seguire tutti gli ordini che può darmi per la sua
gloria e la salvezza delle anime che ha acquistato a prezzo del suo sangue».
22
(Lettera alla madre del 29/6/1808).
«Alla Sposa di Cristo, che questo Divin Maestro ha formato con l’effusione di tutto il
suo sangue, voglio dedicare tutti i momenti di una vita che ho ricevuto solo per
impiegarla per la più grande gloria di Dio».
23
(Lettera alla madre del 19/10/1809)
«Mi sono consacrato al servizio della Chiesa perché era perseguitata, perché era
abbandonata, perché dopo 25 anni essa non poteva più affidare il ministero divino, che
20
21
22
23
A. D'ADDIO, Un uomo ... una vocazione, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione. Evangelizzare,
cit., p. 30.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
28
una volta era ambito per i vantaggi che offriva, se non a poveri artigiani e miserabili
contadini, perché vedendo che ci si incamminava a grandi passi verso uno scisma, che
credevo inevitabile, temevo che si incontrassero poche anime generose che sapessero
sacrificare i loro agi e la loro stessa vita per conservare l’integrità della fede, e mi
sembrava che Dio mi avrebbe dato abbastanza forza per osare affrontare tutti i pericoli
… Ecco i motivi che mi hanno fatto decidere, non ve ne potevano essere altri, con il
carattere che è piaciuto alla bontà di Dio darmi».
24
(Lettera al padre del dicembre
1814)
Entra così nel seminario parigino di Saint Sulpice dove è ancora vivo
l’insegnamento spirituale di Olier sulla santità sacerdotale e sulla devozione
mariana. Qui vive con molto fervore, umiltà e povertà la sua preparazione al
sacerdozio che riceve il 21 dicembre 1811.
Dopo l’ordinazione il vescovo di Amiens gli offre la possibilità di diventare il
suo vicario generale, ma Eugenio ha nel cuore i poveri e i giovani, per cui
preferisce dedicarsi a predicare in Provenzale ai contadini e agli artigiani, ai
domestici e ai poveri di tutte le condizioni. Fonda l’«Associazione della gioventù
cristiana»25 sotto la protezione dell’Immacolata. Chiama a raccolta tutti i giovani,
siano essi nobili, ricchi o poveri (cosa che all’inizio è guardata con diffidenza da
molte famiglie bene), causando la gelosia di qualche parroco, per unirli con
l'amore e non con il timore con l’entusiasmo e non con l’indifferenza. Il
regolamento dell’Associazione è uno splendore di fede. Invocando l’Immacolata
Concezione della Santissima Vergine, i giovani si stringono, si uniscono e si
consacrano sempre di più alla Santissima Trinità, offrendole tutto il loro essere
nelle mani della Santissima Vergine Immacolata Maria, Madre e Patrona, al cui
servizio ugualmente si votano con tutto il cuore.26 In effetti Eugenio apre per loro
un’intensa vita di preghiera, di meditazione e di letture spirituali, non priva di
belle attività come giochi, canti, passeggiate, e soprattutto serenità. Un po’ come
24
25
26
Ivi, p. 31.
Napoleone sciolse la Congregazione della gioventù di Marsiglia e vietò ogni altra
congregazione. Eugenio lancia allora questa nuova Congregazione Cristiana, apparentemente a
scopo ricreativo. In realtà egli vuole contrastare l’azione dell’imperatore che mira a
demoralizzare i giovani.
F. CIARDI, Eugenio de Mazenod, un carisma di missione e di comunione, cit., p. 82.
29
accadeva a Filippo Neri e ai suoi giovani nella Roma tardo-rinascimentale. I
ragazzi non si annoiavano, ma erano conquistati dal giovane sacerdote che viveva
sul serio la sua fede.
Intanto Eugenio, fedele al suo programma pastorale, si prodiga anche nella
cura dei carcerati fino all’estremo delle forze cadendo in preda del tifo contagiato
dai prigionieri austriaci rinchiusi nelle prigioni di Aix. Eugenio è in fin di vita ma
la preghiera incessante dei suoi giovani ottiene la grazia della guarigione, alla
quale succede un periodo di convalescenza e di ripensamento, nel quale matura
l’idea di farsi aiutare da altri sacerdoti nella predicazione ai poveri delle campagne
della Provenza e nella formazione dei giovani. La malattia gli aveva fatto capire la
fragilità del suo lavoro. Se fosse morto, tutto ciò a cui aveva dato inizio sarebbe
scomparso con lui. L’idea che lo prende è quella di vivere in comunità
camminando uniti sulle orme degli apostoli e dei primi cristiani. Occorre a questo
scopo scegliere uomini che si dedichino a vivere interamente al servizio di Cristo
lasciando ogni vantaggio umano. Si rivolge così a padre Tempier27, vicario
generale ad Arles, scrivendogli una lettera che tocca il cuore di questi che,
condividendo pienamente i sentimenti e le prospettive del giovane de Mazenod,
accetta senza tergiversare la sua proposta:
«Caro amico, leggete questa lettera ai piedi del crocifisso, nella disposizione di
ascoltare solo Dio, ciò che l’interesse della sua Gloria e la salvezza delle anime
esigono da un sacerdote come voi. Fate tacere la cupidigia, l’amore degli agi e delle
comodità; compenetratevi nella situazione degli abitanti delle nostre campagne, del
loro stato religioso, dell’apostasia che si propaga ogni giorno di più e che fa terribili
devastazioni. Osservate la debolezza dei mezzi opposti fino ad oggi a questo diluvio di
mali; interrogate il vostro cuore su ciò che vorrebbe fare per rimediare a questi disastri
e, dopo, rispondete alla mia lettera. Ebbene, mio caro, senza entrare in maggiori
dettagli, vi dico che siete necessario per l’opera che il Signore ci ha ispirato di iniziare.
Poiché il Capo della Chiesa è persuaso che nell’infelice stato in cui versa la Francia,
27
Padre Francesco TEMPIER faceva apostolato ad Arles nella diocesi di Aix, quando nel 1815
ricevette l’invito di far parte dei Missionari di Provenza. Di estrazione contadina, aveva
superato la via crucis della rivoluzione: un animo convinto, aperto allo Spirito, capace di
arrivare a Dio. Diventerà, nel gruppo dei Missionari di Provenza, amministratore, maestro dei
novizi, direttore spirituale di Eugenio oltre che suo confidente.
30
solo le missioni possono ricondurre la gente alla fede che, di fatto è stata abbandonata,
alcuni ecclesiastici di differenti diocesi si riuniscono per assecondare le vedute del
Pastore Supremo. Abbiamo sentito anche noi la necessità di impiegare questo rimedio
nelle nostre contrade e, pieni di fiducia nella bontà della Provvidenza, abbiamo posto i
fondamenti di una fondazione che fornirà abitualmente ferventi missionari alle nostre
campagne. Si impegneranno incessantemente a distruggere l’opera del demonio e
contemporaneamente daranno l’esempio di una vita veramente ecclesiastica nella
comunità che formeranno … La felicità ci attende in questa santa Società che avrà un
cuor solo e un’anima sola; una parte dell’anno la dedicheremo alla conversione delle
anime, un’altra al ritiro, allo studio, alla nostra santificazione … Si troveranno
facilmente Vicari che vi sostituiscano, ma non è facile trovare uomini che si dedichino
completamente e vogliano consacrarsi alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime,
senza altro guadagno sulla terra se non molte pene e tutto quello che il Salvatore ha
promesso ai suoi veri discepoli. Un vostro rifiuto sarebbe un danno incalcolabile per la
nostra opera nascente; parlo con sincerità e, dopo aver riflettuto; la vostra modestia ne
soffrirà, ma questo non ha importanza; non ho paura di aggiungere che se credessi
necessario fare un viaggio ad Arles per convincervi, lo farei volando. Tutto dipende da
questi inizi; insomma ci vuole unanimità di sentimenti, la stessa buona volontà, lo
stesso disinteresse, la stessa dedizione».28
Padre Francesco Tempier ed Eugenio sono due caratteri diversi, ma che si
completano nella ricerca di una più intensa comunione con Dio. Ad essi si
uniscono i reverendi Icard, Deblieu e Mie. Per intraprendere il suo progetto,
Eugenio chiede dei finanziamenti a dei parenti con i quali acquista la metà
dell’antico monastero delle Carmelitane di Aix, ove vi stabilisce la prima sede
della comunità:
«vivremo insieme in una casa che ho acquistato, sotto una regola che adotteremo di
comune accordo, i cui elementi coglieremo negli statuti di S. Ignazio di Loyola, di S.
Carlo per gli Oblati, di San Filippo Nari, di Vincenzo dè Paoli e del Beato Liguori».
28
29
29
E. DE MAZENOD, Lettera a padre Tempier, in AMMI, Epistolario del Beato Eugenio de
Mazenod, Lettere delle origini 1814-1826, Tipo-Litografia Istituto Anselmi, Marigliano ___
p. 40.
Ivi, p. 39.
31
Nascono così i Missionari di Provenza che il 25 gennaio 1816 firmano la
richiesta ai vicari generali di Aix per ottenere l’approvazione della loro società:
«Rev.di Vicari Generali Capitolari, i sacerdoti qui sottoscritti, vivamente colpiti dalla
pietosa situazione dei piccoli centri e dei villaggi della Provenza che hanno quasi
completamente perso la fede; avendo costatato per esperienza che l’indurimento dello
spirito e l’indifferenza di questa gente rendono insufficienti e anche inutili i soccorsi
ordinari che la vostra sollecitudine per la loro salvezza fornisce loro; essendo giunti
alla convinzione che le missioni sarebbero il solo mezzo con il quale si potrebbe
arrivare a far uscire dal loro stato di abbrutimento questa gente abbandonata;
desiderando nello stesso tempo rispondere alla vocazione che li chiama a consacrarsi a
questo difficile ministero; volendo farlo in maniera che risulti utile per loro e
vantaggioso per la gente che si propongono di evangelizzare; hanno l’onore di
domandare l’autorizzazione di unirsi ad Aix nella vecchia casa delle Carmelitane, che
uno di loro ha acquistato, per viverci in comunità sotto una regola di cui si espongono
i punti principali. Il fine di questa società non è solo quello di lavorare per la salvezza
del prossimo dedicandosi al ministero della predicazione ma ha anche come scopo
principale quello di fornire ai suoi membri il mezzo di praticare le virtù religiose per
le quali hanno un’attrattiva tale che la maggior parte di loro si sarebbe consacrata ad
osservarle per tutta la vita in qualche Ordine Religioso, se non avesse concepito la
speranza di trovare nella comunità dei missionari quegli stessi vantaggi dello stato
religioso al quale devono votarsi. Se hanno preferito formare una comunità regolare di
Missionari è per cercare di rendersi utili alla Diocesi nello stesso tempo in cui
s’impegnano per la santificazione conformemente alla loro vocazione. La loro vita
sarà dunque divisa tra preghiera, meditazione delle sante verità, pratica delle virtù
religiose, studio della Sacra Scrittura, dei Padri, della Teologia Dogmatica e Morale,
predicazione e direzione della gioventù. I missionari si divideranno in modo tale che,
mentre gli uni si eserciteranno nella comunità ad acquisire le virtù e le conoscenze
proprie di un buon missionario, gli altri percorreranno le campagne per annunciarvi la
Parola di Dio. Al ritorno dai loro impegni apostolici, rientreranno nella comunità per
riposarsi dalle loro fatiche, dedicandosi all’esercizio di un ministero meno difficile e
per prepararsi, nella meditazione e nello studio, a rendere il loro impegno pastorale più
fruttuoso per quando saranno chiamati a nuovi lavori».30
30
P. PIRAS, Un uomo ... una passione, cit., p. 44.
32
A ciò fanno seguito, il 23 ottobre 1818, la presentazione alla comunità della
prima Regola e il 1° novembre l’emissione dei primi voti.
Come si evince dalle sue stesse parole, la Regola redatta nasce anche da un
confronto con quella di altri Santi fondatori come Alfonso de’ Liguori, ma
soprattutto in un nota bene, Eugenio si lascia trasportare dalla ispirazione che lo
anima e che lo conduce a fondare un istituto completamente votato alla
evangelizzazione e alla ricostruzione, in un mondo ormai desacralizzato, della
Chiesa colpita duramente dalla persecuzione. L’opera di Dio si fa ormai sempre
più chiara, alla nuova Congregazione vanno ad associarsi anche molti degli stessi
giovani che Eugenio aveva educato nell’Associazione della Gioventù.
Cominciano così le missioni prima a Grans e poi in tanti altri piccoli o grandi
centri fino a giungere nel 1820 a Marsiglia e nella stessa Aix. Le missioni
predicate dai Missionari di Provenza raggiungono la povera gente laddove vive e
toccano il cuore. Dovunque i risultati positivi non tardano a giungere e l’alto
numero delle confessioni e conversioni è un segno tangibile del bene che le
missioni sono capaci di produrre nell’animo e nella vita di coloro che
difficilmente in altro modo avrebbero potuto essere avvicinati dalla Chiesa.
Intanto, a Marsiglia i missionari cominciano ad occuparsi delle minoranze di
immigrati e di emarginati. Un altro segno importante della Provvidenza divina,
che porterà sempre più la nascente Congregazione sotto il manto di Maria, è
l’assegnazione ai missionari dei santuari di Notre-Dame du Laus, Notre-Dame de
l’Osier e Notre-Dame des Lumières. Si fanno però sempre più forti le
preoccupazioni e le critiche di molti parroci che fanno fatica a comprendere lo
spirito e le prospettive dei nuovi missionari. La Provvidenza viene in loro
soccorso con la nomina ad Arcivescovo di Marsiglia di Fortunato de Mazenod,
zio di Eugenio. La comunità può contare in questo modo sul sostegno di un
pastore aperto ad essa e che ne potrà fare un fervido centro di apostolato per la sua
diocesi. Per Eugenio c’è presto la possibilità di essere nominato vicario generale
della sua città natale ma l’Arcivescovo di Aix torna sui suoi passi provocandogli
sofferenze e umiliazioni. Eugenio vive quella mancanza di carità e di fiducia nei
suoi confronti come una prova molto dura ma che non lo distoglie dall’amore
fedele per la Chiesa. Una nuova possibilità si apre con la sua nomina a vicario
33
generale dello zio Fortunato a Marsiglia. Eugenio chiede a padre Tempier di
diventare il secondo vicario. Queste nomine provocano però le ire del clero di Aix
e l’Arcivescovo giunge a dichiarare nulli i voti emessi dai missionari. Un’altra
notte di prova viene a oscurare il cammino dei missionari ed Eugenio si sente
colpito alle spalle non cessando però di nutrire la sua fiducia nella misericordia
del Salvatore Gesù. Così si offre come vittima spirituale a Dio per il bene della
nascente missione e si presenta all’Arcivescovo che, grazie a Dio, in
quell’incontro torna sui suoi passi. A Marsiglia Eugenio viene accolto male: è
considerato uno straniero e si maligna che abbia interessi personali. Nascono per
questo equivoci, attriti, mormorazioni, ma egli non si arrende. Ora i Missionari si
chiamano Oblati di S. Carlo, in onore del santo protettore della famiglia de
Mazenod e modello di vita sacerdotale.
Nel 1825, Eugenio rivede la Regola ma non è ancora sicuro e ha paura di
affrettare i tempi per chiedere l’approvazione pontificia. Spinto però
particolarmente da padre Albini, l’apostolo della Corsica, Eugenio si mette a
malincuore in viaggio verso Roma dove giunge il 26 novembre di quell’anno.
Nell’ottava dell’Immacolata nasce in Eugenio l’ispirazione di dare, alla nascente
Congregazione, il titolo di Missionari Oblati di Maria Immacolata che viene ben
accolta dal Papa Leone XII al punto che, nel documento di approvazione, viene
riportato come ispirazione proveniente personalmente dalla volontà del Papa. Il 17
febbraio 1826 vengono approvati l’Istituto, le Regole e le Costituzioni dei
Missionari Oblati della Santissima e Immacolata Vergine Maria. In questo modo
la speciale vocazione mariana dell’Istituto si configura con il sigillo della Chiesa.
Dopo alcuni anni, il 14 ottobre 1832, Eugenio, all’età di cinquant’anni, viene
consacrato vescovo nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale di Roma. Era un
momento difficile per lui. Prima di tutto per la salute che non era affatto buona e
che lo aveva costretto ad un anno di pausa in Svizzera, e poi perché la sua
Congregazione, gli Oblati di Maria Immacolata, non si sviluppava come lui
avrebbe voluto. Anzi, non riusciva proprio ad andare avanti. Le morti si
susseguivano a ritmo molto rapido colpendo le persone a lui più care tra gli
Oblati, le defezioni erano sempre più frequenti e, soprattutto, i giovani che
chiedevano di entrare nella Congregazione non perseveravano e rimanevano
34
sempre pochissimi a continuare la strada intrapresa e non tutti lo facevano con
l’entusiasmo e la grinta che Eugenio avrebbe voluto dai suoi figli. L’avvenimento
della nomina a vescovo si incastona inoltre in un periodo pieno di lotte contro di
lui da parte dalle fazioni anticlericali che, in Francia, avevano preso il sopravvento
nel luglio del 1830 con la presa di potere di Luigi Filippo d’Orleans. È in questo
contesto che, grazie all’operato del vecchio zio Fortunato, nel 1832, il Papa
Gregorio XVI nomina Eugenio vescovo titolare di Icosia e Visitatore Apostolico
di Tunisi e Tripoli con sede a Marsiglia.
Il governo francese si oppose alla sua nomina, in parte perché voleva abolire la
diocesi di Marsiglia, in parte perché non aveva proposto il nome di Eugenio per
l’episcopato, cosa che avveniva normalmente per i vescovi che dovevano lavorare
in Francia. La reazione anticlericale non tarda a farsi sentire montando una
vendetta fatta di calunnie e denunce che vengono inviate al governo di Parigi che,
a sua volta, ne informa il Papa. Nel luglio del 1833 Eugenio è richiamato a Roma
e sottoposto ad un duro colloquio con il Pontefice che lo accusa ingiustamente.
Per Eugenio è un’altra dura prova di umiltà e di fedeltà alla Chiesa che lo colpisce
nella sua dignità. La sua autodifesa tocca però profondamente il Papa che,
nonostante le forti pressioni ricevute da Parigi, permette il suo ritorno a Marsiglia.
Una volta ritornato, Eugenio trova però la lettera del ministro dei culti che lo priva
della cittadinanza francese e del diritto di esercitare nel Regno di Francia qualsiasi
ufficio ecclesiastico. Informatone la Segreteria di Stato vaticana ottiene di poter
ritornare a Marsiglia, ma in seguito venne consigliato di ritirasi ad Aix. Il 10
agosto 1834 Eugenio viene cancellato dalle liste elettorali e considerato uno
straniero nella sua patria. Non gli viene accordato nemmeno il permesso di
difendersi legalmente: si sente abbandonato anche dal Papa, eppure non reagisce.
Due avvenimenti vengono però a sconvolgere i piani malefici contro Eugenio.
Scampato ad un attentato, Luigi Filippo chiede ai vescovi una celebrazione di
ringraziamento e mons. Fortunato coglie l’occasione per scrivergli una calorosa
lettera. Il secondo avvenimento provvidenziale è il ritorno a Parigi, dalla Corsica,
di p. Guibert al fine di perorare la causa del seminario di Aiaccio. Ottenuta
udienza dal sovrano, senza rivelarsi come oblato, lo convince dei malintesi e delle
calunnie a danno dei de Mazenod. Eugenio viene riabilitato e, con le dimissioni
35
dello zio Fortunato a favore del nipote, la vigilia del Natale del 1837, prende
possesso della diocesi di Marsiglia. Eugenio può così continuare l’opera di
rinnovamento e di ricostruzione della diocesi marsigliese, già iniziata come
vicario generale, industriandosi contemporaneamente a proiettare in avanti la
Congregazione per la salvezza delle anime. A Marsiglia offre testimonianza di
una vita interamente spesa a favore del popolo e della Chiesa. Egli stesso esprime
i suoi sentimenti nei confronti del popolo di Marsiglia, nel corso del ritiro
spirituale di Maggio 1837, che chiamava la sua gente:
«Bisogna che mi attacchi a questo popolo come un padre ai suoi figli. Bisogna che la
mia esistenza, tutto il mio essere gli siano consacrati, che mi preoccupi solo del suo
bene, che abbai paura solo di non fare abbastanza per la sua felicità e la sua
santificazione, che abbia come unica sollecitudine quella di abbracciare tutti i suoi
interessi spirituali e anche, in qualche modo, il suo benessere temporale. Bisogna,
insomma, che mi consumi per lui disposto a sacrificare i miei agi, le mie attrattive, il
riposo, la vita stessa».31
Vive in maniera del tutto austera e non priva mai la gente, e soprattutto i
poveri, della sua paterna presenza, della sua carità e del suo conforto spirituale.
Un’opera particolare la svolge nel riformare il clero e nella promozione degli
istituti di vita religiosa. Inoltre promuove l’erezione di ventuno parrocchie e la
costruzione di trentaquattro nuove chiese, del santuario di Notre Dame de la
Garde e della nuova cattedrale. Tra le tante sue battaglie Monsignor de Mazenod
si prodiga a favore della giustizia e a difesa dei più poveri così come anche per la
libertà d’insegnamento divenuto allora monopolio statale.
Ma Eugenio non riusciva a fermarsi alla sua diocesi. Non per niente di lui si
dice che aveva un cuore grande quanto il mondo, vedeva buone tutte le occasioni
per infondere nella sua gente lo spirito missionario. In questo senso fu grande
propugnatore, anche materiale, dell’opera della Propagazione della fede. Questo
suo grande cuore gli permetteva di vedere le realtà del mondo alla luce della fede
e dar loro un senso cattolico. Basti pensare che il 27 settembre 1860, inaugurando
il palazzo della Borsa a Marsiglia, disse:
31
Ivi, p. 86.
36
«Nei disegni della Provvidenza l’estensione delle nostre relazioni commerciali è legata
all’estensione del Regno di Dio. E se ai nostri giorni, attraverso le invenzioni
moderne, Dio dà a queste relazioni uno sviluppo finora sconosciuto, è perché vuole
estendere sempre più in tutti i continenti il dominio spirituale della sua Chiesa. Questa
è, non abbiate dubbi, la ragione del progresso che stiamo ammirando».32
Un altro esempio di questo suo modo di intendere le cose lo abbiamo in un
discorso del 1848 sull’importanza delle ferrovie:
«Non crediate, signori che la ferrovia voglia solamente aggiungere nuovi vantaggi
all’esistenza materiale dei popoli. No, essa vuole riavvicinarli, mischiarli tra loro
nell’ordine materiale per unirli nell’ordine morale. Moltiplicandone, accelerandone le
mutue relazioni, si moltiplica, si accelera il movimento verso la misteriosa unità di
tutti i figli della famiglia umana sotto un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo».33
Eugenio si interessava della vita sociale e politica della sua nazione non per
fare polemiche o dettare giudizi insindacabili, ma vedendovi il mezzo attraverso il
quale il Regno di Dio poteva andare avanti.
Per questo accettò la nomina di senatore di Francia e il grado di Ufficiale della
Legion d’onore ottenuti da Luigi Napoleone. Il Senato si riuniva una volta
all’anno da Gennaio a Giugno. Eugenio non mancò mai a queste sedute: andava a
Parigi agli inizi di Gennaio, partecipando attivamente alla vita del Senato, e vi si
tratteneva fino alla Settimana Santa, che trascorreva giustamente in diocesi
Il suo spirito missionario, che gli faceva vedere il mondo e le sue realtà alla
luce di Dio, si nota in modo ancor più evidente nella spinta data alla
Congregazione verso le missioni all’estero. A cominciare dal 1841 (data di
partenza dei primi Oblati) fino alla sua morte, gli Oblati di Maria Immacolata
hanno uno sviluppo prodigioso e vanno in tutto il mondo: nel 1841 in Inghilterra
ed in Canada, nel 1847 in Sri Lanka e negli Stati Uniti, nel 1852 in Africa del Sud,
nel 1856 in Irlanda, nel 1858 in Messico, nel 1860 in Scozia:
32
33
Ivi, p. 92.
Ibidem.
37
Con tutto quello che doveva fare come faceva a seguire gli Oblati? Prima di
tutto le lettere, ne scriveva tantissime, a tutti. Restava anche in piedi la notte per
farlo:
«Non voglio dire niente di quanto magnifico sia, agli occhi della fede, il ministero che
svolgete. Bisogna risalire agli inizi del Cristianesimo per trovare qualcosa di simile.
Siete associati ad un apostolato e attraverso voi, miei cari figli, si rinnoveranno ai
nostri tempi le meraviglie operate dai primi discepoli di Gesù Cristo, attraverso voi
che la Divina Provvidenza ha scelto tanti altri per annunciare la Buona novella a tanti
che non conoscono Dio. È il vero apostolato che si rinnova ai nostri giorni.
Ringraziamo il Signore di essere stati giudicati degni di cooperarvi in modo così attivo
… Rispondete con gioia alla chiamata, siate fedeli alla vostra vocazione e contate sulle
più abbondanti benedizioni di Dio».34
Ed ancora:
«Voi uscite dal mio cuore per volare alla conquista delle anime e, possiamo ben dirlo,
delle anime più abbandonate. Non ignoro attraverso quali sacrifici, quali privazioni,
quali tormenti dovete passare per ottenere i risultati che vi proponete ed è questo che
grava sul mio cuore; ma quanto grande sarà il vostro merito davanti a Dio quando,
fedeli alla vostra vocazione, diventerete gli strumenti della sua misericordia per questi
poveri infedeli estendendo così il Regno di Gesù Cristo fino alle estremità della terra.
Non sono affatto sorpreso del fatto che le consolazioni che il Signore vi fa provare
nell’esercizio del vostro sublime ministero
vi riempiano l’anima di gioia e vi
ripaghino di tutte le pene. Quello che mi dite mi riempie di riconoscenza verso Dio e
addolcisce le pene che provo per voi che siete incessantemente nel mio pensiero e di
cui apprezzo tanto il lavoro».35
Non lesinava di rispondere a tutte le relazioni che esigeva gli venissero
mandate perché fosse informato su tutto quello che capitava nella Congregazione
che ormai era estesa in tutto il mondo. E poi giustamente, aveva portato i giovani
candidati Oblati a Marsiglia, proprio vicino al suo episcopio. Appena poteva
34
35
Ivi,. p.94.
Ibidem.
38
andava a trovarli, si fermava con loro, li conosceva tutti, uno a uno, e non voleva
che fossero ordinati sacerdoti da qualche altro Vescovo. Questo, come si può
facilmente intuire, creava un legame forte e profondo tra il padre e i figli. Un
rapporto di cui Eugenio andava fiero e a cui i suoi figli risposero sempre con
altrettanto affetto. Il loro padre, molte volte, era intransigente, non risparmiava le
critiche o anche i rimproveri. Ma quello che lo ha sempre salvato e che,
contemporaneamente, affascinava gli Oblati e chiunque lo incontrava, è stato il
suo grande cuore, pieno di un amore materno e paterno insieme, cuore missionario
aperto al mondo intero. I suoi Oblati lo capivano e lo contraccambiavano. Quando
un qualsiasi missionario passava per Marsiglia andava a trovarlo, gli confidava e
lui lo mandava in giro in tutti i paesi della sua diocesi vietandogli di predicare a
favore della propria missione. Doveva farlo solo a favore dell’Opera della
Propagazione della Fede. Come era lui voleva che fossero i suoi: non limitati a un
angolo di mondo, ma aperti, prima di tutto, a tutta la Chiesa, persone che avessero
il cuore grande quanto il mondo. Un esempio pratico può aiutare a capire il suo
modo di pensare.
Tra le molte costruzioni da lui intraprese, vi fu anche l’ingrandimento
dell’episcopio proprio per ospitare i missionari e i Vescovi di passaggio a
Marsiglia. Ma lui mantenne sempre uno stile di vita estremamente povero. Si
accontentava di una stanza e di una veste talare, non proprio nuovissima. Anzi!
Ma quando c’era di mezzo l’onore della Chiesa e delle missioni, si presentava in
pompa magna non per mettersi in mostra, ma esattamente perché era il
rappresentante di qualcosa di più grande di lui. Intanto il suo prestigio sociale ed
ecclesiastico aumentava sempre più tanto che nel 1859 l’imperatore promuove
monsignor de Mazenod al cardinalato, ma a causa dei difficili rapporti tra Santa
Sede e Napoleone III, la nomina non viene gradita. Benché il Papa Pio IX lodi
l’operato a difesa della Chiesa e della Santa sede svolto da mons. de Mazenod,
viene confermata la risoluzione di rimandare la nomina a cardinale. Per Eugenio
questa è un’altra prova che lo spinge a scegliere di essere servitore di Cristo e
della sua Chiesa ancor di più in modo del tutto gratuito. Ciò che più gli importa è
in definitiva essere riconosciuto nel suo amore fedele al Papa.
39
Un avvenimento degno di nota è la partecipazione di mons. de Mazenod alla
proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione. Egli è infatti tra i vescovi
che hanno risposto positivamente al parere richiesto dal Papa e, per l’evento, si
trova a Roma dal 27 ottobre al 30 dicembre 1854. Porta con sé, a prova della fede
della Chiesa nel Dogma dell’Immacolata, proprio i documenti rivolti agli Oblati
da parte della Santa Sede.
Eugenio de Mazenod può concludere la sua vita, spesa interamente per Cristo e
la Sua sposa la Chiesa, lasciando al mondo la sua famiglia dei Missionari Oblati
di Maria Immacolata. Di ciò egli ne è immensamente felice e muore il 21 maggio
1961, lasciando l’ultimo desiderio ai suoi figli: «Praticate bene tra voi la carità…
la carità… la carità e fuori lo zelo per la salvezza delle anime».36 Chiude così i
suoi occhi al mondo aprendoli al Cielo serenamente mentre si recita la preghiera
della Salve Regina e dando il suo ultimo respiro alle parole «O dolce Vergine
Maria».
2.2. Un uomo … l’immacolata
«… Oblati di Maria Immacolata. Ma è un biglietto per il paradiso! Come mai
non ci abbiamo pensato prima? ... Rallegriamoci dunque di portare il suo nome
e le sue insegne».37
Solo due delle tante espressioni che abbiamo trovato nelle lettere, nel diario e
negli altri scritti del fondatore dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Eppure
quando il 25 Gennaio 1816 il giovane sacerdote Eugenio de Mazenod diede inizio
al suo istituto religioso non pensò di intitolarlo alla Madonna e tanto meno
all’Immacolata. La prima denominazione fu, come vedremo, Missionari di
Provenza. Successivamente divennero Oblati di San Carlo, in seguito alla
devozione a San Carlo Borromeo. Questo sta a dimostrare forse che il nome di
Oblati di Maria Immacolata, scelto personalmente da Eugenio a Roma nel
36
37
S. CALABRESE, Eugenio de Mazenod, Un uomo ... una storia, in P. PIRAS, Un uomo ... una
passione. Evangelizzare, cit., p. 4.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 254.
40
dicembre del 1825, senza farne parola neppure al suo confidente più intimo, padre
Tempier, deve avere qualche attinenza col carisma di cui fu depositario. È infatti
incontestabile che la devozione di Eugenio all’Immacolata non comincia con la
scoperta di questo nome, scelta che non fu per lui una questione devozionale, ma
molto di più. È quanto ci interessa scoprire, anche se in breve, dagli indizi che lui
stesso ci ha lasciato nella sua vita.
Che Sant'Eugenio de Mazenod abbia avuto una grande devozione per la
Madonna, è facilmente verificabile leggendo tutto quello che egli, nella sua lunga
vita, scrisse e fece per onorare la Madre di Dio. Oggi sicuramente possiamo
affermare che la sua pietà mariale sia non solo caratterizzata dal mistero
dell’Immacolata Concezione, ma come imperniata su di esso.
Pur tenendo presente che egli sia stato il Fondatore di una congregazione
consacrata a Maria Immacolata, si potrebbe, a prima vista, credere che il posto che
la Madonna ebbe nella sua spiritualità non sia poi tanto grande, dato che egli
diede il nome di Oblati di Maria Immacolata alla sua Congregazione, quasi per
caso, quando le Regole erano ormai completamente redatte, apportò l’unico
cambiamento, quello del titolo.
Però, un simile giudizio indica una conoscenza molto superficiale dell’anima di
colui che fu un grande Servo di Maria Immacolata.
Percorrendo la sua vita ci si convince che veramente il dogma dell’Immacolata
ebbe nell'anima di Sant'Eugenio un posto eminente, fin dalla sua gioventù.
Esamineremo lo sviluppo della sua pietà mariale, fino al giorno in cui, tutti gli
elementi si approfondiscono e si sintetizzano in una oblazione totale a Maria
Immacolata. Oblazione vissuta pienamente per tutta la durata della sua vita e che
gli recò, verso la fine dei suoi giorni, la gioia di vedere la sua pietà mariale
confermata dal vicario di Cristo, con la definizione dogmatica dell’Immacolata
Concezione, evento a cui ebbe pure la ventura di assistere.
Il particolare rapporto di S. Eugenio verso l’Immacolata si nota subito.
Entrando nel seminario di San Sulpizio nel 1808, sulla prima pagina del suo primo
quaderno di teologia, egli scrive questa consacrazione dei suoi studi a Maria
Immacolata:
41
«Ad maiorem Dei gloriam, nec non Beatae Virginis Immaculatae. Subauspiciis
eiusdem Virginis sine labe originali conceptae, et Angeli mei Custodis, atque
Sanctorum Joseph, Caroli, Eugenii, et Aloysii Gonzagae, at aliorum, ut isti et prae istis
Mater Immaculata praesto mihi sint, in difficili studio rum curriculo».38
Nelle parole riferite possiamo già vedere le sue devozioni preferite: San Carlo,
San Giuseppe, gli Angeli Custodi, ma soprattutto: «Prae istis Mater Immaculata».
Dobbiamo pure osservare che egli già considera Maria Immacolata come madre
(Mater Immaculata) e che a questa Madre chiede protezione, fin dall’inizio della
sua carriera ecclesiastica, come da traduzione della nota segnata a margine del
citato primo quaderno di teologia:
«A maggior gloria di Dio e della Beata Vergine Immacolata. Metto i miei studi sotto
la protezione della Vergine concepita senza peccato … e di tutti i santi, affinché essi, e
più di essi, la Madre Immacolata, mi aiutino nel difficile corso degli studi».
39
Quando poi il professore di teologia trattò la questione dell’Immacolato
concepimento di Maria e dettò agli allievi le testimonianze per provare che questa
dottrina era ormai tradizionale nella Chiesa, il seminarista Eugenio scrisse una
nota marginale, posta accanto all’argomento di tradizione dato dal professore, che
conferma la fede nella verità dell’universale credenza dell’Immacolata
Concezione. Essa recita:
«L’Arcivescovo di Palermo e tutte le autorità della città rinnovano ogni anno il
giuramento di versare fino all’ultima goccia di sangue per la difesa di questa verità ».
38
39
40
40
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», Maison Provinciale Montréal Canada 1955, Tome quatorziéme, p. 27.
A. DI BENEDETTO, Un uomo ... l’Immacolata, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione.
Evangelizzare, Editrice Missionari O.M.I., Roma 1995, p. 115.
Ibidem.
42
Si tratta del voto detto «sanguinario», di cui allora si parlava molto, soprattutto
a seguito di una controversia nata fra il Muratori e Sant’Alfonso Maria dei
Liguori.41
È probabile che il giovane Eugenio conoscesse questo anche prima di essere
stato a Palermo, poiché suo zio Fortunato42 in una lettera così recita:
«Tutti gli anni, il giorno dell’Immacolata, non dimenticava mai di rinnovare il
giuramento, fatto alla Sorbona, di professare fino alla morte, e anche in pericolo della
vita, la dottrina dell’Immacolata Concezione».43
In realtà, sembra che il Mazenod non l’abbia fatto, ma ciò non smentisce il
fatto che egli sia stato, tutta la vita, un difensore energico del grande privilegio di
Maria.
Gli studi mariologici presso il seminario, uniti allo spirito di San Sulpizio, dove
si onorava grandemente l’Immacolata, aumentarono la sua devozione verso il
mistero di Maria, anche se già da prima egli aveva nel suo cuore l’amore per
Maria Immacolata. Nelle sue note spirituali al tempo del seminario elenca tra i
giorni di speciale digiuno, scelti liberamente, la vigilia dell’Immacolata
41
42
43
Il Voto del sangue «Votum sanguinis» è certamente una delle più significative espressioni della
fede e della pietà, dell'amore e dello zelo dei Cattolici per l'augusto mistero dell'Immacolata
Concezione di Maria. Esso fu un baluardo inespugnabile della verità immacolatistica e, al
tempo stesso, fonte d'innumerevoli stampe, manoscritti, orazioni, conferenze, manifestazioni,
celebrazioni ed esercizi di devozioni in favore della Vergine Tutta Pura, per cui si accrebbe ed
affermò la convinzione e l'entusiasmo per il grande primo Privilegio di Maria da dar vita e
titolo dell'Immacolata Concezione ad Istituzioni religiose, civili, militari e cavalleresche.
Determinare l'epoca precisa, in cui ebbe origine l'emissione del «Votum sanguinis», pare
impossibile, perché le numerose audacie dei devoti figli di Maria Immacolata sfuggono spesso
alle indagini e al dominio della storia. Per vero il semplice voto o giuramento, o l'uno e l'altro
insieme per la difesa dell'Immacolata Concezione di Maria, è antichissimo e si avvicina al più
glande difensore dell'Immacolata: Duns Scoto. Da più parti si pensa che lo stesso Dottor Sottile
l'abbia emesso, riflettendo sulla sapienza e sullo zelo con cui difese l'Immacolata Concezione
contro i dottori massimi del tempo, decisamente avversi.
Ibidem.
J . MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle»,cit., p. 27.
43
Concezione troviamo la seguente citazione: «Giorni di digiuno approvati dal mio
direttore: … Vigilia dell’Immacolata Concezione». 44
L’Otto dicembre 1808 scrive alla sorella Eugenia:
«Devo correre a San Sulpizio, dove festeggiamo con grandissima solennità la festa
dell’Immacolata Concezione … Addio, ti abbraccio e ti raccomando la devozione alla
Vergine concepita senza macchia di peccato».45
2.3. Primo apostolato e Congregazione della gioventù
Arrivando ad Aix, il giovane sacerdote, Eugenio, comincia un vero apostolato
dell’Immacolata. Nel 1813 fonda la Congregazione della gioventù cristiana, che
raccolse, nelle sue file, folti gruppi di giovani, superando il numero di trecento. A
questa gioventù diede per Madre e Patrona Maria Immacolata, perché li educasse
nella purezza e li conservasse lontani da ogni macchia di peccato. In occasione
dell’aggregazione dei membri all’associazione, compose un atto di consacrazione
all’Immacolata che comincia dicendo:
«Noi sottoscritti, membri della Congregazione Cristiana, stabilita ad Aix, sotto
l’invocazione dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria … ci
consacriamo per sempre alla Santissima Trinità, a cui offriamo quest’omaggio che le
facciamo di tutto l’essere, per le mani della Santissima e Immacolata Vergine Maria,
nostra Madre e Patrona, al servizio della quale di tutto cuore ci consacriamo». 46
Il Mazenod, come capo dell’Associazione, si offre a Dio «per le mani della
Santissima ed Immacolata Vergine Maria, nostra Madre e Patrona». L'Immacolata
Madre e Patrona è considerata qual Mediatrice, che presenta a Dio la sua offerta e
quella di tutti i congregati:
44
45
46
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 27
Ibidem.
Ivi, p. 28.
44
«Ci consacriamo per sempre alla Santissima Trinità, a cui offriamo questo omaggio …
per le mani della Santissima e Immacolata Vergine Maria».
Lo stemma dell'Associazione era l’Immacolata, come dice Padre Lamblin:
«il sigillo che si apponeva sui fogli della missione di ogni congregato riproduceva
sulla cera una bella immagine di Maria Immacolata … circondata da raggi e colla
fronte coronata di stelle».47
Sant'Eugenio dava ai suoi giovani una formazione mariana, ma soprattutto
inculcava loro l’amore per Maria Immacolata, faceva celebrare la festa
dell’Immacolata come patronale, con grande solennità e con l'ottava.
Dopo aver ottenuto da Roma delle indulgenze per la sua Associazione, e
dall’Autorità Diocesana l’approvazione, ne volle celebrare l’erezione canonica, il
21 novembre 1814, giorno in cui, nella diocesi Aix, ricorreva la festa
dell’Immacolata. La Congregazione della gioventù fondata da Sant'Eugenio
nasceva così ufficialmente nella Chiesa in un giorno consacrato a Maria
Immacolata. L’anno seguente, detta Associazione acquista la Chiesa della
Carmelitane, ove stabilisce la sua sede definitiva. La Chiesa fu aperta al pubblico
nella festa dell’Immacolata Concezione del 21 novembre 1815, e da allora
divenne il luogo dove lo zelo del Servo di Dio predicava la devozione a Maria
Immacolata, sia ai Congreganisti che ai fedeli. La prima festa patronale della
chiesa fu quella della Immacolata Concezione, seguita da quelle di S. Alfonso
Maria dei Liguori e di Luigi Gonzaga.48
Gli esercizi di pietà della Congregazione della gioventù e del popolo si
chiudevano sempre con un canto in provenzale, che era una professione di fede e
una lode a Maria Immacolata: «Lodato sia Gesù Cristo e Maria sempre
Immacolata, sia pure lodata eternamente».49
47
48
49
Ibidem.
Ivi, p.29.
Ibidem.
45
2.4. La fondazione della Congregazione
Quando all’inizio del 1816, Sant'Eugenio de Mazenod divenne fondatore di
una piccola Società di Missionari e cominciò a predicare ed evangelizzare i
villaggi della Provenza, faceva chiudere gli esercizi delle missioni con la
medesima acclamazione a Maria Immacolata. Padre Lamblin, che scriveva nel
1904, poteva affermare:
«Oggi ancora in varie Parrocchie evangelizzate dal P. De Mazenod, e particolarmente
a Mouries, questa medesima preghiera è ripetuta cantando da tutta la folla, come
un’eco che si prolunga quasi da un secolo».50
Sant’Eugenio era consapevole che il canto esercita un’influenza profonda
sull’animo di tutti e particolarmente dei giovani, sicché nel 1819 fece anche
stampare una raccolta per il popolo che frequentava la sua chiesa, per le Missioni
e per la Congregazione della gioventù. In essa vi erano molti cantici alla Madonna
e parecchi riguardavano l’Immacolata. Egli faceva così invocare sull’innocenza
dei suoi Congreganisti la protezione della «Tutta pura», faceva cantare il suo
trionfo perfetto sul «peccato e su Satana» e la sua eccelsa santità che rese degna
«Madre di Dio»51. Faceva invocare Maria Immacolata come «Madre sempre
tenera verso i suoi figli», come la «piena di grazia e la speranza delle anime,
pellegrine dell’esilio verso la meta del Cielo»52. Quando nel 1820 predicò nella
grande missione di Aix, consacrò la Parrocchia del Salvatore, a lui affidata, a
Maria Immacolata. Nell’Atto di Consacrazione, stampato in foglietti appositi, le
parole: «sempre Immacolata» vennero scritti in caratteri speciali, onde attirare
l’attenzione. Un testimone oculare, che lasciò per iscritto il racconto di quanto
aveva vissuto, narrò la profonda impressione della folla nel sentire il discorso
sulla Madonna fatto da Padre de Mazenod, terminando con queste parole:
50
51
52
Ibidem.
Ivi, p.30.
Ibidem.
46
«appena il P. De Mazenod, ancora sul pulpito, ci chiese di fare ad alta voce la
professione della nostra fede, con voce unanime, noi proclamammo Maria Madre di
Dio e Vergine Immacolata».53
Sant’Eugenio de Mazenod non voleva essere il solo a glorificare questa
prerogativa di Maria e domandò nella Regola, composta per i suoi primi
compagni di apostolato, che anch’essi predicassero le grandezze dell’Immacolata.
Nel secondo manoscritto delle Regole, che è certamente anteriore al 1821, si legge
questa prescrizione:
«I missionari non tralasceranno alcun mezzo, per portare i fedeli alla più grande
devozione e ad una fiducia illimitata verso la Vergine Immacolata e Santissima Madre
di Dio».54
È la prima prescrizione della Regola riguardante l’Immacolata, rimanda ai
primi tempi della Fondazione ed è dotata di una singolare energia: «… alla più
grande devozione … ad una fiducia illimitata», tre anni dopo questa frase era
tradotta in latino «Omnem novabunt operam, quo populi Immaculatam
Santissimamque Dei param, ferventius fiducialisque colant». La traduzione non
attenua per nulla la forza della prescrizione: «Omnem novabunt operam».
2.5. Erezione della statua dell’Immacolata
Nel 1822 S. Eugenio volle elevare un trono a Colei che egli chiamava «La cara
Madre della missione»55, per cui cercò una statua dell’Immacolata e la pose nel
coro della chiesa della Missione. Il 15 agosto la benedì dinanzi ad una numerosa
assistenza di fedeli e congregazionisti. Ai piedi della statua, si abbandonò spesso a
lunghe orazioni, sicché essa divenne uno dei più preziosi ricordi delle origini della
53
54
55
Ibidem.
Ivi, p.31.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Mye, Aix, ottobre 1818, in AMMI, Epistolario del Beato
Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola Tipo-Litografica Istituto
Anselmi, Marigliano, 1991, p. 77.
47
Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata. Oggi detta statua è posta
sull’altare maggiore della cappella della casa generalizia di Roma, dove troneggia
come la regina di tutta la Congregazione sparsa nel mondo intero. La tradizione
orale, riportata dal P. Bonnard, dal P. Lamblin, da P. Rey e da molti altri , dice che
la Vergine Immacolata, la sera di quel medesimo giorno 15 agosto 1822, avrebbe
dato al Padre De Mazenod, in preghiera dinanzi ad essa, dei segni sensibili di
approvazione, per la nuova Società da lui fondata, inclinandosi verso il suo Servo.
Padre Lamblin afferma che il P. Bonnard ha vissuto con tutti i padri anziani,
soprattutto col Padre Coutes ed aggiunge:
«Io pure ho vissuto con tutti i primi Padri, li ho interrogati, ed essi hanno tutti
confermato il fatto».56
A prescindere da questa affermazione straordinaria, è certo che pregando
dinanzi alla statua dell'Immacolata, proprio in quella sera il Fondatore ebbe delle
intuizioni soprannaturali, e dei lumi sull’avvenire della sua Congregazione, sulle
benedizioni che la Vergine Immacolata avrebbe versato su di essa. Egli stesso
infatti così scrisse quel medesimo giorno al P.Tempier, suo confidente intimo e
suo direttore.
«Mio carissimo e ottimo fratello, la funzione è finita, in casa regna il silenzio rotto
appena dal suono lontano di una campana che annunzia l’uscita della processione
solenne. Contento dell’omaggio sincero reso alla nostra Madre buona ai piedi della
statua collocata in suo ricordo nella nostra chiesa, lascio ad altri la cura di onorarla con
la pompa esterna di una sfilata che non offrirebbe nulla di edificante alla mia
devozione, forse troppo esigente. Questo tempo, mio carissimo amico, sia utilizzato
per ritrovarci insieme nelle dolci effusioni dei nostri cuori. Come posso io
comunicarvi tutta l’intima consolazione che ho sentito in questo bel giorno consacrato
a Maria nostra Regina! Non avevo più da lungo tempo sentito tanta gioia nel parlare
delle sue grandezze ed esortare i fedeli a mettere in Lei tutta la loro fiducia, come
stamattina, durante l’istruzione fatta alla Congregazione. Spero di essere stato
compreso e questa sera ho creduto di accorgermi che tutti i fedeli, che frequentavano
56
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 32.
48
la nostra chiesa, hanno condiviso il fervore che ci ispirava la vista dell’immagine di
Maria Santissima e, più ancora le grazie che essa ci otteneva dal suo divin Figlio,
mentre noi la invocavamo con tanto affetto, poiché essa è la Madre Nostra. Io credo
dover a lei un altro sentimento che ho provato oggi, non dico più che mai, ma
certamente più che ordinariamente. Non posso definirlo bene, poiché racchiude molte
cose che riguardano un medesimo oggetto: la nostra cara Società. Mi sembrava di
vedere e quasi toccare con dito che racchiudeva il germe di grandi virtù e che potrebbe
operare un bene infinito. La trovavo buona, tutto mi piaceva di essa, le Regole, gli
statuti, il suo ministero mi sembrava sublime, come lo è in effetti. Trovavo nel suo
seno dei mezzi certi di salvezza, anzi infallibili, tali quali si presentavano a me. Un
solo soggetto di dolore veniva a temperare e quasi smorzare interamente la gioia alla
quale mi sarei volentieri abbandonato, e questo soggetto ero io. Mi sono visto come il
solo e vero ostacolo al grande bene che potrebbe operarsi; vedo soltanto in confuso
quel che dovrei fare per essere utile alla Società e alla Chiesa».57
È dunque chiaro che pregando ai piedi di questa statua della Vergine
Immacolata, il Fondatore degli Oblati ebbe l’intuizione soprannaturale delle
grazie immense che questa Vergine avrebbe riversato, come una Madre, sulla
società nascente. Egli parla infatti del «fervore che ci ispirava la vista
dell’immagine di Maria Santissima e, più ancora, le grazie che Essa ci otteneva
dal suo Divin Figlio … poiché essa è Madre nostra». Ed è all’intercessione di
questa Madre Immacolata che egli attribuisce le intuizioni che aveva sulla
Congregazione: «Io credo dovere a lei un altro sentimento che ho provato oggi,
che racchiude molte cose che riguardano … la nostra cara Società».
2.6. Oblato di Maria Immacolata
Passano tre anni e nel novembre del 1825, il P. De Mazenod parte per Roma,
per chiedere ed ottenere dal Vicario di Cristo l’approvazione dell’Istituto,
pregando tutte le mattine, durante l'ottava dell'Immacolata, per questa intenzione.
57
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a N.D. du Laus, Aix, 15 agosto 1822, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 119.
49
Dopo aver tanto pregato Maria Santissima, nella memorabile udienza del 20
dicembre, si presentò a Leone XII e chiese il cambiamento del nome da Oblati di
San Carlo in quello di Oblati di Maria Immacolata. Successivamente, il 22
dicembre, avendo ormai da Monsignor Adinolfi l’assicurazione che il Papa era
molto favorevole alle sue richieste, esultante di gioia scrive al P. Tempier:
«Soprattutto rinnoviamoci nella devozione alla Vergine Santissima, per renderci degni
di essere gli Oblati di Maria Immacolata. Ma è un passaporto per il cielo! Come mai
non ci abbiamo pensato prima? Bisogna confessare che sarà glorioso e consolante per
noi di esserLe consacrati in modo speciale e di portare il suo nome … Questo nome
soddisfa il cuore e l’orecchio».58
Tre mesi dopo, quando il Papa ebbe definitivamente approvato questo titolo,
scrive al P. Tempier, in data 20 Marzo 1826:
«Potessimo noi comprendere bene quello che siamo. Io spero che il Signore ce ne farà
la grazia, con l’assistenza e la protezione della nostra Santa Madre, Maria Immacolata,
verso la quale noi dobbiamo avere una grande devozione nella nostra Congregazione.
Non vi sembra forse che sia un segno di predestinazione portare il nome di oblato di
Maria, cioè: consacrato a Dio, sotto gli auspici di Maria, di cui la Congregazione porta
il nome, come un nome di famiglia, che le è comune colla Vergine Santissima e
Immacolata Madre di Dio?».
59
Il tenore di dette lettere mostra l’importanza che Padre de Mazenod dà al
cambiamento del nome per la sua Congregazione e per lui stesso. È un
avvenimento saliente, una tappa fondamentale per la sua vita spirituale e per la
sua Congregazione, basta leggere quello che egli stesso disse a Marsiglia, alla
fine del Capitolo Generale del 1826, quando annunziò ufficialmente alla
Congregazione il cambiamento del titolo:
58
59
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, cit. p. 245.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 20 marzo 1826, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 328.
50
«Questo costituisce il felice inizio di un’era nuova per la Congregazione. Dio ha
ratificato i progetti che noi avevamo formato per la sua gloria, ha benedetto i legami
che ci uniscono, d’ora in poi combatteremo i nemici del Cielo sotto uno stendardo che
ci è proprio e che la Chiesa ci ha dato, sopra questo stendardo brilla il nome glorioso
della Santissima e Immacolata Vergine Maria, questo nome è divenuto il nostro,
poiché è alla Vergine Santissima che siamo consacrati, noi siamo più specialmente i
suoi figli, e la sua protezione sopra di noi, oggi sì visibile, lo sarà ancora più in
avvenire, se saremo degni di una tale Madre».60
Come mai il semplice fatto di aver preso il nome di Oblato di Maria
Immacolata ha potuto avere per l’anima del Servo di Dio, un rilievo che si
potrebbe dare, non ad una questione di nome, ma ad un avvenimento di
importanza fondamentale, che cambia tutto l’avvenire della sua vita e della sua
Congregazione?
Sicuramente la ragione è che un’evoluzione profonda avviene nella sua anima
da quando pensa di chiedere al Papa il cambiamento del nome. Pregando,
meditando, durante l’Ottava dell’Immacolata egli aveva scoperto, in questo nuovo
titolo, delle ricchezze nascoste, che si presentavano alla sua anima nella chiarezza
di un’illuminazione soprannaturale. È facile immaginare quanto questa luce
colpiva Sant’Eugenio, ripensando alla sua esclamazione: «Come mai non ci
abbiamo pensato prima?»61 E si rimproverava questa dimenticanza come colpa
quando affermava: «Noi facevamo torto alla nostra Madre, alla nostra Regina, a
colei che ci protegge».62 Maria Immacolata era stata fino allora la Madre delle
Missioni ed il P. de Mazenod Le aveva eretto un trono nella sua chiesa. Essa
aveva sempre protetto la Società nascente e doveva quindi essere insignita
ufficialmente come la Protettrice e la Titolare della nuova Società.
In realtà però, tutto quello che il titolo di Oblato di Maria Immacolata
esprimeva, superava di gran lunga ciò che fino allora la Vergine Immacolata era
60
61
62
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 34.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 245.
Ibidem.
51
stata per lui e la sua Società; le sue relazioni e quelle dei suoi confratelli con
Maria, divenivano più intimi, più profonde, creavano una realtà nuova nelle loro
anime; essi ormai appartenevano totalmente a Maria Immacolata. Non solamente
il P. De Mazenod ma pure i suoi compagni avevano compreso le nuove grandezze
della loro vocazione. Egli scriveva, infatti, al P.Tempier in data 20 marzo 1826:
«Avete ben ragione di dire che vi sembrava a tutti di essere divenuti altri uomini;
difatti è proprio così. Potessimo comprendere appieno chi noi siamo! Spero che il
Signore ce ne darà la grazia, assistiti e protetti dalla nostra Santa Madre, Maria
Immacolata, verso la quale è necessario avere nella Congregazione una grande
devozione. Non vi sembra un segno di predestinazione avere il nome di Oblati di
Maria, cioè consacrati a Dio sotto la protezione di Maria, di cui la Congregazione
porta il nome, come un nome di famiglia che divide con la Santissima e Immacolata
Madre di Dio? C’è da provocare gelosie; ma è stata la Chiesa a darci questo titolo e
noi lo accogliamo con rispetto, amore e riconoscenza, fieri della nostra dignità e dei
diritti acquisiti alla protezione di Colei che è onnipotente presso Dio. Affrettiamoci a
qualificarci con questo nome ogni volta che la prudenza lo permetterà: vi incarico di
renderlo noto fra voi».63
Fino ad allora egli aveva voluto soltanto fondare una Società di missionari per
salvare le anime più abbandonate, abbiamo visto che egli aveva sicuramente per la
Vergine Maria una devozione profonda, ne era da tempo l’apostolo, tanto da
chiedere ai suoi compagni di apostolato di essere anch’essi i propagatori delle
glorie dell’Immacolata e di condurre a Lei le anime, ma questo apostolato mariano
non era lo scopo dell’Istituto, era semplicemente un effetto del grande amore che
Sant'Eugenio nutriva per Maria Immacolata, non rientrando nel fine dell’Istituto.
Adesso una vera rivoluzione si opera nel pensiero e nell’opera del P. de
Mazenod, la Vergine Immacolata prende possesso totale della sua persona e della
sua opera, gli Oblati di San Carlo, divengono gli Oblati di Maria Immacolata, e
lui, il primo oblato, l’autore di questo cambiamento ne prova per primo la realtà,
in una ricca esperienza interiore.
63
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 20 marzo 1826, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 328.
52
2.7. L’Oblazione
Per comprendere pienamente che cosa significa per Sant'Eugenio de Mazenod
essere un Oblato di Maria Immacolata, bisogna comprendere quello che voleva
dire per lui la parola Oblazione.
Oblazione per lui fino ad allora era stata donazione di tutto se stesso a Dio,
consacrarsi totalmente al suo servizio e alla salvezza delle anime. Basta ricordare
quanto egli aveva scritto a proposito del voto di obbedienza insieme al P. Tempier
il giovedì Santo del 1816:
«Essendoci messi sotto l'impalcatura del bel sepolcro che avevamo eletto sull’altare
maggiore della chiesa della Missione, nella notte di questo santo giorno, noi facemmo
i voti con indicibile gioia. Durante tutta questa bella notte gustammo la nostra felicità,
in presenza di nostro Signore, ai piedi del magnifico trono, nel quale l'avevano
deposto, nella messa dei presantificati dell'indomani, e noi pregammo il Divin Maestro
... di far comprendere ai nostri compagni presenti, e a coloro che nell'avvenire si
sarebbero associati a noi, il valore di questa oblazione di tutto sé stesso, fatta a Dio,
quando si voleva servire unicamente Lui, e consacrare la propria vita alla
propagazione del suo santo Vangelo, e alla conversione delle anime». 64
In questa idea di oblazione troviamo uno dei motivi fondamentali della
spiritualità di Monsignor de Mazenod. È questa idea di oblazione, profondamente
radicata nell'anima del giovane fondatore, che gli fa dare il nome ai voti privati
fatti scambievolmente con P. Tempier il giovedì Santo 1816. È questa idea di
oblazione che volle consacrare nelle Regole, fin dal primo manoscritto del 1818,
allorquando la Società si chiamava ancora dei Missionari di Provenza, scrisse
come titolo, sul paragrafo della professione: De l'Oblation è quando parla della
formula dei voti dice: «Il novizio proferirà ad alta voce la formula della sua
oblazione».65
64
65
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 36.
Ivi, p. 37.
53
È questa idea di Oblazione, che dopo essere stata vissuta dall'anima ardente del
Servo di Dio, dopo essere stata consacrata nella Regola, dopo aver dato il nome ai
voti del P. de Mazenod e dei suoi compagni, finisce per invadere tutto, dando il
nome non soltanto ai voti ma pure alle persone e alla Società intera, come per
caratterizzare non solamente un atto della loro vita, ma le loro stesse persone, tutta
la loro vita e la loro missione nella Chiesa.
Affinché questa Oblazione si imprima profondamente nell'anima dei suoi
compagni presenti e futuri, il P. de Mazenod prega nella notte memorabile del
giovedì Santo 1816:
«Noi pregammo il Divin Maestro ... di far comprendere ai nostri compagni presenti e a
coloro che nell'avvenire si sarebbero associati a noi, il valore di questa Oblazione di
tutto se stesso, fatta a Dio, quando si voleva servire unicamente Lui, e consacrare la
propria vita alla propagazione del suo Santo Vangelo e alla conversione delle
anime».66
Esaminando questo testo dobbiamo concludere che la parola Oblazione,
prendeva nell'anima del P. de Mazenod, il senso determinato di una donazione
totale a Dio, come mezzo per servirlo perfettamente e consacrarsi alla salvezza
delle anime.
Ecco dunque tre dati fondamentali dell'anima del giovane fondatore degli
Oblati: Oblazione, santità personale, apostolato, dati che si armonizzano
perfettamente, si completano l'un l'altro. Di essi il primo, Oblazione, è come il
centro da cui sgorgano gli altri due, Santità personale e apostolato, che se ne sono
come la conseguenza e il fine.
Ora prendendo il nome di Oblato di Maria Immacolata si produce in lui una
evoluzione importante e profonda, proprio per il fatto che la Vergine Immacolata,
entra più a fondo nella sua anima, fino a penetrare nel centro stesso di questa
Oblazione, di tutto il suo essere a Dio. Evoluzione che trasforma e arricchisce la
personalità e la spiritualità di Sant'Eugenio di tutte le ricchezze di Maria
Immacolata.
66
Ibidem.
54
Fino ad allora la Vergine Immacolata era entrata nella vita del P. de Mazenod
come una grande devozione cattolica, ma da questo momento essa penetra a fondo
nella sua anima e orienta e caratterizza la sua vita, fin nelle più intime radici del
suo essere e della sua vocazione religiosa e apostolica.
L’Oblazione che fino ad allora era per lui oblazione fatta a Dio diviene
oblazione fatta a Maria Immacolata; egli diviene così Oblato di Maria
Immacolata. Non vi è dubbio sul senso mariale che il Padre de Mazenod, da quel
giorno, diede alla sua oblazione e a quella dei suoi. Per lui l’oblazione fu sempre:
offrirsi, darsi, consacrarsi a Maria Immacolata. Egli lo fa notare ai suoi compagni
già il 22 dicembre 1825:
«Rinnoviamoci specialmente nella devozione alla Vergine SS. Per mostrarci degni di
essere Oblati di Maria Immacolata. Ma è un biglietto d’ingresso per il Paradiso! Come
mai non ci abbiamo pensato prima? Che gloria e che gioia per noi esserle consacrati in
maniera speciale e portare il suo nome! Oblati di Maria! È un nome che piace al cuore
e all’orecchio. Devo confessarvi che quando decidemmo di prendere il nome che ho
creduto di dover lasciare, ero sbalordito di sentire così poca soddisfazione e piuttosto
indifferenza, anzi una certa ripugnanza nel chiamarci con il nome di un santo, mio
speciale patrono, per il quale nutro tanta devozione. Ora me lo spiego: facevo un torto
alla madre nostra, alla nostra Regina, a colei che ci protegge e deve ottenerci tutte la
grazie di cui il suo Figliuolo l’ha fatta dispensatrice. Rallegratevi dunque di portare il
suo nome e le sue insegne».67
Poco tempo dopo diceva al Capitolo del 1826:
«Sopra questo stendardo brilla il nome glorioso della Santissima e Immacolata
Vergine Maria (…) poiché è alla Vergine Santissima che siamo consacrati».68
67
68
E.DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 254.
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 38.
55
Più tardi in una lettera pastorale del 1852 dirà ancora dei suoi Oblati che essi
sono:
«Specialmente
consacrati
nella
loro
persona
a
questa
Vergine
Immacolata».69
Allora, entrando così profondamente nell’intimo della sua anima e nella
donazione fondamentale di tutto se stesso a Dio, la Vergine Immacolata, entra in
altri due elementi fondamentali, ossia il fine e lo scopo di questa oblazione: la sua
vita religiosa e il suo apostolato. In questo modo tutta la vocazione del Padre de
Mazenod si illumina, si orienta, e si eleva al centro stesso del suo essere morale:
la sua oblazione.
2.8. L’Immacolata
Per comprendere tutto quello che significò l'essere Oblato di Maria Immacolata
per il Servo di Dio, è necessario soffermarsi non solo sulla nozione che egli si era
fatta della sua Oblazione, ma pure su quella che egli aveva della Vergine
Immacolata, poiché è dall'incontro di questi due elementi che nacque la profonda
trasformazione interiore.
Egli si chiamava già Oblato di S. Carlo, ma questo nome non avrebbe mai
potuto avere il senso profondo che aveva il nuovo titolo di Oblato di Maria
Immacolata, che superava per la grandezza dell'Immacolata, l'antico titolo, e che
ebbe delle risonanze profonde nell'anima di Sant'Eugenio, in quanto egli già aveva
una dottrina ricca, sul mistero dell'Immacolata. Se avesse avuto una dottrina
scialba ed anemica, il cambiamento del nome della Congregazione avrebbe avuto
nella sua anima ripercussioni deboli.
Qual'era il pensiero di monsignor de Mazenod, sul mistero dell'Immacolata
Concezione di Maria?
Lui stesso ci dice che aveva al riguardo una dottrina ben definita. In una lettera
del 23 marzo 1832 al P. Guiguess; parla della grandezza di San Giuseppe, il più
grande dei Santi dopo Maria Santissima; lo chiama l'Arcisanto e per questa santità
lo definisce il più grande intercessore presso Dio dopo la Vergine Maria, grazie
alla unione con la sua sposa e per mezzo di lei a Gesù:
69
Ibidem.
56
«Io credo che la sua anima sia superiore a tutte le intelligenze celesti e collocata in
cielo al di sopra di esse. In questo luogo benedetto Gesù, Maria e Giuseppe sono
inseparabili come lo erano in terra. Io credo queste cose con la fede più certa, cioè
tanto certamente, quanto io credo all'Immacolata Concezione di Maria e per le stesse
ragioni, salvando le proporzioni. Vi comunicherò inoltre un pensiero che mi è caro:
sono convintissimo che anche il corpo di San Giuseppe è già nella gloria e si trova
dove dovrà stare per sempre, come ho detto della sua anima, accanto a Gesù e a Maria:
super choros Angelorum. Infatti qui in terra cerchereste invano le sue reliquie. Non ne
trovereste più di quelle della sua Sposa Santissima. Dell’una e dell’altro non rimane
che qualche oggetto, mentre la terra è piena di reliquie degli Apostoli, di Santi
contemporanei del Salvatore, di San Giovanni Battista ecc. Mai nessuno si è sognato
di offrirne anche di false appartenute a questi due personaggi eminenti, il che penso
che sia una disposizione di Dio. Costatato il fatto voi potete dargli il valore che vi
piacerà. Per me è un confirmatur d’opinione radicatissima di cui faccio altamente
professione».70
E finisce con questa frase: «Se è cosa gradita alla vostra pietà, meditate ...
l'insieme della mia dottrina».71
Dandoci le sue convinzioni personali, il Servo di Dio ci dice che come aveva
una grande devozione a San Giuseppe, fondata su una dottrina a cui egli era
saldamente attaccato, a causa dell'unione del Santo con Maria e per mezzo di lei
con Gesù, così, anzi a maggior ragione, pensava di Maria Immacolata, a causa
della sua più grande unione a Gesù suo figlio. Unione che lo portava a credere
saldamente a questo privilegio e alle grandezze di Maria.
Come dunque la devozione a San Giuseppe fu una caratteristica della
personalità spirituale del Fondatore, a più forte ragione questo si deve dire della
sua devozione all'Immacolata.
70
71
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Guigues, a N.D. Du Laus, Marsiglia 23 marzo 1832, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 209.
Ibidem.
57
Egli aveva una veduta larga del privilegio dell'Immacolato concepimento di
Maria, che per lui non era un'astrazione, ma un privilegio concreto di una persona,
in relazione con tutti gli altri privilegi di Maria, di cui era ornata.
Ecco le parole con le quali egli spiegava il suo pensiero.
Per lui, nobile di nascita, la grazia dell'Immacolata concezione era «il titolo
originario della gloria di Maria, come il titolo di nobiltà di questa Regina di tutti
gli Angeli e di tutti i Santi»72. Era ancora: «Uno dei più bei raggi della gloria della
Madre di Dio».73
Questo raggio di gloria lo vede nelle sue relazioni con la divina maternità,
come un preludio e una preparazione ad essa:
«Mi sembra che in noi offriremo a Gesù Cristo ... adorazioni più degne di lui, se gli
facciamo l'omaggio della gloria che è stata per Maria il preludio della sua divina
Maternità».74
Egli non vedeva nell'Immacolata soltanto la Madre di Dio, ma pure la Madre
degli uomini:
«La Madre dei Cristiani fu concepita libera dal giogo del serpente ... Colei da cui noi
siamo tutti spiritualmente nati, benché figlia di Eva secondo natura, è sempre stata la
figlia di Dio secondo la grazia»75.
Perciò bisogna «salutare in questo privilegio di Maria, l'aurora della nostra
liberazione, e l'ora ineffabile in cui cominciò l'adempimento delle promesse».76
Per compiere questa missione la Vergine Immacolata deve essere riempita di
tutte le grazie:
72
73
74
75
76
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 40.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
58
«Beatissimae Virginis sine labe conceptae, quae iure merito decantatur gratia plena, et
in qua Christus Redemptor totius boni posuit plenitudinem».77
Benché Maria sia Immacolata e piena di grazia, essa è mediatrice efficace e
bisogna confidarsi alla «protezione potente dell'Immacolata e Santissima Madre di
Dio».78
È a questa Vergine Immacolata, Madre di Dio e degli uomini, mediatrice
potente e universale di tutte le grazie, che Sant'Eugenio si dava, dal momento in
cui diveniva un Oblato di Maria Immacolata. È questa Vergine Immacolata, con
tutte le sue ricchezze, che entrava nella sua vita spirituale e prendeva possesso di
tutto il suo essere, per l'oblazione di tutto se stesso a Dio, per mezzo di Maria
Immacolata.
Sarebbe errato pensare da parte nostra che questa idea larga e profonda del
mistero dell'Immacolata, la ritroviamo soltanto nei testi che riguardano l'ultima
parte della sua vita, poiché le affermazioni citate sono di quel tempo. Sicuramente
nelle espressioni dell'ultimo periodo della vita di Monsignor de Mazenod,
troviamo una pienezza di forma che non troviamo nella sua gioventù, ma è
assolutamente vero che in entrambi i periodi e sotto ambedue le forme è contenuta
la medesima dottrina.
Fin dal seminario infatti, egli scrive in margine alle note del corso teologico
queste riflessioni: «Bossuet dice che dei Dogmi di fede, egli non vede nulla di più
certo del Dogma dell'Immacolata Concezione».79
Da allora quindi il Dogma dell'Immacolata concezione non era per lui soltanto
l'esenzione dalla macchia del peccato originale, ma era pure la pienezza di grazia
e una pienezza unica, quale gli appariva nella dottrina dei Padri di cui aveva
studiato i testi.
Da sempre considerava la grazia dell'Immacolata Concezione come una grazia
vitale, che aveva delle influenze profonde nella vita della Vergine Santissima «un
seme di grazia incommensurabile, germe profondo che doveva produrre dei grandi
77
78
79
Ivi, p. 41
Ibidem.
Ibidem.
59
frutti ... una sorgente pura ed abbondante»80, da cui dovevano sgorgare infinite
grazie.
Egli
considerava
l'Immacolata
Concezione
nelle
sue
relazioni
con
l'Incarnazione e la Redenzione e scriveva:
«Noi non avremmo avuto il Salvatore, se l'odiosa supposizione dei nemici di Maria
fosse stata vera» e ripete «Noi non avremmo avuto il Salvatore, poiché mai il Verbo di
Dio, avrebbe consentito a incarnarsi nel seno profanato ... dall'odioso spirito, che
macchia per sempre, quello che cade sotto il suo potere, non fosse che per un solo
istante».81
Fin dal Seminario egli vedeva il privilegio dell'Immacolata Concezione, non
isolato, ma nell'insieme dell'economia della Redenzione; Maria Immacolata era
quella terra pura, da cui Dio ricomincia la nuova creazione soprannaturale, il
nuovo ordine del nuovo Adamo. Egli cita il testo degli atti di Sant'Andrea:
«Come il primo uomo fu fatto da una terra senza macchia, allo stesso modo era
necessario che Nostro Signore nascesse da una Vergine senza macchia».82
L'Immacolata Concezione era per lui il mezzo con il quale Dio unì a se la
natura umana di Cristo, e in questa natura, unì pure alla divinità, tutto il genere
umano. Egli cita la dottrina di Sant'Ambrogio:
«Bisogna dire a nostro Signore: suscipe me non ex Sara, sed ex Maria ... Virgo per
gratiam ab omni integra labe peccati».83
L'Immacolata è dunque Colei, nella quale e per mezzo della quale, Gesù unisce
le nostre anime a Lui. Essa è perciò trasportata al centro dell'economia redentiva,
come Madre di Dio, Madre di grazia, perfetta mediatrice, che ci unisce a Dio.
80
81
82
83
Ivi, p.42.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
60
Con un’idea così ricca e così profonda della sua oblazione religiosa ed
apostolica, con un’idea così alta dell'ufficio di Maria Immacolata, noi
comprendiamo quale sintesi feconda, dovette operarsi nell'anima del Servitore di
Maria, il giorno in cui la Chiesa sanzionò i suoi desideri, dandogli il titolo di
Oblato di Maria Immacolata e comprendiamo pure le esclamazioni di gloria che
traspaiono dalle sue lettere.
2.9. L'Immacolata Madre
Dopo aver considerato i due elementi fondamentali della spiritualità mariale di
Monsignor de Mazenod, ossia Maria Immacolata e la sua Oblazione, passiamo ad
esaminare il risultato che la sintesi profonda di questi due elementi apportò
nell'anima del Servo di Dio.
A seguito dell'Oblazione e della consacrazione, la famiglia religiosa da lui
fondata diveniva la famiglia di adozione della Vergine Immacolata che,
accettando questa medesima Oblazione, diveniva a sua volta la Madre di questa
famiglia.
Eugenio de Mazenod aveva considerato Maria Santissima come sua Madre, fin
dai primi anni, entrando in seminario aveva invocato sui suoi studi la protezione
della sua «Mater Immaculata». Giovane sacerdote aveva consacrata la gioventù
di Aix, e si era consacrato lui stesso, «all'Immacolata ... Madre e Patrona».84
Fondata la Congregazione aveva considerato Maria fin dai primi tempi come
«la cara Madre della Missione»85, come scriveva al padre Mie nel 1818. Due anni
dopo verso il 1820 aveva aggiunto nel secondo manoscritto delle Regole, la frase
grandemente cara agli Oblati: «La Vergine Santissima, alla quale i missionari
avranno una devozione particolare e che terranno sempre qual Madre», parole
tradotte nella prima edizione latina delle Regole con la frase: «dulcemque Mariam
peculiari prosequentur devotionis affectu, ac in Matrem semper habebunt».86
84
85
86
Ivi, p.43.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Mye, Aix ottobre 1818, in AMMI, Epistolario del Beato Eugenio
De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola Tipo-Litografica Istituto Anselmi,
Marigliano, 1991, p.77.
Ibidem.
61
Egli aveva dunque un grande sentimento della maternità di Maria ma, per
quanto vivo e profondo, al momento in cui prende il titolo di Oblato di Maria
Immacolata, detto sentimento si precisa e si approfondisce ancor più. D'ora in poi,
infatti, non sarà più la Vergine in modo generico ma la Vergine Immacolata, che
considererà Madre per sé e per la sua Congregazione, a seguito della donazione
totale di se e dei suoi fatta all'Immacolata al cospetto della Chiesa e sancita dalla
sua autorità.
A conferma di ciò vi sono numerosi testi quanto mai chiari.
Il 20 marzo 1826, per esempio, Sant’Eugenio scrive al Padre Tempier
affermando: «La nostra Santa Madre Maria Immacolata, per la quale bisogna che
noi abbiamo una grande devozione nella nostra Congregazione».87 Sotto la sua
penna troviamo spesso il termine di Madre dato a Maria, unito a quello di
Immacolata e sempre con espressione di grande affetto filiale. Egli scrive al P.
Riccardo, mandandolo nell'Oregon, il 22 gennaio 1847: «assidua vos protectione
custodiat Sanctissima et Immaculata Virgine Maria, Mater nostra amatissima».88
Al P. Semeria che inviava a Celion diceva il 21 ottobre 1847: «assidua vos
protectione custodiat Sanctissima et Immaculata Virgo Maria, provida nobis
Mater».89
Nel 1850 scriveva a tutta la Congregazione «Auspice benignissima et
Sanctissima Virgine Maria sine labe concepta Matre nostra»90, e nella stessa
lettera esortava gli Oblati a restare «Sub alis amatissimae omnium nostrum
Parentis Immacultae».91
Questa maternità di Maria Immacolata presso gli Oblati era dunque ben
caratterizzata nel pensiero di Sant'Eugenio de Mazenod. Essa non era solamente
prerogativa fondamentale ma era anche ufficiale poiché è la stessa Chiesa che dà
questo titolo alla Società.
87
88
89
90
91
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 20 marzo 1826, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 328.
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 44.
Ibidem.
Ibidem.
Ivi, p.45.
62
Infine questa maternità dell'Immacolata, gli sembrava una maternità di
predilezione, pensava che essendo stata effettuata per una libera accettazione della
Vergine Immacolata, ciò era indice di una scelta materna verso i nuovi figli
adottivi, sicché la sua famiglia religiosa oblata diveniva «la famiglia di
predilezione della Vergine Santissima».92
Un’idea cara a Sant’Eugenio de Mazenod era pure che la Vergine Immacolata,
avendo adottato la sua società, aveva dato a questa famiglia il suo nome, come la
madre fa con i suoi figli. Questo pensiero ritorna spesso sotto la sua penna, infatti
ripete sovente la sua gioia di portare il nome di Maria Immacolata.
Il 22 dicembre 1825 scriveva: «Sarà glorioso e consolante per noi ... portare il
suo nome ... felicitiamo dunque di portare il suo nome e la sua livrea».93 E il 20
marzo 1826: «Oblato di Maria ... la Congregazione porta il nome come un nome
di famiglia».94
Ma più ancora che portare il nome della Vergine Immacolata, quel che
procurava una grande gioia al P. de Mazenod, era il pensiero che la Vergine
Immacolata, divenuta sua madre e la madre della sua Congregazione, era pure
l'Immacolata Madre di Dio, con tutte le grandezze della divina maternità. Nel
pensiero del nostro, la maternità divina, la maternità spirituale di Maria e
l'Immacolata Concezione erano strettamente legate, non venivano da lui separate
ma piuttosto spontaneamente associate. Il 20 marzo 1826 egli scriveva ai suoi
Padri: «La Congregazione porta ... un nome di famiglia, che le è comune con la
Santa e Immacolata Madre di Dio».95
Più tardi ripeterà ancora la sua gioia da Roma, dove assisteva alla
proclamazione del Dogma dell'Immacolata Concezione: «La Vergine Immacolata,
la Santa Madre di Dio, la nostra più particolarmente. Quale gioia».96
92
93
94
95
96
Ibidem.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 245.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 20 marzo 1826, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 328.
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 45.
Ibidem.
63
Come avrebbe mai potuto separare la grazia dell'Immacolata da quella della
Maternità divina, quando egli aveva scritto: «La grandezza della Vergine
Santissima consiste soprattutto nella sua dignità dei Madre di Dio, ecco il motivo
di tutte le prerogative di cui Lei è ornata e del culto superiore che Le rendiamo».97
2.10. Figli di predilezione dell’Immacolata
Maria diveniva la madre di adozione di questa nuova famiglia e gli Oblati
divenivano i figli dell'Immacolata Madre di Dio. Sant'Eugenio si compiace di
ripeterlo: «Santissima e Immacolata Vergine Maria ... noi siamo più specialmente
i suoi figli»98, così parlava al capitolo Generale del 1826.
Qualche mese prima aveva scritto: «Potessimo noi comprendere bene quello
che siamo. Io spero che il Signore ce ne farà la grazia, con l'assistenza e la
protezione della nostra Santa Madre, Maria Immacolata».99
Comprendere tutta la grandezza di essere figli della Madre Immacolata, ad un
titolo speciale di oblazione e di accettazione, fatte ufficialmente dinanzi alla
Chiesa, era quello che il P. de Mazenod domandava a Dio e alla Vergine
Immacolata, per lui e i suoi figli.
Era agli occhi della sua fede, una realtà nuova, che veniva a formarsi nella sua
anima e in quella dei suoi Oblati, una realtà soprannaturale, una realtà che era una
dignità: «Siamo fieri della nostra dignità»100, una dignità che dava pure dei diritti
«Siamo fieri della nostra dignità e dei diritti che essa ci dà».101 Era come una
nuova nascita nella famiglia di Maria Immacolata, espressa dal nome nuovo,
imposto dalla madre ai suoi nuovi figli.
Troviamo là come un'eco delle parole di San Leone Magno ai nuovi battezzati
«Agnosce Christiane dignitatem tuam».102 Era come se una nuova vita veniva a
97
98
99
100
101
102
Ivi, p.46.
Ibidem.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 20 marzo 1826, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 328.
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 46.
Ibidem.
Ivi, p.47.
64
realizzarsi in lui e nei suoi, vita che aveva dei legami con la Vergine Immacolata,
con tutti i doveri della Madre Immacolata verso i suoi nuovi figli di adozione, con
tutti i diritti dei figli alla benevolenza e protezione della loro Madre Immacolata.
Al capitolo Generale del 1837, è il pensiero di una filiazione speciale riguardo
alla Vergine Immacolata che induce i suoi membri a domandare uno Scapolare
proprio alla Congregazione. Ecco il testo:
«Per manifestare la nostra filiazione verso la Santissima Vergine, concepita senza
macchia di peccato originale ... noi famiglia di predilezione della Vergine Santissima,
desideriamo portare un segno che ci sia proprio».103
Così la Congregazione tutta intera per bocca del capitolo, consacrava
ufficialmente questa grande idea del suo fondatore: Oblato significa di essere
figlio di predilezione di Maria Immacolata.
2.11. L'Immacolata Protettrice e Mediatrice
Maria Immacolata divenendo, per libera scelta, la madre particolare della
famiglia formata da P. de Mazenod, stendeva per conseguenza sopra i suoi figli, il
suo amore materno e la sua potenza di intercessione. Lei era pure in tal modo la
Patrona, la Protettrice, la Mediatrice speciale di questi suoi figli. Adottandoli
aveva dato loro «Dei diritti alla protezione della Onnipotente presso Dio»104 e
aveva messo al loro servizio tutte le ricchezze della sua mediazione materna e
universale.
Per Sant'Eugenio de Mazenod, l'Immacolata Madre di Dio e degli uomini era la
più perfetta delle madri e la più perfetta delle mediatrici, perché Immacolata,
come Gesù Cristo era perfetto mediatore tra Dio e gli uomini poiché uomo-Dio,
sanctus innocens impollutus. La parola dell'Immacolata Madre di Dio e degli
uomini, la sua mediazione, la sua intercessione, erano onnipotenti nel cuore di Dio
suo figlio, per ottenere tutte le grazie per i bisogni degli uomini pure figli suoi.
103
104
Ibidem.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 20 marzo 1826, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 328.
65
La mediazione dell'Immacolata era la migliore via non solo per fare scendere
dal cielo le grazie divine ma soprattutto per fare salire le anime a Dio; sicché darsi
a Maria Immacolata, era per Padre de Mazenod darsi e consacrarsi più
perfettamente a Dio, egli scriveva il 20 marzo 1826: «portare il nome di Oblato di
Maria, cioè consacrato a Dio, sotto gli auspici dell'Immacolata»105, e nella lettera
pastorale del 8 luglio 1849 diceva ai suoi fedeli:
«Tutto quello che da parte nostra tende a glorificare la Vergine, risale da lei a Dio,
prendendo nelle mani della più perfetta delle creature, il carattere dell'omaggio più
perfetto verso il Creatore ... Dio essendo sempre ... il termine supremo di questi
omaggi».106
Così con la sua consacrazione a Maria, si approfondiva pure la sua
consacrazione a Dio, dato che monsignor de Mazenod insegnava ai suoi fedeli, ciò
che egli per primo aveva creduto e vissuto: darsi interamente a Dio, per mezzo di
Maria Immacolata.
Egli vedeva la mediazione di Maria Immacolata verso i suoi Oblati non solo
come una mediazione materna ma pure universale, dovendo Lei ottenere tutte le
grazie per i suoi figli.
Il 22 dicembre 1825 scriveva al P. Tempier e chiamava Maria Immacolata: «La
nostra Madre, la nostra Regina, Colei che ci protegge e deve ottenerci tutte le
grazie di cui il suo Divin Figlio l'ha costituita dispensatrice».107
Si direbbe che quando parla di questa protezione materna, egli canta un inno di
riconoscenza a Maria Immacolata. Il 28 aprile 1849 scrive a Pio IX:
«Pusillus ille et humilis sane grex, sub tanto auxilio, fecundaquae manu illius
Beatissimae Verginis sine labe Conceptae, quae iure merito decantatur graatia plena,
et in qua Christus Redemptor, totius boni posuit plenitudinem, longe et late propagines
105
106
107
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 48.
Ibidem.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 245.
66
faustissime protulit, … protegente semper et a supernis afflante Beatissima Virgine
Patrona Immaculata».108
Il 19 marzo 1850 scriveva a tutta la Congregazione:
«Erit certe, auspice benignissima e santissima Virgine Maria sine labe concepta,
Congregatio Oblatorum, velut lignum quod plantatur secus fluenta aquarum
viventium, fructumque suum dabit in tempore suo, et in omnibus magis ac magis
prosperabitur».109
Il 17 febbraio 1853, presentando alla Congregazione la nuova edizione delle
Regole, diceva a tutti gli Oblati:
«Ex tunc Societas nostra, Apostolico judicio sancita, novoque caelestis aurae afflatu
impulsa et sub tegmine Dominae suae statuta, et morans sub ramis eius, novo robore
viguit, et sancta fecunditate exultavit».110
Quando egli invia i suoi missionari in America, in Asia, in Africa e in tutte le
altre lettere di obbedienza, è sempre la protezione di Maria Immacolata che invoca
su di loro. Questa protezione della Vergine Immacolata sulla sua famiglia
religiosa gli sembrava così potente ed efficace, che nella gioia della sua anima
esclamava:
«Oblati di Maria Immacolata! Ma è un passaporto per il Cielo!»111
e ancora:
«Non vi sembra che sia un segno di predestinazione portare il nome di un Oblato di
Maria ... nome ... comune con la Santissima e Immacolata Madre di Dio ?»112
108
109
110
111
Pareri sulla definizione dogmatica dell’immacolato concepimento della B. Vergine Maria
rassegnati alla santità di Pio IX in occasione della sua Enciclica data da Gaeta il 2 febbraio
1849, Vol.III, Parte Prima, Tipi della Civiltà Cattolica, Roma 1852, p. 362.
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 49.
Ibidem.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 245.
67
Vedendo morire i suoi Oblati ritornava spesso sullo stesso pensiero, li vedeva
in Cielo accanto a Maria Immacolata, e conseguentemente vicino a nostro
Signore. Il 22 luglio 1828 scriveva al P. Courtès:
«Sarai forse sorpreso mio caro Courtes, di non aver ricevuto ancora mie lettere, dopo
che hai saputo insieme la straziante e consolante notizia del passaggio del nostro beato
p. Arnoux. Il principale motivo del ritardo è stato quello di accrescere la sofferenza del
tuo stato con rimproveri che in questa circostanza mi sembra impossibile non farti …
Non sai tu che io ritengo un mio dovere precipuo assistere quelli dei nostri fratelli che
sono in punto di morte e da me raggiungibili?...Mi accompagnerà per tutta la vita il
rimpianto di non essere stato presente al transito di uno dei miei fratelli, morto così
vicino a me … In paradiso sono ben quattro: una simpatica comunità. Sono le prime
pietre, le pietre basilari dell’edificio che si innalza nella Gerusalemme celeste; stanno
dinanzi a Dio col segno distintivo della nostra Società ... Ardisco di credere che la
nostra comunità del Cielo deve essere collocata molto vicino alla nostra Patrona. Io li
vedo accanto a Maria Immacolata e conseguentemente vicino a nostro Signore Gesù
Cristo, che essi hanno servito sulla terra, e che contemplano deliziosamente ...
Parlarne con la tua comunità, fanne il soggetto delle tue conversazioni ... Sicché si
abbiano delle risoluzioni efficaci».113
2.12. Devozione speciale all'Immacolata
Per il nome della Congregazione e l'oblazione totale fatta a Maria Immacolata,
per rispondere alla di Lei protezione materna, Sant'Eugenio si sentiva in obbligo
di avere per la Madre Immacolata una devozione speciale e di inculcarla ai suoi.
Fin dal primo annunzio ai suoi del cambiamento del nome, nella lettera del 22
dicembre 1825 egli scrive: «Soprattutto rinnoviamoci nella devozione alla
Vergine Santissima».114
In che cosa doveva consistere questa rinnovazione ?
112
113
114
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempiera Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 245.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Courtes, a Aix, Marsiglia, 22 luglio 1828, in AMMI, Epistolario
del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1827-1836, Scuola Tipo-Litografica
Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 80.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 245.
68
Il suo pensiero è chiaro, vuole che a causa del titolo e del suo intimo
significato, la devozione della sua Congregazione graviti attorno al mistero
dell'Immacolata Concezione con una intensità non ordinaria, infatti il 20 marzo
1826 scriveva ai suoi Padri: «La nostra Santa Madre, Maria Immacolata, verso la
quale noi dobbiamo avere una grande devozione nella nostra Congregazione».115
Per alimentare questa devozione all'Immacolata, Monsignor de Mazenod volle
dare agli Oblati come una liturgia propria alla Congregazione. Fin dal 1832
ottenne dalla Santa Sede di celebrare la festa dell'Immacolata con rito doppio di
seconda classe e con ottava, come festa patronale della Società. L'ufficio da
recarsi era quello dei Francescani, considerati gli specialisti dell'Immacolata
Concezione. Ottenne pure che il 17 febbraio fosse per la Congregazione, festa di
Maria Immacolata, con rito doppio maggiore, e che ogni qualvolta l'ufficio era de
Sancta Maria in Sabbato, egli e i suoi potessero recitare quello dell'Immacolata,
con rito semidoppio.
Al capitolo Generale del 1856, volle spontaneamente introdurre ogni giorno, la
crescita del Tota pulchra, per onorare il privilegio dell'Immacolata Concezione, da
poco definito.
Il processo verbale dice:
«Il nostro Reverendissimo Superiore Generale ha manifestato la sua volontà di
introdurre nella Congregazione, in occasione della definizione del Dogma
dell'Immacolata Concezione della Vergine Santissima, l'uso di qualche pratica
speciale in onore di questo Dogma, per esempio la recitata ad ora fissa dell'antifona
Tota pulchra es».116
Le litanie dell'Immacolata in uso nella Congregazione risalgono certamente al
tempo del Fondatore. Nella quarta edizione del libro di padre Lagier:
«L'Immaculee Vierge Marie» del 1855, troviamo una approvazione di monsignor
de Mazenod nei termini seguenti:
115
116
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 20 marzo 1826, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 328.
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 50.
69
«Visto, approvato e particolarmente raccomandato, nella nostra Diocesi, e per tutta la
Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata».117
Ora in quel libro si trovano le litanie dell'Immacolata Concezione quali oggi le
recitano nella Congregazione, con tutte le preghiere che servono da novena
preparatoria alla festa.
Sant'Eugenio avrebbe voluto dare alla Congregazione un ufficio veramente
proprio, in onore dell'Immacolata sua patrona, piuttosto che prenderlo in prestito
da altri istituti religiosi, per quanto specializzati sull'Immacolata, come i
francescani. Nel 1837 incaricò a tale scopo il P. Scemerai e il P. Pons, per
comporre dei formulari appropriati alla Congregazione. Infatti c'è un inno in onore
dell'Immacolata, composto dal P. Pons.
Ma sia la morte del Padre, avvenuta mentre lavorava a comporre questo
Ufficio, sia la mancanza di personale preparato per questo lavoro, la
Congregazione non ebbe mai quanto avrebbe desiderato darle il suo Fondatore.
Nel Capitolo Generale del 1837, la Congregazione intera, per bocca dei suoi
rappresentanti, fece professione autorevole, della verità che la devozione degli
Oblati deve avere per oggetto speciale il ministero dell'Immacolata Concezione:
fu deciso di domandare alla Santa Sede uno scapolare proprio alla Congregazione
e nella supplica è detto che gli Oblati desiderano questo scapolare
«Velluto signum speciale espsisque proprium, devotionis erga illud venerabile
misterium».118
Per chiarire il pensiero e l’illuminazione di S. Eugenio è necessario precisare la
natura della devozione a Maria Immacolata, speciale agli Oblati: essa ha per
oggetto la persona tutta intera di Maria Immacolata. La ragione formale dell’onore
alla Madonna è proprio il suo privilegio dell'Immacolata Concezione, privilegio
che non si deve considerare come tale, cioè come potrebbe considerarlo qualsiasi
cristiano devoto al mistero di Maria Immacolata, ma questa devozione è
donazione totale, oblazione speciale e propria, che lega l'Oblato a Maria, è
rationem exigitiva della devozione, rationem sub qua. Più precisamente potremmo
117
118
Ibidem.
Ivi, p.52.
70
dire che l'oggetto materiale di questa devozione sono tutta la persona e i misteri
della Madonna, l'oggetto formale quod, è il privilegio dell'Immacolata
Concezione, l'oggetto formale quo o rationem sub qua è l'oblazione fatta
all'Immacolata.
Per chiarire ancora il pensiero di S. Eugenio, potremmo fare un paragone tra la
devozione al Sacro Cuore e quella all'Immacolata, ambedue considerano non una
sola parte, un solo mistero il Nostro Signore e della Madonna, ma tutta la loro
persona, però sotto aspetti diversi: L'amore l'una, il mistero dell'Immacolata
l'altra.
Noi troviamo un eco fedele, quasi parola per parola della spiritualità Mariana
del Fondatore, nel primo direttorio dei novizi, proprio al principio della
Congregazione. È un manoscritto molto antico e molto importante, perché ci
mostra quale formazione si dava allora ai novizi:
«Della devozione verso la Santissima e Immacolata Madre di Dio. Dopo la devozione
verso la persona del Salvatore, i novizi della Società debbono consacrare tutto quello
che hanno di amore alla sua Santissima Madre, la gloriosa e Immacolata Vergine
Maria. Non si tratta affatto di una devozione ordinaria, quale può essere professata da
tutti i cristiani, non si tratta nemmeno di quella devozione speciale, con cui l'onorano
gli ecclesiastici più fedeli alla santità del loro stato; la devozione che noi dobbiamo
avere per la divina Maria è tutta singolare e non dovrebbe trovarsi altrove, in grado
così alto, come da noi.
Difatti, noi non siamo solamente i figli di Maria come lo sono tutti i cristiani, e in
particolare i Ministri della Chiesa, noi siamo i suoi figli in modo del tutto speciale, è
Gesù Cristo che ci ha dato alla Madre sua, per l'organo del suo Vicario in terra, noi
portiamo il suo nome e abbiamo lasciato tutto per appartenerle, per avere la gioia di
dirci sui figli.
Quale grazia, quale privilegio! Quanto dovremmo noi apprezzarlo, cosa sono tutti i
sacrifici, in paragone di quello che noi abbiamo ottenuto in cambio, essere i figli di
Maria, appartenere alla sua famiglia di predilezione, camminare sotto il suo stendardo
e sotto quale titolo, il più glorioso, quello della sua Immacolata Concezione,
comprenderemo mai abbastanza la grazia che Dio ci ha fatto, chiamandoci ad una tale
vocazione ? Poiché se è vero che un servo di Maria non può perire, e che coloro che
sono sotto il suo impero non hanno nulla da temere, cosa non si devono aspettare da
71
una tale Madre, coloro che possono dire con tutta verità, di essere i suoi figli di
predilezione ?
O novizi della Santissima e Immacolata Vergine Maria, se voi sapeste quale grazia
Dio vi ha fatto, ponendovi nella famiglia di predilezione della sua divina Madre.
Qualsiasi possa essere la vostra tenerezza, la vostra riconoscenza e la vostra devozione
verso Maria, mai essa eguaglierà la grandezza del suo amore per voi. Mai voi
comprenderete tutto quello che Essa fa per voi, e tutto quello che dovrete a Lei nella
vostra vita avvenire».119
Noi abbiamo qui il riassunto di tutto quello che monsignor de Mazenod
pensava sulla devozione a Maria Immacolata, il suo oggetto, i suoi motivi, la sua
intensità, come pure troviamo qui appresso, tutto quello che Maria Immacolata era
per lui e i suoi Oblati: La madre, la Protettrice, l'arra sicura della loro salvezza.
Questo testo è come il commentario e il completamento di quello che il
Fondatore scrisse per la prima volta nelle Regole e che è il primo nucleo di quanto
in seguito aggiunse riguardo a Maria Santissima: «i Missionari protesteranno tutti
una devozione speciale e una grande tenerezza» verso la Vergine Santissima.
Qualche anno dopo, nel 1820, nel secondo manoscritto delle Regola questa
devozione speciale deve avere per oggetto non soltanto la Vergine Santissima ma
Maria considerata come Madre
«i Missionari avranno tutti una devozione particolare, verso la Vergine Maria, che
considereranno sempre qual Madre».120
Più tardi ancora nel 1825, quando Sant'Eugenio diventerà Oblato di Maria
Immacolata, l'evoluzione sarà completa, con l'idea di Oblazione a Maria
Immacolata, questa devozione particolare, che fino ad allora riguardava Maria
considerata come Madre si riverserà su Maria Immacolata, divenuta ufficialmente
Madre degli Oblati a Lei consacrati. Così l'idea di devozione particolare di Madre
e di Immacolata diventano tutto uno, fondendosi in una perfetta unità.
Precisando ancora, dobbiamo aggiungere che questa devozione, soffermandosi
sul Dogma dell'Immacolata Concezione, deve saperne scoprire tutte le ricchezze,
119
120
Ibidem.
Ivi, p.53.
72
per viverle. In una lettera pastorale del 1855, dopo la proclamazione del Dogma
Monsignor de Mazenod diceva ai suoi diocesani:
«Bisogna che le vostre anime si attacchino vivamente a questa verità divina, s'ispirino
dai sentimenti della Chiesa, per onorare, invocare, celebrare degnamente la Vergine
concepita senza macchia, e facciano sforzi per rialzarsi dalla colpa e mantenersi nella
puritá di vita, con la perseveranza nella preghiera, affidata all'intercessione di Colei
che i Santi Padri hanno chiamato la Corredentrice del genere umano».121
Quello che egli diceva ai fedeli valeva a più forte ragione per lui e per i suoi
Oblati, per i quali vivere questo Dogma, con tutte le sue ricchezze, s'identificava
con la loro vocazione nella Chiesa già da parecchio prima della proclamazione del
Dogma.
Dobbiamo ancora notare, che questa devozione particolare, non deve portare
gli Oblati soltanto a conoscere le ricchezze del Dogma, ovvero ad una devozione
semplicemente affettiva, ma deve condurli ad una dedizione effettiva al sommo,
con la benedizione di tutta la loro vita, che deve essere un atto di continuo
omaggio all'Immacolata, alla quale hanno tutto consacrato. Nella lettera pastorale
del 1 novembre 1852, il Fondatore chiama i suoi Oblati:
«Devoti servitori di Maria, specialmente consacrati nella loro persona a questa
Vergine Immacolata».
122
Per questa oblazione di tutto se stesso, Sant'Eugenio e i suoi Oblati
diventavano dei consacrati a Maria: res sacra Mariae, ma più ancora che una Res
sacra, una Persona sacra Mariae, specialmente consacrati nella loro persona a
questa Vergine Immacolata.123 Egli dunque vedeva nella qualità di Oblato una
consacrazione di tutta la persona, al servizio dell'Immacolata, e consacrazione
della persona, con tutte le sue facoltà di conoscenza, di amore, di servizio, per la
gloria di Maria Immacolata, Madre e Regina. Non è del resto la definizione della
devozione «Prompta voluntas in Dei famulatum», ed allora la devozione
all'Immacolata, non è essa pure una volontà di dedizione totale, al servizio di
121
122
123
Ivi, p.54.
Ibidem.
Ibidem.
73
Maria Immacolata ? Con tutte le proprie forze, con tutte le facoltà di intelligenza,
di amore, di servizio ? Non corrisponde forse questa devozione, così intesa,
all'oblazione totale che, sgorgata dal cuore ardente di monsignor de Mazenod,
costituisce l'Oblato di Maria Immacolata ?
Infine questa devozione deve portare gli Oblati ad una grande santità, degna di
quella dell'Immacolata:
«Soprattutto rinnoviamoci nella devozione alla Vergine Santissima, per renderci degni
di essere gli Oblati di Maria Immacolata»124,
così diceva il Fondatore ai primi Padri, sentendo tutto quello che di impegnativo
vi era in questo titolo. Quale programma di santità: essere degni di una tale Madre
Immacolata, la piena di grazia, Colei che mai ebbe la benché minima macchia,
Colei che amò il più perfettamente Dio, senza alcuna debolezza, con tutto il suo
cuore, con tutte le sue forze.
Ecco come dopo aver preso possesso dell'animo di Eugenio de Mazenod, la
Vergine Immacolata eleva tutta la vita del nostro ad una santità mariale, e dopo
aver trasformato la sua oblazione a Dio in oblazione a Maria Immacolata,
trasforma pure la sua santità in modo tale che essa sgorghi da quella limpida
sorgente che è la fulgida santità dell'Immacolata e sia degna di questa Madre
Immacolata.
2.13. Immacolata e Apostolato
Un altro elemento della spiritualità di Sant'Eugenio de Mazenod è la sua vita
apostolica; aveva fatto la sua oblazione a Dio per essere un perfetto apostolo.
Dopo aver visto come la sua Oblazione a Maria Immacolata ha trasformato la
sua vita di santità personale, vediamo come e fino a qual punto ha pure
trasformata la sua vita apostolica.
Le sue affermazioni ci dicono che la Vergine Immacolata, penetrando fino al
centro della sua vita spirituale influisce anche sul suo apostolato, che viene
orientato più decisamente verso l'Immacolata. Quando P. de Mazenod fece la sua
124
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Tempier,a Marsiglia, Roma, 22 dicembre 1825, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 245.
74
Oblazione a Maria Immacolata, le diede tutto, non soltanto la sua vita personale
ma pure il suo apostolato. Al capitolo Generale del 1826 disse:
«D'ora in poi combatteremo i nemici del Cielo sotto uno stendardo che ci è proprio e
che la Chiesa ci ha dato, sopra questo stendardo brilla il nome glorioso della
Santissima e Immacolata Vergine Maria ... poiché è alla Vergine Santissima che siamo
consacrati».125
Parlando dello scapolare oblato, nel 1843, scrive al P. Honorat:
«Questo abita sarà par noi come l’uniforme che ci distingue dai semplici servitori di
Maria e che ci costituisce truppe scelte».126
All'inizio Padre de Mazenod aveva concepito la sua Società come un esercito
di soldati che combattevano valorosamente, per la gloria di Dio, per il Regno di
Gesù Cristo, contro il regno del demonio. Con la consacrazione all'Immacolata, i
soldati di Cristo divengono a loro volta le truppe scelte di Maria Immacolata, che
combattono non solo per la gloria del Regno di Gesù, ma pure per la gloria del
Regno di Maria contro il demonio suo mortale nemico. Maria Immacolata, la
guerriera di Dio, per questo mutuo patto tra lei e i suoi soldati, presta il suo aiuto
alle truppe scelte, nella dura battaglia da esse ingaggiata, per il trionfo del Regno
di Gesù Cristo; esse così divengono un esercito invincibile e sempre vittorioso,
alla sequela della loro Regina e Madre, che per prima schiacciò il capo al
demonio.
Il 28 aprile 1849 egli scriveva a Pio IX:
«Protegente semper et a supernis afflante Beatissima Virgine Patrona Immaculata,
operarii illi strenue praeliantes praelie Domini … in omnibus Gallicanae dictionis parti
125
126
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 56.
Ibidem.
75
bus … in Anglia, in Hibernia … in remotioribus Americae spatiis, … in Indiis, …
labores susceperunt».127
Nel 1850 in prossimità del Capitolo Generale, esortava gli Oblati a rinnovarsi
nello spirito di soldati di Maria Immacolata:
«Interim omnes et sinulos Congregationis nostrae Sodales … instanter hortamur in
Domino, ut renovati spiritu mentis suae … sub alis amatissime omnium nostrum
Parentis Immaculatae, maiores validioresque de die in diem, pro summa Dei gloria,
anomarunque magis derelictarum salute, suscipiant labores».128
Egli avrebbe voluto vedere tutti gli Oblati divenuti dei valorosi soldati di Maria
Immacolata, dal
«coraggio virile e veramente degno di un Oblato di Maria, che conta sulla protezione
di questa Madre potente è sul soccorso di Dio, che essa non manca mai di ottenere a
coloro che mettono la loro fiducia in Lei»129,
così egli scriveva il 21 novembre 1826 al P. Guibert.
Quasi a concretizzare l'idea che gli Oblati combattevano sotto la bandiera di
Maria Immacolata, Sant'Eugenio fece largo uso delle immagini della medesima. Il
P. Lamblin dice che monsignor de Mazenod ricorse alle immagini per propagare
la devozione all'Immacolata, difatti fu proprio lei il soggetto preferito, il più
diffuso. Viveva allora ad Aix, fin dai tempi dell'associazione della gioventù
cristiana, un artista di nome Mario Reinaud, di cui egli utilizzò il grande talento
per la creazione e la riproduzione di immagini che rappresentavano l'Immacolata
Concezione. Le immagini di questo artista hanno una delicatezza ammirabile, egli
sa raggruppare armoniosamente le teste degli angeli intorno alla Vergine, sotto i
127
128
129
Pareri sulla definizione dogmatica dell’immacolato concepimento della B. Vergine Maria
rassegnati alla santità di Pio IX in occasione della sua Enciclica data da Gaeta il 2 febbraio
1849, Vol.III, Parte Prima, cit., p.362.
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 56.
E. DE MAZENOD, Lettera ai PP. Mye, Jeancard e Guilbert, a Digne, Marsiglia, 21 novembre
1826, in AMMI, Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Lettere delle origini, 1814-1826,
Scuola Tipo-Litografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 392.
76
cui piedi si snodano le parole dell'antifona: «Tota pulchra es, Amica mea, et
macula non est in te».
Fu una di queste immagini di Maria Immacolata che confortò gli ultimi istanti
del P. Suzanne. Più tardi, nella fondazione delle missioni, in Svizzera, in
Inghilterra e nelle Americhe, i padri designati ad evangelizzare quelle terre
devastate dall'eresia, portarono con loro queste immagini. Il P. Martin, di
residenza in Svizzera, scriveva a un missionario sul punto di andare a
raggiungerlo:
«Portate con voi molte immagini fatti da Reinaud, è l'unico mezzo per farvi accogliere
bene, Maria Immacolata sola, uccide tutte le eresie».130
In seguito, Sant'Eugenio fece stampare delle immagini dell'Immacolata con
preghiere e invocazioni in inglese, destinate alle missioni in Inghilterra e in
America.
Era la guerriera Immacolata, terrore degli eretici.131
L'11 gennaio 1847, ricevendo l'annuncio delle conversioni operate in
Inghilterra, scriveva al P. Courtés:
«È notevole come questi miracoli si effettuano aver mezzo del ministero dei nostri
Padri che li attribuiscono a Maria Immacolata».132
L'Immacolata era dunque la grande Protettrice degli Oblati nel loro ministero
apostolico, il grande strumento della conversione delle anime, la loro grande
Condottiera nella lotta contro il demonio.
2.14. L'Immacolata fine dell'Apostolato
Non bisogna credere che l'influsso di Maria Immacolata sul ministero di
Sant'Eugenio e dei suoi Oblati si ferma nel considerarla soltanto come un aiuto
nell'opera della conversione delle anime: Maria Immacolata è pure e soprattutto
130
131
132
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 57.
Ibidem.
Ibidem.
77
fine del loro ministero e del loro apostolato. Si tratta infatti di condurre le anime a
Maria Immacolata, di lottare non solamente per la gloria di Dio, ma pure per la
gloria di Maria Immacolata o meglio: per dare maggior gloria a Dio, predicare le
glorie di Maria Immacolata.
Questo punto è delicato, forse qui si opera il più profondo cambiamento
nell'apostolato di Padre de Mazenod, poiché è il fine stesso della sua vocazione
personale e del suo Istituto che si orienta verso Maria Immacolata. Condurre le
anime non solamente alla conversione, ma pure ai piedi di Maria Immacolata,
Madre di Misericordia, ideale di Santità. Ecco il fine nuovo della vita di Eugenio
de Mazenod e della sua Congregazione, che perfeziona e approfondisce il fine
primitivo. Così gli Oblati saranno ancor meglio convertitori di anime, Apostoli di
Gesù Cristo.
È certo che Padre de Mazenod non aveva voluto all'inizio fondare una
Congregazione per propagandare la devozione alla Madonna, ma è l'abbandono
delle anime della campagna soprattutto a spingerlo nel fondare la sua Società di
Missionari. Solo in un secondo tempo il fine di questa Società divenne pure la
propagazione del culto di Maria e di Maria Immacolata.
Come è avvenuto ciò ?
Questo grande cambiamento non è arrivato per volontà del Servo di Dio, ma
per la volontà provvidenziale del Signore sopra di lui. Abbiamo trovato raramente
un giudizio così esatto sul Fondatore, quanto quello che Monsignor Jeancard ha
scritto su di lui, nei suoi Melanges Historiques quando dice:
«Il Fondatore degli Oblati era ben lungi da conoscere, mettendo le mani all'opera, tutta
l'estensione della sua missione. Egli non ha seguito un vasto disegno, preformato nella
sua mente, in tutti i suoi particolari. Il disegno di cui egli era l'esecutore, veniva da più
alto che una concezione semplicemente umana. Gli era ispirato e in qualche modo
fatto conoscere, a misura che le circostanze aprivano al suo zelo, un nuovo orizzonte.
Il Signore che lo guidava, non gli lasciava vedere se non quel che doveva fare nelle
congiunture del presente, e ricompensava il suo ardente amore della Chiesa, e il suo
zelo per la salvezza delle anime, mostrandogli al momento opportuno, il tratto che egli
doveva percorrere, per fare un nuovo passo verso il completamento dell'opera, che gli
era stata assegnata. Egli avanzava sotto la guida e l'impulso della Provvidenza, in una
78
via dapprima sconosciuta, o quasi, seguendo la quale, gli viene dato poi di arrivare
allo scopo voluto dall'alto.
Nessuno è più disposto di me a riconoscere la grande portata dello spirito e la
elevatezza delle vedute del Fondatore degli Oblati. Non nego affatto la fecondità
possente delle sue concezioni, sempre meditate e maturate ai piedi del Crocifisso, ma
credo essere giusto verso la sua memoria, e onorarlo ancor più che con elogi umani
dati alla sua intelligenza, affermando nella misura della mia conoscenza, che quanto
egli ha fatto, è meno la sua opera che quella di Dio, che egli è stato diretto è sostenuto
in modo soprannaturale, nelle sue azioni, e che la sua gloria è di essere stato scelto,
come braccio forte è fedele, per eseguire un disegno disceso dal Cielo».133
Quando si conosce a fondo la storia di Sant'Eugenio, ci si rende conto
dell'esattezza di un simile giudizio. Quello che a noi interessa è verificare se
quanto riportato in questo giudizio si sia veramente realizzato. È una delle più
importanti circostanze della sua vita, voleva fondare una società di missionari e
fonda una Congregazione di Oblati di Maria Immacolata, non per la sua volontà,
ma per una illuminazione soprannaturale che al momento opportuno fa cambiare
rotta, all'opera iniziata con altre vedute.
Egli arriva a Roma missionario dei poveri e ritorna Oblato di Maria
Immacolata, Missionario di Maria Immacolata. È Dio che lo aspettava là per
mettergli nelle mani la bandiera dell'Immacolata e farne un capitano di un esercito
che porta alto questo stendardo.
È una illuminazione della grazia, è soprattutto il Sommo Pontefice che,
confermando questa illuminazione interiore, gli consegna tra le mani la bandiera
dell'Immacolata. Egli si compiace di riconoscersi
«Padre di questa famiglia che porta alto sulla bandiera, il nome di Maria Immacolata»
e ripete: «Questa insegna fu messa tra le nostre mani dal Capo della Chiesa».134
Nei suoi scritti, non si stanca di dire con compiacenza, che è il Papa, la Chiesa,
Gesù Cristo per mezzo della sua Chiesa, del suo Vicario, che ha dato la sua
Congregazione a Maria Immacolata. Questo cambiamento è dunque il risultato
133
134
Ivi, p.58.
Ibidem.
79
della trasformazione che avvenne nel suo animo arrivando a Roma, di una
ispirazione di Dio e della sanzione del Sommo Pontefice. Non c'è da cercare
altrove l'origine di questa evoluzione verificatasi nell'anima di Monsignor de
Mazenod. Non è una evoluzione tardiva, è una evoluzione interiore voluta e
ispirata dalla grazia e confermata dal Sommo Pontefice, Vicario di Gesù Cristo. È
Dio che lo aspettava a Roma, è Dio il principale autore di questo cambiamento
felice, il Padre de Mazenod poteva riconoscere, ed a ragione, che la sua opera non
era sua ma di Dio.
Il giudizio dato da monsignor Jeancard non è stato mai così esatto, come in
questa circostanza.
È certo che padre de Mazenod, una volta arrivato a Roma, e soltanto allora, si è
veduto confidare dalla Chiesa la missione di predicare le prerogative di Maria
Immacolata. Egli ha molte volte commentato in questo senso ai suoi oblati i
termini delle lettere apostoliche di Leone XII:
«In spem erigimur fore ut istius sacrae familiae alumni, qui … divini verbi ministerio
sese deveverunt ac De iparam Virginem sinelabe conceptam Patronam agnoscunt, pro
viribus et praesertim exemplo ad eius Matris misericordiae sinum perducere conentur
nomine, quos uti filios Jesus Christus in ipso crucis suspendio illi volit attribuere».135
Dal giorno che il Fondatore sentì queste parole uscire dalla bocca del Papa,
vide cambiare il fine del suo istituto e la propagazione del culto di Maria venne a
sopraggiungersi al fine primordiale, che si era proposto nella fondazione della sua
Società, o meglio i due fini si sono armonizzati: salvare le anime portandole a
Maria.
Da allora egli parla di una duplice missione della sua Congregazione. Nell'atto
di visita di Notre Dame de l’Orsier del 16 luglio 1835 scrive:
«Ecco come la Congregazione adempie il suo grande destino e la duplice missione che
ha ricevuto dal Capo della Chiesa, con le lettere apostoliche della sua Istituzione».136
135
136
Ivi, p.60.
Ibidem.
80
Il 2 giugno 1837, a proposito del santuario di Notre Dame de Lumiéres, traccia
queste righe nel suo diario:
«era ancora, per una disposizione ammirevole della Provvidenza sopra di noi, il terzo
Santuario della Vergine Santissima, di cui eravamo incaricati di sollevarne le sorti, di
servirlo ... E propagandare la sua devozione, conformemente ai fini del nostro Istituto.
Mi sembrava di sentirmi ripetere le parole delle lettere Apostoliche».137
Affermazioni simili ritornano tanto spesso sotto la sua penna, da potersi dire
che, durante tutta la sua vita, Sant'Eugenio sentiva come risuonare nelle sue
orecchie le parole di Leone XII, nel Breve Si tempus unquam.
Nella missione di propagandare il culto di Maria, egli ha visto qualche cosa di
proprio agli Oblati, imposto dalla Papa a causa del nome. Così scriveva alla
Congregazione il 17 febbraio 1853, presentando la nuova edizione delle Regole:
«Ipse munia quae obiremus ordinavit Sanctissimaeque Virginis De iparae cultum ac
pietatem speciali cura promoveri mandavit, et officii quasi proprii fecit».
138
I suoi scritti ci rendono certi che il Fondatore vide veramente nel dovere di
predicare Maria, un fine proprio e un dovere speciale alla sua Congregazione.
Si potrebbe però notare che, nelle frasi sopra riportate, non si afferma che il
fine della Congregazione era quello di predicare Maria Immacolata, ma
semplicemente di predicare Maria, o meglio Maria Madre di Misericordia e lo
stesso Leone XII dice: «ad eius Matris Misericordiae sinum perducere conentur
homines.»
Il Fondatore ha domandato agli Oblati di predicare le prerogative di Maria in
generale, ha detto che essi dovevano sforzarsi di portare le anime a Maria Madre
di Misericordia, ma ha pure affermato non meno chiaramente che il fine proprio
dell'Istituto era quello di predicare prima di tutto l'Immacolata, l'uno non esclude
l'altro, anzi ambedue le cose si completano, poiché bisogna predicare Maria,
nell'integrità dei suoi privilegi e dei suoi misteri, ma soprattutto l'Immacolata.
Il 20 settembre 1841 scriveva ai Padri che partivano per il Canada:
137
138
Ivi, p.61.
Ibidem.
81
«Sitque ductrix et Patrona vestra; Beata Virgo Maria sine labe concepta, cuius cultum
ubique diffundere, speciali vocatione, muneris vostri esse, compertum habetatis».139
Nella settembre 1856, nella supplica al Sommo Pontefice, per ottenere lo
scapolare blu dell'Immacolata Concezione, egli scriveva ancora:
«Praedicata Congregatio Tamquam finem peculiarem habet cultum erga Beatissimam
et Immaculatam De iparam ubique diffundere et propagare, imprimis quoad eius
Immaculatae Conceptionis privilegium».140
Del resto sarebbe stato strano che la missione di predicare Maria, non avesse
avuto alcuna relazione speciale con il privilegio dell'Immacolata Concezione.
Nelle parole di Leone XII, Sant'Eugenio vede la missione di predicare i singolari
privilegi, e tutti i privilegi di Maria:
«Tandem omnes sacri coeutus praecones et verbi divini seminatores ... significavit ipsi
cordi esse ut finem non facerent illam admirabilem Virginem Matrem celebrare,
singulariaque ipsius amantissimae Parentis privilegia exaltare».141
Gli Oblati allora dovrebbero predicare tutte le prerogative della Vergine, senza
alcuna relazione speciale al privilegio di Immacolata, a cui sono consacrati come
alla loro Madre: «singularia que ipsius amantissimae Parentis privilegia exaltare».
Lui stesso nota che il Papa ha confidato agli Oblati la missione di predicare
Maria, poiché ha dato loro il nome di Oblati di Maria Immacolata:
«Ipse munia quae obiremus ordinavit Sanctissimaequae Virginis De iparae cultum ac
pietatem, speciali cura promoveri mandavit, et officii quasi proprii fecit, nomine
Oblatorum Sanctissimae Virginis Mariae sine labe conceptae, novam sobolem
decorando».142
139
140
141
142
Ivi, p.62.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
82
Non sarebbe proprio il caso di dire che se il motivo per cui gli Oblati sono
tenuti a predicare gli altri misteri di Maria, è la loro relazione all'Immacolata, a
più forte ragione, essi sono tenuti a predicare l'Immacolata ? L'applicazione del
principio filosofico: propter quod unumquodque tale et illud magis, non sembra
forse l'unica giusta ?
Bisogna inoltre notare che le parole di Leone XII in spem erigimur non sono
che l'espressione della sua speranza e non l'imposizione di una nuova missione,
Padre de Mazenod concepì questa speranza perché gli Oblati erano assieme
missionari e consacrati alla Vergine Immacolata:
«In spem demum erigimur fore ut istius sacrae familiae alumni, qui divini verbi
ministerio sese devoverunt, ac De iparam Virginem sine labe concemptam Patronam
agnoscunt».143
Dall'unione di queste due cose: essere missionari ed essere consacrati a Maria
Immacolata, egli ne deduceva che gli Oblati dovevano consacrare la loro attività
apostolica a glorificare Maria Santissima. Il Papa non impone altri obblighi e altra
missione se non quella che viene dal titolo di Oblati di Maria Immacolata.
Il Fondatore aveva dunque compreso molto bene come tutti gli obblighi degli
Oblati verso la Vergine Maria, derivano proprio dal loro titolo, anche quelli di cui
parla esplicitamente Leone XII nelle sue lettere apostoliche e di approvazione.
La missione data dal Papa e il titolo non sono due fonti indipendenti l'una
dall'altra, esse non formano che una sola cosa e non danno che una sola missione:
quella contenuta nel titolo. L'approvazione pontificia non fa altro che dare tutto il
suo valore al titolo di Oblati di Maria Immacolata. Le parole di Leone XII: in
spem erigimur rendono esplicito quel che è implicito nel titolo stesso.
143
Ivi, p.63.
83
2.15. L'Immacolata e la Madre di Misericordia
Sant’Eugenio de Mazenod parla spesso della Madre di Misericordia, non
perché vi sia un dualismo nel suo pensiero, ma al contrario una perfetta unità, a
causa dell'idea larga e luminosa che egli aveva del privilegio dell'Immacolata, che
era più ricca delle misericordie divine e in particolare delle grazie della
Redenzione.
Non vi è dubbio che tra l'Immacolata e la Madre delle Misericordie, è
l'Immacolata ad avere il primo posto nella sua anima, e troviamo conferma di ciò
nel fatto che la prima domanda che gli fece alla Santa Sede, per avere degli uffici
propri alla Congregazione, riguarda da quello dell'Immacolata Concezione. Il 17
febbraio 1832 Monsignor de Mazenod ottiene tre privilegi che riguardano il
mistero di Maria: l'8 dicembre, festa dell'Immacolata, con rito di seconda classe e
ottavo, 17 febbraio ufficio dell'Immacolata, con rito doppio maggiore, ed ogni
sabato, quando si doveva fare l'Ufficio de Santa Maria Sabbato, ufficio
dell'Immacolata Concezione con rito semidoppio. In questa domanda nulla che
riguardi la Madre delle Misericordie. Bisogna inoltre notare che la sua richiesta è
stata accontentata solo parzialmente, in quanto Sant’Eugenio aveva domandato la
festa dell'Immacolata con rito di prima classe, e ogni sabato di ogni settimana,
l'ufficio dell'Immacolata con rito doppio.
Solo in un secondo tempo, nel giugno dello stesso anno, egli domanda la festa
di Maria Madre di Misericordia, e solo con rito doppio maggiore, che era stato
accordato ai Redentoristi, motivando la domanda con il testo delle lettere
Apostoliche di Leone XII, che esprimeva il suo desiderio affinché la
Congregazione portasse le anime alla Madre di Misericordia.144
Tutto ciò mostra bene come nella gerarchia dei valori che esisteva nel pensiero
del Mazenod, l'Immacolata passava prima della Madre di Misericordia.
Un'altra osservazione ci mostra come la Vergine Immacolata era ornata nella
Congregazione al tempo del Fondatore, nell'Ordo tutte le feste della Madonna
erano qualificate con l'aggettivo: Immaculata, per esempio Annuntiatio Beatae
Mariae Virginis Immaculatae, proprio come nelle litanie dell'Immacolata
144
Ivi, p.64.
84
Concezione tutti i misteri di Maria, sono i misteri dell'Immacolata. La Madre di
Misericordia in quegli Ordini è chiamata essa pure: Beata Maria Virgo
Immaculata de Misericordia.
Questo dimostra che la sintesi si era formata nell'anima di Monsignor de
Mazenod e dei primi Oblati, attorno all'Immacolata che irradiava con la sua luce
tutti i misteri di Maria Santissima.
L'Ordo più antico che possediamo, con questa denominazione, è del 1857.
Bisogna ammettere che è un pò tardivo, non siamo in grado di precisare quando
quest'uso sia stato introdotto ma certamente è durato fino al 1867, quando
all'occasione di una nuova richiesta alla Santa Sede, per alcuni mutamenti al
calendario oblato, la Congregazione dei Riti, fece cambiare questo modo di
denominare le diverse feste della Madonna. Allora, ben 14 volte, la Sacra
Congregazione cancellò l'aggettivo Immacolata dal foglio di domanda.
Dobbiamo dunque concludere che una perfetta unità esisteva nell'anima del
Fondatore intorno all'Immacolata, di cui la Madre delle Misericordie era uno degli
aspetti tanto ricchi di questo Dogma, che ha dei riflessi su tutti i misteri di Maria.
Perché Immacolata, Maria arriva nella mente di Monsignor de Mazenod, come
una grande ricchezza di misericordia. L'Immacolata dirà egli in una lettera
pastorale è:
«Piena di grazie ... la sede, il domicilio, il santuario di tutti i favori divini»145,
essa è quella «Scala di Misericordia»146 che si elevava dalla terra al Cielo e di cui
gli Angeli del Signore salivano e scendevano i gradini portando al Cielo le nostre
suppliche e i nostri omaggi, riportandoci le benedizioni divine.147
Scala di Misericordia che «si elevava dalla terra al Cielo ... al cui vertice si
appoggiava Dio stesso».148
L'Immacolata è dunque per Sant’Eugenio la vera Mediatrice di Misericordia,
perché con la sua santità tocca Dio stesso, essendo degna per la sua Immacolata
Concezione di essere il tempio e la madre di Dio. Essa è ancora la Madre di
145
146
147
148
Ivi, p.65.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
85
Misericordia, perché secondo le espressioni dei Padri, è la vera Arca di Noè, che
fu salva dal naufragio universale e «salvò il genere umano».149
Noi non possiamo perciò dubitare che il centro della vita spirituale e apostolica
di Monsignor de Mazenod, sia stata veramente la Vergine Immacolata alla quale
egli si era donato e consacrato come Oblato. La Madre di Misericordia viene pure
da questo centro spirituale della sua anima.
2.16. Perché il Fondatore ha cambiato nelle Regole solo il titolo
Una considerazione potrebbe renderci difficile ammettere che veramente la
Vergine Immacolata sia divenuta il fine del suo apostolato e dell'apostolato della
sua Congregazione, il fatto cioè che Monsignor de Mazenod non ha messo nulla
di questo negli articoli della Regola, che riguardano il fine dell'Istituto.
Il Capitolo Generale del 1826, vedendo nelle Regole una lacuna, che non
corrispondeva alla dottrina e allo spirito del Fondatore, decretò di aggiungere,
nella parte che riguarda il fine della Congregazione, l'articolo 10, del seguente
tenore:
«Congregatio nostra sub titulo et patrocinio Sanctissimae et Immaculatae Virginis
Mariae constituta est, quaproter erga celestem hanc Patronam et Matrem, sodales
nostri singularem devotionem in corde nutriant et inter fideles jugiter promoveant».150
Questo articolo riassume perfettamente la dottrina del Fondatore, cioè che a
causa del titolo, la Congregazione è posta sotto il patrocinio dell'Immacolata.
Verso questa Madre Immacolata, gli Oblati dovranno avere una devozione
speciale. A questa Madre Immacolata dovranno condurre le anime, ciò costituisce
uno scopo generale della Congregazione.
Ma allora come spiegare che il Fondatore non abbia pensato a fare alcuna
modifica alle Regole del 1825 ? Perché quando questa profonda evoluzione si
verificò nella sua anima, egli era a Roma e il testo delle Regole era già stato
149
150
Ivi, p.66.
Ibidem.
86
completamente redatto. Bisogna inoltre considerare che egli aveva espresso
abbastanza chiaramente e fortemente la sua volontà nei riguardi dell'apostolato
mariano, poiché nel testo latino che aveva portato con sé a Roma, si leggevano le
parole: «Omnem navabunt operam, quo populi Immaculatam Sanctissimamque
De iparam ferventius fiducialiusque colant».151 Il pensiero è espresso con energia:
non tralasceranno nulla, anzi useranno ogni mezzo, Omnem navabunt operam, per
portare i fedeli ad una devozione sempre più fervente e sempre più fiduciosa verso
l'Immacolata Madre di Dio.
Più tardi nell'appendice De Exteris Missionibus che aggiunse all'edizione delle
Regole del 1853, il Fondatore dirá:
«Studebunt insuper sodales nostri neophytos ad B. Mariae Virginis cultum
amatissimum inclinare, eosque edocere pias erga SS. Et Immaculatam Matrem
exercitationes, quae sint eorum conditioni magis accomodatae».152
Si noti la frase cultum amatissimum.
I testi citati non riguardano il fine dell'Istituto, però nell'edizione 1853, vi sono
due articoli che il Fondatore aggiunse in quella parte delle Costituzioni, che
riguardano proprio lo scopo della Congregazione. Noi vi leggiamo infatti:
«Praestantior sane finis Congregationis nostrae, post sacras missiones, est directio
seminariorum in quibus clerici … in abscondito domus Dei et sub tutela Sanctissimae
et Immaculatae V. Mariae informatur».153
Ed ancora:
«Incessanter satagant in clericis Christum formare, favente Immaculata eius Matre
Virgine Maria, ad cuius praesidium eos edoceant in omnibus fiducialiter
confugere».154
151
152
153
154
Ivi, p.67.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
87
È dunque uno dei fini della Congregazione formare Gesù Cristo nei chierici
favente Immaculata eius Matre Virgine Maria.
Inoltre se il Fondatore non sentì il bisogno di aggiungere altri articoli, che
spiegassero meglio il fine mariale della Congregazione, è stato perché vedeva
tutto racchiuso nel titolo di Oblati di Maria Immacolata, titolo messo sul
frontespizio delle Costituzioni, approvate dal Sommo Pontefice e divenuto così
una parte precipua delle Costituzioni medesime.
È vero che ciò che egli ha visto nel titolo era implicito almeno in parte, ma per
lui tutto era ben chiaro, non solamente per ciò che riguarda la consacrazione
personale alla Vergine Immacolata e la devozione che dobbiamo avere per Lei,
ma pure per quel che riguarda il ministero apostolico e il fine della
Congregazione. È palese che per il Fondatore, gli Oblati sono:
«Devoti servitori di Maria, specialmente consacrati nella loro persona a questa
Vergine Immacolata»155,
quindi con tutte le energie e le facoltà della loro persona con tutto quello che
hanno, di conoscenza, di amore e attività esteriore, debbono servire o glorificare
Maria Immacolata, loro Patrona, loro Madre e loro Regina.
Per cui è facile comprendere che se egli aveva una idea così ricca della sua
oblazione a Maria, non sentiva il bisogno di aggiungere null’altro alla formula:
Oblati di Maria Immacolata.
Infine, Sant’Eugenio considerava le lettere Apostoliche Si tempus unquam,
come la Magna Carta della sua Congregazione, in cui il Vicario di Gesù Cristo
dava missione agli Oblati, perché consacrati all'Immacolata, di essere nella Chiesa
gli apostoli di Maria. Alle parole di Leone XII egli si è richiamato in seguito in
tante e tante circostanze, non sentiva quindi il bisogno, dinanzi ad un documento
Pontificio così autorevole, di aggiungere nulla alle Regole.
155
Ivi, p.68.
88
2.17. Definizione del Dogma dell'Immacolata
Dal dicembre 1825, quando chiese il nome di Oblati di Maria Immacolata,
Monsignor de Mazenod visse questa dottrina per tutta la sua vita e si sforzò di
farla vivere nella sua Congregazione.
Nei suoi ultimi anni, gli fu riservata una grande gioia da Pio IX, quella di
vedere definire il Dogma dell'Immacolata Concezione e di assistere alla sua
proclamazione. Troviamo nei suoi scritti e nei suoi atteggiamenti espressioni di
una grande e profonda esultanza.
Appena ricevette l'annunzio che il Papa pensava alla definizione del Dogma, in
una pastorale, così si esprime sull'importanza di questo avvenimento: «La vostra
fede vi scoprirà il senso profondo e le felici conseguenze di questa
proclamazione.» Quindi per mostrare la portata di tale definizione, comincia con il
considerare Maria, nella sua qualità di Madre spirituale dell'umanità, in tutte le
altre prerogative che, di questa maternità, né sono come il coronamento, e arriva
all'Immacolata Concezione, che nel concreto di tutti questi privilegi, è come
l'intima sorgente da cui viene la bellezza di Maria Santissima:
«Dopo quello che riguarda direttamente Dio, nulla di più prezioso per la pietà
illimitata della vera luce della fede, di quello che tocca l'onore della Vergine
Santissima. Vi è tutto l'interesse che un Figlio verso la madre sua e quale madre! Colei
che ci ha dato la sorgente della vita e della salvezza del mondo, Colei che ci ha tutti
spiritualmente generati ai piedi della Croce, nei dolori della passione e della morte
dell'Uomo-Dio, frutto benedetto del suo seno, Colei che è giustamente chiamata la
nuova Eva e la corredentrice del genere umano.
La sua tenerezza veglia sopra di noi, essa nutre le nostre anime delle grazie divine di
cui è, secondo i Santi Padri, la distributrice; dall’alto del cielo lo spande a piene mani
sui suoi figli dopo averle attinte da cuore del Suo Foglio, Nostro Salvatore. La nostra
esistenza, anche quella temporale, è sotto lo sguardo del suo amore materno, e gli
Angeli, di cui è Regina sempre esaltata e sempre obbedita, sono mandati dai piedi del
suo trono per guidarci sulle sue vie …».156
156
A. DI BENEDETTO, Un uomo ... l’Immacolata, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione.
Evangelizzare, cit. p. 126.
89
Nell'insieme di questi privilegi, la grazia dell'Immacolata Concezione è
presentata come la linfa interiore che vivifica tutti, come la nascosta radice di
grazia da cui viene la bellezza di Maria Madre di Dio e degli uomini.
Dopo avere considerato Maria Immacolata, come Madre, egli la considera
come la creatura più perfetta che ci conduce a Dio e nella quale rendiamo a Lui il
massimo della gloria:
«È la gloria di Dio stesso che è interessata alla gloria di Maria. Tutto quello che da
parte nostra tende a glorificare la Vergine Maria, risale da Lei a Dio, prendendo per
così dire, nelle mani della più perfetta delle creature, il carattere dell'omaggio più
perfetto verso il Creatore. Noi glorifichiamo Dio, nel capolavoro della sua potenza e
del suo amore, lodiamo Dio che, tra tutte le meraviglie della sua destra, che attestano
la sua grandezza infinita, egli ne ha prodotto una che da sola riunisce in sé stessa,
meglio tutte le altre assieme, le sue perfezioni adorabili».157
Infine considera Maria nella sua grandezza di Madre di Dio, con la quale la
grazia dell'Immacolata Concezione è in perfetta armonia:
«D'altronde la grandezza della Vergine Santa consiste soprattutto nella sua dignità di
Madre di Dio, che è il motivo di tutte le prerogative di cui Essa è ornata e del culto
superiore che le rendiamo. Così è il Figlio che noi onoriamo nella Madre, ecco perché
ci è impossibile eccedere nei nostri omaggi verso Maria, finché la consideriamo come
creatura, Dio essendo sempre il termine supremo di tutti codesto omaggi».158
Abbiamo qui come una sintesi della dottrina della Fondatore sulla Madonna e
dei motivi che gli facevano vedere la grazia dell'Immacolata Concezione in
armonia con tutte le sue prerogative. Questa grazia, per lui, andava perfettamente
all'unisono con i suoi privilegi di Madre degli uomini, Corredentrice del genere
umano, Mediatrice universale e soprattutto Madre di Dio.
157
158
Ibidem.
Ibidem.
90
A chi pensasse che soltanto verso la fine della vita, nel Fondatore si sviluppò
una tale dottrina, sotto l'influsso della proclamazione del Dogma dell'Immacolata
Concezione, si potrebbe rispondere che, come la definizione del Dogma non
creava una dottrina nuova nella Chiesa, ma confermava solennemente una verità
antica quanto il Cristianesimo, così nella vita di Monsignor de Mazenod, la
medesima definizione non apportava una dottrina nuova ma confermava, in modo
infallibile, quello che egli aveva creduto fino ad allora perché era stato, da tempo,
la sua dottrina è la sua spiritualità.
2.18. Gioia personale
Questa conferma autorevole, dava a Sant’Eugenio de Mazenod una grande
gioia «mai l'ho visto così soddisfatto»159 dice monsignor Jeancard, suo Vicario
Generale, che lo accompagnava a Roma e aggiunge:
«La sua gioia di vedere che Lei, la Vergine Santissima, era così grandemente onorata
sotto lo stesso titolo della sua Congregazione, si manifestava in tutte le sue
conversazioni … il suo volto traspariva una santa emozione e la sua pietà esultava di
gioia».160
Lui stesso ci confessa che la sua esultanza proveniva non solamente da vedere
Maria Santissima glorificata, ma pure dal suo titolo di Oblato di Maria
Immacolata.
Nel suo diario, il 18 novembre 1854, egli scrive:
«Tutti questi Vescovi accorsi ... alla solenne glorificazione della Vergine Immacolata,
la Santa Madre di Dio, la nostra e la mia più particolarmente. Quale gioia !»161
159
160
161
A. DI BENEDETTO, Un uomo ... l’Immacolata, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione.
Evangelizzare, cit. p. 126.
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 69.
Ibidem.
91
Parlando della solenne proclamazione svoltesi in San Pietro egli scrive ancora:
«Se il Papa profondamente commosso ha versato delle lacrime, voi potrete pensare se
le mie si siano mescolate alle sue. Nessuno, nell'angusta assemblea, aveva il doppio
motivo che ingrandiva la mia gioia. Io ero vescovo come tutti gli altri, 200 presso a
poco, che erano presenti, ma chi poteva presentarsi con la qualità di Padre di questa
famiglia sparsa oggi in tutto il mondo, che porta alto sulla bandiera, dal giorno in cui
essa fu posta tra le nostre mani, dal Capo della Chiesa, il nome di Maria Immacolata,
di Maria concepita senza la macchia del peccato originale. Dappertutto dove i nostri si
sono presentati, dal mezzogiorno al settentrione, dal levante al ponente, essi hanno
proclamato questa preziosa prerogativa della Madre di Dio. Non avevamo che
pronunziare il proprio nome, questo solo attestava e pubblicava la dottrina della
Chiesa e la gloria di Maria. Non credete forse che questi pensieri erano atti a elevare la
162
mia anima e infiammare il mio cuore, che come sapete non è invecchiato ?»
Egli sentiva vivamente che in quest’avvenimento apportava qualche cosa di
veramente personale, alla prova del Dogma da definirsi e alla gloria di Maria, e
per questo volle presentare a monsignor Pacifici, le lettere Apostoliche con le
quali Leone XII aveva approvato il suo Istituto sotto il nome dell'Immacolata.163
La Bolla Ineffabilis ne fece menzione in modo generico con queste parole:
«Congregationibus religiosisque familis».
2.19. Presentimento di una nuova era per la Chiesa
Vedendo il Papa proclamare il Dogma ed affidare le sorti del mondo alla
potente intercessione dell'Immacolata, il cuore di Sant’Eugenio si dilatava e
grandi speranze nascevano nella sua anima, al ricordo di tutte le benedizioni che
questa Vergine Immacolata aveva versato sulla sua Congregazione, da quando
Leone XII l'aveva posto sotto una così efficace tutela.
162
F.CIARDI,
163
Ibidem.
Eugenio de Mazenod un carisma di missione e di comunione, cit. 145.
92
Questa speranza la esprime già nella lettera a Pio IX il 28 aprile 1849. Una
lettura anche superficiale ci mostra all'evidenza che il Fondatore, pensando alle
benedizioni che la Vergine Immacolata aveva versato sulla sua Congregazione,
era portato a credere che l'avvenire della Chiesa, con la proclamazione del
Dogma, sarebbe stato migliore e che sotto tanti auspici, un'era nuova sarebbe
cominciata. Nel 1854, prima di partire per Roma, scriveva ai suoi diocesani:
«È sotto gli auspici della più pura delle Vergini, e domandando che le si è reso sulla
terra un nuovo e magnifico omaggio, che si direbbe che siamo stati siamo destinati a
ritrovare la nostra felicità perduta».164
Dopo la definizione del Dogma, questo sentimento diviene in lui ancora più
forte e riempie la lettera Pastorale del 1855, con la quale comunica ai suoi
diocesani la Bolla Ineffabilis, così egli si esprime:
«La decisione della Chiesa ha aperto per questa valle di lacrime una sorgente di
benedizioni ... La Vergine Santa, piena di grazie, benedetta fra tutte le donne ... questa
arca Santa, sarà la nostra salvezza ... Gli avvenimenti sembrano l'ultima parola di una
laboriosa rigenerazione, alla quale noi assistiamo, aspettando la nascita di un'era di
salvezza, più o meno lenta a venire».165
Possiamo dunque annoverare Sant’Eugenio de Mazenod tra quei Servi di Dio
che nei secoli scorsi hanno presentito che una era di benedizioni mariane stava per
aprirsi nella Chiesa, sotto gli auspici dell'Immacolata.
2.20. Fiducioso e sereno tramonto
Dopo esser vissuto per l'Immacolata, dopo aver dato la sua spiritualità ad una
grande famiglia religiosa, che porta la bandiera di Maria Immacolata, nel mondo
intero, dopo aver avuto la gioia di vedere questa bandiera stendersi sulla Chiesa
164
165
J. MORABITO, L’Immaculée dans la spiritualité du Fondateur, in «Etudes Oblates, Revue
Trimestrielle», cit. p. 71.
A. DI BENEDETTO, Un uomo ... l’Immacolata, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione.
Evangelizzare, cit. p. 128.
93
universale, dalla definizione del Dogma a lui tanto caro, Sant’Eugenio de
Mazenod, fedele servo di Maria, poteva morendo abbandonare la sua anima, con
fiducia filiale, nelle braccia della sua Madre Immacolata.
Nel suo testamento leggiamo queste commoventi parole:
«Invoco l'intercessione della Santissima Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio,
osando ricordarLe in tutta umiltà, ma con consolazione, la devozione filiale di tutta la
mia vita e il desiderio che ho sempre avuto di farla conoscere e amare, e di propagare
il suo culto in ogni luogo, per mezzo del ministero di coloro che la Chiesa mi ha
donato per figli».166
In questo testo così prezioso, possiamo cogliere sulle labbra del Fondatore
degli Oblati di Maria Immacolata morente, la confessione della verità che
vogliamo mettere in luce, cioè la sua devozione filiale di tutta la vita alla Vergine
Immacolata e il desiderio costante che egli ha sempre avuto di farla conoscere,
amare e propagare il suo culto, col ministero dei suoi Oblati, che la Chiesa gli ha
dato per figli.
166
F. CIARDI, Eugenio de Mazenod un carisma di missione e di comunione, cit. p. 138.
94
Capitolo Terzo
Sostenitore dell’immacolata
3.1. Sostenitore dell’Immacolata
Non tutto però nella Chiesa d’allora pensava come Eugenio de Mazenod.
Anche se rari, non mancarono neppure tra i Vescovi, chi non vedeva di buon
occhio la dottrina riguardante l’Immacolato Concepimento di Maria. Uno era
proprio il metropolita di Aix di cui la Diocesi di Marsiglia, allora era suffraganea.
Quanto mos. de Mazenod ne soffrisse è facile immaginarlo. Chi, come lui, aveva
scoperto il ruolo importante della Madonna in quanto Immacolata non poteva
rimanere insensibile al pensiero che un Vescovo, cioè un maestro della fede, fosse
indifferente o addirittura contrario a che questa realtà, dimostrativa della potenza
redentiva di Cristo, fosse proclamato dogma di fede.
Nell’ottobre del 1838 (Eugenio era diventato Vescovo di Marsiglia nel 1837) ci
fu ad Aix la riunione di tutti i Vescovi della metropolia. Un argomento dell’ordine
del giorno era se la dottrina circa l’Immacolata Concezione di Maria fosse
definibile come dogma di fede. Il metropolita vi si oppose ostinatamente.
Anzi si mostrò talmente contrario che non permise neppure di mettere a
verbale la proposta di Mons. De Mazenod che, per deferenza verso il suo
superiore, non osò insistere sulla questione né protestare per la mancata
verbalizzazione. Si convenne comunque di inviare ugualmente a Roma una
richiesta solo per aggiungere la parola Immacolata nel prefazio delle messe della
Madonna e l’espressione Regina concepita senza peccato nelle litanie lauretane.
Mons. De Mazenod però non se diede per vinto. Alcuni giorni dopo scrisse una
lunga lettera al Vicario Generale dall’Arcivescovo ricordando come i Vescovi
loro predecessori di Marsiglia e di Mix aveva già affermato solennemente la
dottrina dell’Immacolato Concepimento di Maria nel Concilio di Avignone; che le
95
testimonianze dei libri liturgici delle diocesi di Provenza (il Messale di Ares, il
Breviario di Marsiglia, il Messale di Fréjus) dimostravano che tale dottrina era
ormai tradizionale nella provincia ecclesiastica di Mix. In realtà non aveva perso
la speranza di far cambiare idea all’Arcivescovo. Infatti alla fine della lettera
aggiunse:
«Vi confesso che sento un po’ di rimorso per non aver insistito maggiormente perché
nella manifestazione dei nostri sentimenti al Santo Padre ci spingessimo fino alla richiesta
di una definizione dogmatica».
167
Fatica sprecata! Il Vescovo di Marsiglia dovette rendere conto quattro anni
dopo quando ebbe con l’Arcivescovo un nuovo scambio di pareri sull’argomento.
La verità però si fa sempre strada col tempo. La dottrina e la fede riguardanti
l’esenzione del peccato originale in Maria, fin dal suo primo istante della sua
concezione, ne avevano fatta di strada in tanti secoli di ricerca, di dispute, di
preghiera e di contemplazione! Il tempo era maturo perché il papa in persona
prendesse l’iniziativa di confermare i fratelli nella fede. Il 2 febbraio 1849 Pio IX,
da Gaeta indirizzò a tutti i Vescovi del mondo una Lettera Enciclica chiedendo di
fargli conoscere il più presto possibile quali erano a proposito dell’Immacolata
Concezione della Madonna, la devozione, i desideri del clero e dei fedeli e quale
era la loro opinione personale. Fu una specie di concilio per iscritto. A rispondere
furono circa 570 Vescovi: 530 favorevoli a che si proclamasse questo dogma; 36
furono favorevoli ma non ritenevano opportuno che il Papa lo proclamasse in quei
frangenti storici; 4 furono decisamente contrari. La risposta del Vescovo di
Marsiglia non si fece attendere e, come è facile immaginare, fu positiva ed
entusiasta. Mons. de Mazenod però non era ancora soddisfatto. Desiderava la
definizione del dogma dell’Immacolata non solo in qualità di Vescovo ma anche
come fondatore di una Congregazione religiosa, che, prima fra tutte, era intitolata
all’Immacolata. Non contento della lettera ufficiale, Eugenio ne indirizzò al Papa
un’altra di accompagnamento che in Vaticano piacque tanto da essere inserita,
insieme a quella ufficiale, nel primo dei dieci volumi contenenti i Pareri sulla
definizione dogmatica dell’Immacolato Concepimento della Beata Vergine Maria
167
A. DI BENEDETTO, Un uomo ... l’Immacolata, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione.
Evangelizzare, cit. pag. .122.
96
rassegnati alla Santità di Pio IX, P.M. in occasione della sua Enciclica data a
Gaeta, il 2 febbraio 1849 (Roma Civiltà Cattolica 1851). Convinto che quando si
tratta di difendere l’onore della propria madre un figlio non fa mai abbastanza, il
vescovo di Marsiglia volle inviare a Pio IX un’altra lettera in qualità di Superiore
Generale dei Missionari O.M.I. e a nome di tutti loro. Una lettera che gli sgorgò
dal cuore, senza le preoccupazioni formali imposte dall’ufficialità del protocollo
episcopale, ricca di tutta l’effusione di cui era capace il suo temperamento
meridionale. Dopo aver risposto così copiosamente al Papa, il Vescovo di
Marsiglia si sentì in dovere, giustamente, di indirizzata tutti i fedeli della sua
Diocesi una Lettera Pastorale con la quale portò a conoscenza di tutti l’enciclica
papale del 2 febbraio e, soprattutto non si lasciò sfuggire l’occasione per parlare
della Madonna descrivendone le grandezze; espose diffusamente il significato
dell’Immacolata Concezione e l’importanza della definizione progettata dal Papa;
domandò che tutti concorressero con preghiera ad ottenere al Papa la luce dello
Spirito Santo in una questione così importante per tutta la Chiesa e così esaltante
per la Vergine Santa. Gli anni che seguirono furono anni di intensa preparazione a
Roma e in tutte le Diocesi. Mons. De Mazenod, naturalmente, non trascurava
nessuna occasione per trasmettere anche agli altri lo stesso desiderio: ai sacerdoti,
ai fedeli della Diocesi e soprattutto ai suoi figli che già nel 1826 portavano il
nome dell’Immacolata.
97
LXI
DEL VESCOVO
DI MARSIGLIA
Colla quale accompagna la seguente di lui medesimo
Tres Saint Pere
Je charge M. l’Abbé Bonnafons Chanoine de Paris de présenter à Votre
Saintété ma reponse offici elle à la Lettre Encyclique qu’Elle a adressée à tous les
E eques du monde. J’ai cru enter dans les vues de votre Santèté en répondant dans
le sens que je l’ai fait. Il m’a semblé que le Chef de l’Eglisse avoit voulu donner à
la decision doctrinal qu’il est sur le point de publier, une solennité qui la rendra
une des plus célèbres que le Saint Siege ait jamais prononcées. Ce ne sera pas
saulement dans un Concile General que le Souverain Pontife, appuyé sur la
sentence de tous le Péres assemblés , aura prononcé infailliblement sur une
question devenue de foi par son jugement Apostolique, mais ce sera tout
l’Episcopat consulté par son Chef qui repondra doctrinalement sur la question
proposée par Lui, et qui rendra en méme temps ten oignage de la Tradition de
tout l?Univers Catholique sur le grand privilège accordé par le Toutpuissant à la
Très Saint vierge Marie.
Je ne concois rien de plus magnifique! Et la consolation de pronunce
infailiblement sur un pint de Dogme ainsi elaboré etoit dù à Votre Saintété comme
une compensation de tant tribulation, de tants de chagrins, si noires ingratitudes
dont son coeur a été abreuvé jusqu’à ce jour.
C’est aussi avec honheur que j’apprendai a Votre Saintété que les fidale de
mon diocése ont repondu avec une sorte d’enthousiasme à l’invitation que je leur
ai faite dans mon Mandement de venir déposer aux pieds de Votre Santété le
tribut de leur pieté filiale. La somme est peu de chose, maais c’est le sentiment qui
en accompagne l’hommage que je prie le Saint Père de vouloir bien agréer.
Prosterné à vos pieds, Très Saint Pere, je demande pour mes ouailtes et pour
moi Votre Bénédiction Apostolique, et suis avec le plus profound respect.168
168
Pareri sulla definizione dogmatica dell’immacolato concepimento della B. Vergine Maria
rassegnati alla santità di Pio IX in occasione della sua Enciclica data da Gaeta il 2 febbraio
1849, Vol.I, Parte Prima, cit., p. 136.
98
De Votre Sanitété
A’ Mairselle le 28. Avril 1849
Le tres humble et tout dévoué Fils
C.I. EUGENE EVEQUE DE MARSEILLE
BEATISSIME PATER
Sanctitati Vestrae ex intimo corde prolats gratiarum actiones non agere non
possum eo quod libuerit in exequendis piis cogitationibus, ad honorem quam
maximum erga Beatissimam Virginem Mariam promovendum, ubique terrarum
diffuse Ecclesiae Catholicae Episcopos benevolenter admittere ad ferendum
solemne Iuducium quo Immaculata dilectissimae Matris Conceptio tanquam
Dogma Catholicum definiretur. Magno perfusus gaudio mihimetipsi in Domino
congratulor de parte mihi concessa in sententia quae Spiritu Sancto afflante
pronuntiabitur; in Domino exultans, laetus testimoniu perhibeo de tradizione
Ecclesiae mihi creditae, laetusque meam propriam opinionem dicam de questione
à Sanctitate Vestra mihi proposita.
Multis abhinc saeculis, Beatissime Pater, Massiliensis Ecclesia, Galliarum
indubitanter antiquissima, profitendo gloriatur pieque credendo Beatam Mariam
Virginem sine labe fuisse conceptam. Inter plurima hanc fidem probantia in
primo loco afferre possum Breviarum ante Sacrosanctum Tridentinum Conciluim
nostra in Ecclesiae Massliensis fidem. Huiusmodi traditio a patri bus accepta,
temporibus nostris summa cum sollecitudine servata, de qua laeetus testimonium
dico cum maximo viguit honere in Arelatensi provincia in qua tunc versabatur
Ecclesia Massiliensis. Haec unanimis apud nos persuasio in splendidam lucem
sese protuit praesertim in Aveniensi Synodo celebrata anno Domini MCCCCLVII
cu interfuit Nicolana de Brancas in sede Massiliensis Ecclesiae Praedecessor
meus. Illa in Synodo Basiliense decretum quo anathemate percutiebantur
99
quicumque sive verbis sive scriptum negabant Deiparam sine labe fuisse
conceptam, decretum illud, inquam, non solum promulgatum fuit, sed Synodus
illa praecepit et mandavit singulis Parochis ut de illo certiores facerent populos
sibi commissos. Ex illis omnibus evenit, ut sententia ista adeo nostris in
regionibus praevaluerit, ut immunitas a labe originali a Deo dilectissimae Matri
concessa tamquam veritas inconcussa habita fuerit, testante Arelatensi Missali
anno MDXXXVIII, impresso et in quo legitur oratio sequens: “ Deus, qui per
Immaculatam Virginis Conceptionem Dignum Filio tuo habitaculum preparasti:
quaesumus, ut qui ex morte eiusdem Filii tui praevisa, eam ab omni labe
preservasti, nos quoque mundos eius intercessione, ad te pervenire concedas. Per
eumdem Dminum…”.
Cuncti Diocesis mese Sacerdotes ex intimo corde illam diligentes fideliter
Immaculatae Beatae Virginis Mariae Conceptionis doctrinam tenuerunt; Ecclesiae
Cathedralis venerabile Canonicorum collegium in Beatissimam Virginem Mariam
sua devotione motum, ut totius diocesis
cleri exprimeret sententiam,
deliberazione facta, a me enixe postulat ut ullius votum ad pedes Sanctitatis
Vestrae detona, ut quamprimum feratur iudicium cuius spes mentibus nostris
affulget ex littera Encyclica ad totius Ecclesiae Episcopos nuper directa.
Eo libentius venerabilis Canonicorum Collegi optatis respondeo, quo Votum istud
a cunctis ardenter efformatur sive a Sacerdotibus, sive a fidelibus totium Diocesis
mihi concreditae.
Quod sententiam meam propriam quam mihi ut Episcopo in Ecclesia Dei de
hac questione dicere feciliter incubit, Spiritu Sancto adiuvante, auxiliante aeterni
Luminis Matre, Hanc proferre non dubito: firmiter enixus traditione Ecclesiae
mihi creditae, opinione maximi momenti theologorum et vir….. virtute et
sanctitate in temporibus modernis conspicuorum et etiam rationibus theologicis ex
quibus ob honorem Dei matris Divinique illius Filii, nihil omnino ex peccato
debuerit esse in hac praestantissima dilectissimaque Deipara, ego pronuntio
iudicandum definiendumque fore tanquam dogma Catholicum Beatissimam
Virginem Mariam sine labe originali fuisse concepatam.
Hoc pronuntians iudicium perardentissime desiderio illud ferendum esse a
Sanctitate Vestra ubique terrarum Ecclesiam Dei diffusam infallibiliter docente
100
cum plenaria auctoritate Beato Petro a Christo in terris concessa. Flagranti isto
ardeo desiderio sive ob devotinem quam profiteor, quamque teneris ab annis
professus sum erga Beatissimam Virginem Mariam, sive ob paternum amorem
quo semper dilexi semperque diligo Presbyterorum congregationem quam Deo
adiuvante efformare mihi contigit; in qua summi moderationis munere fungor,
cuius statuta et Regulae fuerunt approbatae in forma specifica a Summo Pntefice
Leone XII felicis memoriae per litteras Apostolicas datas die XXI. Martii
MDCCCXXVI, Si tempu unquam palne fuit, in quibus litteris praeclarus ille
Pontifex benigne concessit gloriosum inauditumque nomen Congragationis
Oblatorum Sanctissimae Virginis Mariae sine labe conceptae. Congragatio ista
cuius approbatio confirmata fuit novis litteris Apostolicis a Decessore vestro
felicis recordationis Gregorio XVI datas die XX Martii anno MDCCCXLVI,
Quum multa sis messis, cui nomen dedere plusquam trecenti sodales diffusi in
pluribus missionibus in Gallia, in Anglia, in America et etiam in insula Ceylanensi
in Asia, Congregatio ista, inquam, voluit per espressa deliberationem ad pedes
Sanctitatis Vestrae deponere testimonium summae felicitatis qua cuncti gauderent,
si tandem per iudicium dogmaticum a Sanctitate Vestra prolatum, fieri posset satis
desideriis quae sunt etiam vota intimi cordis mei.
Beatissime pater, utinam Spiritus ille quo afflante benevolenter postulatis totius
Ecclesiae Episcopatus iudicium, utinam Spiritus ille pietati devotionique vestris
erga Beatissimam virginem Mariam solemne dicat iudicium toto orbe terrarum a
cunctis christianis cordibus peravide desideratum! Quo tandem lato, Immaculata
Conceptio amatissimae Matris nostrae splendide fulgebit inter veritates quas sub
anathematis poena cuncti cristiani credere tenentur.
Ad pedes Sanctitatis Vestrae prevolutus, pro me, pro Clero fidelibusque Diocesis
meae et etiam pro Congregatione Oblatorum B.V.M. sine labe conceptae Vestram
Apostolicam postulo Benedictionem.
Beatitudinis Vestrae
Humillimus ac Devotissimus Filius
C.I.EUGENIUS EPISCOPUS MASSILIENSIS169
169
Ivi, p. 137.
101
LETTERA DI EUGENIO DE MAZENOD
A PIO IX
Non posso non rendere grazie dal profondo del cuore alla Santità Vostra per il
fatto che Vi è piaciuto, nel realizzare le Vostre pie idee, per promuovere l’onore il
più possibile grande verso la Beatissima Vergine Maria, ammettere benevolmente
i Vescovi della Chiesa Cattolica sparsi su tutta la terra ad esprimere solenne
giudizio per definire come Dogma Cattolico l’Immacolata Concezione
dell’amatissima Madre. Preso da grande gioia, mi congratulo con me stesso nel
Signore per la parte a me concessa nella sentenza che, su ispirazione dello Spirito
Santo, sarà pronunziata; esultando nel Signore, sono felice di presentare la
testimonianza sulla tradizione della Chiesa a me affidata e con piacere esprimerò
la mia propria opinione sulla questione a me proposta dalla Santità Vostra.
Molti secoli fa, Beatissimo Padre, la Chiesa di Marsiglia, indubbiamente la più
antica della Francia, si gloriava di professare e di credere piamente che la Beata
Vergine Maria era stata concepita senza macchia. Tra i moltissimi argomenti che
provano questa fede posso citare in primo luogo il Breviario in uso nella nostra
Chiesa prima del Sacrosanto Concilio di Trento. Codesto Breviario attesta con
precise parole che tale fu la fede della Chiesa di Marsiglia. Una tradizione di
questo tipo, ricevuta dai Padri, osservata nei nostri tempi con somma
sollecitudine, sulla quale volentieri di la mia testimonianza, fu ben viva con il
massimo onore, nella provincia di Arles, nella quale allora era inserita la Chiesa
marsigliese. Questa convinzione unanime presso di noi si manifestò in splendida
luce specialmente nel Sinodo di Avignone, celebrato nell’anno del Signore 1457,
al quale partecipò Nicola di Brancas, mio predecessore nella Chiesa di Marsiglia.
In quel Sinodo il Decreto Basiliano, con il quale venivano colpiti con anatema
tutti coloro che con parole o con scritti negassero che la Madre di Dio fu
concepita senza macchia, quel Decreto, dico, non solo fu promulgato, ma quel
Sinodo diede disposizione ed incarico ai singoli parroci di informarne le
popolazioni ad essi affidate. Da tute quelle cose risultò che quella decisione
s’impose nelle nostre regioni a tal punto che la preservazione dal peccato concessa
da Dio all’amatissima Madre, fu considerata come verità inconcussa, come attesta
102
il Messale di Arles, stampato nell’anno 1538, nel quale si legge la seguente
orazione: “ O Dio, che per mezzo dell’Immacolata Concezione della Vergine
preparasti per il Figlio tuo una degna abitazione; ti chiediamo che Tu, che, in
forza della prevista morte dello stesso tuo Figlio, La preservasti da ogni macchia,
concedi che anche noi arriviamo a Te puri, grazie alla sua intercessione. – Per il
medesimo Signore … “.
Tutti i sacerdoti della mia Diocesi, amandola dal profondo del cuore,
conservarono fedelmente la dottrina dell’Immacolata Concezione della Beata
Vergine Maria: il venerabile Collegio dei Canonici della Chiesa Cattedrale, spinto
dalla sua devozione verso la Beatissima Vergine Maria, per manifestare la
decisione di tutto il Clero diocesano, fatta la deliberazione, mi chiede
insistentemente di deporre il suo auspicio ai piedi della Santità Vostra, affinché
quanto prima sia pronunziato il giudizio la cui speranza illumina le nostre menti,
secondo la lettera Enciclica testé indirizzata ai Vescovi di tutta la Chiesa.
Tanto più volentieri soddisfo il desiderio del venerabile Collegio dei Canonici
in quanto codesto Auspicio è formulato ardentemente da tutti, vuoi dai sacerdoti,
vuoi dai fedeli di tutta la Diocesi a me affidata.
In quanto al mio personale parere che, come Vescovo della Chiesa di Dio, ho il
felice obbligo di esprimere su questa questione, con l’assistenza dello Spirito
Santo, con l’aiuto della Madre dell’Eterna Luce, non esito a formulare questa
proposizione: appoggiandomi solidamente alla tradizione della Chiesa a me
affidata, all’opinione di teologi di grandissimo prestigio e di uomini eminenti nei
tempi moderni per virtù e santità ed anche ad argomenti teologici, in forza dei
quali, a causa dell’onore della Madre di Dio e del Divino suo Figlio,
assolutamente niente di peccato ha dovuto esserci in questa eccelsa ed amatissima
Madre di Dio, io pronunzio che dovrà essere giudicato e definito come Dogma
Cattolico che Beatissima Vergine fu concepita senza macchia originale.
Pronunziando questa sentenza, desidero molto ardentemente che essa sia
emettersi da parte della Santità Vostra che esercita la funzione di infallibile
docenza nella Chiesa di Dio diffusa in tutto il mondo, con l’autorità plenaria sulla
terra concessa da Cristo al beato Pietro. Brucio di codesto ardente desiderio sia
per la devozione che professo e che dagli anni dell’infanzia ho professato verso la
103
Beatissima Vergine Maria sia per il paterno amore con cui ho sempre amato e
sempre amo la Congregazione di Presbiteri che, con l’aiuto di Dio, mi è toccato di
formare, nella quale esercito la funzione di sommo moderatore, i cui Statuti e
Regole furono approvati in forma specifica dal Somma Pontefice Leone XII di
felice memoria, mediante la Lettera Apostolica datata 21 marzo 1826 Si tempus
unquam plane fiut, nella quale Lettera quell’insigne Pontefice benevolmente
concesse il glorioso e mai sentito nome di Congregazione degli Oblati della
Santissima Vergine
Maria concepita senza peccato
originale.
Codesta
Congregazione, la cui approvazione fu confermata con una nuova Lettera
Apostolica dal Vostro predecessore di felice memoria Gregorio XVI in data 20
marzo 1846 Quum multa sit messis, alla quale diedero il nome più di trecento
congregati diffusi in numerose missioni in Francia, Inghilterra, America ed anche
nell’isola di Ceylon in Asia; codesta Congregazione, dico, per mezzo di una
espressa deliberazione, ha voluto deporre ai piedi della Santità Vostra una
testimonianza della somma felicità della quale tutti godrebbero, se infine per
mezzo di un giudizio dogmatico emesso dalla Santità Vostra fossero soddisfatti i
loro desideri, che sono anche gli auspici del più profondo del mio cuore.
Beatissimo Padre, voglia il cielo che quello Spirito al cui soffio benevolmente
chiedeste il giudizio dell’Episcopato di tuta la Chiesa, di fronte alla Vostra pietà e
devozione verso la Beatissima Vergine Maria, pronunzi il solenne giudizio molto
ansiosamente desiderato in tutto il mondo da tutti i cuori cristiani! E quando eso
sia stato finalmente pronunziato, l’Immacolata Concezione dell’Amatissima
Madre nostra splenderà fulgida tra tutte le verità che, sotto pena di scomunica,
tutti i cristiani sono tenuti a credere.
Prostrato ai piedi della Santità Vostra chiedo la Vostra Apostolica Benedizione
per me, per il Clero e i fedeli della mia Diocesi ed anche per la Congregazione
degli Oblati della B.V.M: Concepita senza macchia originale.
Della Beatitudine Vostra
Umilissimo e Devotissimo Figlio
C.I. EUGENIO Vescovo di Marsiglia
104
CDXXXIII
DEL VESCOVO
DI MARSIGLIA
Beatissime Pater
Cum primum, ex alta Petri Sede personuerit vix Summi Pastoris, et ad omnium
aures indubitanter pervenerit, undequaue reviviscere mirificum illud ac
flagrantissimum desiserium, ut tandem definitivo solemnique iudicio ab
Apostolica Cathedra decerneretur: Sanctissimam Dei Genitricam, omniumque
nostrum amatissimam Matrem Immacultam Verginem Mariam,absque labe
originali fuisse conceptam, summo inenarrabilique guadio affecti sunt omnes
Congrgationis Oblatorum Sanctissimae Virginis Maariae sine labe originali
conceptae, sodales.
Inter densissimas calamitosi praesentis saeculi tenebra,procellosasque in hoc
mari magno tempestates fluctus suos ex omni parte spumantes, subito refulsit,
repentinus inesperabilisque fulgor. Eadem voce conclamarunt omnes nostri,
sacram Petri Naviculam, adeo nunc, furenti bus undis iactatam, ad felicem certo
salutis portum mox appulsuram, duca Maria Immaculata, sub omnipotenti manu
supremi Nautae et Gubarnatoris. Sanctissima quippe Virgo Deipara et cunctas
haereses invincibili pede semper contrivit, et iuctuosissimas calamitates
constanter: potenti dextera, ab ecclasia procui removit. Uno igitur corde,
unanimique ore, Deum Optimum, Maximun, alternis laudi bus, celebrare et
exaltare non desinunt istius sacrae Familiae alumni, de tam felici nuntio ad nos
recenter perlato ey de tam inopinata,vigilantissimi supremi Pastoriscoelestis certa
data, voluntate.
Illud etenim, quod erit pro toto Orbe Catholico causa amximae inaudita eque, a
multi retro saeculis, laetitiae, suas, apud nos, et singulares, et ferme, ut ita loquar,
ineffabiles obtinet obtinebitque gratiarum actiones. Enimvero, multis abhine
annis, venerandae mamoriae, Sanctissimus Pontifex Leo XII, institutum,
Congragationemque nostram per Litteras Apostolicas die 21 martii anni 1820, in
forma specifica datas, in ordine hierarchico, libenti alacrique animo constituens,
uberrimasque de Rore Caeli, ut dicebat, Universae Congragationi, ex intimo
105
cordis affectu largiens gratias, insignitam voluit splendido nomine, singularique
titulo Oblatoru Sanctissimae Virginis Mariae sine labe Conceptae.
In spem etiam erigebatur cor sapientissimi praelaudati Pontificis, eamdem
Familiam, quam admodum per utilem profitebatur afflictis Ecclesiae rebus, , tum
praesidio, tum ornamento, futuram.
Tandem omnes eiusdem sacri caelus praecones et Verbi Divini Seminatores,
velut dilectissimos in Christe filios, in visceri bus suae paternae charitatis alte
recondens, significavit ipsi cordi esse, ut finem non facarent, illam admirabilem
Dei Virginem Matrem celebrare, singulariaque ipsius amatissimae
Parentis
privilegia exaltare, ita ut efficaciter perducere valerent, ad eiusdem Matris
Misericordiae sinum, homine, quos ut filius, Iesus Christus in ara Crucis illi voluit
attribuire.
Tam lacta faustaque vota ipsemet Deus Summo bonus, abundatiori costantique
benedictione sancire non destitit. Pusillus ille et humilis sane grex, sub tanto
auxilio, facundaque manu illius Beatissimae Virginis sine labe Conceptae, quae
iure et merito decantatur gratia plena et in qua, Christus Redemptor, totius boni
posuit plenitudinem, longe et late propagine Sanctissime protulit, Mox enim, ut
Beata manu supremi Agricolae in horte Ecclesiae, piantata vitis ista, faecundos,
laetabanda, palmites emisit.
Exinde autem, de die in diem, protegente semper, et a superna
Afflante
Beatissima Virgine, Patrona Immaculata, operari in praeliantes praelia Domini,
non solum in omnibus Gallicanae parti bus, sede t in Anglia, in Hybernia, in
Corsica; sede t in remotioribus Americae spatiis usque ad Oregonem; sed etiam in
Indiis orientali bus, apud insulam Ceylanensem; et recenter in septentrionalibus
Africanae Regionis oris apud Algerium, latore plurimos susceperunt, sedem ibi
collocantes.
Quae omnia, adeo iucunda et tam pergrata fuere, venerabili Pontifici, Vestrae
Sanctitatis decessori, Gregorio XVI, ut paulo ante obitum, uberrimos fructus et
laetas segetes undique colligentes Missionarios Immaculatae Virginis Mariae
Oblatos affectuose contemplano, ultima et quasi Testamentaria Benedictione
106
Illos ditare et communire voluit, ut patet Brevi Apostolico, Valde Nostrum
laudativo et Instituti confermativo dato, apus S.Petrum, sub annulo Piscatoris, die
20 martii, anno 1846.
Quasnam ergo nunc, omnes nos, rependere valeamus gratias supplicationesque
pro tot tantisque beneficiis a Deo dati set pollicitis! Felix dies illa, dicimus, felix
sane dies in quo Deus, afflante Spiritu dilectissimi Filii sui, posuit in corde sui
Vicarii in terris, supereminentissimum honorem decernere Sacnctae Virgini
Mariae.
Felix indubitanter, et sancta dies in qua, Supremus ovium et agnorum Pastor as
Doctor, inter acerbissimas cordis sui angustias tritesque S.Ecclesiae vicissitudines
et urgentes necessitates, elevavit mentem ad Immaculatem Matrem Agni
Immaculati, oculosque direxerit ad fulgorem illius almi sideris, manu Dei positi in
Coelis ut arcus foederis et signum victoriae.
Veniat, veniat illa tam expotata hora in qua orbis universus exaltare valebit
Sanctissimam Dei Genitricem vere et certo confregisse caput vennosi serpentis;
fideque omnino tenendum Beatam Virginem Mariam, mirabili et unico …berioris
gratiae Filii sui privilegio, ab omni prorsus labe originalis culpae verissime
praeaervam.
Quae omnia summopere exopians, desideriisque ardenti bus accelerano,
Praeses Generalis dictae Congreg.Oblatorum Beatissimae Virginis sine labe
conceptae, nomine et voto omnium suorum, ad pedes Sanctitatis Vestrae
humillime ac laetanter deponit, gratiam plurimam Beatitudini Vestrae, enixi
exorans, ut tandem feliciter perfidia quod tam suaviter incolpit.
Humillimus ac Devotissimus Filius
C.I. EUGENIUS EPISCOPUS MASSILIENSIS SUP.GEN.
I.I.M.LAGIER Oblatus M.I.Secret. Gener.
Congreg. Obl.M.I.Substitutus.170
170
Pareri sulla definizione dogmatica dell’immacolato concepimento della B. Vergine Maria
rassegnati alla santità di Pio IX in occasione della sua Enciclica data da Gaeta il 2 febbraio 1849,
Vol.III, Parte Prima, cit., p. 361.
107
PARERE DEL VESCOVO
di MARSIGLIA
O Beatissimo Padre,
Non appena dall’alta Sede di Pietro risuonò ed indubbiamente arrivò alle
orecchie di tutti la voce del Sommo Pastore, grazie alla quale poté riprender forza
la famosa, meravigliosa, molto ardente aspirazione che finalmente con definitivo e
solenne giudizio da parte della Cattedra Apostolica si stabilisse: “ la Santissima
Madre di Dio, l’amatissima Madre di tutti noi, l’Immacolata Vergine Maria è stata
concepita senza peccato originale”, tutti i membri della Congregazione degli
Oblati della Santissima Vergine Maria concepita senza peccato originale furono
presi da somma ed indescrivibile gioia.
Tra le densissime tenebre dello sciagurato secolo in corso e le procellose
tempeste che da ogni parte sollevano le loro onde in questo grande mare, d’un tra
Maria Immacolata, sotto l’onnipotente mano del Supremo Navigante e Nocchiero.
Veramente la Santissima Vergine Madre di Dio non solo calpestò sempre con
invincibile piede tutte le eresie ma anche tenne costantemente lontane dalla
Chiesa, con la sua destra potente, le più luttuose calamità. Con un solo cuore
dunque e con voce unanime i figli di codesta religiosa Famiglia non cessano di
celebrare ed esaltare, alternandosi nelle lodi, Dio Ottimo Massimo per una così
lieta notizia recentemente trasmessaci ed una così inopinata volontà del
vigilantissimo supremo Pastore, certo ispirata dal Cielo.
Tale fatto, che sarà per tutto il mondo cattolico motivo di grandissima e da
molti secoli conosciuta letizia, ottiene ed otterrà, da parte nostra, i dovuti e
straordinari e certo, per così dire, ineffabili ringraziamenti. Infatti in verità molti
anni fa il Santissimo Pontefice Leone XII di veneranda memoria, nel costituire
l’Istituto e la nostra Congregazione mediante la lettera apostolica del 21 marzo
1820, pubblicata “in forma specifica”, in ordine gerarchico, “ con animo ben
disposto e gioioso”, elargendo dal più profondo del cuore le più copiose
benedizioni a tutta la Congregazione per “ la rugiada del cielo”, come Egli diceva,
108
la volle insignita dello splendido nome e del singolare titolo di Oblati della
Santissima Vergine Maria concepita senza macchia originale.
Il cuore del sapientissimo sopra lodato Pontefice concepiva anche la speranza
che la stessa Famiglia, che dichiarava molto utile nella travagliata situazione della
Chiesa, sarebbe stata per essa sia di aiuto sia di non live arricchimento.
Infine Egli, immergendo profondamente tutti gli annunciatori dello stesso
religioso sodalizio e Seminatori della Divina Parola, come Figli direttissimi di
Cristo, nelle viscere del suo paterno amore, comunicò che Gli stava a cuore che
non desistessero dal celebrare quell’ammirabile Vergine, Madre di Dio, e di
esaltare i singolari privilegi dell’amatissima Madre, i modo che riuscissero
efficacemente a condurre al seno della stessa Madre di Misericordia gli uomini
che, come figli, Gesù Cristo sull’altare della Croce Le volle affidare. Dio stesso,
Sommamente Buono, non mancò di sancire con più abbondante e costante
benedizione voti così lieti e fausti. Quel gregge piccolino e decisamente umile,
grazie ad un così grande aiuto e con la mano feconda di quella Beatissima Vergine
Concepita senza peccato, che a buon diritto e meritatamente è celebrata come
piena di grazia e nella quale Cristo Redentore pose la pienezza di ogni bene,
diffuse in lungo e in largo con molto successo le sue diramazioni. Subito infatti, in
quanto piantata nel giardino della Chiesa dalla Beata mano del Supremo
Agricoltore, codesta vite produsse rigogliosi fecondi tralci. Da allora dunque, di
giorno in giorno, sempre con la protezione e l’ispirazione dall’alto dei cieli della
Beatissima Vergine, Patrona Immacolata, quegli operai che hanno combattuto
strenuamente le battaglie del Signore non soltanto in tutte le parti del territorio
francese, ma anche in Inghilterra, in Irlanda, in Corsica e inoltre nelle più remote
terre d’America, fino all’Oregon, e infine nelle Indie orientali, nell’isola di Ceylon
e, recentemente, sulle coste settentrionali della Regione africana, presso Algeri,
affrontando moltissime fatiche, ponendo ivi una sede.
E tutte queste attività sono state a tal punto opportune e gradite al Venerabile
Pontefice, predecessore della Santità Vostra, Gregorio XVI, che poco prima della
morte, contemplando affettuosamente i ricchissimi frutti e le rigogliose mesi che i
Missionari Oblati dell’Immacolata Vergine Maria raccoglievano, con ultima e
quasi testamentaria benedizione, volle arricchirli e rafforzare, come emerge dal
109
Breve Apostolico Valde nostrum
di elogio e dall’Istituto confermativo dato
presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il giorno 28 marzo dell’anno 1846.
Quali ami ringraziamenti e suppliche siamo capaci dunque noi tutti ora di
esprimere in risposta per tanti e così grandi benefici da Dio dati e promessi! Felice
quel giorno, diciamo, felice veramente il giorno in cui Dio, col soffio dello Spirito
del dilettissimo suo Figlio, pose nel cuore del suo Vicario in terra lo
straordinariamente alto onore di emanare un decreto per la Santa Vergine Maria.
Felice, senza alcun dubbio, e santo il giorno in cui il supremo Pastore e Maestro
delle pecore e degli agnelli, tra le dolorosissime angustie del suo cuore e tristi
vicissitudini della Santa Chiesa e urgenti necessità, ha elevato la mente
dell’Immacolata Madre dell’Agnello Immacolato ed ha diretto gli occhi allo
splendore di quell’alma stella, posta dalla mano di Dio nei cieli come arcobaleno
dell’alleanza e segno di vittoria.
Venga, venga quella tanto desiderata ora nella quale tutto il mondo potrà
proclamare che la Santissima Madre di Dio veramente certamente ha schiacciato il
capo del serpente velenoso e che si dovrà ritenere completamente per fede che la
Beata Vergine Maria per un mirabile ed unico privilegio di più abbondante grazia
del Figlio suo, è stata verissimamente preservata proprio da ogni macchia di colpa
originale.
E desiderando sommamente tutte queste cose e affrettandole con desideri
ardenti, il Superiore Generale di detta Congregazione degli Oblati della
Beatissima Vergine Concepita senza peccato, a nome e secondo l’augurio di tutti i
suoi, s’inginocchia umilmente e gioiosamente ai piedi della Santità Vostra,
chiedendo alla Vostra Beatitudine la più copiosa benedizione, pregando
intensamente che porti infine felicemente a termine quanto ha così dolcemente
incominciato
Umilissimo e Devotissimo Figlio
C.I. Eugenio Vescovo di Marsiglia Sup.Gen.
I.I.M. Lagier Oblato di M.I. Segret.Gener.
Sostituto della Congreg. Obl. Di M.I.
110
3.2. Festa Dell’Immacolata Concezione
L’inizio del 1854 diede a tutti la sensazione che il papa avesse maturato la
convinzione di procedere alla solenne definizione. il primo agosto Pio IX pubblicò
una nuova Enciclica per indire un giubileo universale in preparazione
dell’avvenimento. In quell’anno Eugenio è a Roma, già diverse volte era stato in
questa città, ma questa sarebbe stata l'ultima: è la festa del suo cuore, che non è
ancora invecchiato, anche se ora Ha 72 anni. In un primo momento non era stato
neppure invitato (a motivo del discredito che gli gelanti gettavano sui moderati) ,
poi Mons. Barnabò, segretario della S. Congregazione di Propaganda, gli scrisse
che la sua venuta tornerebbe gradita a Sua Beatitudine.
«Sono autorizzato di scrivere privatamente alla S.V.Ill.ma, sicchè Ella vorrà recarsi a
Roma dopo l’estate. La sua venuta tornerà di gradimento a Sua Beatitudine».
171
Veniva offerto, cioè, ad Eugenio la possibilità di presenziare alla
proclamazione, sospirata da tanti anni, della verità mariana di cui ormai portava il
nome. Detto, fatto. Il 23 ottobre lascia Marsiglia, il 25 s’imbarca a Tolone, il 27
sbarca a Civitavecchia, in serata raggiunge Roma e prende alloggio all’hotel
Minerva. L’indomani fu invitato, su espresso desiderio del Papa, a trasferirsi al
Quirinale dove il Somma Pontefice aveva fatto preparare un’ospitalità regale a
molti dei Vescovi invitati per la circostanza. Mons. De Mazenod ha affidato al suo
diario quasi nei dettagli tutto ciò che visse in questo soggiorno romano della sua
vita, dal 27 ottobre fino al 30 dicembre.
«Mi hanno dato i nove volumi della collezione che contiene le risposte dei Vescovi
all'enciclica del Papa sull'Immacolata Concezione.172 Hanno risposto 570 Vescovi:
171
172
A. DI BENEDETTO, Un uomo ... l’Immacolata, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione.
Evangelizzare, Editrice Missionari O.M.I., Roma 1995, p. 125.
I volumi di cui parla de Mazenod in questa pagina di diario sono, quasi sicuramente , gli stessi
che attualmente sono conservati nella biblioteca del convento dei padri O.M.I. annesso alla
Basilica di Maria SS. Assunta in Santa Maria a Vico, provincia di Caserta. Molto
probabilmente sono giunti qui nei primi anni del 1900 con l’arrivo dei primi padri Oblati. Sul
frontespizio dei volumi si notano i seguenti timbri: Biblioteca oblata di Diano Marina ( In
questa comunità giunsero i padri provenienti dalla Francia in seguito al decreto di soppressione
degli ordini monastici e alle persecuzioni dei religiosi. Questi molto probabilmente portarono
111
530 affermativamente domandando che la dichiarazione sia pronunciata; 36, pur
riconoscendo la verità della dottrina, non pensano che la decisione sia opportuna;
soltanto 4 si pronunciano positivamente contro... Che importanza il Papa dovrebbe
dare a questa divergenza? Averne pietà e passare oltre ( 5-9 novembre 1854)».173
Il 20 novembre fu il primo giorno di riunione dei Vescovi che erano stati
convocati a Roma; queste riunioni si conclusero l’8 dicembre.
«Nella mattinata non ho perso tempo: sono stato fino a tre volte a casa di Mons.
Pacifici, segretario dell'Assemblea dei Vescovi e redattore definitivo della Bolla per
farvi aggiungere un documento alle note che ricordano i decreti apostolici che provano
la dottrina della S. Sede sulla Concezione Verginale della Santa Vergine. Lontano dal
trovarmi indiscreto, Mons. Pacifici mi ha vivamente ringraziato per il mio tentativo;
mi ha detto che aveva ricercato ciò che venivo ad offrirgli, chi si è rivolto ad una
persona ben conosciuta per avere la data precisa delle Lettere Apostoliche di cui
venivo a parlar gli, ma che non c'era riuscito; era contento che gli offrissi il mezzo di
riparare a questa lacuna; si
tratta delle lettere apostoliche di Leone XII
che
costituivano ed approvavano la congregazione dei Missionari Oblati di Maria
Immacolata, cioè, come riportano le lettere, sine labe originali concepta. Gli ho
presentato anche le lettere apostoliche di Gregorio XVI e Pio IX che confermano
questa stessa Congregazione. Mons. Pacifici e stato molto contento che gli facessi
dono d'un esemplare delle nostre regole l'ho fatto con piacere.
Spero che avremo la consolazione di leggere nelle note della Bolla la citazione delle
lettere apostoliche che ci costituiscono, come una prova della dottrina costante della
Chiesa romana sulla Concezione Immacolata della nostra Beatissima Madre, la
Santissima Vergine Maria (D.19 Novembre 1854)».174
173
174
dalla Francia libri e documenti importanti appartenenti alla loro Congregazione ), Biblioteca
oblata di Roma ( Gli Oblati giunsero a Roma dopo il terremoto che distrusse lo Scolasticato di
Diano Marina) , Biblioteca oblata di Santa Maria a Vico ( gli Oblati vi giunsero da Roma nel
1902, chiamati a dirigere lo Scolasticato da Don Agostino Migliore).
A. D’ADDIO, Eugenio de Mazenod a Roma, in Quaderni di Vermicino, Scolasticato O.M.I,
Frascati 1979, p. 140.
Ibidem.
112
«Il giorno 20 era il giorno fissato per la prima riunione dei cardinali e dei vescovi che
doveva aver luogo al Vaticano; l'Assemblea ha avuto luogo, effettivamente nell'ora e
nel luogo indicati (...)
Avevo il triste privilegio di essere il terzo a destra, non essendoci davanti a me che il
Vescovo di Policastro, consacrato nel 1819, e il Vescovo di Faenza, consacrato nel
mio stesso anno, ma nel mese di luglio, mentre io lo ero stato in ottobre (d. 20
novembre 1854)».
175
«Nelle riunioni di Vescovi che avranno luogo, non si tratterà di discutere se bisognerà
dichiarare dogma di fede.
La dottrina dell'Immacolata Concezione o solamente
prossima alla fede. Si tratterà di ascoltare la Lettura della bolla dogmatica che il Papa
sta per pubblicare con la stessa autorità con cui il S.Leone Magno mandava le sue
lettere apostoliche al Concilio di Calcedonia.
Iure assensus, sine mure disse sua, mure instructionis (...)».176
Interessante conoscere il suo stato d’animo, descritto nel suo diario, in quanto
questi furono giorni altalenanti: gioie e de ansie, speranze e timori. Alla
soddisfazione che provava nell’udire le risposte profonde e precise dei teologi
Perrone e Passaglia, seguivano le apprensioni suscitate dalle osservazioni critiche
di alcuni Vescovi, temendo che queste potessero far rinviare la promulgazione del
dogma o far cambiare idea al Papa, come quando un Cardinale gli disse che non
era affatto certo che il Papa avrebbe proclamato un nuovo dogma e che, a suo
avviso, sarebbe stata sufficiente dichiarare la dottrina concernente l’Immacolata
Concezione di Maria solo prossima alla fede. Il Vescovo di Marsiglia scrive nel
suo diario: «Spero che Dio ci presevi da questa disgrazia».177
Non meno gravi furono i suoi timori quando sentì serpeggiare sulla bocca di
alcuni Vescovi l’ipotesi di non opportunità di una definizione in quei frangenti
storici. Solo il pensiero che si potesse menomare o ritardare la gloria e l’onore che
ne sarebbero venuti alla Madonna lo rattristava e gli toglieva il sonno. Il colmo gli
175
176
177
Ivi, p. 141.
Ivi, p. 140.
A. DI BENEDETTO, Un uomo ... l’Immacolata, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione.
Evangelizzare, cit. p.125.
113
capitò il 4 dicembre.178 Un Vescovo si recò da Eugenio e lo pregò di farsi latore di
una lista di osservazioni per sconsigliare il Papa del voler promulgare la dottrina
riguardante l’Immacolata Concezione come dogma di fede. Ovviamente declinò
l’invito in tronco e, senza mezzi termini, rispose che al contrario aspettava e
desiderava proprio una definizione solenne e dogmatica e che non condivideva né
la loro opinione né le loro paure circa l’opportunità del momento. Immaginando
che queste pressioni potessero sortire qualche effetto in vaticano, l’indomani
scrisse una bellissima e appassionata lettera per esortare il Papa a seguitare nel
proposito di giungere alla definizione dogmatica.
«Santo Padre vi supplico in ginocchio. È solo seguendo le vostre ispirazioni, che
vengono dallo Spirito Santo, che impedirete a che la Vergine Santa ne scapiti nella
stima dei fedeli, cosa che avverrebbe certamente se ci fosse un pronunciamento a
metà».179
Fu contento di aver scritto questa lettera, che trascrisse nel suo diario
introducendovi questa nota:
«Ci tengo che i miei figli (gli Oblati) sappiano ciò che ha pensato e fatto il loro Padre
in questa circostanza così importante per la nostra Madre Immacolata. È per essi che
la trascrivo».180
Scrisse altre cinque lettere e, in tutte, la questione della proclamazione del
dogma occupa sempre il primo posto. Quando si diffuse la certezza della
definizione dogmatica Mos. de Mazenod mostrò tutta la sua gioia e manifestò il
suo cuore di fanciullo.
3.3. Vigila della festa
«È piovuto tutto il giorno. Questa pioggia ha fatto venir meno l'illuminazione che si
preparava. Le campane di tutta a città ci annunciano la grande festa di domani; ma il
cattivo tempo continua; mi rattrista tanto più che non è probabile che si ristabilisca.
178
179
180
Ibidem.
Ivi. P. 126.
Ibidem.
114
Mancherà dunque qualche cosa alla gioia esterna che questa bella festa deve suscitare
in tutti i nostri cuori. Nel frattempo il sommo Pontefice non ha trascurato nulla perché
tutto vi concorra. Con nota del Cardinale Vicario ha prescritto il digiuno e l' astinenza
di venerdì da osservare oggi giovedì, vigila della grande festa, con grande rigore, dal
momento che sono proibite le uova e i latticini e che domani, venerdì, si potrà
mangiare alimenti grassi, sopprimendo il digiuno e l'astinenza per questo giorno di
gioia e di felicità. Ho osservato questo digiuno con grande soddisfazione in tutto il suo
rigore e sarà con la stessa soddisfazione che mangerò di grasso, pensando che così
condividerò il modo di vedere del S. Padre in onore della nostra diletta e sempre
Immacolata Madre, la Vergine Maria ...
È' piovuto spaventosamente tutta la giornata; piove ancora alle undici di notte. Il celo
é completamente coperto. Se piove così anche domani, la festa, la grande festa, sarà
turbata. "Exsurgat Maria", e le nuvole si dissiperanno; é necessario, ho la fiducia che
così sarà. Non é possibile che i principi dell' aria, che i demoni prevalgano. Non sono
certamente il solo a supplicare M aria della sua potenza; ci esaudirà: fará bel tempo
domani, quantunque il tempo oggi sia bruttissimo. Non sarà così perché la
compiacenza del Signore per la gloria della sua Divina Madre, perché la potenza di
questa Vergine Immacolata risalti di più. Domani fará bel tempo (D. 7 dicembre
1854)».
8 dicembre 1854
«Ebbene, l'avevo detto ? La mia fiducia in Maria Immacolata è stata ingannata? Mi
sono alzato alle cinque del mattino , ho aperto la mia finestra e non c'era una nube
all'orizzonte: c'era un tempo magnifico. Lo si spiegherà come si vuole; per me, non
dico precisamente che sia un miracolo, ma sono fermamente persuaso che è una grazia
speciale che Dio accorda all'intercessione della sua Madre divina, la cui festa solenne
sarebbe stata immancabilmente disturbata dalla pioggia se continuava a cadere come
ieri e come questa notte. Gloria, gloria a Dio e azioni di grazia a Maria! Così che festa
è stata quella di oggi! Impossibile a descrivere. Dalle sette di mattina e più presto
ancora, oh si , assai più presto, tutte le vie di Roma erano piene di gènte di tutte le
condizioni, che andavano à San Pietro per partecipare alla grande festa che si
preparava. Le carrozze solcavano la città con molta fretta. Si disse che si temeva di
non trovare posto nell'immensa basilica, e non si ebbe torto perché la chiesa si è
riempita come non si era vista certamente da lungo tempo. I romani, spesso
115
indifferenti a ciò che si fa in S. Pietro, gareggiavano, questa volta, in sollecitudine con
gli stranieri.
Avevo preso la precauzione di dire la Santa Messa nella mia cappella alle cinque e
mezza (al Quirinale); avevo potuto così ascoltare quella del mio Vicario Generale che
l'ha detta dopo di me. Alle sette sono salito sulla carrozza di Mons. Sacrista per andare
in Vaticano all'ora indicata. La cerimonia doveva incominciare alle otto. Già i Vescovi
aspettavano in piviale seduti sui banchi della parte anteriore della cappella Sistina,
voglio dire della parte di questa cappella davanti la grata dai banchi coperti di tappeto.
Dei Cardinali, anche questi aspettavano, seduti sui loro banchi ordinari. All'ora
indicata il corteo del Papa é uscito dalla porticina vicino all’altare, e il Santo Padre,
messosi in ginocchio ai piedi dell'altare, pronunciò la preghiera o l'antifona: “Sancta
Maria et omnes sancti tui, quaesumus, Domine, nos ubique adjuvent; ut, dum eorum
merita recolimus patrocinia sentiamus". I cantori intonarono le litanie dei santi, e poi
le tre invocazioni alla Santa Vergine; la processione si mise in movimento. Dopo
Prelati e altri ufficiali, quali gli avvocati concistoriali, ecc. Tutti con l'abito del loro
ordine, passarono i dodici Penitenzieri di S. Pietro con la pianeta; poi vennero i
Vescovi e gli Arcivescovi, seguendo la data della loro ordinazione con il piviale e la
mitra bianca in testa; poi i Cardinali, Preti e Vescovi, con la dalmatica, pianeta, piviale
e mitra. Tutti i piviali erano in tessuto d'argento, come le pianete e le dalmatiche dei
Cardinali: queste erano magnificamente ricamate d'oro. Infine venivano il Papa e la
sua corte: il Papa era sotto un baldacchino portato, credo da sei Prelati. La processione
s'incamminò verso San Pietro, discendendo la grande scala, per arrivare per il portico
alla porta centrale della Basilica. Si procedette lungo la chiesa fino all'altare del Santo
Sacramento, dove ci si fermò per adorarlo, cantando sempre le litanie cominciate
nella Cappella Sistina. Il Papa e tutta la processione si mise in ginocchio, il Papa
terminò con la preghiera: "Deus qui nobsi... Deus refugium nostrum..., at Actiones
nostras..."
La processione si é rimessa a camminare per arrivare al coro, dove ciascuno ha preso
il suo posto. Come anziano scelsi il banco laterale al trono pontificale, che si è
innalzato per le funzioni pontificali del Papa, in fondo al coro, sotto la cattedra di San
Pietro. Ero stato attento a mettermi lì per essere alla portata di sentire proferire i
decreti che i nostri cuori attendevano con tanto ardore. La funzione cominciò come di
consueto con il canto di terza, durante il quale il Papa si vestì al trono preparato per
questo vicino all'altare. Dopo la recita di terza, il Papa cominciò la Messa secondo il
pontificale, e, dopo l'incensamento dell'altare, venne a prendere posto sul trono, in
116
fondo al coro, circondato come al solito da dodici Vescovi assistenti più anziani; i due
cardinali diaconi, il Cardinale decano, o sottodecano questa volta, a causa dell'età
avanzata del Cardinale Macchi, e di tutti gli altri Prelati che vennero a sedersi sui
gradini del trono.
Dopo il Vangelo è arrivato il momento di ascoltare la voce del Sommo Pontefice, che
pronunciava veramente"ex cathedra" il decreto solenne. Mai simile riunione si era
avuta in San Pietro: 150 Vescovi da tutte le nazioni, ai quali bisogna aggiungere 21
Vescovi del Sacro Collegio; le tribune piene dei più alti personaggi; la folla si
accalcava a tutte le entrate e a tutti dintorni del coro immenso della Basilica, la chiesa
colma quindi di un "mondo prodigioso" tra cui tutti militari della guarnigione; tutto
questo immenso popolo nell'attesa del grande avvenimento che stava per accadere
sotto i suoi occhi. È allora che il Sommo Pontefice, alzando la sua voce sonora e bella,
invocò la luce dello Spirito Santo intonando il Veni Creator. La stessa invocazione si
alzò in tutti i cuori, e al posto di lasciare ai cantori, secondo la consuetudine, la cura di
continuare l'inno, tutte le voci unendosi a quella del Sommo Pontefice rispondevano
con trasporto all'invocazione del Papa. Mai era stata vista cosa simile. Già l'emozione
si era diffusa nell'assemblea dei fedeli. C'era qualche cosa di straordinario in questo
slancio. Ho dimenticato di dire che prima di intonare il Veni Creator, i decani di
Cardinali, degli Arcivescovi e dei Vescovi s' erano presentati ai piedi del trono e
avevano domandato in ginocchio, a nome della Chiesa, il decreto atteso dall'universo
intero. Questa domanda, fatta in latino, dal Cardinale decano e la risposta del Papa,
non giunsero fino alle mie orecchie; ma ho gioito in fondo al cuore, in nome
specialmente della mia Chiesa e della nostra Congregazione.
Allora il Sommo Pontefice, veramente " Summus Pontifex, affilante Spiritu Sancto",
alzandosi ha pronunciato il decreto infallibile che dichiara e definisce che è un dogma
di fede che la SS. Vergine Maria, dal primo istante della una concezione, per un
privilegio speciale e grazia di Dio in virtù dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore dl
genere umano, è stata preservata ed esente da ogni macchia di peccato originale. Le
lacrime hanno soffocato la voce del Pontefice nel momento in cui pronunciava le
parole infallibili che lo Spirito Santo gli metteva sulle labbra. Lascio immaginare se ho
condiviso questa giusta emozione. In quel momento il cielo mi sembrava aprirsi sulle
nostre teste e mostrarci, allo scoperto, la gioia di tutta la Chiesa trionfante, unirsi agli
slanci di tutta la Chiesa militante, per festeggiare con noi la sua Regina e la nostra,
tutti i Santi invocati prima, in quella occasione, nella Gloria per la munificenza
perenne di Dio.
117
Mi pareva di vedere Gesù Cristo che si felicitava con la sua Divina Madre, e il mio
grande patrono San Giuseppe, in particolare, che gioiva della felicità della sua sposa a
cui è così vicino nel cielo. Pensavo che la Chiesa purgante era rischiarata in quello
stesso momento da una luce divina, che le sofferenze di queste anime erano sospese;
direi quasi che il purgatorio si svuotava, sia per il gran numero di indulgenze plenarie
che noi applicammo per il loro sollievo, sia ancora di più per la clemenza del sovrano
Giudice, che, in occasione della glorificazione di sua Madre, e per fare partecipare
questa parte diletta della una grande famiglia alla gioia generale della Chiesa, faceva
loro grazia di tutti i loro debiti e le chiamava ai piedi del trono della loro Madre per
ringraziala della loro liberazione e unire lo slancio della loro gioia a quelli del coro
degli Angeli e di tutti i Santi.
È con queste impressioni e con altre ancora, che sarebbe troppo lungo riportare qui,
che ho cantato con tutti gli assistenti il grande Simbolo di Nicea.
Non dico nulla del resto della Messa. Tutti sanno che il Papa va all'altare come fanno i
Vescovi, all'offertorio per continuare il santo sacrificio fino alla comunione, che viene
a ricevere o si dà in piedi sul suo trono: il corpo e il sangue di Cristo gli sono
successivamente portati dal diacono. Prima di dare la benedizione finale ha intonato il
Te Deum, cantato in coro, dai numerosissimi presenti, malgrado che i maestri di
cerimonia, per lo stupore di questa novità, facessero grandi sforzi inutilmente per far
tacere tutti. L'atto solenne fu conosciuto fuori della Chiesa con i cannoni di Castel
Sant'Angelo e il suono di tutte le campane della città.
La giornata fu magnifica e nemmeno un filo d'aria turbò l'illuminazione generale che
dalla cupola di San Pietro fino al casolare del povero rischiava la città. Le strade erano
piene di gente che venivano a godere di questo spettacolo consolante.
Se il Papa profondamente commosso ha versato a lacrime, potete pensare se le mie si
sono mescolate alle sue. Nessuno, nell'augusta assemblea, aveva il duplice motivo che
ingrandiva la mia gioia. Ero vescovo come tutti gli altri, duecento presso a poco, che
erano presenti; ma chi poteva presentarsi con la qualità di Padre di questa famiglia
sparsa oggi in tutto il mondo, che porta alto sulla bandiera, dal giorno in cui essa fu
posta nelle nostre mani dal Capo della Chiesa, il nome di Maria Immacolata, di Maria
concepita senza la macchia del peccato originale?...
Non credete
forse che questi pensieri erano atti ad elevare la mia anima ed
infiammare il mio cuore che come sapete non è invecchiato?».181
181
A. D’ADDIO, Eugenio de Mazenod a Roma, in Quaderni di Vermicino, cit. pp. 141 – 144.
118
Il volto di Eugenio, durante tutta la giornata, traspirava di emozione e
trasudava di gioia, come ebbe a scrivere il suo vicario Generale. La città di Roma
in quel giorno fu un vero spettacolo. La sera non ci fu chiesa, monumento o casa
che non fossero illuminati dai lampioni multicolori. Guardando un’enorme croce
luminosa collocata sulla cima del Campidoglio, Eugenio esclamava:
«Il Campidoglio! Il campidoglio dei pagani proclama la gloria dell’Immacolata ».182
Ma non fu solo Roma ad essere in festa. Tutto il mondo cattolico salutò con
entusiasmo la solenne proclamazione di fede. Il Vescovo di Marsiglia aveva dato
ordine che anche nella sua Diocesi si celebrasse con sfarzo la solennità
dell’Immacolata. L’ubbidienza della Diocesi fu pari all’entusiasmo del pastore:
processione trionfale per tutte le strade della città con la statua di Nostra Signora
della Guardia e illuminazione con più di centomila lampioni. Il Giornale di Roma,
che pubblicava ogni giorno le cronache dei festeggiamenti avvenuti nelle varie
parti del mondo, confessa candidamente che nessuna città poteva competere con
quanto era stato fatto a Marsiglia. Al suo confronto ogni altra festa scompariva.183
Rientrato a Marsiglia, mons. De Mazenod, appena ebbe il testo ufficiale della
Bolla di Pio IX, scrisse una delle più belle Lettere Pastorali: felicitazioni ai suoi
diocesani per gli onori resi all’Immacolata il giorno della proclamazione del
dogma; presentazione della Bolla Papale e ampia spiegazione del dogma appena
definito. L’8 dicembre 1855 volle che a Marsiglia si ripetessero i festeggiamenti
dell’anno precedente e, prevedendo l’impossibilità di ripeterli ogni anno, lanciò
l’idea di costruire un monumento in onore dell’Immacolata simile a quello voluto
dal Papa a Roma in Piazza di Spagna. Alla benedizione della prima pietra fu
presente tutta Marsiglia. Il monumento in marmo di Carrara, costò più di 82.000
franchi dell’epoca, raccolti in una pubblica sottoscrizione. Il Vescovo contribuì
con almeno 12.000 franchi. L’8 dicembre 1857 mons. de Mazenod lo benedisse e
182
183
A. DI BENEDETTO, Un uomo ... l’Immacolata, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione.
Evangelizzare, cit, p. 127.
Ibidem.
119
lo inaugurò solennemente alla presenza di centomila persone: ne risultò un
momento degno dell’Immacolata, di Marsiglia e del suo Vescovo.184
184
Ivi, p.128.
120
Capitolo quarto
Un uomo … i suoi figli
4.1. Un uomo … i suoi figli
Apostolo innamorato di Cristo e servitore della Chiesa, Eugenio de Mazenod
ispira non solo i Missionari Oblati di Maria Immacolata, ma anche i membri di
più di una quarantina di istituti di vita consacrata, numerosi laici, membri della
Associazione Missionaria di Maria Immacolata, e molti giovani attratti dal suo
ideale di vita.
«I figli rivelano sempre il volto del loro padre e l’educazione da lui ricevuta. I figli di
Eugenio oggi rivelano ancora il volto di questo padre?»185
Tutti i Santi hanno lasciato un’impronta benefica nella vita della Chiesa e del
mondo del loro tempo, grazie alle loro opere, al loro esempio evangelico e più
ancora grazie all'esempio della loro vita unita a quella di Cristo, dal quale
scaturisce ogni fecondità. Giovanni Paolo II diceva nell’Enciclica Redemptoris
Missio: «Solo se si è uniti a lui come il tralcio alla vita, si possono produrre
frutti». Alcuni continuano a incidere nei tempi successivi, grazie alla forte
esemplarità evangelica da essi incarnata e sempre attuale, o grazie ai loro scritti.
185
M. ZAGO, Un uomo ...i suoi figli, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione. Evangelizzare,
Editrice Missionari O.M.I., Roma 1995, p. 130.
121
Altri continuano ad influire tramite i discepoli, ai quali hanno trasmesso un
carisma ricevuto dallo Spirito per il bene della Chiesa. È il caso dei fondatori
Santi che continuano ad incidere nella Chiesa grazie agli Istituti da loro fondati.
Tra loro c’è Sant'Eugenio de Mazenod, beatificato il 19 ottobre 1975 da Paolo
VI e santificato nel 1995 da Giovanni Paolo II. La continuità del carisma di un
fondatore di un ordine non è qualcosa di successivo, di storicamente staccato dalla
sua persona quasi dipendesse solamente dalla buona volontà e dalla fedeltà dei
discepoli e dalle istanze rappresentative quali i Capitoli e i Superiori. I fondatori,
grazie alla comunione dei santi, continuano ad essere presenti nelle Congregazioni
da loro fondate, intercedendo per la fedeltà e il dinamismo delle loro famiglie,
ispirando i membri a percorrere il cammino loro indicato. I discepoli, a loro volta,
vivono in comunione con i loro padri carismatici e devono avere le disposizioni
affinché il carisma sia da essi continuamente accolto e coltivato. In particolare i
discepoli restano disponibili all’azione dello Spirito dal quale i doni provengono,
e grazie al quale sono conservati e crescono, vivono nell’unità con Cristo, di cui
ogni carisma esprime un aspetto di un suo mistero e di un ministero.
Il carisma trasmesso da Eugenio de Mazenod alla Congregazione dei
Missionari Oblati di Maria Immacolata è ancora vivo e continua a portare
abbondanti frutti. Esaminando simultaneamente la sua genesi nella vita del
fondatore e la situazione attuale della Congregazione, si può notare una continuità
creativa tra gli inizi della fondazione e il presente dell'ordine.
Al tempo di Eugenio de Mazenod la società viveva un periodo di rapidi
cambiamenti: la rivoluzione francese e la restaurazione. Cambiamenti che sono
presenti anche oggi, sicuramente, in forma più accentuata e marcata, anche se ci
sono meno passaggi autoritari. A ciò si aggiunge un rapido cambiamento
culturale, che al tempo di Sant'Eugenio era meno evidente. Allora si verificavano
prevalentemente cambiamenti di regime che, oggi, si notano di meno, pur
continuando ad esserci, vedi l’America Latina, i paesi dell’Est e alcuni paesi arabi.
Ciò che è invece evidente sono i cambiamenti culturali che condizionano anche
il tipo di religiosità e di evangelizzazione. Mentre al tempo del Fondatore i
cambiamenti venivano dall’alto, oggi sembrano avere origine dalle masse, dai
popoli. Un ulteriore elemento di convergenza, ma anche di differenza, è nella
122
situazione di scristianizzazione presente due secoli fa, che viviamo anche oggi,
con la differenza che allora la religiosità era più viva, infatti quando i missionari
predicavano riuscivano a contattare tutta la popolazione. La rivoluzione francese
aveva scardinato le forme esteriori della religiosità, cosicché quando ritornava un
certo tipo di evangelizzazione c’era una risposta quasi plebiscitaria. Oggi, la
scristianizzazione abbraccia atteggiamenti e pensieri, per cui l’impatto delle
missioni sul mondo contemporaneo è completamente diverso. Sicuramente c’è
una domanda di spiritualità e una riscoperta della religiosità, ma più frammentaria
e individualistica, ognuno va come al supermercato per cercare e scegliere ciò che
più gli aggrada. Questo spiega il pullulare delle sette religiose, fenomeno
completamente assente nei secoli XVIII e XIX, nei quali c’era un ritorno
massiccio alla tradizione cattolica. Oggi il ritorno alla religiosità è
qualitativamente migliore, ma quantitativamente ristretto. Tra l'altro, non bisogna
tralasciare l’influsso dei mezzi di comunicazione che al tempo di de Mazenod
non esistevano.
4.2. Vocazioni
Anche per quanto attiene alle vocazioni oblate oggi c’e una piena sintonia con
quanto vissuto da Sant'Eugenio. Molte di esse nascono a contatto diretto con i
bisogni missionari concreti, a cui gli Oblati di Maria Immacolata danno una
risposta nel Documento finale del Capitolo Generale, redatto nel 1986:
«La chiamata di Gesù Cristo a prendere parte alla sua missione risuona sempre nel
cuore degli Oblati. Oggi come ieri, quest’appello ci giunge attraverso le esigenze di
salvezza degli uomini».186
Ciò che maggiormente emergeva dal testo delle Costituzioni è l’interesse per i
poveri, per gli ultimi, per le forme di apostolato straordinarie:
186
P. PIRAS, Un uomo ... una passione. Evangelizzare, cit., p. 132.
123
«La chiamata di Gesù Cristo, che i Missionari Oblati di Maria Immacolata colgono,
sentendosi Chiesa, attraverso le esigenze di salvezza degli uomini, è quella che li
invita a seguire il Signore e a partecipare alla sua missione con la parola e con
l’azione. Cooperando con Cristo Salvatore e imitandone l’esempio, si consacrano
principalmente all’evangelizzazione dei poveri».
187
come anche tuttora emerge nel documento finale del Capitolo Generale del
1992:
«Come missionari Oblati di Maria Immacolata ci sforziamo senza posa di essere in
ascolto del Cristo che ci chiama attraverso i bisogni di salvezza degli uomini e
soprattutto dei poveri. In questo mondo in radicale trasformazione, il loro grido sale,
urgente e straziante. Quale risposta daremo guidati dallo Spirito?»188
Anche l’evangelizzazione, che è stata il centro dell’apostolato di de Mazenod,
rimane la meta dell’apostolato OMI: portare Gesù Cristo come punto di partenza
per la crescita umana e cristiana delle persone. Famoso motto del Fondatore:
«Prima uomini, poi cristiani, poi santi».189 Altro elemento caratteristico, comune
alla vocazione oblata, che attira i giovani oggi come allora è l’aspetto
comunitario. De Mazenod percepiva la comunità come incarnazione della
missione, come testimonianza, come luogo di crescita personale e come mezzo
per un’efficacia missionaria.
Le altre caratteristiche che la vocazione oblata continua a conservare sono il
carattere mariano, l’apertura alla mondialità, la missione vissuta accanto al popolo
semplice, l’audacia nel rispondere in modo nuovo alle sfide che si presentano,
l’adattamento alle diverse situazioni.
4.3. Comunità
Oggi c’è una riscoperta molto forte e in modo nuovo della vita comunitaria,
come testimoniano le Costituzioni:
187
188
189
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
124
«La comunità degli apostoli con Gesù è il modello della loro vita. Egli aveva riunito i
Dodici attorno a sé per farne i suoi compagni e i suoi inviati. La chiamata e la
presenza del Signore in mezzo a loro oggi unisce gli Oblati nella carità e
nell’obbedienza per farne loro rivivere l’unità degli Apostoli con lui e la loro comune
missione nel suo Spirito».190
La comunità è segno di speranza per la Congregazione e di riscoperta
dell’intuizione di Sant'Eugenio, per il quale era importante l’aspetto della
fraternità, anche se insisteva molto di più sulle strutture. Anche oggi queste sono
necessarie, ma si insiste di più sulla costruzione della comunità su basi umane di
comprensione, di sostegno e di appoggio delle persone. A livello di fede, al tempo
del Fondatore ci si esprimeva con esercizi spirituali fatti insieme, che rimangono
tuttora importanti, per uno scambio di fede, una preghiera condivisa. Una
caratteristica della comunità oblata di oggi è quella di cercare di programmare
insieme la missione. Da sempre gli Oblati vivono la comunità sia quando sono in
casa che quando sono in predicazione, dove la comunione è molto importante
perché la missione cambia a seconda delle situazioni e dei tempi e perciò occorre
sempre aggiustare il tiro per trovare le risposte giuste alle nuove situazioni.
L’aspetto economico è invece un aspetto nuovo. Un tempo l’economia della
Congregazione era più statica e veniva gestita dall’economo e dal Superiore.
Oggi, in un mondo in cui c’è un’autonomia delle persone, si sente il bisogno di
riscoprire la conoscenza del denaro che si possiede, il suo corretto uso, la sua
messa in comune.
In conclusione, sicuramente la comunità è stata riscoperta e, pur nella continuità
di tanti aspetti, sviluppa nuove forme relazionali sotto l'aspetto umano, cristiano,
economico, missionario, con la comprensione ed il sostegno, la condivisione, la
programmazione, come testimonia il Documento finale del Capitolo Generale del
1992:
«Noi scegliamo la comunità come mezzo per lasciarci evangelizzare continuamente e
per essere testimoni della buona novella nell’oggi del mondo. Ciò che sogniamo da
190
Ivi, p. 134.
125
soli rimane un sogno: l’utopia condivisa può diventare realtà. Per questo riconosciamo
i limiti dell’individuo solo e la fecondità della comunità. Diventeremo evangelizzatori
efficaci solo nella misura in cui la nostra compassione sarà partecipata, se ci
presenteremo al mondo non come un’associazione di battitori liberi ma piuttosto come
un corpo missionario compatto. Ricercare attivamente la qualità della nostra comunità,
del nostro essere, tra gli Oblati anzitutto,ma anche con tutte le persone di buona
volontà: ecco il nostro primo compito di evangelizzatori. La nostra vita comune non
esiste quindi in primo luogo per se stessa; essa è carne per la vita del mondo. La
comunità che formiamo insieme intorno al Cristo è la mensa a cui invitiamo l’umanità.
Essa contesta in maniera profetica l’individualismo del mondo e l’arbitrio del potere,
fonte di infelicità per tanti poveri; nello stesso tempo dà a questo mondo motivi di
speranza nello sforzo per uscire dalla frammentazione e dispersione. Nello stesso
modo con cui Cristo soavemente invita alla sua mensa, così la nostra comunità avrà
l’umile autorità di una proposta che non predica né fa violenza. Non potremo costruire
tali comunità apostoliche senza incentrarci sulla persona di Gesù Cristo che è stato
casto e povero e che ha redento il mondo con l’obbedienza. In questa scelta troviamo
la libertà di amare tutti i nostri fratelli e sorelle e il coraggio di testimoniare la giustizia
e la santità di Dio».191
4.4. Missioni
La prima comunità fondata da Sant'Eugenio iniziò con le predicazioni al
popolo, ministero tuttora importantissimo, come riportato nelle Regole:
«La predicazione delle missioni e le missioni estere occupano per tradizione il primo
posto nel nostro apostolato. Tuttavia nessun ministero ci è estraneo a condizione che
non perdiamo di vista il fine principale della Congregazione: l’evangelizzazione dei
più abbandonati».192
ed ancora nel documento finale del Capitolo Generale del 1986:
«In ogni annuncio esplicito del Vangelo, specialmente dove la predicazione delle
missioni secondo la tradizione Oblata occupa il primo posto nell’attività apostolica,
avremo cura di alimentare nei cristiani una fede solida, capace di esprimersi con forza
anche in un contesto sociale che non le dà alcun supporto. In alcuni ambienti più
191
192
Ibidem.
Ivi, p. 138.
126
indifferenti nei quali regna un ateismo pratico, sono indispensabili gesti coraggiosi e
testimonianze luminose di amore e di solidarietà. Dobbiamo sostenere e incoraggiare
gli Oblati che lo Spirito spinge a integrarsi in questi ambienti attraverso un lavoro
professionale o tecnico. La loro difficile missione darà un nuovo volto alla Chiesa ed
assicurerà la sua credibilità».
193
In alcuni paesi, dove la tradizione delle missioni al popolo era morta, è stata
riscoperta, pensiamo agli Stati Uniti, al Canada, all’America Latina.
L'intuizione di Sant'Eugenio, la nuova evangelizzazione resta attuale, ossia di
quei cristiani che erano tali e che poi si sono allontanati. È convinzione generale
che le missioni al popolo rispondono ai bisogni di oggi, anche se sono necessarie
forme diverse in quanto non si tratta tanto di raccogliere la massa, cosa
impossibile nei tempi odierni, ma di rendere i laici missionari corresponsabili nel
proprio ambiente. Quindi, l’obiettivo degli Oblati di Maria Immacolata è di
formare gruppi di cristiani che si autoevangelizzano all’interno del gruppo e che
siano pronti per una evangelizzazione esterna. Sono sicuramente obiettivi diversi
da quelli di Sant'Eugenio, ma l’intuizione è la stessa: presentare il Vangelo e
permettere alle persone di irradiarlo là dove sono.
Anche le Missioni all’estero, fin dagli inizi della Congregazione Oblata, hanno
sempre assunto un ruolo importantissimo, difatti la spinta missionaria rimane
fortemente presente. Basti pensare che, nonostante in questi ultimi anni, ci sia
stata la diminuzione del numero complessivo di vocazioni, sono state aperte
missioni in ben nove nuove nazioni. Un esempio concreto è dato dal fatto che nel
1995, anche se gli Oblati in Canada stavano diminuendo, una delegazione
canadese è andata in Kenia per vedere se fosse stato possibile aprire una nuova
missione. Questo per dire che lo spirito missionario di Sant'Eugenio rimane ed è
condizione di autenticità e di crescita della Congregazione, presente anche là dove
ci sono difficoltà nelle giovani Chiese. Quando in una missione cominciano a
nascere vocazioni di nuovi oblati, questi vengono subito inseriti nelle attività
locali, per impiantare la Chiesa e la Congregazione. Ma presto alcuni dei nuovi
chiamati alla vocazione, sono inviati in missione fuori del loro paese, il che esige
193
Ibidem.
127
grande generosità e sacrificio, infatti le delegazioni missionarie dall’Asia (India,
Pakistan, Bangla Desh), non facili per la forte influenza musulmana, sono
mantenute dagli Oblati dello Sri Lanka. Negli ultimi tempi anche le missioni
filippine stanno aprendo verso il Giappone e la Thailandia. Così in Africa, dove il
Lesotho, prima missione in quel continente, ha aperto una fondazione in
Botswana e ha i suoi membri in Nigeria, nello Zambia, in Namibia. In America
Latina c’è la forte volontà di andare come missionari all’estero ed i più desiderosi
sono i giovani. Il Documento finale del Capitolo Generale del 1986 riporta:
«Rendiamo testimonianza a quelli tra noi che sono missionari ad gentes e allo slancio
apostolico che essi non cessano di trasmettere a tutta la Congregazione. Vogliamo
continuare questo servizio nella Chiesa. In conformità alla nostra vocazione,
accetteremo le missioni ad gentes più povere e più abbandonate».194
È il caso di dire che la spinta missionaria rimane sempre fortissima, anche se è
da sottolineare che le missioni pur continuando ad operare e ad espandersi
all’esterno, gli Oblati vivono le missioni soprattutto lì dove sono, rievangelizzare i
cristiani, avere la coscienza di essere missionari ad gentes anche in patria, cercare
di raggiungere quei gruppi che non sono stati evangelizzati anche nel proprio
paese. Questa non è una novità ed un'apertura della Congregazione oblata, infatti
anche il giovane Eugenio operava tra i poveri delle sue terre natie. Per cui la
Congregazione riconosce la missione geografica che va al di là dei propri confini,
apre una nuova missione ogni anno, ma scopre sempre più il valore della missione
sul proprio territorio, in sintonia con l'insegnamento del suo Fondatore.
4.5. Laici
Oggi i laici hanno un ruolo fondamentale della Congregazione Oblata, come
testimonia il Documento finale del Capitolo Generale del 1986:
«I laici costituiscono la stragrande maggioranza dei membri del popolo di Dio, ma
molti di loro non prendono parte attiva alla sua vita. Molti giovani non trovano più
nella Chiesa il significato che essi cercano né le sfide che li stimolano. Le donne in
194
Ivi, p. 140.
128
alcune regioni, sono coinvolte nel ministero e nell’organizzazione della Chiesa, ma
altrove non è sufficientemente riconosciuto tutto il ruolo che esse possono svolgere.
La voce dei poveri, troppo spesso, non è ascoltata là dove si prendono le decisioni
della Chiesa. Infine, certi modi di esercitare il potere e l’autorità nella comunità
ecclesiale rappresentano talvolta un ostacolo al pieno impegno dei laici. Tutto questo
spiega in parte perché alcuni si allontanano dalla Chiesa – Istituzione».195
Anche se al tempo di Eugenio i laici non avevano il ruolo che hanno oggi, il
fondatore aveva un rapporto molto stretto con loro per la visione ecclesiologica
del suo tempo, nella formazione che trasmetteva loro, molto centrata su Cristo ma
anche molto aperta sul mondo, come riportato anche nelle Regole:
«Alcuni laici si sentono chiamati a partecipare attivamente alla missione, ai ministeri e
alla vita comunitaria degli Oblati. Ogni provincia, d’accordo con l’amministrazione
generale, potrà determinare le norme della loro associazione alla Congregazione. Le
nostre comunità avranno a cuore di collaborare con i direttori provinciali della
Associazione Missionaria di Maria Immacolata per suscitare e animare i gruppi di laici
che desiderano partecipare alla spiritualità e all’Apostolato degli Oblati ».196
Anche nelle missioni coinvolgeva i laici come, ad esempio, nei tribunali per
mettere a posto la questione dei beni confiscati dalla rivoluzione, voleva che essi
avessero delle forme di sostegno. Da allora, la Congregazione ha fatto un grande
cammino in questo campo, testimoniato dal Documento finale del Capitolo
Generale del 1986:
«Gli Oblati sono chiamati a impegnarsi più a fondo per promuovere la missione dei
laici nella Chiesa e nel mondo … Occorre che noi Oblati ci convertiamo, quanto a
pensiero, cuore ed azione, e manifestiamo maggiore fiducia ed apertura e che siamo
disposti a condividere il potere e le responsabilità col laicato».197
195
196
197
Ivi, p. 143.
Ibidem.
Ibidem.
129
Oggi l’impegno dei laici con gli Oblati avviene a tre livelli. Il primo è
l’impegno nelle opere in cui sono inseriti gli Oblati di Maria Immacolata:
parrocchie, missioni, opere sociali, portate avanti in vera condivisione con i laici.
Nella Congregazione si vede sempre più la massiccia presenza dei laici nelle
opere gestite dagli Oblati, coinvolti in prima persona, nel cammino della Chiesa.
Il secondo livello è abbastanza antico nella Congregazione, anche se non del
tempo dei Sant'Eugenio. È l’Associazione Missionari di Maria Immacolata in
senso tradizionale, cioè persone che sostengono gli Oblati e le loro missioni con la
preghiera e con l’aiuto materiale. È importante non solo perché le missioni
possono vivere grazie a questi aiuti, ma anche perché aiuta la fede delle persone
ad allargarsi sulla Chiesa universale. Nel Documento finale del Capitolo Generale
del 1992 si vuole quasi dare respiro universale al laicato:
«Sta nascendo una nuova realtà: famiglie, coppie, persone singole, giovani che
desiderano impegnarsi più strettamente con noi manifestando un attaccamento
particolare al nostro carisma. Esistono già diverse forme di associazioni in tutte le
Regioni della Congregazione. Questo fenomeno, relativamente nuovo, è un segno dei
tempi. Noi non siamo proprietari del nostro carisma: esso appartiene alla Chiesa.
Siamo perciò felice che dei laici, chiamati da Dio, vogliano condividerlo ».
198
Un cambiamento innovativo, molto importante, è costituito dai volontari, cioè
da quei laici che vanno nelle missioni all’estero. Ci sono molti esempi: l’Italia col
Senegal, gli Stati Uniti con lo Zambia, il Canada con la Bolivia. È una nuova
forma di collaborazione dei laici alla missione degli Oblati, una collaborazione
che diventa una salvaguardia e non più una retroguardia. Anche questo diventa
una testimonianza perché coinvolge non solo chi parte, ma anche amici, parenti.
C’è una terza forma di impegno laicale, ed è più nuova del rapporto Oblatilaici. Tra i laici sostenitori delle missioni e membri dell’Associazione Missionaria
di Maria Immacolata sono emersi persone e gruppi che vogliono condividere la
spiritualità e la missione che Eugenio de Mazenod ha trasmesso agli Oblati. Gli
associati sono in cammino per precisare una spiritualità e un impegno missionario
198
Ibidem.
130
che siano veramente consoni agli insegnamenti di Monsignor de Mazenod e allo
stesso tempo al loro stato laicale: cioè portare il carisma dell’evangelizzazione dei
poveri nella vita concreta di ogni giorno.
4.6. Maria Immacolata
Maria Immacolata ha avuto un ruolo fondamentale nella vita e nell’azione di
Eugenio, una devozione che oggi come allora, deve essere capita all’interno di un
cammino che porta a Cristo. Proprio in questo si vede l’originalità del Fondatore
che accettando i Santuari mariani fin dai primi tempi, nelle Costituzioni, insisteva
molto sul fatto che Maria è la Madre di Misericordia che porta a Cristo:
«Maria Immacolata è la Patrona della Congregazione. Docile allo Spirito essa si è
consacrata interamente, come umile serva, alla persona e all’opera del Salvatore. Nella
Vergine, attenta ad accogliere Cristo, per donarlo al mondo, di cui è la speranza, gli
Oblati riconoscono il modello della fede della Chiesa e della propria fede. Avranno
Maria sempre per madre. Vivranno le sofferenze e le gioie di missionari in grande
intimità con Lei, Madre di Misericordia. Dovunque il loro ministero li porterà,
cercheranno di promuovere una devozione autentica alla Vergine Immacolata,
prefigurazione della vittoria finale di Dio su ogni male».199
In questo senso c’è una riscoperta dell’essenzialità della devozione mariana.
Certo negli anni la devozione mariana ha cambiato forma, forse ci sono meno
esercizi tradizionali, ma sicuramente c’è un approfondimento, sono diminuite le
devozioni come quantità, ma sicuramente c’è una maggiore qualità e coscienza,
che si esprime anche nella cinquantina di Santuari mariani serviti dagli Oblati in
tutto il mondo, luoghi di accoglienza, di evangelizzazione, di rinnovamento, di
preghiera nei quali Maria diventa via a Cristo e modello di vita consacrata.
Il Documento finale del capitolo Generale del 1992 recita:
«Maria Immacolata è la madre della nostra comunità apostolica. Essa ci dona la fede e
il coraggio che orientavano la sua vita, da Nazareth fino alla sala superiore di
Gerusalemme. Maria ci invita senza tregua ad approfondire il nostro rapporto
199
Ivi, 142.
131
personale con Gesù che al Calvario ci ha affidati a Lei come figli. Ci invita con forza a
prenderci cura gli uni degli altri e ad amarci come fratelli e ad amare la gente alla
quale siamo inviati per annunciare la Buona Novella. Maria è il nostro modello nel
suo impegno per i valori del Regno e nella sua testimonianza unica all’interno della
prima comunità del suo Figlio».
200
Questo carisma attrae ancora oggi molti giovani che si sentono in sintonia con
gli ideali e il cammino di Sant'Eugenio de Mazenod. Tra i giovani in voti
temporanei si nota spesso una consonanza di vedute e di ideali con il Fondatore,
nonostante siano nati in paesi ed epoche diverse. Si sentono chiamati come lui ad
evangelizzare i poveri, nell’impegno personale alla santità e in comunità
apostoliche.
Il carisma di Sant'Eugenio non si è esaurito all’interno della Congregazione da
lui fondata. È stato un dono per la Chiesa e alla Chiesa, condiviso dai membri di
una cinquantina di altri Istituti fondati da Oblati o con il concorso di Oblati. Si
tratta di Congregazioni religiose maschili o femminili di vita apostolica o di vita
contemplativa e di Istituti secolari. Ogni fondazione sottolinea maggiormente un
aspetto o un altro del carisma originario, dando luogo a una grande famiglia di
consacrati.
In questo evidente dinamismo, non sono mancati gli alti e i bassi, i momenti di
oscurità e di disagio, le espressioni di debolezza e anche di infedeltà che Eugenio
stesso ha conosciuto nel suo tempo.
4.7. Gli Oblati e l’avventura missionaria
L’avventura dei Missionari Oblati di Maria Immacolata è iniziata nel 1826 con
Eugenio de Mazenod che con una piccola comunità di sacerdoti dediti alle
missioni per l’evangelizzazione delle popolazioni rurali. Dopo venticinque anni di
duro e intenso lavoro in Francia, de Mazenod mandò i suoi primi missionari nel
200
Ibidem.
132
mondo, in Canada e poco tempo dopo nel Paese asiatico dello Sri Lanka e in
Africa del Sud. Incominciava così l’epopea oblata missionaria tra i ghiacci del
Polo Nord e nei climi tropicali, in paesi cristiani, musulmani, buddhisti e animisti.
Il missionario per definizione evoca terre lontane e cose straordinarie, svela ciò
che c’è di più profondo in ciascun cristiano. La missione infatti si concretizza con
l’apertura all’altro, con la scoperta amorosa del diverso, con il servizio a chi è nel
bisogno. Ogni cristiano è chiamato ad essere missionario, è un’esigenza della sua
fede. Oggi, gli Oblati di Maria Immacolata sono missionari in sessantotto diversi
paesi. Il loro ideale più alto rimane l’evangelizzazione dei poveri, ma che può
anche incarnarsi nella riabilitazione dei drogati, nella cura degli ammalati di
AIDS, nei progetti di abitazioni popolari, nella cura dei rifugiati e degli emigrati,
nella rievangelizzazione dei lontani, nel dialogo interreligioso, nel primo annuncio
di Cristo in terra di missione.
Sant’Eugenio, nei trent’anni in cui fu Vescovo di Marsiglia, trasmise lo stesso
spirito missionario ai cristiani, ai religiosi e ai sacerdoti della sua diocesi.
4.8. Amministrazione generale e la Casa generalizia di Roma
L’Amministrazione Generale e della Casa Generalizia a Roma sono il punto di
riferimento centrale dell’organizzazione missionaria degli Oblati di Maria
Immacolata, che ha raggiunto dimensioni mondiali, e allo stesso tempo forniscono
tutta una serie di servizi ausiliari alle sue singole parti.
La Casa Generalizia è la residenza del Superiore Generale della Congregazione
degli Oblati che rappresenta il legame dell’unità di tutta la Congregazione,
responsabile del suo sviluppo e guida nella sua opera missionaria che ha la sua
vita concreta tra la gente. L’Amministrazione Generale, insieme alla Casa
Generalizia, attraverso quelli che sono incaricati di fornire vari servizi, in qualità
di responsabili di portafogli o di cariche amministrative, servono e sostengono gli
Oblati che attualmente lavorano in sessantotto diversi paesi del mondo. Li aiutano
mantenendo contatti con la Santa Sede e facilitando gli incontri tra Oblati che
praticano le stesse forme di apostolato. Attraverso queste due strutture si diramano
consigli circa l’organizzazione e l’amministrazione delle finanze. Nella Casa
133
Generalizia viene conservato e aggiornato un vasto e prezioso archivio della
famiglia oblata e sempre da questa partono i bollettini di notizie e informazioni
verso il mondo oblato.
La Casa Generalizia ha comunque anche una vita propria, infatti riceve
numerosi Oblati che vengono a visitare Roma e serve da residenza per i giovani
Oblati che studiano nelle Università romane (attigua alla Casa Generalizia vi è
una comunità internazionale di giovani Oblati che studiano e si preparano al
sacerdozio). Fanno parte della Casa Generalizia anche degli specialisti che
lavorano nel Vaticano, insegnano nelle Università, traducono e pubblicano opere.
Tutte
queste
attività
costituiscono
una
dimensione
secondaria
dell’Amministrazione Generale e della Casa Generalizia, tuttavia per la
Congregazione e le sue missioni sono necessarie per i servizi che rendono alla
famiglia oblata dispersa per il mondo.
4.9. Oblati in Europa
L’Europa annovera circa milleseicento Oblati distribuiti in sedici paesi, nel
cuore di un continente sempre in movimento, profondamente segnato dal passato,
ma che sperimenta di continuo situazioni nuove e spesso inattese.
Francia
La Francia è il luogo di nascita di Sant’Eugenio de Mazenod e della
Congregazione degli Oblati. Di là sono sciamati nei più diversi paesi del mondo
per fondarvi delle missioni e svilupparvi un apostolato che rappresenta un’eredità
eccezionale di riuscita missionaria. Oggi, in Francia troviamo gli Oblati di Maria
Immacolata nelle parrocchie, dove proclamano il Vangelo; nei luoghi di
importanti pellegrinaggi, dove alimentano una vita più fervente; nei mezzi di
comunicazione, dove trovano nuove vie per portare Cristo al mondo; in Corsica al
servizio di piccole comunità rurali; vicino ai rifugiati, nella loro nuova patria e in
stretto contatto col mondo del lavoro, come preti operai.
Inghilterra e Irlanda
Fu lo stesso Sant’Eugenio che inviò gli Oblati in questi due paesi, che aveva
precedentemente visitato in due riprese. Questi territori sono stati dei grandi vivai
134
che hanno fornito Oblati per lontane missioni estere: Africa del Sud, Stati Uniti,
Filippine, Australia, Canada, Sri Lanka e, nei nostri giorni, nel Brasile. Oggi nel
Regno Unito, circa duecento Oblati lavorano in numerose parrocchie, ove hanno
attratto una larga partecipazione di laici all’apostolato missionario e sono molto
conosciuti per i loro pellegrinaggi a Lourdes; assistono i nuovi operai immigrati, i
tossicodipendenti e le vittime dell’Aids.
Belgio e Olanda
Lungo gli anni, questi due paesi hanno fornito molti missionari allo Zaire, al
Transvaal, al Canada, al Suriname, al Cile e alla Bolivia. Nei loro rispettivi paesi,
circa duecento oblati gestiscono parrocchie e condividono con i laici una
responsabile opera di catechesi.
Italia
L’Italia, dove il fondatore degli Oblati ha vissuto in esilio la sua adolescenza,
conta circa duecentocinquanta Oblati, operanti su un largo fronte di attività:
missioni parrocchiali, apostolato di grande levatura presso i giovani, cappellanie
carceri, parrocchie, consultori matrimoniali, mezzi di comunicazione, recupero
dalle tossicodipendenze, associazioni laiche missionarie. Anche gli Oblati italiani
hanno dato moltissimi uomini alle missioni estere, di recente sono arrivati
nell’Uruguay, nel Senegal, in Indonesia e in Corea.
Spagna
La provincia oblata di Spagna subì un colpo brutale, inflitto dai comunisti nel
1936, con il massacro di ventidue Oblati. Tuttavia, anche in questo paese la
Congregazione si è sviluppata e ha fornito missionari che hanno fondato missioni
nel Sahara occidentale e nel Venezuela. Attualmente in Spagna un centinaio di
Oblati curano parrocchie, case di ritiri e collegi. Inoltre, sono ben conosciuti per il
loro apostolato presso i nomadi e i villeggianti.
Germania
Le missioni parrocchiali, come sappiamo, erano molto care a Sant’Eugenio e la
provincia degli Oblati di Germania ha sempre avuto una maestria notevole in
questo campo e continua tuttora questa opera fino ai nostri giorni. Qui i padri
Oblati lavorano nelle parrocchie, nelle scuole e nelle mete di pellegrinaggi,
pubblicano una rivista molto stimata, raccolgono abiti e medicine per le missioni e
135
finanziano diversi progetti apostolici nei paesi d’oltremare. La presenza di
missionari provenienti dalla Germania in provincia d’Africa è stata sempre molto
marcata.
Polonia
Con i suoi circa quattrocento membri, la provincia di Polonia è oggi la più
numerosa della Congregazione. Liberata dalle costrizioni della sfera comunista,
essa si interroga su nuovi metodi d’apostolato per rispondere meglio alle nuove
necessità. Oltre alle parrocchie, possiede un nutrito gruppo di predicatori di
missioni parrocchiali, cura l’accoglienza dei pellegrini nei santuari, si occupa dei
tossicodipendenti, dei bambini abbandonati, lavora nei mezzi di comunicazione,
ed esercita un apostolato inedito di preghiera ecumenica. Inoltre, invia numerosi
missionari
all’estero:
Camerun,
Canada,
Madagascar
e
Scandinavia.
Recentemente ha raccolto la sfida di una missione in Ucraina e nella Bielorussia.
Austria e Repubblica Ceca
Molto conosciuta per il celebre santuario di Maria Taferl, questa provincia
conta pochi membri Oblati attualmente all’opera nelle parrocchie, in altri campi
pastorali e nell’ambito di un’associazione molto viva di laici missionari. Con la
Polonia, si impegna a ristabilire la presenza degli Oblati in territorio ceco.
Scandinavia
La provincia Scandinava opera con poche decine di
Oblati americani,
polacchi, svedesi e danesi, che lavorano nella regione più a nord d’Europa che si
estende fino al di là del circolo polare. Essi cercano di dare alla fede una identità
scandinava, in una Chiesa che conta diverse nazionalità, a causa dei numerosi
immigrati. Si occupano anche di parrocchie, dell’accoglienza degli immigrati e
della formazione di piccole comunità cristiane.
Il futuro
A lungo culla della fede, l’Europa presenta oggi un volto differente. Il
progresso della tecnologia, l’invecchiamento del clero e dei religiosi,
l’avanzamento del materialismo, lo sconfinamento del secolarismo, la timidezza e
la stanchezza di molti cattolici, la perdita di valori sicuri, sono le nuove sfide per
la vita cristiana, per la Chiesa e per gli Oblati, i quali sull’esempio del loro
Fondatore, uomo di iniziativa e di energia, di zelo e di passione, in Europa
136
mettono insieme le loro energie per vivere e continuare a diffondere la fede
secondo il suo ideale.
4.10. Oblati nel Mondo
Sant’Eugenio
de
Mazenod
considerò
le
missioni
estere
come
un
approfondimento del carisma originario e trovò in esse nuove espressioni, anche
se in continuità con l’intuizione primitiva, come si evince in maniera palese dalla
lettura delle Istruzioni alle missioni estere del 1850:
«Le parole indirizzate a Isaia sull’annuncio della gloria di Dio ai gentili attraverso il
ministero di persone mandate per questo, parole che Cristo, nei giorni della sua vita,
ha trasformato in imperativo “Andate e predicate il vangelo a ogni creatura” non
hanno mai smesso di essere attuate nella Chiesa. In particolare queste parole sono
come una consegna sacra per tutti gli ordini religiosi che si sono dati come fine quello
di lavorare con tutte le forze alla salvezza delle anime, sia in terre cristiane, sia in
quelle ancora viventi nelle tenebre e nell’ombra della morte. È per questo che i
missionari delle grandi famiglie Benedettine, Francescane e Domenicane, si sono
sparsi in tutto il mondo per predicare, senza sosta il Regno di Dio. A sua volta la
nostra modesta famiglia, dal giorno in cui la sua iscrizione nella lista degli ordini
religiosi ha aiutato il suo sviluppo e accresciuto il suo vigore, ha sentito bruciare in sé
stessa la fiamma apostolica ed ecco che da anni, rispondendo alla chiamata di molti
Vescovi, ha assunto il ministero delle missioni estere e conta già un buon servizio
…omissis.. Le missioni estere da noi sono viste come un mezzo eminentemente adatto
a procurare la gloria di Dio, a contribuire all’estensione della religione, ad aiutare il
fiorire della nostra Congregazione senza contare che un tale ministero procura solo
grandi meriti. Queste missioni infatti sono una vera fonte di beni spirituali che si
espande su una moltitudine di anime, convertite e mantenute nella vera fede, e
costituiscono anche una prova palpabile della divinità della chiesa Cattolica, nonché
dello zelo della nostra Congregazione per la gloria di Dio e della sua carità
indefettibile verso le anime abbandonate. Non tutti i membri della nostra
Congregazione sono adatti alle missioni estere, ma solo quelli in cui si trovano i tratti
speciali di una vocazione così eccellente e il cui cuore, sotto la spinta della grazia, si
sente spinto verso questo tipo di ministero …omissis.. Un desiderio ardente di
propagare la fede, un cuore magnanimo e una volontà solida, prontezza e slancio
137
nell’azione, fermezza e costanza nella prova, cordialità, buona salute e forza a livello
delle imprese nonché delle prove con le quali la vita li farà confrontare …omissis.. I
membri della nostra Congregazione destinati alle missioni estere, appena in possesso
della loro destinazione, si sforzeranno di prepararsi al meglio per questo grande
compito con un progresso sempre più accentuato nella virtù, con la fedele osservanza
della disciplina regolare e con l’applicazione allo studio delle scienza più appropriate
per la loro vocazione …omissis.. Per condurre più facilmente le persone alla
conoscenza delle verità necessarie, i Missionari si occuperanno di redigere, nella
lingua locale, sotto forma di domande e risposte, una sintesi della dottrina cristiana,
che i neofiti dovranno imparare a memoria e che, gradualmente, sarà loro spiegato in
termini appropriati. Comporranno su queste stesse verità, anche canti e catechismi
illustrati. Insomma useranno tutti i mezzi possibili per mettere la dottrina in bella luce,
per fissarla con forza nelle intelligenze e per stamparla con vigore nelle memorie. Ma
tutti questi sforzi non avranno futuro se non si mette particolare attenzione e zelo nel
formare i neofiti ai buoni costumi. Così nella misura del possibile, i missionari
cercheranno di celebrare tutti i matrimoni con il rito della Santa Chiesa, di inculcare ai
bambini sentimenti di timore del Signore, di allontanare i giovani dall’occasione del
peccato, di ispirare alle donne, con amore alla modestia e alla castità, il gusto della
pietà e delle occupazioni domestiche, di svegliare negli uomini il senso della
temperanza e dell’onestà e, infine di fare degli anziani gli ausiliari del loro ministero e
i consolatori delle loro fatiche».
201
L’evangelizzazione dei non cristiani era più radicale della rievangelizzazione
delle comunità scristianizzate o intiepidite. La dedizione dei missionari chiamati a
non lasciare niente di intentato, trovava impreviste espressioni di generosità e di
sacrificio. La sequela degli apostoli non era solo imitazione delle loro virtù e della
loro predicazione, ma rinnovava le loro gesta a contatto con le popolazioni
pagane. Nelle missioni estere l’evangelizzazione non intendeva solo risvegliare
una fede assopita, ma la trasmetteva in tutta la sua radicale novità. Nell’anno
1847, scriveva a Padre Pascal Ricard, destinato alla diocesi di Walla Walla
nell’Oregon:
201
M. ZAGO, Un uomo ... il mondo, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione. Evangelizzare, Editrice
Missionari O.M.I., Roma 1995, p. 104.
138
«Non è necessario descrivere quanto sia magnifico agli occhi della fede il ministero
che svolgete. Bisogna risalire agli inizi del Cristianesimo per trovare qualcosa di
simile. Attraverso voi si rinnovano ai nostri giorni le meraviglie operate dai primi
discepoli di Gesù Cristo. Proprio attraverso voi scelti, tra i tanti, dalla Provvidenza per
annunciare la Buona Novella a tanti schiavi del demonio che stagnano nelle tenebre
dell’idolatria e che non conoscono Dio! È la vera attività apostolica che si rinnova ai
nostri giorni».
202
Per Eugenio le missioni estere non erano una replica di quelle realizzate in
Europa a favore delle popolazioni più sprovviste di mezzi pastorali e di una
educazione cristiana adeguata. Erano un compito di altra natura, in qualche modo
più radicale e più evangelico, poiché tese ad annunciare per la prima volta Cristo a
coloro che non l’avevano mai conosciuto.203
Allo stesso P. Ricard, quattro anni più tardi, scriveva:
«Paragonate alle nostre missioni europee, le missioni estere hanno un carattere proprio
di ordine superiore, perché sono il vero apostolato di annunziare la Buona Novella alle
genti, chiamate alla conoscenza del vero Dio e di suo Figlio Gesù Cristo …omissis.. È
la missione stessa degli apostoli; andate ad insegnare a tutte le genti. È necessario che
questo insegnamento della verità arrivi alle nazioni più lontane, perché siano
rigenerate nelle acque del Battesimo. Voi fate parte di coloro ai quali Cristo ha
indirizzato questa parola, affidandovi una missione come quella degli Apostoli, che
furono inviati a convertire i nostri padri. Sotto questo punto di vista , che è quello
vero, non c’è niente di più grande del vostro ministero».204
Sant’Eugenio non prendeva mai decisioni importanti alla leggera, attendeva
segni chiari della volontà di Dio. Per l’apertura delle missioni estere, l’ispirazione
202
203
204
EUGENIO DE MAZENOD, Lettera al P. Pascal Ricard, Marsiglia, 8 gennaio 1847, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Gli anni dello sviluppo, 1841-1860, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 171.
M. ZAGO, Un uomo ... il mondo, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione. Evangelizzare, cit. p.
103.
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Pascal Ricard, Marsiglia, 6 dicembre 1851, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Gli ani dello sviluppo, 1841-1860, cit., p. 309.
139
emerse dall’incontro con il Vescovo Canadese. L’unità di spirito e di commozione
di fronte ai bisogni missionari furono il contesto di quell’ispirazione:
«Il Vescovo di Montreal in Canada, passando qui qualche mese fa di passaggio per
andare a Roma, parlandomi della sua Diocesi me ne ha esposto la necessità. Ha
insistito perché gli dia almeno quattro missionari della nostra Congregazione che
incaricherebbe di evangelizzare il suo popolo e che, se fosse necessario, potrebbero
estendere il loro zelo fino agli indigeni che vivono da quelle parti. Non osavo
rispondere in modo positivo al Vescovo, ma gli ho promesso che mi sarei interessato
alla sua domanda. Il mio desiderio era quello di consultare i membri della
Congregazione e di rispondere al Vescovo solo dopo aver avuto il loro assenso. Si
tratta di una missione lontana. Ci vuole molta dedizione per iniziarla. Potevo affidarla
solo a uomini generosi e di buona volontà. Dovevo assicurarmi della loro adesione. È
quello che ho fatto. Prima di tutto ho chiamato alcuni superiori locali che, subito, si
sono dichiarati d’accordo. Qualche altro membro della Congregazione che ne è stato
informato si è offerto come partente. Tutti mi hanno assicurato che una simile
proposta avrebbe avuto una risposta unanime. Forte di questa opinione e, ancor prima
di aver ricevuto la risposta da tutte le case che ho consultato tramite i superiori locali,
ho osato scrivere al Vescovo di Montreal nella paura che, incerto sul mio assenso, si
indirizzasse a qualche altra Congregazione che certamente non si lascerebbe scappare
l’occasione di fondare una cosa così interessante. Così gli ho scritto oggi stesso per
annunciargli che accetto la sua proposta e che lo aspetto per metterci d’accordo sulle
decisioni definitive. Mi domandava almeno quattro missionari a cui pagherebbe il
viaggio e ai quali darebbe una parrocchia con una comunità che potrebbe crescere di
numero in futuro non solo per le persone che io potrei mandargli, ma anche attraverso
persone di quei posti che potrebbero unirsi a noi. I nostri missionari si
incaricherebbero di predicare le missioni nelle diverse parrocchie della sua Diocesi e
potrebbero anche evangelizzare gli indigeni quando qualcuno di loro avrà imparato la
lingua di questi popoli. Ecco una bella missione aperta davanti a noi. Ho visto con
consolazione che tutti gli Oblati a cui ne ho parlato hanno accolto la cosa con
gioia».205
205
M. ZAGO, Un uomo ... il mondo, in P. PIRAS, Un uomo ... una passione. Evangelizzare, cit. p.
101.
140
Canada
Eugenio non trovò nessuna difficoltà a riunire un gruppo di sei volontari per la
prima missione in terre lontane. Questi Oblati tutti intorno ai trentadue anni,
partirono per l’America il 30 settembre 1841 e arrivarono a Montreal il 2
dicembre seguente. Dei rinforzi furono inviati negli anni successivi ai quali ben
presto si aggiunsero le vocazioni locali. L’intuizione di Sant’Eugenio de Mazenod
si rivelò esatta: il Canada avrebbe contato un giorno più di duemila Oblati e
avrebbe inviato centinaia di missionari all’estero soprattutto nel Lesotho e
America Latina. Fin dagli inizi del loro apostolato in Canada, gli Oblati si
trovarono di fronte a diversi ministeri: predicazioni al popolo, parrocchie,
missioni presso gli autoctoni, servizio religioso ai tagliatori di boschi nella foresta.
Le distanze di questo immenso paese, grande come un continente, non li
spaventarono.
In meno di quindici anni percorsero migliaia di chilometri,
raggiungendo le frontiere dell’ovest e del nord, fondando diocesi al loro passaggio
e facendo opera di esploratori e di costruttori. Vescovi oblati sono ancora a capo
di molte diocesi canadesi, Chiese lontane dai grandi centri, dove la popolazione,
con un tasso alto di Indiani e Inuit, è disseminata su vaste estensioni. Oggi ci sono
poco più di mille Oblati in Canada. In questi ultimi anni le vocazioni sono
diventate rare e la schiera degli apostoli conosce l’inevitabile invecchiamento ma
in compenso il dinamismo non è scomparso. Gli Oblati sono sempre impegnati in
un apostolato molto diversificato. Sono coinvolti in istituzioni, talvolta secolari,
che hanno un influsso importante, come il santuario mariano di Cap de la
Madeleine; i centri di rinnovamento cristiano come la comunità Galilea di
Arnprior e la Casa Gesù Operaio a Quebec; le istituzioni di teologia come il
Collegio Newman a Edmonton e l’Università Saint Paul a Ottawa, dove laici in
gran numero, uomini e donne, gomito a gomito con seminaristi e scolastici, si
preparano con loro a un lavoro per la Chiesa. C’è anche ciò che si potrebbe
chiamare la cavalleria leggera, impegnata in una quantità di attività apostoliche
presso i detenuti, gruppi popolari, tossicodipendenti, studenti, religiose. Il Canada
viene considerato come un paese prospero con un alto livello di vita e che non ha
mai conosciuto la guerra. Ciò non vuol dire che non ci siano problemi. La
recessione economica ha causato molta disoccupazione e, come tutti i paesi
141
industrializzati, conosce le piaghe come la droga, il divorzio, l’instabilità della
famiglia, la denatalità. Tuttavia ogni miseria umana è un richiamo alla salvezza.
Gli Oblati del Canada sono continuamente all’ascolto di questi richiami.
Malgrado la diminuzione dei membri, riescono a intraprendere nuove iniziative,
modeste a dire il vero, a favore dei diseredati di oggi, siano essi rifugiati,
immigrati, vittime di Aids o giovani in cerca di un senso. Gli Oblati del Canada
sanno bene che il loro immenso campo apostolico è stato aperto da un drappello di
pionieri, il cui esempio è segno di coraggio e di speranza per l’avvenire.
Stati Uniti
La prima fondazione oblata negli Stati Uniti risale al 5 settembre 1847, con
l’arrivo a Walla Walla, nell’Oregon, di quattro Oblati francesi, di cui due erano
scolastici: Eugenio Chirouse e Jean Pandosy. Sant’Eugenio annota nel diario:
«Partenza dei nostri apostoli dell’Oregon. Com’è stato commovente! Che bellezza!
Mentre li benedicevo mi sarei prostrato volentieri ai loro piedi per baciarli!
…omissis… Son partiti contenti, felici di essere stati scelti per questa grande
missione».206
Questi furono i primi Oblati a essere ordinati preti in quel paese, il 2 gennaio
1848. Fin dall’inizio il ministero degli Oblati si rivolse verso gli immigrati nuovi
arrivati e gli autoctoni. Ben presto ci furono altre fondazioni: nel Texas, a Buffalo,
a Plattsburgh, a Lowell. Una prima Provincia fu eretta nel 1883, con 36 Padri e 14
Fratelli; una seconda nel 1924, poi una terza e una quarta nel 1953. Nel 1960 gli
Oblati all’opera di queste Province erano 1087, distribuiti in 215 case. Missionari
Oblati americani furono inviati nel Messico, Haiti, Sud Africa, Lesotho,
Giappone, Filippine, Laos, Cile, Bolivia, Nord Canada, Scandinavia, Brasile,
Porto Rico, Tahiti e Zambia.
All’epoca della prima fondazione oblata negli Stati Uniti, il paese contava
meno di 15 milioni di abitanti, di cui 650.000 cattolici, ora ne conta circa 250
milioni, di cui 55 milioni cattolici. L’immagine degli Stati Uniti conosciuta
206
E. DE MAZENOD, Lettera al P. Pascal Ricard, Marsiglia, 8 gennaio 1847, in AMMI, Epistolario
del Beato Eugenio De Mazenod. Gli ani dello sviluppo, 1841-1860, Scuola Tipo-Litografica
Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 172.
142
all’estero tradisce la realtà, infatti 37 milioni di persone vivono nella povertà, 5
milioni sono senza casa. In più la popolazione non è omogenea anzi è molto varia:
per 28 milioni l’inglese non è la lingua materna, ma accanto ad esso troviamo lo
spagnolo, l’italiano, il tedesco, il francese, il polacco, il cinese, il filippino, il
giapponese, il coreano e il vietnamita. Per quanto riguarda la religione il 33%
sono protestanti, il 22% cattolici romani , il 2% ortodossi , il 2 % ebrei, l’1% altre
religioni e il 40% credenti senza legami con una Chiesa. È evidente che la società
americana è eclettica, attinge forza e vitalità dalla varietà dai cambiamenti. Padre
Fernand Jetté, ex Superiore Generale ha sottolineato che il cambiamento nel
paese è profondo, anzi radicale: un mondo nuovo sta per nascere ma anche una
Chiesa nuova e una persona nuova. Quindi, gli Oblati degli Stati Uniti lavorano
con questo spirito: apertura al cambiamento, rispetto della libertà individuale,
competitività e ottimismo. Dove c’è un problema, là ci deve essere una soluzione.
Gli Oblati provenienti da altre Regioni oblate sono colpiti da questo dinamismo
dei loro confratelli americani. Pieni di entusiasmo come sempre, malgrado il loro
numero diminuisce, si lanciano in nuove imprese, abbandonando, se necessario,
dei ministeri intrapresi da antica data. Attualmente gli Oblati statunitensi sono
distribuiti su quattro Province e una Vice Provincia, lavorano soprattutto presso la
piccola borghesia con una marcata preferenza per gli Ispanici, tra i Neri, gli
Amerindi e i differenti gruppi di immigrati: Filippini, Haitiani e Coreani. Dirigono
150 parrocchie e 15 centri di ritiri, alcuni sono cappellani di carceri o di ospedali,
altri sono impegnati in centri importanti di pellegrinaggi, centri di cura e di
riabilitazione, attività nell’ambito di Giustizia e Pace, assistenza socio psicologica,
cattedre in seminari e università e sette missioni all’estero.
America latina
I gruppi di missionari che esistono attualmente in America Latina hanno
iniziato le loro attività nel 1925 presso gli indigeni del Chaco paraguaiano.
Seguirono poi le missioni popolari in Uruguay e Argentina, nel 1930 e nel 1935.
Quindi fu la volta dell’invio di missionari presso gli operai delle miniere di
nitrato e di stagno nel Cile e in Bolivia, nel 1948 e nel 1952. In seguito sono stati i
sobborghi delle grandi città che hanno attirato gli Oblati: Città del Messico, San
Paolo, oppure le Chiese sprovviste di preti: Haiti, Surinam, Perù, Recife,
143
Uberlandia e Marabà nel Brasile, Porto Rico, ma anche un apostolato presso i
rifugiati in Guaiana Francese.
Le ultime fondazioni in America Latina hanno risposto al desiderio espresso
nel documento dei Vescovi a Santo Domingo di dare la precedenza al lavoro
missionario presso gli indigeni e gli Afroamericani. Per questo motivo sono nate
anche missioni in Guatemala, Venezuela e Colombia.
Sant’Eugenio e le Costituzioni, come i documenti degli ultimi Capitoli
Generali, insistono sulla vocazione missionaria presso i poveri, ma in comunità
apostoliche.
In quelle terre gli Oblati adottano uno stile di vita semplice e gioioso che si
avvicina alla gente e che li aiuta nell’impegno nelle loro lotte e far proprie le loro
aspirazioni, a partire da una visione di fede, di giustizia, d’amore, seguendo Gesù
e il Vangelo. Per questo motivo, grazie agli incontri fraterni, momenti di preghiera
condivisa, ritiri, giornate periodiche di riflessione, condividono vita, valori,
celebrazioni, tempo libero e riposo. Fino a poco tempo fa la maggioranza dei
missionari ivi operanti veniva dall’Europa, dal Canada e dagli Stati Uniti, ove
hanno fondato e continuano a sostenere le missioni e le case di formazione.
Il sogno ora è di un’America Latina, continente giovane e in gran parte
cattolico, che comincia a inviare missionari in altri continenti a minoranza
cattolica, come l’Asia e l’Africa. Molti sono i giovani in formazione che si
sentono attirati da questo ideale missionario, scoperto a contatto con gli Oblati,
presso i gruppi missionari delle parrocchie. Qualcuno desidera diventare prete
missionario, altri fratelli missionari, ma tutti in quanto consacrati a Cristo, fanno
parte della stessa famiglia missionaria. Gli Oblati, come servi dei poveri,
condividono tutti lo stesso ideale: Cristo per i poveri. Questo li unisce: lavorare
insieme per diffondere il Regno di Dio presso gli indigeni, gli Afroamericani, i
contadini, i minorati, i carcerati, i bambini di strada, i drogati, le vittime dell’Aids
e altri ancora, attraverso i mezzi di comunicazione, con la pastorale degli operai e
dei sindacalisti, con l’animazione delle comunità, con la pastorale biblica nelle
vaste parrocchie alle periferie delle grandi città.
Molti sono attratti da questa vita, da questa missione, da questo ideale, anche se
non tutti sono pronti a condividere i momenti difficili del ministero oblato,
144
espresso mirabilmente nell’appello rivolto ai giovani dell'America Latina della
seguente poesia:
A tutti i giovani dell’America Latina noi Oblati diciamo:
Non venire soltanto per essere felice,
ma per far gli altri felici.
Non venire per realizzarti
Ma per realizzare il Regno,
il resto ti sarà dato in sovrappiù.
Non venire per far carriera,
ma per condividere il lento e il paziente
cammino della gente povera che soffre.
Non venire per essere amato,
ma per sviluppare la tua capacità d’amare.
Non venire per ricevere,
ma per dare.
Non venire per venire,
ma per andare.
Asia – Oceania
In Asia e in Oceania, dove vive il 58% della popolazione mondiale, con una
diversità di culture, di lingue e di religioni, dove si trova allo stesso tempo il
benessere del primo mondo e la povertà del terzo, dove risiedono numerose
popolazioni, con le loro culture molto antiche e i loro sistemi di valori raffinati, la
forza che motiva e unisce gli Oblati è il loro intento di portare il Cristo a quelli
che hanno più bisogno. Ne è prova il fatto che essi si trovano strategicamente
vicini alle masse, sono quotidianamente interpellati dall’enorme popolazione
dell’Asia su un futuro tutt’ora aperto al messaggio di Cristo e alla sua Chiesa.
In queste splendide terre attualmente gli Oblati sono all’opera in otto diocesi e
curano seminaristi in periodo di formazione. Dirigono un orfanotrofio, una scuola
industriale, due case di ritiri e un Centro di Dialogo interreligioso, senza contare il
ministero parrocchiale. Nella zona di Jaffna, divenuta autonoma nel 1984, gli
Oblati occupano avamposti di missioni, della pastorale negli ospedali, di ritiri e
conferenze per la formazione dei laici.
145
Gli Oblati dello Sri Lanka hanno fondato missioni in India e in Pakistan. Dei
ventuno oblati che attualmente sono in India, 15 sono preti indiani che oltre agli
avamposti di missioni, hanno fondato un Ashram per la formazione spirituale. In
Pakistan gli Oblati operano nelle missioni e dirigono case di formazione, nel
Bangladesh evangelizzano le tribù di Kasi e Garo, come anche i musulmani di
Sylhet.
Australia e delegazione della Cina
L’Australia ha ricevuto i primi Oblati, venuti all’Irlanda, nel 1984. Partendo
dalla costa occidentale, oggi hanno raggiunto i principali centri del paese.
Attualmente settantasei Oblati lavorano in parrocchie (di cui una in Nuova
Zelanda), dirigono tre collegi importanti, un centro ospedaliero e sono cappellani
di carceri. Sono anche impegnati nella predicazione, l’assistenza sociale e il
ministero presso i ragazzi della strada. Nel 1970 la Provincia degli Oblati di
Australia ha fondato una missione, ora fiorente, nel centro di Giava, in Indonesia.
Recentemente hanno preso la direzione di due scuole a Hong Kong, ove alcuni
vi hanno stabilito una base di partenza per una missione futura in Cina.
Filippine
Appena prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, un gruppo di Oblati
americani è arrivato a Manila, ove tutti furono arrestati dai Giapponesi e nel 1941
tre di loro furono giustiziati. Ma dopo il 1945, la missione si è ingrandita e
sviluppata. In quella terra gli Oblati sono concentrati soprattutto nelle regioni a
grande maggioranza musulmana di Cotabato e Jolo, ma hanno delle case anche a
Manila. Oltre alle parrocchie e missioni, hanno messo su una rete di scuole, di cui
fanno parte due collegi universitari. Sono stati pionieri nell’apostolato della
stampa, della radio e della televisione. Nel 1966 hanno fondato anche una
missione ad Hong Kong.
Laos
Questa missione, fondata nel 1935, ha prosperato fino all’invasione giapponese
nel 1945, seguita all’insurrezione del Pathet Lao che è costata la vita a cinque
Oblati. Alcuni catechisti, formati tra gli Hmong e i Khmu, hanno mantenuto in
piedi la Chiesa, dopo l’espulsione di 99 Oblati nel 1975. Nel 1995 nel paese era
presente un solo Oblato: il Vicario apostolico di Vientiane.
146
Thailandia
Iniziata come piede a terra della missione del Laos, la Thailandia è divenuta un
Distretto nel 1970. Oggi quindici Oblati lavorano in posti di missione al nord del
paese e hanno un seminario vicino a Bangkok.
Giappone
Gli Oblati sono in Giappone dal 1948. Tra essi figurano americani, giapponesi,
belgi e filippini. Hanno delle parrocchie, insegnano l’inglese e gestiscono delle
scuole materne, soprattutto nelle isole di Shikoku e Kyushu.
Indonesia
Nel 1943, le tre missioni degli oblati operanti in Indonesia, ossia quella
australiana nel centro di Giava, quella italiana nel Samarinda e quella francese nel
Sintang. Qui, incoraggiati da un movimento continuo di conversioni, gli oblati
sono impegnati nelle case di formazione e in luoghi di pellegrinaggi, appoggiano
anche progetti di sviluppo presso i Giavanesi di Purwokerto e i Dayaks di
Kalimantan.
Tahiti e Corea
Gli Oblati sono anche all’opera a Tahiti nelle parrocchie e seminari fin dal
1977 e in Corea, dove sono impegnati a studiare la lingua in vista del loro futuro
apostolato.
Africa – Madagascar
Malgrado condizioni economiche e socio-politiche difficili, frutto di ingiustizie
e violenze, fonte di paure e fatalismo, l’Africa e il Madagascar sono in cammino
verso un avvenire meno oscuro. In questa situazione complessa, la Chiesa si
afferma come testimone credibile di un mondo migliore.
Gli ottocento Oblati che ivi operano apportano il loro largo contributo cercando di
fare del Vangelo un canto di speranza per i poveri e gli oppressi.
Repubblica del Sudafrica
Gli Oblati di Francia sono arrivati nel Natal all’inizio del 1852. Si sono
occupati dei cattolici e hanno fondato missioni per gli indigeni Zulù, Basuto e
Botswana. Vi sono attualmente 225 Oblati, in nove diocesi del Sud Africa, che
assicurano una presenza missionaria importante: vicini alla gente di cui si
occupano e molto attivi nelle municipalità strategiche, come Soweto e Botshabelo.
147
Si dedicano a evangelizzare una società che passa gradualmente dall’apartheid a
una democrazia non razziale.
Lesotho
La Chiesa ha conosciuto una crescita impressionante nel Regno del Lesotho,
dopo l’incontro degli Oblati con Moshoeshoe I nel 1862, sulla montagna di Thaba
Bosiu. Oggi metà della popolazione del Lesotho è cristiana. I preti diocesani sono
numerosi e i vescovi sono tutti dei Basuto. Gli Oblati, circa 150 di numero,
camminano sulle tracce dei Padre Giuseppe Gerard, pioniere missionario francese,
dichiarato beato da Papa Giovanni Paolo II nel 1988.
Namibia e Angola
Fu nel 1896 che gli Oblati arrivarono in Namibia, allora chiamata Africa del
Sud Ovest. In mezzo a grandi difficoltà vollero fondare una missione
nell’Okavango, ove riuscirono a formare una comunità cristiana solida. Gli Oblati
sono anche presenti in altre regioni: Ovamboland, Herero e Tswana. La Provincia
oblata di Namibia conta 55 membri. Con l’aiuto dei loro confratelli zairesi hanno
fondato recentemente una missione a Ondjiva, nel sud dell’Angola devastato dalla
guerra.
Zambia, Zimbabwe, Botswana
Un gruppo di Oblati, modesto ma dinamico, assicura una presenza missionaria
in questi tre paesi. Nello Zambia ci sono Oblati provenienti dal Texas (U.S.A.) e
dal Lesotho, con un numero crescente di elementi del paese. Oblati del Sud Africa
sono venuti nello Zimbabwe e alcuni del Lesotho hanno ripreso recentemente la
missione di Lobatse, nel Sud del Botswana, dove un tempo hanno lavorato Oblati
di Germania.
Zaire
Nello Zaire, a partire dal 1931, gli Oblati sono all’opera nelle diocesi d’Idiofa,
Kinshasa, Isangui e Kilwit. Un gruppo numeroso di giovani si sono uniti a loro,
come padri e fratelli. Gli Oblati sono impegnati nel ministero parrocchiale, nella
direzione di un piccolo seminario e nell’assistenza degli ex carcerati. Sono
presenti nei progetti di sviluppo e attivi nel ministero di Giustizia e Pace. Grazie
ai suoi numerosi oblati (più di cento), lo Zaire ha potuto inviare missionari
nell’Angola, Camerun e Nigeria.
148
Camerun, Ciad, Nigeria
Gli Oblati francesi sono arrivati nel nord del Camerun e nella regione del Mayo
Kebi nel Ciad, nel 1946. Dopo il loro arrivo queste regioni sono diventate delle
comunità cristiane fiorenti. Gli Oblati polacchi sono arrivati nel Camerun nel
1970. Acquartierati in un primo momento nel settore di Figuil, hanno ora
raggiunto la nuova diocesi di Yokadouma nel 1991, quando uno di loro è
diventato vescovo. Oblati italiani sono presenti nella parte anglofona del
Camerun. La Nigeria ha accolto i primi Oblati nel 1991 e ha già ottenuto un
numero apprezzabile di conversioni.
Madagascar
Venuti dalla Polonia nel 1980, gli Oblati del Madagascar sono poche decine,
compresi alcuni indigeni. Lavorano in condizioni climatiche ed economiche
difficili, devono percorrere parecchi chilometri per raggiungere l’una o l’altra
comunità cristiana loro affidata.
Senegal
Parte degli Oblati Italiani espulsi dal Laos hanno cominciato a lavorare nel
Senegal nel 1976. Oltre alla Proclamazione della Parola e alla fondazione di
comunità cristiane, essi sono impegnati nei progetti di sviluppo e nel dialogo
ravvicinato con i musulmani. Un paio di decine di Oblati sono distribuiti in tre
diocesi, ma si riuniscono regolarmente insieme per nutrire la loro vita di
comunità.
Sahara Occidentale, Mauritania, Kenya
Nel Sahara Occidentale, alcuni Oblati formano una Prefettura Apostolica, in un
ambiente quasi totalmente musulmano. Forse c’è un Oblato in Mauritania e un
altro nel Kenia, per dei compiti temporanei.
4.11. Apostolato tra i giovani
Anche se gli Oblati non sono molto conosciuti come specialisti dell’apostolato
tra i giovani il problema della formazione e dell’educazione di questi è stato
fortemente avvertito dal fondatore ed è continuato nel corso dei secoli.
149
Nelle pagine del suo «Diario dell’Associazione Gioventù cristiana di Aix»,
scritto tra il 1813 e il 1821, traspare chiaramente l’interesse per la formazione
cristiana dei giovani esposti ai pericoli di un insegnamento statale avverso alla
Chiesa. Nel 1813, con sette giovani, uno dei quali entrerà più tardi nel gruppo dei
missionari di Provenza, fonda l’Associazione della Gioventù Cristiana di Aix con
un apposito regolamento che diviene norma di vita per unanime consenso. Si vede
già presente nell’animo del giovane sacerdote Mazenod l’idea di questa forma di
apostolato la cui necessità era balenata dopo il ritorno in Francia dall’esilio
palermitano. Infatti in una lettera al padre del 6 agosto del 1805 così gli scriveva:
«La religione era perduta per sempre in questo stato; e se la pace concessa alla Chiesa
non avesse posto i suoi ministri in condizioni di preservare la gioventù, intendo la
nuova generazione, dal contagio che aveva colpito tutte le età ma specialmente quelli
che noi chiamiamo figli della Rivoluzione, tutti tra i diciotto e i vent’anni
ignorerebbero che esiste un Dio». 207
Con questo tono si apre il suddetto diario dove, in una pagina datata 25 aprile
1813, si legge:
«Non è difficile accorgersi che il disegno dell’empio Bonaparte e del suo infame
governo è distruggere completamente la religione cattolica negli stati da lui usurpati.
L’attaccamento alla fede dei padri nel maggior numero dei popoli oppressi gli è parso
un ostacolo insormontabile all’immediata esecuzione del suo progetto esecrando
ritenuto utile alla sua politica infernale, e intanto si è sentito costretto a raggiungere i
suoi scopi affidandosi al tempo e ai mezzi messi in opera. Quello su cui conta di più è
la demoralizzazione della gioventù; e il successo dei provvedimenti adottati è
spaventoso … Ormai tutto il territorio francese è coperto di licei, scuole militari e altre
istituzioni dove l’empietà è caldeggiata, i cattivi costumi se non latro tollerati, il
materialismo mosso e ispirato dall’alto. Tutte queste scuole orribili si riempiono di
giovani che l’avarizia dei genitori sacrifica all’esca di un posto gratuito o di una
semiborsa, alla speranza di un avanzamento di carriera promesso soltanto agli affiliati.
207
Diario Dell’Associazione Gioventù Cristana Di Aix(1813-1821), in F.TRUSSO OMI, Inizi di
Apostolato, collana”Itinerari Mazenodiani” vol.II, diffusa a cura dell’AMMI, ed. Istituto
Anselmi, Marigliano Na, da pag.156 a 159.
150
I vuoti sono colmati da queste vittime infelici che il tiranno strappa senza pietà alle
loro famiglie, obbligandole a bere a questa coppa avvelenata dove troveranno il germe
di una corruzione inevitabile … E già il lavoro è in gran parte completato. Un liceale
di quindici anni, un alunno del corso preparatorio, di una scuola militare , di un
politecnico, di un bricconcello di primo pelo … sono altrettanti empi depravati che
non lasciano più sperare di tornare ai buoni costumi, ai sani principi religiosi e politici.
Sono educati a non riconoscere altro dio fuorché Napoleone. Il volere di questa nuova
provvidenza, che promette loro impunità per i loro vizi e vantaggi per la loro carriera,
è la sola regola di condotta, l’unico movente delle loro azioni. E così al primo cenno
del loro idolo si vedono volare dove la sua parola li chiama, disposti a commettere
qualunque delitto gli piacerà esigere dalla loro sacrilega abnegazione. È un quadro
spaventoso ma vero e potrei anche accentuarne le ombre, senza il timore di essere
tacciato di esagerazione. Oltre a quello che è sotto gli occhi di tutti e tutti possono
vedere, io personalmente ho mille prove di quanto affermo. Il male è al colmo e noi
c’incamminiamo a gran passi verso una rovina totale, se Dio non viene al più presto
in nostro aiuto; perché il cattivo esempio si è fatto strada tra i giovani, tra coloro stessi
che vivono sotto gli occhi dei genitori, e troppo spesso si vede l’empietà pazza del
figlio essere in spaventoso contrasto coi principi paterni la cui autorità impotente o
debolezza colpevole è costretta a cedere e spesso ancora a divenire connivente di
disordini e apostasia. Come non deplorare il disgraziato incontro divenuto ogni giorno
più frequente di padri giovani cresciuti alla scuola della Rivoluzione che non valgono
di più dei loro figliuoli educati alla scuola di Bonaparte? … Divenuto spettatore di
queste colluvie di mali, bisogna contentarsi di deprecarlo in silenzio senza apportarvi
alcun rimedio? Certo che no, e dovessi essere perseguitato, dovessi crollare nella santa
impresa di opporre una diga questo torrente d’iniquità, almeno non avrei da
rimproverarmi di non aver tentato. Ma quale mezzo impiegare per riuscire in
un’impresa così gigantesca? Non altro che quello messo in atto dal seduttore
medesimo. Crede di poter giungere a pervertire la Francia pervertendo la gioventù, e
in questo impiega tutte le sue forze. Ebbene lavorerò anch’io nel campo giovanile, con
tutti i mezzi adatti a preservare la gioventù dai mali da cui è minacciata e che in parte
già sperimenta, ispirando per tempo l’amore della virtù, il rispetto della religione, la
dolcezza della devozione, l’orrore del vizio. Un bel mezzo, per quanto eccellente,
potrà sembrare debole ed inefficace considerato isolatamente e messo in atto soltanto
da me; ma quale effetto produrrà usato contemporaneamente in tutti gli angoli della
nostra disgraziata Francia! L’impresa è difficile ed io non me la nascondo; né è senza
151
pericoli, perché io mi propongo nientemeno che contrastare con tutte le mie forze i
sinistri disegni di un governo sospettoso che perseguita e annienta tutto quello che lo
contrasta; ma io non ho paura di nulla perché pongo la mia fiducia in Dio, cerco
unicamente la sua gloria e la salvezza delle anime che ha riscattato per mezzo del
Figlio suo, Nostro Signore Gesù Cristo al quale soltanto va l’onore, la potenza e la
gloria per tutti i secoli dei secoli».208
In queste pagine appassionate si riconosce chiaramente il motivo ricorrente di
quella che sarà la Prefazione delle Regole della congregazione dei Missionari
Oblati di Maria Immacolata.
Il breve regolamento del 1816 menziona come fine della Società le missioni
popolari e la santificazione personale. Nel 3° paragrafo, che parla dei doveri dei
membri, però si legge: la loro vita sarà divisa tra la preghiera e lo studio, la
predicazione e la direzione della gioventù. Che cosa voleva dire con direzione
della gioventù? Le prime CC. del 1818 precisano il suo pensiero.
Della gioventù ne parla non nel primo capitolo sui fini dell'istituto, ma in
quello dei diversi ministeri o attività esterne. Il terzo paragrafo del terzo capitolo è
intitolato: Direzione della gioventù. Il contenuto:
«La direzione della gioventù sarà considerata nel nostro istituto come un dovere
essenziale. Il Superiore Generale incaricherà di questo in particolare uno o più
missionari, ma egli stesso se ne occuperà con l'assiduità che gli permetteranno gli altri
doveri della sua carica. … Richiederà una relazione sullo stato della Congregazione
della gioventù, che dovrà essere fondata in ogni nostra casa, con la sollecitudine e i
particolari dello stesso noviziato … Egli si farà un dovere di conoscere tutti i
Congregazionisti per nome e avrà rapporti frequenti con le loro famiglie».209
Le CC. redatte tra il 1821 e il 1825, non cambiano. Attenuano soltanto
l'obbligatorietà di istituire delle Congregazioni dei giovani in ogni casa oblata:
208
209
Ibidem.
http://www.omi.it/Objects/Pagina.asp?ID=314
152
«Si istituirà per quanto possibile, una Congregazione di giovani laici in tutte le nostre
case … Ci sarà un regolamento identico ovunque e, tranne qualche modifica, sarà
quello in vigore nella Congregazione della gioventù di Aix».210
Questi articoli nella loro sostanza resteranno uguali in tutte le edizioni
successive delle CC. fino al 1926 compreso. In quell’anno alcuni capitolanti
proposero di sopprimere gli articoli delle Costituzioni sulla Direzione della
gioventù perché, dicevano, che queste associazioni appartengono in pratica alla
parrocchia. Questi articoli tuttavia furono lasciati, ma se ne aggiunse uno sui
collegi e i piccoli seminari per legalizzare un altro genere di apostolato presso i
giovani, già presente nella Congregazione dal tempo del Fondatore.
È chiaro quindi che il Fondatore per direzione della gioventù intendesse la
direzione di associazioni o di Congregazioni di giovani da istituire nelle case
oblate come quella di Aix. Si riferiva ad una esperienza precisa, quella vissuta da
lui stesso dal 1813 in poi, della quale intendo esporre la natura.
Ad Aix
«Il 25 aprile 1813 furono gettate le basi della pia Associazione della Gioventù
Cristiana. Il direttore dell’associazione nascente chiamò vicino a sé i primi sette
membri … Dopo aver loro esposto il suo progetto, indicando i vantaggi che potevano
ricavarne essi stessi, diedero inizio insieme alle pie pratiche con grande soddisfazione
per tutti. Considerate le tristi circostanze del momento si è convenuto di limitarci a un
piccolo numero di devozioni che saranno coperte da un velo di divertimento. La prima
riunione ha avuto luogo nel giardino chiamato “La tende del Fanciullo” (parco con
fontana e costruzione del 17° sec. Usato nel passato come luogo di svago del
seminario maggiore). Dopo una breve preghiera ci si è dati allegramente al gioco, e
quando il giorno fu al suo declino ci si radunò in un salone dove, mentre i giovani si
riposavano, il Direttore tenne una breve istruzione a cui è seguita la recita di una posta
di rosario. Vicino a far notte si ritornò in città rimpiangendo che la giornata fosse stata
così corta, precorrendo col desiderio la nuova riunione di domenica prossima».211
210
211
Ibidem.
In Diario Dell’Associazione Gioventù Cristana Di Aix(1813-1821), in F.Trusso omi, Inizi di
Apostolato, collana”Itinerari Mazenodiani” vol.II, diffusa a cura dell’AMMI, ed. Istituto
Anselmi, Marigliano (NA), pag.160.
153
Tra i giovani iscritti alla Congregazione si sceglievano coloro che avevano la
migliore volontà e si concedevano loro delle camerate, si trovavano ciò dei locali
dove potessero riunirsi per chiacchierare e ricrearsi onestamente.
L’Associazione vide coinvolti nelle sue attività numerosi laici212 generosi e
appassionati al fine educativo e formativo che si proponeva, ciò costituiva
sicuramente una vera e propria novità per quei tempi.
24 ottobre 1813:
«Durante le vacanze del seminario maggiore le riunioni hanno avuto luogo in
seminario. Ci si è divertiti nei chiostri. Il rev. Jason ci ha fatto il piacere di offrirci
un’istruzione».
3 novembre: «La riunione si è tenuta in casa del Direttore ( che allora abitava con la
mamma nel palazzo della nonna materna). Per uniformarsi alle usanze paesane il
Direttore ha passato ai giovani castagne e vino cotto: si è andati via a tarda sera. Il
tempo che non è consacrato alla preghiera e all’istruzione si passa a giocare ».
5 dicembre: Le signorine Mille sono state così cortesi da offrirci per giocare il
chiostro del giardino dov’è la loro abitazione, alle porte della città: e anche locali in
casa quando ci sarà brutto tempo. Il Direttore ha accettato con riconoscenza l’offerta
generosa delle signorine; così l’Associazione oggi si è trasferita lì: i giochi,
l’istruzione e la preghiera han luogo in questo gradevole soggiorno».
12 dicembre: prime espulsioni: «Sono stati espulsi dall’Associazione Pellissier e
Marin: il motivo è l’ostinazione con cui questi giovani han voluto continuare la
frequenza di cattive compagnie. Dubois che era stato ammesso solo dopo una lunga
prova e reiterate promesse di comportarsi bene, è stato anche lui espulso come
incorreggibile e più adatto a bighellonare per le strade che ad approfittare dei buoni
esempi dei membri dell’Associazione».
2 febbraio, si adotta un regolamento: «Dopo che l’Associazione è stata ripulita dei
suoi membri inaffidabili e il fervore è continuato a manifestarsi ogni giorno di più, il
Direttore ha giudicato opportuno redigere un regolamento che abbracci i doveri che
devono compiere come cristiani e come membri dell’Associazione e offra ad essi i
mezzi di mantenersi vigili nella pietà e nello studio, procurando ad assicurarsi la
salvezza in mezzo ai pericoli che li circondano da ogni parte. Il regolamento è stato
letto e approvato di comune accordo e come norma di condotta a cui devono sottostare
154
gli associato presenti e futuri. Sarà copiato integralmente in un registro per essere
consultato in caso di bisogno. In questo medesimo giorno, volendosi consacrare in
maniera speciale a Dio e alla Madonna, i soci si sono radunati alle otto nella chiesa
delle Suore ( Orsoline) di Santa Sofia, chiamate un tempo Le Marie: il Direttore in
cotta e stola, seduto in una poltrona collocata sui gradini dell’altare maggiore, ha fatto
una predica relativa alla circostanza; tutti i membri presenti (una trentina) si sono
presentati a lui a due a due e in ginocchio han rinnovato le promesse battesimali,
seguite da una formula di consacrazione alla Madonna, ricevendo poi il bacio di pace.
Da ultimo il Direttore ha offerto il santo Sacrificio per tutti i membri presenti di cui un
buon numero ha fatto la comunione…».213
Poco favorevole fu invece l’atteggiamento dei parroci limitrofi. Questi, già
avanzati in età, giansenisti, fedeli a Napoleone, abituati al solito tran tran, fin
dall’inizio guardarono con occhio poco benevolo, poi passarono alla guerra aperta
contro questo gruppo di giovani sacerdoti, che professavano la morale del beato
Alfonso Dei Liguori. La chiesa di Aix, indicata come la Chiesa della Missione,
sempre piena di fedeli e, soprattutto di giovani, diventò l'argomento principale dei
parroci contro i missionari della Provenza, accusati di allontanare i fedeli dalla
vita parrocchiale. Nonostante tutto l’Associazione conservò il suo dinamismo e la
sua forza di espansione fin quando il p. de Mazenod, che ritornava spesso tra una
missione e l'altra, ravvivò il fervore dei giovani.
Dopo la sua partenza per Marsiglia nel 1823, declinò purtroppo molto
rapidamente. Nel suo diario di viaggio a Roma nel 1826 si legge:
«Messa al Collegio Romano, dove incontro il centinaio di Congregazionisti dei Padri
Gesuiti. Non ho potuto impedirmi di ripensare alla brillante ed edificante
Congregazione che avevo creato a Aix, che ha dato tanti ecclesiastici alla Chiesa e
buoni cristiani al mondo e che esisterebbe ancora, malgrado la mia assenza, se la
gelosia e il falso zelo non avessero cospirato contro per distruggerla». 214
Tuttavia scomparve completamente solo nel 1840.
213
214
Ivi, pag.161.
http://www.omi.it/Objects/Pagina.asp?ID=316
155
A Marsiglia
La casa del Calvario a Marsiglia, aperta nel 1821, fu in origine principalmente
casa della gioventù. Dopo la missione del 1820, alcuni laici avevano fondato
l'Opera della Provvidenza, che esisteva prima della Rivoluzione, per bambini e
giovani abbandonati. Anche qui alcuni laici, che conoscevano il successo della
Congregazione della gioventù di Aix, diretta dai Missionari di Provenza,
prepararono loro un ambiente per abitarvi e affidarono loro la guida spirituale dei
giovani.
Appena arrivati, i missionari furono subito invitati a occuparsi del
catechismo e della guida spirituale degli orfani e dei poveri di un'altra Opera che
era nelle vicinanze: quella della Carità. Alla fine del 1821, il p. Emanuele
Maunier dice che insegna il catechismo a 80 giovani dell'Opera della Provvidenza
ai quali si sono aggiunti giovani della città che si preparano alla prima comunione.
Il p. Alessandro Dupuy scriveva al p. de Mazenod nel 1823: ho 350 ragazzi
sulle spalle. L'Opera della Provvidenza fu abbandonata nel 1823, ma il p. Maunier
aveva allora fondato una Congregazione della gioventù che, come afferma il
Fondatore, esisteva ancora nel 1837.
Altre Congregazioni della gioventù
Simili Congregazioni furono fondate dagli Oblati a Montréal nel 1848, a
Liverpool nel 1950 e a Leeds nel 1856. Anche se il tema dell'apostolato con i
giovani non è stato il suo leit-motiv o una idea-forza dell’ordine da lui fondato,
egli soleva sottolinearne l’importanza ai suoi figli. In diversi suoi scritti egli attirò
l’attenzione dei suoi figli sull'importanza di questo apostolato. Nel gennaio 1852,
per esempio, egli scrive al p. Stefano Semeria a Ceylon:
«I padri hanno ragione di rivolgersi alla gioventù così fortemente trascurata fino ad
oggi...Bisogna perciò formare una nuova generazione e prodigarle tutte le attenzioni...
Checché se ne dica, ritengo che si arriverebbe a cambiare il volto di questa cristianità
preoccupandosi molto dell'istruzione della gioventù e della sua cura. Solo così si
riuscirà».
215
215
E. DE MAZENOD, Lettera al P.Semeria, a Jaffna, Marsiglia, 16 Aprile 1852, in AMMI,
Epistolario del Beato Eugenio De Mazenod. Gli anni dello sviluppo, 1842-1860, Scuola TipoLitografica Istituto Anselmi, Marigliano, 1991, p. 341.
156
Il Fondatore e gli Oblati ebbero anche l'occasione di occuparsi dei giovani
durante le missioni popolari. In genere si adeguarono agli usi delle altre
congregazioni. La seconda settimana della missione era riservata soprattutto al
ritiro e alla comunione dei ragazzi, ritiro che finiva la seconda domenica con una
grande cerimonia o festa dei ragazzi che attirava tutta la parrocchia. Negli avvisi
che dava all'apertura della missione si trova questo: «Si raccomanda ai papà di
venire con i loro figli grandi e piccoli …».
Si organizzavano inoltre riunioni particolari di ragazze che il Fondatore nel suo
Diario della missione di Marignane definisce come uno degli esercizi più
importanti della missione:
«Abbiamo stabilito nelle nostre missioni questa riunione particolare delle ragazze per
far loro toccare con mano e dimostrare loro la necessità di rinunciare ai balli e alle
passeggiate con i giovani. … Occorre parlare con grande autorità e con molta forza …
Questa volta, il risultato è completo...l'impressione è stata profonda; le lacrime non
finivano di scorrere e il risultato è stato di farsi scrivere tutte per essere ammesse nella
Congregazione. Finito l'esercizio, le ragazze non si contenevano per la gioia».
216
Abbiamo visto che durante la vita di de Mazenod vi sono state tutt'al più
quattro o cinque Congregazioni della gioventù. Nei primi anni dopo la sua morte
ne crearono a Ottawa nel 1862, una a Québec nel 1864, un'altra a Montmartre nel
1870 e una a Hull nel 1884.
4.12. Movimento Giovanile Costruire
Il Movimento Giovanile Costruire è una forza viva che, radicata in Cristo,
propone il suo ideale a tutti, specialmente ai giovani. Li unisce la passione per Dio
e per l'uomo e la scelta dei più poveri, dei nuovi poveri del nostro tempo. E'
questo il carisma dei Missionari Oblati che oggi si vuole condividere. Gli obiettivi
216
http://www.omi.it/Objects/Pagina.asp?ID=319
157
proposti: diventare persone autentiche, cristiani e santi; trovare la propria
collocazione nella Chiesa; essere missionari là dove si vive; lavorare per i popoli
in via di sviluppo. Il cammino del Movimento mira alla scoperta da parte di
ciascuno della propria vocazione nella Chiesa e nel mondo. Ciò che ci spinge in
questo cammino è il desiderio instancabile di arrivare a tutti. Il Movimento
Giovanile Costruire (MGC)217 è nato dalla coincidenza di due situazioni. Gli
Oblati che da qualche tempo seguivano alcuni gruppi giovanili in diverse città
d'Italia avvertivano la necessità di coordinarsi, di avere dei punti comuni, di
lavorare insieme per il mondo dei giovani. Il tutto sostenuto da una intuizione: la
missione, così come è nel carisma oblato, valore da dare ai giovani perché loro, in
particolare, ce l'hanno dentro. Nacque allora, dall’Assemblea provinciale del
gennaio 1986, l'Organismo della pastorale giovanile e vocazionale che per quattro
anni ha coordinato tutto il lavoro con i giovani. Più tardi sarà in seno a questo
organismo che maturerà l'idea del Movimento Giovanile Costruire, con la spinta
ed il sostegno degli Oblati che, 20 anni prima, avevano dato vita al Centro
Giovanile della città di Marino. I giovani che imparavano a condividere la vita e la
missione oblata e che avevano guardato alla comunità di Marino come ad un
modello chiedevano di identificarsi chiaramente con il carisma oblato. Nel
settembre del 1987 si decise di prendere il documento "Missionari nell'oggi del
mondo" (MAM) e di tradurlo per i giovani perché in quelle pagine era sintetizzato
lo stile di vita oblato per l'oggi. Per un anno si decise di approfondire il primo
capitolo dal titolo «Missione Povertà e giustizia».218
217
Il Movimento Giovanile Costruire si configura come un’associazione di fedeli retta dai can. 298
e ss. e dal can. 303.
218
Messaggio dei Rappresentanti dell’MGC. «Carissimi, I doni che lo Spirito Santo ci ha regalato
in questi giorni, qui a Marino, sono stati davvero tanti e ora sentiamo il bisogno di farvi
partecipi di tutta la gioia che ci hanno lasciato dentro. Insieme abbiamo riflettuto sul significato
che ha per noi il MGC, cercando di scoprire quel volto che a Lourdes si andava delineando.
Nel cuore di tutti un unico desiderio: amare questa nuova creatura che sentiamo sempre più
nostra. Ma che cos’è questo MGC? Siamo noi: non una associazione, non una struttura ma una
forza viva che, radicata in Cristo, propone il suo ideale a tutti, specialmente ai giovani. Ci
unisce la passione per Dio e per l’uomo e la scelta dei più poveri, dei nuovi poveri del nostro
tempo. È questo il carisma dei Missionari Oblati di Maria Immacolata che noi vogliamo
condividere. I nostri obiettivi: diventare persone autentiche, cristiani e santi; collocarci al
proprio posto nella Chiesa, essere missionari là dove viviamo; lavorare per i popoli in via di
sviluppo. Ci siamo resi conto che il nostro è un cammino che mira alla scoperta della propria
vocazione nella Chiesa e nel mondo. Ciò che ci spinge in questo cammino è il desiderio
158
Ma la nascita vera e propria è avvenuta a Lourdes, nell'agosto del 1988, dove
ufficialmente per la prima volta si cominciò a parlare di MGC. Erano presenti 350
giovani di varie città italiane.
Le prime idee guida che in quel contesto vennero donate ai giovani furono:
Noi siamo … Appassionati di Dio, ci mettiamo … Dalla parte dell'uomo, specie
dei poveri, intendiamo lavorare … Insieme, nell'unità.
Nell'aprile dell'anno successivo (1989) furono convocati a Marino - come già
detto all'inizio - alcuni rappresentati dei gruppi giovanili del nascente MGC che
fecero proprie queste prime idee forti, delle quali successivamente c'è stato un
approfondimento sia con la vita che dottrinale.
L'MGC si propone 4 obiettivi: formare i giovani e aiutarli a diventare uomini,
cristiani e santi; condurli a scoprire la propria vocazione specifica nella Chiesa e
nell'umanità; sviluppare la dimensione missionaria della vita cristiana con
l'evangelizzazione dei poveri della nostra nazione e degli altri continenti;
evangelizzare il mondo dei giovani.
Circa il primo obiettivo dopo si è cercato di definire un itinerario di
formazione. Quello che finora ha più dato risultato è un programma di formazione
con durata biennale. Si sceglie uno slogan comune e dei contenuti da approfondire
nell'arco di due anni. Si approfondisce la figura e il carisma di S. Eugenio De
Mazenod. Per la formazione dei giovani si realizzano degli incontri particolari: le
tre - giorni di zona, una scuola di formazione nazionale, ogni due anni, della
durata di una settimana, congressi nazionali e internazionali. Forte è la
collaborazione della parte femminile. Circa la scoperta della propria vocazione, in
questi anni sono maturate da questa esperienza diverse vocazioni oblate. Alcune
ragazze si sono inserire: al Centro Giovanile delle Suore Francescane dei poveri,
al noviziato, nelle COMI (istituto secolare fondato da un Oblato italiano e che si
ispira al carisma oblato), diversi giovani fanno parte dell'AMMI, alcuni come
singoli, altri come coppie; altre famiglie nate in seno al MGC sono impegnate o in
parrocchia o in altri movimenti ecclesiali. Infine alcuni giovani hanno scelto di
essere considerati come Associati OMI. Per i ragazzi che si interrogano sulla
instancabile di arrivare a tutti. Se condividete questo nostro sentire, siete MGC e anche voi
contribuirete con il vostro tassello alla composizione di quel magnifico mosaico che è il Regno
di Dio». Marino, 1 maggio 1989
159
propria vocazione, la comunità oblata offre un Cammino di incontri per
accompagnarli nel discernimento vocazionale. La dimensione della mondialità è
andata crescendo grazie ai viaggi missionari e alle Operazioni missionarie
abbinate. Il primo viaggio missionario è avvenuto in Uruguay nel 1992 e vi hanno
preso parte 15 giovani. Da lì è nato il MGC in Uruguay che ha già realizzato il suo
primo Congresso. Il secondo viaggio missionario è avvenuto in Senegal nel
periodo natalizio 1994 -'95 e vi hanno preso parte 12 giovani di cui due ragazze
dell'Uruguay. Anche lì ora esiste un piccolo gruppo di giovani MGC. Sempre in
questo ambito i giovani di Firenze hanno portato aiuti ad un campo profughi in
Croazia, altri giovani MGC di vari gruppi hanno partecipato ad una missione in
Albania. Evangelizzazione del mondo dei giovani. Oltre a testimoniare la propria
fede con uno stile di vita evangelico negli ambienti in cui vivono i giovani
(scuola, famiglia, lavoro, luoghi di ritrovo ecc...) e che permette di raggiungere
tanti coetanei, alcuni giovani dell'MGC partecipano alle missioni popolari oppure
alle missioni giovanili che si svolgono in alcune città. Sono questi momenti in cui
i giovani scoprono tutta la bellezza di una vita vissuta per il Vangelo. Inoltre
alcuni giovani sono inseriti negli uffici di Pastorale Giovanile o negli Uffici
missionari delle rispettive diocesi. Interessante l’esistenza di un foglio di
collegamento che si chiama MGC News che circa ogni mese viene spedito ai
gruppi con le notizie più importanti ed alcune esperienze di vita. Ciascun gruppo
se ne occupa della diffusione.
Struttura
Per quanto riguarda la struttura interna del MGC, c’è da dire che essa non è
stata ideata a livello centrale e poi realizzata nelle varie zone, ma piuttosto si è
concepita man mano che la vita dei gruppi cresceva e da sé richiedeva di essere
ordinata secondò un criterio fondamentale: la comunione, lo scambio a vari livelli.
Ecco pertanto come finora si è venuta a organizzare la vita:
alla base c'è il gruppo giovanile (misto e normalmente diviso per fasce di età)
più gruppi giovanili costituiscono un'area e, dove è possibile, si dà vita ad una
Segreteria di area che è composta da due rappresentanti per ogni gruppo e un
Assistente Oblato livello centrale esiste l'équipe degli Assistenti MGC ( Oblati e
una consacrata) e, dal 1990, la Segreteria Centrale che è composta da 16 giovani,
160
tre oblati designati dal Provinciale a curare particolarmente il MGC, e una suora, i
quali si incontrano tre volte all'anno e costituiscono il polmone vitale del MGC.
Lo Statuto
Nel confronto costante tra gli Assistenti MGC e nello scambio con la
Segreteria Centrale è stato redatto lo Statuto del MGC, approvato dal Consiglio
Provinciale il 13 ottobre del 1996.
Lo Statuto219 è stato pensato con una duplice finalità: che i superiori maggiori
riconoscessero il MGC come autenticamente ispirato al carisma oblato per
raccogliere e formulare dei riferimenti comuni per tutti, sia gli Oblati che i
giovani, attraverso i quali si identificasse lo stile del MGC, la sua natura e la sua
organizzazione.
Termino dicendo che i giovani di cui abbiamo parlato qui sono quei volti che
quotidianamente operano in tutte case oblate e nelle attività parrocchiali ad esse
collegate, sono quelli che durante gli incontri di formazione si vedono cantare,
ballare e recitare. Tanti di loro io li conosco personalmente e posso assicurare che
si sentono parte integrante, attiva e responsabile della famiglia oblata, fondata da
S. Eugenio de Mazenod. E ogni volta che p. Zago, chiede al MGC i più impegnati
rispondono: «Ci stiamo! Conta su di noi ad occhi chiusi».
STATUTO M.G.C
(Movimento Giovanile Costruire)
NATURA
Art. 1. Il movimento Giovanile Costruire (MGC) trae ispirazione dal carisma
missionario di S. Eugenio de Mazenod, Fondatore dei Missionari Oblati di
Maria Immacolata (OMI), ed è costituito da giovani che desiderano improntare
la loro vita sulla forza trasformante del Vangelo in comunione con i Missionari
OMI.
Art. 2. Appassionati di Dio e dell’uomo, soprattutto dei più poveri, uniti
dall’amore scambievole, i membri dell’MGC vogliono annunciare a tutti chi è
Cristo, per costruire insieme la Civiltà dell’amore (Paolo VI).
219
Approvato dal Provinciale dei Missionari Oblati di Maria Immacolata il 21 febbraio 2003
161
Art. 3. Il testamento di S. Eugenio: «Tra voi la carità, la carità, la carità, e fuori
lo zelo per la salvezza delle anime» ispira il loro essere e il loro agire. Per
questo cureranno che il loro stile di vita sia sempre caratterizzato dalla mutua
carità e dall’accoglienza incondizionata di ogni persona. Non lasceranno nulla
di intentato per aprire vie nuove all’evangelizzazione e all’edificazione del
Regno di Dio in comunione con tutta la Chiesa.
Art. 4. Maria Immacolata, riconosciuta ed amata dai membri dell’MGC come
madre, è il modello della loro fede. Da lei impereranno ad accogliere Gesù
nella propria vita e a donarlo agli altri.
OBIETTIVI
Art. 5. L’MGC si propone innanzitutto di formare i suoi membri come uomini,
cristiani e santi e di condurli a scoprire la loro vocazione specifica per poter
meglio servire la Chiesa e l’umanità.
Art. 6. Nello stesso tempo si propone di sviluppare la dimensione missionaria
della vocazione cristiana e di concorrere all’evangelizzazione dei poveri. Si
impegna in modo concreto per i popoli in via di sviluppo, stabilendo con le
loro Chiese rapporti di comunione e di collaborazione.
Art. 7. Il mondo dei giovani è il campo di azione dell’MGC. Con la
testimonianza della vita e l’impegno concreto annuncia la novità del Vangelo
come la risposta alle aspirazioni più profonde dei giovani.
I MEMBRI
Art. 8. Sono membri dell’MGC i giovani che condividono la natura e gli
obiettivi del Movimento. Ne fanno parte finché, avvenuto il discernimento
vocazionale, si inseriscono al proprio posto nella Chiesa e nella società.
Art. 9. L’MGC comprende al suo interno:
gli aderenti: coloro che partecipano alla vita e alle iniziative del Movimento;
i simpatizzanti: coloro che partecipano ad alcune attività o le sostengono
condividendone i fini.
FORMAZIONE
Art. 10. Gli assistenti dell’MGC (cfr. art. 16) elaborano un itinerario formativo
che aiuti i membri a mettere solide basi sul piano umano, spirituale e
carismatico.
162
Art. 11. L’itinerario tiene conto di tre elementi costitutivi presenti in ogni
tappa:
Piano umano: Costruire se stessi: acquisire una maturità umana che si
manifesta come unità interiore, visione cristiana della vita e capacità di
progettazione del proprio futuro. Costruire relazioni autentiche con tutti, in
ogni situazione di vita, nella costante tensione ad essere persone di comunione.
Costruire la società, sentendosi cittadini corresponsabili del suo presente e del
suo futuro.
Piano spirituale: Costruire un profondo rapporto con Cristo, centro della
propria vita, via per la santità e fonte da cui tutto scaturisce. Costruire la
Chiesa, cogliendone gli appelli e rispondendo con disponibilità e generosità
come Maria.
Piano carismatico: Avere in S. Eugenio un maestro, una guida e un protettore e
alla sua scuola mettere la propria vita al servizio del Vangelo. Costruire
comunità vive dove il «Tra voi la carità, la carità, la carità…» è lo stile ed il
manifesto della vita di tutti. Riconoscere i poveri dai vari volti e cercare nuove
vie per arrivare loro il Vangelo.
Art. 12. L’itinerario formativo viene attuato con un programma preparato dalla
Segreteria Centrale (cfr. art. 15/13) e dagli Assistenti.
È compito degli Assistenti locali e degli Animatori (cfr. art. 15/5) svolgere tale
programma tenendo conto dei differenti contesti delle Comunità Giovanili.
STRUTTURE DI VITA E DI SERVIZIO
Art. 13. La struttura dell’MGC è al servizio della comunione e della missione e
ne esprime lo stile.
Art. 14. L’MGC è articolato nel seguente modo:
La Comunità Giovanile: è il luogo ordinario in cui si svolge l’itinerario di
formazione (art. 12) e in cui si attualizza la vita del Movimento (art. 13). Ogni
Comunità ha due responsabili (cfr. art. 15/5) ed un assistente locale (cfr. art.
18).
163
La Segreteria centrale è il segno dell’unità e della comunione del Movimento.
Elabora e propone alle comunità giovanili il programma formativo, coordina le
attività a livello nazionale, garantendone la conformità allo stile MGC. Ricerca
inoltre i modi e i mezzi adeguati che consentono un maggiore collegamento tra
tutti i membri dell’MGC, con altri giovani che si ispirano al carisma oblato e
con l’AMMI. Essa si riunisce almeno due volte l’anno. La durata dell’incarico
dei membri della segreteria è di tre anni, rinnovabile. È composta:
Da rappresentanti scelti dai responsabili delle Comunità Giovanili, in accordo
con i loro Assistenti, secondo criteri definiti del Regolamento interno;
Dagli Assistenti Centrali (cfr. art. 17).
Il Consiglio Centrale è composto dagli Assistenti Centrali e dai due
Responsabili Nazionali, uno per la parte maschile e una per la parte femminile,
scelti dalla Segreteria Centrale al suo interno. Esso ha il compito di prendere le
decisioni finali circa le attività formative e missionarie a livello nazionale,
dopo aver ascoltato il parere della Segreteria Centrale e degli Assistenti in
piena comunione con il Provinciale. Inoltre propone il Provinciale OMI le
modifiche allo Statuto dopo aver ascoltato il parere della Segreteria Centrale e
degli Assistenti.
Gli Animatori sono gli aderenti che, dopo un’appropriata preparazione, si
rendono disponibili per un servizio di animazione e coordinamento a favore
degli altri membri del Movimento. Tra gli animatori vengono scelti i
responsabili delle comunità giovanili.
Art. 15. Gli assistenti hanno il compito di custodire e trasmettere l’ispirazione
originaria dell’MGC (cfr. art. 2). Per questo saranno Oblati o consacrati/e e
laici che condividono il carisma oblato. La durata del loro incarico è triennale,
rinnovabile. Essi si riuniscono almeno due volte l’anno.
Art. 16. Gli Assistenti centrali sono: l’Assistente Nazionale e i membri del suo
consiglio in numero di tre cui almeno due Oblati. L’Assistente Nazionale è un
Oblato nominato dal Provinciale OMI. I tre membri del suo consiglio sono
designati da tutti gli Assistenti riuniti in assemblea, con la ratifica del
164
Provinciale. Uno di essi, scelto dal consiglio, avrà il compito di vice Assistente
Nazionale.
Art. 17. L’Assistente locale OMI è designato dall’Assistente Nazionale, dopo
aver consultato il superiore locale e con l’approvazione del Provinciale.
Gli Assistenti non Oblati verranno nominati con l’approvazione dei propri
superiori o responsabili.
ECONOMIA
Art. 19. I mezzi economici con i quali l’MGC persegue i suoi obiettivi sono
costituiti dalla comunione dei beni dei singoli, dalle attività delle Comunità
Giovanili e da contributi benevoli.
4.13. Giovani e missione
Da sempre le comunità cristiane hanno un compito, una missione:
evangelizzare, annunciare il vangelo, essere portatrici di una Buona Notizia.
Nell’Enciclica Redemptoris Missio Giovanni Paolo II parla del quadro complesso
nel quale si inserisce oggi l’azione evangelizzatrice della Chiesa: popoli in
movimento, urbanizzazione, scristianizzazione dei paesi di antica tradizione
cristiana, pullulare di sette.
Nel nostro mondo e anche in quello dei giovani ci sono elementi che rendono
difficile l’evangelizzazione: il venir meno del senso cristiano della vita,
l’abbandono della pratica religiosa, la possibilità di fare a meno della religione e
di Gesù Cristo. Se a questi elementi se ne aggiungono altri più esterni come le
varie forme di violenza, le guerre, l’incapacità a convivere, fenomeni che si
sviluppano in ambiti cristiani, viene da chiedersi se il vangelo è ancora una buona
notizia che porta frutto. Se si legge con attenzione il libro degli Atti degli Apostoli
si può vedere come situazioni simili alle nostre ci sono state anche allora:
divisioni tra i cristiani, defezioni, una sapienza umana che non voleva riconoscere
Dio, rifiuto di credere. Le prime erano comunità vivaci, nelle quali non
165
mancavano problemi, eppure ci hanno trasmesso il vangelo. Evangelizzare oggi è
lo stesso che al tempo degli apostoli? Si e no. Si, nel senso che è identico il
contenuto dell’annuncio e identici sono i bisogni del cuore dell’uomo. No, nel
senso che molte condizioni esterne sono mutate e bisogna tenerne conto.
Evangelizzare significa sia il primo annuncio, sia quell’ulteriore annuncio, che è
ogni riproposizione del Vangelo: omelie, catechesi, liturgie, eccetera. Oggi non si
parla solo di evangelizzazione delle persone, ma anche delle culture, cioè delle
mentalità e del modo di vivere della gente. Tale evangelizzazione può essere fatta
sia in maniera esplicita (annuncio verbale) che implicita (la testimonianza delle
riconciliazioni, della carità, eccetera).
Evangelizzare non significa fare cristiani nuovi o portare tutti in chiesa: Gesù
ha evangelizzato anche a Nazaret, Corazin o Betsaida, dove la parola non era stata
accolta.220 Neppure significa ottenere risultati immediati con conversioni o altro.
Evangelizzare significa annunciare la Buona Notizia con fatti e parole in modo
che possa essere liberamente accolta, approfondita e vissuta.
Tenendo presenti gli esempi contenuti nel nuovo Testamento, possiamo dire
che si evangelizza in diversi modi:
Evangelizzazione per proclamazione. È il modo di Gesù: «Il tempo è compiuto
e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo».221
La
proclamazione non è solo pubblica ma può avvenire anche in un colloquio
personale: la Samaritana222 e i discepoli di Emmaus223. Contano soprattutto le
parole. Pensiamo alle liturgie, alle marce giovanili, alle visite ai giovani nelle
missioni;
Evangelizzazione per attrazione. Così faceva la prima comunità cristiana.
Attiravano per la loro simpatia e accorrevano dalle città vicine
Gerusalemme
224
a
. Potremmo anche dire evangelizzazione per contagio. Da persona
a persona, da gruppo a gruppo. Si è contagiati dalla gioia. Qui non contano solo le
parole, ma la condotta di vita: «Anche se alcuni rifiutano di credere alla Parola,
220
221
222
223
224
Lc. 10,13
Mc 1,14
Gv 4
Lc 24
At 5,16
166
possono, senza bisogno di parole, essere conquistati considerando la vostra
condotta»;225
Evangelizzazione per lievitazione. È come il lievito nella pasta, è un modo meno
appariscente, più nascosto, che vale soprattutto per l’evangelizzazione delle
culture. Anche qui contano meno le parole. È il tempo della missione permanente:
la consapevolezza di essere cristiani – testimoni sempre.
Tutti questi modi si intersecano spesso a vicenda e non si possono distinguere
nettamente. I cristiani sono chiamati ad attuare questo compito che è da sempre
della Chiesa. Da decenni si parla anche di nuova evangelizzazione, dove il nuovo
non è sul piano dei contenuti quanto delle forme e delle condizioni di vita nuove.
Per evangelizzare giovani è utile provare ad avere qualche categoria che
permetta di riconoscere la cultura odierna. In occidente è meglio apprezzata e
riconosciuta la soggettività di ogni persona, sono cresciuti lo spirito critico e
l’abitudine del metodo scientifico. Evangelizzare oggi significa fare i conti con
società che si strutturano a prescindere da valori confessionali e sono percorse dal
vento della secolarizzazione. Oggi i giovani hanno bisogno di significati e valori
alti. Il vangelo contiene in sé germi di novità perenne e una capacità di rinnovare
ciò che è vecchio, di rivitalizzare ciò che muore. In un mondo scristianizzato
occorre forse ripartire da zero e annunciare questa novità del vangelo che rinnova
e stupisce, una notizia non vecchia, ma attuale. Evangelizzare allora è dare la
speranza ad esistenze frustrate dal dolore e dalla sofferenza. È
insegnare e
rimanere saldi nella prova, significa trasmettere una pienezza di senso e di
orizzonti.
«Sono i giovani che evangelizzano gli altri giovani». Questa frase, ripetuta in
più circostanze da Giovanni Paolo II, insieme al carisma specifico dei missionari
Oblati di Maria Immacolata (OMI), ha ispirato gli Oblati e i giovani del
Movimento Giovanile Costruire (MGC) all’evangelizzazione del mondo giovanile
in questi ultimi decenni. Numerose sono state le missioni giovanili svolte
nell’ultimo decennio, specie nelle terre del sud e del centro Italia.
Volendo definire sinteticamente una missione giovanile potremmo dire che
essa è un’azione straordinaria di annuncio del Vangelo ai giovani, realizzata dalla
225
1Pt 3,1
167
comunità cristiana nelle sue varie componenti (sacerdoti, consacrati, adulti,
giovani). In quest’ultimo decennio le missioni giovanili sono state uno strumento
per tentare un evangelizzazione più incisiva del mondo giovanile. Queste hanno
sicuramente innescato
nuove dinamiche missionarie all’interno delle varie
parrocchie e diocesi. Le potremmo definire come uno sguardo più attento ai
giovani delle scuole superiori e agli universitari, senza distogliere evidentemente
lo sguardo da mondo della famiglia e del lavoro. Nelle missioni giovanili cambia
dunque la prospettiva. Si guarda al popolo di Dio a partire dai giovani. Genitori e
docenti salutano con soddisfazione l’interesse per la Chiesa per i loro ragazzi.
Le missioni giovanili OMI e MGC si svolgono in un periodo intensivo che va
dai dieci ai quindici giorni. Sono preparate da una premissione di almeno dieci
mesi e hanno una continuità a seconda delle necessità, del pensiero dei parroci,
delle possibilità concrete. Le sfide sono notevoli: far maturare nelle parrocchie
una mentalità autenticamente missionaria, aiutare i cristiani a uscire dai propri
ghetti, osare maggiormente, recuperare la strada. Non si tratta di giovanilismi e/o
estetismi, ma di dare sostanza a un annuncio credibile. Il tentativo di proporre la
persona di Gesù ai giovani è impegno quotidiano di quanti sono impegnati
nell’azione pastorale: sacerdoti, religiosi, catechisti, educatori, operatori pastorali.
La missione giovanile si affianca a quest’azione ordinaria per dare maggior
impulso e visibilità a tale impegno. Non è dunque un’azione catechetica e tanto
meno di socializzazione. La missione fa crescere la coscienza di essere comunità
missionaria aperta, capace di dialogo, che sente proprio il mandato di Gesù di
andare e annunciare. Essa mette a contatto il territorio con i giovani per conoscere
le loro abitudini, il loro modo di vivere, le loro difficoltà, i loro valori. I giovani
MGC portano in sé l’essere profeti, perché ai giovani appartiene il futuro e perché
possono spingere anche gli adulti ai cambiamenti. Giovanni Paolo II esprimeva
così lo slancio profetico dei giovani in occasione della missione cittadina di
Roma:
«Grazie allo Spirito Santo, che scaccia dal cuore ogni timore e rende interiormente
liberi, sarete in grado, specialmente durante lo svolgimento della missione cittadina, di
imprimere alla città quel supplemento d’anima di cui parlava il mio venerato
predecessore, il servo di Dio Paolo VI, recando il vostro contributo per valorizzare
appieno le potenzialità».
168
La missione giovanile è un tempo giovani,
una sequenza unitaria
e
straordinaria di appuntamenti che vedono i giovani di quel territorio protagonisti
di un evento composto di gesti simbolici. Non si desidera portare i giovani in
chiesa, ma la Chiesa ai giovani; non portare a messa qualcuno in più, ma offrire il
vangelo che salva. Si coniuga il verbo andare e non chiamare o venire. Scendere
sulla strada, uscire dai gruppi e dagli schemi, adoperare nuovi linguaggi, sono,
potremmo dire, le frasi chiavi di un’azione missionaria di questo tipo. Gli
orizzonti e i confini di una missione giovani sono tutti i giovani e tutta la
comunità parrocchiale. Obiettivo ultimo che caratterizza una missione giovani è
permettere a tutti coloro che saranno raggiunti di fare un’esperienza di Chiesa,
intesa come famiglia dei figli di Dio, luogo i cui per la presenza del Signore
Risorto, ognuno si sente accolto e amato. Ne risulta che tutta la comunità cristiana
è interessata da un’azione missionaria verso i giovani che costituiscono il futuro,
ma anche la vitalità del presente. Una missione giovanile deve poter contare su
una Chiesa che sempre più trasmetta il volto intero di cristo, non un insieme
perbenista di norme. Il progetto di missione nasce per dare concretezza ai
programmi pastorali parrocchiali e diocesani ed è pensato in dialogo con l’ufficio
di pastorale giovanile diocesano. La missione giovanile MGC accompagna una
parrocchia o più parrocchie per un periodo che può durare complessivamente dai
due ai tre anni. Alcuni ingredienti sembrano fondamentali in tutte le missioni
giovanili. I quattro binari che vengono percorsi nella fase intensiva della missione
sono: visita ai giovani, workshop, centri di annuncio e ascolto del vangelo,
appuntamenti di preghiera. Punto che sembra fondamentale e imprescindibile
nelle missioni giovanili è il ruolo dei giovani che annunciano insieme ai
consacrati, formando una comunità missionaria itinerante che si muove, opera,
prega, interpreta. Per i giovani che partecipano alle missioni c’è senz’altro una
preparazione remota, che potremmo rintracciare nell’adesione personale al
vangelo, poi c’è la preparazione più specifica alla missione giovanile,
acquisizione di importanti informazioni sul luogo dove si svolgerà l’attività.
Sicuramente durante questo tempo fecondo i ragazzi vivendo con gli OMI
interiorizzano maggiormente il carisma di S. Eugenio de Mazenod. Inoltre
169
condividere dei giorni di missione con gli Oblati crea una comunità missionaria
itinerante che ha rapporti molto stretti ed esigenti. Si tratta infatti di vivere quel
«Dove due o più …»226 evangelico che genera una presenza di Gesù che tocca,
scuote e converte. Solamente se si è aperti e allenati alla comunione si può
sperimentare la potenza della missione. I giovani conoscono meglio se stessi, le
proprie qualità, i propri limiti e fragilità. La missione rivela ad ogni partecipante
un volto abbastanza reale della propria situazione di maturità umana e cristiana. A
proposito dei laboratori la missione si configura come un vero e proprio
laboratorio della fede dove si mettono in gioco energie, talenti, capacità dei
singoli a servizio dell’unico obiettivo: annunciare Gesù Cristo, Signore e
Salvatore. Gli ambiti di impegno sono numerosi, si va dalla visita ai giovani, nelle
scuole al mattino, nelle case e negli ambienti al pomeriggio, all’animazione dei
workshop e degli stand, dai momenti di preghiera alle testimonianze raccontate
nei centri
d’ascolto serali. I giovani missionari, con un po’ di sano timore
raccontano di sé, di come vivono la vita cristiana e missionaria nel quotidiano.
Testimonianze semplici e incisive che colpiscono e vengono ricordate dagli
ascoltatori anche a distanza di mesi. Sovente l’ascolto di queste esperienze fa
scattare una dinamica di emulazione, incoraggia e interpella. I giovani MGC
vanno anche per le strade ad incontrare i loro coetanei, si fermano con loro , li
ascoltano, parlano della loro vita cristiana e della Chiesa, li invitano ad
appuntamenti della missione. Si confrontano con chi accetta e con chi rifiuta il
dialogo nella piena indifferenza. Nel corso della missione, i missionari mettono
anche in gioco i propri talenti nei vari ambiti espressivi: la musica, il canto, la
danza, la multimedialità. Attraverso questo codici tipicamente giovanili provano
ad aiutarli a esprimere la propria voglia di vivere, i valori umani, la fede cristiana.
La festa della missione, che in genere conclude le missioni, è sempre
un’esplosione di vitalità e creatività giovanile.
226
Mt 18,20.
170
Conclusione
Il 21 maggio 1861, all'età di 79 anni, Eugenio de Mazenod ritornò alla casa di
Dio dopo una vita colma di opere, molte di esse nate nella sofferenza. Per la
famiglia religiosa da lui fondata e per la diocesi di Marsiglia, di cui fu vescovo, fu
una sorgente di vita, per Dio e per la Chiesa fu un figlio fedele e generoso. Sul
letto di morte lasciò agli Oblati il suo testamento: «Tra di voi la carità, la carità, la
carità; e al di fuori lo zelo per le anime». La Chiesa, dichiarandolo santo il 3
dicembre 1995, incorona i cardini della sua vita: amore e zelo. Ciò rappresenta il
più grande dono che Sant’Eugenio, Oblato di Maria Immacolata, ha lasciato.
Il suo percorso di vita e la contemplazione delle sue opere prova che ogni
uomo mostra il suo valore oltre che per l’essere innestati in Cristo anche per il suo
agire nella Chiesa. In lui emerge una perfetta sintesi di vita: unità in Cristo e
amore per la Chiesa, impegno di santità e dedizione apostolica, preghiera e
servizio ai poveri. Questo è il cammino al quale tutti gli uomini di fede sono
chiamati.
Accogliendo e condividendo il suo pensiero si diventa pronti per affrontare le
nuove sfide che il mondo contemporaneo propone. La via per risolverle è una
sola: Cristo salvatore ed evangelizzatore.
Che Sant’Eugenio ami la Vergine Maria, è un’evidenza sulla quale è inutile
insistere, ma ritengo che sia tuttavia bene segnalare la sua modernità. Per lui, la
devozione mariana non deve sbagliare oggetto: Maria non deve prendere in
nessun caso, il posto del Cristo. È una creatura e non il Creatore, conduce al
Cristo che è il solo fine ultimo d’ogni culto. La spiritualità di Sant’Eugenio, molto
Cristocentrica, legata alla scoperta della Croce, ci evidenzia come lo stesso
anticipi il Concilio Vaticano II che pone la questione di Maria nella Costituzione
sulla Chiesa. Per de Mazenod l’Immacolata Concezione non era un dogma
171
mariano ma Cristologico, per cui era necessario la sua proclamazione. Definire
l’Immacolata Concezione della Vergine Maria, significava affermare la salvezza
portata dalla Croce di Cristo, di cui Maria è stata la prima beneficiaria.
Come traspare chiaramente da questo studio de Mazenod non è soltanto un
grande uomo o un santo del passato. Lo stesso pur essendo vissuto in un’epoca
storica completamente diversa dalla nostra ci invita a realizzare oggi la nuova
evangelizzazione con lo stesso ardore degli Apostoli, percorrendo le vie che
raggiungono l’umanità in ogni luogo. L’aver vissuto cambiamenti storici e
culturali, un’infanzia caratterizzata da grandi difficoltà e divisioni familiari, una
gioventù caratterizzata da una continua ricerca di un senso della vita, lo rendono
molto vicino ai giovani del nostro tempo. Tutta la sua spiritualità,
l’innamoramento per Maria, l’incontro con Cristo, la dedizione ai poveri e ai
giovani lo dipingono come un grande santo, ma anche come un uomo comune.
L’ardore missionario che ha portato i suoi figli verso gli estremi confini della
terra per realizzare il sogno di fondare in tutto il mondo una grande famiglia, ha
anticipato quella che nel nostro presente globalizzato rappresenta un’urgenza. Il
suo impegno di vescovo e fondatore ne fanno un’icona per gli uomini di ogni
tempo e di ogni luogo, specie per noi italiani. P.Angelo D’Addio OMI lo ha
definito un santo della Chiesa di Francia con l’animo italiano, perché in Italia ha
trascorso il tempo sufficiente, non solo per impararne la lingua, ma per
assimilarne le virtù, le bellezze e, perché no, qualche difetto.
Concludo affermando che non dobbiamo mai dimenticare che è necessario
leggere il passato per interpretare il presente e per preparare in modo creativo il
nostro futuro. Sant’Eugenio non è rimasto indietro ma cammina avanti a noi ed è
sicuramente un buon compagno con cui avventurarci, senza paura, nel viaggio
della nostra vita.
172
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177
Frontespizio del volume Primo dei 10 volumi recante i tre timbri attestanti
l’originalità degli stessi ed il percorso attraverso cui sono giunti a Santa
Maria a Vico Ce
Particolare del timbro della
Scuola Apostolica di Diano Marina
Particolare del timbro della
Scuola Apostolica di Roma
Particolare del timbro della
Scuola Apostolica di
Santa Maria a Vico (Ce)
178